Sei sulla pagina 1di 43

Maggio-Giugno - Anno 7 - n.

5-6 - 2004

Il ruolo della radioterapia


nel linfoma di Hodgkin:
luci ed ombre agli albori
del XXI secolo
Alessandro Magli, Anna Merlotti
Vittorio Vavassori, Michele Tordiglione

Dieta mediterranea
e micronutrienti
nella prevenzione primaria
del carcinoma prostatico
Lucio Miano

Problematiche
auxologiche e puberali
nella -talassemia omozigote

Spedizione in abbonamento postale - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Milano

Giuseppe Raiola, Maria Concetta Galati


Vincenzo De Sanctis, Vincenzo Arcuri

PRIMO PIANO
Infezioni delle vie urinarie
non complicate
(seconda di tre parti)

Pietro Cazzola

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

129

Il ruolo della radioterapia nel linfoma di Hodgkin:


luci ed ombre agli albori del XXI secolo

Scripta

MEDICA

Alessandro Magli, Anna Merlotti,


Vittorio Vavassori, Michele Tordiglione

pag.

131

Direttore Responsabile
Pietro Cazzola
Direzione Marketing
Armando Mazz
Registrazione
Tribunale di Milano n.383
del 28/05/1998
Iscrizione al Registro Nazionale
della Stampa n.10.000
Redazione e Amministrazione
Scripta Manent s.n.c.
Via Bassini, 41 - 20133 Milano
Tel. 0270608091 - 0270608060
Fax 0270606917
E-mail: scriman@tin.it

Dieta mediterranea e micronutrienti


nella prevenzione primaria
del carcinoma prostatico
Lucio Miano

pag.

145

Problematiche auxologiche e puberali


nella -talassemia omozigote
Giuseppe Raiola, Maria Concetta Galati,
Vincenzo De Sanctis, Vincenzo Arcuri

pag.

166

Consulenza Amministrativa
Cristina Brambilla
Consulenza grafica
Piero Merlini
Impaginazione
Felice Campo
Stampa
Parole Nuove s.r.l. Brugherio (MI)

vietata la riproduzione totale o parziale,


con qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni
e fotografie pubblicati su Scripta MEDICA
senza autorizzazione scritta dellEditore.
LEditore non risponde dellopinione
espressa dagli Autori degli articoli.

PRIMO PIANO
Infezioni delle vie urinarie non complicate
(seconda di tre parti)

Pietro Cazzola

pag.

173

Edizioni Scripta Manent pubblica inoltre:


ARCHIVIO ITALIANO
DI UROLOGIA E ANDROLOGIA
RIVISTA ITALIANA DI MEDICINA
DELLADOLESCENZA
INFORMED, CADUCEUM, IATROS, EUREKA

Diffusione gratuita. Ai sensi della legge 675/96 possibile in qualsiasi momento


opporsi allinvio della rivista comunicando per iscritto la propria decisione a:
Edizioni Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

1131

Il ruolo della radioterapia


nel linfoma di Hodgkin:
luci ed ombre agli albori del XXI secolo
Alessandro Magli1, Anna Merlotti2, Vittorio Vavassori1, Michele Tordiglione1

Introduzione
I linfomi di Hodgkin rappresentano poco pi
dell1% di tutte le neoplasie. Sebbene
Ieziologia non sia dei tutto nota, sono stati
indIviduati gruppi di pazienti con un aumentato rischio di sviluppare la malattia. Tale
rischio stato correlato a vari fattori, ma lipotesi di una infezione virale quella pi
accreditata. In pratica, un virus che possiede
un oncogene a bassa potenzialit, infettando
un individuo geneticamente predisposto
(associazione con determinati tipi di HLM ed
interagendo con fattori ambientali, sarebbe in
grado di causare la malattia con una probabilit crescente all'aumentare dellet in cui
avviene linfezione. La sede dellesordio
quasi sempre linfonodale, pi frequentemente lungo il decorso e le diramazioni del dotto
toracico, e si diffonde per via linfatica con linteressamento di stazioni linfonodali contigue.
Linsorgenza della malattia si osserva in tutte
le classi di et, ma lincidenza massima si
manifesta tra i 15 e i 30 anni. Gli individui di
sesso maschile risultano essere pi colpiti
rispetto a quelli di sesso femminile con un
rapporto di 1,5:1. Nel 50-60% dei pazienti
compaiono sintomi sistemici quali febbre,
sudorazione notturna, prurito e perdita di
peso superiore al 10% in 6 mesi o meno,
senza causa apparente.

Anatomia patologica
La classificazione istopatologica prevede la
suddivisione dei linfomi di Hodgkin in quat1
2

Divisione di Radioterapia, Ospedale di Circolo, Varese


Divisione di Radioterapia, Ospedale di Circolo, Busto Arsizio

tro sottogruppi di seguito elencati. In tutti gli


istotipi sono presenti le caratteristiche cellule
di Reed-Sternberg, cellule neoplastiche giganti
considerate lelemento essenziale in tutte le
forme di linfoma di Hodgkin. La loro individuazione nel reperto bioptico della neoplasia
fondamentale per la formulazione della diagnosi.
1. Prevalenza linfocitaria nodulare o diffusa. La variet nodulare si caratterizza per
unalta incidenza di recidive tardive, un possibile coinvolgimento midollare allesordio
ed unalta predilezione per i soggetti nella
quarta decade, elementi che rendono questa
forma pi simile ad un linfoma non Hodgkin a basso grado di malignit. Diagnostica
la presenza di cellule di Reed-Sternberg
che esprimono recettori CD20+ e CD15 -.
La classificazione WHO riconosce una nuova entit di linfoma di Hodgkin con morfologia similare alla variet a prevalenza linfocitaria, con cellule di Reed-Sternberg che
hanno una morfologia classica ma esprimono recettori CD30+, CD15+ e CD20 -.
2. Sclerosi nodulare. la forma a maggior
incidenza, interessa frequentemente pazienti giovani e maggiormente quelli di sesso
femminile. Si localizza principalmente in
sede sopradiaframmatica. Caratteristica la
presenza di cellule di Reed-Sternberg a
variante lacunare.
3. Cellularit mista. il secondo istotipo
per incidenza, si localizza a livello linfonodale ed extralinfonodale (frequente linteressamento splenico), con associazione
di sintomi sistemici.
4. Deplezione linfocitaria. Ha una prognosi peggiore rispetto alle altre varianti, si
manifesta spesso in pazienti di et inferiore ai 50 anni, con sintomi sistemici ed in

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

132

stadio avanzato allesordio. Questo istotipo frequentemente associato ad infezione da HIV. Si osserva la presenza di numerose cellule di Reed-Sternberg.

Classificazione
I LMH vengono suddivisi in quattro stadi
secondo la classificazione di Costwold
(1989) (Tabella 1) che ha aggiornato quella
proposta ad Ann Arbor nel 1971 e prevede
una definizione dello stadio clinico (cs) e
patologico (ps).
Rispetto alla classificazione di Ann Arbor
viene introdotto il suffisso x che permette
di identificare i pazienti con malattia bulky
(nel mediastino: rapporto tra diametro massimo della massa adenopatica e diametro
interno trasversale del torace > 0,33 misurato in postero-anteriore a livello dei somi vertebrali di D5-D6, in altre sedi diametro massimo delladenopatia > 10 cm). Viene anche
definito il numero di sedi linfonodali interessate nello stadio II, dato questo prognosticamente significativo.
Lo stadio III infine viene suddiviso in due
sottogruppi: III1 con interessamento linfonodale addominale superiore (attorno allasse
celiaco) e III2 con compromissione dei linfonodi addominali inferiori (paraaortici, iliaci e
mesenterici), caratterizzato da prognosi
infausta dopo sola radioterapia rispetto al
gruppo III1.

Stadio I

Interessamento di una singola regione linfonodale o struttura linfoide (ad


es. milza, timo, anello di Waldeyer).

Stadio II Interessamento di due o pi regioni


linfonodali dello stesso lato del diaframma (il mediastino costituisce
una singola sede, i linfonodi unaltra
sede). Il numero delle sedi anatomiche deve essere indicato da un suffisso (ad es. II3).

Tabella 1.
Classificazione
in stadi secondo
Cotswolds.
Lister TA, et al.
Semin Oncol
1990; 17:700.

Stadio III Interessamento di regioni o strutture linfonodali da entrambi i lati del


diaframma
III1: con o senza adenopatie dellilo
splenico epatico o del tripode celiaco
III2: con adenopatie para-aortiche,
iliache, mesenteniche.
Stadio IV Interessamento di una o pi sedi extralinfonodali la cui compromissione
supera quella designata come E.
A
B

SC
SP

Assenza di segni sistemici


Presenza di segni sistemici (febbre> 38C, sudorazione prevalentemente notturna, perdita di peso
corporeo >10% nei 6 mesi precedenti la diagnosi
Adenopatia massiva (bulky)
allargamento del medesimo >1/3
massa linfonodale >10 cm
Interessamento di una singola
struttura extralinfonodale ma contigua o prossimale a una nota sede
linfonodale
Stadio clinico
Stadio patologico

GHSH

EORTC

NCI Canada

Malattia mediastinica bulky


(rapporto mediastino/
torace 0,33)

Malattia mediastinica bulky


(rapporto mediastino/
torace 0,35)

Istologia CM o DL

VES 50 senza o
30 con sintomi B

VES 50 senza o
30 con sintomi B

VES elevata

3 stazioni linfonodali
coinvolte

4 stazioni linfonodali
coinvolte

4 stazioni linfonodali
coinvolte

Interessamento extralinfonodale

Et 50 anni

Et 40 anni

Tabella 2.
Fattori prognostici
avversi
negli stadi I-II
definiti da tre
differenti
Gruppi di Studio.

Scripta

MEDICA

Il ruolo della radioterapia nel linfoma di Hodgkin: luci ed ombre agli albori del XXI secolo

133

Tabella 3.
Gruppi prognostici
definiti dal GHSG.

STADIO
Fattori di rischio
Nessuno
3 aree linfonodali
Alta VES

IA, IB, IIA

IIB

III, IV

Stadio Iniziale
Stadio Intermedio
Stadio Intermedio

Interessamento
extranodale
Bulky mediastinico

Stadio
StadioAvanzato
Avanzato

Prognosi
La prognosi dei linfomi di Hodgkin migliorata nel corso degli anni grazie ad una
migliore conoscenza degli aspetti istobiologici, ad un accurato staging ed allintroduzione
della polichemioterapia come modalit terapeutica integrata con la radioterapia.
La scelta del trattamento dipende dallo stadio di malattia, dalla presenza o assenza di
vari fattori prognostici e dal tentativo di
ridurre al minimo gli effetti collaterali a
lungo termine delle terapie.
riconosciuto il valore prognostico della
divisione in stadio iniziale ed avanzato
(Costwold I-II vs III-IV).
Molti Gruppi di Studio sui linfomi suddividono ulteriormente i pazienti in stadio iniziale, in gruppi a prognosi favorevole, intermedia e sfavorevole sulla base di fattori prognostici non sempre uniformi tra loro
(Tabella 2) (1).
Per gli stadi avanzati lInternational Prognostic
Factor Project ha identificato su oltre 5.000
pazienti di 25 differenti Centri, un indice
prognostico (IPS) in seguito ampiamente
validato dalla Letteratura (2).
LIPS include 7 fattori prognostici avversi: et
45 anni, sesso maschile, anemia, ridotta
albumina sierica, stadio IV, leucocitosi e leucopenia. Recentemente e con risultati modesti, stato testato il valore prognostico predittivo dellIPS in pazienti in stadio iniziale
nel gruppo a prognosi sfavorevole (3).

Il German Hodgkin Lymphoma


Study Group (GHSG) (4) ha
identificato in pazienti con
linfoma maligno di Hodgkin
(LMH) quattro classi di rischio
per ripresa di malattia dopo la
sola radioterapia (Tabella 3):
1. basso rischio: cs I-II senza
fattori prognostici sfavorevoli;
2. rischio intermedio: cs I-IIIIIA1 con fattori prognostici sfavorevoli;
3. alto rischio: cs IIIA2-IIIB-IV;
4. gruppo eterogeneo: ripresa
di malattia.

Stadiazione
Lo stadio di malattia il fattore che maggiormente influenza la prognosi e quindi la scelta
terapeutica. Diviene pertanto fondamentale
una corretta procedura di stadiazione che consenta una precisa definizione dellestensione
di malattia, soprattutto in alcune sedi strategiche quali midollo osseo, fegato, milza e stazioni linfonodali retroperitoneali.
Biopsia
Esame diagnostico essenziale per la tipizzazione istologica.
Radiografia standard del torace
Rappresenta il mezzo pi economico per
documentare un interessamento mediastinico e polmonare.
una metodica dotata di bassa sensibilit
per le lesioni pi piccole, ma espone il
paziente a basse dosi di radiazione.
Tomografia Computerizzata (TC)
L avvento della TC spirale ha reso pi semplice lestensione dellindagine a tutti i
distretti corporei.
Il mezzo di contrasto e.v. utile solo per lo
studio di alcune sedi come reni, pancreas,
fegato e milza. Lutilizzo del contrasto per os
imperativo per lidentificazione delle localizzazioni addominali di malattia, in particolare con coinvolgimento mesenterico o intestinale.

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

134

Lo sviluppo delle metodiche computerizzate


per la determinazione delle dimensioni delle
lesioni ha reso pi facile la valutazione della
risposta alle terapie ed ha eliminato una
fonte di errore legata alla soggettivit degli
operatori.
Risonanza Magnetica (RM)
Non offre vantaggi rispetto alla TC nellidentificazione delle localizzazioni linfonodali in
sede toracica o addominale. La risoluzione
spaziale infatti risulta inferiore ed i movimenti respiratori e addominali possono deteriorare in misura considerevole la qualit
delle immagini.
La RM offre vantaggi solo nello studio del
midollo spinale e nei casi in cui le sezioni
coronali o sagittali risultino pi appropriate
per indagare particolari strutture, ad es. diaframma, apice polmonare, pelvi.
Metodiche scintigrafiche
Tutti gli istotipi del LMH mostrano una
discreta affinit per il Gallio-67, in particolare la variet a sclerosi nodulare.
Lesame scintigrafico di stadiazione deve
essere eseguito prima dellinizio di qualsiasi
terapia steroidea, chemioterapica o radioterapica, poich liniezione del radiofarmaco
effettuata anche poche ore dopo linizio delle
suddette terapie gravata da un rischio
significativo di falsi negativi.
La scintigrafia basale con Gallio-67 consente
di individuare le sedi di malattia in cui
necessario effettuare indagini TC o RM di
approfondimento. utile nella valutazione
della risposta dopo terapia, in particolare,
come nel caso di bulky mediastinico per differenziare i residui fibrotici dai residui di
malattia non distinguibili con TC o RM.
un esame non dotato di specificit: altri
tumori, oltre ai linfomi, mostrano unaffinit
per il Gallio-67, come anche una grande
variet di disordini infiammatori (falsi positivi dopo radioterapia e chemioterapia con
bleomicina) e focolai infettivi.
La sensibilit (potere predittivo negativo)
della scintigrafia con Gallio-67 invece elevata: 89-96%.
La PET (tomoscintigrafia ad emissione di
positroni) una metodica scintigrafica che

utilizza il 2-fluoro desossiglucosio, un analogo del glucosio, che trasportato ed accumulato senza giungere al termine della sua
via metabolica nelle cellule tumorali dotate
di un incrementato metabolismo rispetto
alle cellule normali. caratterizzata da
unalta sensibilit (80-100%) e una buona
specificit (76-100%).
Quando la PET mostra dati discordanti con
altre metodiche risulta corretta nel 40-96%
dei casi. inoltre superiore alla scintigrafia
con Gallio-67 nellidentificazione di localizzazioni spleniche. Alcuni Autori (5) hanno
mostrato che la valutazione quantitativa
della malattia effettuata con la PET ha un
valore prognostico predittivo.
Laparotomia
Permette la massima accuratezza nella definizione dellestensione di malattia in sede
addominale, soprattutto a livello splenico.
Questa metodica stata abbandonata come
procedura di routine nella stadiazione, in
considerazione dellelevata morbilit e della
necessit di ritardare linizio delle terapie di
circa 2-3 settimane.
Prima della diffusione delle terapie combinate anche negli stadi iniziali I e IIA non
bulky, la stadiazione con laparotomia permetteva di escludere localizzazioni occulte
sottodiaframmatiche, consentendo lattribuzione certa (stadiazione patologica) a stadi
di malattia con prognosi favorevole dopo
sola radioterapia (sopravvivenza 90%).

Il ruolo della radioterapia


Il ruolo della radioterapia nella cura del
LMH ha riconosciuto unimportante evoluzione dagli esordi ai giorni nostri.
In seguito ad una prima fase di valutazione
dellefficacia agli inizi del secolo scorso, la
radioterapia si affermata quale trattamento
standard del LMH, pur con risultati subottimali (6-10).
La necessit di migliorare i risultati della
radioterapia ha determinato, a partire dagli
anni 60, lo sviluppo e levoluzione del concetto di trattamento precauzionale delle aree
linfatiche contigue a quelle coinvolte alle-

Scripta

MEDICA

Il ruolo della radioterapia nel linfoma di Hodgkin: luci ed ombre agli albori del XXI secolo

135

sordio della malattia. Nello stesso periodo


sono stati condotti anche i primi studi sulla
relazione dose-risposta (11-13).
Dagli anni 80, grazie al decisivo sviluppo
delle terapie combinate e allo studio accurato dei fattori prognostici, con lidentificazione di precise classi di rischio e la possibilit
di individualizzare liter terapeutico per i
vari gruppi di pazienti, si ottenuto un rilevante miglioramento della sopravvivenza e
del controllo di malattia negli stadi avanzati.
Nellultimo decennio sono state condotte
numerose analisi retrospettive dalle quali
emerso che, nei pazienti trattati per LMH, a
15 anni dalla diagnosi la mortalit per altre
cause supera quella per LMH. In unanalisi
della Stanford University (14) il rischio assoluto di decesso per altre cause ogni 5 anni di
follow-up risultato inferiore per pazienti

trattati in anni pi recenti (1980-1995),


rispetto a quelli trattati in periodi precedenti (1962-1979). In una review olandese
riportato un rischio di morte cumulativo a
20 anni del 33% per LMH e del 20% per
altre cause (15).
Questi risultati hanno condotto ad una
sostanziale revisione critica delle indicazioni radioterapiche in termini di dosi e
volumi, soprattutto alla luce del progressivo incremento dellassociazione con la
chemioterapia anche negli stadi iniziali di
malattia (16-19).
Vi sono numerosi studi clinici in corso finalizzati a fornire una risposta alle molteplici
problematiche legate alla terapia combinata
nei LMH:
elevata incidenza di complicanze tardive
(cardiopatie e secondi tumori);

Tabella 4.
Autore/anno
Tipo di studio

End point

Popolazione

Risultati

Specht/1998
Metanalisi

Volumi ridotti
A: extended fields
B: involved fields

1962-1982, 8 trials
A: 1.005 pz.
B: 969 pz.

OS% 77 vs 77

Brinker/1994

Dose ottimale per


controllo di malattia

4.117 campi
dal 1960 al 1990

Nessuna relazione
dose-risposta
sopra i 32.2 Gy

169 pazienti
1967-1994

Nessuna relazione
dose-risposta
sopra i 30 Gy

Mendenhall/1999 Dose ottimale per


Review
controllo di malattia

TF= treatment failure, IF= involved fields, EF= extended fields, OS= overall survival

Commento

TF% a 10 aa 31 vs
43 (p<0.00001)
EF producono un
tasso inferiore di TF
ma non si osservano differenze
nellOS poich la
mortalit in eccesso per ripresa di
malattia con IF
bilanciata dalla
mortalit in eccesso per tossicit tardiva con EF.

30 Gy sono
sufficienti per la
malattia subclinica
o per volumi
tumorali piccoli

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

136

necessit di ridurre lintensit del trattamento (dosi e volumi di radioterapia, numero di cicli di chemioterapia) a parit di risultati (overall cure rate 70%);
miglioramento della sopravvivenza nella
malattia avanzata.

Revisione degli studi in corso


e della letteratura
Early stages (I-II senza fattori prognostici
negativi) e stadi intermedi (I-II con fattori prognostici sfavorevoli)
1. Radioterapia da sola: valutazione dei
volumi e delle dosi (Tabella 4)
2. Radioterapia vs chemioterapia
Due studi randomizzati condotti negli anni
90 hanno confrontato la radioterapia con la
chemioterapia secondo lo schema MOPP
giungendo a conclusioni differenti. Questi
studi non sono ritenuti rilevanti ai giorni
nostri a causa della chemioterapia non ottimale e dellutilizzo della laparotomia nella
stadiazione. Il NCI in Canada sta conducendo un trial randomizzato in pazienti di et
inferiore a 40 anni con fattori prognostici
favorevoli, in cui viene confrontata lirradiazione nodale subtotale (STNI=subtotal nodal
irradiation) con 4-6 cicli di chemioterapia
secondo lo schema ABVD. Non vi sono
ancora risultati disponibili.
3. Radioterapia da sola vs chemioradioterapia (Tabella 5)
4. Chemioradioterapia vs sola chemioterapia
Sono disponibili solo i risultati di uno Studio
Clinico svedese pubblicato nel 1996 in cui il
trattamento combinato offre migliori tassi di
sopravvivenza libera da malattia.
Vi sono quattro studi attualmente in corso
(MSKCC, NCI Canada/ECOG, GHSG 13 e
CALGB).
5. Riduzione della dose e del volume irradiato dopo CHT
Sono in corso due trials del German Hodgkin

Study Group in cui vengono valutati due


livelli di dose (20 Gy e 30 Gy) su involved
field in stadi iniziali ed intermedi dopo 2 o
4 cicli di chemioterapia.
Lo Studio dellEORTC H9-F attualmente in
corso sta valutando tre livelli di dose: 36, 20
e 0 Gy in pazienti in risposta completa dopo
6 cicli di chemioterapia.
In conclusione dalla Letteratura emerge
come nei LMH in stadio iniziale:
campi estesi di radioterapia riducono il
tasso di recidive ma non influenzano la
sopravvivenza;
laggiunta di chemioterapia alla radioterapia riduce il tasso di recidive, non influenza la sopravvivenza ma permette lutilizzo
di campi di irradiazione pi limitati;
la dose ottimale di radioterapia non
ancora definita. Per la malattia subclinica
30 Gy sono sufficienti; la dose di 32-30 Gy
potrebbe essere ottimale per il controllo
tumorale. Dopo chemioterapia la dose di
radioterapia potrebbe essere ridotta a 20
Gy sulle sedi non bulky;
lorientamento attuale di far seguire ad un
breve corso di chemioterapia radioterapia
involved field supportato da 5 studi clinici randomizzati sinora pubblicati solo in
forma di abstract;
nessuno studio controllato ha sinora risposto al quesito se nei LMH in stadio iniziale
ed intermedio sia possibile omettere del
tutto il trattamento radioterapico.
Advanced stages (III-IV)
La terapia di scelta negli stadi avanzati la
combinazione di chemioterapia e radioterapia, con cui si ottengono tassi di remissione
completa del 60-90%. Un terzo circa dei
pazienti sviluppa in seguito una recidiva,
l80% entro i primi 3 anni.
Recentemente lInternational Prognostic Factor
Project ha sviluppato, analizzando i dati di
oltre 5.000 pazienti di 25 differenti Centri,
un indice prognostico (IPS) in 7 punti, in cui
ogni fattore prognostico avverso predittivo
per una riduzione del tasso di sopravvivenza
libera da progressione dell8%. Dopo 5 anni
il tasso di sopravvivenza libera da progressione risultava dell80% senza fattori prognostici avversi e del 42% con 5 o pi fatto-

Scripta

MEDICA

Il ruolo della radioterapia nel linfoma di Hodgkin: luci ed ombre agli albori del XXI secolo

137

Tabella 5.
Autore/anno
Tipo di studio

End point

Popolazione

Risultati

Specht/1998
Metanalisi

Valutare beneficio
dellaggiunta
della CHT alla RT
A: RT+CHT
B: RT

1967-1988
13 trials
St IA-IIIB
A: 839 pz
B: 856 pz

OS% 79 vs 77
TF% a 5 aa 16
vs 33

Laggiunta della
CHT riduce le recidive ma non modifica OS. Molti studi
analizzati prevedevano luso dello
schema MOPP e di
campi di irradiazione estesi nei pz che
non ricevevano
CHT. In alcuni studi
sono stati inclusi pz
in stadio avanzato.

Siebert/2001
Studio clinico

Valutare beneficio
dellaggiunta
della CHT alla RT
A: RT
B: ABVDx2+RT

1994-1998
St IA-IIA
A: 282 pz
B: 289 pz

OS% 98 vs 98
FFTF% a 22 mesi
84 vs 96 (p< 0.05)

La CHT neoadiuvante riduce il tasso di


recidive ma non
modifica OS.
Abstract.
Follow-up breve

Press/2001
Studio clinico

Valutare beneficio
dellaggiunta
della CHT alla RT
A: STNI
B: STNI+CHT

1989-2000
St I-IIA non bulky
A: 161 pz
B: 165 pz

OS% 96 vs 96
FFS% a 3 aa
81 vs 94
(p< 0.001)

La CHT neoadiuvante riduce il


tasso di recidive
ma non modifica
OS.

Ridurre campi di RT
con laggiunta
della CHT
A: STNI
B: EBVPx6+IF

1988-1993
St I-II favorevoli
A: 165 pz
B: 168 pz

OS% 96 vs 98
RFS% a 6 aa
81 vs 92
(p< 0.004)

Con la CHT possibile ridurre i volumi irradiati.


La CHT neoadiuvante riduce il tasso di
recidive ma non
modifica OS.

1993-1999
St I-II favorevoli
A: 272 pz
B: 271 pz

OS% 96 vs 99
TFFS% a 46 mesi
77 vs 99
(p< 0.001)

Con la CHT possibile ridurre i volumi irradiati. La CHT


neoadiuvante riduce il tasso di recidive ma non modifica OS.

Noordijk/1997
Studio Clinico

Meerwaldt/2001 Ridurre campi di RT


Studio Clinico
con laggiunta
della CHT
A: STNI
B: MOPP/ABVDx3+IF

commento

TF= treatment failure, IF= involved fields, EF= extended fields, OS= overall survival FFTF= freedom from treatment faiulure, FFS= failure free survival, RFS= relapse free survival, TFFS= treatment failure free survival

ri prognostici negativi presenti.


Lindice prognostico in 7 punti risultato
anche predittivo della sopravvivenza globale
a 5 anni che variava dal 90% al 56%.
Il reale contributo della radioterapia nei
pazienti affetti da LMH in stadio avanzato
dopo chemioterapia ancora incerto e controverso. In uno studio dello SWOG (South-

west Oncology Group) sono stati riportati tassi


di remissione completa del 61% dopo chemioterapia e dell80% con laggiunta di basse
dosi di radioterapia (20 Gy). In una casistica
svedese il tasso di remissione completa passava dal 72% dopo 8 cicli di chemioterapia
al 91% con laggiunta di radioterapia (40 Gy)
sui residui di malattia. In un trial randomiz-

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

138

Malattia bulky mediastinica


Il mediastino una sede coinvolta nel 70%
dei casi di LMH ed in un terzo dei pazienti il
coinvolgimento considerato bulky (ratio
mediastino/torace 0,33).
La malattia bulky in genere, e quella mediastinica in particolare, considerata un fattore prognostico avverso con unalta frequenza
di recidive sia dopo chemioterapia che dopo
radioterapia come uniche modalit di trattamento. consuetudine nella pratica clinica
somministrare radioterapia di consolidamento
sulle sedi bulky dopo chemioterapia, anche se
ad oggi non vi sono dati in Letteratura che
dimostrino un vantaggio in termini di sopravvivenza e controllo di malattia.
Daltra parte il valore prognostico della malattia bulky si riduceva in alcune casistiche non
controllate dopo trattamento combinato, suggerendo comunque un ruolo favorevole della
radioterapia.
riportato un solo studio clinico controllato
con un numero limitato di pazienti in risposta
completa dopo chemioterapia, trattati con
radioterapia o chemioterapia di consolidamento; nessuna differenza in termini di sopravvivenza globale e libera da malattia emersa nei
due sottogruppi di pazienti.
Trattamento delle recidive
Anche per quanto riguarda il trattamento
delle recidive, esiste in Letteratura un dibattito ancora irrisolto.
Vi sono tuttavia indicazioni secondo le quali
la radioterapia pu rappresentare una potenziale alternativa in pazienti in ripresa di
malattia dopo sola chemioterapia, con possibilit di remissioni complete di circa il 70%
in casi selezionati quali:
recidive dopo > 1 anno dalla fine della chemioterapia;

malattia localizzata allesordio;


esordio sede linfonodale.
Daltra parte, il ruolo del consolidamento
radioterapico dopo chemioterapia ad alte
dosi e trapianto di midollo deve ulteriormente essere valutato nellambito di studi
prospettici controllati (21).

Relazione dose-risposta
Le basi razionali degli studi sopra riportati si
possono ricavare dallanalisi di fattori radiobiologici e clinici.
La malattia di Hodgkin, come la maggior
parte delle neoplasie del sistema linfatico,
caratterizzata, dal punto di vista radiobiologico, da una ridotta capacit di riparazione
del danno sub-letale radioindotto, fatto che
indica una sua evidente radiosensibilit.
I dati sullesistenza di una relazione doserisposta, proprio perch si tratta di una
malattia generalmente molto radioresponsiva, sono alquanto controversi ed indicano
chiaramente solo la forma di questa relazione, cio una sigmoide.
Per la malattia sub-clinica o limitata, il range
terapeutico di dosi che garantiscono un controllo locale in circa il 75% dei casi si colloca
tra i 20 ed i 30 Gy.
Nella malattia bulky non si potuto evidenziare una relazione ben definita, principalmente a
causa dei biases statistici da cui sono gravati gli
studi retrospettivi effettuati. Per le terapie combinate invece sono emerse indicazioni convincenti sulla possibilit di ridurre le dosi della
radioterapia.
Una delle prime analisi retrospettive sulla

100
80

% Controlli

zato italiano 14 su 15 pazienti in risposta


parziale dopo chemioterapia hanno ottenuto
una risposta completa dopo radioterapia
sulle sedi di persistenza di malattia (20).
Attualmente in Germania in corso un altro
studio randomizzato volto a chiarire il ruolo
della radioterapia in aggiunta alla chemioterapia negli stadi avanzati.

60
40
20
0
1000 2000 3000 4000
Dose (R)

Figura 1.
Curve di dose-risposta
per i linfomi
di Hodgkin.
Analisi su casistiche
retrospettive.
Fletcher GH,
Shukovsky LJ.
J Radiol Electrol 1975;
56:383.

Scripta

MEDICA

Il ruolo della radioterapia nel linfoma di Hodgkin: luci ed ombre agli albori del XXI secolo

139

100
80

% Controlli

Figura 2.
Curve dose-riposta
per malattia
sub-clinica (curva A);
nodulo < 6 cm
(curva B);
nodulo > 6 cm
(curva C).
Vijayakumar S, et al.
Radiother Oncol
1992; 24:1-13.

60

40
B

20

0
0

Figura 3.
Curve dose-risposta
per livelli di dose.
Brincker H et al.
Radiother Oncol
1994; 30:227.

10

20 30 40
Dose (Gy)

50

60

% In-field Control

100

95

90

85
30

40
45
Dose (Gy)

50

<50 anni
50 anni

100
80

% Controlli

Figura 4.
Sopravvivenza libera da recidiva (RFS)
in relazione allet
(< 50 anni: 70 pz.;
50 anni: 39 pz.).
Casistica Ospedale
di Circolo, Varese.
Antognoni P, et al.
Radiol Med 1992;
84 (S 1):16.

35

60
40
20

p=0.02

0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Anni

relazione dose-risposta venne condotta da


Fletcher e Shukovsky nei primi anni 70
(Figura 1), reinterpretando una precedente
analisi di Kadplan. Questi autori concludevano che dosi di 3500 R (Roentgen) somministrate in circa 6 settimane erano in grado di
produrre percentuali di controllo locale
almeno pari al 95%, mentre dosi superiori
non incrementavano significativamente questi risultati e potevano altres aumentare le
complicanze.

Sulla scorta di questi dati, allinizio degli


anni 90, il gruppo dellUniversity of Chicago
ha effettuato unulteriore analisi dei dati di
Fletcher, riconfermando da un lato la forma
sigmoide della relazione dose-risposta e proponendo in aggiunta anche dei livelli di dose
differenziati in relazione alle dimensioni
della malattia (Figure 2 e 3).
Una successiva rianalisi di questi dati, fatta
da Brincker e Bentzen nel 1994 (22), non ha
dimostrato alcuna relazione dose-risposta
per livelli di dose superiori a 32.5 Gy. Questi
Autori pertanto, concludevano che non esistono evidenze statisticamente significative
che il controllo locale possa essere migliorato con dosi superiori ai 32.5 Gy, mentre
anche la dose per frazione ed il tempo totale
di trattamento risultano non influenzare
significativamente il controllo locale.
Lesistenza di dati cos controversi sulla relazione dose-risposta impone a questo punto
un riferimento clinico pi concreto e certo,
quale quello rappresentato dai fattori prognostici.
I fattori prognostici sono stati ampiamente
studiati nellambito di numerosi studi clinici,
pertanto attualmente possibile stratificare i
pazienti in almeno quattro classi di rischio
che formano la base dei pi recenti studi
prospettici (Tabella 6).
Limportanza dei fattori prognostici nella
selezione ed individuazione dei trattamenti
del resto evidente anche in studi clinici
retrospettivi, come nella casistica storica di
Varese dalla quale, allinterno degli stadi IIIA, emerge linfluenza decisiva del fattore et
sulla sopravvivenza libera da malattia
(Figura 4).

Volumi della radioterapia


I volumi classicamente trattati nel trattamento radioterapico per la malattia di Hodgkin
sono riportati nella Tabella 7.
La terminologia ha avuto origine nel tempo
in cui la radioterapia rappresentava il trattamento esclusivo.
Oggi, nellera dei trattamenti integrati, ci si
riferisce essenzialmente agli involved fields
sebbene la definizione di questi non sia uni-

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

140

voca. Infatti, non ancora stato


chiarito cosa si debba intendere
per area linfonodale a rischio,
ad esempio dopo remissione
completa ottenuta con chemioterapia primaria.

Razionale
della terapia
combinata (CMT)

Stadio+++
Istotipo
VES
Et

Bulky
N sedi coinvolte )
(> 4 vs < 4
Sintomi B

Tabella 6.
Fattori prognostici
e stratificazione
classi di rischio.

Basso rischio: c.s. I-II senza fattori prognostici sfavorevoli


Intermedio: c.s. I-II-IIIA1 con fattori prognostici sfavorevoli
Alto: IIIA2, IIIB, IV
Riprese di malattia: gruppo eterogeneo

La terapia combinata trae il suo


Involved-field
(IF = intera area linfonodale a rischio)
razionale essenzialmente da
due considerazioni:
Extended-field
(EF = IF+aree contigue a rischio di
1. dopo RT esclusiva le recidive
malattia sub-clinica)
si manifestano prevalentemente al di fuori dei campi
Mantle-field
(= tutte le stazioni linfonodali sopradiadi irradiazione, in aree contiframmatiche)
gue non irradiate, oppure ai
Total nodal
(TN = tutte le areee linfatiche)
margini dei campi;
2. dopo CHT esclusiva le reciSub-Total nodal (STN = TN-linfonodi pelvici ed inguinodive si manifestano prevafemorali)
lentemente sulle aree linfonodali coinvolte allesordio
Inverted-Y
(= linfonodi L-A, pelvici, inguino-femorali)
(23).
Pertanto, ragionevole pensare
che la terapia combinata affidi
alla chemioterapia il controllo
Polmoniti
Occlusioni Intestinali
della malattia sub-clinica e alla
(
dopo laparotomia)
radioterapia il controllo della
malattia macroscopica entro gli
Fibrosi polmonare
Alterazioni gonadiche
involved fields.
Pericardite
Alterazioni sviluppo
Di pari passo allo sviluppo
osseo
e tessuti molli
delle terapie combinate si
(pazienti
pediatrici)
riproposto con insistenza crescente il problema delle dosi di
IMA
Secondi tumori
radioterapia.
S. Lhermitte
A questo proposito, esistono
vari studi retrospettivi e proMielite trasversa
spettici, a partire da quelli
(tecnica RT sub-ottimale)
pediatrici, continuando con
Disfunzione tiroidee
quelli dello SWOG per finire
con quelli recenti ed in parte
ancora in corso del gruppo
tedesco per lo studio del-lHodgkin, sembraAspetti tecnici
no indicare la possibilit di riduzione delle
dosi di RT nei trattamenti integrati.
Lanalisi del ruolo della radioterapia non
Resta invece ancora aperto il problema dei
sarebbe completa se non si considerassero
pazienti con malattia bulky, per i quali
anche gli aspetti tecnici del trattamento dal
sarebbero necessari studi clinici di fase III.
momento che questi hanno un effetto diret-

Tabella 7.
Volumi radioterapici.

Tabella 8.
Complicanze tardive
da radioterapia.
Mendenhall NP, et al.
Current Radiot Oncol
2:241, Arnold,
London 1996.

Scripta

MEDICA

Il ruolo della radioterapia nel linfoma di Hodgkin: luci ed ombre agli albori del XXI secolo

141

to sui risultati e sulla compliance. Ricordiamo come la tecnica dei campi sagomati,
con tutte le problematiche esecutive e fisicodosimetriche che la caratterizzano quali:
campi irregolari, dose off-axis, punto di prescrizione della dose, dose agli organi critici
(OARs), utilizzo di compensatori per la regione cervicale e calcolo della dose ai polmoni,
sia la pi impiegata in ambito radioterapico.
La Letteratura pi recente (24-26) ha
segnalato anche per questa patologia, la
possibilit di un miglioramento significativo dei risultati nel caso in cui si faccia
ricorso ad uno studio 3D del treatment
planning, eventualmente associato a promettenti tecniche di active breathing control che hanno lo scopo di sincronizzare
lirradiazione con gli atti respiratori per
ridurre la dose al tessuto polmonare sano.

hanno un rischio di mortalit per malattie


cardiache sette volte superiore a quello
della popolazione.
Per quanto riguarda linsorgenza di una
seconda neoplasia, possiamo dire che si
tratta essenzialmente di tumori solidi con
incidenza del 10-15%, che si manifestano
soprattutto a carico del polmone e della
mammella ed hanno una chiara correlazione con le dosi ed i volumi della radioterapia. Emolinfopatie, leucemie acute e linfomi non Hodgkin, presentano invece una
pi diretta correlazione con la chemioterapia, soprattutto nel caso di regime MOPP.
In ogni caso, stato riscontrato che dopo
radioterapia il rischio di mortalit per
seconda neoplasia dieci volte superiore
rispetto a quello della popolazione.

Conclusioni
Complicanze tardive
della radioterapia
Le complicanze della radioterapia sono
legate alla dose totale, alla dose per frazione, al volume di tessuto irradiato, alla tolleranza dei tessuti normali allinterno del
volume di trattamento ed allet del
paziente. Nellambito della serie di complicanze che possibile riscontrare (Tabella 8)
le pi gravi, cio quelle che incidono in
modo significativo sul tasso di mortalit
dei pazienti lungo sopravviventi, sono
senza dubbio lalterazione cardiaca ed il
secondo tumore.
Alterazioni cardiache di vario genere insorgono in pazienti che hanno ricevuto radioterapia sul mediastino e si manifestano nel
25-50% dei pazienti lungo sopravviventi. Il
rischio di insorgenza significativamente
aumentato per dosi maggiori di 40 Gy. Si
tratta essenzialmente di pericarditi, per le
quali evidente la relazione con le dosi ed
i volumi di trattamento, e di infarti del
miocardio che hanno invece uneziologia
multifattoriale in cui lirradiazione spesso
gioca un ruolo di fattore scatenante.
Il dato certo, secondo una recentissima
analisi di Lee (27), che dopo radioterapia
esclusiva con intento curativo i pazienti

I risultati indicano che, sebbene non possa


essere considerata come trattamento esclusivo di riferimento, la radioterapia conserva un suo ruolo nel trattamento della
malattia di Hodgkin. necessario tuttavia
modulare la terapia in relazione ai fattori
prognostici ed al rischio di complicanze
tardive. La radioterapia come trattamento
esclusivo trova indicazioni in casi selezionati, come ad esempio gli stadi iniziali
(early stage) con fattori prognostici favorevoli, per i quali sono consigliate dosi 36
Gy sulle sedi desordio (involved fields) e
30 Gy sulle aree linfonodali contigue.
Nellambito della terapia combinata restano tuttora aperti alcuni importanti problemi: le dosi di radioterapia, i volumi di trattamento, la qualit e lintensit della chemioterapia allinterno dei protocolli integrati (28).
In conclusione, come risulta dagli studi pi
recenti, la chemioterapia integrata con la
radioterapia potenzialmente in grado di
migliorare i risultati e di sostituire la radioterapia a titolo esclusivo come trattamento
della malattia subclinica (29).
Sulla base di questi concetti, ecco che la
sfida per i futuri studi clinici prospettici,
specialmente gli stadi iniziali, proprio

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

142

quella di cercare di ridurre le complicanze


del trattamento, senza tuttavia mettere a
rischio le attuali possibilit di cura definitiva della malattia.

Bibliografia

16. Andrieu JM, Yilmaz U, Colonna P, et al. MOPP versus ABVD and low-dose versus high-dose irradiation in
Hodgkins disease at intermediate and advanced stages:
analysis of a meta-analysis by clinicians (multiple letters)
JCO 1999; 17:731
17. Mendenhall NP, Rodrigue LL, Moore-Higgs GJ, et
al. The optimal dose of radiation in Hodgkin disease: an
analysis of clinical and treatment factors affecting in-field
disease control. IJROBP 1999; 44:551

1. Gustavsson A, Osterman B, Cavallin-Sthl E. A


Systematic overview of radiation therapy effects in Hodgkin
lymphoma. Acta Oncologica 2003; 42:589

18. Vijayakuman S, Myrianthopoulos LC. An update


dose-response analysis in Hodgkins disease. Radiother
Oncol 1992; 24:1

2. Hansenclever D, Diehl V. For the International prognostic factors project on advanced Hodgkins disease. N
Engl J Med 1998; 339:1506

19. Duhmke E, Diehl V, Loeffer M et al. Randomized


trial with early stage Hodgkins disease testing 30 Gy vs.
40 Gy extendet field radiotherapy alone. IJORBP 1996;
36:305

3. Franklin J, Paulus U, Lieberz D, et al. For the German


Hodgkin Lymphoma Study Group. Is the international prognostic score for advanced stage Hodgkins disease applicable
to early stage patients? Ann Oncol 2000; 11:617
4. Jox A, Sieber M, Wolf J and Diehl V. Hodgkins disease-new treatment strategies toward the cure of patients.
Cancer Treatment Rev 1999; 25:169
5. Okada J, Oonishi H, Yoshikawa K, et al. FDG PET
for predicting the prognosis of malignant lymphoma. Ann
Nucl Med 1994; 8:187
6. Pusey WA. Cases of sarcoma and of Hodgkins disease
treated by exposures to X-ray: a preliminary report. Jalma
1902; 38:166
7. Senn N. Therapeutical value of Rontgen ray in treatment of pseudoleukemia. New York Med J 1903; 77:665
8. Desjardin AU. Salient factors in the treatment of
Hodgkins disease and lynphosarcoma with roentgen rays.
Am J Roentgenol Rad Ther Nucl Med 1945; 54:707
9. Gilbert R. Radiotherapy in Hodgkins disease (malignant granulomatosis): anatomic and clinical foundations
governing principles: result. Am J Roentgenol 1939;
41:1987
10. Peters MV, Middlemiss KCH. A study of Hodgkins
disease treated by irradiation. Am J Roentgenol. 1958; 79:114
11. Easson EC, Russel MH. The cure of Hodgkins disease. Br Med J 1963; 1:1704
12. Kaplan HS. Evidence for a tumoricidal dose level in
the Radiotherapy of Hodgkins disease. Cancer Res 1966;
26:1221
13. Rosenberg SA, Kaplan HS. Evidence for an orderly
progression in the spread of Hodgkins disease. Carcer Res.
1966; 26:1225

20. Gobbi PG, Pierasca C, Ghirardelli ML, et al. Longterm results from MOPPEBVCAD chemotherapy with
optional limited radiotherapy in advanced Hodgkins
disease. Blood 1998; 8:2704
21. Hoppe RT. Radiation therapy as a component of highdose salvatage strategies in Hodgkins disease. An Oncol
1998; 9(S5):87
22. Brincker H, Bentzen SM. A re-analysis of available
dose-response data in Hodgkins disease. Radiother Oncol
1994; 30:227
23. Elconin JD, Roberts KB, Rizzieri DA, et al.
Radiation dose selection in Hodgkins disease patients with
large mediastinal adenopathy treated with combined
modality therapy. IJROBP 2000; 44:1097
24. Prosnitz LR, Brizel DM, Light KL. Radiation technique for the treatment of Hodgkins disease with combined
modality therapy or radiation alone. IJROBP 1997;
39:885
25. Amies C, Rose A, Metcalf P, Barton M. Multicentre
dosimetri study of mantle treatment in Australia and New
Zealand. Radiother Oncol 2000; 11(S2):171-180
26. Naida JD, Eisbruch A, Schoeppel SL, et al. Analysis
of localization errors in the definition of the mantle field a
besms eye view treatment-planning system. IJROBP 1995;
31:227
27. Lee CKK, Aepply D, Nierengarten ME. The need for
long-term surveillange for patients treated with curative
radiotherapy for Hodgkins disease: University of Minnesota experience. IJROBP 2000; 48:169

14. Hoppe RT. Hodgkins disease: complications of therapy and excess mortality. Ann Oncol 1997; 8(suppl
1):115

28. Ferme C, Sebban C, Hennequin C, et al. Comparison of chemotherapy to radiotherapy as consolidation of


complete or good partial response after six cycles of chemotherapy for patients with advance Hodgkins disease:
results of the Groupe detudes des Lymphomes de lAdunte
H89 trial. Blood 2000; 95:2246

15. Van Leeuwen FE, Klokman WJ, Hagenbeek A, et


al. Second cancer risk following Hodgkins disease: a 20year follow-up study. J Clin Oncol 1994; 12:312

29. Noordijk EM. Radiothrrapy in early stage Hodgkins


disease: principles and results of recent clinical trials. An
Oncol 1998; 9(S5):63

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

145

Dieta mediterranea e micronutrienti


nella prevenzione primaria
del carcinoma prostatico
Lucio Miano

Introduzione
Il carcinoma della prostata (Ca prostatico CaP) il pi diffuso tumore maschile e nei
paesi occidentali costituisce la seconda causa
di morte dopo il ca polmonare.
In Italia rappresenta la quarta causa di morte
dopo il ca polmonare, dello stomaco e del
colon retto (1).
stato calcolato che il rischio attuale per un
maschio USA di contrarre nellarco della vita
un CaP approssimativamente del 19% (2).
Dati simili si riscontrano nel Nord Europa,
mentre nel Sud Europa e quindi anche nel
nostro paese tale rischio sensibilmente
inferiore, anche se in ascesa in questi due
ultimi decenni. Tutto ci documenta in
modo chiaro che il tumore prostatico costituisce oggi uno dei pi importanti problemi
sanitari del mondo occidentale.
Prevenire meglio che curare. Una massima
che fino ad ora aveva trovato scarsa applicazione in oncologia ma che forse diventer
realt in un prossimo futuro, almeno per
quanto riguarda il CaP. Con una coincidenza
a dir poco sorprendente le maggiori riviste
internazionali di urologia, di oncologia e
della nutrizione hanno affrontato in questi
ultimi due anni il difficile tema della chemioprevenzione e pi in generale della prevenzione primaria di questa neoplasia (3-16).
Le caratteristiche biologiche della neoplasia
prostatica sono tali da consentire di afferma-

Clinica Urologica, II Facolt di Medicina e Chirurgia


Universit di Roma La Sapienza, Roma

re che tale tumore rappresenta un target


ideale per una strategia di prevenzione.
Con tale termine si intende la possibilit di
inibire la crescita di un tumore, di invertirne
o rallentarne la progressione.
Alla base di una tale strategia vi ovviamente una conoscenza precisa e dettagliata dei
meccanismi che partendo da una cellula prostatica normale portano alla modificazione
delle sue caratteristiche genetiche e dei meccanismi di controllo della crescita cellulare.
La neoplasia prostatica ha, come noto, uno
sviluppo generalmente piuttosto lento e si
ritiene che occorrano almeno 20-30 anni
perch si sviluppi una neoplasia iniziale ed
altri 10 anni perch questa minima lesione si
sviluppi in un vero e proprio tumore.
La prevenzione primaria quindi indirizzata
ai soggetti sani e deve essere attuata modificando da un lato lo stile di vita e lalimentazione e dallaltro somministrando sostanze
prive di tossicit alcuna in grado di bloccare
o invertire il fenomeno di trasformazione
maligna della cellula normale.

Dati epidemiologici
Gli studi epidemiologici hanno rilevato che
lincidenza del tumore prostatico clinicamente evidente circa 10 volte pi elevata nel
maschio bianco statunitense rispetto al
maschio giapponese di comparabile livello
socio-economico (17, 18). Oltre a questo gli
studi sui fenomeni migratori hanno altres
dimostrato che la bassa incidenza di CaP
aumenta di circa 3 volte nellarco di una gene-

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

146

razione nel maschio giapponese emigrato


negli USA (19) con tendenza progressiva ad
allinearsi alla realt del paese che lo ospita.
In Europa esiste una significativa differenza di
incidenza di CaP; ad esempio in Portogallo si
osservano valori di 11,8/100.000 maschi,
mentre in Svezia i valori sono di 50,2/100.000
maschi (13).
I dati epidemiologici relativi al nostro paese
evidenziano come la prevalenza del CaP per
la fascia di et 60-64 anni si aggira intorno a
3000 casi; tali valori si raddoppiano nelle
due successive fasce di et per assestarsi tra i
10-11.000 casi oltre i 70 anni. Le stime
soprariportate mostrano pertanto come per
lanno 1997 siano attivi in Italia oltre 12.000
nuovi casi di CaP per un totale di circa
44.000 casi (1). Tutto questo a dispetto di
quanto documentato negli studi autoptici
che rivelano una frequenza simile di neoplasia microfocale (la cosiddetta neoplasia
latente) tra i maschi giapponesi, statunitensi ed europei (20).
Dati recenti suggeriscono inoltre che let di
insorgenza delle primitive lesioni cancerose
microfocali si colloca nella quarta decade di
vita. Un approfondito studio sulle vittime di
incidenti traumatici negli USA ha dimostrato
che il 30% degli uomini di et compresa tra
i 30 e 39 anni presenta lesioni neoplastiche
prostatiche mi-crofocali (21).
Queste osservazioni hanno determinato la
convinzione che esista un fattore promotore
di origine ambientale che apre il varco alla
malattia, in pratica convertendo una forma
latente nel CaP conclamato.
Di particolare interesse la velocit che
caratterizza questa trasformazione, con la
forma latente che si avvia nella quarta decade di vita e la forma clinica che si manifesta
nella sesta o nella settima.
evidente che la possibilit di rallentare in
qualche modo questo processo nelle nazioni
ad incidenza elevata della malattia potrebbe
trasformare il carcinoma prostatico in una
malattia di scarso rilievo sociale come lo
appunto in Asia.

Il problema dietetico
Pi volte gli studi epidemiologici hanno evidenziato presso le popolazioni mediterranee
una minore diffusione delle malattie cronicodegenerative, soprattutto cardiovascolari,
che sono quelle maggiormente frequenti in
altri paesi europei ed in genere nel mondo
anglosassone. Daltro canto presso le stesse,
parallelamente allevoluzione economica e
sociale, si osserva un progressivo aumento
della diffusione delle patologie in oggetto.
Ci vale anche per lincidenza delle malattie
neoplastiche ed in particolare per la neoplasia prostatica. Quale importanza rivestono
pertanto i fattori ambientali ed in particolare
nutrizionali nel determinismo di tale fenomeno?
Lipidi ed alimentazione
I lipidi hanno un ruolo importante nel funzionamento dellorganismo umano, tuttavia
un eccesso nel consumo di sostanze grasse
costituisce uno dei principali fattori favorenti linsorgenza di alcuni stati patologici come
laterosclerosi e le malattie ad essa correlate,
lobesit ed alcuni tipi di tumore.
Lo studio epidemiologico di confronto tra
varie popolazioni ha dimostrato una stretta
correlazione tra quantit di grassi nella dieta
e il rischio di tumore prostatico (22).
Altri studi hanno evidenziato una correlazione tra dieta ad elevato contenuto lipidico e
rischio di malattia avanzata nei pazienti con
CaP (23, 24).
Uno studio condotto dalla Societ Americana
contro il cancro ha rivelato che lobesit
aumenta sensibilmente il rischio di CaP (25).
Altre valutazioni analitiche hanno evidenziato che la mortalit per CaP correlata con
laumento di introduzione di grassi animali
nella dieta (26).
In uno studio prospettico Giovannucci et al.
hanno dimostrato che gli stadi avanzati di
neoplasia prostatica erano correlati con unelevata introduzione di grassi animali (carne
rossa), in particolare con lacido alfa-linolei-

Scripta

MEDICA

Dieta mediterranea e micronutrienti nella prevenzione del carcinoma prostatico

147

co presente nella carne rossa (23). Risultati


simili sono stati segnalati anche da Godley et
al. (27). Gli acidi grassi contenuti nel pesce e
nei frutti di mare svolgerebbero invece un
ruolo protettivo, secondo uno studio condotto in Inghilterra (28).
Inoltre negli studi autoptici condotti sugli
Esquimesi si documentata una bassa incidenza di aterosclerosi ed assenza di tumori
prostatici, nonostante una dieta ad elevato
contenuto di acidi
grassi insaturi omega-3 (14).
Accanto a questi dati
epidemiologici,
i
risultati di studi sulluomo indicano chiaramente che i lipidi
dellalimentazione e
gli acidi grassi influenzano lincidenza
e la progressione del
CaP con effetto inibitorio degli acidi grassi
n-3 a lunga catena ed
un effetto stimolatore
degli acidi grassi n-6
(29).
Undici su 14 studi
caso-controllo e 4 su 5
studi di coorte hanno
confermato questa associazione (5).
Gli acidi grassi entro membrane biologiche
sono il substrato per lossidazione lipidica. I
perossidi lipidici ed i loro prodotti possono
causare danni agli enzimi di membrana e ad
altre macromolecole, compreso il DNA.
Oltre a ci Wang et al. (30) hanno dimostrato che una dieta ad alto contenuto lipidico
(40% delle calorie totali) potenzia la crescita
di linee cellulari di CaP umano trapiantato
nel ratto maschio. Dato che il CaP clinico
deriva dalla progressione della malattia
microscopica, questi rilievi indicano che la
riduzione dei grassi alimentari pu essere
utile nella prevenzione della malattia.

Obesit, ormoni
e rischio di carcinoma prostatico
La dieta pu stimolare linsorgenza di un
tumore prostatico in parte modificando i
livelli di alcuni ormoni. Com noto gli
androgeni sono necessari per la normale crescita e funzione della ghiandola prostatica ed
il tumore prostatico in fase iniziale ormono-dipendente.
altres noto che il carcinoma prostatico
pu essere indotto
nei ratti con una prolungata somministrazione di testosterone.
Poich lalimentazione pu influenzare la
concentrazione degli
ormoni sessuali circolanti, la dieta e gli
androgeni possono
alterare la biologia
del CaP attraverso
meccanismi comuni.
I livelli urinari di
androgeni ed estrogeni si riducono sensibilmente in uno studio effettuato con un
gruppo di maschi
bianchi e neri, nei
quali il contenuto in
grassi della dieta
veniva ridotto dal
40% al 30% delle calorie totali (31).
Una dieta marcatamente ipolipidica e ad alto
contenuto di fibre pu ridurre i livelli ormonali sessuali in uno studio condotto su un
gruppo di maschi normali (32). Pertanto le
variazioni degli ormoni sessuali possono
mediare in parte gli effetti della dieta sulla
crescita del CaP.
Come noto la vita sedentaria pu condurre ad un aumento del tessuto adiposo ed a
una modificazione dei livelli ormonali. Tali
situazioni aumentano il rischio di CaP.
Poich la prostata pu convertire il testosterone in diidrotestosterone (DHT), alcuni

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

148

studi hanno ipotizzato che laumentata conversione di testosterone in DHT pu essere


responsabile dellincremento del DHT circolante nelluomo anziano. Pertanto gli effetti
di una dieta ad alto contenuto lipidico sul
CaP sono parzialmente spiegati dalle modificazioni ormonali conseguenti alla dieta.
Il ruolo delle fibre
Le fibre alimentari stimolano leliminazione
degli ormoni e dei grassi del nostro organismo. La riduzione del livello degli ormoni
sessuali (testosterone ed estradiolo)
pu avere un drammatico
impatto sulla progressione
del carcinoma prostatico.
Il testosterone plasmatico e lestradiolo sono
presenti in concentrazioni sensibilmente
inferiori in un gruppo
di maschi di mezza et
sottoposti a dieta ad elevato contenuto di fibre
provenienti da cereali,
frumento, frutta e verdura in confronto ad
un gruppo di maschi
sottoposto alla tipica
dieta americana (33).
Spesso i regimi alimentari attuali hanno un
contenuto medio-basso di
fibre (circa 10 g/die), mentre
le raccomandazioni ufficiali indicano la necessit di introdurre almeno 2530 g/die di fibre. Uno dei modi pi semplici
per aumentare il contenuto in fibre nella
dieta quello di introdurre cereali ad alto
contenuto in fibre nella prima colazione del
mattino insieme a latte scremato e a frutta.
Tutti questi dati indicano in modo inequivocabile la possibile interferenza di un eccesso
nel consumo di lipidi nella patogenesi delle
pi comuni malattie del secolo. Oltre la
quantit, determinante la qualit dei grassi

introdotti: gli acidi grassi saturi sono considerati a rischio, mentre quelli insaturi svolgono azione protettiva.
In Europa il consumo giornaliero varia da 50
a 75 g come grassi a s (prodotti merceologici) ai quali va aggiunta la quota dei cosiddetti grassi invisibili, cio quelli presenti
negli alimenti; in tal modo lassunzione giornaliera aumenta fino a 70-100 g di sostanze
grasse, valori questi che sono notevolmente
superiori a quelli considerati ottimali. La
maggior parte dei nutrizionisti ritiene ottimale lintroduzione di una quota
di grassi pari a circa il 25%
del fabbisogno calorico
giornaliero. In Italia
negli ultimi decenni si
avuto un forte
incremento del consumo di grassi che
passato dal 23% del
1958 al 33% circa
delle calorie totali nel
1990 (dati Istituto Nazionale Nutrizione).
Il tipo di sostanze
grasse impiegate varia da paese a paese,
secondo le abitudini e
le possibilit locali dei
prodotti nazionali e di
quelli dimportazione: la
Francia consuma in prevalenza burro, lOlanda e la
Germania margarina, mentre in
Italia prevale, soprattutto nel Centro-Sud, il
consumo di oli vegetali, soprattutto olio di
oliva (contenente anche grassi monoinsaturi).

La dieta mediterranea
La caratteristica comune alle diete delle popolazioni mediterranee e di altre popolazioni che
impiegano in prevalenza acidi grassi insaturi
il basso contenuto di acidi grassi saturi nellalimentazione; ultimamente si avuto un ritor-

Scripta

MEDICA

Dieta mediterranea e micronutrienti nella prevenzione del carcinoma prostatico

149

no verso la ben nota dieta


mediterranea che si basa
essenzialmente sullintroduzione di carboidrati (soprattutto pasta), proteine di origine animale e vegetale e
lipidi (derivanti dal pesce
ricco di acidi grassi polinsaturi) combinati in maniera
opportuna e varia; viene inoltre messo in primo piano il
consumo di verdura e frutta fresca, entrambe ricche di sostanze
antiossidanti.
La dieta mediterranea si innesta
nelle strutture storiche, etniche e
socioculturali delle popolazioni che abitano i
paesi mediterranei, dallItalia alla Spagna,
dalla Grecia alla Francia. Lo schema fondamentale si basa su cereali, legumi, ortaggi,
grassi vegetali, latticini, frutta, pesce e carne
in quantit limitata, pi pesce che carne.
In Italia, nel primo secolo dellUnit, i consumi alimentari e lapporto calorico, nonch
le fonti energetiche sono rimasti immutati o
quasi. La tradizionale dieta mediterranea,
scarsa di carne, meno sobria di latticini e
pesce, abbondante di cereali (pane, pasta e
polenta), di legumi (fagioli, ceci, fave e lenticchie), di ortaggi e di frutta ha nutrito per
decenni contadini, pescatori,
pastori, artigiani, piccoli borghesi. I ceti pi benestanti hanno
mantenuto una dieta che si
poteva distinguere da quella
della maggioranza della
popolazione solamente per la
qualit e la quantit, con
qualche eccentricit contenuta per nei limiti della
stessa dieta mediterranea.
Sul finire degli anni Cinquanta, mutate le condizioni economiche e sociali di
gran parte della popolazione,
avviene una netta inversione di
tendenza.

Levoluzione del nuovo corso ha


visto i consumi alimentari passare
dalle 2300 kilocalorie (Kcal) giornaliere del biennio 1951-53 ad oltre
3000 Kcal degli anni settanta ed
ottanta, con una percentuale di
lipidi che ha raggiunto negli
anni 90 valori intorno al 33%
delle calorie totali (con picchi
del 38% negli anni 80), rispetto al 21-23% degli anni cinquanta (dati Istituto Nazionale
Nutrizione).
Gli Italiani perci seguono oggi una
dieta piuttosto sbilanciata, che discorda
da quella equilibrata che sta alla base della
dieta mediterranea.
Oltre alle migliorate condizioni economiche
anche la globalizzazione dei mercati ha
portato da un lato alla diffusione di alimenti
un tempo ritenuti pregiati ma anche alla tendenza a mangiare pi del necessario, spesso
in maniera uniforme e monotona.
Linternazionalizzazione sta comportando un
appiattimento del gusto e lindirizzo verso
appagamenti organolettici facili ed immediati; da qui la nascita dei fast-food e di snack
che soddisfano tali esigenze con un elevato
contenuto di grassi soprattutto saturi.
Alimenti base della dieta mediterranea
Frumento Cereale fondamentale
della dieta mediterranea, originario del Kurdistan, grano tenero
(Triticum sativum), e dellAfrica,
grano duro (Triticum durum). Col
grano tenero si fabbrica il pane
che fu diffuso dai Romani sotto
forma di pane integrale lievitato, tecnica scoperta dagli Egizi.
Il pane bianco era privilegio di
classi elevate e solo molti secoli dopo la Rivoluzione francese
lo rivendicher per tutti. Col
grano duro si fabbrica la pasta alimentare che fu inventata in Cina, ma
divenne un prodotto tipico italiano

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

150

grazie agli spaghetti.


Olivo Lolivo originario dellAsia minore.
Oggi si trova soprattutto in Italia, Spagna e
Grecia. Dallolivo si ricava lolio, ottimo grasso vegetale, altamente calorico, ricco di acidi
grassi essenziali insaturi (soprattutto
monoinsaturi).
Vite La vite (vitis vinifera) proviene dal Mar
Nero ed coltivata in molte variet nellarea
del Mediterraneo. In Italia la coltura fu iniziata dagli Etruschi ed ebbe notevole impulso con i Romani. Il vino, ottenuto per fermentazione delluva, un prodotto molto
calorico per la netta prevalenza di alcool.
Miele Il miele si ottiene dalla trasformazione del nettare dei fiori (saccarosio in
glucosio e levulosio) nellingluvie dellApis mellifera.
Oltre a fornire molta
energia, di facile
assimilazione,
essendo, per cos
dire, predigerito.
Ai
tempi
dei
Romani era tenuto
in grande considerazione. Giove era stato
nutrito con miele dapi. Se
ne cibavano consoli ed imperatori, soldati e gladiatori. Con il passare
dei secoli lo zucchero (saccarosio) ha sostituito il miele senza averne i vantaggi.
Legumi Costituiscono un alimento ricco di
sostanze plastiche (proteine e minerali come
calcio, fosforo e ferro), di nutrienti energetici (glucidi) e scarso di grassi (lipidi). Per gli
Egizi, i Greci e i Romani furono il piatto di
base delle classi popolari. I ceci (Cicer arietum), introdotti nella dieta mediterranea
dallOriente e dallEtiopia, hanno un valore
energetico maggiore di altri legumi, ma un
contenuto proteico minore. Le fave (Faba
vicia) sono indigene delle zone mediterranee
ed, assieme ai ceci, erano il cibo delle mense
militari in Grecia ed in Roma grazie al loro
valore nutrizionale.
Le lenticchie (Ervum lens) furono il piatto

classico delle classi povere in Grecia ed in


Roma. I fagioli (Phaseolus vulgaris) che oggi
entrano nella dieta mediterranea, sono originari dellAmerica del Sud; sono molto
nutrienti ed energetici ed occupano un posto
di rilievo in molte ricette. I piselli (Pisum sativum) costituiscono un alimento equilibrato;
oggi pi richiesti che in passato, sono rimineralizzanti e vitaminici.
Ortaggi, frutta e piante aromatizzanti Sono
questi alimenti di ampio consumo nella dieta
mediterranea. Molte specie erano gi presenti al tempo della Roma Imperiale, altre furono conosciute e coltivate in seguito allespansione barbarica del Nord ed islamica del
Sud. Nuovi alimenti entrarono nella
dieta mediterranea con lintensificarsi della navigazione e dei
commerci orientali e la scoperta dellAmerica.
Con le invasioni barbariche, nella cosiddetta dieta mediterranea
entrarono
nuovi
alimenti
come il grasso di
maiale, il burro
(molto diffuso nelle
regioni del Nord
Italia), i formaggi, la
birra, mentre il riso, il
grano saraceno, la canna da zucchero giunsero da noi dopo lVIII secolo con
lespansione araba.
Il riso (Oryza sativa) entrato nella dieta
mediterranea diventando popolare in molti
paesi del bacino mediterraneo e quindi
anche in Italia. Come noto, nella Cina
meridionale, nel Sud Est asiatico ed in India
costituisce il piatto di base per lelevato valore nutritivo ed energetico, specie se viene
consumato integrale.
Del mais (Zea mais) si utilizza nella dieta
mediterranea soprattutto la farina cucinata
come polenta, il piatto forte delle famiglie
contadine e della gente povera specie nel
Nord-Italia (Veneto). Il mais viene consuma-

Scripta

MEDICA

Dieta mediterranea e micronutrienti nella prevenzione del carcinoma prostatico

151

to anche in fiocchi (corn flakes), abbrustolito e rigonfiato (pop-corn) oppure scoppiato


(poppened pop corn). La patata (Solanum tuberosum) entrata nella dieta mediterranea
attraverso la Spagna e lItalia ed stata poi
accolta con grande favore nellalimentazione
del Nord Europa, dove di uso abitudinario.
Il valore calorico della patata molto basso,
meno di un quarto di quello della pasta alimentare. Vale la pena di utilizzarla in cucina
per ridimensionare il peso; con essa si certi
di non ingrassare, perch si soddisfa subito
lappetito senza appesantire lo stomaco.
Il pomodoro (Solanum lycopersicum) diventato molto popolare sia crudo che cotto. Come
tutti gli ortaggi a frutto (peperoni,
cetrioli, zucche o zucchine) ha un valore calorico trascurabile ed
quindi molto adatto
a riequilibrare il
peso corporeo. Il
suo elevato contenuto in licopene,
vitamina A e C caratterizza il suo elevato potere
antiossidante e quindi antitumorale, in particolare per il
CaP.
Labitudine generalizzata di mangiare carne,
anche tutti i giorni, interessa i Paesi industrializzati avanzati, come lItalia, dove il
fenomeno ha preso piede tra gli anni
Sessanta e Settanta fino ad oggi. Si tratta di
unabitudine dannosa per lorganismo perch luso delle proteine animali deve essere
contenuto nei limiti della dieta bilanciata se
si vogliono evitare danni nutrizionali.
Nella dieta mediterranea pu entrare
comunque qualsiasi tipo di carne di vitello o
di manzo anche se preferibile che sia magra
oppure bianca come quella degli animali
da cortile (coniglio, pollo, tacchino). Il maiale e gli insaccati dovrebbero essere lasciati da
parte, nonostante la loro appetibilit, per
limitarsi allassunzione del prosciutto crudo,
sempre magro.

Il pesce, come la carne, ha rappresentato fin


dallantichit il punto di passaggio fra il cibo
dei poveri e quello dei ricchi.
Oggi alla portata di tutte le tasche, anche
grazie allindustria dei surgelati che ne ha
aumentato lofferta. Esso costituisce una
fonte importante di proteine anche se contenute in percentuale minore che nella carne,
elevato il contenuto in aminoacidi essenziali. Vi sono pesci a bassissimo contenuto di
grassi (merluzzo, rombo, sogliola, tinca,
palombo, razza, luccio, acciuga, baccal,
stoccafisso, cernia, etc.) ed altri a contenuto
medio ed alto. I lipidi dei pesci contengono
in buona percentuale acidi grassi insaturi,
molto utili nella prevenzione delle
malattie cronico-degenerative e
dei tumori.
Linternazionalizzazione
(o globalizzazione)
dellalimentazione
trova
influenza
anche nella dieta
mediterranea che,
come abbiamo
detto, oggi pi
ricca di grassi
rispetto al passato. Da
quanto sin qui riferito vi
sono motivi pi che validi per modificare
le nostre attuali abitudini alimentari, riducendo innanzitutto ed in modo significativo
la quota lipidica ed in particolare quella contenente acidi grassi saturi favorenti lo sviluppo di radicali liberi e quindi i processi di
ossidazione.
Molti medici ed esperti di nutrizione ritengono che non debba essere superata la soglia
del 20-25% di quota lipidica rispetto alle
calorie totali. Altri ancora pi prudenti consigliano di non superare il 15-20%. In molti
casi questo livello consente un consumo
quotidiano di grassi pur sempre pari a 50-60
grammi.
Da queste considerazioni possiamo ricavare
alcuni suggerimenti di utilizzo pratico che
possono essere compendiati in una sorta di

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

152

sunzione di alimenti
decalogo al quale tutti
Tabella 1.
ricchi di grassi, non
dovrebbero ispirarsi
sono di per s suffi(Tabella 1).
Dare la preferenza agli alimenti di oricienti a proteggere lorLa dieta mediterranea
gine vegetale, soprattutto ortaggi,
ganismo dallazione
senza dubbio un ottilegumi e frutta fresca;
nociva dei radicali libemo esempio di alimen Ridurre il consumo di tutti gli alimenti
di
origine
animale;
ri e dai processi ossitazione parca, povera
Moderare il consumo di carni bovine e
danti ad essi collegati.
di grassi, molto palatasuine a favore di carni alternative,
bile ed allo stesso
come pesce, pollo e tacchino;
tempo adeguata per
Preferire alimenti magri come latte
lapporto di sostanze
Micronutrienti
magro, yogurt magro, formaggi magri,
nutritive.
prosciutto magro;
Uno dei presupposti
Si tratta di un gruppo
Non abbondare nei condimenti;
essenziali per soddisfadi sostanze nutritive in
Utilizzare lolio di oliva extravergine
re questo requisito la
come unico (o quasi) condimento;
grado di interferire farvariet degli alimenti
macologicamente con i
Non consumare pi di 3-4 uova per
settimana;
che rientrano nel regimeccanismi che regola Solo occasionalmente consumare
me alimentare. La
no la crescita cellulare,
dolci,
salumi,
formaggi
grassi;
carne, per esempio,
riducendo fondamen Limitare il consumo di vino e bevande
deve essere limitata ma
talmente il cosiddetto
alcooliche;
mai eliminata complestress ossidativo o
Preferire ogni giorno unalimentazione
tamente perch fonte
addirittura esercitando
parca che, pur con le occasionali ecdi importanti nutrienti,
unefficace azione anticezioni, favorisce il mantenimento del
peso ideale.
la carne di manzo
proliferativa. Per quanmagra ed accuratamento riguarda la ghiandote privata del grasso
la prostatica essenzialvisibile deve essere
mente possono essere
consumata almeno una
cos elencate: Vitamina
volta alla settimana
E, Selenio, Vitamina
essendo unimportante
D3, licopene, polifenofonte di ferro.
li, zinco.
Diete pi restrittive e
magari strettamente vegetariane possono
Stress ossidativo e cancro prostatico
avere pi successo in casi di marcata ipercoI problemi relativi al danno ossidativo biolesterolemia.
molecolare costituiscono oggi uno dei prinVa infine ricordato che pu essere molto utile
cipali temi di ricerca oncologica. Le alterasupplire alla carenza di antiossidanti (quindi
zioni ossidative del DNA conducono a mutaprotettivi dallo stress ossidativo) attraverso
zioni ed alterata funzione genica che costilapporto supplementare di micronutrienti ad
tuiscono i presupposti della carcinogenesi.
azione antiossidante, quali il selenio, le vitaIl danno ossidativo pu anche alterare la
mine D ed E, i polifenoli e gli isoflavonoidi
struttura della proteina P53 che, come
ottenuti dal th verde e dagli estratti di soia,
noto, associata con la progressione di
il licopene e lo zinco (Uractive - SPA,
diversi cancri umani, compreso il CaP (34).
Societ Prodotti Antibiotici).
Una serie di osservazioni epidemiologiche e
Tali micronutrienti naturali sono presenti
di laboratorio indicano in modo inequivocanella dieta mediterranea, ma, a causa di unabile che il danno ossidativo riveste un ruolo
limentazione ormai sbilanciata verso lasimportante nella carcinogenesi prostatica (v.

Scripta

MEDICA

Dieta mediterranea e micronutrienti nella prevenzione del carcinoma prostatico

153

lipidi ed alimentazione). Le propriet bioossidative degli androgeni, cos come gli effetti
benefici delle sostanze antiossidanti supportano ulteriormente questa ipotesi.
Gli androgeni inoltre possono avere, come
noto, un ruolo importante nella carcinogenesi prostatica. I soggetti con una funzione
androgena inibita da tempo (per esempio
eunuchi o con deficienza di 5-alfa-reduttasi)
non sviluppano CaP. Un regime alimentare
ad elevato consumo di grassi pu essere
associato con livelli cronicamente elevati di
androgeni, prospettando una plausibile
ragione biologica allassociazione tra lipidi e
CaP. Daltro canto gli androgeni esercitano la
loro influenza attraverso lo stress ossidativo.
Ripple et al. (35) hanno dimostrato che livelli fisiologici di androgeni incrementano lo
stress ossidativo nelle colture cellulari
umane di CaP.
Lo stress ossidativo pu essere misurato con
una serie di metodiche. Recentemente stata
determinata lentit dello stress ossidativo
dellepitelio prostatico benigno sia in soggetti con e senza CaP (36). In questo studio il
tasso dei grassi tiolici ridotti risultato in
molti casi nettamente pi basso, dato suggestivo per un aumentato stress ossidativo.
Ulteriore evidenza del ruolo dello stress ossidativo viene segnalato da Lee et al. (37) che
hanno osservato che linattivazione di un
enzima pro-ossidante come la glutatione-S
transferasi costituisce un punto critico nella
carcinogenesi prostatica.
Vitamina E (alfa-tocoferolo)
uno dei pi potenti antiossidanti ed stato
gi ampiamente dimostrata la sua propriet
antitumorale sia per un effetto protettivo
contro la carcinogenesi sia per un effetto inibitorio della progressione neoplastica (38).
Lesatto meccanismo con il quale la Vitamina
E svolge il suo ruolo benefico tuttavia
ancora largamente sconosciuto.
I tocoferoli funzionano principalmente come
antiossidanti di membrana e sono presenti
nei semi delle piante, dove proteggono il

materiale genetico rimanendo legati ai complessi delle nucleoproteine.


Durante numerose reazioni cellulari si possono infatti produrre concentrazioni letali di
biossido di azoto, una molecola in grado di
reagire con i lipidi insaturi di membrana
inducendo gravi lesioni alle membrane stesse. I tocoferoli sono in grado di sequestrare il
biossido di azoto dando origine ad un suo
derivato (toferilchinone) proteggendo cos le
membrane dallossidazione.
La Vitamina E esercita anche unazione antiproliferativa sulle cellule in coltura non collegata alla sua attivit antiossidante, ma
mediata dallinibizione diretta dellenzima
proteinchinasi C, uno dei principali sistemi
di trasduzione che viene attivato da vari elementi che promuovono la crescita cellulare,
come ormoni e fattori di crescita.
stato dimostrato che la Vitamina E in
grado di inibire la proliferazione delle cellule di carcinoma prostatico umano LNCaP in
maniera dose-dipendente ed in un range di
concentrazione facilmente riscontrabile nel
plasma umano (39).
interessante notare che la Vitamina E induce lapoptosi solo nelle cellule tumorali,
mentre non esplica tale effetto sulle cellule
normali.
Lo studio osservazionale pi ampio di popolazione sulleffetto della Vitamina E lAlphatocopherol, Beta-Carotene (ATBC) Cancer
Prevention Study eseguito in Finlandia tra il
1985 e 1993. Dopo un follow-up di 6 anni, si
osservato un numero inferiore di tumori
della prostata (32% in meno) nei soggetti in
trattamento con alfa-tocofenolo (50 mg/die)
rispetto ai controlli ed una riduzione del 41%
della mortalit per la stessa neoplasia (40).
Tali dati tuttavia non sono stati ulteriormente confermati in altri studi epidemiologici
condotti negli ultimi dieci anni (41, 42). Ci
ha spinto il National Cancer Institute (NCI)
statunitense ad avviare un ampio studio su
due specifici agenti antiossidanti, la Vitamina
E e il selenio (v. selenio) i cui risultati saranno disponibili nel 2006 (43).

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

154

Selenio
Il selenio un microelemento essenziale per
la specie umana ma i meccanismi di azione
non sono completamente conosciuti.
Lorganismo umano non in grado di assorbire il selenio allo stato metallico, ma lo assimila sotto forma di selenio-metionina o selenio-cisteina che sono sintetizzate dalle piante, come per esempio laglio, ricco di seleniometionina.
stata dimostrata lattivit antiossidante del
selenio con conseguente neutralizzazione di
perossinitriti, la protezione verso lazione dei
radicali liberi ed un effetto antiossidante generalizzato, dal momento che incorporato nella glutatione-perossidasi, enzima
chiave per il mantenimento del
sistema di ossido-riduzione
cellulare.
Nelle colture cellulari il selenio
in grado altres di ridurre
lazione di vari composti
mutageni e di interferire
con il metabolismo di altri,
ma stato postulato anche
un suo effetto sullapoptosi e
sullinibizione della sintesi
proteica (azione antiproliferativa).
Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato un rapporto inverso tra lapporto di
selenio (o le sue concentrazioni plasmatiche)
e diversi tumori umani, compreso il carcinoma prostatico (44).
Il pi vasto di questi trial stato uno studio
caso-controllo che ha valutato le concentrazioni di selenio a livello ungueale ed il rischio di
carcinoma prostatico, come parte della Health
Professionals Follow-up Study; nei casi di maggiore concentrazione di selenio, il rischio di
carcinoma della prostata in stadio avanzato era
ridotto a un terzo (45). Clark et al. hanno condotto uno studio su 974 pazienti trattati con
selenio e placebo per un periodo medio di 10
anni osservando, come risultato, una significativa riduzione dellincidenza di CaP nei
pazienti in trattamento con selenio (46).

Altri dati positivi riportano lefficacia della


selenio metionina in uno studio controllato
vs placebo su 1312 pazienti affetti da tumore della pelle (escluso il melanoma). I risultati hanno evidenziato, quali end point
secondari, anche una riduzione di incidenza
del CaP pari a 3-4 volte senza reazioni avverse determinate dal selenio. Nonostante lobiettivo principale di questa indagine non
fosse il CaP, il dato merita gli opportuni
approfondimenti (47).
Tali evidenze hanno spinto il National Cancer
Institute (NCI) ad avviare uno studio su
due specifici agenti antiossidanti, la Vitamina E ed il selenio. Lo studio denominato
SELECT (Selenium and
Vitamin E Chemopreventive
Trial) prevede larruolamento di 32.400 pazienti
con lo scopo di verificare
quanto il selenio e la vitamina E, da soli od in associazione, siano in grado di
ridurre lincidenza sia del
carcinoma prostatico che
di altri tumori come quello
del polmone e del colon. Il
trial verr concluso nel 2006
(43).
Vitamina D3
La Vitamina D3 nella sua forma attiva, il calcitriolo, in grado di inibire la proliferazione neoplastica delle cellule prostatiche. I
meccanismi utilizzati per indurre questo
effetto sono numerosi e spaziano dallarresto
del ciclo cellulare, allinibizione del potenziale metastatico, allazione antagonista sullangiogenesi per culminare nella morte cellulare per apoptosi (48-53).
La Vitamina D viene fornita fisiologicamente
allorganismo con la dieta oppure a seguito
dellirradiazione ultravioletta, a partire da un
precursore contenuto nella pelle. Essa soggetta ad idrossilazioni sequenziali da parte
del citocromo P 450 a formare la 25-idrossi-

Scripta

MEDICA

Dieta mediterranea e micronutrienti nella prevenzione del carcinoma prostatico

155

vitamina D nel fegato, la 1-25 diidrossivitamina D e la 24-25 diidrossivitamina D nel


rene. Il metabolita 1-25 di idrossivitamina D,
pur essendo presente in circolo in quantit
di gran lunga inferiore agli altri due, lunico ad esplicare spiccata attivit ormonale.
La Vitamina D agisce attraverso una via non
genomica che prevede il suo legame con
recettori di membrana ed una via genomica
che prevede il suo legame con recettori specifici nucleari.
La prostata rappresenta un ottimo bersaglio
per il calcitriolo. Lo dimostra la presenza di
recettori specifici (VDR-Vitamin D Receptors)
nelle cellule epiteliali prostatiche e la capacit da parte della Vitamina D3 di regolare lespressione di parecchi
geni sia nelle linee cellulari
prostatiche tumorali sia
nelle linee cellulari epiteliali e stromali derivate da
biopsie di prostata normale o da prelievi effettuati in ghiandole affette
da carcinoma. In effetti,
nonostante la sua attribuzione al gruppo delle
Vitamine, la Vitamina D3 si
pu considerare alla pari di un vero
ormone steroideo. La sua sintesi avviene grazie allesposizione della cute ai raggi ultravioletti, mentre la conversione in forme biologicamente attive avviene attraverso un processo di idrossilazione a livello del tessuto
epatico e renale.
Storicamente il rapporto tra deficit di
Vitamina D3 e sviluppo di carcinoma della
prostata emersa per la prima volta dai risultati di uno studio che mirava a valutare negli
USA leventuale associazione tra scarsa esposizione ai raggi ultravioletti ed incidenza dei
decessi per questo tumore. Un rapporto che
venne prima dimostrato e poi ulteriormente
rafforzato dai risultati di uno studio epidemiologico che dimostr laumento del
rischio di CaP nei pazienti con un elevato
apporto di calcio alimentare e conseguente

inibizione fisiologica dellazione della


Vitamina D3 (54, 55).
stato poi, grazie ai successivi approfondimenti di laboratorio, che si potuta dimostrare anche lesistenza dei recettori specifici
per la Vitamina D3 a livello delle cellule epiteliali prostatiche. Sono i recettori che, una
volta stimolati, sono in grado, tra laltro, di
inibire la crescita cellulare fino ad indurre
lapoptosi, cio la morte cellulare programmata.
A conferma dellattivit antiproliferativa
espletata dalla Vitamina D3 recentemente
Zhao et al. hanno dimostrato che la Vitamina
D3 in grado di inibire, in modo significativo e dose-dipendente, la crescita sia di linee cellulari di
LNCaP sia di linee cellulari
metastatiche derivanti da
CaP avanzato (56).
Licopene
Il licopene, un pigmento
naturale appartenente
alla classe dei carotenoidi, caratterizzato
da propriet antiossidanti analoghe a quelle del
beta-carotene, ma molto pi
potente e quindi molto pi efficace nel prevenire i danni dei radicali liberi dellossigeno.
Il licopene ampiamente diffuso in natura,
dove si trova nei pomodori (anche pomodori cotti, salsa di pomodoro, concentrato di
pomodoro) nella frutta (soprattutto pompelmo, anguria e papaia), in alcune verdure e
rappresenta circa il 50% di tutti i carotenoidi contenuti nel plasma umano (57-59).
Il licopene rappresenta il 60-65% del totale
dei carotenoidi contenuti nei pomodori ed
in altre verdure. Per effetto degli acidi biliari
e della lipasi pancreatica il licopene viene
dissolto in goccioline finissime e viene assorbito dalla mucosa duodenale, passa nei chilomicroni che lo veicolano nel sangue, ove
circola principalmente legato alle lipoproteine a bassissima densit.

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

156

Il danno ossidativo pu svolgere unimportante azione di trasformazione e di promozione


tumorale agendo attraverso una perossidazione della membrana cellulare e del DNA. Il
licopene in grado pertanto di inibire il
danno ossidativo e di proteggere in questo
modo lepitelio prostatico impedendo la sua
possibile trasformazione tumorale.
Le forme ossidate di alcune macromolecole
possono trasformarsi o dar luogo a macromolecole potenzialmente cancerogene. Un
esempio tipico rappresentato dal cancro
del colon, della mammella, del pancreas ed
in particolare della prostata che possono
essere favoriti dalle amine eterocicliche, carcinogeni che originano dalla cottura della
carne o del pesce.
Il licopene pu svolgere pertanto un ruolo
centrale nella prevenzione della formazione
di queste molecole, intervenendo attivamente sul controllo delle ossidazioni (36).
Limitandosi al carcinoma prostatico, studi
sperimentali hanno evidenziato la sua efficacia su colture di cellule DU-145 e PC3
(androgeno insensibili) a concentrazione
pari a 50 micromoli/litro. Sono livelli che
non si possono raggiungere attraverso la sola
alimentazione, dal momento che la concentrazione plasmatica fisiologica del licopene
pari a 0,7 micromoli/litro (15).
Pastori et al. hanno dimostrato che il licopene
in grado di agire in modo sinergico con la
Vitamina E, esercitando cos un effetto antimitotico gi a concentrazioni fisiologiche (60).
Esistono ampie conferme in vasti trial di
popolazione che dimostrano lesistenza di
una correlazione tra ridotte concentrazioni
plasmatiche di licopene ed aumento del
rischio di sviluppare un carcinoma prostatico (61).
Nel vasto studio di Mills et al. (62) emerso
che il consumo elevato di pomodori si accompagna a riduzione del rischio di CaP. In uno
studio caso-controllo condotto da Hsing et al.
(63) si avuta una riduzione del 50% dellincidenza della malattia tra gli uomini con livelli sierici di licopene pi elevati.

Unaltra valutazione di tipo caso-controllo


(64) ha dimostrato che chi consuma pi di
dieci piatti a base di pomodoro alla settimana presenta un rischio significativamente
ridotto (meno del 35%) di sviluppare un carcinoma prostatico aggressivo e avanzato.
Studi recenti (65) hanno dimostrato che la
supplementazione di licopene (15 mg x 2
volte /die per 3 settimane) in pazienti gi in
attesa di prostatectomia radicale, riduce sensibilmente la percentuale di margini positivi,
riduce il PSA sierico e lincidenza di multifocalit neoplastica con PIN. Questi incoraggianti risultati preliminari richiedono una
conferma su vasta scala, ma fanno ritenere
che la supplementazione con licopene sia
efficace nel rallentare la progressione del carcinoma prostatico.
Polifenoli
Numerosi studi hanno dimostrato che il t
verde (differente dal t nero in quanto non
viene sottoposto a fermentazione) particolarmente ricco di polifenoli, in particolare di
epigallo-catechina-3-gallato (EGCG), una
sostanza dotata di una spiccata attivit antimutagena e anticancerogena. altres noto
che questa bevanda consumata in grandi
quantit dalle popolazioni dellestremo
oriente, notoriamente risparmiate dal Ca P.
Il t (Camellia sinensis) fu scoperto e coltivato nel Sud Est Asiatico migliaia di anni fa:
secondo la tradizione cinese limperatore
Shen Nung scopr il t nel 2737 a.C. e, da
allora, la popolarit di tale bevanda andata
sempre aumentando in tutto il mondo al
punto che attualmente la bevanda pi utilizzata dopo lacqua.
Nel t sono disciolte parecchie sostanze, fra
le quali spiccano per caratteristiche farmacologiche i polifenoli (GTPs - Green Tea Polifenols) ed in particolare la epigallo-catechina3-gallato (EGCG) che si ritiene responsabile
dellattivit antitumorale del t.
Una tazza di t verde pu contenere fino a
400 mg di polifenoli, circa la met dei quali
costituita da EGCG.

Scripta

MEDICA

Dieta mediterranea e micronutrienti nella prevenzione del carcinoma prostatico

157

I polifenoli sono in grado di bloccare la sintesi della ornitina-decarbossilasi (DOC) - un


marker della trasformazione tumorale iniziale, e di indurre la sintesi di vari sistemi enzimatici (AT, GR, GST) capaci di neutralizzare
lacqua ossigenata (66, 67). Secondo Gupta et
al. (68) i polifenoli inibiscono lazione della
DOC (in maniera dose-dipendente) indotta
dal testosterone nelle cellule prostatiche
tumorali delluomo, nei ratti WU e nei topi
C:5786/5 in vivo.
Leffetto antitumorale preventivo
della EGCG
stato identificato
da Paschka et al.
(1998) nellinduzione dellapoptosi cellulare documentata in varie linee cellulari
tumorali umane,
comprese le cellule DU 145 derivate da cellule del
CaP androgenoindipendenti.
Altri meccanismi
antitumorali del
EGCG sono stati
identificati nellinibizione della
tirosina-chinasi
che da una parte
interagisce col fattore di crescita dellepidermide (EGF) e dellaltra riduce la fosforilazione di proteine stimolanti la proliferazione cellulare (69).
La somministrazione di t verde nellanimale
da esperimento induce un significativo
aumento dellattivit antiossidante di vari
enzimi coinvolti nella detossificazione dellorganismo, come la glutatione-reduttasi, la
glutatione-perossidasi, la glutatione-S-transferasi e la chinone reduttasi presenti nel
polmone, reni ed intestino. Le concentrazioni plasmatiche di EGCG dopo lingestione di

un estratto acquoso di 1,5 g di t verde in


500 ml di acqua raggiungono i 326 mg/ml
ed aumentano di 3 volte dopo lingestione di
3 g, ma non aumentano ulteriormente con
quantit maggiori (15).
Isoflavonoidi e fitoestrogeni
Linteresse per questi composti nella prevenzione del carcinoma prostatico deriva da
studi epidemiologici che evidenziano una
mi-nore incidenza della malattia ed un
minor tasso di mortalit in paesi come il Giappone, in
cui vi un elevato
consumo di alimenti che ne sono
ricchi, come il t
verde e la soia
(70-75).
Il t verde, oltre a
contenere polifenoli e catechina di
cui si parlato,
contiene anche
isoflavonoidi, una
sottoclasse di flavonoidi costituita
principalmente da
genisteina, daidzeina e relativi
coniugati.
La soia una leguminosa originaria
della Cina e dal
Giappone, presente come derivati (tofu,
miso e latte di soia) nella dieta orientale in
quantit 50 volte maggiori che nella dieta
occidentale; essa ricca di proteine e di genisteina con scarsa quantit di amido e di ureasi. Ad esempio a Taiwan il consumo medio
di proteine di soia di circa 35 g/die pro
capite. La genisteina, la daidzeina e loro
coniugati sono presenti in concentrazione
fino a 3 mg per grammo con conseguente
introduzione di questi isoflavonoidi fino a
100 mg/die. In altri paesi asiatici si stima che

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

158

lintroduzione di isoflavonoidi si aggiri intorno a 50 mg/die. Sembra dimostrato che i


livelli ematici ed urinari di isoflavonoidi
siano correlati con una pi bassa incidenza
di tumori ormonodipendenti.
Essa non fu conosciuta in Europa fino al
XVIII secolo e fu importata in America nella
met del XIX secolo. Gli Stati Uniti ne sono
attualmente i maggiori produttori.
Il pregio principale della soia il suo elevato
valore proteico, tanto che la qualit delle sue
proteine di poco inferiore a quella della
carne. La soia ha inoltre un alto contenuto di
grassi vegetali (mono e polinsaturi), nonch
un elevato contenuto vitaminico.
La soia pi conosciuta e diffusa la soia gialla. Essa pu essere consumata intera oppure
tramite i suoi numerosi derivati. Eccone
alcuni:
Latte di soia: assomiglia molto nellaspetto al
latte vaccino, ma se ne discosta notevolmente per quanto riguarda il gusto ed i principi
nutritivi (elevata concentrazione di acidi
grassi insaturi ed assenza di colesterolo).
Tofu: formaggio ricavato dalla soia gialla,
estremamente digeribile, ricco di proteine,
povero di grassi e privo di colesterolo.
Miso: prodotto ottenuto dalla fermentazione
di fagioli di soia, sale e, a volte, un cereale.
altamente proteico e ricco di fermenti lattici.
Tamari: prodotto fermentato ricavato da soia
gialla, frumento integrale biologico e sale
marino integrale. Viene utilizzato come salsa
per condire e cucinare.
Olio di soia: adatto solo per condire, viene
utilizzato nella preparazione di olii di semi
vari per il suo basso costo. Ha un elevato
contenuto di acino linoleico.
Gli isoflavonoidi ed i flavonoidi sono presenti, oltre che nella soia anche in altri legumi
(fagioli, piselli, ceci, lenticchie), nella frutta,
negli ortaggi (zucca, carote, cavoli, spinaci,
lattuga, asparagi), nel t e nel vino sotto
forma di coniugati glicosidici.
Tali composti, infatti, sono introdotti con la
dieta come composti glicosidici e quindi

idrosolubili. Essi richiedono una serie di passaggi metabolici prima di essere assorbiti:
una deconiugazione da parte di enzimi della
flora batterica oppure da enzimi presenti a
livello dellorletto delle cellule intestinali e,
quindi, una re-coniugazione ad acido glucuronico (glucuronato) o acido solforico (solfato) nellambito dellorletto delle cellule intestinali che ne permettono lentrata nel sangue o nel fluido linfatico. Il metabolismo di
questi composti e conseguentemente la loro
azione sembra poi essere influenzata da altri
normali componenti della dieta, dalla funzione intestinale e da variazioni individuali.
Fitoestrogeni - I fitoestrogeni, conosciuti
anche come estrogeni vegetali, sono molecole non-steroidee (isoflavonoidi, lignani,
cumestani, stilbeni, ecc.) presenti in vari tipi
di piante.
Le due classi principali sono gli isoflavonoidi e i lignani. La genisteina, la daidzeina, lequolo e la quercitina sono i principali isoflavonoidi, presenti nelle leguminose, mentre
lenterolattone e lenterodiolo, che appartengono alla classe dei lignani, sono principalmente presenti nei cereali, riso, grano saraceno, nei semi di lino e di sesamo.
I fitoestrogeni sono stati anche alternativamente classificati come xenoestrogeni, ormoni ambientali, endocrine disrupting chemicals.
Recentemente, gran parte della ricerca si
focalizzata sugli isoflavonoidi, quali la genisteina e la daidzeina.
Queste molecole non condividono la stessa
struttura chimica degli estrogeni, ma posseggono delle caratteristiche chimiche che ricordano questi ormoni steroidei: 1) un anello
aromatico A con un gruppo idrossilico 2) un
secondo gruppo idrossilico sullo stesso
piano dellanello A.
Queste somiglianze permettono a tali composti di legarsi ai due diversi tipi di recettore
estrogenico alfa e beta e di conseguenza ad
avere unattivit biologica simile agli estrogeni. Tuttavia per la diversa affinit di legame
con le isoforme del recettore estrogenico e
per la diversa attivit biologica, questi com-

Scripta

MEDICA

Dieta mediterranea e micronutrienti nella prevenzione del carcinoma prostatico

159

posti possono agire sia come puri agonisti,


che come parziali agonisti o antagonisti. Per
queste loro molteplici e complesse capacit,
negli ultimi anni i fitoestrogeni sono anche
stati definiti modulatori selettivi del recettore estrogenico (SERM) naturali.
Le loro propriet biologiche si esplicano
attraverso i seguenti possibili meccanismi:
Modificazione selettiva dei recettori per gli
estrogeni (SERM). La presenza di elevate
concentrazioni di recettore estrogenico alfa
nello stroma prostatico suggerisce anche
per gli estrogeni un ruolo fisiologico nella
crescita ghiandolare: se lestradiolo promuove liperplasia stromale attraverso la
produzione del fattore di crescita fibroblastica (FGF) e se stimola direttamente il
recettore androgenico (AR), allora si pu
prospettare che lestrogeno sia essenziale
da un lato per la proliferazione epiteliale e
dallaltro per il blocco della apoptosi indotta dallandrogeno. La genisteina presenta
un debole effetto estrogenico (1000 volte
inferiore a quello dellestradiolo), che condiziona un aumento della globulina plasmatica che lega e trasporta gli ormoni sessuali (SHBG) e la conseguente riduzione
degli estrogeni ed androgeni liberi circolanti e nello stesso tempo presenta un effetto anti-estrogenico, che pu contrastare lo
stimolo androgeno sulla proliferazione epiteliale prostatica. Va ricordato che la genisteina presenta unalta affinit per il recettore estrogenico beta e pu pertanto rivestire un ruolo molecolare specifico nel frenare linsorgenza di lesioni pre-neoplasti-

Tabella 2.
Ipotetici
meccanismi
di azione
dei fitoestrogeni
nelle cellule
prostatiche.

che o lo sviluppo di cancro precoce (15).


stato dimostrato che la genisteina inibisce in vivo la tumorogenesi mammaria (Messina, 1994), presenta un effetto bifasico
sulla poliferazione delle cellule mammarie
in vitro (Wong e Call, 1996), inibisce la formazione e lo sviluppo del cancro prostatico, presenta una debole azione estrogena
in menopausa, contrasta il rimaneggiamento osseo, influisce favorevolmente
sulle lipoproteine e sulla coagulazione
ematica (76).
Inibizione della 5-alfa-reduttasi. Di conseguenza i fito-estrogeni bloccano la sintesi
del DHT (diidrotestosterone), impedendo
con questo meccanismo la crescita cellulare nelliperplasia prostatica benigna e forse
la formazione/progressione del cancro prostatico (77).
Inibizione della aromatasi e della 17-betaidrossisteroido-deidrogenasi. Linibizione
di questi due enzimi pu rendere ragione
del benefico effetto degli isoflavonoidi e
dei lignani nella IPB e nel CaP, attraverso
linterferenza sul metabolismo degli androgeni e degli estrogeni a livello ghiandolare.
Inibizione della tirosinachinasi specifica
(TK). Com noto questo enzima ha un
ruolo fondamentale nellindurre, attraverso
i fattori di crescita androgeno-dipendenti
ed androgeno-indipendenti, il segnale di
trasduzione che attiva i proto-oncogeni
collegati con la crescita cellulare.
Inibizione dellangiogenesi. La dieta ricca
di isoflavonoidi inibisce langiogenesi
tumorale nel ratto in vivo, dove i vasi san-

Aumento della SHBG e conseguente riduzione del testosterone libero;


Riduzione della sintesi del DNA attraverso una riduzione della tirosina-chinasi
e delle topoisomerasi;
Riduzione delleffetto dei radicali liberi attraverso le propriet antiossidanti;
Inibizione della neoangiogenesi;
Inibizione del metabolismo del testosterone intraprostatico attraverso
linibizione della 5 - alfa - reduttasi e dellaromatasi

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

160

guigni vengono ridotti fino al 61%. La inibizione dellangiogenesi e della proliferazione endoteliale promossa dalla genisteina avviene probabilmente attraverso il
blocco della TK (78).
Attivit antiossidante. Isoflavonoidi, flavonoidi e lignani ed in particolare la quercitina sono dotati di alto potere antiossidante,
nettamente superiori a quella dellalfatocoferolo e della Vitamina C (79).
Influenza sulle topo-isomerasi del DNA.
Enzima che modifica la conformazione elicoidale del DNA. Si ottiene un arresto del
ciclo cellulare nella fase G2-M ed una
induzione dellapoptosi (80) (Tabella 2).
Zinco
Questo minerale si trova in elevate concentrazioni nel tessuto prostatico normale, ma si
riduce in modo significativo quando le cellule prostatiche diventano tumorali (81).
Lo zinco un componente essenziale di tutte
le cellule ed interviene in numerosissime
attivit come quella dei metallo-enzimi, per
la produzione di nucleoproteine ed acidi
nucleici e per linterazione di fattori di trascrizione. Lo zinco intracellulare in forma
legata alle proteine per oltre il 95%.
Il sistema di accumulo attivo dello zinco
nelle cellule prostatiche normali controllato da un gene specifico che, a sua volta,
regolato dalla prolattina e dal testosterone e
riduce il suo funzionamento quando le cellule prostatiche vanno incontro a mutagenesi (82, 83).
stato dimostrato in vitro che lo zinco pu
inibire la crescita delle cellule tumorali prostatiche attraverso linduzione di apoptosi e
larresto del ciclo cellulare (84); ci lascia
supporre che la carenza di zinco possa svolgere un ruolo importante nella patogenesi
del tumore prostatico.
Linibizione della crescita stata esaminata da
Liang et al. (1999) in uno studio condotto su
linee cellulari di carcinoma prostatico
umano LNCaP e PC-3 che sono state incubate o meno con lo zinco, con il risultato nel

primo di una marcata inibizione della crescita di entrambe le linee cellulari tumorali e
tale effetto era correlato allaccumulo di
zinco nelle cellule (LNCaP-53%, PC-3 33%). Tali risultati suggeriscono che lo zinco
inibisce la crescita delle cellule di CaP probabilmente attraverso linduzione dellarresto del ciclo cellulare e dellapoptosi (84).
Studi osservazionali di popolazione, condotti sui pazienti con tumore della prostata,
hanno dimostrato un effetto protettivo dello
zinco rispetto al rischio di carcinoma prostatico, che risulta ridotto proporzionalmente
alla quantit di zinco che viene assunto settimanalmente.

Indicazioni
Data lelevata incidenza del CaP vi sono fondati motivi per ritenere che la messa a punto
di una terapia nutrizionale debba coinvolgere tutti i maschi dopo il 4 decennio di vita.
Vi sono tuttavia categorie a rischio pi elevato nelle quali lutilizzo di una dieta appropriata e la somministrazione di micronutrienti sembra particolarmente consigliata.
Esse sono:
a) Soggetti con anamnesi familiare positiva
per CaP (padre o fratelli). In questi casi il
rischio di contrarre la malattia superiore
di almeno 3-4 volte.
b) Soggetti obesi e/o con ipercolesterolemia.
c) Soggetti giovani con PSA superiore a 2,5
ng/ml in assenza di processi di flogosi prostatica acuta o cronica in atto.
d) Soggetti portatori di IPB con PSA superiore a 4 ng/ml e biopsia prostatica negativa.
e) Presenza di PIN di basso o elevato grado
alla biopsia prostatica.
f) Pazienti gi sottoposti a prostatectomia
radicale od a radioterapia per malattia
localizzata allo scopo di ridurre il rischio
di eventuale progressione di malattia negli
anni.

Scripta

MEDICA

Dieta mediterranea e micronutrienti nella prevenzione del carcinoma prostatico

161

Conclusioni
La Societ del benessere, frutto della rivoluzione industriale, ha condotto a colossali
progressi tecnologici in ogni settore, ma il
suo modo di alimentarsi si fatto sempre pi
artificioso ed innaturale, in netto contrasto
con i sani principi biologici che da milioni di
anni governano gli organismi viventi.
Oggi vi la necessit da parte del medico di
suggerire indicazioni realistiche per una alimentazione coerente con le acquisizioni
scientifiche in merito a nutrizione e salute.
Lesigenza del pubblico in questo senso
sempre maggiore ed il medico non a torto
considerato la fonte pi autorevole per qualsiasi messaggio di tipo salutistico.
Nessuna scienza medica in grado, quanto
la nutrizione, di fornire oggi importanti contributi. Dieta non significa necessariamente
regime alimentare riduttivo, ma giusta combinazione qualitativa e quantitativa degli alimenti in base alle esigenze nutrizionali individuali. Date queste premesse evidente che
non esiste una dieta tipo valida per tutti, ma
possibile individuare comportamenti e criteri generali su cui impostare una sana e corretta alimentazione.
Infine, data la conoscenza abbastanza
approfondita dei complessi meccanismi biologici che sottendono a quella cascata di
eventi situati tra un determinato insulto e la
manifestazione patologica, il ruolo cosiddetto modulatorio di alcuni micronutrienti fa
s che la carenza od un eccesso ed anche solo
uno squilibrio tra essi sia sufficiente a favorire la progressione di un certo evento verso
una chiara situazione patologica. Ci vale in
particolare per il tumore della prostata che,
come noto, ha un tempo di latenza molto
lungo che consente allorganismo molte possibilit di neutralizzare o distruggere le iniziali alterazioni del metabolismo cellulare.
Il ruolo della maggior parte di questi micronutrienti oramai ampiamente confermato
da molte ricerche sperimentali ed epidemiologiche, sul ruolo di altri si discute e vi sono

ipotesi in attesa di conferma ma comunque


supportate da un solido razionale.
Nonostante i limiti delle nostre attuali conoscenze un dato comunque certo: un apporto completo di nutrienti in un giusto equilibrio essenziale per una protezione efficiente che si ottiene solo intervenendo in pi
punti del cammino.
Compito futuro della scienza sar quello di
precisarne ulteriormente il giusto equilibrio,
nonch di individuare i micronutrienti maggiormente responsabili di queste interferenze.
Il recupero della via mediterranea per star
bene, mangiando bene, trova il suo fondamento nei risultati di almeno due decenni di
studi nutrizionali ed epidemiologici. E ci
paradossalmente avviene nel momento in
cui esse tendono ad essere abbandonate, perch considerate, alla luce del consumismo
importato dalle societ pi avanzate delloccidente industrializzato, espressione di vita
povera.

Bibliografia
1. Bono AV, Rocca Rossetti S, Vercelli M, Berrino F,
Verdecchia A. Ricerca epidemiologica italiana sul carcinoma prostatico (REICAP). Segrate: Depha Team, 1997
2. Parker SL, Tong T, Bolden S, Wingo PA. Cancer statistics, 1996. C.A. Cancer J Clin 1996; 46:5
3. Kellof GJ, Lieberman R, Steele VE, Boone CW, Lubet
RA, Kopelovitch L, Malone WA, Crowell JA, Sigman
CC. Chemoprevention of prostate cancer: Concepts and
strategies. Eur Urol 1999; 35:342
4. Kellof FJ, Crowell JA, Steel VE, Luber RA, Boone
CW, Malone WA, Hawk ET, Liebermann R, Lawrence
JA, Kopelovich L, Ali I, Viner JL, Sigman C. Progress in
cancer chemoprevention. Ann NY Acad Sci 1999; 889:1
5. Fair WR, Fleshner NE, Heston W. Fleshner NE,
Heston W. Cancer of the prostate: A nutritional disease?
Urology 1997; 50:840
6. Blumenfeld AJ, Fleshner N, Casselman B,
Trachtenberg J. Nutritional aspects of prostate cancer: A
review. Can J Urol 2000; 7:927
7. Schrder FH, Kranse R, Dijk MA, Blom JM, Tijburg
LM, Weststrate JA, Dagnelie PC. Tertiary prevention of
prostatic cancer by dietary intervention: Results of a randomized, double-blind, placebo-controlled cross-over study.
Eur Urol 2000; 37:24

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

162

8. Hanash KA, Al-Othaimeen A, Kattan S, Lindstedt E,


Al-Zahrani H, Merdad T, Peracha A, Kardar AH, Aslam
M, Al-Akkad A. Prostatic carcinoma: A nutritional disease? Conflicting data from the Kingdom of Saudi Arabia. J
Urol 2000; 164:1570
9. Grant WB. An ecologic study of dietary links to prostate cancer. Altern Med Rev 1999; 4:162
10. Thompson IM, Coltman CA Jr, Crowley J.
Chemoprevention of prostate cancer: The prostate Cancer
Prevention Trial. Prostate 1997; 33:217
11. Nabhan C, Bergan R. Chemoprevention in prostate
cancer. Cancer Treat Res 2001; 106:103
12. Yip I, Heber D, Aronson W. Nutrition and prostate
cancer. Urol Clin North Am 1999: 26:403
13. Schmitz-Drager BJ, Eichholzer M, Beiche B, Ebert
T. Nutrition and prostate cancer. Urol Int 2001; 67:1
14. Kamat AM, Lamm DL. Chemoprevention of Urological cancer. J. Urol 1999; 161:1748
15. Sala G, Bono AV. Dieta e cancro della prostata.
Varese: Josca Ediz., 2001
16. Schulman CC, Kelloff GJ. Strategies for the chemoprevention of prostate cancer. Eur Urol 1999; 35:340
17. Muir CS, Nectoux J, Staszewski J. The epidemiology
of prostatic cancer: Geographical distribution and timetrends. Acta Oncol 1991; 30:133
18. Haenszel W, Kurihara M. Mortality from cancer and
other diseases among Japanese in the United States J. Natl
Cancer Inst 1968; 40:43
19. Shimizu H, Ross, RK, Benstein L, Yatani R,
Henderson BE, Mack TM. Cancers of the prostate and
breast among Japanese and white immigrants in Los
Angeles County. Br J Cancer 1991; 63:936
20. Wynder EL, Mabuchi K, Whitmore WF Jr. Epidemiology of cancer of the prostate. Cancer 1971; 28:344
21. Sakr WA, Haas G., Cassin BJ, et al. The frequency of
carcinoma and intraepithelial neoplasia of the prostate in
young male patients. J Urol 1993; 150:379
22. Rose DP, Boyer AP, Wynder EL. International comparison of mortality rates for cancer of the breast, ovary,
prostate, and colon per capita food consumption. Cancer
1986; 58:2363
23. West DW, Slattery ML, Robinson LM, French RK,
Mahoney AW. Adult dietary intake and prostate cancer
risk in Utah: a case-control study with special emphasis on
aggressive tumors. Cancer causes Control 1991; 2:85
24. Giovannucci EJ, Rimm, EB, Colditz GA, Stampfer,
MJ. Asherio, A, Chute CC, Willett WC. A prospective
study of dietary fat and risk of prostate cancer. J Natl
Cancer Inst 1993; 85:1571
25. Lew EA, Garfinkel L. Variations in mortality by weight among 750,000 men and women. J Chron Dis 1979;
32:563

26. Rose DP, Connolly JM. Dietary fat, fatty acids and
prostate cancer. Lipids 1992; 27:798
27. Godley PA, Campbell MK, Gallagher P, Martinson
FE, Mohler, JL, Sandler RS. Biomarkers of essential fatty
acid consumption and risk of prostatic carcinoma. Cancer
Epidemiol Biomark Prev 1996; 5:889
28. Ewings P, Bowie C. A case-control study of cancer of
the prostate in Somerset and Cast Devon. Br J Cancer
1996; 74:661
29. Rose DP. Dietary fatty acids and prevention of hormoneresponsive cancer. Proc Soc Exp Biol Med 1997; 216:224
30. Wang Y, Heston W, Corr J, et al. Decreased growth
of established human prostate LNCaP tumors in nude mice
fed a low-fat diet. J Natl Cancer Inst 1995; 87:1427
31. Hill P, Winder EL, Garbaczewski L, et al. Diet and
urinary steroids in black and white North American men
and black South African men. Cancer Res 1987; 47:2982
32. Dorgan JF, Judd JT, Longrope C, Brown C, Scatzkin
A, et al. Effects of dietary fat and fiber onplasma and urine
estrogens in men A controlled feeding: study. Am J Clin
Nutr 1996; 64:850
33. Howie BJ, Shultz TD. Dietary and hormonal interrelationships among vegetarian Seventh-Day Adventist and
non vegetarian men. Am J Clin Nutr 1985; 42:127
34. Fleshner NE, Kucuk O. Antioxidant dietary supplements: rationale and current status ad chemopreventative
agents for prostate cancer. Urology (Suppl) 2001; 57:90
35. Ripple MO, Henry WF, Rago RP, et al. Prooxidantantioxidant shift induced by androgen treatment of human
prostate carcinoma lines. J Natl Cancer Inst 1997; 89:40
36. Rao AV, Fleshner N, Agarwal S. Serum and tissue
lycopene and biomarkers of oxidation in prostate cancer
patients. A case-control study. Nutr Cancer 1999; 33:159
37. Lee WiH, Isaacs WB, Bova GS, et al. CG island
methylation changes near the GSTP1 gene in prostatic carcinoma cells detected using the polymerase chain reaction,
a new prostate cancer biomarker. Cancer Epidemiol
Biomarkers Prev 1997; 44:3
38. Das S. Vitamin E in the genesis and prevention of cancer. Acta Oncol 1994; 33:615
39. Fleshner N, Fair W, Huryk R, Heston WDW. Vitamin E inhibits the high-fat diet-promoted growth of established human LnCaP tumors in nude mice. J Urol 1990;
161:1651
40. The Alpha-Tocopherol, Beta
Prevention Study Group: the effect
beta-carotene on the incidence of
other cancers in male smokers. N
330:1029

Carotene Cancer
of vitamin E and
lung cancer and
Engl J Med 1994;

41. Nomura AM, Stemmermann GN, Lee J, Craft NE.


Serum micronutrients and prostate cancer in Japanese
Americans in Hawaii. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev
1997; 6:487

Scripta

MEDICA

Dieta mediterranea e micronutrienti nella prevenzione del carcinoma prostatico

163

42. Helzlsouer KJ, Huang HY, Alberg AJ, Hoffman S,


Burke A, Norkus EP, et al. Association between alphatocopherol, gamma-tocopherol, selenium and subsequent
prostate cancer. J Natl Cancer Inst 2000; 92:2018

56. Zaho XY, Peehl DM, Navone NM, Feldman D. 1,


25-Dihydroxyvitamin D3 inhibits prostate cancer cell
growth by androgen-dependent and androgen-indipendent
mechanisms. Endocrinology 2000; 141:2548

43. Klein EA, Thompson IM, Lippman SM, Goodman


PJ, Albanes D, Taylor PR, et al. SELECT: the next prostate cancer prevention trial. J Urol 2001; 166:1311

57. Shi J, Le Maguer M. Lycopene in tomatoes: chemical


and physical properties affected by food processing. Crit
Rev Food Sci Nutr 2000; 40:1

44. Combs GF Jr, Clark LC, Turnbull BW. Reduction of


cancer risk with an oral supplement of selenium. Biomed
Environ Sci 1997; 10:227

58. Giovannucci E. Tomatoes, tomato-based products,


lycopene, and cancer: Review of the epidemiologic literature. J Natl Cancer Inst 1999; 91:317

45. Yoshizawa K, Willet WC, Morris SJ, Stampfer KJ,


Spiegelman D, Rimm EB, Giovannucci E. Study of prediagnostic selenium level in toenails and the risk of advanced prostate cancer. J Natl Cancer Inst 1998; 90:1219

59. Agarwal S, Rao AV. Tomato lycopene and its role in


human health and chronic diseases. Can Med Assoc J 2000;
163:739

46. Clark LC, Dalkin B, Krongrad A, Combs FG Jr,


Turnbull BW, Slate EH, Witherington R, Herlong JH,
Janosko E, Carpenter D, Borosso C, Falk S, Rounder J.
Decreased incidence of prostate cancer with selenium supplementation: Results of a double-blind cancer prevention
trial. Br J Urol 1998; 81:730
47. Clark LC, Combs GF, Turnbull BW, Slater EH,
Chalker DK, Chow J, Davis LS, Glover RA, Graham,
FG, Gross EG, Krongrad A, Lesher JL Jr, Park HK,
Sanders BB Jr., Smith CL, Taylor JR. Effects of selenium
supplementation for cancer prevention in patients with carcinoma of the skin. A randomised controlled trial. JAMA
1997; 276:1957
48. Schwartz GG, Hill CC, Oeler TA, Becich MJ,
Bahnson RR. 1,25 Dihydroxy- 16-ene 23-yne-vitamin
D3 and prostate cancer cell proliferation in vivo. Urology
1995; 46:365

60. Pastori M. Lycopene in association with alphatocopherol inhibits physiological concentrations proliferations prostate carcinoma cells. Chem Biophys Res Comun
1998; 250:582
61. Gann PH, Ma J, Giovannucci E, Willet W, Sacks
FM, Hennekens CH, Stamper MJ. Lower prostate cancer
risk in men with elevated plasma lycopene levels: Results of
a prospective analysis. Cancer Res 1999; 59:1225
62. Mills PK, Beeson WL, Phillips RL, Fraser GE.
Cohort study of diet, lifestyle, and prostate cancer in
Adventist men. Cancer 1989; 64:598
63. Hsing. AW. Diet, tobacco use, and fatal prostate cancer: results from the Lutheran Brotherhood cohort study.
Cancer Res 1990; 50:6831
64. Giovannucci E, Ascherio A, Rimm E, et al. Intake of
carotenoids and retinol. in relationship to risk of prostate
cancer. J Natl Cancer Inst 1995; 87:1767

49. Peehl DM, Skowronski RJ, Leung GK, Wong ST,


Stamey TA, Feldman D. Antiproliferative effects of 1,25dihydroxyvitamin D3 on primary cultures of human prostatic cells. Cancer Res 1994; 54:805

65. Kucuk O, Sarkar FH, Sakr W, Djuric Z, Pollak MN,


Hhachik F, et al. Phase II randomised clinical trial of lycopene supplementation before radical prostatectomy. Cancer
Epidemiol Biomarkers Prev 2001; 10:861

50. Schwartz GG, Wang MH, Zang M, Singh RK, Siegal


GP. 1-Alpha, 25-Dihydroxyvitamin D (calcitriol) inhibits
the invasiveness of human prostate cancer cells. Cancer
Epidemiol Biomark Prev 1997; 6:727

66. Conney AH., Wand ZY, Huang MT, Lou YR, Yang
CS. Inhibitory effects of green and black tea on carcinogenesis. Proc Am Assn Cancer Res 1995; 36:704

51. Skowronski RJ, Peehl DM, Feldman D. Vitamin D


and prostate cancer: 1,25-dihydrovitamin D3 receptors
and actions in human prostate cancer cell lines.
Endocrinology 1993; 132:1952
52. Schwartz GG, Hulka BS. Is vitamin D deficiency a
risk factor for prostate cancer? (hypothesis) Anticancer Res
1990; 10:1307
53. Sung V, Feldman D. 1,25-Dihydroxyvitamin D3
decreases human prostate cancer cell adhesion and migration. Mol Cell Endocrinol 2000; 164:133
54. Cross C, Stamey T, Hancock S, Feldman D.
Treatment of early recurrent prostate cancer with 1,25dihydroxyvitamin D3. J Urol 1998; 159:2035
55. Konety BR, Johnson CS, Trump DL, Getzenburg
RH. Vitamin D in the prevention and treatment of prostate cancer. Semin Urol Oncol 1999; 17:77

67. Carlin BI, Pretlow TG, Pretlow TP, Resnick MI.


Green tea polyphenols inhibit growth of prostate cancer
xenograft CWR22: implications for prostate cancer chemoprevention. Proc Am Assn Cancer Res 1996; 37:A1915
68. Gupta S, Ahmad N, Mohan RR, Husain MM,
Mukhtar H. Prostate cancer chemoprevention by green
tea: in vitro and in vivo inhibition of testosterone-mediated induction of ornithine decarboxylase Cancer Res 1999;
59:2115
69. Paschka AG, Butler R, Young CY. Induction of apoptosis in pro-state cancer cell lines by the green tea component, epigallo-catechin-3-gallate. Cancer Lett (Ireland)
1998; 130:1
70. Messina MJ, Persky V, Setchell KD, Barnes S. Soy
intake and cancer risk: a review of the in vitro and in vivo
data. Nutr Cancer 1994; 21:113
71. Jacobsen BK, Knutsen SF, Fraser GE. Does high soy

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

164

milk intake reduce prostate cancer incidence? The


Adventist Health Study. Cancer Causes Control 1998;
9:553
72. Aronson WJ, Tymchuk CN, Elashoff RM, Mc Bride
WH, McLean C, Wang H, Heber D. Decreased growth of
human prostate LNCaP tumors in SCID mice fed a low-fat,
soy protein diet with isoflavones. Nutr Cancer 1999;
35:130
73. Kolonel LN, Hankin JH, Whittemore AS, Wu AH,
Gallagher RP, Wikens LR, John EM, Howe GR, Dreon
DM, West DW, Paffenbarger RS Jr. Vegetables, fruits,
legumes and prostate cancer: A multiethnic case-control
study. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2000; 9:795
74. Adlercreutz H, Markkanen H, Watanabe S. Plasma
concentrations of phyto-oestrogens in Japanese men. Lancet
1993; 342:1209
75. Strom SS, Yamamura Y, Duphorne CM, Spitz MR,
Babaian RJ, Pillow PC, Hursting SD. Phytoestrogen
intake and prostate cancer: A case-control study using a
new database. Nutr Cancer 1999; 33:20
76. Brandi ML. Aggiornamento Medico 1999; 23:173.
Citato da Sala G, Bono AV
77. Evans BAJ, Griffiths K, Morton M. Inhibition of 5alfa-reductase and 17-beta-hydrossysteroid dehydrogenase
in genital skin fibroblasts by dietary lignans and isoflavonoids. J Endrocinol 1995; 147:295

78. Fotsis T, Pepper M, Aldercruetz H, Fleischmann G,


Hases T, Montesano R, Schweigerer L. Genistein a dietary-derived inhibitor of in vitro angiogenesis. Proc Natl
Acad Sci 1993; 90:2690
79. Griffiths K, Denis L, Turkes A, Morton MS. Possible
relationship between dietary factors and pathogenesis of
prostate cancer. Int J Urol 1998; 5:195
80. Geller J, Sionit L, Partido C, Li L, Tan X, Youngkin
T, Nachtsheim D, Hoffman RM. Genistein inhibits the
growth of human-patient BPH and prostate cancer in histoculture. Prostate 1998; 34:75
81. Zaichick VY, Sviridova TV, Zaichick SV. Zinc concentration in human prostatic fluid: normal, chronic prostatitis, adenoma and cancer. Int Urol Nephrol (Hungary)
1996; 28:687
82. Wong YC, Wang YZ, Lee JS, Tam NN, Lee D.
Changes in serum and tissue zinc levels in sex hormoneinduced prostatic carcinogenesis in the noble rat. Tumour
Biol 2000; 21:328
83. Costello LC, Liu Y, Zou J, Franklin RB. Evidence for
a zinc uptake transporter in human prostate cancer cells
which is regulated by prolactin and testosterone. J Biol
Chem 1999; 274:17499
84. Liang JY, Liu YY, Zou J, Franklin RB, Costello LC,
Feng P. Inhibitory effect of zinc on human prostatic carcinoma cell growth. Prostate 1999; 40:200

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

166

Problematiche auxologiche e puberali


nella -talassemia omozigote
Giuseppe Raiola, Maria Concetta Galati,1 Vincenzo De Sanctis,2 Vincenzo Arcuri 3

responsabile dellandamento clinico del talassemico (4), pu essere limitato da unadeguaGli attuali protocolli trasfusionali migliorano
ta ferrochelazione (4, 5).
laspettativa di vita dei pazienti affetti da Il regime terapeutico standard con desfetalassemia major (1), ma esitano in un prorioxamina (DFX) 30-50 mg/kg/die per via
gressivo accumulo di ferro (2), che viene
sottocutanea continua, per 8-12 ore, per 5-6
aggravato dallaumentato assorbimento
notti/settimana in grado di rimuovere il
gastrointestinale a causa della eritropoiesi
ferro dal fegato (6), prevenendo una fibrosi
inefficace. Il ferepatica reattiva
ro si deposita
(7), di miglioradapprima nelle
re il ritmo di crecellule del sistescita e favorire il
ma reticolo-enraggiungimento
doteliale fino a
di un normale
S.R.E.
saturarne le casviluppo pubepacit fisiologirale (8). Nei sogche (10-15 g),
getti intolleranti
poi, a transferrialla DFX, pu
Transferrina
na completamenessere utilizzato
te satura, si accuun chelante per
mula nei parenvia orale, il defechimi determiriprone.
nando un imporCuore
Fegato
tante danno ossidativo (3) soBassa
prattutto a carico
statura
del cuore, del feGhiandole
gato e delle ghianLa bassa statura
endocrine
dole endocrine
nei pazienti talas(Figura 1).
semici trova una
Il deposito di ferorigine multifatFigura 1
ro (emosiderosi),
toriale (Tabella
principale causa
1); in passato le

Introduzione

Fe

U.O. di Pediatria Ambulatorio di Auxoendocrinologia.


A.O. Pugliese-Ciaccio, Catanzaro
1
U.O. di Oncoematologia Pediatrica.
A.O. Pugliese-Ciaccio, Catanzaro
2
U.O. di Pediatria ed Adolescentologia.
Arcispedale S. Anna, Ferrara
3
U.O. di Radiologia. A.O. Pugliese-Ciaccio, Catanzaro

cause principali
erano lanemia cronica, il sovraccarico marziale, lipersplenismo e il deficit di folati.
Generalmente la crescita staturo-ponderale
normale sino ai 9-10 anni; dopo questet
possibile osservare un rallentamento della
velocit di crescita (Figura 2) con conse-

Scripta

MEDICA

Problematiche auxologiche e puberali nella -talassemia omozigote

167

Tabella 1.
Origine multifattoriale della bassa statura
nei pazienti talassemici.

Anemia cronica
Disordini endocrini secondari
al sovraccarico marziale
(insufficienza-deficienza di GH,
ipotiroidismo, ipogonadismo, diabete)

Epatopatia cronica
Displasia scheletrica secondaria
a tossicit da desferioxamina

Displasia scheletrica
La displasia scheletrica, secondaria a tossicit della DFX, un problema emergente.
La DFX interferisce sulla osteogenesi inibendo la sintesi del collagene e la proliferazione
dei fibroblasti; inoltre determina un deficit di
zinco.
La displasia scheletrica caratterizzata da
riduzione della velocit di crescita, platispondilia, lesioni similrachitiche a carico
delle ossa lunghe, con rigonfiamento a livello dei polsi e delle ginocchia (Figura 3 e 4).

Ipogonadismo

guente decanalizzazione della statura; ci, se


non opportunamente e tempestivamente
affrontato, conduce a unaltezza finale pi
bassa rispetto al target genetico (9-11)
Alcuni studi eseguiti in pazienti talassemici
con bassa statura hanno dimostrato normali
o ridotte risposte del GH ai test convenzionali di stimolo (12-15), in qualche caso sono
stati trovati valori deficitari nella secrezione
spontanea dellormone della crescita; ci
indicherebbe una diFigura 2.
sfunzione neurosecretoria del GH (16-18).
stata anche riscontrata una bassa attivit
sierica delle IGF-I (13,
17-19).
Lefficacia del trattamento con rhGH in
questi pazienti variabile.
In base alla nostra esperienza, nei casi con deficit di GH, il trattamento sortisce effetti positivi anche se in alcuni
casi sono necessarie
dosi superiori alla norma (20-22).

In uno studio multicentrico italiano, condotto su 1.861 pazienti talassemici stata


osservata una prevalenza di ipogonadismo
nel 47% delle ragazze e nel 51% dei maschi
di et superiore ai 15 anni, amenorrea
secondaria nel 23%, irregolarit me-struali
nel 14% e arresto della maturazione sessuale nel 13% (23).
Lemosiderosi la principale causa del deficit
gonadotropinico (24).
Lesame istologico delle gonadi femminili
mostra una minima siderosi con un occasionale contenuto di ferro nei macrofagi e un
ridotto numero dei follicoli primordiali.
Nei testicoli la maggior parte del ferro

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

168

Figura 4.

Figura 3.

depositato nei tubuli seminiferi e tessuto


interstiziale e, solo in minima parte, si ritrova nelle cellule di Leydig. Tutto ci comporta una immaturit sessuale.
In un recente studio stata trovata una significativa correlazione tra il test al GnRH e il
grading del deposito di ferro nella ghiandola
pituitari a valutato con RM; con i grading
pi bassi (grading: 0= normale; 1= lieve; 2=
moderato; 3= severo), si aveva una pi elevata risposta dellLH al GnRH test.
L aver comunque trovato risposte di LH alterate in pazienti con lieve o assente deposito
di ferro, potrebbe indicare che la terapia chelante rimuove il ferro senza indurre una concomitante ripresa funzionale delle cellule
gonadotropino secernenti (25).
Tuttavia, ulteriori studi sono necessari per
valutare se una precoce e adeguata terapia
chelante in grado di prevenire il danno dellipofisi.
Il genotipo del paziente pu rappresentare
un fattore prognostico della evoluzione
spontanea o meno della pubert (26).
In un nostro studio, condotto su un gruppo
di 12 pazienti di sesso femminile, omogeneo
per et, consumo trasfusionale, ferritinemia
e funzionalit epatica, abbiamo osservato la
comparsa di pubert spontanea in 6 pazien-

ti e pubert indotta con basse dosi di estrogeni somministrati per brevi periodo, in 2
pazienti. Questi 8 soggetti presentavano una
doppia eterozigosi con una mutazione tipo
mild (IVS1 nt6, -101, Hb Lepore, -thalassaemia).
Le rimanenti 4 pazienti ipogonadiche che
avevano richiesto terapia sostitutiva con
estroprogestinici erano omozigoti o con doppie eterozigosi per 39 e IVS1 nt 110 (27).
La pubert dovr essere indotta quando i
pazienti raggiungono unet ossea puberogena, tenendo sempre in considerazione i
dati auxologici, endocrinologici e gli aspetti
psicosociali.
Sia per i ragazzi che per le ragazze possono
essere impiegate piccole dosi di steroidi
(testosterone ritardo alla dose iniziale di 2550 mg ogni 4 settimane ed etinil-estradiolo
2,5-5 g/die) per brevi periodi (3-6 mesi),
valutando ogni 3 mesi LH, FSH e gli steroidi
sessuali.
Se dopo questo periodo non si dovesse
osservare una progressione spontanea della
pubert e un aumento del testosterone e
degli estrogeni, si dovr istituire un trattamento sostitutivo con steroidi sessuali.
Per quanto concerne i maschi, quando la
compliance lo permette, sulla scorta di alcu-

Scripta

MEDICA

Problematiche auxologiche e puberali nella -talassemia omozigote

169

Tabella 2.
Terapia sostitutiva nei maschi.

Testosterone ritardo 250 mg/3-4 settimane


oppure
Cerotti transdermici
1 cerotto da 5 mg/die
applicare sul dorso (regione lombare)
oppure
HCG alla dose iniziale di 500 UI
2 volte alla settimana
aumentando sino a 3.000 UI
2 volte alla settimana
(valutare i valori serici di testosterone)
associando poi lFSH alla dose
di 75 UI/2-3 volte alla settimana

ne esperienze comparse in Letteratura (28),


luso di HCG associato allFSH dovr essere
considerato quando si vuole indurre la spermatogenesi (Tabella 2).
La terapia sostitutiva nelle femmine, prevede
uno schema ciclico sequenziale (Tabella 3).

Conclusioni
Una regolare terapia chelante, per via sottocutanea, riduce la frequenza delle complicanze endocrine nei soggetti talassemici. Un
accurato monitoraggio del bilancio marziale
dovr essere effettuato in corso di terapia allo
scopo di evitare la comparsa di possibili
effetti negativi della desferioxamina sullaccrescimento staturale.
Nei casi di comparsa di tossicit al trattamento con DFX, per via sottocutanea, si
potr ridurre la dose del chelante o si potr
passare a un trattamento alternativo con
deferiprone per via orale.
Alcuni effetti negativi della DFX sulla crescita dei corpi vertebrali (platispondilia) sono
irreversibili e, pertanto, il medico dovr
effettuare regolari controlli della velocit di
crescita staturale/anno e una misurazione
della statura da seduto. Se questi valori risulteranno inferiori a quelli attesi dovr essere

Tabella 3.
Terapia sostitutiva nelle femmine.

Cicli di etinil-estradiolo 10-20 mcg/die per os


per 21 gg associando negli ultimi 10 gg
il medrossiprogesterone acetato per os
(5 mg/die)
Stop terapia per una settimana
poi ripresa del ciclo.
La terapia estrogenica pu essere anche
somministrata per via transdermica:
cerotti da 25-50 mcg da applicare
ogni 3 giorni e mezzo

richiesta una radiografia del rachide vertebrale e del carpo; questultima per escludere
la presenza di lesioni similrachitiche a carico delle metafisi delle ossa lunghe.
Una valutazione della secrezione dellormone della crescita andr effettuata nei casi che
si accompagnano a bassa statura e/o ridotta
velocit di crescita staturale/anno.
Lipogonadismo di solito irreversibile e
necessita di una terapia sostitutiva con steroidi sessuali.
auspicabile che una regolare terapia chelante possa ridurre lincidenza di questa
endocrinopatia.
Il genotipo del paziente pu rappresentare
un fattore favorevole la comparsa spontanea
della pubert.

Bibliografia
1. Fosburg MT, Nathan DG. Treatment of Cooleys anemia. Blood 1990: 76:435-444
2. Hoffbrand AV, Wonke B. Iron chelation therapy. J Int
Med 1997; 242:37-41
3. Britton RS, Ramm GA, Olynyk J, Singh R, ONeil R,
Bacon BR. Pathophysiology of iron toxicity. In: Hesko eds.
Progress in Iron Research. New York: Plenum Press, 1994;
239-253
4. Brittenham GM, Griffith PM, Nienhuis AW. Efficacy

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

170

of deferoxamine in preventing complications of iron overload in patients with thalassaemia major. N Eng J Med
1994; 331:567-573
5. Olivieri NF. Orally active oral chelators in the treatment of iron overload. Current Opinion in Haematol 1996;
3:125-130
6. Cohen A, Martin M, Schwartz E. Depletion of excessive liver iron stores with desferoxamine. Br J Haematol
1984; 58:369-373
7. Flynn DM, Hoffbrand AV, Politis D. Subcutaneous
desferrioxamine: the effect of three years treatment on liver
iron, serum ferritin and comments for echocardiography.
Birth defects 1982; 18(7.:347-353
8. Borgna-Pigatti C, De Stefano P, Zonta L, Vullo C, De
Sanctis V, Melevendi C, Naselli A, Masera G, Terzoli S,
Gabutti V, Piga A. Growth and sexual maturation in thalassaemia major. J Pediatr 1985; 106:150-155
9. Caruso Nicoletti M, De Sanctis V, Anastasi S,
Cavagnini F, Cavallo L, Cilla A, Cisternino M, De Luca
F, De Simone M, Di Gregorio F, Einaudi S, Galati MC,
Gallisai D, Gerardi C, Malizia R, Mangiagli A, Meo A,
Pasquino AM, Pintor C, Ponzi G, Quarta G, Romondia
A, Ruggiero L, Saviano A, Sacco M, Stefano I. Guides
lines for the auxological follow-up of thalassaemic patients.
Riv Ital Pediatr (IJP) 1997; 23:305-307
10. De Sanctis V, Urso L. Laccrescimento staturale nella
thalassemia. Min Pediatr 1997; 4:121-128
11. De Sanctis V, Caruso Nicoletti M, Pintor C, Raiola
G. Guide lines for the diagnosis and treatment of endocrinophaties in thalassaemia. Riv Ital Pediatr (IJP) 1999;
25:1132-1137
12. Costin G, Kogut MD, Hyman CB, Ortaga JA.
Endocrine abnormalities in thalassaemia major. Am J Dis
Child 1979; 133:497-502
13. Langer J, Girot R, Crosnier H, Postel-Vinay MC,
Rappaport R. GH response to GH-RH in children with
thalassaemia major before puberty: a possible age related
effect. J Clin Endocrinol Metab 1989; 69:453-456
14. Masala A, Meloni T, Gallisai D, Alagna S, Rovasio
PP, Rassu S, Milia AF. Endocrine functioning in multitransfused prepubertal patients with homozygous -thalassaemia. J Clin Endocrinol Metab 1984; 58:667-670

ne secretion and defective pituitary gonadotropin secretion.


Eur J Pediatr 1997; 156:777-783
18. Shehaded N, Hazani A, Rudolf MCJ, Peleg I,
Benderly A, Hochberg Z. Neurosecretory dysfunction of
growth hormone secretion in thalassaemia major. Acta
Paediatr Scand 1990; 79:790-795
19. Saenger P, Schwartz E, Makenson AL, Graziano JH,
Levine LS, New MI, Hilgartner MW. Deppressed serum
somatomedin activity in -thalassaemia major. J Pediatr
1980; 96:214-218
20. Werther GA, Mathews RN, Berger HG, Herrington
AC. Lack of response of non-suppressible insulin-like activity
in thalassaemia major. J Clin Metab 1981; 53:806-809
21. De Sanctis V, Urso L, Galati MC, Mangiagli A,
Massolo L, Ponzi G, Ruggiero L, Sacco M, Cavallini,
AR, Rigolin F. Growth hormone (GH) treatment in thalassaemic patients with short stature, GH insufficiency and
different severity of iron overload. Bone Marrow
Transplant 1997; 19(suppl 2):32-33
22. Katzos G, Papakostantinou-Athanasiadou E,
Athanasiou-Metaxa M, Harsoulis F. Growth hormone
treatment in short children with -thalassaemia major.
JPM 2000; 13:163-170
23. Italian Working Group on Endocrine Complications in Non.endocrine complications in thalassaemia major. Multicentre study on prevalence of endocrine
complications in thalassaemia major. Clin Endocrinol
1995; 42:581-586
24. Cohen AR. Iron overload in the pediatric patient. In:
Oski FA, eds. Haematology/Oncology Clinics of North
America. Philadelphia, PA: WB Saunders 1987; 521
25. Berkovitch M, Bistritzer T, Milone SD, Perlman K,
Kucharczyk W, Koren G, Olivieri NF. Iron deposition in
the anterior pituitary in Homozygous -thalassemia: MRI
evaluation and correlation with gonadal function. JPM
2000; 13:179-184
26. Jensen CE, Tuck SM, Old J, Morris RW, Yardumian
A, De Sanctis V, Hoffbrand AV, Wonke B. Incidenze of
endocrine complications and clinical disease severity related to genotype analysis and iron overload in patients with
-thalassaemia. Eur J Haematol 1997; 59:76-81

15. Tolis G, Politis C, Kontopoulou I, Poulatzas N,


Rigas G, Saridakis C, Athanasiou V, MortoglouMalachtari S, Ling N. Pituitari somatotropic and corticotropic function in patients with -thalassaemia on iron chelation therapy. Birth Defects 1988; 23:449-452

27. Galati MC, Puzzonia P, Consarino C, Grimaldi S,


Morgione S, Porcelli D, Raiola G, Santilli E, Tancr D,
Magro S. Sexual maturation in twelve females with
homozygous -thalassaemia (abstract). International
Conference on endocrine disorders in thalassemia 1992:
May 7-9, Cosenza, Italy

16. Chatterjee R, Katz M, Cox T, Bantock H. Evaluation


of growth hormone in thalassaemic boys with failed
puberty: spontaneous versus provocative test. Eur J Pediat
1993; 152:721-726

28. Cisternino M, Magni Manzoni S, Coslovich E,


Autelli M. Hormonal replacement therapy with HCG and
HU-FSH in thalassaemic patients affected by hypogonadotropic hypogonadism. JPM 1998; 11:885-890

17. Roth C, Pekrum A, Batz M, Jarry H, Eber S,


Lakomek M, Shroter W. Shorth stature and failure of
pubertal development in thalassaemia major: evidence for
hypothalamic neurosecretory dysfunction of growth hormo-

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

173

Infezioni delle vie urinarie non complicate


Seconda di tre parti

Pietro Cazzola

Cistite acuta
non complicata
Nelle giovani donne sessualmente
attive la cistite acuta una condizione patologica gravata da unelevata morbilit: stato infatti calcolato che ciascun episodio in
media causa sintomi che perdurano 6,1 giorni, costringe ad una
riduzione dellattivit per 2,4
giorni e obbliga il malato a letto
per 0,4 giorni (26).
La sintomatologia della cistite
caratterizzata da disuria associata
a pollachiuria, minzione imperioSpecialista in Anatomia e Istologia Patologica
e Tecniche di Laboratorio

sa, dolore sovrapubico, urine torbide e, talvolta, francamente ematiche (cistite emorragica).
Quando una giovane donna accusa disuria in modo acuto, in genere ha contratto uno dei seguenti
tre tipi di infezione:
cistite acuta;
uretrite acuta da Chlamydia trachomatis, o da Neisseria gonorrhoeae, o da Herpes simplex;
vaginite da Candida spp, o da
Trichomonas vaginalis.
La diagnosi differenziale si basa
sulla presenza di altri segni e sintomi ed, eventualmente, sui risultati dellurinocoltura (Tabella 2).

Se presente solo disuria la probabilit che si tratti di una cistite


del 25%, ma se ad essa si associano aumento della frequenza e
urgenza, in assenza di sintomi vaginali, la probabilit sale al 7080% (27).
In passato si riteneva significativa
di cistite una batteriuria di uropatogeni 105 CFU (Colony-Forming Units)/ml, ma attualmente il
limite pi congruo considerato
103 CFU/ml (28, 29).
A causa della limitata sensibilit e
dei tempi prolungati necessari per
i risultati, lurinocoltura non viene pi raccomandata come test
diagnostico per la cistite (27), anche se rimane dirimente nei casi

Tabella 2. Cause prevalenti di disuria nella donna.


Infezione

Patogeni

Piuria

Cistite

Escherichia coli
S. saprophyticus
Proteus spp
Klebsiella spp

Uretrite

Vaginite

Ematuria

Urinocoltura
CFU/ml

Sintomi, segni e altri fattori

Presente A volte

103

Insorgenza improvvisa, sintomi severi


e multipli (disuria, incremento della
frequenza e urgenza),
dolore sovrapubico o alla schiena;
dolorabilit sovrapubica allispezione

C. trachomatis
N. gonorrhoeae

Presente Rara

<102

Insorgenza graduale, sintomi lievi, perdite


vaginali o sanguinamento (in concomitanza
a cerviciti), dolori addominali, nuovo partner;
cerviciti o lesioni erpetiche vulvovaginali
allispezione

Candida spp
Trichomonas
vaginalis

Rara

<102

Perdite vaginali maleodoranti, prurito,


dispareunia, disuria, frequenza e urgenza
urinarie nella norma;
vulvovaginiti allispezione

Rara

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

174

in cui la sintomatologia non


caratteristica (1).
Il test pi utile per la
diagnosi di cistite
rappresentato dal
rilevamento della
piuria che pu
essere effettuato mediante
esame microscopico del
sedimento
urinario dopo
centrifuga
(Figura 2), o
con il metodo
del dipstick per
le esterasi leucocitarie. Il metodo del
dipstick ha una sensibilit del 75-96% e una
specificit del 94-98%
(27).

Pielonefrite acuta
non complicata
Quando, oltre ai tipici
sintomi relativi al tratto urinario inferiore
(disuria, aumentata frequenza urinaria, urgenza
minzionale),
sono presenti
anche dolore
al fianco, dolore addominale, nausea,
vomito, febbre
e brividi, deve
essere presa in
considerazione la
diagnosi di pielonefrite (27).
Il sospetto clinico deve

Figura 2.
Leucociti nelle urine (piuria).
Figura 3.
Cilindro leucocitario nelle urine.

essere confermato dallesame delle urine che evidenzia piuria e/o cilindri leucocitari
(Figura 3) e dallurinocoltura.
Per questultima il numero
di CFU/ml
che viene indicato come
probante di
104 (1,28, 29).
Questi pazienti, al fine
di escludere la
presenza di ostruzioni o di
calcoli, dovrebbero comunque essere
sottoposti ad ecografia
del tratto urinario superiore e a Rx della regione
lombare (1, 30).

Batteriuria
asintomatica
Tale termine definisce la presenza di
un significativo numero di
batteri nelle
urine (> 103
CFU/ml) in
assenza di
sintomi di
IVU.
La prevalenza della batteriuria asintomatica nella
popolazione generale del 3,5%
e si osserva la tendenza a un aumento

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

175

lineare in funzione dellet, dal momento che ne sono colpite il 5%


delle donne tra i 18 e i 40 anni e il
20% delle donne anziane che vengono valutate ambulatoriamente
(31, 32).
La batteriuria asintomatica molto frequente negli anziani istituzionalizzati: essa infatti riscontrabile in circa il 50% delle donne
e nel 30% degli uomini.
McCue (33) ha tuttavia sottolineato che in questi soggetti il 25%
delle urinocolture positive diventa negativo al follow-up a 6 mesi
(e viceversa) e che il 25% delle
urinocolture che sono positive in
entrambi le occasioni, evidenzia un
differente patogeno al follow-up.
Nellanziano la batteriuria asintomatica molto probabilmente il
risultato di una disfunzione vescicale e per questo motivo il tratta-

mento antibiotico non offre nessun beneficio: infatti in questi casi lantibioticoterapia non ha portato a modificazioni della mortalit, morbilit e incontinenza (33).
Nella maggioranza dei pazienti le
urinocolture diventano nuovamente positive entro pochi mesi
ed necessario trattare ambulatorialmente almeno 7 pazienti
anziani con batteriuria asintomatica per prevenire una IVU sintomatica (33).
importante ricordare che nella
diagnosi differenziale tra batteriuria asintomatica e IVU vera e propria la presenza di piuria non costituisce un elemento di distinzione in quanto sono possibili casi di piuria senza batteriuria e casi di batteriuria senza piuria.
Orr PH e coll. (34) hanno osservato che la presenza di batteriuria in
Figura 4
Germi patogeni responsabili delle infezioni
delle vie urinarie nellanziano.

corso di un episodio febbrile rilevato in una popolazione di anziani


istituzionalizzati pu essere addirittura fuorviante per la diagnosi:
infatti solo nel 7% dei casi si trattato di una IVU a fronte di una positivit dellurinocoltura riscontrata nel 50% dei pazienti.

IVU in gravidanza
Le IVU rappresentano la pi frequente complicanza medica che
insorge durante il periodo gestazionale.
I fattori che favoriscono le IVU in
gravidanza sono legati alle modificazioni meccaniche e ormonali a
cui vanno incontro il rene e le vie
urinarie durante tale fase della vita della donna: tra questultime
spiccano la compressione estrin-

Scripta

M E D I C A Volume 7, n. 5-6, 2004

176

seca della pelvi renale e delluretere esercitata dallutero aumentato di volume e il rilasciamento della muscolatura liscia indotta dal progesterone.
La prevalenza della batteriuria asintomatica in gravidanza varia dal 4% al 7% (27).
In molte donne la batteriuria presente gi prima
della gravidanza (35).
Uno studio condotto in Svezia ha evidenziato che
il rischio di batteriuria aumenta con il progredire
della gestazione, raggiungendo il massimo tra la 9a
e la 17a settimana (36).
La batteriuria in gravidanza si associa ad un aumentato rischio di parto prematuro, di basso peso alla
nascita e di mortalit neonatale (1).
Quando non trattata, la batteriuria asintomatica in
gravidanza esita in una cistite in pi del 30% dei casi e in pielonefrite nell1-2% dei casi.
Lesecuzione dellurinocoltura deve essere effettuata alla 16a settimana di gravidanza e se il risultato
positivo lesame deve essere ripetuto dopo 1-2
settimane: il trattamento deve essere iniziato in caso di confermata positivit ( 104 CFU/ml) per lo
stesso uropatogeno (1).

IVU nellanziano
Rispetto ai soggetti pi giovani, le IVU nellanziano sono sostenute da un pi ampio spettro di germi patogeni: noto infatti che pi del 90% delle
IVU non complicate che colpiscono le giovani donne sono dovute allEscherichia coli, mentre nelle varie casistiche riferite allanziano questo germe coinvolto in percentuali variabili dal 41% (38) al 62%
(39) (Figura 4).

Bibliografia
26. Foxman B, Frerichs RR. Epidemiology of UTI: I. Diaphragm
use and sexual intercourse. Am J Public Health 1985; 75:1308
27. University of Michigan Health System. Urinary tract infections guidelines. June 1999. At: cme.med.umich.edu/pdf/guideline/UTI.pdf
28. Rubin RH, Shapiro ED, Andriole VT, et al. Evaluation of
new anti-infective drugs for the treatment of UTI. Clin Infect Dis
1992; 15 (Suppl. 1):216

29. Rubin RH, Shapiro ED, Andriole VT, et al. General guidelines for the evaluation of new anti-infective drugs for the treatment of UTI. Taufkirchen, Germany: The European Society of
Clinical Microbiology and Infectious Diseases 1993: 240
30. Weidner W, Ludwig M, Weimar B, Rau W. Rational diagnostic steps in acute pyelonephritis with special reference to ultrasonography and computed tomography. Int J Antimicrob Agents
1999; 11:257
31. Nicolle LE. Asymptomatic bacteriuria in the elderly. Infect Dis
Clin North Am 1997; 11:647
32. Nicolle LE. Urinary tract Infection in long-term-care facility residents. Clin Infect Dis 2000; 31:757
33. McCue J. Trattamento delle infezioni delle vie urinarie nei pazienti anziani istituzionalizzati. Informed 2003; 6 (4):1
34. Orr PH, Nicolle LE, Duckworth H, et al. Febrile urinary infection in the institutionalized elderly. Am J Med 1996; 100:71
35. Millar LK, Cox SM. Urinary tract infections complicating
pregnancy. Infect Dis Clin North Am 1997; 11:13
36. Stenqvist K, Dahlen-Nilsson I, Lidin-Jason G, et al.
Bacteriuria of pregnancy. Frequency and risk acquisition. Am J
Epidmiol 1989; 129:372
37. McCue JD. Complicated, recurrent, and geriatric UTI.
Contemp Urol 1995; Suppl:10-7
38. Trinchieri A, Marchetti F. Multicentric study for evaluation of
levofloxacin in the treatment of complicated urinary tract infections. Arch Ital Urol Androl. 2003; 75:49

Potrebbero piacerti anche