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GIORGIO AGAMBEN AND ANTONIO GNOLI - UNA LETTERA ALLA

MODERNIT
Giorgio Agamben and Antonio Gnoli. "Una lettera alla modernit." Repubblica. Interview.
June 14 2000, p. 51
In che cosa consiste il fascino, o meglio ancora lattrazione, che Paolo di Tarso ha esercitato
sul pensiero del Novecento? Solo negli ultimi tempi sono apparsi vari libri dedicati al suo
pensiero. Alain Badiou ha dedicato un saggio sui rapporti di Paolo con luniversalismo (edito
da Cronopio, pagg. 171, lire 25.000), E. P. Sanders(edizioni il Melangolo, pagg. 140, lire 22.000)
ne ha ricostruito la vita (di cui a dire il vero si sa pochissimo, non ci nota la sua data di
nascita, era un contemporaneo di Ges e la sua morte avvenuta a Roma collocata tra il 62 e il
64) e la missione che egli compie verso i non credenti; Joseph A. Fitzmyer ci ha consegnato
uno sterminato commento alla Lettera ai Romani, il testo pi denso e drammatico di Paolo (
Piemme, pagg. 928, lire 120.000). Testo, qualcuno ricorder, apparso recentemente in una
nuova proposta editoriale da Einaudi, con una prefazione di Sebastiano Vassalli che produsse
molte polemiche, anche in seno alla casa editrice e di cui allora Repubblica diede ampio conto.
Nel novero delle cose importanti uscite va naturalmente ricordato il seminario che Jacob
Taubes tenne sul suo pensiero (Adelphi, La teologia politica di San Paolo, pagg. 240, lire
48.000).
Ad arricchire questa fiorente letteratura attorno ai testi paolini uscir a giorni il nuovo libro di
Giorgio Agamben Il tempo che resta, (Bollati Boringhieri, pagg. 177, lire 35.000), un
vertiginoso commento alla Lettera ai Romani che muta in profondit limmagine di Paolo, cos
come la tradizione - soprattutto cattolica - ce lo ha consegnato.
Un nuovo commento alla sua epistola "ai Romani" muta radicalmente il volto dellapostolo
Insomma Paolo non sarebbe, come gran parte delle interpretazioni accreditano, il fondatore di
una nuova religione, ma piuttosto un esegeta straordinario del clima messianico nel quale si
trov a vivere e a operare. Pi che un "normalizzatore", Paolo fu un "eversore", un originale e
anche enigmatico tassello di quella modernit che molto pi tardi avrebbe fatto il suo ingresso
nella storia europea. Da qui passeranno la lettura-traduzione di Lutero, un certo messiaresimo
di Marx, linterpretazione di Max Weber, quella fondamentale di Karl Barth e quella fortemente
politicizzata di Schmitt.
Professor Agamben lei si aggiunge alla lunga schiera di interpreti di Paolo, ma lo fa, come
dire?, entrando dalla porta pi stretta. Prende le prime parole della Lettera ai Romani, le
ritraduce, e le consegna a un nuovo commento. "Paolo servo di Ges messia, chiamato
apostolo, separato per il vangelo di Dio". Che cosa hanno di speciale queste poche parole?
"La scommessa stata di ricapitolare attraverso il commento a queste poche parole tutto il
vertiginoso messaggio della Lettera ai Romani. Un testo, come lei ha notato, che stato
infinitamente letto nel corso della storia della nostra cultura. Ma la mia convinzione che non
vero che un testo pu essere letto allinfinito, e quindi, perch no?, nuovamente anche da noi.
Penso piuttosto che tra il testo di Paolo e il presente che viviamo ci sia quello che Benjamin
chiama un appuntamento segreto".
Un incontro fatale e inderogabile, a questo che pensa?
"Penso, come accennavo, allidea benjaminiana che per ogni testo c un particolare momento
nel tempo in cui quel testo diventa leggibile".
Perch lei ritiene che lora della leggibilit sia oggi e non piuttosto ieri o magari domani? Cos
che dal presente ci sollecita ad aprire La Lettera ai Romani?
"Intanto c un cambiamento di prospettiva che gi cominciato da parecchi anni fra quei
teologi cristiani che hanno abbandonato lidea tradizionale che per leggere Paolo il riferimento
alla letteratura ebraica e allebraismo non fossero importanti. E quindi pensare che Paolo fosse
il distruttore della legge ebraica".
In questa prospettiva cose fondamentali sono state dette da Jacob Taubes...
"E vero, ed sommamente significativo che studiosi ebrei come Taubes abbiano provato a
guardarlo con i propri occhi. Il punto da cui sono partito stato quello di provare a leggere
Paolo non pi come il fondatore di una nuova religione, cio il cristianesimo, ma come il
rappresentante pi esigente e radicale del messianesimo ebraico".
Non un caso, lei fa notare, che nelle varie traduzioni della Lettera ai Romani la parola Messia
sia andata perduta...
"Averla persa ha comportato fra laltro eludere alcune domande: che cos la vita messianica?
Qual la struttura del tempo messianico? Sono le domande che si pone Paolo, ma anche le
nostre".
Sul versante ebraico c lidea che il Messia sia soprattutto attesa...
"E unidea che vediamo agire perfettamente in Scholem, lamico di Benjamin, per il quale il
messianico una sorta di infinito differimento, qualcosa che non trova mai compimento. Si
tratta di unidea tradizionale che ho provato a sfatare".
In che modo?
"Cercando di capire che cosa Paolo intende per tempo messianico. E per farlo occorreva
distinguere innanzitutto il tempo messianico dal tempo apocalittico, il tempo di ora dal tempo
teso verso il futuro. Se dovessi riassumere in una formula questa distinzione direi che il
messianico non , come si sempre inteso, la fine del tempo, ma il tempo della fine".
Lei dunque distingue nettamente I concetti di messianico e apocalittico. Ma un lettore che non
fosse dentro queste sfumature che senso dovrebbe dare a questa operazione di rilettura?
"Non lo so, ma un lettore di Benjamin e di Paolo non pu non notare nella distinzione una
forte tensione verso il passato piuttosto che verso il futuro".
Viene da chiederle in che rapporto si pone con la tradizione?
"Si tratta di ripensarla interamente, trovando un nuovo rapporto con ci che abbiamo
dimenticato e che tuttavia indimenticabile".
Sembra un paradosso, o un gioco di parole.
"E qualcosa di diverso. Occorre capire che linfinito scialo di ci che ogni giorno
dimentichiamo, come ci che si dimenticato nei secoli, non inerte ma agisce su di noi. E
una sotterranea presenza con la quale siamo in relazione e che pu aspirare al rango di
coscienza storica o memoria".
Coscienza anche politica? Glielo chiedo perch in fondo tutta la lettura della Lettera sembra
aprirsi a una diversa idea della politica.
"A me sembrato fecondo che la critica che Paolo fa della legge alla fine non sia una semplice
negazione dei principi giuridici, ma un modo nuovo di ripensare il rapporto tra la legge e la
fede".
Fecondo perch?
"Perch chiaro che se lordine del diritto perde ogni relazione con laltra istanza che le
vicina - e che nel mondo del prediritto le era unita - allora la legge stessa finisce con lirrigidirsi
in un sistema di pura normativit. Lipertrofia cui oggi noi assistiamo e che pretende di
normare tutto, il segno di una perdita di senso della legge. Paolo non nega la legge, ne critica
semmai la separazione dalla fede. Ritrovare un contatto fra queste due sfere per me lunica
possibilit interessante di poter oggi ripensare la politica".
Chi ha dato una forte connotazlone politica a Paolo stato Carl Schmitt.
"Ma in un senso che a me lascia francamente perplesso. Lui interpreta un passo della Lettera ai
Tessalonicesi dove si parla del katkhon, cio della forza che ritarda la venuta dellanticristo, e
identifica questa forza con lImpero, con lo Stato. Ma Paolo non contrappone lassenza della
legge - diciamo lanticristo - al potere statua!e. Al contrario, fa messianicamente coincidere le
due cose. Per cui la contestazione del potere statuale nasce dalla sua illegittimit".
Il commento che lei fa della Lettera ai Romani presuppone la presenza di Benjamin. Perch?
"Il punto fondamentale per me stato provare filologicamente che il nano gobbo nascosto
sotto la scacchiera di cui parla Benjamin nella prima tesi sulla filosofia della storia, senza
ombra di dubbio Paolo. Di questa cosa si accorse Scholem, ma la cautela con cui accenn alla
cosa lascia immaginare un certo dissidio fra i due dovuto alla pericolosit della posizione
benjaminiana".
Pericoloso Benjamin?
"S, come se, anche attraverso Paolo, Benjamin percepisse una novit radicale nel modo di
poter concepire la storia, qualcosa che non poteva essere gradita a Scholem ma neanche agli
amici di New York, cio ad Adorno e Horkheimer"

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