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I S I A O

Luca Maria Olivieri


Swat
Storia di una frontiera
Il Nuovo Ramusio
1. Tucci, Italia e Oriente.
2. Bloch, Danilou, Eliade, Griaule, Hentze, Lvi-
Strauss, Puech, Tucci, Widengren, Il simbolismo
cosmico dei monumenti religiosi.
3. Allam, Borrmans, Budelli, Mastrobuoni, Piga,
Scattolin, Ventura, Zarmandili, Il fondamenta-
lismo islamico.
4. Beltrami, Tubu. Una etna nomade del Sahara
centro-orientale.
5. Lorenzetti, Il tempio induista. Struttura e simboli.
6. Lanciotti, Letteratura cinese.
7. Liu Xiang, Biografie di donne.
8. Olivieri, Swat. Storia di una frontiera.
9. Gnoli e Sfameni Gasparro (a cura di), Potere e
religione nel mondo indo-mediterraneo tra ellenismo
e tarda antichit.
Quella dello Swat non solo, o semplice-
mente, la regione frontaliera di nord-ovest del
Pakistan, ma il confine geografico, geopolitico e
storico dellintero Subcontinente indiano. Lo
anche dal punto di vista culturale, si pu dire, da
sempre: qui si arrestava limpero achemenide
(VI-IV secolo a.C.), estrema propaggine della
civilt iranica verso oriente, le cui tracce sono
ancora riconoscibili nella lingua pashtu parlata
dalla locale etna; qui, il discepolo di Aristotele,
Alessandro il Macedone, attravers la soglia che
separava, quasi Colonne dErcole verso laltra
parte del mondo, il noto dallignoto; da qui
Padmasambhava diffuse il buddhismo in Tibet;
qui, tra queste aspre montagne, tra questa intatta
gente che lIslam a fatica conquist alla propria
causa, si gioca oggi una fase non secondaria della
difficile partita dellespansione o del conteni-
mento dellintegralismo. Qui, infine, in questo
eccezionale teatro, si pu dire che il Grande
Gioco caro a Rudyard Kipling continui a svolge-
re, con drammatici effetti, le sue invisibili trame.
Il libro, seguito e completamento ideale della
Via dello Swat (1963) di Giuseppe Tucci, si avvale
dellesperienza maturata dallautore in oltre venti
anni di campagne archeologiche condotte nella
valle dello Swat dalla Missione italiana in Paki-
stan dellIstituto Italiano per lAfrica e lOriente.
Luca M. Olivieri co-direttore della Misssione
archeologica italiana in Pakistan. Socio dellIsIAO,
Olivieri autore di numerose pubblicazioni
scientifiche, tra le quali ricordiamo Bir-Kot-
Ghwandai Interim Reports. I: The Survey of the
Bir-Kot Hill. Archaeological Map and Photographic
Documentations (IsIAO, 2003).
16,00
ISBN 978-88-6323-271-4
9 7 8 8 8 6 3 2 3 2 7 1 4
Il Nuovo Ramusio
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Il Nuovo Ramusio
Collana diretta da Gherardo Gnoli
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Luca Maria Olivieri
Swat
Storia di una frontiera
I S I A O
Luca M. Olivieri, Swat. Storia di una frontiera
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
ISBN 978-88-6323-271-4
Copyright 2009 by Istituto Italiano per lAfrica e lOriente
Via Ulisse Aldrovandi 16, 00197 Roma
tel. 06 328551 - www.isiao.it
STAMPATO IN ITALIA
Fr meinen Himmel
PRESENTAZIONE
Il libro si avvale dellesperienza maturata dallautore in oltre venti
anni di campagne archeologiche condotte nella valle dello Swat dalla
Missione italiana in Pakistan, inaugurata dallIsMEO (oggi IsIAO) nel
lontano 1956. Olivieri presenta uno spaccato storico della regione dalla
preistoria al presente, dal quale lo Swat emerge come un microcosmo del
macrocosmo euroasiatico. Di qui transitano infatti Alessandro e le sue
truppe, i viaggiatori buddhisti cinesi e tibetani, ma anche il primo dei
grandi condottieri islamici diretti nel nord del subcontinente indiano,
Mahmud di Ghazna. Il filo conduttore, che tiene insieme tutti i capitoli,
sembra essere la verifica di una continua osmosi, nel fluire delle diverse
civilt, fra lOccidente e lOriente dellEurasia: una complessit che si
costruisce tappa dopo tappa e che ha lasciato tracce da individuare e
decifrare per locchio attento dellarcheologo e dello storico.
Non meno interessante dello sforzo analitico risulta il coinvolgimento
emotivo dellautore. Luca M. Olivieri, infatti, inframezza il saggio con
brani tratti da una sorta di diario privato. Registra unavventura dello
spirito realizzata fra le asperit delle montagne e la bellezza di una natura
rigogliosa. Il lungo passato si specchia infine in unattualit enigmatica:
lautore formula una sorta di atto di fede. Egli non pu non pensare
che la valle dello Swat possa diventare anche nel presente ancora una
volta una frontiera fra Occidente ed Oriente: non una delle tante frontiere
geografiche, ma un luogo possibile di dialogo.
Lautore riprende le fila di una profonda riflessione, suscitata al-
lindomani della nascita dello Stato pakistano e della Repubblica italiana
da Giuseppe Tucci. Ma onesto dire che il tono elevato dal quale questo
saggio mai si discosta, deriva anche dalla tensione emotiva di un presente
che da un simile osservatorio nel centro del continente eurasiatico
appare rischioso e decisivo.
Ad ogni generazione la sua sfida. Per la generazione dellautore
come per la mia e forse di tanti lettori la sfida quella di non lasciarsi
trascinare nella spirale di incomprensione e di odio di uno scontro di
civilt: di saper intendere la complessit dei rapporti umani, fatti di
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scambi, di commistioni, di integrazioni, di inattesi riconoscimenti, di
fruttuose contrapposizioni. Con questo libro siamo di fronte ad una
nobile tradizione accademica che si rigenera e sa misurarsi col nodo del
presente. Olivieri, a Islamabad, dandomi in lettura il suo lavoro, mi
diceva, rispondendo alla mia sollecitazione a guardare al futuro in modo
ambizioso, che un suo sogno sarebbe stato la trasformazione della sede
della Missione, a Saidu Sharif, in un centro permanente di studi sul
Gandhara intitolato a Giuseppe Tucci. Sarebbe auspicabile che ci avve-
nisse, cos che lo straordinario patrimonio scientifico della Missione
fondata da Tucci possa rendersi disponibile per il pubblico pakistano ed
internazionale, ma al contempo possa divenire un ulteriore strumento per
fronteggiare la sfida del presente. Sarebbe il segno di un ottimismo della
volont: la valle dello Swat potrebbe divenire un osservatorio sul futuro
dellEurasia e sulle prospettive non di scontro ma di dialogo tra le civilt.
Lobiettivo dovrebbe essere quello di farne un centro di irradiazione per
le future generazioni di studenti pakistani e italiani e un mezzo per la
diffusione della cultura storica, artistica, antropologica, ecc., presso le
principali istituzioni accademiche del Paese.
LItalia sempre stata un ponte fra lEuropa continentale, attraverso
il Mediterraneo, e lAsia. La figura di Marco Polo ne tuttora il simbolo
vivo ed affascinante nellintera Eurasia e nel resto del mondo. Non si
tratta solo di viaggiare verso lAsia e scoprire civilt diverse. Il nostro
ruolo culturale stato pi ambizioso e si tradotto nella capacit creati-
va di ripensare le tradizioni con cui siamo venuti a contatto e rendere il
loro contributo un impulso di sviluppo e di modernit. Ci sostiene il
modello rappresentato dalle grandi personalit che, negli anni successivi
alla II Guerra Mondiale, hanno promosso un rapporto culturale privile-
giato fra Italia e Pakistan. Olivieri ricorda da parte italiana, oltre a
Giuseppe Tucci e Ardito Desio, anche un diplomatico come Pietro Quaro-
ni, che si trovava allepoca a Kabul. Come allindomani del conflitto,
quando si costruiva il Pakistan e da parte nostra la Repubblica, insieme
agli amici pakistani possiamo tornare ad essere di nuovo ambiziosi e, di
fronte alla sfida di una globalizzazione minacciosa, dobbiamo saper tro-
vare la via del dialogo e la creativit dellintelligenza.
Islamabad, 19 Agosto 2008
S.E. VINCENZO PRATI
AMBASCIATORE DITALIA IN PAKISTAN
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PREFAZIONE
Queste pagine sono state meditate a lungo tra la primavera e lau-
tunno del 2007. La loro prima versione, originariamente pensata come
lungo articolo, stata poi rielaborata in questa forma durante il Natale
dello stesso anno e conclusa nellestate del 2008.
Si tratta di pagine nate sulla scorta di venti e pi anni di lavoro
come archeologo nella valle dello Swat. Non si tratta per di un libro di
archeologia; le pagine dedicate alla storia di questo Paese sono pi che
altro intese come introduzione ai processi attualmente in corso. Chi vorr
farsi unidea pi approfondita, e ovviamente pi critica e articolata, del-
le questioni relative alla pre-protostoria e alla storia antica e medievale
dello Swat, trover nella Bibliografia qualche utile indicazione.
Non si tratta di unanalisi geopolitica pura; non vi si trover una
discussione ragionata e compiuta della legislazione e dei trattati che han-
no costituito lossatura normativa (spesso ex post) delle iniziative e dei
fatti politico-militari. Anche in questo caso sono stati indicati dei buoni
testi su cui formarsi unidea personale.
Non si neppure voluto scrivere un instant book sulla cronaca
recente del Pakistan o di quella sua turbolenta Provincia nota come
North-West Frontier, di cui lo Swat un distretto non secondario. I
dati storici, geopolitici, di cronaca, qui presentati hanno solo la funzione
di costruire un quadro di lettura del presente stato delle cose morfologica-
mente coerente, e ipotizzarne la prognosi.
Nellarchitettura del libro ho creduto poi opportuno inserire qua e l
stralci da miei diari. Il lettore spero vorr essere indulgente verso quelle
personali digressioni fuori dai confini stilistici, che usualmente si richie-
dono ad un opera tutto sommato storica. Credo per che quelle memo-
rie, almeno lo spero, contribuiscano a vivificare, a rendere tridimensio-
nali, la descrizione degli eventi, dei luoghi e delle persone.
Lo Swat rappresenta un mondo a s e al tempo stesso un frammento
significativo di tre entit politico-amministrative e culturali: il Pakistan,
la sua North-West Frontier e lAfghanistan. Un frammento che un settore
estremamente attivo della cultura italiana ha profondamente studiato.
Un frammento animato, abitato, vissuto da uomini. Costoro sono oggetto
da sempre di un multiforme pregiudizio. Quello nato per spiegare le
ragioni della loro irriducibilit al fardello del colonialismo britannico,
quello nato sulla scorta degli eventi russo-afghani, quello, infine, seguto
agli eventi dellultima guerra anglo-afghana, che rappresenta uno dei
fronti di quella che un teorico dello scontro di civilt, N. Podhoretz, ha
provocatoriamente e significativamente chiamato World War IV.
Che cos allora questo libro? In ultima analisi esso vuole essere un
atto di gratitudine verso quel popolo, parziale saldo di un debito morale e
scientifico.
* * *
Il sentimento di gratitudine qui espresso si intende esteso a tutti colo-
ro che, in Europa e in Asia, hanno nel tempo contribuito, con discussio-
ni, approfondimenti e semplice amicizia, allelaborazione delle pagine che
seguiranno. Citarli tutti sarebbe lungo; verr quindi evitato, con ci
evitando loro anche il rischio di essere legati a idee e conclusioni di cui
lautore unico responsabile.
Cinque soli nomi voglio qui citare, a parte i colleghi della Missione,
pi volte menzionati nelle pagine che seguiranno.
Gherardo Gnoli, Presidente dellIstituto di cui ho lonore di far parte,
del cui consiglio ho beneficiato spesso e che ha ospitato questo mio lavoro
nella collana da lui diretta; Matteo De Chiara, giovane amico linguista
e studioso della cultura pashtun, che ho portato nello Swat e che su que-
sto libro ha lavorato con attenzione; Pierfrancesco Callieri e Anna Fili-
genzi, che hanno portato me nello Swat la prima volta nel lontano 1987
e che hanno con cura rivisto le parti del libro di loro competenza; Benia-
mino Melasecchi, Direttore della Scuola di lingue e culture africane e
orientali e responsabile dellUfficio Pubblicazioni allIsIAO, il quale, oltre
ad avermi sopportato pazientemente, da sempre direi, come editor,
anche lamico che, al mio iniziale diniego di partire con lIsMEO per il
Pakistan, seppe dirmi la parola giusta.
Al momento di andare in stampa apprendo la notizia della scomparsa
di Domenico Faccenna: semplicemente, egli stato per me lamato Maestro.
L.M.O.
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NOTA
I proverbi pashtun riportati in epigrafe in questo libro sono liberi
adattamenti degli originali riportati da D.N. MacKenzie nellarticolo
intitolato Matalu
-
na (Proverbi) pubblicato nel 1982 in una miscella-
nea in onore di G. Morgenstierne (Monumentum Georg Morgenstierne, II,
Acta Iranica, 22, pp. 15-45, Leiden). Chi volesse conoscerne loriginaria
trascrizione e la traduzione letterale, nonch le questioni filologiche
annesse e connesse, potr trovare ampia soddisfazione in quel lavoro.
Il lettore avvezzo alle corrette romanizzazioni dei termini sanscriti,
iranici, ecc., mi scuser per aver omesso sempre i segni diacritici. Spesso
sono state quindi preferite le pi consuete forme singolari in alcuni ter-
mini pashtun (ad esempio khan, lashkar). I termini onorifici si trovano in
tondo, con liniziale maiuscola (Malik, Wali, Mehtar, ecc.) se apposizio-
ni, in corsivo negli altri casi (malik). Mi scuso infine per luso dei termini
kafiro e Kafiristan, oggi superati tra gli studiosi, nonch per luso di
trib e tribale, che considero astrazioni dellantropologia ottocente-
sca: in entrambi i casi ho preferito questi termini per semplicit.
Gran parte delle notizie recenti sono state assunte di prima mano;
per le altre sono debitore alla stampa pakistana, in particolare ai quoti-
diani The Frontier Post, Dawn, Daily Times, ai mensili Herald, Jahangirs
Worldtimes, Newsline, e al settimanale The Friday Times; ai loro archivi on
line rimando il lettore volenteroso.
Per i titoli Il fattore umano, [Il Buddhismo al] centro del pote-
re, Tempo di uccidere e Da archiviare per uso futuro, e per la
locuzione vie dei Canti, sono chiaramente debitore, nellordine, ver-
so G. Greene, R. Bianchi Bandinelli, E. Flajano, R. Kipling e B. Chatwin.
Infine, alcune delle persone citate in questo libro non avranno il
piacere di leggere il proprio nome per esteso, cos da poter dire come
ad Azincourt Io cero!. Mauro, Roberto, Emanuele, Luca, Alessandro
sono rispettivamente M. Nascari, R. Micheli, E. Morigi, L. Colliva e
A. Censi. Anna, Pierfrancesco e Massimo sono ovviamente A. Filigenzi,
P. Callieri e M. Vidale. Maurizio sar sempre Maurizio Taddei; Domenico
ovviamente Domenico Faccenna, che spero apprezzer questo libro
ovunque egli si trovi ora.
Fig. 1 - Le Tribal Areas al confine afghano-pakistano. ( Khyber.org).
INTRODUZIONE
[...] vederli camminare sui loro monti, dritti tranquilli,
il fucile sulla spalla, gli occhi grigi, le facce grifagne:
non ho mai visto scritto cos chiaramente sulla fronte
di nessuno, sono libero, sono indipendente. Questo
mostro senza piet che la nostra civilt finir per
travolgere anche loro; ma sar un peccato [...].
(Quaroni 1965)
Negli ultimi anni, grazie purtroppo alle cronache dei fatti
militari, il lettore italiano si sempre pi familiarizzato con
larea di confine tra i moderni Stati dellAfghanistan e del Paki-
stan. I due Stati sono separati da un confine che corre lungo la
demarcazione nota come linea Durand, stabilito dai Britannici
alla fine del XIX secolo. Il retroterra orientale della linea
(oggi in Pakistan) costitu la cosiddetta North-West Frontier Prov-
ince del British Raj, cui corrispondeva ai confini opposti la
North-East Frontier Province. La Repubblica Islamica del Paki-
stan, senza avere pi questultima, ha conservato la denomina-
zione NWFP per la sua quarta provincia (quinta con le Northern
Areas). Nomen omen.
La linea Durand non rappresenta la serie di punti sulla quale
i due Stati si siano attestati. La linea oltretutto non stata mai
ratificata dallAfghanistan, che anzi lha ripetutamente denuncia-
ta, anche recentemente. Si tratta piuttosto di un residuo storico
legato alle vicende che hanno preceduto e concorso alla sua
nascita. Una temporanea linea di faglia quindi, attraversata da
inevitabili fenomeni di osmosi antropica. Che tali fenomeni rive-
stano carattere commerciale o culturale, ovvero rappresentino
fonte di incertezza, fatto legato spesso a problematiche di inte-
resse eurasiatico. Di ci si ritrovano importanti tracce nella storia
antica e recente della regione, in particolare in una sua area-
chiave, oggi come allora: lo Swat.
Il distretto dello Swat si trova nella NWFP, nel Pakistan set-
tentrionale. Confina a sud con la Malakand Agency (parte delle
PATA, Provincially Administered Tribal Areas) e col distretto del
Buner, a est coi distretti di Shangla e Indus Kohistan, a nord con
il distretto di Chitral e le Northern Areas, a ovest col distretto di
Dir e la Bajaur Agency. Questultima fa parte delle FATA (Feder-
ally Administered Tribal Areas, ovvero i territori tribali lungo il
confine con lAfghanistan fino al Baluchistan).
Nel distretto dello Swat abitano circa due milioni di individui
in gran parte appartenenti al ramo yusufzai della nazione (intesa
come natio) pashtun. Nellalto Swat abitano genti di ceppo kohi-
stano, di lingue dardiche, Torwalak e, in misura minoritaria,
Khowar, Bushkarik, ecc. Nelle aree alpestri risiedono tempora-
neamente comunit gujar, pastori semi-nomadi parlanti Hindko,
in corso di sedentarizzazione, non senza conflitti, soprattutto nel-
le valli sud-occidentali dello Swat.
Lo Swat, come entit geografica, si sviluppa su un territorio
di circa 2.000 chilometri quadrati in gran parte costituito da
unampia valle fluviale e dai suoi affluenti. La valle principale
chiusa a nord dai monti dello Swat-Kohistan dai cui ghiacciai ori-
gina il fiume Swat. Le cime maggiori dello Swat Kohistan sono il
Falak-sar (m. 6.257) e il Mankial-tsukai (m. 5.725).
La valle termina in una piana conchiusa a Malakand, dalla
quale il fiume Swat sfugge grazie a un percorso in strette gole
dopo essersi congiunto con il Panjkora nelladiacente distretto di
Dir. A valle delle gole, lo Swat scorre nella piana di Peshawar
(Lower Swat) e si immette nel fiume Kabul presso Charsada. Alla
testa della valle, a monte del tridente vallivo di Ushu, Utrot e
Gabral, difficili percorsi permettono di raggiungere il passo di
Shandur, e da qui a ovest la valle di Mastuj (Chitral) nellHin-
dukush, ovvero ad est la valle del Ghizar verso Gilgit nel Karako-
rum. Pi agevoli sono i percorsi che collegano lalto Swat allIn-
dus Kohistan, a oriente (in particolare tramite la valle di Kandia
e pi a sud tramite lattuale strada del passo di Shang-la), e al Dir
a occidente.
Le vie di transito del medio corso dello Swat guardano tutte
verso oriente, al Buner e alla Malakand Agency, e attraversano
quella dorsale continua che scende verso sud-est degradando dai
4.000 ai 1.500 metri di altezza, fino al bastione di Malakand, oggi
percorso da unimportante arteria commerciale. Lunico accesso
da occidente permesso dalla valle del Panjkora, risalendo la
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quale sono numerosi i percorsi e le strade che la mettono in
comunicazione con lodierno distretto di Kunar nellAfghanistan.
Dal punto di vista geologico lo Swat rappresenta uno di quei
punti nevralgici del mantello della Terra, quasi che il panorama
geologico rappresenti simbolicamente il destino storico della val-
le, quasi ne fosse, goethianamente, losteologia. Lungo il corso
del fiume passa la linea di sutura tra la zolla continentale eurasia-
tica e lantica isola continentale indiana. Il paesaggio litologico
cambia repentinamente dalle falesie degli affioramenti calcarei
agli impressionanti rilievi di granito e gneiss. In mezzo, risalgono
in superficie gli affioramenti del basalto dellantico Oceano,
metamorfosato nel meraviglioso scisto verde, blu, grigio, viola, la
pietra resa celebre dagli scultori dellarte del Gandhara.
In breve, lo Swat quel che si dice un isolato geografico in
senso latitudinale e, al tempo stesso, un corridoio di transito lon-
gitudinale. Una valle anomala rispetto alle disposizioni orografi-
che delle altre maggiori valli fluviali tra Hindukush e Karako-
rum. Anche in senso climatico e morfologico essa mostra delle
caratteristiche differenti dalle valli circonvicine, avendo essa pi
le caratteristiche fisiche di una pianura di montagna, piuttosto
che quelle di una valle torrentizia. Queste caratteristiche ne
devono aver fatto unarea privilegiata per linsediamento gi a
partire dal Pleistocene: ne sono prova inconfutabile i recenti
ritrovamenti di industria litica paleolitica. Questi ritrovamenti
ancora rappresentano un mistero, in quanto connettono la valle
con le aree climaticamente pi favorite che si affacciano a sud
sulla piana del fiume Kabul, in unepoca in cui si ritiene che lo
Swat non avesse ancora raggiunto le favorevoli condizioni clima-
tiche attuali. Durante lOlocene lo Swat assumer un ruolo di
primo piano nello sviluppo dellagricoltura. Poco si conosce del
suo Neolitico antico, anche se recenti ritrovamenti di frammenti
di strutture monumentali in pietra sembrano includere lo Swat
tra le aree privilegiate dellEurasia preistorica. Certo che lo
Swat fu una delle prime regioni del Sub-continente indiano a
essere raggiunte dalla diffusione del riso dalla Cina, nel Neoliti-
co recente. Esso un isolato geografico, che per ha svolto nel
tempo un ruolo di via di transito: non a caso Giuseppe Tucci inti-
tol La via dello Swat il suo saggio, pubblicato nel 1963, sulla sto-
ria e sul costume di questa regione.
Nel corso dellultimo secolo la valle dello Swat ha svolto un
ruolo importante nella storia di questa parte dellAsia. La valle
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stata inaccessibile per via diretta dalla piana di Peshawar, fino a
quando i Britannici non ampliarono nel 1895 la strada di
Malakand. Questa serv a raggiungere la valle del Panjkora e
quindi il Chitral e da qui, tramite il passo di Shandur, Gilgit. Si
pot cos costruire una connessione sicura tra le guarnigioni di
stanza lungo la Grand Trunk Road (che collegava Kabul, o
meglio il passo Khyber, con Calcutta) e i principati del Karako-
rum e dellHindukush, controllati dagli agenti britannici. La rea-
lizzazione di questinterfaccia strategica avvenne nel quadro del-
la costruzione della linea Durand. Fu resa efficace nel tempo
grazie alla progressiva pacificazione degli Yusufzai dello Swat,
fino a che questi, circostanza del tutto eccezionale, si trovarono
ad essere inquadrati in uno Stato centralizzato sotto il dominio
della dinastia Miangul (Yusufzai State of Swat) indipendente fino
al 1969. Nella sua massima espansione (1949) questo corrispon-
deva agli attuali distretti di Swat, Shangla e Buner. La pacificazio-
ne politica dello Swat fu vitale per salvaguardare questo impor-
tante settore della struttura a domino, con cui la Corona
controllava i confini dellIndia verso lAsia centrale.
Lo Swat stato quindi sempre uno snodo geopolitico crucia-
le: gli ultimi eventi sottolineano in modo drammatico la veridi-
cit di questa proposizione.
Analizzare questa proposizione e svilupparla il compito che
si propongono le pagine che seguono.
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LE VIE DELLA STORIA
Era una guerra tra falchi
e la colomba ci capit in mezzo.
Proverbio pashtun
(MacKenzie 1982: nr. 12)
Fig. 2 - Carta della frontiera nord-occidentale del Pakistan. (Da Barth 1995: 19).
IL FATTORE UMANO
Saidu Sharif, 10 ottobre 1990
La prima volta che arrivai nello Swat era la tarda estate del 1987.
Nei mesi precedenti, dopo un iniziale mia riluttanza a partecipare a
quella che sarebbe stata una delle esperienze umane fondamentali della
mia vita, la preparazione fu intensa e febbrile. Letture, incontri, acquisti,
vaccinazioni, lultima fibrillazione per un passaporto che rischiava di
arrivare tardi, linevitabile ritardo nella clearance del Department of
Archaeology, precedettero la partenza. Larrivo nella valle fu una delle
ultime volte che si prese il volo, allora quotidiano, da Peshawar fu velo-
ce, circa una quarantina di minuti, 24 ore dopo aver lasciato Roma.
Limpressione della valle dallalto fu intensa, anche se quasi non ne
conservo memoria, dallinterno del Fokker a elica che rumoreggiava nel
cielo di mezzogiorno. Un sole accecante ci accolse una volta scesi dal-
laereo. Cielo azzurro, una volta e con ragione si sarebbe detto smaltato.
Alluscita dal campo daviazione, oltre la rete metallica ci aspettava una
Land Rover passo lungo benzina modello 1962, con il rimorchio, un car-
rello carico di canestri colmi di ceramica, ognuno col suo cartellino (data
ambiente strato), affastellati come mercanzia in mostra al bazaar. Quel-
la macchina rumorosa, non lo sapevo allora, sarebbe poi stata la mia
compagna, quasi sempre fedele, di tanti anni di lavoro. Erano venuti a
prenderci Anna e Pierfrancesco, che erano l da due settimane e avevano
avviato lo scavo a Barikot. Dallo scavo infatti venivano e portavano con
loro unaria polverosa e abbronzata, un po guascona, la stessa che avevo
sempre immaginato vivere dentro le foto in bianco e nero degli scavi dan-
teguerra in Nord Africa e Mesopotamia.
Sedetti a fianco dellautista dallora, Fazal Mabud, a cavallo della
leva del cambio, lasciando il posto di cortesia, vicino al finestrino lonta-
no dallautista, a quella che per molti anni sarebbe stata lunica mem-
saheb (signora) della Missione, Anna. Il percorso verso casa fu lento,
sbuffante, ostacolato da carretti, dal passaggio delle mandrie di bufali,
da una moltitudine di passanti che si incrociavano veloci e concentrati
nelle vie del bazaar, da riksci, camion colorati, biciclette. Insomma
allimprovviso (colori rumori suoni odori folla) ero arrivato in Oriente.
Quel primo anno di lavoro nello Swat fu straordinario. Sullo scavo,
a casa, noi pi giovani ci ripetevamo, con cadenza apotropaica, che
comunque quella sarebbe stata la nostra prima ed unica esperienza in
Asia. La speranza, neppure troppo segreta, era quella di ritornare.
Un pomeriggio di ottobre lautunno nello Swat struggente
Anna ed io fummo convocati nella stanza di Domenico Faccenna. Dome-
nico sedeva al tavolo da studio, circondato da pile di carte disegni libri.
Le tende di lana decorate a fasce orizzontali rosse blu bianche erano tirate
e nella stanza, illuminata dalla luce da tavolo (lampade di alluminio
con lo stelo flessibile, la Missione ne era piena), gravava una silenziosa
penombra. In quella stanza non ero mai entrato, solo i famigli e Pierfran-
cesco erano ammessi a disturbare quella studiosa solitudine. Domenico lo
vedevamo solo allora dei pasti, rituali, composti e conclusi solo al suo
congedo, a seguito del quale tutti si alzavano e riponevano le sedie in
paglia di Vienna sotto il tavolo da pranzo. Anna ed io uscimmo da quel
colloquio entusiasti, con la luce negli occhi.
Il venerd successivo cominciammo quel lavoro di ricognizione sui
rilievi rupestri buddhisti che completai poi solo cinque anni pi tardi. Il
giorno libero dallo scavo si partiva di buonora a documentare quelle elo-
quenti immagini che sorridevano enigmatiche da mille anni sulle rocce
dello Swat.
Fu cos che cominciai a conoscere da vicino la valle e i nostri operai.
Lontani dalla gerarchia dello scavo (appello scavo paga) davano, sul
piano umano, il meglio di loro. Sempre rispettosi, efficienti, capaci, in
ricognizione diventavano ospiti attenti ad ogni nostra esigenza, anche
quelle impossibili. Cera sempre dellacqua, un frutto, lombra di un albero,
se non addirittura un pranzo improvvisato in mezzo alle montagne. Un
pollo, dello yoghurt, del riso portati su piatti di stagno apparivano
improvvisi sul capo di file di ragazzini che ci venivano incontro, sempre
al momento giusto, nei luoghi pi imprevedibili. Le nostre ricognizioni
erano come seguite da un passa-parola che non ci lasciava mai soli, sen-
za che da ci ci sentissimo condizionati, semmai benvoluti. Ci al presen-
te ci confortava, ci faceva sentire bene, senza sapere quanto quellaffetto
avrebbe in realt influito sul nostro diventare adulti.
A dicembre di quellanno ho ancora delle tazze superstiti del servi-
zio cinese che mi regal Mauro per il mio venticinquesimo compleanno
rimanemmo solo in due, lui ed io. Nellincipiente inverno cominciammo
le operazioni di chiusura della casa. Si pagavano i bakhshish (mance)
agli operai, che venivano in processione la mattina presto e aspettavano
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fuori in cortile sotto i grandi platani, accoccolati sui talloni, in cerchio
a bere il the che finissimo i nostri caff e fumassimo le nostre sigarette
mattutine in sala da pranzo. Eravamo soli, Domenico non cera, lo scavo
era terminato e ce la prendevamo un po pi comoda.
La sera, faceva ormai freddo, si accendevano le stufe, talvolta i
camini e ci si preparava alla partenza. La chiusura del frigorifero e il
service alle due Land Rover indic larrivo dellultima sera. Con flem-
ma studiata il capo-famiglio Akam Khan (che cera dai tempi di Tucci),
forbici, sigillatrice e fiammiferi, chiudeva ad una ad una le stanze e le
sigillava: la stanza degli ospiti (la memsaheb, lambasciatore di turno),
la biblioteca, l hospital (la stanza del restauro), i godowns (magaz-
zini) della ceramica e delle macchine, infine la dispensa, le nostre stanze.
Ci eravamo gi trasferiti nellala della sala da pranzo. Il mattino dopo,
gli operai chiusero le nostre casse e ci portarono fuori gli zaini. Gli ultimi
sigilli, saluti (virili, segnati da forti abbracci non immuni da commozio-
ne) e poi salimmo in macchina. Quellanno Domenico non voleva che si
prendesse la corriera, cerano stati sanguinosi attentati ai capolinea a
Peshawar, che i giornali (il Khyber Mail, il Frontier Post) attribuiva-
no indirettamente ai Sovietici. In pi avevamo qualche rupia in tasca.
Ceravamo comportati bene io e Mauro, aveva detto Domenico dandoci
una busta con un fascio di banconote malconce e le sue lettere di presen-
tazione: Andate a Lahore, vedete Taxila e, mi raccomando, il museo di
Peshawar.
A Lahore, Mauro ed io ci separammo allalba, lui verso laeroporto
per andare in India, io verso la stazione per prendere laccelerato per
Taxila e Peshawar. Guardavo la pianura alitare la bruma notturna al
primo calore del sole dietro le sbarre orizzontali del finestrino senza vetri
della carrozza. I sedili erano duri, di legno, limpiantito aveva liste di
ghisa zigrinata come i gradini nella metropolitana di Londra. La corsa,
lenta e monotona sullo scartamento allindiana. Con regolarit si alterna-
vano boschetti di acacie spinose, villaggi polverosi, dirute garitte britan-
niche, stazioni in legno a veranda bianche come club-houses. Il ponte
di Attock (non vi azzardate a fotografare, aveva ammonito Domenico),
la stazione di Peshawar, replica in mezzo allAsia della King Cross Sta-
tion con le sue centine in ferro traforato. Sulla tanga tirata da un caval-
lo bianco, entrando nella citt di Kim come un saheb daltri tempi, recli-
nato sullo schienale a fumare, desideravo ormai solo tornare a Roma.
Quella terra mi aveva ormai preso per sempre e quindi, per ora, poteva
lasciarmi andare.
Dopo tanti anni quelle prime impressioni sono ancora qui, vive come
allora, anche perch sempre via via rivissute, anno dopo anno. Ricordo
21
quasi ogni mio arrivo a Peshawar, le contrattazioni con gli autisti per
affittare lauto per lo Swat, larrivo a casa, il bel bungalow nello stile
anglo-indiano tipico delle costruzioni governative dello Stato dello Swat.
Si arrivava impolverati dopo il passo di Malakand, e ricordo le tante pri-
me notti nella casa appena aperta, quasi a stomaco vuoto. Le ultime not-
ti, quando il silenzio delle stanze improvvisamente svuotate dogni segno
di umana presenza amplificava nella notte ogni pi piccolo scricchiolo:
un mobile antico, il frusco dun geco, il cigolo del letto di corda. Le mat-
tine del venerd: nel fresco silenzio duna giornata azzurra e fredda (spes-
so soffiava la tramontana) gli uccelli gareggiavano con chioccol, schioc-
chi, trilli, numerosi tra gli alberi del giardino, come nel fondo duna
foresta tropicale. Ricordo la vivacit della Missione a pieno regime, con le
alzatacce, alle quattro, per mesi e mesi. Il rito dello scavo. Le sere a discor-
rere, fuori in estate, dentro la stanza da disegno in inverno. Le lunghe
ricognizioni, le rare amicizie coi pochi residenti occidentali a Saidu Sha-
rif. Le visite dobbligo a Peshawar, a Islamabad, Karachi (ambasciata,
dipartimento). Le notti in montagna seduti sui sacchi a pelo insieme ad
un amico, Arshad, o agli operai, guide ma anche fratelli maggiori,
Zamani e Akhtar Manir. Le scarpinate notturne sul greto asciutto dei
torrenti in estate per ritornare alla macchina alla luce della luna, i
richiami degli sciacalli. I conti sudati al centesimo con Fazal Wahid, il
migliore chief accountant che si possa immaginare. Lacquisto di un
altro mobile per casa dallantiquario afghano (che dir Domenico?). I
piatti del servizio Tucci, quello buono, da integrare (si trovano solo a
Peshawar, sosteneva a ragione Akam Khan). Le michelangiolesche
meditazioni dellimbianchino sul colmo delle impalcature di bamb den-
tro casa. Poi ancora il lavoro fino a tardi, lo studio silenzioso in bibliote-
ca. La costruzione della casa per i custodi sullo scavo, di un muro di
sostegno per la terra di riporto, il passo indietro davanti ad un cobra, la
riparazione dei canali di scolo; la pulizia rituale dei cassoni sui tetti, su
cui si saliva preceduti da sereni richiami dallarme per i ginecei dei vici-
ni. Gli inviti il venerd a palazzo, dal Wali e poi dal Waliahad. Il rito
della cioccolata da noi portata in dono ogni anno, anno dopo anno, al
dottor Najib (ma la mangiava poi?). A volte ci incantavamo in atti che
si ripetevano per decenni, magari nati da una richiesta innocente (come
le scarpe italiane per il Waliahad e le riviste per il professor Shah Alam
Khan).
A fianco di questo sereno metronomo, sotto il cielo smaltato dello
Swat, molti dei protagonisti compivano il ciclo della loro vita, altri appa-
rivano, la valle cambiava e nuove nubi si affacciavano allorizzonte,
non tutte serene.
22
LA MISSIONE ARCHEOLOGICA ITALIANA
Ero entrato a far parte della Missione archeologica italiana
dellIsMEO in Pakistan.
Questo signific sin da subito essere parte di un grande pro-
getto scientifico. Un progetto reso ancora pi importante dalle
ragioni che Giuseppe Tucci seppe imprimere sin dallinizio a
questa sua creazione, nata al culmine della sua stagione di esplo-
ratore e studioso dellAsia. Il primo decennio dopo la fine della
II Guerra Mondiale rappresent nellopera di Tucci la sintesi
operativa tra le sue grandi esplorazioni trans-himalayane e la sua
profonda cultura classica. Dallincontro tra le vestigia letterarie
dellepopea di Padmasambhava, il diffusore del Buddhismo nel
Tibet, originario dellUddiyana (Swat) e quelle di Alessandro
Magno, nacque lidea fondante della Missione. Essa non fu che il
primo grano della collana di iniziative con cui Tucci disegn i
compiti dellIsMEO nel dopoguerra. Un IsMEO da lui ideato nel
1933, ma di cui ora ereditava la Presidenza dopo lassassinio
del suo primo Presidente, Giovanni Gentile. In quegli anni, alla
Missione in Pakistan seguir lapertura nel 1957 di quella in
Afghanistan, nel 1959 di quella in Iran.
Nel 1955, Tucci condusse una missione esplorativa insieme a
Raoul Curiel, Advisor del nascente Department of Archaeology
del Pakistan (bella figura di studioso e gentiluomo cosmopolita),
Waliullah Khan, direttore del Northern Circle di questultimo, e
Felice Benuzzi, un altro gentiluomo daltri tempi, grande diplo-
matico, lautore di Fuga sul Monte Kenya, allora Primo Consigliere
a Karachi. Al rientro a Karachi, Giuseppe Tucci sigl gli accordi
che portarono lIsMEO alla prima licenza di scavo triennale nello
Swat. Lallora indipendente Yusufzai State of Swat (che chiamer
anche lo Stato) era governato da S.A.R. Miangul Jahanzeb, il
cui padre e fondatore dello Stato, Badshah Saheb, aveva ospitato
nel 1929 la breve missione di un altro grande dellarcheologia
orientalistica, Sir Aurel Stein. Il ruolo di S.A.R. fu determinante
per lavvio e il mantenimento dellattivit della Missione fino al
1969, quando lo Swat entr a far parte del Pakistan.
Sarebbe interessante analizzare i presupposti che portarono
lItalia a conquistare il primato nelle relazioni culturali con il
Pakistan a nemmeno dieci anni dalla nascita dei due nuovi Stati
dalle ceneri di eventi drammatici come la fine del British Raj e la
II Guerra Mondiale. Un primato che si rese evidente gi con la
conquista del K2 nel 1954, vincendo una concorrenza in cui
lItalia sembrava partire svantaggiata, nonostante la primaria
tradizione geografica e sportiva che vantava nel Karakorum
(grazie alle spedizioni del Duca degli Abruzzi del 1909 e del
Duca di Spoleto del 1929).
Unaltra manifestazione di questo primato si ebbe quindi
con la concessione allItalia del permesso di scavo nello Swat, il
primo ad una missione straniera in Pakistan. Se vero che ai due
succitati eventi contribu non poco il nome dei loro due propu-
gnatori, Ardito Desio e Giuseppe Tucci, va anche sottolineato
che le relazioni tra i due futuri Stati avevano radici pi lontane.
Forse non un caso che, in piena guerra, lItalia fu, tra le poten-
ze europee, la prima a prendere sul serio lipotesi Pakistan, tra
le diverse opzioni che si affastellavano nelle cancellerie riguardo
al futuro assetto dellImpero britannico. Ne sono prova alcuni
documenti, alcuni rapporti, che trovarono ampio credito presso
la nostra diplomazia gi dal 1942 e che sono stati recentemente
da me sottolineati (in Outline History of the IsIAO Italian
Archaeological Mission in Pakistan, vedi la Bibliografia in fondo
al volume).
Che quei rapporti fossero letti e discussi nellambito di un
Ministero Affari Esteri impegnato a sostenere una particolare
politica nazionale, non deve far sottovalutare la loro portata
anche per gli anni futuri. Alcuni di questi documenti furono
redatti dallallora nostro Plenipotenziario a Kabul, il grande
diplomatico Pietro Quaroni, altri dallallora rappresentante per
lEuropa del Ghadar Party, M. Iqbal Shedai, segretario della
Societ Amici dellIndia affiliata allIsMEO e futuro diplo-
matico pakistano. I nomi coinvolti nella valutazione positiva del
piano Pakistan sono estremamente significativi, anche in vista
della sostanziale continuit di intenti, che ha caratterizzato la
definizione delle linee-chiave della nostra politica estera in Asia.
Negli anni 60 la Missione, inizialmente guidata da Tucci stes-
so, affront nello Swat un variegato ed ambizioso programma di
24
lavoro, di cui si realizzarono appieno solo le direttive storico-
archeologiche.
Il contributo dato dallIsMEO al primo tentativo di innesto
con cultivar europee delle foreste di olivi selvatici, nonostante la
formazione di quadri agronomi in Italia, segn una definitiva
battuta di arresto dopo lannessione dello Swat al Pakistan nel
1969. Recentemente questo progetto, stavolta esteso a tutta la
North-West Province, stato nuovamente proposto dal governo
pakistano alle autorit italiane.
Sul piano dello sviluppo turistico delle aree di montagna, la
Missione diede il suo contributo, inizialmente con la ricognizio-
ne dei monti dellalto Swat chiesta da Tucci allallora giovanissi-
mo Carlo Alberto Pinelli (spedizione SuCAI del 1964). A questa
sarebbe dovuta seguire la pubblicazione di una guida escursioni-
stico-alpinistica dellalto Swat, che per motivi vari non vide mai la
luce (lo stesso Pinelli mi ha confidato lanno scorso la sua inten-
zione di ritornare su quellantico progetto). Questo ramo delle
attivit della Missione si inseriva nel quadro della promozione
dellarea di Kalam a polo turistico, come inevitabilmente poi
avvenuto, ma purtoppo con quei danni ambientali e paesaggisti-
ci che si sarebbero potuti evitare.
La promozione delle aree di montagna si intendeva infatti
accompagnata dalla promozione e dalla protezione della cultu-
ra dellartigianato ligneo, cui Tucci teneva in modo particolare.
Oggi purtoppo i saperi artigianali stanno scomparendo insieme
alle fonti di materia prima (le foreste di cedro deodar oggetto di
tagli dissennati dopo la fine dello Stato) e alle manifestazioni di
unabilit che spesso trapassa dallartigianato allarte. Ci si rife-
risce alle moschee e alle abitazioni in legno, perlopi demolite
in anni recenti per essere vendute in pezzi (colonne, porte,
verande) sul mercato darte occidentale e giapponese, sostitui-
te dalle pi improbabili forme del modernismo architettonico
in calcestruzzo. Negli anni 60 (si noti la data) furono organiz-
zati dei lunghi soggiorni di artigiani di area ladina (tra i quali
vorrei ricordare Alfred Vallazza di Ortisei) per condurre labo-
ratori di formazione, anche in vista della creazione di un indot-
to commerciale a questa attivit, come da decenni avveniva
appunto con lartigianato altoatesino e tirolese. La Missione ha
poi continuato a studiare lartigianato e larchitettura lignea
dello Swat, attraverso le ricerche condotte dagli Scerrato, padre
e figlia.
25
Larcheologia, tra il 1956 e la met degli anni 60, focalizz la
propria attenzione sui siti menzionati dagli Alessandrografi, con
lo scavo di Ora, Udegram, diretto da Giorgio Gullini, e sui gran-
di santuari buddhisti della valle di Mingora: Butkara I, Panr I e
Saidu Sharif I. Questi furono scavati sotto la guida di Domenico
Faccenna con la collaborazione del giovane Maurizio Taddei, pi
tardi Direttore della Missione in Afghanistan, e poi di quella in
Pakistan. Nel 1977 fu chiamato a Saidu Sharif I il giovanissimo
Pierfrancesco Callieri, attuale Direttore della Missione, nonch
di altri importanti progetti in Iran.
Dai lavori nei tre santuari buddhisti provengono migliaia di
sculture di arte gandharica. Queste collezioni rappresentano
degli unica per il loro valore scientifico, in quanto tuttoggi sono
le sole corredate di un record archeologico affidabile, mancante
viceversa ad altre collezioni (che raccolgono pezzi provenienti da
ritrovamenti occasionali, dal mercato antiquario, da collezioni di
militari britannici, ecc.). I due Musei di Roma e Saidu Sharif
(il Museo Nazionale di Arte Orientale, ora Giuseppe Tucci, e
lArchaeological Museum of Swat), che ospitano gran parte di
queste sculture, nacquero entrambi su impulso della Missione,
quello di Saidu Sharif con la piena collaborazione delle autorit
del Pakistan.
Dopo il 1966, pur continuando le attivit precedenti, la Mis-
sione, sempre sotto la Direzione di Domenico Faccenna, si con-
centr anche sullarcheologia delle fasi preistoriche e protostori-
che, portando alla luce le necropoli e gli insediamenti delle
culture che dal Bronzo tardo allet del Ferro si sovrapposero
nello Swat, fino allarrivo di Alessandro Magno. Le ricerche pre-
protostoriche, dopo lavvio dato da Chiara Silvi Antonini, furono
portate avanti con straodinaria costanza da Giorgio Stacul e, per
un decennio circa, anche da Sebastiano Tusa, che si concentr
sullo scavo dellabitato di Aligrama.
Dal 1984 in avanti tra i progetti fondamentali c stato lo sca-
vo (affidato a Callieri) della citt indo-greca di Bazira a Barikot,
menzionata dagli storici di Alessandro, e delle sue fasi successive
fino a quelle islamiche. Lo scavo di Barikot fu il laboratorio di
studio dove si ciment una nuova generazione di collaboratori,
tra i quali voglio ricordare Anna Filigenzi.
Negli stessi anni si svolse lo scavo della terza pi antica
moschea del Pakistan, la pi antica del nord del Paese, quella di
fondazione ghaznavide a Udegram, sotto la guida di Umberto
26
Scerrato con la collaborazione di Francesco Noci, Alessandra
Bagnera, Roberta Giunta, Nicola Olivieri e Danilo Rosati. Negli
anni pi recenti, dopo la prematura scomparsa di Maurizo Tad-
dei, la Missione, sotto la guida di Pierfrancesco Callieri ha in cor-
so numerose altre ricerche, mentre continua lo scavo di Barikot:
la Carta archeologica dello Swat, in parte gi pubblicata, lo stu-
dio dellinaspettato patrimonio di arte rupestre (ripari dipinti e
incisioni), che risale allet del Bronzo, le ricerche etno-archeo-
logiche.
La Missione italiana stata la prima missione straniera a lavo-
rare in Pakistan; la pi longeva tra le missioni straniere in Asia
attualmente in attivit; stata la prima missione italiana oltre i
territori del Vicino Oriente pi noti alla nostra tradizione di stu-
di. Fatto di grande importanza, che va giustamente sottolineato,
che tutta la sua attivit scientifica pubblicata o in corso di pub-
blicazione in oltre 500 titoli, in gran parte in lingua inglese, in
prestigiose riviste internazionali o nelle serie dellIsMEO/IsIAO,
come la Serie Orientale Roma, i Reports and Memoirs, o nel
periodico East and West.
27
Fig. 3 - Carta generale dello Yusufzai State of Swat. ( Khyber.org).
LA MAYA DELLARCHEOLOGO
Il lavoro di scavo inizialmente mi vide concentrato sul sito di
Barikot. Quasi subito, come ho detto, Domenico mi coinvolse
nella ricognizione delle sculture rupestri dello Swat, poi nella
ricerca sulle antiche cave di scisto, la pietra utilizzata per le deco-
razioni architettoniche e scultoree degli stupa. Dal 1990 incomin-
ciai ad interessarmi allarte rupestre dello Swat, di cui solo allora
cominciavano a emergere le prime testimonianze. A lungo mi
sono interrogato su come si arriv a scoprire lesistenza di un
panorama cos inaspettato di pitture e incisioni. Per spiegarlo,
mi servir di alcuni ricordi e alcune considerazioni.
Dopo i primi rinvenimenti, eravamo nel giugno del 1996,
ricordo di aver telefonato a Maurizio Taddei, che aveva assunto
la Direzione su richiesta di Domenico. Fu una telefonata a lungo
pensata, avevo per Maurizio affetto, ma allora soprattutto sogge-
zione: sapevo che ogni proposta, come ogni scritto, ogni conclu-
sione gli si fosse sottoposta, sarebbe stata valutata alla luce di
unacutezza critica inesorabile. Avrei compreso peraltro presto
quanto profonda fosse la sua humanitas, tanto che pochi, e tra
questi Domenico, hanno saputo incoraggiare i propri allievi (ed
io tra questi) e tirarne fuori le potenzialit nascoste quanto lui.
Trovato il coraggio, gli proposi per telefono, visto che quellanno
andavo in Missione da solo e non cera lo scavo, di poter docu-
mentare e studiare il sito rupestre di Gogdara I. Maurizio rimase
un po in silenzio, poi disse s.
Gogdara I unenorme parete verticale di marmo listato
lunga circa una dozzina di metri e incisa per gli oltre sei metri
daltezza con uno straordinario bestiario. Le due fasi delle inci-
sioni rappresentano il contrasto tra le due culture che le hanno
prodotte: la tarda et del Bronzo con grandi rappresentazioni di
animali selvatici isolati, stambecchi e felini, let del Ferro con
mandrie di cavalli e rappresentazioni di carri e stendardi. La
parete fu notata da Tucci nel 1956, presentata frettolosamente
ventanni pi tardi, ma mai documentata integralmente n stu-
diata. Per quasi due mesi mi mossi tra scale e fogli di polietile-
ne, tra riduzioni fotografiche e ricalchi a china, portando i quasi
80 metri quadrati di parete alle dimensioni di una tavola pronta
per la pubblicazione. Lavorai da solo, se non contiamo limman-
cabile aiuto di un paio di operai, ai quali si aggiunse il nostro
nuovo autista Ali, che rivel qualit alpinistiche superiori allec-
cellenza comune tra i Pashtun. Il risultato fu uno studio che cre-
do abbia aperto la strada alla ricerca sullarte rupestre dello
Swat e al tempo stesso compensato un debito con quella prima
scoperta, per la quale mai Tucci aveva trovato chi se ne volesse
occupare.
Come mai, mi domandavo per, dopo Gogdara non erano
stati trovati altri esempi di arte rupestre, ad esclusione di poche
pitture di et buddhista da me documentate nel 1990 e 1991?
Per quattro decenni la Missione si era concentrata sui grandi
scavi, da Butkara a Udegram, a Barikot, mentre lattivit di rico-
gnizione era stata, non dico sottovalutata, certamente per ridot-
ta. I pi continui in tal senso erano stati i colleghi che si occupa-
vano degli studi pre-protostorici (Giorgio Stacul e Sebastiano
Tusa) e dellarchitettura lignea tradizionale (Umberto Scerrato,
Francesco Noci e Nicola Olivieri), ma le loro ricerche si erano
concentrate pi che altro (ma non solo) verso lalto Swat, verso
Kalam.
Le mie ricognizioni sulle sculture rupestri buddhiste apriro-
no alle ricerche tutte le creste e i passi che mettono lo Swat in
comunicazione con le aree circostanti. Ma anche in quel caso si
sapeva che cosa cercare. Tra le valli battute in questa ricerca ve
nera una che, se era stata deludente per lobiettivo proposto,
aveva dato limpressione di nascondere qualcosa, il Kandak.
Parallela a questa era la valle di Kotah, lultima valle prima del
confine sud-occidentale del distretto. Qui mi ero imbattuto nei
primi ripari dipinti di epoca buddhista. Enormi massi di gneiss,
apparentemente gettati via gli uni sugli altri in grande numero
da forze cataclismiche (la forza dei ghiacciai pleistocenici, cre-
do). In questi si aprono cavit, nicchie, corridoi, prodotti dalla
forza dellerosione e stondati dai venti sabbiosi che soffiano a
queste altitudini nella soffocante stagione del pashakal (stagione
delle piogge). Allinterno di alcune, apparentemente per scelta
casuale, si trovano straordinarie pitture in ocra rossa, pi rara-
mente gialla o bianca.
30
Nel 2000 Massimo Vidale ed io cominciammo a organiz-
zare il lavoro per la Carta archeologica dello Swat (AMSV
Project), fortemente voluta da Domenico. Gravi eventi perso-
nali mi avrebbero tenuto quellanno lontano dalla valle. Con
Massimo quel settembre tenemmo una riunione veloce (come
ogni riunione con lui), in piedi, davanti al tavolo da disegno,
negli uffici della Missione a Roma. Prova ad andare nel Kan-
dak, potrebbero esserci delle sorprese, ricordo di avergli det-
to. Al ritorno, in novembre, mi mostr i disegni di tre straordi-
nari ripari, due senzaltro protostorici (i primi cos antichi, tra
questi lincredibile monumento di Sargah-sar, di cui dir pi
avanti), e unenorme messe di incisioni rupestri, vasche, com-
posizioni enigmatiche di coppelle. Queste sono piccole cavit
artificiali semisferiche realizzate sulle rocce, uno dei pi miste-
riosi segni delluomo, dal Paleolitico in avanti, dal Pacifico
allestremo nord dellAtlantico. Comera possibile, ribadisco la
domanda, che in tanti anni di ricerche questo straordinario
patrimonio fosse rimasto invisibile agli occhi degli archeologi?
Nei cinque anni successivi il numero dei ripari dipinti si molti-
plicher, e si sa che altri, tanti, non sono stati identificati, men-
tre le notizie sulla loro esistenza arrivano da altre valli, Jambil,
Saidu, dallIlam.
Si trova solo ci che si sa di cercare, si vede solo ci che si
gi pensato. Linevitabile cecit delluomo a ci che non si
aspetta di vedere rappresenta il fondamentale corollario al
metodo scientifico e dovrebbe essere ricordata, insegnata come
memento, nelle universit e nelle accademie. Grandezza vedere
ci che non si conosce. Infatti, camminando per le creste e i
passi, per anni, si vista la rovina di un santuario non la roccia
incisa debolmente al suo fianco. Vedere qualcosa al tempo
stesso non vedere qualcosaltro: si come giocati, distratti, dal-
levidenza sensoria, che nellattivit visiva giocoforza corrispon-
de allimmagine pre-pensata. Si guarda in terra alla ricerca del-
la preziosa ceramica nera dellet del Ferro e non si vede la
roccia antropomorfa che magari segnava in quel tempo le vie
dei Canti delle genti dello Swat, ragione ignorata del passag-
gio umano per quellangolo della valle. Si misura il podio diru-
to di uno stupa, e non si vede il monumento megalitico su cui
sorge: un enorme letto di gneiss istoriato da permutazioni di
coppelle. Non si vede come quel masso si inserisca nel paesag-
gio, ne sia, per cos dire, il crocevia spaziale, e per questo sia
31
stato scelto. Cos non si comprende come pi tardi quel luogo
sia stato re-sacralizzato dai monaci con la costruzione di un san-
tuario.
Cos attraverso percezioni erroneamente enfatizzate, illusioni
che portano a sovradimensionare un elemento sugli altri, selezio-
ni visive e concettuali, intuizioni e improvvisi o lenti processi di
conoscenza, procede il lavoro dellarcheologo.
32
UNA LENTA RIVELAZIONE
Fino al 2000 le conoscenze sulla Preistoria e la Protostoria
dello Swat non scendevano oltre il terzo millennio, le fasi neoliti-
che pi tarde. Recentissimi ritrovamenti avvenuti durante i lavori
per la Carta archeologica, ancora pi degli indizi che dati assolu-
ti, portano indietro al Paleolitico inferiore le prime tracce di fre-
quentazione umana della valle. Non per un caso che questi
ritrovamenti si debbano allocchio di Massimo, che in quegli
stessi anni gi divideva il suo tempo tra lo Swat e le ricerche sul
Pleistocene della Dancalia (Eritrea). Egli, in un certo senso, era
preparato a vedere.
I manufatti paleolitici in questione, del tipo acheuleano
(bifacciali), portano lo Swat allinterno della cosiddetta linea di
Movius, che venne ipotizzata (1949) per dividere in senso latitu-
dinale le tradizioni della pietra scheggiata bifacciale (Europa,
Africa e Eurasia meridionale) e dei ciottoli scheggiati (Eurasia
centro-orientale). Altri manufatti dallo Swat sono stati datati al
Paleolitico medio e al Neolitico. Le pi recenti ricostruzioni del-
le fasi pleistoceniche portano ad inquadrare tali ritrovamenti
nella frequentazione di una valle non completamente coperta
dai ghiacci anche durante una delle fasi fredde dellultima fase
glaciale tra i 60.000 e i 30.000 anni fa, e probabilmente abitata
gi dai periodi pi caldi del Pleistocene medio e tardo, come la
vicina valle del Kashmir. Va ricordato che laltitudine media del
basso corso dello Swat (tra 800 e 1.200 m.), per effetto dellinnal-
zamento tettonico registrato nelle regioni circostanti, potrebbe
essere oggi di circa 250-500 m. pi alta di quella che si sarebbe
registrata 100.000 anni fa.
Ancor pi straordinario lesempio di due stele megalitiche
zoomorfe in marmo, trovate da Tucci vicino Panr e dimenticate
per quasi mezzo secolo nei magazzini del museo di Saidu Sharif.
Il loro studio ha aperto un nuovo orizzonte cronologico nel lun-
go arco temporale che intercorre tra il Paleolitico e il Neolitico
recente. Le due stele, secondo la lectio magistralis tenuta da Massi-
mo Vidale allapertura della XIX International Conference on
South Asian Archaeology (Ravenna, 2007), potrebbero far parte
di una struttura a pilastri, sorprendentemente analoga alle strut-
ture scavate in Anatolia orientale, nellarea di Urfa (9000 a.C.).
Lipotesi, se confermata, collocherebbe lo Swat tra quelle poche,
fortunate aree, dove le prime comunit organizzate, fortemente
ritualizzate, gestirono il fenomeno della produzione agricola.
Dallarea di Urfa allaltopiano iranico fino alle aree pi orientali
dellEurasia si sarebbe sviluppato allinizio dellOlocene un siste-
ma di produzione alimentare su larga scala basato sul rapporto
dinamico tra aree fertili e sistemi montuosi.
Il Neolitico dello Swat nei suoi rapporti con quello kashmiro
e cinese ben noto da scavi e ricerche, anche paleo-botaniche.
Nel terzo millennio nello Swat si coltivava grano, orzo, riso. Que-
stultimo cereale offre un indizio di enorme rilevanza, poich
proprio nello Swat che per la prima volta il riso appare a sud-
ovest del Karakorum-Himalaya. La coesistenza di riso e degli altri
due cereali ha anche un altro importante risvolto, in quanto
testimonia dellesistenza di un microclima particolarmente favo-
revole al doppio raccolto, con tutte le conseguenze che ci deve
aver comportato sulleconomia della valle, anche in relazione
alla produzione del foraggio.
Nel quadro delle grandi civilt urbane dellAsia meridionale
dellet del Bronzo, lo Swat sembra trovarsi in situazione di mar-
ginale inter-relazione. La connessione tra la valle dello Swat e il
corso medio ed inferiore dellIndo, dove sorgevano le citt di
Harappa e Mohenjo-daro, anche nelle loro fasi di declino, va
senzaltro integrata con contatti importanti ancora con il Kash-
mir e larea cinese. La cultura proto-urbana e agricola dello Swat
nellet del Bronzo (1800-1400 a.C.) nota da numerosi scavi,
soprattutto quelli italiani, tra i quali Aligrama, Barikot, Loebanr
III e Kalako-dherai.
A queste evidenze archeologiche, stratigrafiche, verticali, van-
no ad incrociarsi i pi enigmatici e sfuggenti, ma tridimensionali
dati offerti da alcuni ripari dipinti. Penso soprattutto al sito di
Sargha-sar, Il picco del volto secondo limaginifica toponoma-
stica pashtun. Su un crinale della valle di Kotah si staglia quasi
verticale una enorme lastra di gneiss a forma di losanga schiac-
ciata, quasi un triangolo. Una testa, a vederla da lontano. Pi da
vicino, un volto, segnato in basso da una larga nicchia a forma
34
darco carenato, la bocca, sormontata da due cavit naturali
sub-circolari equidistanti, gli occhi. Una pietra parlante, ad
unosservazione pi accurata. La nicchia ospita uno straordina-
rio palinsesto di pittogrammi; alla base una pietra usata per la
preparazione dellocra, che ancora conserva larghe tracce rosse,
come una lingua sporgente. Sotto gli occhi, come tatuaggi,
sono pittogrammi di danzatori che si tengono per mano.
La lettura del palinsesto dipinto ha rivelato lesistenza di un
vero e proprio lessico e di una sintassi pre-letterata: le genti che
lhanno dipinto avevano senzaltro alle spalle una tradizione epi-
co-religiosa orale di grande complessit. Al centro della composi-
zione campeggia un grande quadrilatero partito, in cui si inseri-
sce, come in un disegno di Escher, limmagine di un grande
antropomorfo a braccia levate. difficile non pensare a Kshetra-
pati, il Signore del Campo del Rig Veda. Intorno a questo simbo-
lo complesso sono figure (sacerdoti?) che, in dimensioni minori,
riproducono le fattezze dellantropomorfo e sono rappresentate
nellatto di seminare. Scene di aratura eseguite da uomini e don-
35
Fig. 4 - Sargha-sar.
ne con caratteristiche diverse, di seminagione e danze rituali ese-
guite dai sacerdoti, completano la sequenza. Allesterno rap-
presentato il mondo selvaggio della natura, le deit ipostasi della
Montagna: lo stambecco selvatico sormontato da un ente antro-
pomorfo fronteggiato da un grande felino rappresentato nel-
latto di attaccare. Un grande eroe armato di scudo radiale (il
sole?) si interpone tra i due simboli animali nellatto di protegge-
re il sacro ungulato. La sua azione marcata da due punti, due
enfatizzanti, posti al di sopra del capo.
Anche il fregio istoriato di un sito non lontano replica lo stes-
so tema epico-simbolico: ecco leroe con lo scudo solare come
lApollo del frontone di Olimpia tra i due animali-simbolo, qui
entrambi sormontati dalle loro ipostasi antropomorfe.
In un riparo vicino, si ripete lenfasi sul culto dellaratura, cui
si aggiunge il misterioso simbolo animale della scimmia, che nei
testi vedici noto come Kapi, il simbolo dellequinozio autunnale.
Lapparire delle genti indo-europee, come oggi impropria-
mente le definiamo, e soprattutto del loro ramo iranico, parti-
colarmente evidente nello Swat, dove dal Bronzo tardo in avanti
(1400-800 a.C.) si sviluppa una cultura nota soprattutto dalle sue
necropoli. In queste sono presenti tre costumi funerari (inuma-
zione, incinerazione, sepoltura secondaria), anche se ciascuno
dei tre prevale in differenti fasi. Le popolazioni delle necropoli
avevano una struttura sociale di tipo aristocratico: tracce cospi-
cue della loro visione del mondo, nomade, eroica, si ritrovano
nellarte rupestre. Si ritrovano nelle incisioni di mandrie di
cavalli, nei carri e negli stendardi di Gogdara, nelle ripetizioni
ossessive di asce da combattimento, nei simboli del possesso del
bestiame, nelle rappresentazioni di guerrieri a cavallo, nei sim-
boli evidenti della gerarchia regale.
Si tratta degli stessi popoli di guerrieri e allevatori che Ales-
sandro incontrer alle porte dellIndia e noti dalle fonti greche e
indiane come Gurei, Assaceni, Aspasii, ecc. Questi popoli a vario
titolo prima di Alessandro dovettero essere clientes degli Acheme-
nidi, almeno a giudicare dalle fonti persiane, e pagare loro dei
tributi sotto forma di prestazioni militari e beni.
36
LO SWAT DI ALESSANDRO
E DEI REGNI ELLENIZZANTI
Nella primavera del 327 a.C. Alessandro, giunto nellarea di
Kabul dalla Battriana, prima di entrare in India divise il suo eser-
cito in due tronconi diseguali. Il grosso dellesercito prosegu
lungo quellantica arteria su cui, in buona sostanza, sarebbe stata
ricalcata la futura Grand Trunk Road britannica (colloquialmen-
te detta GT Road).
Alessandro si riserv invece il comando di un contingente
specializzato per affrontare le trib delle montagne in un teatro
che andava dal Chitral al Buner. Il percorso di Alessandro e le
successive operazioni militari sono state molte volte e in modo
diseguale analizzate. Saranno per gli studi italiani ad affrontare
in modo convincente questo tema. Gli scavi italiani a Barikot e
Udegram, identificate con le fortezze assacene di Bazira e Ora,
nonch le numerose ricerche di superficie, hanno permesso di
formulare nuove e pi fondate ipotesi in merito.
Alessandro entr nello Swat scendendo dal Panjkora e, risa-
lendo lo Swat, mise sotto assedio Bazira, che affid al suo luogo-
tenente Ceno. Risalendo ancora la valle arriv alla piana di Min-
gora, dove verosimilmente doveva trovarsi Massaka (il sito di
Aligrama?), lasciando alle sue spalle Poliperconte allassedio di
Ora, lodierna Udegram. Nonostante la capitolazione di Massaka
le due fortezze non cedettero allassedio e Alessandro fu costret-
to a ridiscendere la valle per rinforzare le retrovie. Avuta notizia
dellimminente arrivo delle truppe del re Abisares dallHazara (a
est dellIndo) in aiuto di Ora, per Alessandro lobiettivo princi-
pale divenne la soluzione della spina di Ora. Ceno stabil dun-
que una linea di fortificazioni davanti a Bazira per evitare sortite,
e mand rinforzi ad Ora, che quindi capitol.
Nel frattempo per le forze di Bazira erano riuscite ad elude-
re il blocco e si raggrupparono sulla vicina fortezza montana del-
lAornos (il monte Ilam, la cui altitudine raggiunge 2.816 metri).
Fig. 5 - Litinerario di Alessandro nellarea secondo lAutore (frecce nere).
Da qui, potenzialmente, esse avrebbero potuto rappresentare un
grave pericolo per la buona riuscita della campagna, sia perch
lAornos si trova alle spalle di Massaka e di Ora, sia perch la
posizione sarebbe potuta diventare un eccellente avamposto per
lavanzata di Abisares.
Il valore militare della nuova posizione, nonch il carattere
sacro della montagna, cui si legava oltretutto il mito del combat-
timento tra un semidio armato di mazza e una deit infera, letto
da Alessandro in chiave eraclea, spinse infine alla sua conquista.
La vetta granitica dellIlam rappresenta infatti uno snodo
fondamentale per la geografia mitica dello Swat. Lantico nome
di questa montagna, simbolo dellantico Suvastu, lo Swat nelle
antiche fonti indiane, era Varnu, che corrisponde, nella geogra-
fia religiosa dellAvesta al distretto di Varna, identificato con
ragione nel moderno Buner da Gherardo Gnoli. LIlam risale
infatti con le sue pendici settentrionali il limitare della valle dello
Swat e si affaccia con un precipizio di placche granitiche sul
Buner.
In diverse versioni lo stesso tema presente nella geografia
mitica delle antiche genti iraniche ed indiane. Il distretto avesti-
co di Varna era dominato da unentit ostacolatrice, una specie
di arcangelo rovesciato che dalla sua roccaforte si frapponeva
allavanzata degli di del retto ordine cosmico. Sar un eroe
armato di mazza a sconfiggere lostacolatore, portando anche in
quella parte dellecumene iranica lordine solare. Nella pi anti-
ca versione vedica il compito eroico affidato a Indra stesso che
con il suo vajra abbatte il Serpente che teneva prigioniere le
acque nei ghiacci primordiali, irrorando quindi la terra con lac-
qua, urina di Indra, manna ancestrale, metamorfosi del soma.
Nella valle del Kandak (un toponimo suggestivo giacch molto
vicino al termine munda una lingua indiana pre-indeuropea
per acqua), presso un guado stato trovato un monumento
megalitico impressionante. Dieci metri di gneiss sono costellati
da unelaboratissima permutazione di coppelle, che, se riempite
con sabbia colorata, rivelano il disegno di un eroe armato di vaj-
ra che fronteggia un mostro anguiforme. Sui lati del masso brevi
linee sinuose incise suggeriscono lidea della pioggia; idea che
diventa realt quando si osservi la sabbia colorata colare lungo
questi canaletti artificiali quando piove.
Non difficile immaginare che questo mito sia stato letto poi
in chiave euristica dai Greci come un momento del ciclo di Era-
39
cle. In questo senso la fantasia linguistica greco-ellenistica ha
modellato la trascrizione fonetica di Varnu/Varna, praticando
lelisione della labiodentale (la v) assente nel greco di et elle-
nistica, nel pi volte usato toponimo di Aornos (Senza uccelli:
il lago dellAde di Cuma, una roccaforte in Battriana, e cos via;
un classico esempio di quella che i linguisti chiamano paretimo-
logia).
Il nome attuale Ilam viceversa di conio cinese e corri-
sponde alla pronuncia in epoca Tang di Xiluo, trascrizione del-
loriginale toponimo indiano (anche qui per analoghi motivi
fonetici omessa la labiodentale). Il nome, poi passato alla lette-
ratura tibetana, rimasto intatto pur nella generale trasforma-
zione della toponomastica dello Swat dopo larrivo dei Pashtun
Yusufzai.
Saidu Sharif, 25 settembre 1996
Sono salito pi volte in cima allIlam. Una volta da Barikot e ci
vollero due giorni per raggiungerne la sommit. Fu una bellissima
escursione; eravamo numerosi: tre guide, tra cui il nostro capo-operaio
Zamani, Vincenzo (V. Venturello, residente UNDP a Saidu Sharif) con
sua moglie Delphine, un giovane architetto neozelandese, Mauro ed io.
Altre volte sono salito con Arshad (khan di Barikot oggi District Coordi-
nator Officer [DCO] a Malakand) e Zamani, dal versante di Saidu.
Pi volte sono salito e disceso in giornata. LIlam un monte magneti-
co. Una volta in cima, no, non si trovano le vestigia dellarmata di
Alessandro, si intuisce per il simbolo imperituro di questa montagna.
Essa ancora oggi sacra per le famiglie hindu, che vi praticano un
pellegrinaggio annuale: la vetta sommitale chiamata Jogiano-sar
(La vetta degli Yogin) dai Pashtun e Ram-takht (Il trono di Rama)
dagli Hindu.
Il silenzio delle foreste di abeti e cedri rotto solo dal soffiare del vento
dalta quota. Questo risale dalle piane affocate del Buner, seguendo cor-
renti ascensionali create dallo scambio termico e segnate dal planare ver-
ticale delle aquile. Quando sale la nebbia, nelle foreste sommitali, tra i
massi erratici coperti di muschi, si fanno visibili le amanite, mentre sulle
radure coperte di stelle alpine grava un silenzio piovigginoso. Allora le
storie di fate e del piccolo popolo che abita le radici, delle streghe cattive
dello Swat (le peri [jins] volanti delle cronache tibetane), si fanno vero-
simili, quasi ci si trovasse nella Germania dei Grimm.
40
Mi sovviene un mattino di sole, dopo una notte passata sullorlo di
una cengia dominante il Buner, sotto la pioggia battente. Poco dopo lal-
ba Arshad ed io fummo svegliati da un vociare assordante e stridulo: era
una numerosa colonia di macachi che ci ordinava di lasciare immediata-
mente il loro territorio. Ricordo che giungemmo ad un accordo dopo una
laboriosa trattativa, i cui termini prevedevano la cessione di parte della
nostra colazione.
Una volta occupata la posizione, dominante sul passo di
Karakar, Alessandro pot discendere nel Buner, e quindi, dopo
una serie di scontri di bassa intensit, raggiungere il passo di
Ambela e quindi il grosso dellesercito che attendeva presso
Attock.
interessante notare che Alessandro reinstaur al potere la
famiglia del re Assaceno, dopo che questi mor, e si congiunse
con la moglie, Cleofi, da cui ebbe un figlio. Di fatto continuava
la politica di controllo tipica di Alessandro, fondata non su occu-
pazioni militari stabili, ma sulla costituzione di una rete di princi-
pati-clientes, posti sotto il controllo militare e politico di ufficiali
macedoni nel ruolo di consiglieri e responsabili militari. Nello
Swat vennero creati due presidi ad Ora e Massaka, Aornos ospit
una guarnigione e Bazira fu fortificata di nuovo. Il comando del-
lAornos fu affidato ad un indigeno, gi al servizio del satrapo
della Battriana, mentre il comando della regione fu dato a Nica-
nore. Questi, probabilmente unico ufficiale macedone al coman-
do di truppe indigene, fu da queste assassinato lanno successivo,
ci comportando la fine del controllo macedone sullo Swat.
La conquista dello Swat fu uno snodo strategico fondamenta-
le per Alessandro. Era infatti indispensabile costituire l un
saliente difensivo arretrato attraverso quello che si pu definire
come un sistema difensivo dinamico, volto a garantire il percorso
dal passo Khyber al Panjab. Una volta conclusa loperazione, il
sistema prese necessariamente forma statica, attraverso la costitu-
zione di deterrenti visibili come fortezze e guarnigioni, il cui
potenziale dinamico, ma al tempo stesso la sua vulnerabilit, era
rappresentato dallessere costituite da truppe indigene sotto il
controllo di un quadro di comando macedone. Questo sistema
sembra essere la traduzione in termini militari della politica di
controllo dellarea in et achemenide, di cui Alessandro rappre-
sent la continuit. Tra la fine del VI e la met del IV secolo a.C.,
in et achemenide, lo Swat era nominalmente parte di una satra-
41
pia (gi nota come Gandhara e che come si detto pagava tribu-
ti al re persiano), ma senza presentare il quadro di un controllo
stabile.
I dati archeologici e le fonti storiche non permettono di indi-
viduare tracce di controllo politico-militare dello Swat fino alla
met del II secolo a.C., quando le guarnigioni fondate dai Mace-
doni vennero di nuovo fortificate. In particolare Barikot, Bazira,
venne inquadrata in un sistema difensivo formato da mura e
bastioni massicci in pietra comprendente sia la citt bassa che
lacropoli. Tutta la fortificazione fu costruita tenendo conto del-
le unit metrologiche ellenistiche, costituite sui multipli del pie-
de attico (circa 30 centimetri): il muro di difesa largo 10 piedi
attici, mentre i bastioni sono equidistanti 100 piedi (1 plethron).
interessante notare che i sovrani indo-greci si riappropriarono
delle due fortezze gi, a differente titolo, impiegate da Alessan-
dro, mentre nellarea di Massaka, forse poco pi tardi, venne
creata unimportante fortezza a Barama.
Gli Indo-Greci e i loro successori saka-parthici nello Swat, di
cui si conosce il nome della famiglia di Odi, stabilirono quindi
dei deterrenti visibili lungo la valle negli stessi luoghi di Alessan-
dro e probabilmente con le medesime funzioni. Lo sviluppo del-
le metropoli della piana del Gandhara lungo il corso del Kabul e
dellIndo, ovvero lungo la principale arteria commerciale pen-
so a Pushkalavati, oggi Charsada, e Taxila si pu spiegare con la
militarizzazione dello Swat in et indo-greca e saka-parthica (fine
II a.C.-fine I secolo d.C.).
Tra i grandi sovrani parthici del Gandhara, interesser forse
il lettore la figura misteriosa e importante di Gondophares. Que-
sta la forma greca della versione indiana del suo nome, che in
medio-persiano suona Vindapharna, ovvero colui che trova la
Forza-Splendore. Il re, della famiglia parthica dei Suren, cui
apparteneva il vincitore di Carrhae, estendeva il suo dominio su
un territorio che andava dal Sistan iraniano a Taxila, e che era
sicuramente indipendente dal regno parthico degli Arsacidi che
regnava pi a occidente.
Durante il suo regno, iniziato nel 19 d.C., la tradizione apo-
crifa cristiana colloca il viaggio di S. Tommaso alla sua corte a
Taxila. Una tradizione di studi, seguita in Italia da Mario Bussa-
gli, tende a vedere in lui Gaspar/Gudafar, il pi giovane dei Magi
che visitarono il Signore fanciullo a Betlemme.
42
IL BUDDHISMO AL CENTRO DEL POTERE
Il successo del Buddhismo nello Swat fa parte di quel grande
fenomeno di indianizzazione della cultura del nord-ovest del-
lantica India, non ancora sufficientemente studiato.
Un impulso non indifferente alla diffusione del Buddhismo
nello Swat devessere stato quello relativo alla sostituzione del
simbolo dello stupa come monumento funerario alle forme pre-
cedenti di culto funerario. Le grandi necropoli, che occupavano
talvolta spazi enormi di terreno agricolo, vennero abbandonate:
in pochi casi al loro posto sorse un santuario buddhista. Furono
cos liberate enormi porzioni di terreno economicamente pro-
duttivo e si assist ad un nuovo impulso allattivit agricola, che
va di pari passo con linurbazione e la nascita dei monasteri.
Certamente questo fenomeno devessere iniziato sotto la
dinastia dei Maurya, quando, verso la fine del IV secolo a.C., il
limes seleucide arretr ad ovest dellHindukush. Il principale
santuario buddhista dello Swat, scavato a Butkara I, fu infatti
fondato in epoca maurya. Il fenomeno prosegu sotto i principa-
ti ellenizzanti fino allinstaurarsi dei sovrani saka-parthici. Sotto
di loro, a fianco delle citt fortificate, si moltiplic il numero
delle fondazioni monastiche, che sorgevano lungo tutta la valle
e principalmente nelle ampie aree fertili di Manglawar, Mingora
e Barikot, a cavallo di importanti arterie regionali di comunica-
zione.
Il fulcro delle fondazioni buddhiste il simbolo funerario
dello stupa: ogni santuario segnato da questi giganteschi monu-
menti semisferici, in muratura piena, che si innalzano al di sopra
di un corpo di base cilindrico (tranne che nei rari casi dei cosid-
detti dharmarajika stupa, come quello di Butkara, indianeggianti,
di fondazione maurya) sempre in muratura piena. Innovazione
tipica del Gandhara, pi spesso lo stupa posto su un podio qua-
drato raggiungibile da una scalinata monumentale, che guarda a
settentrione. Il podio pu essere segnato, come a Saidu Sharif I,
ai suoi angoli da quattro colonne monumentali, simboli delle
direzioni dello spazio. Lesene corinzie scandiscono il podio, cos
come le metope decorate del corpo cilindrico, che illustrano
gli episodi della vita del Buddha e la vita di devozione dei con-
temporanei. Al di sopra della cupola, in un progressivo subli-
marsi della materialit, un numero definito di lastre circolari
(ombrelli o chattrei), si restringe per diametro fino al pinnaco-
lo sommitale. Intorno allo stupa principale v un affastellarsi di
monumenti minori e colonne votive. Alle spalle del santuario
(definito area sacra nellopera di Faccenna, tradendo la sua
formazione classica) era il monastero caratterizzato dalle celle
aperte su unampia corte centrale. I santuari dovevano essere
vividi di colore: il bianco delle murature, loro delle cupole, le
bandiere di devozione, lo zafferano delle tonache, loro e il colo-
re delle sculture.
Durante il periodo della fioritura del Buddhismo lo Swat
ancora al centro (direi addirittura il centro) di una vasta rete di
comunicazioni e traffici, tra lAsia centrale, laltopiano iranico e
44
Fig. 6 - Stupa di Abbasaheb-China.
le pianure indiane e i territori trans-himalayani. La principale via
di comunicazione con la Cina dallo Swat seguiva il percorso del
passo di Shangla (e altri percorsi paralleli) fino al corso dellIndo,
da qui verso il Kashmir e lHazara, da cui, risalendo il passo di
Babusar, nel VII secolo si entrava nel territorio dei Patola Shahi
(oggi Chilas). Da queste aree, attraverso la piana del Deosai, alle
spalle del Nanga Parbat, si raggiungeva loasi di Skardu, presso il
Baltoro, da cui si entrava nellodierno Ladakh, ed infine nel
Tibet. Altri percorsi mettevano lo Swat in comunicazione con le
aree delle pianure meridionali, in direzione dellIndia gangetica.
Nella gestione delle vie dei commerci, crediamo, il ruolo del-
le fondazioni monastiche non fu secondario. Non un caso che
con il grande sviluppo delledilizia religiosa buddhista il numero
degli oggetti di esportazione, oggetti di lusso, si accresca, accanto
allimportazione di nuove tecniche ceramiche, con vasellame
realizzato, rifinito non a ruota ma a spatola, indizio importante
dellindianizzazione della cultura materiale in epoca kushana.
Un altro fenomeno che ben illustra il panorama cosmopolita
della cultura indo-parthica e kushana nel Gandhara la straordi-
naria produzione scultorea, decorativa, in scisto, di soggetto reli-
gioso buddhista nota appunto come arte del Gandhara, di cui
lo Swat senzaltro una delle principali province. I temi icono-
grafici sono multiformi e rappresentano, nella loro sovrapponi-
bilit alla letteratura canonica, uno dei pi efficaci mezzi di
penetrazione del Buddhismo presso popolazioni sostanzialmente
illetterate.
Nelle espressioni plastiche di questarte confluiscono, appa-
rentemente senza ordine, elementi, temi, propri allarte cosmo-
polita dellEurasia meridionale al tempo del primo Impero
romano. Temi ellenistici: penso alle cosiddette scene di genere
(atleti, musici, teatranti) i cui cartoni giravano per tutta lAsia
ellenizzata come i cartamodelli degli ateliers parigini; quelli delle
Province orientali dellImpero romano: evidenti nellabbiglia-
mento, nelle acconciature, nelle architetture, nella costruzione
plastica; il gusto e liconografia iranica enfatizzata nella preferen-
za data alla frontalit e al linearismo (secondo i canoni descritti
da Daniel Schlumberger); ma soprattutto la tradizione indiana
espressa dalla morbidezza delle pose, dai temi fondamentali del-
le scene di vita quotidiana, dal valore dello spazio.
Indipendentemente dallo straordinario valore artistico di
gran parte di questa produzione, essa particolarmente signifi-
45
cativa nellillustrazione di un panorama fecondo, cosmopolita e
economicamente molto attivo, quale fu in realt quello delle
comunit monastiche buddhiste.
In et kushana (fine I-III secolo d.C.) il panorama dello Swat
mut ulteriormente in tal senso. Sotto il regno di Kujula Kadphi-
ses i Kushana, gli Yeh-Chih delle fonti cinesi, provenienti dalla
Battriana (Afghanistan settentrionale), arrivarono nellIndia di
nord-ovest. Laristocrazia dello Swat (se ne hanno le prove stori-
che) accett di infeudarsi sotto i sovrani kushana.
In questepoca avvenne unaltra importantissima trasforma-
zione. Le comunit monastiche acquisirono addirittura una pri-
mazia sul piano politico, dopo aver gi conquistato il monopolio
religioso, sociale, commerciale. Le grandi mura urbane furono
di conseguenza abbandonate e le citt si trasformarono (almeno
questo il caso di Barikot) in centri urbani e mercantili aperti e
caratterizzati da santuari buddhisti urbani e magioni nobiliari,
cuore degli insediamenti urbani. Furono ora le campagne a vive-
re un periodo di grande sviluppo, soprattutto per merito dei cen-
tri monastici buddhisti, che sorsero in questepoca in gran
numero. I monasteri sorgevano sempre su alture risparmiando i
terreni agricoli, e spesso controllavano canali di irrigazione, poz-
zi e dighe, come avvenne contemporaneamente in Kashmir,
dove i monasteri controllavano, ad esempio, la remunerativa col-
tura dello zafferano.
Il rapporto delle comunit monastiche con lacqua non era
solo economico, utilitaristico, anche se andrebbe meglio analiz-
zato il significato delleconomia in una dottrina che trov il suo
massimo sviluppo proprio tra i ceti produttivi, mercantili, bor-
ghesi. In ogni modo una leggenda buddhista ci chiarir meglio
questaspetto.
Il Buddha storico probabilmente non mise mai piede nello
Swat; leggende riportate nei Canoni ci raccontano per lo stesso
del suo passaggio. Tra gli atti del Buddha nella valle partico-
larmente significativa la conversione del naga Apalala. Questa
entit ostacolatrice anguiforme teneva prigioniere le acque della
valle (ricordate il Serpente abbattuto da Indra?), per poi rila-
sciarle a suo piacimento provocando drammatiche alluvioni. Il
Buddha raggiunse la dimora del naga, un lago posto nellalto
Swat, e lo convert (replicando in senso pacifico la lotta di Indra,
un simbolo ulteriore?), convicendolo a regolare lafflusso delle
acque in cambio di tributi regolari. Le comunit monastiche,
46
che gestivano i condotti idrici, le dighe e i pozzi, non facevano
che ripetere in forma esteriore lantico rito di conversione degli
elementari dellacqua, atto che doveva riecheggiare nelle
coscienze delle genti dello Swat secondo un senso simbolico
evidente.
Saidu Sharif, 2 settembre 2006
Ricordo di aver vagheggiato, come Stein e Tucci ben prima di me, il
lago mitico di Apalala. Nellestate del 2005, mi fu segnalato dal poliziotto
di scorta alla Missione (erano gi anni difficili) un lago dalta quota, che
non era stato ancora battezzato nella toponomastica ufficiale. La sua
posizione corrispondeva grosso modo con quella descritta nelle fonti.
Decisi di andare a vedere, andata e ritorno in giornata, perch quella sera
sarebbero arrivati dallItalia Massimo e gli altri, Roberto ed Emanuele.
Mi accompagnavano limmancabile Akhtar Manir e il poliziotto, che era
del Dir. Questi si era vantato in modo epico delle sue capacit di resistenza
in montagna, facendo capire che, forse, per il saheb (signore) sarebbe
stata unimpresa eccessiva salire fin lass. Arrivammo a Bashigram, nel-
lalto Swat, alle sei del mattino. In circa sei ore di marcia raggiungemmo
quota 4.200 metri e ci sedemmo esausti tra i nevai, sullorlo di un laghet-
to glaciale, sulle cui acque, cupe e metalliche, immobile si specchiava una
chiostra di vette innevate poco pi alte. Le nuvole in parte coprivano il
paesaggio, ma si intuiva a poche decine di metri la presenza di un passo
agevole, che avrebbe condotto a Bar Khana, sulla strada per lIndo. Ce lo
confermarono due giovani pastori gujari che pascolavano i loro armenti
in quegli alpeggi estivi. No, il dand (lago) non ha nome saheb!, mi
venne confermato. Non cerano tracce di frequentazione antica, o magari
non cerano quelle che mi aspettavo di trovare. Sar stato il lago di Apala-
la? Non lo so, forse no. Decisi comunque di battezzare il laghetto. Istruiti i
miei quattro alunni, con una faticosa e incerta incisione, celebrammo su
un masso la definitiva consegna di quel luogo alla scienza geografica,
nominando solennemente il lago Tucci-dand.
Quella escursione fiacc in modo preoccupante il morale della mia
scorta, che mi aveva visto sempre precederla e aspettarla mentre arrancava
sbuffando sulle morene. Un po lavevo fatto apposta, cercando di
mascherare la mia fatica sotto un sorriso di comprensione, che dovette
suonarle irritante. Giorni dopo, tornato da un breve periodo di riposo al
suo villaggio (mai ammesso, peraltro), il giovane commando si pre-
par ad altre sfide.
47
Non sorrida il lettore troppo di queste tenzoni. Fa parte della cultura
pashtun, e quindi anche della sua poesia, una certa spavalderia, quasi
sbruffonesca, come le sfide di forza, di resistenza, le gare venatorie, le ten-
zoni poetiche, tra giovani maschi. Quando sono sfidato da un Pashtun,
ho imparato a non tirarmi indietro.
Credo, un giorno, di aver segnato un punto clamoroso col mio sfi-
dante, quando durante un estenuante scambio di battute sulle pi o
meno nobili genealogie (altro tormentone tra i Pashtun) dissi, scher-
zando, che avevo le prove storiche per sostenere che i principi del Dir era-
no di origini gujar. Non lavessi mai detto! Credette stessi dicendo sul
serio e si chiuse in un sostenuto silenzio per tutto il giorno, con sollievo di
Akhtar Manir, da cui, my poor fellow, durante le marce, avevo ricevu-
to eloquenti sguardi di sostegno.
Le ricognizioni successive alla salita al Lago Tucci furono dure
per la mia scorta, anche perch io, nella valle gi da due mesi, ero ben
allenato. Acqua? No grazie, kha yam (sto bene). Una sosta?
Wrusto, ka na? (dopo, no?), e cos via. Alla fine della stagione ci fu
il verdetto. Incredibile a dirsi, alla sua formulazione avevano partecipato
tutti i familiari del poliziotto, al villaggio. La sentenza, che mi fu ripor-
tata con solennit il giorno della partenza, fu che, s, in montagna ero
pari ad un Pashtun. Una stretta di mano e un abbraccio sancirono la
mia ammissione al club.
48
LA SINDROME DI FILIPPO LARABO
Le pi longeve tra le fondazioni monastiche dellarea di
Barikot sorgevano lungo le vie di comunicazione, come quella di
Karakar. La ricchezza dei monasteri, di cui oggi si comincia a
comprendere la complessa struttura sociale, si deve a donazioni
s, ma anche allapporto economico di attivit mercantili svolte
in proprio, allamministrazione agricola e ad altre rendite
(pascoli, legname, cave di pietra). La citt fortificata si trasforma-
va poi da deterrente visibile, simbolo fortificato del potere, in
centro aperto di scambio e mercato.
La smilitarizzazione dello Swat ben si spiega nellambito di
quel felice momento del potere dei Kushana, la cui solidit eco-
nomica e monetaria rappresentava il riflesso delle esigenze di
mercati dellimpero di Roma verso le merci asiatiche. In realt
unosservazione a pi ampio raggio permetterebbe di valutare
come anche questa apparente pace commerciale in Asia si reg-
gesse attraverso la mediazione di reti clientelari di deterrenza
armata rappresentate dai vari principati di frontiera, nella Palmy-
rene, nellOsroene, in Armenia, in Asia centrale, ecc., che non
ressero allesplodere del problema iranico, al tempo dellascesa
dei Sasanidi.
La rivolta dei Goti al tempo di Filippo lArabo dopo la pace
del 244 d.C. emblematica in tal senso, in quanto rappresent
linsorgere di un problema di sicurezza militare ai confini orienta-
li, proprio ad opera delle trib mercenarie gi alleate di Roma,
quando questa decise di annullare gli accordi economici, data lef-
fimera alleanza con i Sasanidi. La rivolta dei Goti contro Filippo
lArabo dette di fatto origine a quel fenomeno, s devastante, ma
anche sopravvalutato, noto col nome di invasioni barbariche.
La rivolta contro Filippo lArabo e le sue conseguenze ricor-
dano da vicino eventi molto pi recenti, quando gli USA si sono
trovati a fronteggiare il nuovo pericolo rappresentato dal ricatto
militare delle truppe irregolari precedentemente impiegate in
funzione frontaliera nella gestione della crisi afghana dal 1979
al 1992. Questi eserciti locali, addestrati, armati e pagati su vasta
scala dagli USA, si videro improvvisamente tagliata ogni forma di
supporto, quando ritenuti superflui rispetto al mutato panora-
ma geopolitico dellEurasia. Nel frattempo per le loro capacit
tecniche e tattiche, nonch la loro abitudine al combattimento,
si erano oramai consolidate. interessante il fatto che in molti
ambienti pakistani (anche militari) questa situazione, che come
detto ha un illustre precedente storico, costituisca la vulgata con
cui si spiega la nascita del ramo qaidista arabo-afghano.
Tornando al III secolo d.C., va registrato che con lo sgretolar-
si della rete di alleanze militari, che assicurava continuit agli
scambi, aggirando a nord e a sud il blocco irano-sasanide,
proprio lIran assunse un ruolo concorrente nella gestione dei
rapporti mercantili tra Asia e Mediterraneo (pensiamo alla
guerra per la seta, vinta poi temporaneamente da Giustiniano
nel VI secolo d.C., grazie allo spionaggio commerciale).
In questa nuova insicurezza, i Kushana si fecero trovare
impreparati e il loro sistema di controllo statale a largo raggio,
basato sullequilibrio economico, sul commercio internazionale
e sulla coesione sociale rappresentata dal Buddhismo, croll sot-
to la spinta espansionistica sasanide. Ci produsse una frammen-
tazione del centro nellIndia gangetica e peninsulare, ma anche
linizio della regressione del Buddhismo nellantica India nord-
occidentale. Di conseguenza, per lo Swat inizi una lunga fase di
regressione, oltre che religiosa, politica e mercantile. Su queste
fasi larcheologia ha detto poco.
Le fonti cinesi ci informano che tra il IV e il V d.C. lo Swat si
trovava sotto linfluenza di genti centro-asiatiche note come
Kidariti. Dal 520 d.C. le fonti cinesi riportano il dominio della
nazione centro-asiatica degli Ya-ta, gli Unni Eftaliti delle fonti
bizantine, gli Hu
-
na delle fonti indiane.
Un secolo pi tardi lo Swat dipendeva politicamente, secon-
do i resoconti cinesi, dallarea del Kapisa (Kabul) e il suo pano-
rama religioso era ormai multiforme, con numerosi monasteri
buddhisti abbandonati accanto ad un proliferare di santuari
brahmanici. Di questo stato di distruzione e caos il pellegrino
buddhista cinese Xuanzang accusa le incursioni del principe
ribelle del Kashmir Mihirakula (forse di etnia eftalita?). Di que-
sta accusa, come di tanti altri aspetti della storia dello Swat in
questepoca, in realt non v alcuna certezza.
50
DALLA RINASCENZA INDUISTA ALLISLAM
Purtroppo i dati storici e archeologici ritornano ad essere
chiari per lo Swat solo sotto dinastie note agli storici arabi (al-
Biruni per primo) da eponimi etnici, i Turki Shahi e gli Hindu
Shahi (questi ultimi professanti religione brahmanica), tra lVIII
e il X secolo d.C. I principi Hindu Shahi furono gli ultimi difen-
sori del mondo antico in questa parte dellIndia e, con la loro
caduta, si apr un nuovo capitolo storico, quello di cui si sono
scritte le ultime pagine nel XIX secolo. Al-Biruni ha delle pagine
intense, intrise di cavalleresco rispetto per questi fieri nemici del
suo campione dellIslam, Mahmud principe di Ghazni. Lepopea
hindushahi lasci questi ed altri segni della sua grandezza: si
prenda ad esempio il patrimonio delle leggende e delle storie
popolari pashtun dello Swat. Non v racconto in cui, senzaltro
attraverso un riaffiorare di sostrati pi antichi, non siano presenti
un re, una principessa o un cavaliere hindushahi.
Prima delle dinastie Shahi lo Swat, pur in tutta la confusione
di quel periodo, venne considerato parte della sfera di influenza
cinese, a giudicare anche dallinteresse che suscita in epoca Tang
tra il V e lVIII secolo d.C. La valle fu senzaltro parte di quel
grande movimento strategico che vide fronteggiarsi la Cina e il
Tibet. Il fronte occidentale fu pi volte attraversato dagli eserciti
delle due Potenze. Gli annali cinesi ricordano i passaggi salienti
delloffensiva tibetana: la conquista della prefettura cinese di
Kashghar nel 670; la sua perdita nel 693, dovuta ai cinesi; la ricon-
quista segnata dallalleanza coi turco-musulmani del 715; la cam-
pagna militare del 722 nel Karakorum; lalleanza coi re del Kash-
mir del 733; la guerra del 736 per Gilgit, tappa importante per
collegare i possedimenti del Baltistan a quelli del Pamir, ecc.
in questepoca che the Dharma comes to Tibet, simboleggiato
nel viaggio di Padmasambhava, figlio adottivo, secondo la leggenda,
ed erede di Indrabhuti re dellUddiyana (lo Swat), celebrato nel-
lagiografia tibetana col titolo di acarya, Maestro.
Nel 747 le forze cinesi al comando del leggendario generale
Kao Xien Chi sconfissero i tibetani e si ripresero definitivamente
il Karakorum e, di conseguenza, inserirono nuovamente lo Swat
nella loro sfera di influenza. In questepoca probabilmente la val-
le era ripartita in due entit differenti, di cui quella a sud era
afferente allarea di Laghman in Afghanistan, quella pi setten-
trionale, con centro nel Buner o addirittura a Darel, sotto prote-
zione cinese.
In questepoca lo Swat meridionale era caratterizzato dalle
costruzioni di insediamenti fortificati a casa-torre, strutture
non dissimili da quelle ancor oggi visibili nei villaggi kafiri del
Chitral. In questa fase non da escludersi che la valle, o la sua
parte meridionale, facesse parte dellaltrimenti mitico regno di
Kator, il reame delle genti pagane dellHindukush, oggi note
come Kafiri e isolate nel loro relictum geografico nel Chitral.
Un tempo la loro area di influenza doveva essere ben pi vasta,
comprendere ampie zone pianeggianti, nel Laghman e nel Kapi-
sa, come nel Gandhara settentrionale, dove essi esercitavano un
controllo mercantile e militare. Lorganizzazione castale dei
Kafiri, la loro storia orale e scritta, la presenza di animali-sim-
bolo come il cavallo, mal si sposa con lattuale rappresentazione
di genti di montagna, isolate e geneticamente regressive. Lesi-
stenza del reame di Kator, o meglio del cosiddetto Grande
Kafiristan oggetto dibattuto tra gli studiosi; tra chi lo ammet-
te c accordo nel considerare lo Swat come sua potenziale pro-
vincia, mentre i confini nord-orientali vanno cercati oltre Chilas
e Gilgit.
Recentemente Massimo ed io abbiamo documentato nel bas-
so Swat, nellarea appunto delle case-torri, un cospicuo numero
di vasche scavate nella roccia, dotate di canali di scolo (una ogni
5 ettari). Si tratta senzaltro di impianti per la torchiatura del-
luva, lequivalente dei palmenti romani ed etruschi cos comuni
in Toscana, simili a quelli ancora usati in Sicilia al principio del
secolo scorso.
Il confronto immediato, evidente ed inequivocabile con gli
analoghi impianti ancora in uso nelle valli kafire e ben noti dagli
studi etnografici. La vite silvestre, inselvatichita, tuttora presen-
te nei terreni silicei delle valli meridionali dello Swat, soprattutto
nei boschi di lecci, relitto certamente delle antiche colture che,
similmente alle cosiddette alberate etrusche, prevedeva di col-
tivare la vite maritata ad alberi dalto fusto, cos come avviene
52
oggi nellarea kafira. La produzione del vino e la coltura della
vite da tempo scomparsa, anche se, alle soglie dellet moder-
na, i resoconti dei pellegrini tibetani nello Swat narrano ancora
delluso, presso quei pagani di bevande inebrianti. Nella sola
zona di studio (250 ettari), con Massimo abbiamo calcolato per
difetto una produzione di circa 6-8.000 ettolitri di vino, con un
lavoro di torchiatura che poteva coinvolgere non pi di cento
vignaroli in una settimana di lavoro.
Ancora larte rupestre ci offre importanti elementi a soste-
gno dellipotesi di uno Swat kafiro in et tardoantica. Alcuni
ripari dipinti, trovati ad alta quota, associati a vasche per il
vino, mostrano il tipico lessico e la cifra stilistica, lineare, sem-
plificata, dellarte visuale kafira: teorie di capridi e icone di
uomini di alto rango, forse sciamani: i commendatori della
Confincapra, come umoristicamente li ebbe a definire Fosco
Maraini nel suo Paropmiso (1963
1
, 2003). Il paesaggio a quelle
quote segnato da rocce zoomorfe, come un giardino di
Bomarzo: ricordo un masso di granito affusolato e lungo una
decina di metri cui la fantasia delluomo aveva aggiunto un
occhio gigantesco, trasformando la muta roccia in un rettile
animato.
Questa la situazione a sud. Nel nord rimanevano frequentate
alcune fondazioni buddhiste, di scuola Vajrayana e Tantrayana, i
cui cospicui monumenti rupestri ancora si ammirano sulle mon-
tagne dello Swat, in sorprendente continuit con una tradizione
presente in quellepoca a Gilgit, Skardu, e poi nelle aree di
influenza cinese e kashmira. Si tratta di uno straordinario feno-
meno, tardivo e glorioso, il canto del cigno del Buddhismo dello
Swat. Alcune delle fondazioni monastiche, meno di un centinaio
rispetto alle 4-500, che possiamo supporre, per difetto, esistenti
in epoca gandharica, furono mantenute dai monaci delle scuole
magico-ascetiche del tardo Buddhismo. qui che nacque la dot-
trina tantrica, le cui simbologie rupestri, al di l delleclettismo
apparente, in cui si fondono elementi brahmanici, buddhisti e
magismi locali, richiamano in alcuni ben studiati casi una precisa
ideologia del potere temporale e religioso. Questo si collega,
secondo Anna Filigenzi, al culto di Surya, di cui recentissima-
mente si va riconoscendo limportanza nella ritualit del potere
sotto i Turki Shahi e di cui si individuato un possibile santuario
dinastico nella grotta di Hindu-ghar, fronteggiante il colle di
Barikot.
53
In questepoca vengono fondati numerosi templi dedicati ai
deva, ci racconta Xuanzang. Due di questi templi brahmanici
sono stati individuati: uno sulla cima dellacropoli di Barikot e da
me casualmente trovato mentre scavavo nel 1998 quelle che rite-
54
Fig. 7 - Scultura rupestre ad Arabkhan-china.
nevo fossero le rovine di uno stupa (ancora la maya dellarcheolo-
go!). Il secondo stato documentato nel 2005 nellarea di Shah-
kot, dominante sullantica via di accesso alla valle, parallela a
Malakand, ma inutilizzata dai Britannici per lostilit dei signori
(khan) di Thana.
La confluenza di elementi brahmanici e buddhisti, nonch il
lento prevalere dei primi su questi ultimi, decisamente un
segno di questepoca: se ne ritrova traccia anche nella produzio-
ne delle pitture rupestri, che, come detto, continua ininterrotta
nelle aree alpestri pi remote.
Il fatto che dellarea sacra buddhista di Barikot, per cui forse
sarebbe stata costruita una terrazza monumentale (ipotesi anco-
ra non chiarita dallo scavo), non rimangano che indizi erratici,
probabilmente per far posto ad un tempio brahmanico, potreb-
be rappresentare un chiaro segnale del declino dellimportanza
politica delle comunit monastiche.
Il loro canto del cigno fu lo sfolgoro delle immagini scolpite
sulla roccia dello Swat (ne sono state documentate quasi due
centinaia); spesso in luoghi inaccessibili, comunque in posizione
dominante, lungo le vie di pellegrinaggio e presso i guadi, esse
rappresentano quasi una seconda Natura come direbbe
Goethe svayambhu, in sanscrito. Esse si inseriscono in quella
tradizione geomantica tipica dello Swat, rappresentata sin dalla
Protostoria, dai ripari rupestri, dalle rocce antropomorfe e zoo-
morfe, che segnavano, mi si perdoni ancora il termine, le vie
dei Canti della valle.
Dal IX allXI secolo d.C., anche sotto la prepotente spinta
della minaccia turco-musulmana, lo Swat divenne parte impor-
tante di un sistema di principati hindushahi. I loro sovrani fortifi-
carono lo Swat con una vera e propria rete di fortezze, torrioni e
castelli, tutti in posizione di controllo visuale reciproco, di cui
fortunatamente larcheologia ci ha detto abbastanza.
Una volta perduta la piana di Peshawar e laccesso allIndo,
conquistati dai Ghaznavidi, il sistema di controllo militare rove-
sci il proprio fronte, divenendo il saliente meridionale e occi-
dentale di unarea il cui centro, come ci narrano le fonti, doveva
trovarsi in Kashmir, dei cui sovrani gli Hindu Shahi erano dive-
nuti i pi importanti vassalli. Anche in questo caso per la sicu-
rezza della piana di Peshawar non poteva prescindere dal con-
trollo dello Swat, che nellXI secolo d.C. fu pi volte attaccato e
infine sottomesso dai Ghaznavidi.
55
La necessit di un controllo stabile, sostenuto dal reimpiego
in et ghaznavide di alcune delle fortificazioni hindushahi
(Barikot, Udegram, Bar-tangai), si un ad una prima politica di
conversione: cos possiamo leggere le prime forme di islamizza-
zione dello Swat, che ritroviamo nelliscrizione bilingue arabo-
brahmi di Zalam-kot, presso il sito di una delle pi famose batta-
glie combattute dai Ghaznavidi contro gli Hindu Shahi, ad
Allahdand-dheri, ma soprattutto nella fondazione della moschea
di Udegram, datata allXI secolo d.C. In realt questi tentativi
furono privi di continuit, se vero che circa un secolo dopo la
sua fondazione la moschea fu abbandonata. Bisogner aspettare
larrivo degli Yusufzai nel XVI secolo d.C., in concomitanza con
la nascita della potenza Moghul, per vedere la progressiva isla-
mizzazione dello Swat. Questa procedette di pari passo con lac-
quisizione manu militari da parte degli Yusufzai di territori prece-
dentemente occupati dalle prime genti pashtun Swati (che
larrivo degli Yusufzai spinger poi verso lHazara) e dalle trib
dardiche (ritiratesi verso lo Swat Kohistan).
Con la dinastia Miangul nel XX secolo si assist alla definitiva
scomparsa delle tradizioni pre-islamiche, anche nelle valli pi
remote, seppure allinterno di uno Stato formalmente etico-lai-
co. Il ruolo indubbiamente positivo che lo Stato dei Miangul ha
svolto come deterrente dinamico per la pacificazione della
North-West Frontier, cos come anche seppure con un differen-
te grado di affidabilit quello svolto dai principi del Dir, in par-
ticolare da Muhammad Sharif, mostra senzaltro come la politica
britannica seppe avvalersi del valore atemporale della lezione
geopolitica di Alessandro. Ma di questa parte della storia ci occu-
peremo nel prossimo capitolo.
56
MORFOLOGIA DEL PRESENTE
Uno sciacallo alle strette combatte
anche contro un leone.
Proverbio pashtun
(MacKenzie 1982: nr. 45)
LARRIVO DEGLI YUSUFZAI
Non facile tracciare con sicurezza le origini della nazione
pashtun. Non ci prover nemmeno, rimandando il lettore alle
pagine dedicatevi da Sir Olaf Caroe, penultimo Governatore della
Corona della NWFP (vedi la Bibliografia). Esistono due tradizioni
principali: quella israelita, cos cara a certi settori della cultura
britannica, che innalz questo popolo ad un rango di attenzione
che altri nemici o sudditi dellImpero non hanno goduto; quella
nordica, molto cara ai circoli intellettuali pashtun di Kabul
soprattutto nella prima met del XX secolo, contraltare dellaria-
nesimo politico-religioso hindu, ma ancoroggi viva anche nei
villaggi pi remoti.
Saidu Sharif, 14 aprile 1992
Una sera davanti al fuoco acceso in un alpeggio dalta quota, un
giovane khan mi sussurr una sua inverosimile sintesi storica: Saheb,
voi Italiani e noi Indo-Germanici (sic) abbiamo combattuto insieme con-
tro la Gran Bretagna, lo sai?.
Non sar per questo che certi circoli americani hanno inven-
tato il mostro lessicale, oltre che storico dellislamofascismo?
Anni dopo probabilmente mi avrebbe detto abbiamo combattu-
to contro gli USA, oggi sicuramente non mi direbbe nulla.
La fantasia ricrea la Storia; mi ricordo un altro episodio signi-
ficativo di fantasia, geografica stavolta.
Saidu Sharif, 18 settembre 1997
Durante una pausa sullo scavo, ero solo circondato da operai accoc-
colati intorno a me ad ascoltarmi descrivere lorbe terracqueo che andavo
via via disegnando sulla terra con un bastoncino. Disegnata la Terra
con i riferimenti fondamentali (Roma, la Gran Bretagna, lIndia, di cui
indicavo la direzione nello spazio a nord delle montagne di Adinzai, a
sud del fiume, oltre Musa Khel, ecc.), uno di loro mi chiese se intorno a
quel golei (il disco della Terra) ci fosse il mare Oceano, che immagina-
va distendersi infinito e orizzontale nello spazio. In un istante mi ero
ritrovato trasportato indietro nel tempo, quando la stessa immagine si
sarebbe formata nella coscienza pre-razionale (bi-camerale avrebbe detto
J. Jaynes) dei Greci del tempo di Omero.
Anche la loro percezione di s diversa da quella che si rica-
va dai diagrammi dei linguisti: infatti solo da pochi decenni
che i Pashtun hanno imparato a definirsi tali: ancora nella prima
met del secolo scorso si sarebbero definiti, pi semplicemente,
ma forse con maggiore esattezza storica, Afghani.
Torniamo per a discorsi pi razionali, quelli con cui siamo
abituati a trattare questi temi. Oggi sono soprattutto gli studi lin-
guistici a poter dire una parola se non sullorigine dei Pashtun,
60
Fig. 8 - La pianura verso Peshawar vista dai passi montani dello Swat.
perlomeno sulla loro bellissima lingua. Fortunatamente, aggiun-
go, la genetica non si ancora pronunciata (non a caso: la raccol-
ta dei markers resa complicata dal sospetto con cui certe pratiche
sono riguardate, vedi anche solo la vaccinazione antipolio). I miei
colleghi e amici linguisti sostengono che il Pashtu appartiene al-
larea nord-orientale dellatlante linguistico iranico, e si proba-
bilmente definito nelle pianure tra il Caspio e lAral, in area turca.
Tra i Pashtun, v poi la famiglia degli Yusufzai, I figli di Giu-
seppe. Lantenato eponimo, Yusuf, detto discendere da Khar-
shbun, padre dei Pashtun orientali, figlio di Sarbanr, figlio di
Qais Abdur Rashid, ovvero colui che accett di convertirsi di
fronte a Khalid ibn Walid, il maggiore tra i campioni del Profeta
nel VII secolo.
Prima di arrivare nello Swat, provocando lesodo delle genti
Swati verso lHazara (dove ancor oggi vivono i loro eredi: altro
interessante tema di ricerca per i genetisti), gli Yusufzai, una del-
le cinque principali famiglie pashtun, erano al servizio di Mirza
Ulugh Beg, principe turco, usurpatore della linea timuride, quella
di Tamerlano, nella seconda met del XV secolo. Suo nipote
Babar sarebbe stato poi il futuro fondatore della dinastia dei
Moghul, i creatori di quel magnifico e decantato impero, che
un lIndia allAfghanistan orientale. Il carattere militare dellari-
stocrazia Yusufzai ne faceva per quello che il pragmatismo lin-
guistico inglese definisce, con felice sintesi, dei king-makers: utili,
ma pericolosi alleati. Tutto il loro rapporto con i sovrani Moghul
ne testimonianza.
Ulugh Beg, dopo aver usufruito delle loro capacit militari
per prendere Kabul, ne tent lannientamento, applicando con
ci lessenza della dottrina politica, da Caino in poi. Ci fu una
cruenta battaglia, nota con un nome che suona come Il campo
insanguinato del mattatoio, il cui epilogo fu degno della pi
raffinata diplomazia tribale: i malik yusufzai invitati ad un ban-
chetto di tregua vennero massacrati, solo pochi sfuggirono.
Nellesodo da Kabul, gli scampati alleccidio, guidati da un
sogno, dice la leggenda, risalirono Malakand ed entrarono nella
valle dello Swat. In realt la conquista della valle fu lenta, compo-
sta di avanzate e ritirate, nelle cui cronache complesse e disordi-
nate si ricordano nomi di principi non-Yusufzai, come Raja
Jahangir, Sultan Awes di Manglawar, Mir Hinda di Thana.
Comunque alla met del XVI secolo gli Yusufzai erano signori di
Mardan, Chamla, Swabi, Buner, Swat e Dir.
61
Facciamo per un attimo un passo indietro. Abbiamo poche
frammentarie notizie degli originari abitanti dello Swat. Le testi-
monianze pi importanti provengono dai resoconti di viaggio
dei pellegrini tibetani, rinvenuti da Tucci nel Tibet occidentale,
da lui tradotti negli anni 30 e 40. O rgyan pa viaggi nello Swat
nel 1260 circa, sTag tsan ras pa (il lettore mi perdoni, si chiama-
va cos) e Buddhagupta nella seconda met del XVI secolo.
Le notizie dei due resoconti pi recenti sono piene di lamen-
tele sulle difficolt di viaggiare in quei tempi nello Swat (non
con laria insopportabilmente posh di E. Waugh in Quando viag-
giare era un piacere, per), terra islamizzata, ma ancora sacra ai
Tibetani. Significativamente lo Swat era noto in quel tempo,
oltre che col nome tradizionale, O rgyan (Uddiyana), come
Ghazni, con riferimento al centro politico cui la valle e i suoi
nuovi signori, gli Yusufzai, si richiamavano.
Molto interessante la testimonianza di O rgyan pa (nome
attribuitogli per il merito del viaggio). Essa giunge come una
luce ad illuminare le nostre conoscenze su unepoca altrimenti
oscura, quella appunto della fine del XIII secolo. Proveniente
dal Buner, dove verosimilmente si trovava allora la dimora della
famiglia regnante di fede hindu, O rgyan pa entr nello Swat
valicando il passo di Karakar, munito di credenziali ricevute da
un re afghano. Questo dettaglio la dice lunga sul ruolo di vassal-
laggio che i piccoli feudi hindu dello Swat conservavano verso
pi importanti reami ad occidente.
Arrivati a Udegram, i costumi e le abitudini delle genti che i
pellegrini tibetani incontrano sono soprendentemente simili a
quelli degli attuali Kafiri, e comunque, viene notato, differenti
da quelli indianeggianti e consueti registrati nella prima parte
dei loro itinerar. Queste genti sono probabilmente le stesse che,
poi migrate dal ramo principale della valle verso le aree alpestri,
abitano tuttora larea di Kalam, di lingua torwali, khowar e
bushkarik; ma forse anche quegli stessi Pashtun, che, fuggiti ver-
so lIndo allarrivo degli Yusufzai, ancora oggi conservano le loro
peculiarit (gli Swati dellHazara).
La descrizione della cultura religiosa locale, in O rgyan pa,
piena di richiami pagani, venata di una religiosit vernacolare, in
cui riecheggiano elementi dellantico tantrismo e dellinduismo.
Al di l delle rovine e dei segni morti dellantica devozione, non
v per pi traccia della gloria del Buddhismo, cos come anco-
ra non vi sono segni evidenti dellarrivo dellIslam.
62
Ritorniamo ora agli eventi del XV-XVI secolo, allinizio della
storia dei Moghul. Alla morte di Ulugh Beg, il nipote Babar
usurp il trono di Kabul ed entr in India. Diverse furono le
campagne militari che Babar condusse tra Mardan, Peshawar e
lo Swat. Nel tempo libero organizzava grandi battute di caccia:
rinoceronti, tigri, leopardi, erano allora le prede pi ambite nel-
le piane intorno Peshawar e sulle montagne verso Malakand;
non erano assenti dalla regione gli elefanti utilizzati come anima-
li da lavoro, almeno a giudicare dalla toponomastica.
La sua condotta verso i principati yusufzai, soprattutto nel-
larea di Mardan, fu sempre spietata, ma la resistenza che dovette
fronteggiare fu asperrima. Alla strategia di Babar, che era quella
di garantirsi la connessione tra Kabul e Delhi, senza sacche di
insicurezza, rispose la convinzione yusufzai di aver diritto alle ter-
re tra Mardan e lo Swat. La conquista del basso Swat inizi dal
passo di Morah o da quello di Shahkot, che, forse nel 1515, fu
finalmente forzato.
Cos, poco pi tardi, forse mentre Babar entrava in trionfo a
Delhi (seconda decade del XVI secolo) gli Yusufzai sconfiggeva-
no i Pashtun alleati del sovrano nella grande battaglia di Katlang
e presero possesso delle terre tra Peshawar e lo Swat.
Ora il territorio yusufzai era quasi del tutto definito: il sogno
dei due malik superstiti delleccidio di Kabul, Sheikh Malik e
Malik Ahmed poteva dirsi compiuto. Il primo, in qualit di Wazir,
Ministro di corte, organizz il sistema di distribuzione delle terre
tra i khan attraverso la rotazione fondiaria, detta wesh, che rimase
in funzione fino alla prima met del XX secolo. In un certo sen-
so gli Yusufzai furono la prima, e per molto tempo lunica, trib
pashtun che si diede una struttura sociale complessa e regolata
da norme scritte.
Quando sal al trono dei Moghul il re Akbar il Grande, i canti
di guerra ricominciarono a suonare sulle valli intorno Malakand.
Secondo S.A.R. Miangul Abdul Wadud, fondatore dello
Yusufzai State of Swat, la responsabilit dellira di Akbar verso gli
Yusufzai da ascriversi alla predicazione di un mistico, Bayazid
Ansari, detto Pir-i Roshan (Santo della Luce), il cui islamismo
era intriso di elementi eclettici, anche induisti, ma tra i quali era
centrale il culto della Luce di retaggio iranico. Semplicisticamen-
te si potrebbe considerare il movimento roshaniyya (gli Illumi-
nati) come uneresia sciita, o un ramo degli Ismaeliti. Io credo
ci fosse qualcosa di pi, forse addirittura il ripresentarsi di quella
63
corrente della teosofia iranico-islamica, che trov ad esempio in
Sohrawardi il pi alto pensatore e martire.
Una nota a margine: non forse un caso che il movimento
roshaniyya fu considerato estremamente pericoloso da Akbar,
non solo sul piano politico, ma soprattutto su quello religioso. In
questo senso non per in difesa dellortodossia, ma piuttosto
rispetto alla nuova religiosit che limperatore andava formulan-
do per il suo vastissimo Impero, sotto il nome di Din Ilahi, la
Fede Divina.
Una costante della storia dello Swat e degli Yusufzai il per-
petuo oscillare tra la tendenza a superare il tribalismo attraverso
lorganizzazione statale, e la profonda sensibilit spirituale, direi
quasi la sete di un messaggio religioso. Un peculiare concentrato
di razionalit e misticismo.
Sotto la guida spirituale di Pir-i Roshan gli Yusufzai scesero in
armi. La contromossa fu quella di stanare il movimento rosha-
niyya direttamente nei suoi capisaldi nello Swat. La campagna
del 1586 prevedeva di collegare due fronti: quello occidentale
dal Dir, e quello sud-orientale dal Buner per il passo di Karakar.
La campagna fu fallimentare, nonostante larmata avesse rag-
giunto Barikot e poi il passo di Karakar. La resistenza tra le mon-
tagne fu aspra. Lesercito moghul, diviso da gelosie tra gli alti
comandi, decise incomprensibilmente di ritirarsi. Forse legitti-
mo chiedersi se, anche in campo moghul, il movimento rosha-
niyya avesse fatto proseliti, e fosse la causa delle numerose defe-
zioni e degli intrighi che portarono alla sconfitta. Fatto sta che
lanno successivo il comando delle operazioni contro lo Swat fu
affidato a un generale hindu.
Negli anni successivi e fino al 1592 furono fatti numerosi altri
tentativi, tutti fallimentari, e se poi nel 1593 gli Yusufzai attacca-
rono addirittura Peshawar, vuol dire che mai lo Swat, il Buner e
Malakand furono sotto il controllo imperiale.
Dove la forza non riusc, pot per la fede.
64
AI CONFINI DEGLI IMPERI
La predicazione del campione dellIslam ortodosso Sayyid Ali
Shah Tarmezi, detto Pir Baba, e del suo principale discepolo
Abdur Rashid, detto Akhund Darwaza, soprattutto diretta contro
leresia roshaniyya, rappresenta linizio della storia del moderno
Swat. Anche questa una manifestazione del pendolo che da
sempre accompagna la storia, non solo degli Yusufzai, ma, in fon-
do, di tutto lo Swat, che fu sempre una terra spiritualmente
feconda, uno di quegli angoli della Terra dove gli impulsi del
tempo hanno battuto al ritmo dello spirito.
Si ricordano due importanti dispute teologiche tra Pir Baba
e Pir-i Roshan, tenute a Charsada e a Katelai, nello Swat. Que-
stultima considerata decisiva per la definitiva sconfitta del
movimento roshaniyya. Fatto sta che col rientrare degli Yusufzai
nellortodossia, lo Swat e le regioni circonvicine, divennero
nominalmente feudi Moghul almeno fino alla morte dellimpe-
ratore Aurangzeb nel 1748, quando limpero Moghul inizi il
suo declino.
Visitare il santuario che circonda il cenotafio di Pir Baba, nel
Buner, ai piedi dellIlam, stata unesperienza indimenticabile.
Almeno ancora ai primi anni 90 si poteva notare, nella cornice
di santit, la pacifica coesistenza della devozione musulmana e di
quella delle famiglie hindu e sikh. Luna visibile nella folla che
spinge intorno al cenotafio, laltra nelle processioni annuali, che
da qui partono per la cima dellIlam.
Saidu Sharif, 13 settembre 1995
Allesterno i cambiavalute prendevano quegli straccetti da 1, 2 o
5 rupie e li cambiavano in consunti anna, centesimi di rame o nichel,
da impiegarsi nelle elemosine. Ovunque erano fieri caratteri di asceti con
la barba e i capelli lunghi, seminudi direi, con stracci variopinti intorno
alla vita, e uno sguardo, fisso o eccessivamente mobile, comunque inquie-
tante (tanto pi che brandivano talvolta sciabole dantiquariato o altri
pericolosi strumenti). Erano i malangan, i fakiri guardiani delle tombe
dei santi, perlopi degli alienati. Gesticolavano, agitavano i loro stru-
menti, come marescialli di banda; avanzavano a passi larghi, innatura-
li, cadenzando ogni loro azione con solipsistica iperlala. Lungo il viale
daccesso al cenotafio, bianco, selciato, impavesato da logore innumeri
bandieruole verdi, che drappeggiavano laria ventosa sotto la montagna,
si accalcavano ordinatamente i mendicanti, perlopi lebbrosi, benedicenti
coi loro moncherini, le maschere dargento del viso mutilato, le monetine
che tintinnavano in fondo al loro barattolo.
Dopo aver tenuto ben stretto in mano un pugno di anna per unoret-
ta buona ed essermi sentito per un po un buon musulmano, ricordo di
aver realizzato con leggero sgomento che quelle stesse monete erano state
riconsegnate personalmente dai lebbrosi ai cambiavalute alla fine della
giornata, per poi ricominciare il giro il giorno seguente. In realt quello
che succede sempre, in forma invisibile, nella circolazione del denaro.
Da dove proviene? Chi lha usato? inutile dire che una sottile forma di
ipocondria vel, come una garza leggera, le ore successive della mia
giornata.
La linea familiare di Pir Baba molto importante per la sto-
ria politica dello Swat. Tra i suoi discendenti, significativamente
detti sayyid
1
, vennero scelti due re dello Swat.
Gli eventi che attraversarono i due secoli successivi sono
complessi, ma anche poco rilevanti rispetto alla storia dello Swat
e mi permetto di riassumerli in forma sintetica, giusto per non
lasciare lacune nella curiosit del lettore.
Nel 1747 Ahmad Shah della trib pashtun dei Durrani diven-
ne sovrano monocratico dellAfghanistan, ora unificato, strap-
pando i suoi lembi occidentali ai Safavidi e quelli orientali agli
ultimi Moghul, giungendo fino a saccheggiare Delhi. La sua idea
di unire tutte le genti afghane sotto un unico Stato mor con lui,
secondo lopinione di Miangul Abdul Wadud, nel senso che il
suo successore Timur Shah, mai considerato un vero Pashtun,
semmai con un sottile, ma significativo distinguo, un Persiano,
non seppe raccogliere intorno a s lappoggio degli Yusufzai.
66
1
Originariamente capo, in seguito, in epoca islamica, un titolo onorifico
per i discendenti del Profeta Maometto.
Lemergere della potenza Sikh, durante il regno di Shah
Zaman, salito al trono dopo la morte di Timur Shah (1793), un
fenomeno singolare, complesso e difficile da spiegarsi. Altrettan-
to complesso comprendere le ragioni della popolarit di que-
sto fenomeno di rinnovamento religioso. Le religioni in questa
parte del mondo non sono mai state dei fenomeni definiti: lo
testimoniano non solo fenomeni spontanei come il movimento
roshaniyya, in cui si raccolgono correnti apparentemente lonta-
ne (come nel catarismo di Provenza), ma anche fenomeni neo-
religiosi pi recenti. Questi sono a mio avviso legati alla crisi spi-
rituale della potest temporale, che si manifesta alle soglie
dellet moderna: in India con Akbar, che ide una sorta di
esperanto dellesperienza religiosa pensato per unificare le genti
del suo Impero; quasi negli stessi anni, nel regno dInghilterra,
Enrico VIII creava la Chiesa anglicana.
Lesperienza politica sikh fu molto importante da molti punti
di vista, non ultimo quello di essere stato accuratamente osserva-
to dai Britannici come un elemento di novit, interessante anche
ai fini di una loro penetrazione nei territori di Peshawar e Kabul,
operazione i cui piani erano gi across the board come risposta al
pericolo russo.
Lesperienza del regno sikh a Peshawar non sembra aver avu-
to ripercussioni significative nello Swat, se si esclude lappoggio
dato dagli Yusufzai a un altro predicatore, Sayyid Ahmed Shah
Brelwi, di fede wahabita. Questi, giunto nello Swat, si pose sotto
la protezione di un discendente di Pir Baba, Sayyid Akbar Shah
di Sitana (Hazara). Limportanza di questa alleanza risiede piut-
tosto nel fatto che essa fu la causa indiretta nel 1862 della batta-
glia di Ambela, che, insieme alle due battaglie di Malakand, sta-
to uno degli episodi pi rilevanti della storia militare britannica
che abbia visto coinvolti gli Yusufzai dello Swat.
Ahmed Shah, grazie allappoggio del Sayyid di Sitana, riun
intorno a s gli Yusufzai e altre trib, andando ad espugnare
Peshawar nel 1830. Gli Yusufzai per, rigidi osservanti di scuola
hanafita, ben presto abbandonarono Ahmed Shah, non appro-
vando lorientamento wahabita del suo movimento. Il movimen-
to inaugurato da Ahmed Shah, che propugnava la creazione di
uno Stato islamico su principi wahabiti, rimase tuttavia attivo in
alcune aree tribali (Bajaur, Khyber, Mohmand), ma non nello
Swat, in funzione anti-britannica almeno fino al 1947. Va notato
che lorientamento hanafita degli Yusufzai particolarmente for-
67
te proprio nello Swat e tuttora rappresenta un elemento di bilan-
ciamento al fondamentalismo wahabita dei gruppi filo-qaidisti.
Nonostante le trib dello Swat avessero ritirato il loro appog-
gio ad Ahmed Shah, daranno pi tardi prova di fedelt alla parola
data, impegnandosi nella protezione dei suoi seguaci, i cosiddetti
Hindustani fanatics, contro un nuovo nemico: lesercito britannico.
Nel frattempo, intorno al 1794, era nato nellalto Swat Abdul
Ghafur, figlio di Abdul Wahid, capostipite dei Miangul, della
trib Safi di Mohmand.
Abdul Ghafur noto come lAkhund dello Swat, o meglio
Saidu Baba. Si tratta di una fondamentale figura di asceta, la ter-
za figura messianica ad apparire nella storia degli Yusufzai,
dopo Pir-i Roshan e Pir Baba. Circondato in vita da un folto
seguito nello Swat, il suo mausoleo a Saidu Sharif oggi onora-
to da dieci milioni di fedeli, dal South Waziristan al Punjab. Sot-
to la sua guida spirituale lo Swat viene per breve tempo (1850-
1857) governato da Sayyid Akbar Shah con capitale a Ghalegai
nello Swat. Con la figura di Saidu Baba, gli Yusufzai dello Swat
trovano finalmente il raccordo tra le aspirazioni spirituali e la
creazione della forma politica del loro organizzarsi come comu-
nit. Il processo fu lento, ma se ne possono seguire con chiarez-
za le tappe, che, sempre pi veloci, porteranno alla creazione di
quel miracolo politico che fu lo Yusufzai State of Swat sotto la
dinastia Miangul.
Nel 1862 lamministrazione britannica aveva gi preso in
carica i resti pi occidentali del regno sikh e, cos come i suoi
predecessori, cominci a dover regolare i conti con le trib irre-
dente delle montagne. Uno dei primi piani militari britannici fu
la spedizione punitiva contro i seguaci di Ahmed Shah rifugiatisi
presso gli Yusufzai del Buner (Bunerwal).
La legge dellospitalit, melmastya, non conosce deroghe pres-
so gli Yusufzai, ma non un dogma. La rottura dellalleanza con
Ahmed Shah e la morte di questultimo avevano eliminato ogni
dovere morale verso i suoi seguaci. Nel 1863 Saidu Baba per
chiam il jihad contro la spedizione, che stava portando i Britan-
nici nel Buner, dove si erano rifugiati i seguaci superstiti di
Ahmed Shah. A questi si erano aggiunte le truppe ammutinate
del 55esimo Bengal Infantry di stanza a Mardan. Dalle Black
Mountains nellHazara, i ribelli, appunto gli Hindustani fanatics,
si erano spostati a Malka e da l continuavano a compiere incur-
sioni nelle retrovie britanniche.
68
La battaglia di Ambela, sanguinosa e cavalleresca, inizi con
un errore di valutazione, tipico, ricorrente, ancora oggi: questo
errore, non proprio la melmastya verso i ricercati, fu la causa
dellinsorgenza delle trib, e ci dimostrato dalla singolare
conclusione della campagna.
Sir Neville Chamberlain volle infatti conservare leffetto-sor-
presa della spedizione e, ritenendo i Bunerwal neutrali, non li
inform che stava per entrare nel loro territorio con i suoi 5.000
soldati, tra coloniali e nazionali. Si tratt di un errore cultura-
le, dovuto pi che altro alla sottovalutazione del titolo giuridico
dei confini tribali. Ignoranza e presunzione tipica di ogni guer-
ra coloniale, cui, secondo gli Atti della Conferenza sul Congo
(Berlino 1884-85), non andavano applicati i princpi dello ius
publicum Europaeum: fondamentalmente non si riconoscevano
alle trib il titolo di iustus hostis.
I Bunerwal, ignari delle ultime novit in fatto di ius belli,
ovviamente accorsero in armi e a questi si aggiunsero i lashkar
chiamati da Saidu Baba, fino a un totale stimato per eccesso in
circa 25.000 uomini. Il caposaldo di Ambela, coi suoi due picchi,
il Nido dAquila e la Rupe fu il teatro dello scontro, che
dur dal 22 ottobre al 15 novembre.
Una volta forzato il passo, i Britannici di fatto decisero di
accordarsi per evitare di affrontare una marcia prolungata in ter-
ritorio ostile. La conclusione della campagna fu esemplare, una
lezione, purtroppo, inascoltata. Furono infatti i lashkar di Saidu
Baba, accompagnati da pochi ufficiali britannici nel ruolo di
osservatori, a ripulire Malka dai ribelli.
La sottovalutazione giuridica, culturale, ma anche umana,
del nemico, fu una costante nei rapporti ufficiali tra lammini-
strazione britannica e le trib, forse a differenza di quanto era
successo in epoca Sikh con il generale di scuola napoleonica
P.C.M. Avitabile. Fanno eccezione figure illuminate dellammi-
nistrazione dellImpero come G.N. Curzon, R. Sandeman,
O. Caroe, ma anche H.W. Bellew, H.G. Raverty e scrittori del
calibro di R. Kipling, colui che pi di ogni altro ci ha trasmesso
the taste of the Frontier.
Nel 1877 mor Saidu Baba e tra il 1887 e il 1893 morirono i
suoi figli; al pi giovane, Miangul Abdul Khaliq, sopravvisse la
moglie, figlia del Mehtar del Chitral. Alla morte di questultimo
fu il fratello della principessa, Shuja-ul-Muluk, a succedergli.
Questo legame della famiglia Miangul e in senso lato dello Swat
69
con la casa del Chitral fondamentale per capire i fatti che
portarono alle due guerre di Malakand, fuori dalla vulgata che
ne d la letteratura militare britannica. Intanto tra i figli di
Abdul Khaliq si distingue in guerre feudali, tra i khan dello
Swat, Miangul Gulshada Abdul Wadud, il futuro Badshah Saheb.
Tra il 1891 e il 1893 prese corpo il progetto del colonnello
Algernon Durand di una rete stradale che collegasse Hunza,
Nagir, Gilgit e Chitral, ovvero gli stati principeschi controllati
indirettamente dai Britannici attraverso i loro Political Agents,
con le guarnigioni nella piana. Per meglio assicurarsi una linea
di continuit politica, i Britannici avevano formalizzato il legame
del Chitral alla casa regnante di Jammu e Kashmir. Era gi in
corso il Grande Gioco: la guerra fredda tra Britannici e Russi
per il controlo delle reciproche linee di penetrazione attraverso
il Karakorum e lHindukush. In questo gioco pedine fondamen-
tali furono proprio gli stati principeschi, il cui potere e il cui ruo-
lo fu di volta in volta enfatizzato o limitato a seconda delle neces-
sit della politica internazionale in Eurasia, di cui quei principati
erano divenuti delle teste di ponte chiave.
Mossa fondamentale sulla scacchiera sud-orientale del fronte
invisibile russo-britannico fu la firma del trattato che sanciva i
confini tra lAfghanistan dellemiro afghano Abdur Rahman e il
Raj britannico dIndia: la cosiddetta Linea Durand, su cui si
torner nel dettaglio nel prossimo capitolo.
Nel 1895 la politica britannica provoc del malcontento in
Chitral, cui seguiranno dei mutamenti dinastici favoriti dai Bri-
tannici. A seguito della nomina del giovanissimo Shuja a Mehtar,
la guarnigione Robertson a Chitral venne assediata dalle fazioni
lealiste. La situazione innesc una serie di reazioni nei principati
vicini. Il Khan di Jandul, Omara Khan, usurpato il trono del Dir,
intervenne nei disordini con un suo esercito in funzione di fatto
anti-britannica. La situazione divenne gravissima per la guarni-
gione Robertson. I Britannici mobilitarono le guarnigioni di
Nowshera e Peshawar, formando un corpo di spedizione per il
Chitral. Tra i tre possibili passaggi, Malakand, Shahkot e Cherat,
fu preferito il primo, in quanto si riteneva non avrebbe coinvolto
i khan di Thana e dello Swat. Mentre unavanguardia, da Gilgit,
entrava in Chitral da nord, il grosso dellesercito britannico veni-
va bloccato sul passo di Malakand per uno scontro intenso, ma di
breve durata. La vulgata della battaglia di Malakand, tramandata
dalla diaristica militare, spesso viziata dalla sottovalutazione del
70
Fig. 9 - La battaglia di Malakand. (Da Barth 1995: fig. 6).
il nemico (disprezzo talvolta), nonch da una certa superficiale
conoscenza del contesto (ad esempio si veda come, ancor
oggi, laltrimenti accurato M. Barthorp spieghi la disfatta delle
trib con il fatto che gli Yusufzai [...] had never faced cavalry
before!).
Il passaggio delle truppe in Dir fu successivamente garantito
dalla fazione del deposto Nawab Mohammad Sharif Khan, che
poi fu reinsediato, ottenendo la recognition di sovrano del Dir dai
Britannici. La guarnigione Robertson fu salva e la Corona si assi-
cur il controllo sul Chitral.
Nel 1896 si registra linizio dei disordini nella Frontiera, cau-
sati dallaumento della presenza britannica, seguita alla discussa
firma del trattato della linea Durand. Lanno successivo, lanno
della cosiddetta Pathan Revolt, fu chiamata il jihad nello Swat
dal cosiddetto Lewanai Fakir, il Fakir pazzo di Fatehpur, nel-
lalto Swat. I lashkar dei khan dello Swat avanzarono su Malakand,
dove furono sgominati. La rappresaglia britannica si spinse nello
Swat fino a Mingora. Fu stabilito il campo principale a Barikot,
da dove i Britannici effettuarono una prima ricognizione al pas-
so di Karakar, di cui fu riconosciuta limportanza strategica per il
collegamento con il Buner e Ambela. In questo clima di intimi-
dazione militare si svolse, lo stesso anno, la prima ricognizione
archeologica di Aurel Stein in Buner con la Buner Field Force.
La campagna di Malakand del 1897 stata brillantemente
descritta in una serie di articoli per il Daily Telegraph firmati da
A Young Officer, (poi) Sir Winston S. Churchill. Gli articoli
furono successivamente raccolti e rimaneggiati nel suo primo
libro (1898), la cui prosa suona, quasi ad ogni pagina, supponen-
za e irriguardo verso i nemici, considerati nulla pi che savages
of the Stone Age.
72
NASCITA DI UNO STATO (1917-1926)
Proviamo ad osservare il quadro della situazione in questo
settore della NWFP tra la met del XIX secolo e i primi decenni
del successivo. Due date innanzitutto: la linea Durand fu stabilita
nel 1893, mentre la NWFP fu creata solo nel 1901.
Per pi di mezzo secolo larea realmente amministrata dai
Britannici, che astrattamente si intendeva limitata ad ovest dalla
linea Durand, nella realt avrebbe compreso solo i distretti di
Dera Ismail Khan, Bannu, Kohat, larea di Peshawar e il Khyber,
Mardan, Malakand. Di fatto esisteva un confine interno, al di l
del quale, ancora nel 1901, si pensava di potersi ritirare in caso
di bisogno. Questo confine interno correva lungo lIndo
(importante, lo snodo di Attock). A nord, linfluenza britannica
era ben definita, anche se sotto forma di protettorati, o meglio
principati a sovranit limitata, nel Karakorum-Hindukush, a
Hunza, Gilgit e Chitral. La via di accesso pi occidentale a que-
sti era garantita, come nel gioco del domino, da una serie pro-
grediente di acquisizioni di controllo territoriale. Dalle guarni-
gioni di Dargai, a Malakand e Chakdarra nel Dir, fino al Chitral
e da qui a Gilgit. Malakand e Chakdarra, interfacce strategiche
cruciali, furono il risultato delle due campagne nel basso Swat
del 1895 e 1897. La patente concessa al sovrano del Dir dai Bri-
tannici garantiva loro una sufficiente forma di controllo sulla
via di comunicazione con Chitral.
Se si guarda con attenzione, al di l del confine interno, nei
distretti summenzionati, la presenza britannica era limitata al
controllo di una rete stradale, del suo doppione ferroviario (fin
dove era possibile), di alcuni snodi nevralgici e militari
(Peshawar, Mardan, Nowshera, Dargai, ecc.), e allo sviluppo di
alcune aree agricole. Nelle aree dove si era riconosciuta una
sovranit stabile, la presenza britannica era garantita dalla con-
clusione di accordi che sottoscrivessero il passaggio e la presenza
delle truppe.
Questa situazione fluida ricorda da vicino il sistema di con-
trollo imperiale romano del suo limes. Il confine interno corre
lungo un fiume (qui lIndo, l il sistema Reno-Danubio) ed
costeggiato allinterno da unarteria stradale, punteggiata da
insediamenti rigidamente divisi tra quartieri militari-ammini-
strativi (cantonments/castra), quartieri residenziali (colonies/colo-
niae) e villaggio indigeno. Larea amministrata al di l di questo
limes considerata area a bassa intensit di pericolo salvo le
zone poste lungo le infrastrutture (strade, ferrovie, ponti), dove
si concentrano le guarnigioni; in gran parte la sicurezza dellarea
garantita da alleanze temporanee e dai sussidi versati alle trib
transfrontaliere. Centro amministrativo e civile dellarea ammini-
strata una citt-mercato (qui Peshawar), aperta ai traffici che
vengono da oltre confine, ma pronta a raccogliersi sotto la prote-
zione della sua guarnigione in caso di bisogno. Nella zona
74
Fig. 10 - La valle dello Swat con vista del colle di Barikot.
amministrata si pu porre in atto quella modalit di controllo e
consolidamento del territorio che stata gi ottenuta nei territo-
ri pi interni: si intende quella strategia di gestione sociale
ottenuta principalmente con il controllo dellagricoltura (dighe,
canali, impianti industriali di trasformazione: cotone, tabacco,
canna da zucchero), delle infrastrutture (strade, ferrovie) e del-
lurbanizzazione.
Un sistema dinamico di difesa avanzata previsto tra i con-
fini amministrati e il confine dellarea di influenza (qui la linea
Durand), che un confine aperto, giuridico, non statico e sotto-
posto a controllo militare. In termini politici la strategia britanni-
ca di controllo della Frontiera conobbe diverse fasi, lungo le qua-
li si alternarono due modelli strategici: il cosiddetto close border
system (che prevedeva di attestarsi sui confini delle aree ammini-
nistrate o addirittura sul confine interno) e la forward policy (pi
dinamica ed aggressiva).
In ogni caso questo sistema dinamico prevedeva una strategia
fatta di incursioni, rappresaglie, guerre preventive, stipula e
revoca di accordi, ma anche dal tentativo di regolamentare e tra-
sformare nel tempo la struttura giuridica tribale via via sempre
pi in profondit. Il sistema di controllo civile e della propriet
terriera era supportato dal sistema dei tahsil (distretti locali) che
intendeva sostituirsi al sistema feudale dei khan o jagirdar. Il siste-
ma di sicurezza era giuridicamente sostenuto dalla promulgazio-
ne delle Frontier Crime Regulations (1872, 1887, 1901, con revi-
sioni anche recentissime). La ratio delle FCRs si basa su pochi
concetti elementari: il controllo delle assemblee tribali (jirga)
attraverso la nomina dei loro membri, il diritto di veto e di ratifi-
ca da parte britannica alle loro decisioni, lassenza di diritto di
appello, la significativa limitazione della pena massima (quattor-
dici anni di carcere duro e lesilio), ma soprattutto il concetto di
responsabilit collettiva. Con questo si intendeva, ad esempio,
che nel caso di un reato attribuito a un membro di una particola-
re trib, tutta la trib poteva essere colpita, attraverso sequestro
di beni o larresto di qualsiasi altro suo membro, ovunque questi
si trovasse. Comunque le si girino, le FCRs sono da considerarsi
unalterazione in senso gravemente oppressivo e repressivo sia
dei princpi della giurisprudenza europea sia di quella pashtun.
Il fatto significativo che, pur emendate, le FCRs sono ancora in
vigore e possono essere modificate o abolite, ai sensi della Costi-
tuzione del Pakistan, solo per decreto presidenziale.
75
Ai limiti della zona a bassa intensit di rischio, nelle aree vita-
li nel senso degli interessi strategici generali (qui il Karakorum-
Hindukush), si creano o si sostengono degli Stati-clientes (qui il
Dir e il Chitral, a nord-ovest). In questo senso particolarmente
significativo il processo di controllo del Chitral.
Il concetto-base che era allorigine della distinzione tra aree
amministrate e non, senzaltro da ritrovarsi nella consapevolez-
za britannica che le zone pi occidentali della Frontiera erano di
fatto territori afghani ereditati dalloccupazione sikh, pi volte
legittimamente rivendicati da Kabul. Questo fatto evidente sin
dai primi passi della politica britannica nella regione. La dram-
matica fine della missione di Alexander Burnes a Kabul presso
la corte dellemiro Dost Muhammad (1841), e lo scoppio della
prima guerra anglo-afghana, fu in pratica legata alle promesse,
successivamente non mantenute, di far restituire dai Sikh i terri-
tori occupati fino a Peshawar.
Mi si permetta unulteriore digressione. Il lettore trover
interessante sapere come il controllo del Chitral, con il corolla-
rio nel Dir e nello Swat, sia anche passato, come si gi detto,
attraverso la formale sottomissione del Mehtar al Maharaja di
Kashmir e Jammu. Questa era stata siglata gi nel 1878; il primo
articolo dellEngagement cos chiudeva: [...] Presenter annual-
mente i seguenti nuzzerana [doni] a Sua Eccellenza come ricono-
scimento del suo preminente potere: tre cavalli, cinque falchi,
cinque cani tezi [levrieri]. Nel 1914 laccordo fu riconfermato in
tutti i suoi articoli ed ampliato. Si ricordi a questo punto il ruolo-
chiave giocato dalla famiglia regnante del Kashmir allepoca del-
la Partition in relazione allaccessione di questo principato al-
lIndia. Si capir allora facilmente il ruolo di principale alleato
britannico che ebbe il Kashmir, prima nella gestione degli affari
interni del Karakorum-Hindukush, poi nelle questioni del 1947.
Interessante per anche vedere come tutto ci sia stato
visto dallaltra parte. Nel frattempo, infatti, tutte le trib pashtun
al di qua e al di l della linea Durand, sapevano che quella linea
era solo un limite innaturale ai loro territori nazionali (nel senso
di natio: intesi quindi come fines gentium), perdipi causato dal
ritiro britannico a seguito della seconda guerra anglo-afghana.
La linea Durand era per loro uningiustizia e al tempo stesso un
segno di debolezza. Quella linea, comera nata, poteva scompari-
re. Comera stata tracciata, poteva essere spinta indietro, sempre
pi indietro, ricacciata, con le sue guarnigioni, le sue ferrovie, le
76
sue casematte, al di l di Attock, oltre lIndo. Inoltre, fatto ulte-
riormente indicativo in tal senso, la linea Durand stata pi vol-
te denunciata da Kabul, sin dallemiro Abdur Rahman: Nel
vostro privarmi di queste trib frontaliere, che sono genti della
mia razza e della mia religione, voi offendete il mio prestigio agli
occhi dei miei sudditi e mi renderete debole, e questa mia debo-
lezza offensiva per il vostro Governo (citato in Spain 1963:
117, n. 26). Lindifferenza britannica alle richieste afghane va
fatta risalire alle grandi manovre della politica europea. Nel 1873
Londra e San Pietroburgo accettarono, almeno sulla carta, la
linea dellOxus (Amu-darya) come linea di demarcazione meri-
dionale degli interessi russi: ci comport come conseguenza
la considerazione dellAfghanistan come stato-cuscinetto e il
progetto di quella che sarebbe poi diventata la linea Durand.
Tutti gli atti militari successivi al 1895 vanno interpretati
come parte di quella strategia di difesa dinamica o forward
policy: le campagne contro i Mohmand, gli Orazkai, gli Afridi
fino al 1908; quelle posteriori sempre contro i Mohmand, poi i
Mahsud, i Waziri, vanno lette sempre in tal senso. La strategia
britannica segu le cinque direttrici delle aree di Gomal, Tochi,
Kurram, Khyber e Malakand. Va da s che lincertezza militare
legata alle conseguenze, mai definitive della forward policy, fu
consegnata, come vedremo, come uneredit su cui pendano
ipoteche e servit, al nuovo Stato del Pakistan con la Partition
nel 1947.
Nel 1899 Lord George Nathaniel Curzon di Kedleston diven-
ne Vicer dellIndia. Con lui la politica britannica conobbe una
fase nuova, che potremmo definire come un tentativo di sintesi
tra forward e close border policies. Sulla scorta dellesperienza di
Lord Robert Sandeman in Baluchistan, Lord Curzon propose un
programma di penetrazione integrata, condotta da uomini di
grande esperienza. Il primo atto formale fu la creazione della
NWFP nel 1901, come unit territoriale separata dal Punjab.
Allinterno della NWFP i cosiddetti territori tribali (non ammini-
strati) furono considerati come marche di confine, la cui sicurez-
za si volle garantita da nuovi corpi di polizia indigena (Khyber
Rifles, Samana Rifles, Tochi Scouts, ecc.) affiancati dalle milizie
tribali. Le trib vennero inserite in un programma di sussidi sot-
to la responsabilit dei Political Agents; vennero costruite strade
e tronchi ferroviari da cui avrebbero tratto vantaggi logistici
anche le trib. La politica di Lord Curzon, che intendeva con-
77
durre ad una sorta di auto-governo delle trib, mostr tutte le
sue debolezze con lo scoppio della terza guerra anglo-afghana
sotto il regno dellemiro Amanullah nel 1919. La guerra fu bre-
ve, ma indic linizio di una nuova politica. Gli ammutinamenti
della polizia indigena costrinsero a riorganizzare questi corpi,
riducendo la percentuale di truppe locali; dal Waziristan verso
nord, le forze britanniche si concentrarono con maggior eviden-
za e capacit di reazione: le parole dordine divennero peaceful
penetration e control from within; infine venne siglato un
accordo definitivo con Kabul (Anglo-Afghan Treaty, 1921). Mol-
to probabilmente uno dei passi fondamentali di questa nuova
politica fu lavallo finalmente dato da Londra alla nascita dello
Yusufzai State of Swat.
* * *
Nel 1908, ai confini dellarea amministrata si verificarono tre
fatti che andrebbero relegati nelle cronache, se non fossero stati
prodromi di eventi successivi di particolare rilevanza.
Innanzitutto si registra un secondo tentativo di Lewanai Fakir
di chiamare al jihad contro i Britannici di stanza a Malakand.
Quindi si registra lintervento politico-diplomatico del nipote
di Saidu Baba, Gulshada Abdul Wadud (Miangul), ormai il pi
influente e ambizioso tra i khan dello Swat, che blocc sul nascere
liniziativa. Nonostante questo fatto i Britannici rimasero sospetto-
si verso le attivit politiche del giovane khan. Non senza ragione,
se si interpreta la sua mediazione come il tentativo di tenere lon-
tani i Britannici dallo Swat, sul cui territorio il futuro Badshah
Saheb stava cominciando a meditare di imporre la propria leader-
ship. Ad una terza insurrezione senzaltro i Britannici avrebbero
risposto con una guerra dannessione, che andava evitata. Laltro
motivo di apprensione per i Britannici riguardava laumento di
prestigio delluomo, fenomeno pericoloso, di cui non si prevede-
va lesito, e a cui, comunque, si preferiva il tribalismo tradiziona-
le, tutto sommato pi controllabile attraverso le sue intrinseche
divisioni. Luomo era pur sempre il nipote di Saidu Baba, che ave-
va chiamato il jihad ad Ambela; inoltre, rimasto vedovo, aveva spo-
sato una discendente di Pir Baba: una miscela potenzialmente
esplosiva di ambizione politica e autorit religiosa.
I Britannici misero allora in moto uno dei meccanisimi previ-
sti nelle strategie di difesa avanzata: autorizzarono il Nawab
78
del Dir, che godeva della recognition britannica, a innescare delle
incursioni nello Swat. Il Nawab estese la sua rete di alleanze e
costru guarnigioni sulla riva destra del fiume Swat.
Va qui ricordata limportanza della riva destra nella storia
recente dello Swat. Sar tra i khan della riva destra che le ambi-
zioni del principato del Dir troveranno sempre sponda, anche
perch lautorit del futuro Yusufzai State of Swat era stata accet-
tata col con maggiori resistenze. La riva destra sar non a caso
mantenuta sotto controllo militare da parte dei Miangul, e svi-
luppata in modo limitato dal punto di vista delle infrastrutture
stradali. Di fatto essa rappresenter il vero confine interno
nord-occidentale dello Stato. Sar sempre nella riva destra che
negli anni scorsi si sono infiltrati e hanno trovato protezione i
membri delle organizzazioni qaidiste provenienti dallAfghani-
stan (di questo si tratter pi avanti). Sar la riva destra, infine,
il teatro dei combattimenti che, dal novembre-dicembre 2007
vedono opporsi allesercito pakistano le formazioni paramilitari
taliban.
Lanno 1908 registra per anche un quarto evento, la nascita
del primo figlio di Gulshada (Abdul Wadud), Jahanzeb, futuro
principe ereditario (Waliahad).
La situatione rimase stabile fino al 1914. Qui si vede come
linfluenza della situazione internazionale condizioni in parte lo
sviluppo delle rivolte locali. Si diffuse la notizia dello scoppio
della guerra in Europa. Agenti germanici, si diceva, erano
segnalati di qua e di l della linea Durand. Recentemente ho
potuto consultare documenti inediti, che confermano quanto le
autorit britanniche fossero preoccupate dei riflessi che la guer-
ra in Europa avrebbe avuto presso le trib e i principati della
Frontiera. Lattivit diplomatica con le controparti locali si
intensific, soprattutto in aree-chiave per il contenimento delle
ingerenze afghane, come il Bajaur e il Chitral. Anche in questo
caso nello Swat si gioc una partita decisiva. Approfittando della
notizia delle ostilit in Europa e di altre circostanze, appunto
nel 1914, i villaggi della riva destra dello Swat si ribellarono con-
tro il Nawab del Dir, su istigazione del mullah Sandakai di
Chakesar, che aveva senzaltro concertato liniziativa con Gul-
shada, tra gli altri. Di fatto, dopo la vittoria, che tolse al Dir il
controllo sulla riva destra nel settore tra Parrai e Kabbal (Sha-
mozai), il mullah propose a Gulshada e al fratello maggiore di
governare lo Swat.
79
Non era quello che Abdul Wadud si aspettava. Al rifiuto di
questultimo di condividere il potere, il mullah si rivolse al Sayyid
Abdul Jabbar Shah di Sitana, Amb, pronipote per parte materna
del primo re dello Swat. Si noti come sempre nellideologia
yusufzai il potere temporale si leghi allautorit spirituale e come
questa si trasmetta per via ereditaria. Il Sayyid nel 1915 divenne
re dello Swat con capitale a Kabbal (ovvero sulla riva destra). I
Miangul scelsero lautoesilio. Va comunque notato che gi allora
la famiglia Miangul aveva stretti rapporti con influenti personag-
gi dellarea di Chakesar, Puran, che nel futuro rappresenter la
testa di ponte per lespansione dello Stato verso lIndo.
Negli anni dellesilio (1916-1917) i due fratelli Miangul deci-
sero di allearsi segretamente col Nawab del Dir per rovesciare il
re dello Swat, riguardato come un usurpatore. I Miangul forma-
rono un lashkar e sconfissero il re a Tindodag, sulla riva sinistra,
nonostante le forze del Nawab non intervenissero perch, secon-
do un precedente accordo con i Britannici, al Nawab non era sta-
to concesso di attraversare in armi il fiume Swat (considerato
come il confine statico meridionale dellarea del Dir). Pu porsi
la domanda: labilit politica di Abdul Wadud aveva considerato
questo fattore? Era forse stata questa la valvola di sicurezza, che
gli aveva permesso di stringere con tranquillit unalleanza con
un pericoloso e pi potente ex-nemico? Abdul Wadud sapeva
dunque che avrebbe vinto la battaglia finale da solo? La scelta di
Tindodag come luogo per la battaglia poi carico di simboli sto-
rici, che la fantasia yusufzai poteva trasformare, come dicevano
gli ascari eritrei, in fantasie, poesia epica. Tindodag, alle porte di
Ghalegai, prima capitale dello Swat moderno sotto il primo re
discendente di Pir Baba, anche il luogo dove finito il breve
regno di un altro discendente del santo.
Nel 1917, sconfitto il re a Tindodag, Gulshada occup Saidu
Sharif. Inizialmente si giunse ad un trattato di pace, secondo il
quale il re sconfitto avrebbe continuato a regnare solo sulla riva
destra, mentre Gulshada su quella sinistra.
Il regno della riva destra fu di breve durata: termin con una
ribellione guidata dal mullah Sandakai contro il re, scoperto
seguace degli Ahmadiyya, una setta ritenuta eretica nellIslam.
Le jirga (consigli degli anziani) yusufzai dello Swat riunite
nominarono Gulshada Badshah dello Swat e venne fondato lo
Yusufzai State of Swat con capitale a Saidu Sharif, dove si trova il
cenotafio di Saidu Baba antenato spirituale dei Miangul. Il mul-
80
lah Sandakai andr poi in esilio in Puran, dove continuer a
fomentare attivit contro lo Stato.
Gi da questo si capisce che la vita iniziale del nuovo Stato
non fu facile.
Il lustro 1918-1923 fu poi un periodo di turbolenze causate
dai principati di Dir e Amb, che mal sopportarono la nascita di
un regno rivale in un territorio su cui avevano entrambi rivendi-
cazioni e ambizioni territoriali.
Il Nawab di Amb, sulla riva dellIndo vicino Chamla, accolse
il deposto re dello Swat come ministro e avvi una politica espan-
sionistica verso il Buner. Il Badshah per risposta inizi la politica
di annessione del Buner che si concluder solo nel 1923.
Sul versante del Dir si registra lalleanza tra il Nawab del Dir
e il figlio di Omara Khan, il suo ex-nemico, khan di Jandul, quel-
lo che lo aveva deposto al tempo della prima battaglia di
Malakand. Insieme i due si annetterono la riva destra del basso
corso dello Swat (Shamozai) reclamata dallo Stato: scoppiava la
prima guerra col Dir, che si sarebbe conclusa con la conquista
dellarea di Shamozai da parte del Dir.
Va detto al lettore qualcosa riguardo la dimensione dellagire
politico e militare in quegli anni nello Swat. Innanzitutto occor-
re ricordare che il territorio era diviso tra famiglie aristocratiche,
che, s, praticavano la rotazione dei terreni (wesh), ma sostanzial-
mente insistevano in determinate aree. I loro maggiorenti, i
malik o i khan, partecipavano come grandi elettori alle diete
degli anziani, le jirga, dove si prendevano le decisioni politiche e
militari. Un re senza lappoggio delle famiglie, lo si visto, iso-
lato e ben presto deposto. In questo sistema feudale linserimen-
to dellappoggio britannico a vantaggio di uno o di un altro khan
ha dato sempre buoni frutti.
Quando si parla quindi di politica di annessione, si intende
sempre lelaborazione di un sistema di accordi e contropartite
tra il potere centrale e i khan locali, basati spesso sullesistenza di
relazioni parentali, presenti o passate, di grado diretto o lontano.
Lo scontro militare sempre lultima opzione, spesso in
risposta ad un casus comunque legato alla sfera etica o giuridica,
a meno che non si tratti di guerra difensiva o di jihad. Quando
poi la guerra scoppiata essa viene combattuta con le milizie
(lashkar) dei vari khan che costituiscono lalleanza del re. La
fedelt di questi di conseguenza vitale per la conduzione del
conflitto e va da s che questa ripagata con la concessione di
81
titoli terrieri o politici. La guerra combattuta per scontri a
bassa intensit, raramente con battaglie campali, pi spesso con
scaramucce e assalti isolati, combinati con un gioco di interfe-
renze politiche sullaltrui schieramento, che spesso si rivela pi
fruttuoso del combattimento stesso. Si tratta pertanto di episodi
bellici brevi, inseriti in conflitti a lunga durata, talvolta pi simili
ad una partita a scacchi che alla guerra europea moderna.
Nel 1918 scoppi la seconda guerra col Dir: lalleanza del Dir
tent di sfondare oltre Shamozai con la battaglia di Khazana, in
cui venne preso prigioniero e poi ucciso Shirin Sahib, zio del
Badshah. Lanno successivo ricominciarono le ostilit (terza
guerra col Dir). Le forze nemiche vennero inizialmente respinte,
ma in un secondo attacco queste sfondarono ed arrivarono fino
a Matta nel medio corso dello Swat. Nello stesso tempo il Nawab
di Amb inizi le operazioni da sud-est per annettersi il Buner. Si
ricorda unepica battaglia sul passo di Karakar vinta dal Badshah.
In contemporanea si apr un terzo fronte con la ribellione del
Khan di Miandam (alto Swat).
Il Badshah paziente e sa combattere secondo larte degli
scacchi, col ragionamento, ma sa anche tessere personaggio
carismatico, dagli occhi magnetici, si dice unabile tela di rela-
zioni e alleanze, che sapr poi usare in modo opportuno, e
opportunamente ricompensare.
Nel 1921 inizi lannessione dellalto Swat (Kalam). Questa
fu senzaltro suggerita dallesistenza col di fazioni potenti ostili
allo Stato, ma anche da un ragionamento strategico semplice ed
acuto. La politica dello Stato doveva fare qualcosa che preoccu-
passe i Britannici, doveva farsi notare, far finta di tentare subito
di avere cento, mirando in realt a venti. Se il Badshah avesse
tentato lannessione del tridente vallivo di Kalam, lui lo sapeva,
lazione sarebbe echeggiata molto in alto a Peshawar. Se avesse
spinto i Britannici a intimare linterruzione di ogni attivit politi-
ca a Kalam, si sarebbe giunti ad un accordo. Nellaccordo si
sarebbero potute negoziare la questione della terra di Shamozai
contesa col Dir e la questione del Buner. Non solo: il veto britan-
nico sullalto Swat avrebbe escluso future pretese del Dir e del
Chitral. Con una mossa sola lo Stato sarebbe stato salvo. Ecco in
breve i risultati.
Nel 1922 vi fu un accordo tra lo Stato e lamministrazione
britannica che riconobbe la sovranit dello Stato sulla riva
destra. In seguito laccordo venne confermato sulla parola dal
82
Fig. 11 - Lultimo Wali dello Swat. (Da Barth 1995).
figlio cadetto del Nawab e dal maggiore feudatario del Bajaur, il
Khan di Khar. Il fatto che laccordo, pur sfavorevole allo Stato,
fosse stato siglato, mise in buona luce il Badshah presso i Britan-
nici, che concessero carta bianca alle annessioni verso sud fino
ad Ambela e sud-est fino allIndo.
Nello stesso anno e in quello seguente inizi lannessione del
Buner. La maggior parte delle fazioni Bunerwal era favorevole
allannessione, tranne i Mian di Sar che andarono in esilio a
Chakesar fino alla presa del Puran. Dopo atto formale di sotto-
missione vennero reinsediati e ammessi alla carriera militare nel-
lo Stato. Nel 1923 il figlio maggiore Jahanzeb fu dichiarato
waliahad, principe ereditario.
Nel 1926 si ebbe la formale recognition della carica di Badshah
(in his personal capacity) da parte delle autorit britanniche con
conseguente conferma da parte del darbar (riunione plenaria)
delle fazioni dei khan dello Swat. Vennero installate le linee
telefoniche. Inizi lespansione verso lIndus Kohistan nonostan-
te il jihad chiamato dal mullah Mazub contro il Badshah.
Il tridente di Kalam, reclamato per motivi etno-linguistici
dal Mehtar del Chitral e dal Nawab del Dir e, per ragioni geo-
grafiche, dallo Stato, venne dichiarato area di interesse britan-
nico. Ogni tentativo di annessione venne impedito dal veto di
Peshawar.
La partita a scacchi era vinta.
84
UNA VIA VERSO LA MODERNIT (1927-1969)
Nel 1927 il Badshah, con lausilio di ingegneri britannici,
complet la strada per lalto Swat. Si trattava del segno di una
collaborazione, in cui ora Peshawar credeva e che serviva alla sua
politica. Nel 1939 verr completata, sempre dai contingenti sap-
pers (genieri) britannici, la strada del passo di Karakar verso il
Buner. La strada del Karakar era considerata dallamministrazio-
ne imperiale unimportante alternativa a Malakand. La strada
sarebbe servita un giorno, quando lAmministrazione avesse
voluto, comera nelle intenzioni, creare a Kalam unagency, intesa
come unulteriore tessera nel mosaico di protettorati costruiti
nellHindukush-Karakorum. Lo Stato sarebbe stato allora una
cerniera sicura verso Gilgit, cos come Dir lo per Chitral. Que-
sto progetto non si realizzer mai: ci sar una guerra mondiale e
poi alle porte la fine dellImpero in India.
Un certo Iskandar Mirza era Assistant Commissioner ad
Abbottabad; il Badshah avr modo di conoscerlo e di stringere
con lui una forte amicizia, senza sapere che costui sarebbe stato
il futuro Presidente del Pakistan.
In questo clima di tranquille relazioni con lamministrazione
di Peshawar, si svolse la prima ricognizione archeologica dello
Swat, quella dellallora gi celeberrimo esploratore anglo-unghe-
rese Aurel Stein. Egli fu il primo occidentale (esclusi i membri
dellAmministrazione) ammesso a visitare lo Stato. Le pagine
che egli dedica allaccoglienza ricevuta, allospitalit illuminata
del Badshah, ai progressi civili che riscontr nello Stato, sono
importanti quanto quelle dedicate alle scoperte archeologiche.
Sullimportanza dello Swat per larcheologia si deve dire ben
poco, dopo i capitoli che vi abbiamo dedicato. Ricordo per un
passo del primo grande studioso dellarte del Gandhara, Alfred
Foucher, che scrive daver vagheggiato dalle colline di Malakand
di poter un giorno visitare lo Swat, le cui imponenti rovine si
doveva limitare a rimirare col binocolo. Ecco, il sogno di Fou-
cher, mutata la temperie politica, divenne realt con Aurel Stein.
Lo Swat divenne terra nota ac celeberrima tra i cultori dellarte e
dellarchitettura buddhista.
Tra i progetti politici che il Badshah, nel nuovo clima politi-
co, pot avviare tra il 1928 e il 1932, vi era quello rivoluzionario
della politica di sedentarizzazione dei feudi, fino allora mobili e
sottoposti a periodica rotazione. Il progetto interveniva sulla pri-
ma legge scritta degli Yusufzai, attribuita, come s visto, al leg-
gendario wazir Sheikh Malik, subito dopo leccidio di Kabul. La
creazione di feudi permanenti significava possibilit di controllo,
gestione delle alleanze, controllo delle decime, ma soprattutto
comportava un mutamento culturale profondo verso la propriet
terriera. I khan sarebbero stati spinti ad utilizzare i terreni per
colture stabili, come i frutteti, a costruire e mantenere infrastrut-
ture come canali, pozzi e strade, per valorizzarli.
Una seconda rivoluzione riguard la creazione di un esercito
permanente al posto del sistema di reclutamento feudale
(lashkar).
Politicamente lo Stato era considerato ora un interlocutore
valido. Valga a dimostrarlo questo esempio. Verso il 1929 il Bad-
shah sistem, a seguito di accordi con le famiglie yusufzai di Mar-
dan, a vantaggio dello Stato i confini con il distretto britannico
di Peshawar. Come contromossa i confini in certe aree orientali
vennero sistemati dai Britannici a svantaggio dello Stato. Il Bad-
shah pot fare la voce grossa a Peshawar e ottenere i diritti terri-
toriali inizialmente negati. Lanno successivo vi fu poi un forma-
le darbar in onore del Vicer Lord Irwin a Saidu Sharif, in
86
Fig. 12 - Paesaggio di Malakand.
occasione del quale il Badshah fu insignito dellOrdine di Knight
of the British Empire. Nel frattempo, pi a sud scoppiavano dei
disordini a Peshawar causati da problemi con gli Afridi e i Moh-
mand, innescati secondo le autorit britanniche dalle Camicie
Rosse di Abdul Ghaffar, un movimento indipendentista pashtun
che avrebbe avuto un ruolo chiave negli anni a venire. Le turbo-
lenze nellarea del Khyber saranno ricorrenti fino al 1939 e pro-
seguiranno anche durante la II Guerra Mondiale.
Leco del movimento indipendentista, che risuonava dallIn-
dia peninsulare, arriv anche nello Stato. Nel 1931 fu risolto in
modo spiccio laffaire di Sundia Baba, mullah arrestato dal Bad-
shah e morto in carcere con laccusa di aver agitato i territori
dello Stato che si affacciano sullIndo: Chakesar, Puran, Kana,
Ghorband, Besham.
I Britannici, che si possono immaginare istigatori della
repressione, ritenevano, certamente a torto, che dietro le agita-
zioni ci fosse il Movimento delle Camicie Rosse (che veniva pre-
sentato per motivi propagandistici come bolscevico). Questo
movimento e il suo leader, Abdul Ghaffar, erano assai temuti: il
movimento resistette ai numerosi tentativi di repressione, il suo
capo, chiamato il Gandhi della Frontiera, pass gran parte del-
la sua vita in carcere. Il movimento fu considerato ora vicino
allURSS, che aveva ripreso la politica zarista in questa parte del-
lAsia, ora vicino alle potenze dellAsse, con i cui emissari vi furo-
no certamente dei contatti. Lultima cosa che i Britannici voleva-
no era che il fisiologico anarchismo tribale si saldasse a un
elemento ideologico. In quel caso sarebbe stato difficile poi
giocare la loro solita politica a strategia intermittente basata sul
divide et impera.
In risposta e come segno di buona volont nel 1932, a fianco
delle repressioni, i Britannici decisero di innalzare lo status della
NWFP da Chief Commissionership a Chief Governorship, con la
nomina a Chief Minister di un pashtun, Sahibzada Abdul
Qayyum, cui succeder il fratello di Abdul Ghaffar, Khan Sahib.
Questa nuova politica, inutile dirlo, non dar i frutti sperati.
Dopo che nel 1933 i Britannici concessero la loro recognition
alla nomina di Miangul Jahanzeb a Waliahad (in his personal
capacity), inizi un lungo periodo di raffreddamento nei rappor-
ti tra il Badshah e il figlio, cui consegu laumento del potere del
gabinetto dei Ministri (Waziran). Non facile capire le ragioni di
questa freddezza: forse il Badshah non vedeva di buon occhio
87
langlofilia dellerede? temeva di essere estromesso anzitempo?
era una forma di educazione pel futuro Capo di Stato?
Personalmente ho sempre ritenuto che lo Yusufzai State of
Swat sia stato, nella realt, un ente indipendente. Ci detto, cre-
do che in molti aspetti della sua vita, esso abbia dovuto ascoltare
i suggerimenti di Peshawar, come nellaffaire di Sundia Baba,
oppure nel suo ruolo di argine alla diffusione delle idee rivolu-
zionarie e indipendentiste delle Camicie Rosse (ruolo che lo Sta-
to mantenne anche dopo il 1947 rispetto alle suggestioni di uno
Stato pashtun ventilate oltre Frontiera da Kabul, il cosiddetto
Pukhtunistan). Ora, anche nella risoluzione della freddezza tra il
Badshah e lerede al trono si pu leggere forse la pressione delle
autorit britanniche? Sta di fatto che i rapporti tra Peshawar e il
Waliahad erano divenuti molto stretti. Quando costui venne insi-
gnito dellordine di Companion of the Indian Empire, era maturo il
tempo per il suo ritorno a palazzo (1940). Inizialmente fu nomi-
nato Capo di Stato Maggiore dello Stato, e subito il principe ini-
zi a riorganizzare lesercito, con nuove strutture e nuove unifor-
mi, sul modello che egli aveva avuto modo di studiare presso i
Britannici. Nel 1943 venne nominato Chief Minister, fatto che
corrispose allesautorazione dei Ministri. Iniziava allora quella
politica sulleducazione e la sanit pubbliche, avviata dal Badshah
nel 1925, quando venne costruita la prima scuola elementare,
che far dello Swat una punta avanzata in tutto il Sub-continente
indiano e segner la prima manifestazione delle capacit di stati-
sta del futuro Wali. Lo stesso anno fond lUniversit Islamica
(Dar-ul-Ulum) di Mingora; nel 1950 permetter la costituzione
di una scuola cattolica a Sangota (Public School Sangota; distrut-
ta da un attentato nellottobre 2008); nel 1952 fonder il Jahan-
zeb College (Graduate College dal 1954). Allatto della fusione
dello Stato nel Pakistan, nel 1969, il sistema di istruzione avr
portato lindice di alfabetizzazione al 20%, con 40.000 alunni e
300 istituti.
Lanno successivo nacque lamicizia tra il Waliahad e lallora
semplice Major Ayub Khan, futuro Capo di Stato Maggiore e poi
Presidente del Pakistan. Lorologio della storia stava andando
sempre pi avanti.
1947: Partition dellImpero Britannico. Il ramo regnante dei
Miangul appoggi politicamente la Muslim League e non lAwami
National Party (ANP) discendente delle Camicie Rosse, partito
secessionista pashtun. Quellanno rappresent la fine dellinge-
88
renza diretta della Gran Bretagna sugli affari interni dello Stato,
nonch lannessione completa e formale dellarea di Kalam, con
conseguente completamento dellespansione dello Stato.
In quellanno fin un Impero, nacque la Repubblica Islamica
del Pakistan, si complet la struttura dello Stato.
Il primo atto dello Stato nel nuovo panorama fu segno ine-
quivocabile di una nuova fedelt gi manifestata con lappoggio
alla Muslim League di Ali M. Jinnah, il fondatore del Pakistan,
il Qaid-i Azam. Questo primo atto fu la partecipazione delleserci-
to dello Stato alla prima guerra indo-pakistana in Kashmir. Il
secondo atto fu formalizzato nel 1949, con labdicazione di Bad-
shah Saheb a favore del figlio il Waliahad Miangul Jahanzeb, che
divenne Wali. Va notato che anche in questo senso il ruolo dello
Stato fu funzionale al processo di normalizzazione delle forze in
campo. Lidea della secessione pashtun, ovvero la creazione del
cosiddetto Pukthunistan a cavallo della linea Durand, come si gi
detto, non incontr mai favore nello Swat. La famiglia Miangul,
al contrario di alcuni membri delle dinastie regnanti in Chitral e
in Dir, non ader mai allidea di uno Stato pashtun che veniva
propagandato da circoli intellettuali e governativi afghani, anzi
la rigett decisamente. Ne fu segno chiaro anche il non gradi-
mento della presenza politica dei membri dirigenti dellAwami
National Party, almeno fino al 1967.
Dal 1950 inizi unattivit legislativa volta a modernizzare la
struttura sociale dello Stato, innanzitutto limitando il potere feu-
dale. Lanno successivo si verific la ribellione di alcune famiglie
feudali, che fu presto sedata. Sempre in questanno il nuovo
principe ereditario Aurangzeb iniziava la carriera militare nel-
lesercito pakistano. Nel frattempo, al di fuori dei confini dello
Stato si inaugurava la catena delle morti eccellenti con lassassi-
nio di Liaqat Ali Khan, Primo Ministro del Pakistan.
Nel 1954 avveniva la firma del trattato bilaterale (Instrument
of Accession) con il Pakistan su questioni territoriali e su questioni
relative la Difesa, Comunicazioni, Affari Esteri, sistema valutario
(affari che divennero di competenza pakistana), le Finanze, non-
ch lappannaggio reale. LInstrument of Accession conservava
per allo Stato, in forza del peso politico del suo sovrano, la tota-
le autonomia di governo, al contrario di quanto era avvenuto
con gli altri dieci principati del Pakistan: Chitral, Dir, Amb,
Bhawalpur, Khairpur, gli Stati del Baluchistan, ecc. In questi le
dinastie regnanti assunsero il ruolo formale di caretakers per con-
89
to della neonata Repubblica e di fatto vennero assorbiti in tempi
diversi dal Pakistan. Nello Stato invece venne soltanto introdotto
un Consiglio di Stato, presieduto dal Wali, con 15 membri eletti
e 10 di nomina reale. Il Consiglio di Stato sar solo uno strumen-
to formale, mai utilizzato e ben presto esautorato.
I fatti che seguono la firma del trattato sembrano segnare le
tappe verso quella che sar linevitabile conclusione: laccessione
dello Stato al Pakistan. Si trattava per il Wali di allungare i tempi
per completare il suo programma politico e concedere allo Swat
il maggior numero possibile di privilegi e diritti. I passi che ven-
gono compiuti rivelano la natura dello statista. Vi rientrano la
visita del Wali in Europa, in Gran Bretagna soprattutto; il matri-
monio di Aurangzeb con la figlia maggiore del generale Ayub
Khan, Capo di Stato Maggiore dellesercito pakistano sotto la
presidenza di Iskandar Mirza, anchegli amico di antica data;
linizio delle attivit della Missione Archeologica Italiana del-
lIsMEO.
Nel 1958 venne sospesa la Costituzione in Pakistan: il genera-
le Ayub Khan, suocero del Wali, fu nominato Chief Martial Law
Administrator. In questo panorama acceler il processo di nor-
malizzazione dei principati, a volte sfruttando fattori episodici,
forse enfatizzati ad arte. Sembra questo il caso del cosiddetto
incidente del 1960, mai spiegato nei dettagli. Sembra che il
principe cadetto del Dir, il Khan di Jandul, avesse stipulato accor-
di segreti a Kabul di natura ritenuta ostile agli interessi pakistani.
Il Nawab del Dir venne deposto manu militari e il principe eredi-
tario Khusro fu posto sul trono, ma sotto il controllo di un Politi-
cal Agent. Di fatto ci signific lannessione informale del Dir.
Nel frattempo nello Stato incominciavano a dare frutti le
politiche di riforme avviate gi dal 1928 e accelerate dal 1950,
ma anche linserimento dello Stato in un contesto di mercato
nazionale. Si registra una sensibile crescita delle attivit economi-
che nello Swat (agricoltura, frutticultura, commercio, industria
tessile) e il progressivo aumento dellinfluenza delle famiglie di
commercianti: nello Swat stava nascendo un ceto medio-alto
borghese, che contribuir al processo dinamico di modernizza-
zione in corso, ma soprattutto a fare dello Swat la regione econo-
micamente pi avanzata di tutta la NWFP.
Nel lustro successivo si raccolsero poi i primi risultati del pro-
getto pensato dal Wali per gestire linevitabile transizione verso il
Pakistan: nel 1961 vi fu la visita ufficiale della Regina Elisabetta II
90
Fig. 13 - Il Wali, Ayub Khan ed il terzo figlio del Wali.
(Da Barth 1995: fig. 14, particolare).
e del Principe Filippo nello Swat; nel 1962, con la fine della legge
marziale e le nuove elezioni, Ayub Khan divenne Presidente; nel
1963 si ebbe linaugurazione dello Swat Archaeological Museum
a Saidu Sharif; nel 1965, con lo scoppio della seconda guerra
indo-pakistana, lesercito dello Stato era di nuovo presente sul
fronte del Karakorum.
Nel 1967 il Wali concedette infine il permesso a Wali Khan,
figlio di Abdul Ghaffar, leader dellAwami National Party, di
costruirsi una residenza estiva nellalto Swat. Questo fatto, appa-
rentemente insignificante, in realt nascondeva un panorama
ben diverso. I giochi relativi allaccessione al Pakistan erano con-
clusi, nessuna concessione ai partiti rivali poteva essere pi inter-
pretata come il segno dun diverso progetto, tantomeno quello
secessionista degli eredi delle Camicie Rosse.
Nel 1969, sotto la breve presidenza del Generale Yahya Khan,
lo Yusufzai State of Swat cessava di esistere; lanno successivo sali-
va al potere Zulfikar Ali Bhutto, leader e fondatore del Pakistan
People Party (PPP), poi ci sar la secessione del Pakistan Orien-
tale (Bangladesh). In due anni finiva unepoca.
92
LA PARTITION INCOMPIUTA
C sempre un destino nei nomi.
Nella cultura pakistana con il termine partition si ricorda
con orgoglio la separazione dallIndia, e non improbabile
che di l, in India (ma non ho lesperienza per cogliere questa
sfumatura), significhi, a rovescio, la stessa cosa. Mi sono sempre
sorpreso di come si preferisse dimenticare che in realt con
partition i Britannici intendevano molto semplicemente la
spartizione dei territori indiani della Corona tra nuovi soggetti.
La partition stato lultimo e pi controverso degli atti di una
potenza coloniale, sebbene anche linizio della storia di due (poi
diventati tre) nuovi Stati.
Il concetto di partition come separazione storicamente
forte in Pakistan e si rif allideale nazione per tutti i musulma-
ni dIndia vagheggiata dal grande poeta e letterato Allama
Muhammad Iqbal, lautore di Asrar-i Khudi (I segreti dellIo,
1915). Il concetto di partition come atto giuridico di spartizione
dellImpero invece politicamente controverso. Addirittura
giuridicamente debole, laddove lo si applichi a quella fascia terri-
toriale compresa fra i distretti amministrati (D.I. Khan, Bannu,
Kohat, larea di Peshawar e il Khyber, Mardan, Malakand) e il
confine astratto segnato dalla linea Durand.
Se prendiamo in esame le terre nazionali (fines gentium) dei
Wazir e dei Mahsud (Waziristan), dei Turi (Kurram), degli Orak-
zai (Tirah), degli Afridi (Khyber), dei Mohmand, e in parte quel-
la dei Mamund (Bajaur), ecc., noteremo che queste non hanno
mai fatto parte del territorio amministrato dalla Corona.
I disordini tribali, che si scatenarono dal 1927 al 1933 tra i
Mohmand, dal 1936, tra i Wazir, istigati dalla figura poco studiata
del Fakir di Ipi (al secolo Mirza Ali Khan della trib dei Turi),
furono parte delle campagne successive alla terza guerra anglo-
afghana (1919) e alla strategia di mantenimento del confine con
lAfghanistan. Alla fine tale strategia non port nulla di nuovo,
non ci furono mutamenti territoriali, si torn allo statu quo ante.
Non ci sarebbe comunque stato il tempo di sfruttare gli eventuali
vantaggi. Poco tempo dopo scoppi la II Guerra Mondiale e i
governi dellAsse poterono contare sulle trib irredente e i loro
capi (tra cui il Fakir di Ipi) in funzione anti-britannica. Se nulla
fu concluso, di quel poco che si tent, ci si dovette pi che altro
alla scarsa convinzione e alle sostanziali divisioni in fatto di politi-
ca indiana tra le cancellerie dellAsse.
I movimenti dellamministrazione britannica nella fascia ter-
ritoriale in questione si possono comprendere con chiarezza dal-
la serie di trattati e accordi che furono siglati in vari momenti
con i Chiefs delle trib. Ne abbiamo a disposizione unimportan-
te collezione negli undici volumi curati da C.U. Aitchison, di cui
stata recentemente ripubblicata la sezione dedicata alla NWFP,
che arriva al 1930 (vedi Bibliografia).
La documentazione relativa allo Swat, al Dir e al Chitral e
alle aree tribali circonvicine, riguarda per lo pi agreements con-
cernenti il lasciapassare di truppe, il vialibera sulle principali
strade, il mantenimento delle linee telegrafiche, ecc., in cambio
di appannaggi annuali, esenzione di tasse, garanzie politiche e
territoriali, e cos via. In poche parole, essi rappresentano ine-
quivocabilmente il quadro dei rapporti e il reale bilanciamento
delle forze in campo. Sul piano politico i territori dello Swat, del
Dir e del Chitral, in quanto entit statali compiute, dopo il 1947
cambieranno semplicemente interlocutore e, come si visto,
giungeranno allannessione col Pakistan attraverso una serie di
passi giuridici formalizzati.
La situazione cambia sensibilmente nelle aree tribali al di
fuori dei confini posti sotto lamministrazione coloniale.
Gi se prendiamo in esame i documenti relativi al territorio
dei Mohmand, uno dei pi vicini allo Swat, si vede come questi
vertano sugli accordi economici relativi alla protezione di infra-
strutture che costeggiavano i loro confini, come la Kabul River
Railway e il Kabul River Canal. In pratica i Mohmand erano
pagati come mercenari: una forma come unaltra per comprare
la pace. La consueta formula di apertura di questi trattati (Noi
e la nostra trib conserveremo relazioni amichevoli con il Gover-
no Britannico) indica chiaramente che la trib era fuori dal-
lamministrazione britannica, era libera, e tale sarebbe rimasta
fino al 1947. La documentazione relativa agli altri territori va
sempre nella stessa direzione, con eccezioni, cambiamenti di
94
alleanze, accessioni temporanee di territori, ecc. Spesso porzioni
di territori erano prese in affitto dai Britannici per la costruzione
di infrastrutture o campi militari. Ci significava il riconoscimen-
to implicito della propriet tribale, ovvero il suo diritto sub iure
privato, si badi bene, non la mera propriet (in senso privatistico,
quella che impone ad esempio allo Stato moderno di compensa-
re i terreni alienati a privati per interessi pubblici). I rapporti
che riguardano la gestione dei fuoriusciti, dei ricercati, erano
condotti, almeno sulla carta, come se i firmatari dellaccordo fos-
sero stati due enti sovrani legittimi entrambi: si trattava quindi
evidentemente di atti e accordi che rientravano nelle questioni
di politica estera.
Al momento della Partition i diritti naturali implicitamente
riconosciuti per motivazioni di comodo, vennero negati sulla
base di ragioni giuridiche e di strategia globale. Sugli errori etici
e psicologici della politica britannica verso i diritti delle trib, si
leggano le parole introduttive di H.G. Raverty al suo Dictionary:
Dai rapporti che ho avuto con gli Afghani per via delle mie
ricerche linguistiche e letterarie negli ultimi dodici-quattordici
anni, so per certo che gli Afghani orientali [i.e. Pashtun] sono
desiderosi di coltivare la nostra amicizia [...].
Lerrore di non essere stati in grado di cogliere questa
occasione doro e di costruire dei rapporti amichevoli, ricade
interamente sulla nostra responsabilit. Occorre sempre ricor-
darsi una cosa: queste genti sono, per disposizione e tempera-
mento, non molto diverse dagli Irlandesi o dagli Highlanders
scozzesi di un secolo o due fa. Possono essere influenzate ma
non guidate, e unattitudine arrogante e dominatrice [...] pro-
durr un effetto contrario su questi liberi ed indipendenti figli
delle montagne. (Traduzione dellAutore).
Viene da chiedersi quanto siano attuali queste raccomanda-
zioni. Viene anche da chiedersi se siano mai state meditate a fon-
do le pagine di uno dei pi lucidi libri mai scritti sulla Frontiera,
The Pathan Borderland del diplomatico americano James W. Spain
(1963), soprattutto laddove si sottolinea quanto poco lelemento
religioso abbia influito sulle turbolenze tribali, quanto invece
molto abbiano influito negativamente aspetti pi propriamente
etici, giuridici, psicologici. Scrive Spain:
Per quanto sia difficile generalizzare, appare chiaro che i
Pashtun nella loro lunga storia di rivolte abbiano combattuto
principalmente per il diritto di essere liberi [...] Alla base
95
lobiettivo di ogni Pashtun altamente individualistico e auto-
cosciente, con poco in comune con certi sofisticati concetti
quali lauto-determinazione dei popoli e leguaglianza tra gli
uomini. (Spain 1963: 191-92, traduzione dellAutore).
Le trib hanno continuato a considerarsi legittimamente
indipendenti, anche perch abituate da secoli a rispettare (da
lontano) i grandi imperi, eventualmente a godere i frutti della
stabilit da essi prodotta, ma mai a farne parte. Daltra parte i
Britannici hanno considerato de facto quei territori come sottopo-
sti al loro controllo. Di pi: siccome il principale risultato britan-
nico, almeno durante gli anni 20-30, fu quello di aver tenuto
lontane le trans-border tribes dalle ingerenze di Kabul, quei territo-
ri andavano considerati non afghani, quindi, secondo il sillogi-
smo implicito nella linea Durand, erano parte dellImpero.
In questa forma sono stati consegnati al neonato Pakistan,
che li ha s inclusi nel suo territorio, ma senza potervi esercitare
piena sovranit e gestendoli come aree tribali semi-indipendenti,
un po come fece con i principati prima della loro annessione.
Ancora oggi in quei territori vigono diritti transfrontalieri ed
esenzioni fiscali totali; la giurisdizione esercitata secondo con-
suetudini e princpi locali; polizia ed esercito governativi, quando
presenti, sono semplici osservatori, addirittura la partecipazione
parlamentare definita in base a delle quote fisse. Si pu parago-
nare questa situazione con quella che si incontra tuttora nelle
cosiddette Northern Areas. Queste ancora rimangono disputed ter-
ritories, il loro confine con il Kashmir e il Ladakh indiani non
ratificato dal 1949. In queste aree, che lo stesso Pakistan non pu
considerare compiutamente territorio nazionale, vigono diritti
completamente differenti dal resto del Paese: non vi sono rappre-
sentanze parlamentari, v esenzione fiscale totale, la propriet
del sottosuolo libera, ecc. Daltra parte il Pakistan controlla le
principali arterie (in primis la Karakorum Highway) attraverso
check-points e guarnigioni nei punti nevralgici, spesso lontani dalla
vita comune, sui ghiacciai al confine con lIndia. Il controllo
governativo, dalle popolazioni kohistani, hunzakut e baltit, da
sempre indipendenti o autonome, considerato di tipo coloniale.
Il problema rimane sempre il medesimo: se con i principati
stato possibile arrivare allaccessione, in quanto enti definiti in
termini giuridici e spaziali, con i territori tribali, no.
Il problema, a mio avviso, fondamentalmente di tipo giuri-
dico, o meglio, riguarda la difficolt di riconoscere alle trib il
96
diritto naturale sui loro territori. Laddove tale diritto fosse consi-
derato, era per subordinato al diritto europeo, che, dallinizio
delle guerre coloniali ha voluto modificare lantico ius gentium e
di conseguenza lantico ius belli (che garantivano in astratto pari
trattamento a tutti i regni dellorbe terracqueo, compresi quelli
delle terre incognitae). Si andato creando unilateralmente un
corpus normativo (corollario allo ius publicum Europaeum) total-
mente sbilanciato a favore delle potenze coloniali a causa di
una reclamata e presupposta primaza morale, religiosa, storica
e razziale (su questo tema si leggano fondamentali pagine di
C. Schmitt).
Laver lasciato questa situazione in eredit al nuovo Pakistan
una responsabilit britannica per latto politico, ma in generale
occidentale per la costruzione del suo retroterra giuridico.
In questo senso, come vendendo un bene su cui pesi una ser-
vit si trasmette al nuovo proprietario lobbligo di rispettare det-
ta servit, con ci determinando un possesso incompiuto, cos,
allo stesso modo, chiaro che in queste aree la partition, come
spartizione, stata incompiuta.
Se questo capitolo cominciato col destino di una parola,
vuole terminare collaccenno al destino di un altro nome, che da
anni si discute di cambiare, ovvero quello della provincia che rac-
coglie tutti i territori, di cui ci siamo andati occupando. Il Paki-
stan ha ereditato una North-West Frontier Province, ma non ha
una East, South o North Frontier Province.
probabile che negli anni successivi alla partition, nel defini-
re la struttura amministrativa dello Stato, tutto il ragionamento
che si fatto finora fosse ben chiaro agli uomini che reggevano
le sorti del Pakistan, cos come doveva essere chiaro, e neanche
detto sottovoce, a Londra. Questo estratto delle risposte del Pri-
mo Ministro conservatore Sir Antony Eden alle domande di Sir
C. Mott-Radclyffe deputato del suo stesso partito (dalla gazzetta
ufficiale britannica Hansard del 1 marzo 1956) particolarmente
significativo in tal senso: una volta liberato dal formalismo politi-
co, vi si mostra una sostanziale, irresponsabile incertezza, rivelata
peraltro da certi dettagli lessicali.
PM: Lopinione dellattuale Governo di S.M., analogamente a
quella dei precedenti, la seguente. Nel 1947 il Pakistan nato
come un nuovo, sovrano ed indipendente membro del Com-
monwealth. Il Governo ritiene che esso sia lerede della Corona
nei territori della NWFP del Sub-continente, sia nelle aree
97
amministrate che in quelle non-amministrate (administered and
non-administered areas) e che eserciti questo diritto col pieno
consenso della stragrande maggioranza della popolazione di
lingua pashtun. Il Governo appoggia completamente il governo
del Pakistan nel mantenere la sua sovranit sui territori ad est
della linea Durand, e nel considerare tale linea come la sua
frontiera internazionale con lAfghanistan [...].
M.-R.: Mi domando se posso chiedere al my right honourable
friend se non sia un fatto che, dopo il trasferimento del potere
nel 1947, la maggioranza dei capi tribali abbiano espresso il
desiderio di entrare a far parte (part and parcel) del Pakistan e
di essere amministrati nel senso meno vincolante possibile (in a
loose sense) dal Pakistan.
PM: Non sono in grado di rispondere allultima parte del-
la domanda supplementare del mio onorevole collega (friend),
ma secondo le informazioni in mio possesso, non dovrebbero
esistere significative porzioni della popolazione di queste aree,
che siano in qualche misura insoddisfatte del loro presente
status di cittadini pakistani. Viceversa tutte le indicazioni che
abbiamo ci fanno pensare il contrario. (Caroe 1958: 465-66,
traduzione dellAutore).
98
TEMPO DI UCCIDERE
Islamabad, 10 settembre 1999
Lestate del 1998 fu calda ma non umida.
Ricordo un pomeriggio sullo scavo Roberto ed io. La cima del colle di
Barikot verso le sei. Un vento caldo soffiava dalla testa della valle, ini-
zialmente blanda brezza che mont rapidamente in burrasca: una nube
grigia copr il cielo e ci venne incontro. In un attimo una tempesta di
sabbia ci costrinse piegati nelle trincee pi profonde dello scavo. La luce
del pomeriggio divenne un arancione uniforme riflesso dalle particelle
sospese e turbinanti. La tenda si strapp via dai picchetti e a stento gli
operai ne contennero i movimenti convulsi.
Lestate del 1998 fu caratterizzata da preoccupanti segnali: gli USA
dopo gli attentati di Nairobi e Dar es-Salaam richiamavano in patria il
personale non operativo delle ambasciate in Asia; cera una certa tensio-
ne in Pakistan; al bazaar di Mingora cera per la solita aria flemmati-
ca e febbrile a un tempo.
In anni passati, ricordo il 1995 e il 1996, si avvertiva qualcosa di
strano, ora no. Il fenomeno dei cosiddetti black turbans, i fedeli a
oltranza (come direbbe Naipaul) della Shariah, sembrava rientrato.
Finito lo scavo il 28 agosto con Roberto e Alessandro (che era venuto
semplicemente in visita) partimmo per il Khunjerab Pass. Fu una bellis-
sima gita di quattro giorni, fino al confine con la Cina a oltre 4.500
metri di altezza. Al ritorno fummo bloccati un paio di volte dalle frane,
pioveva parecchio, ed eravamo preoccupati di arrivare in tempo a casa
perch Alessandro aveva a giorni il volo da Peshawar. Era un tardo
pomeriggio nuvoloso e ventoso, quando in macchina entrammo a Mingora
da nord. I negozi erano tutti chiusi e cera una gran folla in giro, come a
Roma intorno allo stadio alluscita dalla partita. Stracci di striscioni
ballavano al vento, mentre tutta la strada era un vorticare di brandelli
di volantini; i muri erano tappezzati di manifesti. Unaria stanca perva-
deva le facce della gente, non cera tensione, n grida, n slogan, solo
silenzio e smobilitazione.
Al mattino, saranno state le 11, ero in biblioteca a casa, quando
arriv Arshad Khan (allora lavorava al Secretariat di Peshawar). Fui
sorpreso, lo sapevo a Peshawar, ma lui pi di me. Ancora state qui? Ma
non sapete nulla?. Mi raccont che era stata emanata una circolare a
tutti i Chief Commissioners dei distretti della zona di Malakand, con cui
si invitava a evacuare tutti i residenti stranieri per ragioni di sicurezza
(era stata minacciata una 24 hours deadline sugli stranieri). Devo
dire che presi sottogamba lavviso, anche perch non considerai ufficiale
la visita di Arshad. Io decisi comunque di fermarmi (cerano da pagare
gli operai, fare il service alle macchine, ecc.), Roberto decise di rimanere
con me. Alessandro, che aveva il volo il giorno dopo, sarebbe partito
comunque, ma vestito con lo shalwar kamiz, labito pakistano; Akam
Khan and al bazaar a prendere il vestito; mi accordai con Alessandro e
il suo autista: il doctor saheb sarebbe dovuto passare per muto, per il
resto carnagione e barba andavano bene; insomma pi che altro ci scher-
zammo sopra.
Verso le 7 di sera, avevo quasi dimenticato la cosa, venne la polizia a
casa a intimarci levacuazione immediata. Mi opposi e, dopo aver parla-
to con Roberto, chiesi un incontro personale con il Chief Commissioner.
100
Fig. 14 - Mingora.
Riuscii a dilazionare la partenza, che il Chief considerava mandatory,
sir, alle 11 della notte stessa. Da quel momento in poi si cerc di fare in
poche ore quello che si faceva in due giorni. La macchina era al villaggio
dellautista, bisognava recuperarla; io non avevo contanti e dovevo
pagare tutti. Una serie di circostanze fortuite ci permise di sbrigare quasi
tutto, compresa la consegna dei ritrovamenti di scavo al Museo (black-
out elettrico durante la conta degli oggetti!). Alle 11 raggiungemmo,
scortati dai nostri di casa lo Swat Hotel, da dove il convoglio sarebbe par-
tito per Islamabad. In tutto eravamo cinque occidentali e un pakistano:
noi tre, una coppia di inglesi, unamericana col suo segretario punjabi.
Partimmo con la scorta e a ogni confine di distretto, cambiava la scorta
(Landakai, Malakand, Mardan, Nowshera, Attock, Islamabad). Solo
una squadra di poliziotti rimase sempre con noi, dovevano farsi firmare
l handover dalle nostre ambasciate. Alle 4 entrammo in unIslamabad
spettrale, vuota, con i giornali che, stracciati dal vento, vorticavano nelle
avenues (mi ricordo, pensai ad una scena de Linfernale Quinlan di
Orson Welles). Al mattino sapemmo dai giornali che eravamo stati ono-
rati da una taglia di (soltanto) diecimila dollari.
Londra, 26 giugno 2006
Interludio a Londra.
7 luglio 2005. Massimo, Roberto, Emanule ed io lasciammo il nostro
alloggio di Earls Court. Ci fermammo troppo a lungo a fare colazione in
una caffetteria. Eravamo in ritardo, dovevamo correre al British
Museum, dove si svolgeva il convegno di South Asian Archaeology.
Massimo parlava quel giorno, io il giorno seguente, mi pare. Quando
entrammo in stazione per prendere la Piccadilly, sentimmo gli altoparlanti
che avvisavano di uninterruzione della linea elettrica. Una massa di
gente risaliva verso lesterno. Uscimmo a piedi di corsa verso il bus. Quasi
corremmo lungo Oxford Street, traversammo Charing Cross e entrammo
al British in ritardo. Unaria surreale, silenzio, sirene, silenzio. Sapemmo
allora che mentre facevamo colazione cera stato un attentato sulla Picca-
dilly e che, mentre correvamo verso il museo, alle spalle di questo, un bus
esplodeva vicino Russell Square.
Nel 1998, qualche giorno prima del nostro ritorno dal
Khunjerab, lallora Primo Ministro Nawaz Sharif aveva permesso
a missili americani di sorvolare lo spazio aereo pakistano dal-
lOceano indiano. Uno dei missili, con obiettivo Jalalabad in
101
Afghanistan, cadde nei territori tribali pakistani, senza causare
vittime civili. Questa fu la ragione, apparentemente improvvisa,
dellinsorgenza dei gruppi pi radicali della NWFP. Inoltre era la
prima volta che si parlava in modo chiaro del vero obiettivo del-
lattacco missilistico: Osama bin Laden, considerato il mandante
degli attentati di quellestate in Africa.
Devo tornare con la memoria ai primi anni 90 per cercare di
riscostruire il filo, la genesi di questi fatti. Quando arrivai in
Pakistan la prima volta, nel 1987, era in corso da circa sette anni
la guerra di conquista sovietica. Ricordo una Peshawar tesa, gri-
gia e piena di sospetti, con molte facce bianche allAmerican
Club, dove si poteva andare in piscina: giornalisti, mercanti dar-
mi, spie? Ricordo poi la trasformazione della citt. Lo capivo dai
crocchi di capi mujaheddin nei ristoranti buoni, come lUsmania:
vi si riunivano di anno in anno pi pasciuti, con sempre pi nuo-
vi e potenti fuoristrada giapponesi, le immancabili mimetiche.
Dal loro sempre pi sicuro modo di muoversi (che differenza
con laria triste dei rifugiati nei campi!) si capiva che circolava-
no sempre pi soldi, pi armi e che la guerra stava per essere
vinta.
Dopo la guerra civile, era il 1994, dovetti registrare la grande
simpatia, quasi lorgoglio, con cui nello Swat la gente seguiva i
progressi del movimento dei taleban in Afghanistan. Era come se
fossero dei figli a conquistare finalmente i diritti negati ai padri:
mi ha ricordato come mi sono stati descritti ad Asmara i combat-
tenti adolescenti, che, ottenuta lindipendenza, ora governano
lEritrea indipendente: Luca, sono i nostri figli, i nostri ragazzi.
Poi ci furono i fatti del 1994, quando dal Dir si allarg nello
Swat listanza per lislamizzazione della legge (la Shariah). Il
movimento per la Shariah era guidato da Maulana Sufi Moham-
mad, un mullah a capo del Tehrik-i Nifaz-i Shariaht-i Mohammadi
(lunga serie di genitivi, che significa in sintesi Movimento per la
Legge del Profeta, pi semplicemente TNSM); allinizio sembr
un fuoco di paglia, violento ma breve. Il maulana fu arrestato, i
suoi black turbans dispersi, dopo chebbero occupato per breve
tempo laeroporto di Saidu Sharif. Il governo provinciale decise
di avviare un processo di islamizzazione sul piano legislativo e
amministrativo. Il piano (Shariah Resolution) rimase sulla carta in
realt, anche se provoc aspri dibattiti tra i quadri provinciali e
quelli federali. Della sua entrata in vigore mi accorsi solo dal
cambiamento della nomenclatura amministrativa (ad esempio
102
Chief Commissioner divenne Nazim-i Alam). Nella primavera del
1995 le uniche tracce che rimanevano di quellanno di turbolen-
ze, erano i campi militari sulle alture, i controlli pi attenti ai
check-points; continuammo il nostro lavoro tranquillamente, senza
scorta. Magari, se cera notizia di blocchi (pacifici, ma non si sa
mai) a Malakand, sceglievamo la strada di Karakar o quella di
Cherat per scendere a Peshawar. Lo Swat non cambi, almeno ai
miei occhi.
Nellautunno del 1999 il Generale Musharraf, Capo di Stato
Maggiore, scampato a un incidente aereo, di cui era stato rite-
nuto responsabile lallora Primo Ministro Nawaz Sharif, prese il
potere in Pakistan.
Lo scoppio della guerra in Afghanistan, lultima, quella anco-
ra in corso, port alla superficie la tensione che si era andata for-
mando negli ultimi anni, direi dalla prima guerra del Golfo in
poi. Inizialmente vi furono scontri e attentati nelle grandi citt;
poi scontri religiosi (con gli Sciiti), attentati contro le minoranze
ahmadiyya, cristiane; quindi con la ribellione aperta di Waziri-
stan e Baluchistan. Eredit di una partition incompiuta, la sedizio-
ne, agitata da militanti stranieri, risal lenta ed inesorabile la
NWFP verso nord per tutto il 2006.
Quellestate il Governo vinse brutalmente la partita per il
Baluchistan, vitale per lapprovigionamento di gas naturale e per
i programmi di sviluppo della costa del Makran, ma perse quella
per il Waziristan.
Era difficile capire quello che stava succedendo; alcune cause
per mi apparvero chiare. Innanzitutto la reazione alla guerra in
Afghanistan, considerata come una guerra daggressione contro
un governo non solo legittimo, ma finalmente pashtun. Poi
anche quello che era considerato un vero e proprio tradimento
da parte degli USA. Intendo qui dire che si manifest quella che
ho chiamato in un precedente capitolo la sindrome di Filippo
lArabo. I taleban (e i loro fiancheggiatori qaidisti) si erano sen-
titi supportati, armati, pagati, sostenuti a livello internazionale
(chi conosce le politiche delle cancellerie euroamericane, lo
ricorder senzaltro; io lo ricordo bene). Improvvisamente, il
gioco internazionale inizi a metterli da parte, a trasformarli in
banditi e di qui la reazione brutale, ma strategica, pi da banditi
che da rivali militari.
Infine, sotteso a tutto, la coscienza storica di unindipenden-
za territoriale, giuridica, rispetto alla quale il Governo di Islama-
103
bad sempre stato considerato una potenza occupante. Quando
il Governo sigl la tregua in Waziristan, accett ancora una volta,
dopo averla negata pi volte, unindipendenza di fatto: ritir i
soldati e le forze paramilitari, lasci libere le trib di armarsi,
accett che proteggessero i propri ospiti stranieri, a patto che
fossero controllori delle loro eventuali attivit ostili al Governo
(in pratica fu la replica degli agreements siglati al tempo dellIm-
pero britannico).
Intanto in Occidente (con la sola esclusione del Vaticano)
erano diventati luoghi comuni, parole dordine, senza che ci si
chiedesse come, temi di prognosi storica, come quello del Nuo-
vo Ordine Mondiale e dello Scontro di Civilt, maturati in
esclusivi ambienti vicini alle leve del potere economico-politico
anglosassone. Ma, allora, se di scontro di civilt si trattava, se da
una parte cera il mondo occidentale con la sua spiritualit (in
realt la visione messianica di quegli ambienti), dallaltra ci dove-
va essere lIslam, quello duro e puro. Il radicalismo islamico,
di stampo wahabita, comici, a mio avviso, a interpretare, arro-
gandosi il diritto di rappresentare tutto lIslam, una recita a
soggetto.
Ma torniamo nello Swat.
Dopo lattacco delle truppe NATO e USA e la penetrazione
in profondit dei combattenti afghani dellAlleanza del Nord,
nello Swat, Sufi Mohammad chiam il jihad e centinaia di
ragazzi (dicono migliaia, ma non credo sia cos) fecero la fila ai
campi di reclutamento in Bajaur, Buner, a Malakand. Figli di
nostri operai, che avevamo visto crescere allombra dei muretti
intorno gli scavi, seduti con la colazione dei padri tra le gambe,
partirono per la guerra. La situazione per la Missione si era gi
fatta difficile. Nellaprile del 2001 (il 12 mi pare), dopo la
distruzione inutile e folle dei Buddha di Bamiyan, un gruppo
di taleban sal sulla cima del colle di Barikot e, mitra alla mano,
leg i nostri due custodi, poi, presi i picconi dalla loro casetta,
distrusse tutto il podio decorato a lesene in stucco del grande
tempio brahmanico di epoca shahi, che avevamo iniziato a sca-
vare nel 1998. Avevamo tenuto accuratamente nascosto il fatto
che si trattasse di un tempio hindu, anche agli operai, avevamo
sempre sostenuto che si trattasse di uno stupa. La gente sa sem-
pre di pi di quel che si immagina. Soprattutto nello Swat, dove
si viene a sapere dove sei stato, con chi eri, che hai fatto: quasi
tutto.
104
Saidu Sharif, 28 agosto 2005
Ricordo la chiusura dello scavo sul colle di Barikot nel 1998. Dopo
la rituale preghiera di fine-scavo, dopo il discorso di ringraziamento alle
maestranze, come di consueto fu dato un kebab-party: le grandi polpette
schiacciate, avvolte in carta di giornale bisunta, e i carichi di Coca-Cola
furono portati fin lass con le carriole. Dominando la vista grandiosa
del fiume, mangiavamo in silenzio. Poi il sole declin e spar verso Occi-
dente. Allora si accesero i fuochi, vennero tirati fuori i rabab (strumenti
a corde) e le tabla (tamburi indiani) e una dolce melodia piena di
mezzi toni sal nella notte, mentre qualcuno intonava la canzone di
Khushal Khan e della principessa di Raja Gira. Verso mezzanotte scen-
demmo dal colle in fila indiana per il versante ovest. Arrivato ai piedi
del colle (per etichetta ero il primo della fila), mi girai e guardai verso
lalto e vidi uno spettacolo daltri tempi: una serpentina di decine e deci-
ne di fiaccole in lento costante movimento segnava la processione degli
operai con gli attrezzi, le carriole, le tende ripiegate. Una spirale di punti
di luce scendeva dallalto in basso nel buio della notte. Non avrei pi
assistito, lo sapevo, ad uno spettacolo simile. I tempi sarebbero presto
cambiati.
Non si pot andare nello Swat nel 2001 e avemmo persino
difficolt a trasferire i fondi per pagare gli stipendi dei custodi e
laffitto dei terreni, a causa dei filtri che il circuito bancario
internazionale aveva imposto alle rimesse dallestero verso il
Pakistan. Pagammo spesso con ritardi di mesi, mentre la situazione
locale sembrava ostacolare anche le nostre attivit future. La casa
della Missione, concessa dal Wali a Tucci, fu dicharata occupata
abusivamente e venne promulgato lo sfratto. La situazione fu
evitata in extremis riuscendo a pagare in anticipo il nuovo canone,
quasi decuplicato. Si pens addirittura di interrompere le attivit
e chiudere la Missione. La decisione non matur anche per via
delle responsabilit giuridiche che comunque ci eravamo assunti
verso il governo pakistano: la custodia dei terreni archeologici e
dei beni archeologici in studio; a questi impegni si aggiungevano
quelli verso il nostro personale, i pagamenti delle pensioni, la
continuit del lavoro. Alla fine sarebbe stato pi oneroso chiude-
re che rimanere aperti, e comunque non si sarebbe potuto chiu-
dere da Roma. Decidemmo di aspettare.
Nel 2002 Pierfrancesco ed io ritornammo per un paio di set-
timane per capire la situazione e decidere il da farsi. Nel 2003
105
riuscimmo a mandare in pensione con fondi adeguati i due
custodi pi anziani, che lavoravano alla Missione dai tempi di
Tucci (rispettivamente con 43 e 40 anni di anzianit). La liquida-
zione (qui chiamata golden shakehands) si calcola cos: la media
dello stipendio mensile moltiplicato per gli anni di servizio; in
questo caso mancavano i records dei primi anni (quando poi la
paga settimanale era di 3-4 rupie) e calcolai il rateo sugli ultimi
ventanni. Luscita di Akam Khan e del fratello Dowar Khan era
necessaria, anche in vista di una possibile chiusura delle attivit,
ma fu un evento difficile, non solo per loro, ma anche per noi.
Al loro posto subentrarono custodi pi giovani, gi formatisi alla
loro scuola, che era poi quella del tempo di Tucci e del Wali,
anchessi molto efficienti, affidabili, rispettosi.
Una serie di altre consuetudini era per cambiata. Per motivi
di sicurezza non sceglievamo pi il primo autista che capitava
allaeroporto di arrivo (prima era sufficiente che le gomme della
sua auto non fossero lisce e che i fari funzionassero); cominciammo
a farci venire a prendere dallo Swat da un autista di fiducia; le
comunicazioni precedenti il nostro arrivo ora passavano per
cellulare e posta elettronica (i vantaggi della nuova generazione!),
non pi per posta ordinaria. La registration alla polizia non era
pi un rito pittoresco: pile di faldoni da terra al soffitto, una
vecchia macchina per scrivere, carte fermate da ciottoli ovunque,
agitate dai ventilatori, il the sotto la scrivania; la fatidica domanda
sul visto letto a rovescio: Deitopissiu? (Date of issue?). Ora era
una necessit al termine della quale ci veniva assegnata una scorta
armata, che dormiva sotto le verande di casa.
Cera qualcosa che non andava, nonostante dal 2004 avessi-
mo ripreso in pieno le attivit: in quella valle non potevamo
andare, in quel villaggio era meglio non fermarsi, in quellaltro
dovevamo spegnere lautoradio del taxi (spesso invece della
Coca-Cola, si trovava la Mekka-Cola, di produzione locale). Anche
gli assistenti di scavo del Department erano guardinghi, come se
temessero per noi; i poliziotti di scorta fibrillavano con impazien-
za, quando ci fermavamo calmi a bere dellacqua in un villaggio
di montagna, accanto a giovani uomini con bandoliere e kalash-
nikov. Non lo sapevi, no saheb! L seduto accanto a te, quello
che ti ha passato il the, un ricercato. Non potevamo far niente
perch ceri tu, ma abbiamo rischiato saheb. Nei bazaar, negli
internet-points, incontravi giovanissimi dalle facce insolite, asceti-
che, con lunghe tuniche candide alla saudita, non leterno
106
shalwar kamiz color fango nellestivo eterno color fango delle
strade, delle case, dei monti. Facce di africani (sudanesi, pensa-
vo), centrasiatici (tajiki, uzbeki?), arabi, afghani, tutti dallaria
molto devota, con le barbe ben curate, ma anche molto tecno-
logizzati con i loro cellulari sempre in mano, con gli occhi fissi
sulle loro e-mails.
Alla fine dellinverno, nel 2007, la situazione cominci a pre-
cipitare. Fu un processo lento allinizio, quasi impercettibile.
Verso giugno ai proclami contro i negozi di CD musicali, con-
tro i barbieri, contro le scuole femminili, lanciati dalla radio del
Maulana Fazlullah, genero di Sufi Mohammad, ora nuovo capo
del TNSM, si aggiunsero strani attentati, delle donne morirono
calpestando delle mine a Kabbal, sulla riva destra dello Swat.
Nel frattempo montava la protesta alla Lal Masjid di Islamabad
(la Moschea Rossa): tra i fedeli asserragliati, tra quelli che seque-
strarono le massaggiatrici cinesi, si disse dopo, cerano giovani
dello Swat, soprattutto, si dice, dal villaggio di Jahanabad, dove
fu danneggiato in due attentati (11 e 29 settembre) il gigantesco
Buddha scolpito sulla roccia.
Il 24 giugno lAwami National Party organizz a Mingora un
importante raduno, cui partecip anche il TNSM, in cui si pre-
sent invano come forza di pace. Da allora il partito erede delle
Camicie Rosse fu fatto segno di attacchi e attentati, come quello
del 21 settembre a Matta contro uno dei suoi capi.
Fuori, nella valle, altri attentati seguirono la fine cruenta del-
lassedio della Moschea (6 luglio) e la rottura della tregua del
settembre 2006 in Waziristan.
La conclusione dellassedio alla Moschea rappresenta un
mistero per me. Andrebbe riletto con attenzione il discorso alla
Nazione tenuto dal Generale Musharraf subito dopo, soprattutto
l dove dice che forze diverse (sembra dire estranee) hanno
spinto verso quella conclusione.
Alla nuova serie di attentati, lesercito rispose intervendo nello
Swat con carri armati, blindati e una forza di diverse migliaia di
uomini (25.000 pare). Fu dichiarato il coprifuoco. Avvisai i nostri
di non andare pi agli internet-points, che erano diventati obiettivi
sensibili. Ci parlavamo solo per telefono.
La roccaforte dei gruppi taleban era la riva destra tra Matta e
Kabbal. La strategia dellesercito fu controproducente: inizial-
mente le truppe scalzarono le resistenze dallarea dellaeroporto
e intorno allarea di Kanju, sulla riva destra, per poi installarvisi
107
(14 luglio). Successivamente furono messi posti di blocco lungo
la strada principale, la Kalam-Landakai, sulla riva sinistra. Questi
furono presi di mira con due gravi attentati.
Nel frattempo cominciavano a filtrare notizie sulla vera entit
dei gruppi taleban, mentre gli USA spingevano per il pugno di
ferro nella NWFP, e avevano gi deciso di aumentare gli aiuti
economici e militari per la riorganizzazione del controllo delle
frontiere (si veda il New York Times del 30 giugno 2007). Si faceva
sempre pi insistente negli ambienti statunitensi lequazione
Pashtun = terrorismo qaidista. Un clamoroso errore di analisi?
Lesercito, dopo un momento di tensione, legato anche ad
un paio di episodi di reazione incontrollata, accett di ritirarsi
dalle strade secondo laccordo politico siglato a Malakand tra
personalit laiche, religiose e militari alla fine di luglio.
Era possibile ora cercare di tornare nello Swat. La campagna
di scavo fu comunque annullata e, daccordo con Pierfrancesco,
che era impegnato con scavi in Iran, partii per Islamabad. Lac-
cordo era che avrei fatto base nella capitale (affittai una camera
in una rest-house per un mese) e poi, dintesa con lAmbasciata,
avrei atteso levolvere degli eventi. Le mie casse con i vestiti arri-
varono a Islamabad dallo Swat e la mia camera divenne lufficio
da cui incominciai a gestire lamministrazione, i rinnovi dei
contratti dei terreni di scavo, ecc. Come sempre mi era a fianco
Shafiq, venticinque anni, cinque figli, che aveva preso il posto
del padre come chief accountant della Missione.
* * *
Islamabad, 2 settembre 2007
Va detto qualcosa su questo ragazzo. Egli appartiene a quella genera-
zione yusufzai, che ha fatto in tempo a formarsi alla vecchia scuola:
rispetto della gerarchia, senso della fedelt e mantenimento della parola.
Va detto che anche noi ci siamo dovuti conformare a questa scuola per
essere allaltezza delle aspettative, per essere dei veri saheb. Voglio dire
che tutti noi della Missione siamo stati nello Swat meglio di quanto fossi-
mo nella realt italiana. Ma torniamo a Shafiq: insomma, una volta
successe che Massimo ed io presentammo una relazione ad un convegno
in Pakistan sulle nostre ultimissime scoperte di pitture rupestri nello
Swat. Dopo la relazione partimmo per lItalia. Un anno dopo venimmo a
108
sapere che degli studiosi stranieri si erano recati alla Missione in nostra
assenza e avevano cercato di convincere Shafiq ad accompagnarli a visi-
tare quei siti ancora inediti. Giunsero ad offrire una cifra pari a cinque
anni del suo stipendio. No, sir, I cant. I think my officers will be
upset, fu la risposta, incerta nella forma inglese, ma definitiva nella
sostanza. Mi ricordo che lo chiamai in biblioteca per farmi spiegare la sto-
ria, che avevo saputo da altri, che vi avevano assistito. Divenne rosso di
vergogna, quasi avesse accettato: Saheb, I said no, I refused, disse
abbassando gli occhi.
* * *
Islamabad, seconda met di agosto 2007. Daccordo con
lAmbasciata e il Department, approfittai della tregua per partire
per lo Swat. In realt, nonostante fosse stato levato il coprifuoco,
la sequenza degli eventi si era solo diradata.
Il 14 era stato compiuto un sanguinoso attentato suicida a
Kalam contro il District Coordinator Officer (DCO) dello Swat e
i suoi ospiti. Il DCO rimase ferito, ma quattro membri di famiglie
influenti dello Swat morirono. Il 16 era stata lanciata da Matta
una fatwa (condanna) contro gli amici degli USA. Pi tardi, il 22,
furono chiuse le ONG che lavoravano nello Swat. A nulla erano
valse le dichiarazioni di influenti capi religiosi e importanti khan,
che avevano definito la tattica degli attentati suicidi haram
(impura).
Le notizie che avevo raccolto non coincidevano con limma-
gine che nel frattempo veniva data dello Swat dalla stampa occi-
dentale.
Innanzitutto era chiaro che gli attentatori suicidi non erano
locali, che la strategia del terrore non nasceva nello Swat. Ci
per tre motivi. Primo: lattentato esplosivo e in particolar modo
lattentato suicida colpisce in modo indiscriminato e questo
contrario alletica yusufzai che, quando ricorre alla violenza, col-
pisce in modo mirato lavversario. Le esplosioni indiscriminate
rischiano inevitabilmente di innescare un numero indefinito di
faide. Secondo: i legami e gli obblighi familiari tipici degli Yusuf-
zai non contemplano le tattiche suicide: per il capofamiglia
morire fronteggiando il nemico un conto, implica comunque
un intervento del destino; darsi la morte volontariamente signifi-
ca consegnare sicuramente la propria famiglia ad un incerto
destino: quello che spesso attende le vedove e gli orfani. Terzo:
109
le relazioni familiari e di villaggio avrebbero rivelato in breve
tempo lappartenenza dei suicidi a questo o a quel villaggio, cosa
che non avvenuta.
A queste tre considerazioni se ne aggiunge unaltra. Da tem-
po si sapeva nello Swat che gruppi di militanti attivi in Afghani-
stan usavano il Dir, lo Swat, il Bajaur, come retrovie dove andare
in licenza. Come tutti i combattenti di tutte le guerre, molti di
questi si sono sposati con donne di villaggi poveri, soprattutto
sulla riva destra dello Swat. In circa tre, quattro anni, questo
fenomeno ha comportato un mutamento antropologico, cultu-
rale, in determinate aree. Con la presenza di questi militanti, si
sono poi diffuse tecniche di combattimento nuove e spietate,
come gli IEDs (Improvised Explosive Devices), usati in Iraq e
Afghanistan.
Perch questo fenomeno non stato capito? Semplicemente
perch si continuato ciecamente a vedere la guerra in Afghani-
stan come una lunga, estesa operazione di polizia, non come una
vera e propria guerra con un fronte e le sue retrovie.
Perch allora i militanti hanno dato fuoco alle loro retrovie?
Perch se lo Swat fosse insorto, questo almeno era lo scopo pi
superficiale, se lo Swat, il tranquillo civile Swat, fosse esploso, e
non il Mohmand o il Waziristan, da sempre turbolenti, allora la
guerra civile si sarebbe propagata in tutta la NWFP. Si tratta di
una strategia di guerra, non della tradizionale Pathan Revolt.
Lanarchismo atavico, il senso di indipendenza, ma anche lidea-
lismo dei Pashtun, si trovano ad essere usati come armi nelle
mani di elementi che con quella cultura hanno in comune forse
solo la religione.
Perch gli analisti occidentali non hanno capito la vera entit
del fenomeno, perch non hanno capito che lelemento tradizio-
nale della cultura yusufzai sarebbe stato il vero controllore del-
linsorgenza militante? Anche a questa domanda non so dare
una risposta. Eppure ci stato particolarmente evidente nello
Swat, le cui attivit economiche (lecite, pensiamo al turismo, ma
anche le illecite, come il contrabbando di autovetture, di legna-
me, di materiale archeologico), subirono un forte contraccolpo
dalla situazione di tensione locale (mi viene da dire: si mai
pensato che la mafia sia stata il maggiore deterrente alle attivit
delle Brigate Rosse in Sicilia?).
Altre domande ancora: perch lesercito si mosso in modo
cos improvvido, con una lunga occupazione e operazioni di ter-
110
ra, invece di colpire in modo chirurgico le unit straniere? Per-
ch non ha disturbato le trasmissioni della radio del TNSM? Per-
ch ha rischiato di saldare lelemento tribale, potenzialmente
insofferente a tutto ci che riguardi il Governo centrale, visto
come unentit estranea, alla militanza religiosa? Perch sono
state mandate, come in Waziristan, truppe pashtun a combattere
i Pashtun, rischiando ammutinamenti e rese ingloriose, com in
parte avvenuto? Gi i Britannici avevano imparato la lezione,
donde luso di truppe scelte sikh e gurkha per le operazioni nel-
la Frontiera.
A queste domande forse c una risposta. Al principio di
novembre 2007 sar proprio la situazione nello Swat, portata
fino a rischio di guerra civile, ad essere richiamata dal Generale
Musharraf per dichiarare lo stato di emergenza e dare il via alla
sua strategia di conservazione del potere. Una strategia in cui
avevano un ruolo vitale sia Benazir Bhutto che Nawaz Sharif.
Mi fermai a dormire nel Buner, area finallora non toccata
dagli attentati. Il mattino dopo raggiunsi casa, la aprii e control-
lai ogni cosa. Non potevo dormire l perch tutto quel quartiere
(il College Colony) era considerato obiettivo sensibile e quindi
per una settimana feci avanti e indietro dal Buner. Nel frattempo
continuarono gli attentati. Il giorno prima di partire per Chilas a
trovare i nostri colleghi dellAccademia di Heidelberg, ci fu un
sanguinoso attentato suicida lungo la strada che conduce verso
Besham e la KKH. Dei poliziotti fermarono unauto allo Shangla
Pass: questa ruppe la barriera e fugg. Ad Alpurai, ad un successi-
vo posto di blocco, il guidatore sembra aver gridato al poliziotto
qualcosa come: Tu sei un buon musulmano, fammi proseguire,
ho unimportante missione da compiere. Al rifiuto si fece esplo-
dere uccidendo cinque poliziotti, se stesso e il suo compagno.
Era il 26 agosto. Il giorno successivo vi fu un imponente scontro
a fuoco a Mingora, con diversi feriti, nellarea di Katelai, di fron-
te alla Missione.
Incominciarono a filtrare le prime notizie sugli arrestati. Ogni
volta si parlava di afghani o arabi arrestati nelle loro case con le
mogli yusufzai e ci non faceva che confermarmi un certo qua-
dro. Continuavano le esplosioni contro scuole e negozi (il 7 set-
tembre furono fatti saltare in una notte sola sessanta negozi a
Mingora), le sparatorie contro le stazioni di polizia. Verso la fine
di settembre gli attentati, che finallora avevano riguardato la riva
destra e larea di Mingora (a parte lattentato di Kalam), si sposta-
111
rono in altre zone della riva sinistra, quali larea di Khwazakhela.
Continuarono nel frattempo i tentativi di mediazione da parte di
vari soggetti laici e religiosi, con il coinvolgimento dellesercito e
del TNSM. Il secondo attentato al Buddha di Jahanabad il 29 set-
tembre segn linizio di una nuova offensiva.
Ottobre fu un mese di fuoco. Furono colpiti istituti femmini-
li, obiettivi governativi, continuarono gli attentati suicidi, inizi
una campagna di attentati in Buner. Il 25 ottobre ci fu la provo-
cazione pi sanguinosa: un attentato suicida nel bazaar di Mingo-
ra che uccise 34 tra militari e civili. Il giorno dopo lesercito lan-
ci unoperazione di terra con supporto di elicotteri nellarea di
Manglawar e Kabbal. Migliaia di famiglie lasciarono le proprie
case e si rifugiarono nel basso Swat. I taleban (le cui forze non
dovevano forse superare i 3.000 uomini) presero prigionieri
diversi soldati (alcuni saranno sgozzati o decapitati pubblicamen-
te, si detto, ma non se ne hanno notizie certe). Il 28 ottobre
loffensiva militare port alla riconquista di Manglawar. Alla fine
del mese una tregua, chiesta e ottenuta con la mediazione di
personalit civili e religiose, permise la conta dei militari caduti,
43, cui si aggiungono 106 feriti.
Novembre fu tragico.
Il 3 novembre, ad imitazione di quanto era avvenuto in Wazi-
ristan, numerosi soldati prigionieri vennero rilasciati dai taleban
con qualche centinaio di rupie in tasca per pagarsi il bus fino
alle caserme. Il Generale dichiar lo stato di emergenza. Tre
giorni dopo lesercito con una veloce operazione sgombr Fah-
tepur dai militanti. Questi in ritirata verso nord il giorno seguen-
te occuparono Madyan. Il teatro delle operazioni ora riguardava
Madyan, larea di Shangla, il Ghorband e il Puran: lesercito ten-
tava di evitare il passaggio delle forze taleban verso Besham, dove
si temeva per la sicurezza della KKH. Le postazioni dei militanti
vennero fatte segno di bombardamenti dagli elicotteri, mentre
continuarono le evacuazioni dei civili. Il 14 novembre si svolse
una grande battaglia nel Ghorband, intorno Alpurai, con
62 caduti tra civili e militari. Contemporaneamente continuarono
gli attacchi di elicotteri sulla riva destra.
Nel frattempo proseguivano i tentativi di mediazione. In
questo quadro va senzaltro interpretato il ricovero del suocero
di Fazlullah, il vecchio capo del TNSM Sufi Mohammad. Il
16 novembre lasci la prigione e venne ricoverato in un ospedale
di Peshawar.
112
La terza settimana di novembre, di fronte al fallimento delle
iniziative di mediazione, tentate a pi livelli, vennero inviati altri
uomini (15.000?) per sostenere quella che viene considerata la
fase finale della guerra nello Swat. Nel frattempo gli attentati
continuarono a intermittenza anche nei territori vicini: a Swabi, nel
Bajaur, a Malakand, Mardan, Nowshera e nel Buner. Levidente
tentativo era quello di costituire una cintura di insicurezza alle
spalle dellesercito, ma anche di puntare, attraverso la ribellione
del Buner, ad aprire un nuovo fronte verso lIndo, verso Besham,
e tagliare la KKH. Poi il 24 novembre i militanti, non riuscendo a
sfondare ad Alpurai, si ritirarono verso lalto Swat, mentre leser-
cito cercava di tagliare loro le comunicazioni con le roccaforti
sulla riva destra.
Il 28 novembre venne assediato il quartier generale di Fazlul-
lah nellarea di Matta. Siamo alle strette finali. Il capo del TNSM
lanci un ultimo appello via radio il 2 dicembre, incitando le
donne al suicidio combattente. Lo stesso giorno i militari final-
mente riuscirono ad oscurare la radio. Fazlullah sfugg allarre-
sto. Lesercito riprese il controllo di tutto lo Swat e di tutto il
Ghorband, e la guerra il 5 dicembre venne dichiarata conclusa.
Conclusa? Se si guardano le cifre ufficiali, si parla di 250 caduti
tra i taleban su un totale stimato di 5.000 uomini. La guerra
solo sospesa.
Fatti importanti e tragici segneranno poi il mese di dicembre
2007. Alla vigilia della vittoria del Governo nello Swat, Benazir
Bhutto lancia il suo programma di lotta al terrorismo senza quar-
tiere, senza compromessi. Questa dichiarazione stata la sua
condanna a morte, si dice. Il 9 e il 23 dicembre due gravi attenta-
ti suicidi a Mingora sottolineano laleatoriet della vittoria del
Governo. Il 16 Nawaz Sharif, lunico contendente della Bhutto
per la vittoria alle elezioni, lancia una dichiarazione opposta a
quella della rivale, dice che in caso di vittoria porter la rivolu-
zione nel Paese; il suo viene letto come un messaggio carico di
positivi segnali per le forze fondamentaliste, i nazionalisti pash-
tun, i gruppi anti-occidentali, in genere per tutto un Paese che
stanco della politica filo-americana di Musharraf.
Lultimo episodio del 2007 il pi grave per lo Swat, il pi
simbolico. Il giorno dopo la morte di Benazir Bhutto (27 dicem-
bre) viene ucciso in un attentato a Mingora lex Nazim-i Alam
dello Swat, il giovane Asfandyar Amirzeb, che ho avuto lonore di
conoscere. Asfandyar, nipote del Waliahad, era un membro di
113
altissimo lignaggio della famiglia reale dello Swat. Il suo assassi-
nio stato senzaltro ordito per il suo valore simbolico: un punto
di non ritorno per la storia dello Swat.
* * *
Quattro mesi pi tardi.
Le elezioni del 2008 hanno segnato due importanti risultati
nella NWFP. Innanzitutto la sconfitta dei partiti islamici (che
hanno per boicottato le elezioni), quindi la vittoria delle forze
laiche, a cominciare dallAwami National Party, e lalleanza di
governo tra PPP e Nawaz Sharif. Nel frattempo, lesercito ha pre-
so definitivamente possesso della riva sinistra dello Swat e delle
direttrici viarie che conducono al passo di Shangla e alla KKH.
Continuano per gli attentati, spesso di lieve entit con obiettivo
stazioni di polizia isolate, talvolta pi gravi come quelli attuati
durante feste di matrimonio e nelle vicinanze di santuari, ad Haji
Baba a Mingora, a Pir Baba nel Buner. Il pi grave attentato,
forse risultato di un attacco missilistico, quello che ha colpito
il Mingora Hostel, nella zona meridionale di Mingora, dove si
trovano la Corte, il comando di polizia, gli uffici governativi locali.
17 militari e 23 civili sarebbero stati uccisi nellesplosione (le cifre
sono sempre incerte), che ha danneggiato seriamente il prospi-
ciente Swat Museum, nella sua facciata, negli uffici, nei magazzi-
ni, nelle sue vetrine pi vicine allentrata. Lesplosione stata
cos forte che anche la casa della Missione, a quasi un chilometro
di distanza, ha subito lievi danni. La situazione rimane quindi
tesa, con lesercito che osserva da lontano i movimenti delle for-
ze taleban sulla riva destra. L sarebbero rimaste poche centinaia
di combattenti stranieri (si parla di tajiki e uzbeki) a guardia del
passo di Gat Peochar a monte di Matta. Da qui possibile rag-
giungere il Dir, il Chitral e Gilgit, ma soprattutto il corridoio di
Wakhan, e quindi il Tajikistan. Si tratta di un passo vitale, che
sfugge alla sorveglianza aerea a causa del fitto manto boschivo.
Se linsurrezione dellautunno 2007 fosse stata vittoriosa, dal-
larea di Matta i taleban avrebbero chiuso lesercito pakistano fuo-
ri da tutto il nord del Paese, creando una cintura dal corridoio
di Wakhan allo Swat, fino alla KKH, e quindi al Kashmir e al Bal-
tistan. Il Paese sarebbe stato di fatto tagliato fuori dai commerci
terrestri con la Cina, sarebbero stati bloccati i grandi lavori delle
centrali idroelettriche e sarebbe stata messa a dura prova la sicu-
114
rezza ai confini con lIndia. In questo senso interessante notare
che il fulcro della strategia di attacco, che ha coinvolto lo Swat,
non risiede tanto nellAfghanistan, quanto nello scacchiere cen-
trasiatico. Sotto questo profilo diventerebbe particolarmente
rilevante analizzare il ruolo della presenza di combattenti centra-
siatici, nonch la loro modalit di approccio alla realt locale.
Approfittando di iniziali forme di cointeresse e della tradizionale
ospitalit, i combattenti centrasiatici sono stati presto veduti
come degli occupanti e, in molte aree, respinti. Ora, in questo
specifico frangente, se la loro strategia di accerchiamento e con-
quista dei nodi infrastrutturali del nord del Paese fallita, falli-
ta proprio nello Swat, in particolare sulla riva sinistra del fiume.
I motivi che hanno portato a questo fallimento devono essere
ben analizzati, anche perch rappresentano lelemento sano,
positivo, su cui, eventualmente, costruire il futuro di queste aree.
I motivi risiedono nella cultura, nella storia, nella struttura socia-
le e psicologica di queste genti, cos come sono state descritte
nelle pagine precedenti. Nelle pieghe degli eventi narrati il lettore
avveduto sapr leggere le ragioni per cui lo Swat stato e conti-
nua ad essere un fulcro di equilibrio e pacificazione allinterno
della regione. Tra Mingora e Barikot le jirga e la popolazione
hanno saputo opporsi con fermezza alle forze taleban (si ricordi
che queste comunit sono ancora armate), negando loro ogni
forma di supporto. Va notato che in questa decisione hanno gio-
cato un ruolo non indifferente valutazioni di ordine religioso e
culturale: la tradizione religiosa yusufzai hanafita e non waha-
bita. Non per caso che in una delle sue trasmissioni radio di
fine marzo 2008, Fazlullah ha voluto insultare gli Yusufzai della
riva sinistra chiamandoli Ebrei e Hindu.
In questo panorama rimane comunque difficile prevedere
una completa normalizzazione dello Swat in tempi rapidissimi.
Non inverosimile ipotizzare uno Swat diviso a met per un cer-
to periodo: tutta la riva sinistra libera e aperta, quella destra infil-
trata seriamente da gruppi filo-qaidisti e quindi circondata da un
cordone militare permanente. Si tratta della stessa situazione che
lo Stato dello Swat ha vissuto tra il 1918 e il 1923, quando tutta la
riva destra dello Swat era contesa col Dir e, di fatto, da questo
controllata. Pi difficili a prevedersi sono le soluzioni politiche a
pi vasto raggio, quelle che riguardano il rapporto tra la Frontie-
ra e il Pakistan. Iniziative sono lanciate in continuazione: dal
cambiamento del nome della NWFP allabolizione delle Frontier
115
Crime Regulations (FCRs) con le loro amendments anche recenti.
C una certa disillusione verso queste iniziative, che sessantanni
dopo ancora insistono nella direzione dellabbandono della
cosiddetta Forward Policy britannica verso la Frontiera,
annunciata da Ali M. Jinnah allindomani della nascita del Paki-
stan. Si sa, ad esempio, che labolizione delle FCRs, annunciata
recentemente dal Primo Ministro, non potr essere realizzata
che dal Presidente e non dal governo in carica, a meno che non
si aboliscano gli artt. 246 e 247 della Costituzione; quindi per ora
si tratta di una mera ipotesi, non praticabile.
Lo Swat e le sue genti hanno reso ancora una volta un impor-
tante servigio alla pace del Paese e della regione in genere. Mol-
to probabilmente ci si aspetta che questa ulteriore prova di matu-
rit e di intelligenza storica sia riconosciuta finalmente con atti
concreti di supporto e sviluppo e non a parole. Sarebbe ora.
Quattro mesi pi tardi ancora.
Riprendo queste pagine cercando di dire una parola definiti-
va prima di consegnare il testo alla tipografia. Rileggendo quan-
to scritto poco sopra (ma quattro mesi prima), mi verrebbe quasi
116
Fig. 15 - Bus a Saidu Sharif.
di correggerlo, intervenire sulle parole che avevo scritto, ma
decido di non farlo. In fin dei conti questalternanza di speranza
e di crisi rappresenta in modo fedele la stratigrafia storica degli
eventi. In archeologia non permesso di interferire con la strati-
grafia: la si pu solo leggere e, se ci riesce, interpretarla.
Dalla fine di giugno, dopo il fallimento delle trattative inaugu-
rate dal nuovo governo, sono riprese le ostilit aperte nello Swat.
Le forze filo-qaidiste sono ancora ben installate sulla riva destra
del fiume. Sono ripresi gli attentati (clamoroso quello compiuto
agli impianti sciistici di Malajabba), soprattutto contro le scuole
femminili. Lesercito ritornato in forze nella valle. Dopo un breve
periodo di schieramento, alla ripresa degli attentati, lesercito lan-
cia una nuova offensiva contro le postazioni nemiche tra Kabbal e
Matta; la campagna ancora in corso mentre scrivo queste righe.
Nel frattempo si indurisce lo scontro in Bajaur, precipita la situa-
zione nella Kurram Agency e pi a sud nel Waziristan. La situazio-
ne nello Swat si aggrava ulteriormente durante il mese di luglio.
Allo scontro militare si aggiunge un senso di generale insicurezza
dovuto allaumento delle attivit criminose. Chi se lo pu permet-
tere lascia la valle per Peshawar o Islamabad.
In agosto torno di nuovo in Pakistan, ma questa volta non
riesco a raggiungere lo Swat, mi devo fermare per due volte a
Malakand. In cielo sono frequenti i passaggi degli elicotteri mili-
tari diretti in Bajaur e verso il fronte di Matta, sulla riva destra
dello Swat. Al mattino la strada bloccata per ore per il passag-
gio dei convogli militari; di notte c il coprifuoco e si spara a
Saidu Sharif.
Alluna del 18 agosto, mi trovavo nella resthouse del Museo di
Taxila, con i miei colleghi pakistani assistemmo al messaggio
televisivo con cui il Presidente Musharraf annunciava le sue
dimissioni. Neanche il tempo di tornare in Europa e la coalizio-
ne governativa si rompeva con luscita di Nawaz Sharif in aperta
ostilit verso il capo indiscusso del PPP, Asif Ali Zardari, il vedovo
di Benazir Bhutto. Pochi giorni pi tardi dal Dipartimento di
Stato USA vengono criticamente rivelati alla stampa colloqui pri-
vilegiati e non protocollari di una parte dellamministrazione
americana con Zardari. Sembra aprirsi una nuova partita per
cavalcare il futuro della regione, mentre va preparandosi il nuo-
vo corso della Presidenza USA. C tutto un susseguirsi di chi-
appoggia-chi tra Washington e Islamabad. Appare peraltro chia-
ro, nelle scelte strategiche e nellattenzione con cui si segue
117
levolversi della situazione, da parte di entrambi i candidati alla
presidenza USA, che il Pakistan nellimmediato futuro sar di
interesse nevralgico per la politica estera atlantica in Eurasia: ne
sar forse il focus. Nel contempo si concludono con il successo di
Zardari le elezioni presidenziali in Pakistan; fra non molto ci
saranno anche quelle in Afghanistan. Qui non detto che gli
USA debbano per forza sostenere ancora lattuale presidenza.
Tutto questo succede mentre nello Swat e nelle regioni cir-
convicine la situazione precipita sempre pi. Mentre scrivevo, mi
era giunta la notizia di un attacco delle forze americane in Wazi-
ristan; si parla di vittime civili pakistane. Negli ultimi mesi si era-
no infatti fatte sempre pi insistenti le voci e le dichiarazioni che
parlavano della possibilit di interventi militari in territorio paki-
stano da parte delle forze americane operative in Afghanistan. Si
parlato addirittura di possibili attacchi nellIndus Kohistan,
dove si detto si nascondesse Osama bin Laden. In realt duran-
te lestate ci erano gi stati diversi incidenti militari, non del tut-
to chiariti, tra il Waziristan e il Bajaur che hanno dimostrato
quanto fossero concrete quelle voci. La reiterazione di simili
incidenti, ovvero un possibile intervento aperto delle forze ame-
ricane in Pakistan, soprattutto se in disaccordo con la politica
difensiva di questo Paese, rappresenta il rischio pi grave, non
solo per levoluzione della crisi lungo la Frontiera, ma addirittu-
ra per il futuro del Pakistan stesso. Il rischio che si profila a livel-
lo regionale quello di una saldatura tra le forze qaidiste o tale-
ban e il sentimento popolare, finora evitata. Pi in generale il
rischio addirittura quello di una balcanizzazione dellarea: un
processo senza ritorno, ancora pi grave vista limportanza geo-
strategica della regione per altre potenze: penso alla Cina soprat-
tutto.
Lo stato di confusione lungo la Frontiera alto: emergono
ovunque nuove figure di politici-militanti e non si capisce pi chi
chi. Sembra definirsi un piano molteplice di attori: combatten-
ti stranieri, sostenitori locali dei taleban, agitatori locali che uni-
scono rivendicazioni sociali alle istanze religiose, ma prendono
le distanze dai fenomeni terroristici.
Le politiche di dialogo ancora sostenute dallANP sono prese
di mira apertamente: si intensificano gli attentati alle sedi e agli
uomini di questo partito, cos come continuano gli attentati ai
khan colpevoli di appoggiare queste iniziative. In tutto questo
contesto lalta politica che si gioca a Islamabad, con le sue code a
118
Londra e a Washington, non compresa a livello locale: si sente
palpabile la disaffezione. Si avverte che anche le pi positive
risposte locali, le reazioni politiche, sostenute dalluso delle
armi, espresse in pi occasioni contro le forze taleban, ad esem-
pio in Buner e in Dir, non vengono colte nel loro importantissi-
mo significato, n valorizzate come dovrebbero essere.
La situazione non si presta ad una facile diagnosi. Si capisce
chiaramente che il fulcro e la ragione di molti dei fatti che coin-
volgono lo Swat oggi non si trovano nello Swat. La valle (e tutta
le regione circostante) si trova oggi ad essere il teatro, il luogo di
rappresentazione di un canovaccio scritto e diretto altrove.
Dopo quattro mesi sono sempre pi convinto che lo scenario
principale sia lAsia centrale. Da secoli, almeno da epoca Tang,
questa parte del Sub-continente ha avuto strettissime relazioni,
soprattutto commerciali, con il mondo cinese; in qualche
momento ne stato addirittura vassallo. Senzaltro ne ha rappre-
sentato, e rappresenta tuttoggi, la chiave di accesso allOceano
indiano. La KKH, la Indus Highway e il porto in via di costruzio-
ne a Ras Gwadar nel Makran, costituiscono oggi gli snodi infra-
strutturali essenziali di questo rapporto privilegiato. Un giorno
forse lo sar anche la progettata linea ferroviaria del trans-
Karakorum. Una situazione di instabilit nella regione colpir in
prima istanza gli interessi cinesi. Un esempio di tale strategia
stata la battaglia per il controllo della KKH nellautunno-inverno
del 2007.
Un altro scenario quello afghano. Anche qui la storia ci
sostiene. Almeno da et tardo-antica in avanti la valle stata con-
siderata area di interesse geostrategico per chi dominava a
Kabul, dallet dei Turki Shahi fino alle interferenze che hanno
preceduto e seguito la terza guerra anglo-afghana; pi recente-
mente penso al cosiddetto incidente del 1960 nel Dir e Bajaur.
In sintesi si pu dire che il pendolo geopolitico della valle abbia
oscillato tra Kabul, la Cina e il Kashmir: nellultimo millennio
principalmente tra i primi due.
Forse non del tutto chiaro, ma il Grande Gioco ancora in
corso e, ancora una volta, una sua parte importante si gioca da
queste parti della Frontiera.
Lo Swat rappresenta quindi un luogo privilegiato, uno sno-
do-chiave, essenziale anche per la comprensione del presente
fenomeno storico. La lettura del suo presente sta come inscritta
nel suo codice genetico, nella doppia elica della sua storia antica
119
e recente. Per questo, credo, lo Swat pu rappresentare un punto
di osservazione importante per la comprensione di questa crisi
epocale.
Si nota sempre un certo scetticismo da parte degli analisti
professionisti per riflessioni storiche come quelle che si sono
andate delineando in questo libro. Da una parte le si considera
come astrazioni o, tuttal pi, come riflessioni interessanti, ma
inattuali; dallaltra vengono considerate come eccessivamente
localizzate: la Storia presente viene preferibilmente letta come
espressione di macrofenomeni. Questione di metodo. In archeo-
logia si considera fondamentale la possibilit di incrociare
losservazione orizzontale (ricognizione) con quella verticale
(scavo). La ricognizione restituisce una serie di dati pi
indifferenziati in termini cronologici e valutativi: si pu ad esem-
pio sopravvalutare un sito per via del suo miglior stato di conser-
vazione visiva e viceversa sottostimare lestensione di un altro a
causa delle condizioni di superficie. In termini cronologici si
rischia di costruire associazioni di dati solo parzialmente confer-
mate da unanalisi pi accurata. Viceversa lo scavo in grado di
restituire una completa e sicura sequenza cronologica, che per,
in virt della sua ridotta competenza spaziale, pu portare ad
altre forme di errori valutativi. Ovviamente il grado di maggiore
attendibilit diagnostica si ha nel punto in cui i due processi si
toccano, e si fa via via minore man mano che ci si allontana da
questo. Fatta salva questa condizione, lincrocio delle due dina-
miche conoscitive (orizzontale e verticale) compensa in misura
accettabile i limiti dei due processi e pu portare ad una rico-
struzione storica tridimensionale attendibile.
Questo modello conoscitivo pu essere esportato dallindagi-
ne archeologica allo studio del presente storico. In questo senso
le osservazioni presenti in questo libro vogliono rappresentare
lequivalente dello scavo archeologico (analisi dei dati locali),
tentativamente incrociate con una ricognizione necessariamente
superficiale dei dati orizzontali. Se da ci potr scaturire una
maggiore intelligenza del presente e la possibilit di una progno-
si attendibile, compito ulteriore lasciato al lettore.
In questo senso valga unultima osservazione. Appare eviden-
te alla luce dei dati presentati che uno dei temi cruciali per la
soluzione del presente stato di crisi quello giuridico. Il punto
di maggiore frizione tra la politica spirituale dellOccidente e
quella dellarea di cui siamo occupati risiede infatti nel conflitto
120
Fig. 16 - Sperone roccioso di Topyalai.
tra categorie politico-giuridiche di differente genesi. Documenti
inediti, che ho potuto consultare recentemente, mi hanno chia-
rito ulteriormente quanto questo punto stesse a cuore allammi-
nistrazione britannica soprattutto alla vigilia della Partition. In
futuro si dovr pertanto cercare di trovare una mediazione non
astratta tra le categorie giuridiche nate in Occidente e oggi
dominanti e le customary laws. In fin dei conti questo stato rea-
lizzato nel riuscito esperimento politico chiamato Yusufzai State
of Swat ed stato il lascito positivo principale dellilluminata
gestione della dinastia Miangul nello Swat. In un certo senso la
riforma delle FCRs, pur con i limiti evidenziati, e le altre iniziati-
ve legislative annunciate dal presente esecutivo si muovono in
questa direzione. Sar bene, a mio avviso, che questa strada sia
sostenuta dallEuropa. Se ci sar fatto, sar infine resa inoffensi-
va unarma importante, oggi nelle mani delle forze destabilizza-
trici nella regione. Unarma che ad ogni momento rischia di col-
pire nel segno presso le sensibilit locali, soprattutto in quanto
agisce attraverso la controparte religiosa dellelemento giuridico.
Si sa quanto questo aspetto sia importante nellIslam al punto
che non credo sia azzardato parlare dellIslam come di una reli-
gione profondamente giuridica. Quale che sia lesito del presen-
te momento, in una prospettiva pi ampia sar importante che si
proceda in questa direzione. Il riconoscimento delle altrui pecu-
liarit e delle loro ragioni storiche, un compito che lEuropa
(lEuropa di Federico II vorrei dire), in virt del suo patrimonio
culturale, pu darsi e pu portare a compimento.
122
DA ARCHIVIARE PER USO FUTURO
La strada della farina
porta sempre al mulino.
Proverbio pashtun
(MacKenzie 1982: nr. 33)
Tutto quello che stato scritto nelle poche pagine che prece-
dono andrebbe forse sintetizzato. Forse il lettore si sentito som-
merso da una massa di dati e di informazioni incoerenti, forse
invece sono riuscito a far trapelare il filo conduttore dei pensieri,
che alla loro base.
Credo sia invece il caso di rendere esplicite le vere ragioni
per cui stato scritto questo libro, non tanto il sentimento di
fondo, quanto il suo pensiero fondante, cos, perch sia archivia-
to per futura memoria.
Lo Swat una terra metafisica.
Allarrivo delle genti indo-iraniche, forse anche prima, le
montagne dello Swat, e lIlam tra queste, potrebbero essere state
utilizzate come supporto fisico-geografico per le grandi immagi-
nazioni degli eventi che videro la lotta tra gli di celesti e le
entit avversarie. Al tempo dellimpresa di Alessandro risuonava
grandiosa leco di quelle lotte, al punto che il Macedone ne volle
rivivere il mito, andando alla conquista dellIlam. Col Buddhi-
smo lo Swat divenne terra sacra, oltre i meriti storici che ad altre
terre dellantica India erano dovuti, per il diritto desser stati
quei suoli calpestati dai calcagni del Buddha stesso. Lo Swat nel-
la geografia sacra del Buddhismo sar per secoli e secoli una por-
ta verso la dimensione luminosa della realt: zona di confine,
dove lelemento minerale-vegetale (Uddiyana vuol dire Giardi-
no) si smaterializza nelle particelle luminose delle forze forma-
tive del Creato. Per secoli i suoi spazi fisici, le sue rocce, le sue
vette, i suoi fiumi, sono stati segnati da riti imaginifici: segni
dipinti, incisioni ineffabili, icone. La natura s rifatta seconda
Natura, come dice Goethe.
Col passare dei secoli, mentre la dimensione metafisica della
Storia cresceva sempre pi verso lUomo, la valle si trovata al
centro di via via crescenti processi di evoluzione storica e sociale.
Nellambito del processo di evoluzione verso la socialit, che
senzaltro il senso e la missione della presente crisi, lo Swat ha
avuto una funzione per tutta lAsia.
Nella valle si raccolta dagli ultimi cinque secoli una trib
fiera e combattente, che vi giunse come in una terra promessa al
termine di un breve, ma doloroso peregrinare.
Nello Swat si realizzato in modo anticipato e progressivo il
processo di liberazione dallatavismo tribale verso lacquisizione
di una coscienza sociale della vita. Al termine del processo, lo
Swat si doner al mondo moderno con i frutti e le caratteristiche
di uno Stato civile avanzato. Lelemento pi importante sar che
lo Stato che nacque, nacque sulle basi delloriginale e intatta
capacit di progresso implicita nei protagonisti che lo fecero
nascere. Non vi furono interessati impulsi esterni, se non quelli
che, nel dinamismo storico del tempo, non solo non impedirono
quellesperienza sociale e politica, ma forse la facilitarono.
124
Fig. 17 - Riparo rupestre al crepuscolo nella valle dello Swat.
Anche se per motivazioni egoistiche, lImpero britannico ha
infatti nelloccasione svolto unazione favorevole al libero svilup-
po degli impulsi sociali nello Swat.
A ben guardare, lopposizione, che vide fronteggiarsi lImpe-
ro alle genti yusufzai, fu quella di due entit eticamente parita-
rie. Luna accanto allaltra ebbero modo di migliorarsi a vicenda:
luna dellaltra accolse la vivida forza e ne fece, suo malgrado, il
mito della Frontiera, laltra della prima ha saputo, nello Swat,
distillare le qualit giuridiche, organizzative e i riti politici. Come
al tempo delle nazioni germaniche ai confini del Reno-Danubio
romano, da questa coesistenza sarebbero potute nascere nuove
comunit, nuove missioni storiche. Al tempo della caduta del-
lImpero romano gli uomini non presumevano di modificare i
ritmi della Storia: gli eventi accadevano e gli uomini accettavano
o lottavano, sapendo di recitare una parte scritta altrove. Al tem-
po degli eventi, di cui stiamo parlando, invece, gli uomini credo-
no di dover/poter intervenire nella formazione dei fatti storici
col loro agire e pensare. Come il giardiniere che pota ed innesta,
la politica dellOccidente ha creduto di poter realizzare un suo
piano, una sua utopia. Non vi sarebbe nulla di sbagliato anche
nello sbagliare politica. V viceversa qualcosa di luciferico, direi
quasi di agghiacciante, quando luomo modella un pensiero, che
poi ritiene di dover applicare allaltrui pensiero, quando un pia-
no di conquista territoriale sottende un modello di evoluzione
da applicarsi allaltro, anche se per motivi e scopi moralmente
ed eticamente superiori. Anzi proprio in questi casi che il feno-
meno acquisisce un carattere luciferico, quello duna velleit
babelica, dun orgoglio non pi umano.
Le genti yusufzai dello Swat, ma anche tutte quelle della
Frontiera, in genere le masse, per noi anonime, dellAsia, tutte le
anime di quello che si chiama il Sud del mondo, ma anche tut-
ti noi che subiamo i modelli della presente civilt senza essere
chiamati a concorrervi, soffriamo la distanza che sentiamo tra
ci che sentiamo in noi e ci che viviamo fuori di noi. Gli impul-
si sociali, quando non sono liberi di realizzarsi, spesso si trasfor-
mano in malattie sociali; non sempre le malattie sociali dnno
luogo a depressioni, come accade nellOccidente addormentato,
talvolta dnno luogo a febbri violente. La febbre, si sa, viene vista
in due modi: se considerata unanomalia rispetto allordinaria
temperie delle cose, viene chimicamente o meccanicamente
abbassata; se vista come il necessario surriscaldamento dun
125
organo colpito o la liberazione da scorie fisio-psichiche, pu
essere lasciata, favorita, comunque riguardata come il segno di
qualcosa daltro.
Ora in atto una potente febbre in Eurasia. Non vi sar cura,
se non se ne vedranno le cause, se si continuer a considerarla
un ostacolo alla corretta evoluzione delle cose, al retto ordina-
mento del mondo. Essa continuer ad ardere e, se abbassata in
un punto, sorger domani altrove, in altre forme, tali addirittura
da non permetterne di scorgere la continuit con gli eventi che
lhanno preceduta.
Lo Swat si trova in uno stato di febbre. La sua evoluzione sto-
rica, tutto il senso della sua storia, gli impulsi sociali che ha rap-
presentato, creato e diffuso nel corso degli ultimi secoli, non
permettono di capirne facilmente le cause. Quasi non si com-
prende come unevoluzione cos lineare possa aver subto dun
tratto uninterruzione, una svolta, uninversione cos radicale e
violenta. Non si spiega a meno che non si cominci a vedere lin-
tervento di qualcosa di estraneo, un virus politico, o meglio ideo-
logico. Non credo per che quel virus si possa cos facilmente
identificare con lislamismo radicale. Anche perch ho sempre
creduto che lislamismo radicale sia uninvenzione del mondo
moderno, una creazione artificiale. Non ha senso, addirittura
frutto di unignoranza irresponsabile, continuare a rappresentar-
si questa situazione come uno scontro tra civilt, come il segno,
la pustola duna malattia che va estirpata.
La concezione che in certi circoli si andata formando dello
scontro di civilt, versione aggiornata del fardello delluomo
bianco di imperiale memoria, pu essere nata solo in terre che
sono divise dal mare dal resto dellecumene. Valga solo come
immagine, eppure il senso di isolamento che se ne trae forte.
V una solitudine alla base di pensieri, idee ed ideali astratti
come questi. V limmagine di una civilt che crede di essere
divenuta quello che da sola, con i suoi pochi eletti fondatori,
i suoi ideali illuminati, in anticipo sul resto del mondo. Lorgo-
glio babelico della solitudine versus la moltitudine degli umani,
troppo umani.
Il mare non la terra, ben lo insegna Schmitt, il mare unisce
attraverso la velocit potenziale della sua orizzontalit tempora-
nea; il mare divide. Il mare unisce, quando luomo costruisce cose
che con lingegno e lartificio ingannino i venti, le onde, le cor-
renti, le stelle. Il mare divide quando, nel rispetto metafisico della
126
sua essenzialit, luomo si ferma alle sue sponde e guarda al di l,
come se guardasse al suo infinito. Attraversare il mare con linge-
gno e lartificio, poterlo solcare, ha dato alluomo dellOccidente
un senso di indipendenza: la terra cui approda sar quella conqui-
stata, meritata, e al tempo stesso, gli rimarr estranea, diversa, alie-
na. La civilt da cui proviene quelluomo non quella della terra
su cui approda. Questa, viceversa, pu essere veduta come lambi-
to di una civilizzazione svolta secondo le proprie utopie. Siccome
ci si sente soli al mondo (In fin dei conti abbiamo noi attraversa-
to il mare con lartificio e con lingegno, non loro!) le nostre
utopie valgono come lutopia dellumanit intera.
Ci si ricordi come le genti yusufzai dello Swat siano state sen-
sibili a due elementi nel corso della loro storia moderna: impul-
so alla socialit e direzione religiosa. Si ricordino le parole di
Raverty: Dai rapporti che ho avuto con gli Afghani per via delle
mie ricerche linguistiche e letterarie negli ultimi dodici-quattor-
dici anni, so per certo che gli Afghani orientali [i.e. Pashtun]
sono desiderosi di coltivare la nostra amicizia [...]. Si pensi alla
fecondit dei rapporti tra lAsia islamica e le correnti del Movi-
mento orientale poetico di Goethe e dei suoi, culminate nel
Weststlischer Diwan. Si pensi alla sintesi che fu capace di prodursi
tra il pi alto Islam e lopera di Hegel, Fichte, Nietzsche, Mazzi-
ni, Gentile, Emerson, Steiner, in un rappresentante di elevato
grado della Cultura asiatica come Muhammad Iqbal, il poeta che
in Pakistan considerato il profeta nazionale. Si confronti tutto
questo, e molto altro, tutto quello che di fecondo sorto e si
metamorfosato nella cultura dellEurasia, come ebbe a intuire
Giuseppe Tucci, con le gelide (ma soprattutto colpevolmente
ignoranti) considerazioni dei rappresentanti delle teorie messia-
niche dOltreoceano. Si vedr allora con chiarezza contrapporsi
pensieri reali a verit astratte, irreali, feconde di dissoluzione.
Rudolf Steiner, un pensatore che meriterebbe una pi vasta
attenzione, pubblic nel 1919 un libro di straordinaria importan-
za: I punti essenziali della questione sociale. Mi sono accorto, nel cor-
so di una recente lettura, che quanto egli scrive alla fine della
I Guerra Mondiale riguardo alla questione allora centrale del
proletariato, si adatta perfettamente, nella ridefinizione del nuovo
ordine mondiale conseguente ai fatti del 1989, alla condizione
dei popoli del Sud, cui in buona sostanza si pu far risalire, e
non certo per colpa loro, i motivi dellattuale crisi tra il Nord
globalizzato e quella parte del mondo ancora legata a valori cul-
127
turali tradizionali. Da tale punto di vista v da chiedersi se lat-
tuale crisi, piuttosto che uno scontro di civilt, non sia il segno
dellagonia della civilt occidentale, quale noi oggi la conoscia-
mo. Negli spasmi dellagonia si producono pensieri e concezio-
ni, cui una parte ancora vitale (intendo addirittura naturalistica-
mente vitale, una parte che ancora fa figli, che ancora soffre per
cose umane, ancora muore di malattia, ancora non agogna lim-
mortalit fisica, ancora si prende cura del congiunto), la parte
vitale del mondo, si ribella. Non vuole partecipare dei beni mate-
riali che il mondo occidentale le offre, anche se lanima bella di
questultimo crede cos di sdebitarsi. Ne rifiuta la nuova spiri-
tualit, l dove non si era opposta a quella che lEuropa, la
migliore Europa, le aveva cominciato a proporre prima che le
genti che navigavano il mare approdassero sulle sponde della
Storia.
La vita spirituale moderna stata trasmessa dalle classi dirigenti
dellumanit al proletariato in una forma che, per la forma di
esso, ne distrugge la forza [...].
Se, in qualche luogo, ricavata dagli impulsi del tempo e
radicata in una realt spirituale, si manifester una vita dellani-
ma che sia per gli uomini un sostegno interiore, da essa potr
irradiare la forza adatta a dare il giusto impulso anche al movi-
mento sociale. Il fatto che luomo oggi appartenente al proleta-
riato, non possa attendersi questo dalla vita spirituale, quel
che d alla sua anima lintonazione fondamentale. Egli ha biso-
gno di una vita spirituale che emani una forza capace di dare
alla sua anima il sentimento della dignit umana poich, quan-
do egli fu impigliato nelleconomia capitalistica dei tempi
moderni, i bisogni pi profondi della sua anima sindirizzarono
verso la vita spirituale. Invece la vita spirituale che gli venne tra-
smessa come ideologia dalle classi dominanti gli vuot lanima
[...].
Come da una potente forza suggestiva, il suo sguardo sta-
to avvinto esclusivamente dalla vita economica. (Steiner 1980
4
:
38-40).
La netta separazione geopolitica Nord-Sud espressa nei fatti
ultimi delle relazioni internazionali, pi radicale di quella Est-
Ovest, sovrapposta a insolubili rapporti di comunione storica e
culturale, pu trovare proprio nellItalia mediterranea il suo
punto dincontro. Vicinanza culturale (non solo caratteriale),
sensibilit, tendenza universale, ma soprattutto la presenza di un
interno punto di riferimento: queste sono le forze coltivate lun-
128
go molti secoli che il popolo italiano pu mettere a disposizione
dei popoli dOriente. I temi fondamentali sarebbero innanzitut-
to quelli interiori: la coscienza, la vita del pensiero, la relazione
di questa con il mondo, e quindi la questione sociale, il senso
dello Stato, il rapporto tra politica e cultura. In tutto questo lIta-
lia che si desti a se stessa pu rendere un servigio unico allunit
eurasiatica e alla diffusione della concordia internazionale. Esser
desti a se stessi significa per autoconoscenza, valorizzazione e
diffusione presso i popoli a noi vicini delle nostre forze culturali,
quelle che da noi si sono caratterizzate come una vera e propria
tradizione.
Fondamentale in questo rapporto, per favorire una reciproca
fiducia, il riconoscimento delle forze culturali dei popoli del-
lOriente e della loro storia spirituale. Ecco limportanza di studi
orientalistici che si liberino del vizio dorigine loro proprio, che
non quello di essere sorti, ma quello di essersi sviluppati in
ambiti eccessivamente tecnici e specializzati, quindi sostanzial-
mente privi di libert. Tutto ci che cultura in senso pi alto,
conoscenza che nasca dallamore per loggetto, non pu che
costituire un germe cosmopoliticamente valido l dove, superan-
do il carattere nazionale, attinge ad una sfera meno effimera. Ed
questa la sfera in cui vanno riportati tutti i nodi cruciali. Anche
in questo lItalia, lEuropa, direi, per qualit intrinseche alla pro-
pria tradizione e per lattuale presenza di forze culturalmente
attive in tal senso, pu porsi allavanguardia.
129
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132
Abdul Ghaffar 87, 92
Abdul Ghafur 68
Abdul Wahid 68
Abdur Rahman 70, 77
Abdur Rashid 65
Abisares 37, 39
Ahmad Shah 66
Aitchison, C.U. 94
Akam Khan 21-22, 100, 106
Akbar 63-64, 67
Akhtar Manir 22, 47-48
Akhund Darwaza 65
Al-Biruni 51
Alessandro Magno 7, 23, 26, 36,
37, 39, 40-42, 56, 123
Ali Khan 30
Amanullah 78
Apalala 46-47
Apollo 36
Arshad Khan 22, 40-41, 100
Asfandyar Amirzeb 113
Asif Ali Zardari 117-118
Assaceno 41
Aurangzeb 65, 89, 90
Avitabile, P.C.M. 69
Ayub Khan 88, 90-92
Babar 61, 63
Bagnera, A. 27
Barthorp, M. 72
Bayazid Ansari 63
Bellew, H.W. 69
Benuzzi, F. 23
Bhutto, Benazir 111, 113, 117
Bhutto, Zulfikar Ali 92
Bianchi Bandinelli, R. 11
Buddha 44, 46, 123
Buddhagupta 62
Burnes, A. 76
Bussagli, M. 42
Caino 61
Callieri, P. 10-11, 19-20, 26-27, 105,
108
Caroe, O. 59, 69, 98
Ceno 37
Censi, A. 11, 99-100
Chamberlain N. 69
Chatwin, B. 11
Churchill, W.S. 72
Cleofi 41
Colliva, L. 11
Curiel, R. 23
Curzon, G.N. 69, 77
De Chiara, M. 10
Desio, A. 8, 24
Dost Muhammad 76
Dowar Khan 106
Duca degli Abruzzi 24
Duca di Spoleto 24
Durand, A. 70
Eden, A. 97
Elisabetta II 90
Emerson, R.W. 127
Enrico VIII 67
Eracle 39
INDICE DEI NOMI PROPRI
134
Escher, M.C. 35
Faccenna, D. 10-11, 20-22, 26, 29,
31, 44
Fazal Mabud 19
Fazal Wahid 22
Federico II 122
Fichte, J.G. 127
Filigenzi, A. 10-11, 19-20, 26, 53
Filippo lArabo 49-50
Filippo, principe 92
Flajano, E. 11
Foucher, A. 85
Gaspar/Gudafar 42
Gentile, G. 23, 127
Giunta, R. 27
Giustiniano 50
Gnoli, G. 10, 39
Goethe, J.W. 55, 124, 127
Gondophares 42
Greene, G. 11
Grimm, J.L.K. e W.K. (fratelli) 40
Gullini, G. 26
Haji Baba 114
Hegel, G.W.F. 127
Indra 39, 46
Indrabhuti 51
Iqbal, A.M. 93, 127
Irwin, E. 86
Iskandar Mirza 85, 90
Jahanzeb 79, 83-84, 87-92, 105-106,
113
Jaynes, J. 60
Jinnah, A.M. 89, 116
Kao Xien Chi 52
Khalid ibn Walid 61
Khan Sahib 87
Kharshbun 61
Khushal Khan 105
Khusro 90
Kim 21
Kipling, R. 11, 69
Kshetrapati 35
Kujula Kadphises 46
Lewanai Fakir 72, 78
Liaqat Ali Khan 89
MacKenzie, D.N. 11, 17, 57, 123
Mahmud di Ghazna 7, 51
Malik Ahmed 63
Maometto 61, 66
Maraini, F. 53
Marco Polo 8
Maulana Fazlullah 107, 112-113, 115
Maulana Sufi Mohammad 102
Mazub mullah 83
Mazzini, G. 127
Melasecchi, B. 10
Miangul Abdul Khaliq 69-70
Miangul Gulshada Abdul Wadud,
Badshah 23, 63, 66, 70, 78-82,
84-89
Miangul Jahanzeb 23
Micheli, R. 11, 47, 99-101
Mihirakula 50
Mir Hinda 61
Mirza Ali Khan 93
Mirza Ulugh Beg 61, 63
Morgenstierne, G. 11
Morigi, E. 11, 47, 101
Mott-Radclyffe, C. 97
Musharraf, P. 103, 107, 111, 113,
117
Naipaul, V.S. 99
Najib 22
Nascari, M. 11, 20-21, 40
Nawab Mohammad Sharif Khan 72
Nawaz Sharif 101, 103, 111, 113-
114, 117
Nicanore 41
Nietsche, F. 127
135
Noci, F. 27, 30
O rgyan pa 62
Olivieri, L.M. 7, 8, 10
Olivieri, N. 27, 30
Omara Khan 70, 81
Omero 60
Osama bin Laden 102, 118
Padmasambhava 23, 51
Pinelli, C.A. 25
Pir Baba 65-68, 78, 80, 114
Pir-i Roshan 63-65, 68
Podhoretz, N. 10
Poliperconte 37
Prati, V. 8
Qais Abdur Rashid 61
Quaroni, P. 8, 13, 24
Raja Jahangir 61
Raverty, H.G. 69, 95, 127
Robertson, G.S. 70, 72
Rosati, D. 27
Sahibzada Abdul Qayyum 87
Saidu Baba 68-69, 78, 80
San Tommaso 42
Sandakai mullah 79-81
Sandeman, R. 69, 77
Sarbanr 61
Sayyid Abdul Jabbar Shah 80
Sayyid Ahmed Shah Brelwi 67-68
Sayyid Akbar Shah 67-68
Sayyid Ali Shah Tarmezi 65
Scerrato, I. 25
Scerrato, U. 25, 27, 30
Schlumberger, D. 45
Schmitt, C. 97, 126
Shafiq Ahmad 108-109
Shah Alam Khan 22
Shah Zaman 67
Sharif, M. 56
Shedai, M.I. 24
Sheikh Malik 63, 86
Shirin Sahib 82
Shuja-ul-Muluk 69, 70
Silvi Antonini, C. 26
Sohrawardi 64
Spain, J.W. 77, 95
Stacul, G. 26, 30
sTag tsan ras pa 62
Stein, A. 23, 47, 72, 85-86
Steiner, R. 127-128
Sufi Mohammad 104, 107, 112
Sultan Awes 61
Sundia Baba 87-88
Surya 53
Taddei, M. 11, 26-27, 29-30
Tamerlano 61
Timur Shah 66-67
Tucci, G. 7-8, 15, 21, 23-25, 29, 33,
47, 62, 105-106, 127
Tusa, S. 26, 30
Vallazza, A. 25
Venturello, D. 40
Venturello, V. 40
Vidale, M. 11, 31, 33-34, 47, 52-53,
101, 108
Vindapharna 42
Wali Khan 91
Waliullah Khan 23
Waugh, E. 62
Welles, O. 101
Xuanzang 50, 54
Yahya Khan 92
Yusuf 61
Zamani 22, 40
INDICE
Presentazione di S.E. Vincenzo Prati ................................................. 7
Prefazione ........................................................................................... 9
Nota................................................................................................... 11
INTRODUZIONE ................................................................................ 13
LE VIE DELLA STORIA
Il fattore umano............................................................................... 19
La Missione Archeologica Italiana.................................................. 23
La maya dellarcheologo.................................................................. 29
Una lenta rivelazione....................................................................... 33
Lo Swat di Alessandro e dei regni ellenizzanti .............................. 37
Il Buddhismo al centro del potere ................................................. 43
La sindrome di Filippo lArabo................................................... 49
Dalla rinascenza induista allIslam................................................. 51
MORFOLOGIA DEL PRESENTE
Larrivo degli Yusufzai ..................................................................... 59
Ai confini degli Imper .................................................................... 65
Nascita di uno Stato (1917-1926) ................................................... 73
Una via verso la modernit (1927-1969) ........................................ 85
La partition incompiuta.................................................................... 93
Tempo di uccidere .......................................................................... 99
Da archiviare per uso futuro........................................................... 123
Bibliografia essenziale.......................................................................... 131
Indice dei nomi propri ......................................................................... 133
Finito di stampare nel mese di gennaio 2009
Grafica Cristal S.r.l.
Via Raffaele Paolucci, 12/14 - 00152 Roma

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