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Stefano Quintarelli, 2003.

This work is licensed under the Creative Commons Attribution-NonCommercial


License. To view a copy of this license, visit http://creativecommons.org/licenses/by-nc/1.0/ or send a letter
to Creative Commons, 559 Nathan Abbott Way, Stanford, California 94305, USA.

Creative Commons: diritto d’autore nell’economia digitale


Il concetto di Commons
Il concetto dei Commons trova radici nella storia anglosassone. E’ “common” ciò che non appartiene ad un soggetto, sia
esso pubblico o privato, bensì appartiene alla collettività. Ogni membro della collettività ha diritti e responsabilità circa
il bene comune.
Ad esempio, secondo questa accezione, il prato vicino ad un villaggio è una proprietà comune degli abitanti del
villaggio. Ciascuno di loro può accedere alla proprietà comune per usfruirne in misura proporzionale alle proprie
necessità dirette di allevamento delle proprie pecore, ma non speculare nè accumulare queste risorse.
Una parte importante del mondo in cui un individuo opera è considerato un “common”, in cui un individuo ha il diritto
di consumare liberamente le sue risorse e restituirvi i materiali di scarto.
L’aria che tutti respiriamo è un preclaro esempio di “commons”.
In generale, in un ambiente più ristretto e su risorse meno abbondanti, la logica dei Commons, in ultima istanza,
produce la propria rovina ed il decesso di coloro che dipendono su di esse per la propria sopravvivenza. Questa
considerazione è nota come “la tragedia dei Commons” dal titolo dell’opera di Garrett Hardin (Università della
California, Santa Barbara) del 1968.
Nell’isola di San Matteo, una comunità di renne, tra il 1944 ed il 1964 è passata da 29 unità a 6000, sorpassando il
limite di sfruttamento della risorsa comune quindi riducendosi a 42. Nel suo saggio Garrett Hardin spiega perchè
ovunque le comunità sono avviate alla tragedia “[...] it’s because freedom in the commons brings ruin to all.”.
Hardin scrive, “La confutazione della mano invisibile nel controllo della popolazione si trova in uno scenario abbozzato
per la prima volta in un opuscolo del 1833 di un appassionato di matematica chiamato William Forster Lloyd”. Il tema è
strettamente connesso, come noto, con il lavoro di Malthus riguardo la relazione tra popolazione e risorse.
Il principio può essere generalizzato considerando l’insieme delle proprietà private e financo le persone stesse come
parte dei Commons. Non vi è una soluzione tecnica alla Tragedia dei Commons, il loro corretto governo da parte di una
autorità super partes appare l’unica via possibile, dal prato del paese fino alla scala planetaria.

Informazioni e Copyright
La correttezza delle affermazioni di Hardin appare evidente a chiunque abbia esperito la gestione di una qualunque
risorsa fisica.
Come ottimamente illustrato, tra gli altri, da Carl Shapiro e Hal Varian nel loro libro “Information rules” (Harvard
Business School Press, 1999), l’informazione presenta una struttura di costi differente rispetto ai beni materiali:
produrre l’informazione costa ma, una volta prodotta, riprodurla e distribuirla presenta costi marginali, talvolta nulli.
Una famosa citazione di Thomas Jefferson recita: “Colui che riceve una idea da me, riceve egli stesso istruzione senza
diminuire la mia; come colui che accende la propria candela dalla mia, riceve luce senza oscurarmi”.
La maggiore implicazione degna di nota è che, a differenza di quanto avviene per i beni materiali, per i beni immateriali
non vi è un limite fisiologico allo sfruttamento e alla diffusione e quindi le informazioni “commons”, nel pubblico
dominio, non sono soggette alla Tragedia dei Commons.
Fino al 1976, negli Stati Uniti, i prodotti della creatività non erano protetti dalle leggi sul copyright a meno che gli
autori non includessero una esplicita rivendicazione del Copyright. I lavori pubblicati senza tale rivendicazione
diventavano di dominio pubblico.
La situazione “normale” era il dominio pubblico, a meno di esplicita limitazione dichiarata dall’autore.
A seguito di modifiche legislative tra il 1976 ed il 1988, i lavori creativi sono automaticamente “tutelati” dal Copyright.
Ora la situazione “normale” è il Copyright per qualunque opera originale della creatività fissata con qualunque mezzo
di espressione. (Il Copyright Office afferma, "copyright is an incident of creative authorship not dependent on statutory
formalities.")
L’autore che desideri non esercitare le restrizioni che la legge sul diritto d’autore consente deve ora farsi carico della
comunicazione della propria intenzione di cedere l’opera al pubblico dominio.
Nell’era di Internet, chiunque pubblichi delle informazioni (si pensi ai weblog), anche se non ha intenzione di
rivendicarne il diritto d’autore e anche se non intende limitare la possibilità di riutilizzo da parte di possibili terzi
interessati, deve esplicitamente dichiararlo. In assenza di una chiara indicazione, chiunque desideri riutilizzare o
rielaborare informazioni pubblicate da un terzo, non lo può fare senza esporsi a possibili rivendicazioni di Copyright.
Il punto qui è che l’onere si è spostato da chi intende proteggere la propria opera a chi non intende proteggerla.
Stefano Quintarelli, 2003. This work is licensed under the Creative Commons Attribution-NonCommercial
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L’assunto della legge è che la condizione standard sia che la maggioranza degli autori desideri proteggere le proprie
opere e, nell’era di Internet, della facile pubblicazione e distribuzione di informazioni da parte di chiunque, questo
assunto può apparire discutibile.
Il diritto d’autore prevede che un’opera, dopo un certo tempo dalla produzione, diventi di pubblico dominio.
Quando nei secoli scorsi furono introdotte le leggi sul Copyright, esse erano tese a consentire all’autore di sfruttare
economicamente i prodotti della propria creatività per un periodo di tempo congruo: inizialmente 14 anni, poi estesi a
50 e successivamente a 75 (in Europa fino a 70 anni dopo la morte dell’autore).
Lawrence Lessig, professore di diritto alla Scuola di Legge dell’Università di Stanford, in alcune sue presentazioni
pubbliche ha associato queste estensioni a “Mickey Mouse”, affermando che le estensioni sono state stabilite in
corrispondenza della scadenza della titolarietà della Disney dei diritti d’autore relativi.( http://www.oreillynet.com/pub/
a/policy/2002/08/15/lessig.html?page=3 ).
Con l’attuale impianto normativo, quando il diritto d’autore relativo ad un’opera arriverà a scadenza per le opere create
oggi, risulterà estremamente difficile stabilire che l’opera è entrata nel dominio pubblico.
In assenza di una esplicita informazione sul Copyright con una data o di una segnalazione ad un apposito Registro, non
è detto che possa essere pubblica la data di creazione di un’opera o, al limite, della identità stessa dell’autore, e quindi
potrebbe non esistere una modalità pratica di conoscere se il periodo di protezione del diritto d’autore è scaduto.

Il progetto Creative Commons


Creative Commons (www.creativecommons.org) è un progetto non a fine di lucro per consentire agli autori che
desiderano concedere a terzi alcune facoltà relativamente alle proprie opere: la riproposizione moderna applicata ai beni
informativi del concetto dei “Commons”.
Un autore, ad esempio, potrebbe essere interessato a porre nel pubblico dominio la propria opera, o magari, più
limitatamente, a concederlo al pubblico dominio purchè non vi sia uno sfruttamento commerciale, o ancora, a
concenderne la riproduzione richiedendo solamente la citazione della fonte.
Alcune delle informazioni presenti in questo articolo sono state riportate da materiale prodotto da Creative Commons
che ne concede per l’appunto la libera divulgazione, ammesso che ne venga citata la fonte.
L’organizzazione Creative Commons è stata fondata nel 2001 ed il suo primo progetto, a dicembre del 2002, è stato il
rilascio nel pubblico dominio di un insieme di licenze gratuite di copyright.
Ispirandosi al lavoro della Free Software Foundation e della GNU General Public License (GNU, GPL), Creative
Commons ha sviluppato una applicazione web che aiuta gli autori a porre nel pubblico dominio alcune facoltà
relativamente ai propri diritti di autore o mantenerne altre. A differenza di GNU e GPL, queste licenze sono utilizzabili
per qualunque tipo di opera creativa e non solamente per il software.
In questo senso Creative Commons non è assolutamente contro il Copyright; Creative Commons aiuta l’autore a
mantenere il Copyright pur concedendo alcune facoltà, nella più fedele interpretazione della giustificazione stessa della
protezione della proprietà intellettuale: promuovere il progresso della scienza e delle arti.

Caratteristiche delle Licenze


Le licenze di Creative Commons sono descritte dalle loro caratteristiche che appartengono a tre categorie:
• Permessi
• Proibizioni
• Requisiti
I Permessi esprimono i diritti garantiti dalla licenza; tra i Permessi si annoverano oggi i seguenti:
• Riproduzione: il lavoro può essere riprodotto
• Distribuzione : il lavoro (e, se autorizzato, un lavoro derivato) può essere distribuito, presentato ed eseguito
pubblicamente
• Lavoro Derivato: può essere prodotto e distribuito un lavoro derivato
Le Proibizioni esprimono i comportamenti vietati dalla licenza; un esempio di Proibizione prevista ad oggi è lo
Sfruttamento commerciale: l’autore può esercitare i propri diritti se l’opera viene sfruttata commercialmente
I Requisiti esprimono delle limitazioni imposte dalla licenza; tra i Requisiti si annoverano oggi i seguenti:
• Informazione: le informazioni di Copyright e di Licenza devono essere mantenute integralmente
• Attribuzione: deve essere dato credito dell’opera al titolare dei diritti e/o all’autore
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• “ShareAlike”: eventuali opere derivate devono avere una licenza con le stesse caratteristiche del lavoro
originale.
L’applicazione web già citata e ad altri strumenti presenti sul sito di Creative Commons aiutano gli autori ad assicurare
alla propria opera il livello di protezione desiderato e a porre altri diritti nel pubblico dominio, per il beneficio della
scienza e dell’arte.

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