Swat Storia di una frontiera Il Nuovo Ramusio 1. Tucci, Italia e Oriente. 2. Bloch, Danilou, Eliade, Griaule, Hentze, Lvi- Strauss, Puech, Tucci, Widengren, Il simbolismo cosmico dei monumenti religiosi. 3. Allam, Borrmans, Budelli, Mastrobuoni, Piga, Scattolin, Ventura, Zarmandili, Il fondamenta- lismo islamico. 4. Beltrami, Tubu. Una etna nomade del Sahara centro-orientale. 5. Lorenzetti, Il tempio induista. Struttura e simboli. 6. Lanciotti, Letteratura cinese. 7. Liu Xiang, Biografie di donne. 8. Olivieri, Swat. Storia di una frontiera. 9. Gnoli e Sfameni Gasparro (a cura di), Potere e religione nel mondo indo-mediterraneo tra ellenismo e tarda antichit. Quella dello Swat non solo, o semplice- mente, la regione frontaliera di nord-ovest del Pakistan, ma il confine geografico, geopolitico e storico dellintero Subcontinente indiano. Lo anche dal punto di vista culturale, si pu dire, da sempre: qui si arrestava limpero achemenide (VI-IV secolo a.C.), estrema propaggine della civilt iranica verso oriente, le cui tracce sono ancora riconoscibili nella lingua pashtu parlata dalla locale etna; qui, il discepolo di Aristotele, Alessandro il Macedone, attravers la soglia che separava, quasi Colonne dErcole verso laltra parte del mondo, il noto dallignoto; da qui Padmasambhava diffuse il buddhismo in Tibet; qui, tra queste aspre montagne, tra questa intatta gente che lIslam a fatica conquist alla propria causa, si gioca oggi una fase non secondaria della difficile partita dellespansione o del conteni- mento dellintegralismo. Qui, infine, in questo eccezionale teatro, si pu dire che il Grande Gioco caro a Rudyard Kipling continui a svolge- re, con drammatici effetti, le sue invisibili trame. Il libro, seguito e completamento ideale della Via dello Swat (1963) di Giuseppe Tucci, si avvale dellesperienza maturata dallautore in oltre venti anni di campagne archeologiche condotte nella valle dello Swat dalla Missione italiana in Paki- stan dellIstituto Italiano per lAfrica e lOriente. Luca M. Olivieri co-direttore della Misssione archeologica italiana in Pakistan. Socio dellIsIAO, Olivieri autore di numerose pubblicazioni scientifiche, tra le quali ricordiamo Bir-Kot- Ghwandai Interim Reports. I: The Survey of the Bir-Kot Hill. Archaeological Map and Photographic Documentations (IsIAO, 2003). 16,00 ISBN 978-88-6323-271-4 9 7 8 8 8 6 3 2 3 2 7 1 4 Il Nuovo Ramusio 8 O l i v i e r i S W A T Il Nuovo Ramusio Collana diretta da Gherardo Gnoli 8 Luca Maria Olivieri Swat Storia di una frontiera I S I A O Luca M. Olivieri, Swat. Storia di una frontiera TUTTI I DIRITTI RISERVATI ISBN 978-88-6323-271-4 Copyright 2009 by Istituto Italiano per lAfrica e lOriente Via Ulisse Aldrovandi 16, 00197 Roma tel. 06 328551 - www.isiao.it STAMPATO IN ITALIA Fr meinen Himmel PRESENTAZIONE Il libro si avvale dellesperienza maturata dallautore in oltre venti anni di campagne archeologiche condotte nella valle dello Swat dalla Missione italiana in Pakistan, inaugurata dallIsMEO (oggi IsIAO) nel lontano 1956. Olivieri presenta uno spaccato storico della regione dalla preistoria al presente, dal quale lo Swat emerge come un microcosmo del macrocosmo euroasiatico. Di qui transitano infatti Alessandro e le sue truppe, i viaggiatori buddhisti cinesi e tibetani, ma anche il primo dei grandi condottieri islamici diretti nel nord del subcontinente indiano, Mahmud di Ghazna. Il filo conduttore, che tiene insieme tutti i capitoli, sembra essere la verifica di una continua osmosi, nel fluire delle diverse civilt, fra lOccidente e lOriente dellEurasia: una complessit che si costruisce tappa dopo tappa e che ha lasciato tracce da individuare e decifrare per locchio attento dellarcheologo e dello storico. Non meno interessante dello sforzo analitico risulta il coinvolgimento emotivo dellautore. Luca M. Olivieri, infatti, inframezza il saggio con brani tratti da una sorta di diario privato. Registra unavventura dello spirito realizzata fra le asperit delle montagne e la bellezza di una natura rigogliosa. Il lungo passato si specchia infine in unattualit enigmatica: lautore formula una sorta di atto di fede. Egli non pu non pensare che la valle dello Swat possa diventare anche nel presente ancora una volta una frontiera fra Occidente ed Oriente: non una delle tante frontiere geografiche, ma un luogo possibile di dialogo. Lautore riprende le fila di una profonda riflessione, suscitata al- lindomani della nascita dello Stato pakistano e della Repubblica italiana da Giuseppe Tucci. Ma onesto dire che il tono elevato dal quale questo saggio mai si discosta, deriva anche dalla tensione emotiva di un presente che da un simile osservatorio nel centro del continente eurasiatico appare rischioso e decisivo. Ad ogni generazione la sua sfida. Per la generazione dellautore come per la mia e forse di tanti lettori la sfida quella di non lasciarsi trascinare nella spirale di incomprensione e di odio di uno scontro di civilt: di saper intendere la complessit dei rapporti umani, fatti di 88 scambi, di commistioni, di integrazioni, di inattesi riconoscimenti, di fruttuose contrapposizioni. Con questo libro siamo di fronte ad una nobile tradizione accademica che si rigenera e sa misurarsi col nodo del presente. Olivieri, a Islamabad, dandomi in lettura il suo lavoro, mi diceva, rispondendo alla mia sollecitazione a guardare al futuro in modo ambizioso, che un suo sogno sarebbe stato la trasformazione della sede della Missione, a Saidu Sharif, in un centro permanente di studi sul Gandhara intitolato a Giuseppe Tucci. Sarebbe auspicabile che ci avve- nisse, cos che lo straordinario patrimonio scientifico della Missione fondata da Tucci possa rendersi disponibile per il pubblico pakistano ed internazionale, ma al contempo possa divenire un ulteriore strumento per fronteggiare la sfida del presente. Sarebbe il segno di un ottimismo della volont: la valle dello Swat potrebbe divenire un osservatorio sul futuro dellEurasia e sulle prospettive non di scontro ma di dialogo tra le civilt. Lobiettivo dovrebbe essere quello di farne un centro di irradiazione per le future generazioni di studenti pakistani e italiani e un mezzo per la diffusione della cultura storica, artistica, antropologica, ecc., presso le principali istituzioni accademiche del Paese. LItalia sempre stata un ponte fra lEuropa continentale, attraverso il Mediterraneo, e lAsia. La figura di Marco Polo ne tuttora il simbolo vivo ed affascinante nellintera Eurasia e nel resto del mondo. Non si tratta solo di viaggiare verso lAsia e scoprire civilt diverse. Il nostro ruolo culturale stato pi ambizioso e si tradotto nella capacit creati- va di ripensare le tradizioni con cui siamo venuti a contatto e rendere il loro contributo un impulso di sviluppo e di modernit. Ci sostiene il modello rappresentato dalle grandi personalit che, negli anni successivi alla II Guerra Mondiale, hanno promosso un rapporto culturale privile- giato fra Italia e Pakistan. Olivieri ricorda da parte italiana, oltre a Giuseppe Tucci e Ardito Desio, anche un diplomatico come Pietro Quaro- ni, che si trovava allepoca a Kabul. Come allindomani del conflitto, quando si costruiva il Pakistan e da parte nostra la Repubblica, insieme agli amici pakistani possiamo tornare ad essere di nuovo ambiziosi e, di fronte alla sfida di una globalizzazione minacciosa, dobbiamo saper tro- vare la via del dialogo e la creativit dellintelligenza. Islamabad, 19 Agosto 2008 S.E. VINCENZO PRATI AMBASCIATORE DITALIA IN PAKISTAN 9 PREFAZIONE Queste pagine sono state meditate a lungo tra la primavera e lau- tunno del 2007. La loro prima versione, originariamente pensata come lungo articolo, stata poi rielaborata in questa forma durante il Natale dello stesso anno e conclusa nellestate del 2008. Si tratta di pagine nate sulla scorta di venti e pi anni di lavoro come archeologo nella valle dello Swat. Non si tratta per di un libro di archeologia; le pagine dedicate alla storia di questo Paese sono pi che altro intese come introduzione ai processi attualmente in corso. Chi vorr farsi unidea pi approfondita, e ovviamente pi critica e articolata, del- le questioni relative alla pre-protostoria e alla storia antica e medievale dello Swat, trover nella Bibliografia qualche utile indicazione. Non si tratta di unanalisi geopolitica pura; non vi si trover una discussione ragionata e compiuta della legislazione e dei trattati che han- no costituito lossatura normativa (spesso ex post) delle iniziative e dei fatti politico-militari. Anche in questo caso sono stati indicati dei buoni testi su cui formarsi unidea personale. Non si neppure voluto scrivere un instant book sulla cronaca recente del Pakistan o di quella sua turbolenta Provincia nota come North-West Frontier, di cui lo Swat un distretto non secondario. I dati storici, geopolitici, di cronaca, qui presentati hanno solo la funzione di costruire un quadro di lettura del presente stato delle cose morfologica- mente coerente, e ipotizzarne la prognosi. Nellarchitettura del libro ho creduto poi opportuno inserire qua e l stralci da miei diari. Il lettore spero vorr essere indulgente verso quelle personali digressioni fuori dai confini stilistici, che usualmente si richie- dono ad un opera tutto sommato storica. Credo per che quelle memo- rie, almeno lo spero, contribuiscano a vivificare, a rendere tridimensio- nali, la descrizione degli eventi, dei luoghi e delle persone. Lo Swat rappresenta un mondo a s e al tempo stesso un frammento significativo di tre entit politico-amministrative e culturali: il Pakistan, la sua North-West Frontier e lAfghanistan. Un frammento che un settore estremamente attivo della cultura italiana ha profondamente studiato. Un frammento animato, abitato, vissuto da uomini. Costoro sono oggetto da sempre di un multiforme pregiudizio. Quello nato per spiegare le ragioni della loro irriducibilit al fardello del colonialismo britannico, quello nato sulla scorta degli eventi russo-afghani, quello, infine, seguto agli eventi dellultima guerra anglo-afghana, che rappresenta uno dei fronti di quella che un teorico dello scontro di civilt, N. Podhoretz, ha provocatoriamente e significativamente chiamato World War IV. Che cos allora questo libro? In ultima analisi esso vuole essere un atto di gratitudine verso quel popolo, parziale saldo di un debito morale e scientifico. * * * Il sentimento di gratitudine qui espresso si intende esteso a tutti colo- ro che, in Europa e in Asia, hanno nel tempo contribuito, con discussio- ni, approfondimenti e semplice amicizia, allelaborazione delle pagine che seguiranno. Citarli tutti sarebbe lungo; verr quindi evitato, con ci evitando loro anche il rischio di essere legati a idee e conclusioni di cui lautore unico responsabile. Cinque soli nomi voglio qui citare, a parte i colleghi della Missione, pi volte menzionati nelle pagine che seguiranno. Gherardo Gnoli, Presidente dellIstituto di cui ho lonore di far parte, del cui consiglio ho beneficiato spesso e che ha ospitato questo mio lavoro nella collana da lui diretta; Matteo De Chiara, giovane amico linguista e studioso della cultura pashtun, che ho portato nello Swat e che su que- sto libro ha lavorato con attenzione; Pierfrancesco Callieri e Anna Fili- genzi, che hanno portato me nello Swat la prima volta nel lontano 1987 e che hanno con cura rivisto le parti del libro di loro competenza; Benia- mino Melasecchi, Direttore della Scuola di lingue e culture africane e orientali e responsabile dellUfficio Pubblicazioni allIsIAO, il quale, oltre ad avermi sopportato pazientemente, da sempre direi, come editor, anche lamico che, al mio iniziale diniego di partire con lIsMEO per il Pakistan, seppe dirmi la parola giusta. Al momento di andare in stampa apprendo la notizia della scomparsa di Domenico Faccenna: semplicemente, egli stato per me lamato Maestro. L.M.O. 10 NOTA I proverbi pashtun riportati in epigrafe in questo libro sono liberi adattamenti degli originali riportati da D.N. MacKenzie nellarticolo intitolato Matalu - na (Proverbi) pubblicato nel 1982 in una miscella- nea in onore di G. Morgenstierne (Monumentum Georg Morgenstierne, II, Acta Iranica, 22, pp. 15-45, Leiden). Chi volesse conoscerne loriginaria trascrizione e la traduzione letterale, nonch le questioni filologiche annesse e connesse, potr trovare ampia soddisfazione in quel lavoro. Il lettore avvezzo alle corrette romanizzazioni dei termini sanscriti, iranici, ecc., mi scuser per aver omesso sempre i segni diacritici. Spesso sono state quindi preferite le pi consuete forme singolari in alcuni ter- mini pashtun (ad esempio khan, lashkar). I termini onorifici si trovano in tondo, con liniziale maiuscola (Malik, Wali, Mehtar, ecc.) se apposizio- ni, in corsivo negli altri casi (malik). Mi scuso infine per luso dei termini kafiro e Kafiristan, oggi superati tra gli studiosi, nonch per luso di trib e tribale, che considero astrazioni dellantropologia ottocente- sca: in entrambi i casi ho preferito questi termini per semplicit. Gran parte delle notizie recenti sono state assunte di prima mano; per le altre sono debitore alla stampa pakistana, in particolare ai quoti- diani The Frontier Post, Dawn, Daily Times, ai mensili Herald, Jahangirs Worldtimes, Newsline, e al settimanale The Friday Times; ai loro archivi on line rimando il lettore volenteroso. Per i titoli Il fattore umano, [Il Buddhismo al] centro del pote- re, Tempo di uccidere e Da archiviare per uso futuro, e per la locuzione vie dei Canti, sono chiaramente debitore, nellordine, ver- so G. Greene, R. Bianchi Bandinelli, E. Flajano, R. Kipling e B. Chatwin. Infine, alcune delle persone citate in questo libro non avranno il piacere di leggere il proprio nome per esteso, cos da poter dire come ad Azincourt Io cero!. Mauro, Roberto, Emanuele, Luca, Alessandro sono rispettivamente M. Nascari, R. Micheli, E. Morigi, L. Colliva e A. Censi. Anna, Pierfrancesco e Massimo sono ovviamente A. Filigenzi, P. Callieri e M. Vidale. Maurizio sar sempre Maurizio Taddei; Domenico ovviamente Domenico Faccenna, che spero apprezzer questo libro ovunque egli si trovi ora. Fig. 1 - Le Tribal Areas al confine afghano-pakistano. ( Khyber.org). INTRODUZIONE [...] vederli camminare sui loro monti, dritti tranquilli, il fucile sulla spalla, gli occhi grigi, le facce grifagne: non ho mai visto scritto cos chiaramente sulla fronte di nessuno, sono libero, sono indipendente. Questo mostro senza piet che la nostra civilt finir per travolgere anche loro; ma sar un peccato [...]. (Quaroni 1965) Negli ultimi anni, grazie purtroppo alle cronache dei fatti militari, il lettore italiano si sempre pi familiarizzato con larea di confine tra i moderni Stati dellAfghanistan e del Paki- stan. I due Stati sono separati da un confine che corre lungo la demarcazione nota come linea Durand, stabilito dai Britannici alla fine del XIX secolo. Il retroterra orientale della linea (oggi in Pakistan) costitu la cosiddetta North-West Frontier Prov- ince del British Raj, cui corrispondeva ai confini opposti la North-East Frontier Province. La Repubblica Islamica del Paki- stan, senza avere pi questultima, ha conservato la denomina- zione NWFP per la sua quarta provincia (quinta con le Northern Areas). Nomen omen. La linea Durand non rappresenta la serie di punti sulla quale i due Stati si siano attestati. La linea oltretutto non stata mai ratificata dallAfghanistan, che anzi lha ripetutamente denuncia- ta, anche recentemente. Si tratta piuttosto di un residuo storico legato alle vicende che hanno preceduto e concorso alla sua nascita. Una temporanea linea di faglia quindi, attraversata da inevitabili fenomeni di osmosi antropica. Che tali fenomeni rive- stano carattere commerciale o culturale, ovvero rappresentino fonte di incertezza, fatto legato spesso a problematiche di inte- resse eurasiatico. Di ci si ritrovano importanti tracce nella storia antica e recente della regione, in particolare in una sua area- chiave, oggi come allora: lo Swat. Il distretto dello Swat si trova nella NWFP, nel Pakistan set- tentrionale. Confina a sud con la Malakand Agency (parte delle PATA, Provincially Administered Tribal Areas) e col distretto del Buner, a est coi distretti di Shangla e Indus Kohistan, a nord con il distretto di Chitral e le Northern Areas, a ovest col distretto di Dir e la Bajaur Agency. Questultima fa parte delle FATA (Feder- ally Administered Tribal Areas, ovvero i territori tribali lungo il confine con lAfghanistan fino al Baluchistan). Nel distretto dello Swat abitano circa due milioni di individui in gran parte appartenenti al ramo yusufzai della nazione (intesa come natio) pashtun. Nellalto Swat abitano genti di ceppo kohi- stano, di lingue dardiche, Torwalak e, in misura minoritaria, Khowar, Bushkarik, ecc. Nelle aree alpestri risiedono tempora- neamente comunit gujar, pastori semi-nomadi parlanti Hindko, in corso di sedentarizzazione, non senza conflitti, soprattutto nel- le valli sud-occidentali dello Swat. Lo Swat, come entit geografica, si sviluppa su un territorio di circa 2.000 chilometri quadrati in gran parte costituito da unampia valle fluviale e dai suoi affluenti. La valle principale chiusa a nord dai monti dello Swat-Kohistan dai cui ghiacciai ori- gina il fiume Swat. Le cime maggiori dello Swat Kohistan sono il Falak-sar (m. 6.257) e il Mankial-tsukai (m. 5.725). La valle termina in una piana conchiusa a Malakand, dalla quale il fiume Swat sfugge grazie a un percorso in strette gole dopo essersi congiunto con il Panjkora nelladiacente distretto di Dir. A valle delle gole, lo Swat scorre nella piana di Peshawar (Lower Swat) e si immette nel fiume Kabul presso Charsada. Alla testa della valle, a monte del tridente vallivo di Ushu, Utrot e Gabral, difficili percorsi permettono di raggiungere il passo di Shandur, e da qui a ovest la valle di Mastuj (Chitral) nellHin- dukush, ovvero ad est la valle del Ghizar verso Gilgit nel Karako- rum. Pi agevoli sono i percorsi che collegano lalto Swat allIn- dus Kohistan, a oriente (in particolare tramite la valle di Kandia e pi a sud tramite lattuale strada del passo di Shang-la), e al Dir a occidente. Le vie di transito del medio corso dello Swat guardano tutte verso oriente, al Buner e alla Malakand Agency, e attraversano quella dorsale continua che scende verso sud-est degradando dai 4.000 ai 1.500 metri di altezza, fino al bastione di Malakand, oggi percorso da unimportante arteria commerciale. Lunico accesso da occidente permesso dalla valle del Panjkora, risalendo la 14 quale sono numerosi i percorsi e le strade che la mettono in comunicazione con lodierno distretto di Kunar nellAfghanistan. Dal punto di vista geologico lo Swat rappresenta uno di quei punti nevralgici del mantello della Terra, quasi che il panorama geologico rappresenti simbolicamente il destino storico della val- le, quasi ne fosse, goethianamente, losteologia. Lungo il corso del fiume passa la linea di sutura tra la zolla continentale eurasia- tica e lantica isola continentale indiana. Il paesaggio litologico cambia repentinamente dalle falesie degli affioramenti calcarei agli impressionanti rilievi di granito e gneiss. In mezzo, risalgono in superficie gli affioramenti del basalto dellantico Oceano, metamorfosato nel meraviglioso scisto verde, blu, grigio, viola, la pietra resa celebre dagli scultori dellarte del Gandhara. In breve, lo Swat quel che si dice un isolato geografico in senso latitudinale e, al tempo stesso, un corridoio di transito lon- gitudinale. Una valle anomala rispetto alle disposizioni orografi- che delle altre maggiori valli fluviali tra Hindukush e Karako- rum. Anche in senso climatico e morfologico essa mostra delle caratteristiche differenti dalle valli circonvicine, avendo essa pi le caratteristiche fisiche di una pianura di montagna, piuttosto che quelle di una valle torrentizia. Queste caratteristiche ne devono aver fatto unarea privilegiata per linsediamento gi a partire dal Pleistocene: ne sono prova inconfutabile i recenti ritrovamenti di industria litica paleolitica. Questi ritrovamenti ancora rappresentano un mistero, in quanto connettono la valle con le aree climaticamente pi favorite che si affacciano a sud sulla piana del fiume Kabul, in unepoca in cui si ritiene che lo Swat non avesse ancora raggiunto le favorevoli condizioni clima- tiche attuali. Durante lOlocene lo Swat assumer un ruolo di primo piano nello sviluppo dellagricoltura. Poco si conosce del suo Neolitico antico, anche se recenti ritrovamenti di frammenti di strutture monumentali in pietra sembrano includere lo Swat tra le aree privilegiate dellEurasia preistorica. Certo che lo Swat fu una delle prime regioni del Sub-continente indiano a essere raggiunte dalla diffusione del riso dalla Cina, nel Neoliti- co recente. Esso un isolato geografico, che per ha svolto nel tempo un ruolo di via di transito: non a caso Giuseppe Tucci inti- tol La via dello Swat il suo saggio, pubblicato nel 1963, sulla sto- ria e sul costume di questa regione. Nel corso dellultimo secolo la valle dello Swat ha svolto un ruolo importante nella storia di questa parte dellAsia. La valle 15 stata inaccessibile per via diretta dalla piana di Peshawar, fino a quando i Britannici non ampliarono nel 1895 la strada di Malakand. Questa serv a raggiungere la valle del Panjkora e quindi il Chitral e da qui, tramite il passo di Shandur, Gilgit. Si pot cos costruire una connessione sicura tra le guarnigioni di stanza lungo la Grand Trunk Road (che collegava Kabul, o meglio il passo Khyber, con Calcutta) e i principati del Karako- rum e dellHindukush, controllati dagli agenti britannici. La rea- lizzazione di questinterfaccia strategica avvenne nel quadro del- la costruzione della linea Durand. Fu resa efficace nel tempo grazie alla progressiva pacificazione degli Yusufzai dello Swat, fino a che questi, circostanza del tutto eccezionale, si trovarono ad essere inquadrati in uno Stato centralizzato sotto il dominio della dinastia Miangul (Yusufzai State of Swat) indipendente fino al 1969. Nella sua massima espansione (1949) questo corrispon- deva agli attuali distretti di Swat, Shangla e Buner. La pacificazio- ne politica dello Swat fu vitale per salvaguardare questo impor- tante settore della struttura a domino, con cui la Corona controllava i confini dellIndia verso lAsia centrale. Lo Swat stato quindi sempre uno snodo geopolitico crucia- le: gli ultimi eventi sottolineano in modo drammatico la veridi- cit di questa proposizione. Analizzare questa proposizione e svilupparla il compito che si propongono le pagine che seguono. 16 LE VIE DELLA STORIA Era una guerra tra falchi e la colomba ci capit in mezzo. Proverbio pashtun (MacKenzie 1982: nr. 12) Fig. 2 - Carta della frontiera nord-occidentale del Pakistan. (Da Barth 1995: 19). IL FATTORE UMANO Saidu Sharif, 10 ottobre 1990 La prima volta che arrivai nello Swat era la tarda estate del 1987. Nei mesi precedenti, dopo un iniziale mia riluttanza a partecipare a quella che sarebbe stata una delle esperienze umane fondamentali della mia vita, la preparazione fu intensa e febbrile. Letture, incontri, acquisti, vaccinazioni, lultima fibrillazione per un passaporto che rischiava di arrivare tardi, linevitabile ritardo nella clearance del Department of Archaeology, precedettero la partenza. Larrivo nella valle fu una delle ultime volte che si prese il volo, allora quotidiano, da Peshawar fu velo- ce, circa una quarantina di minuti, 24 ore dopo aver lasciato Roma. Limpressione della valle dallalto fu intensa, anche se quasi non ne conservo memoria, dallinterno del Fokker a elica che rumoreggiava nel cielo di mezzogiorno. Un sole accecante ci accolse una volta scesi dal- laereo. Cielo azzurro, una volta e con ragione si sarebbe detto smaltato. Alluscita dal campo daviazione, oltre la rete metallica ci aspettava una Land Rover passo lungo benzina modello 1962, con il rimorchio, un car- rello carico di canestri colmi di ceramica, ognuno col suo cartellino (data ambiente strato), affastellati come mercanzia in mostra al bazaar. Quel- la macchina rumorosa, non lo sapevo allora, sarebbe poi stata la mia compagna, quasi sempre fedele, di tanti anni di lavoro. Erano venuti a prenderci Anna e Pierfrancesco, che erano l da due settimane e avevano avviato lo scavo a Barikot. Dallo scavo infatti venivano e portavano con loro unaria polverosa e abbronzata, un po guascona, la stessa che avevo sempre immaginato vivere dentro le foto in bianco e nero degli scavi dan- teguerra in Nord Africa e Mesopotamia. Sedetti a fianco dellautista dallora, Fazal Mabud, a cavallo della leva del cambio, lasciando il posto di cortesia, vicino al finestrino lonta- no dallautista, a quella che per molti anni sarebbe stata lunica mem- saheb (signora) della Missione, Anna. Il percorso verso casa fu lento, sbuffante, ostacolato da carretti, dal passaggio delle mandrie di bufali, da una moltitudine di passanti che si incrociavano veloci e concentrati nelle vie del bazaar, da riksci, camion colorati, biciclette. Insomma allimprovviso (colori rumori suoni odori folla) ero arrivato in Oriente. Quel primo anno di lavoro nello Swat fu straordinario. Sullo scavo, a casa, noi pi giovani ci ripetevamo, con cadenza apotropaica, che comunque quella sarebbe stata la nostra prima ed unica esperienza in Asia. La speranza, neppure troppo segreta, era quella di ritornare. Un pomeriggio di ottobre lautunno nello Swat struggente Anna ed io fummo convocati nella stanza di Domenico Faccenna. Dome- nico sedeva al tavolo da studio, circondato da pile di carte disegni libri. Le tende di lana decorate a fasce orizzontali rosse blu bianche erano tirate e nella stanza, illuminata dalla luce da tavolo (lampade di alluminio con lo stelo flessibile, la Missione ne era piena), gravava una silenziosa penombra. In quella stanza non ero mai entrato, solo i famigli e Pierfran- cesco erano ammessi a disturbare quella studiosa solitudine. Domenico lo vedevamo solo allora dei pasti, rituali, composti e conclusi solo al suo congedo, a seguito del quale tutti si alzavano e riponevano le sedie in paglia di Vienna sotto il tavolo da pranzo. Anna ed io uscimmo da quel colloquio entusiasti, con la luce negli occhi. Il venerd successivo cominciammo quel lavoro di ricognizione sui rilievi rupestri buddhisti che completai poi solo cinque anni pi tardi. Il giorno libero dallo scavo si partiva di buonora a documentare quelle elo- quenti immagini che sorridevano enigmatiche da mille anni sulle rocce dello Swat. Fu cos che cominciai a conoscere da vicino la valle e i nostri operai. Lontani dalla gerarchia dello scavo (appello scavo paga) davano, sul piano umano, il meglio di loro. Sempre rispettosi, efficienti, capaci, in ricognizione diventavano ospiti attenti ad ogni nostra esigenza, anche quelle impossibili. Cera sempre dellacqua, un frutto, lombra di un albero, se non addirittura un pranzo improvvisato in mezzo alle montagne. Un pollo, dello yoghurt, del riso portati su piatti di stagno apparivano improvvisi sul capo di file di ragazzini che ci venivano incontro, sempre al momento giusto, nei luoghi pi imprevedibili. Le nostre ricognizioni erano come seguite da un passa-parola che non ci lasciava mai soli, sen- za che da ci ci sentissimo condizionati, semmai benvoluti. Ci al presen- te ci confortava, ci faceva sentire bene, senza sapere quanto quellaffetto avrebbe in realt influito sul nostro diventare adulti. A dicembre di quellanno ho ancora delle tazze superstiti del servi- zio cinese che mi regal Mauro per il mio venticinquesimo compleanno rimanemmo solo in due, lui ed io. Nellincipiente inverno cominciammo le operazioni di chiusura della casa. Si pagavano i bakhshish (mance) agli operai, che venivano in processione la mattina presto e aspettavano 20 fuori in cortile sotto i grandi platani, accoccolati sui talloni, in cerchio a bere il the che finissimo i nostri caff e fumassimo le nostre sigarette mattutine in sala da pranzo. Eravamo soli, Domenico non cera, lo scavo era terminato e ce la prendevamo un po pi comoda. La sera, faceva ormai freddo, si accendevano le stufe, talvolta i camini e ci si preparava alla partenza. La chiusura del frigorifero e il service alle due Land Rover indic larrivo dellultima sera. Con flem- ma studiata il capo-famiglio Akam Khan (che cera dai tempi di Tucci), forbici, sigillatrice e fiammiferi, chiudeva ad una ad una le stanze e le sigillava: la stanza degli ospiti (la memsaheb, lambasciatore di turno), la biblioteca, l hospital (la stanza del restauro), i godowns (magaz- zini) della ceramica e delle macchine, infine la dispensa, le nostre stanze. Ci eravamo gi trasferiti nellala della sala da pranzo. Il mattino dopo, gli operai chiusero le nostre casse e ci portarono fuori gli zaini. Gli ultimi sigilli, saluti (virili, segnati da forti abbracci non immuni da commozio- ne) e poi salimmo in macchina. Quellanno Domenico non voleva che si prendesse la corriera, cerano stati sanguinosi attentati ai capolinea a Peshawar, che i giornali (il Khyber Mail, il Frontier Post) attribuiva- no indirettamente ai Sovietici. In pi avevamo qualche rupia in tasca. Ceravamo comportati bene io e Mauro, aveva detto Domenico dandoci una busta con un fascio di banconote malconce e le sue lettere di presen- tazione: Andate a Lahore, vedete Taxila e, mi raccomando, il museo di Peshawar. A Lahore, Mauro ed io ci separammo allalba, lui verso laeroporto per andare in India, io verso la stazione per prendere laccelerato per Taxila e Peshawar. Guardavo la pianura alitare la bruma notturna al primo calore del sole dietro le sbarre orizzontali del finestrino senza vetri della carrozza. I sedili erano duri, di legno, limpiantito aveva liste di ghisa zigrinata come i gradini nella metropolitana di Londra. La corsa, lenta e monotona sullo scartamento allindiana. Con regolarit si alterna- vano boschetti di acacie spinose, villaggi polverosi, dirute garitte britan- niche, stazioni in legno a veranda bianche come club-houses. Il ponte di Attock (non vi azzardate a fotografare, aveva ammonito Domenico), la stazione di Peshawar, replica in mezzo allAsia della King Cross Sta- tion con le sue centine in ferro traforato. Sulla tanga tirata da un caval- lo bianco, entrando nella citt di Kim come un saheb daltri tempi, recli- nato sullo schienale a fumare, desideravo ormai solo tornare a Roma. Quella terra mi aveva ormai preso per sempre e quindi, per ora, poteva lasciarmi andare. Dopo tanti anni quelle prime impressioni sono ancora qui, vive come allora, anche perch sempre via via rivissute, anno dopo anno. Ricordo 21 quasi ogni mio arrivo a Peshawar, le contrattazioni con gli autisti per affittare lauto per lo Swat, larrivo a casa, il bel bungalow nello stile anglo-indiano tipico delle costruzioni governative dello Stato dello Swat. Si arrivava impolverati dopo il passo di Malakand, e ricordo le tante pri- me notti nella casa appena aperta, quasi a stomaco vuoto. Le ultime not- ti, quando il silenzio delle stanze improvvisamente svuotate dogni segno di umana presenza amplificava nella notte ogni pi piccolo scricchiolo: un mobile antico, il frusco dun geco, il cigolo del letto di corda. Le mat- tine del venerd: nel fresco silenzio duna giornata azzurra e fredda (spes- so soffiava la tramontana) gli uccelli gareggiavano con chioccol, schioc- chi, trilli, numerosi tra gli alberi del giardino, come nel fondo duna foresta tropicale. Ricordo la vivacit della Missione a pieno regime, con le alzatacce, alle quattro, per mesi e mesi. Il rito dello scavo. Le sere a discor- rere, fuori in estate, dentro la stanza da disegno in inverno. Le lunghe ricognizioni, le rare amicizie coi pochi residenti occidentali a Saidu Sha- rif. Le visite dobbligo a Peshawar, a Islamabad, Karachi (ambasciata, dipartimento). Le notti in montagna seduti sui sacchi a pelo insieme ad un amico, Arshad, o agli operai, guide ma anche fratelli maggiori, Zamani e Akhtar Manir. Le scarpinate notturne sul greto asciutto dei torrenti in estate per ritornare alla macchina alla luce della luna, i richiami degli sciacalli. I conti sudati al centesimo con Fazal Wahid, il migliore chief accountant che si possa immaginare. Lacquisto di un altro mobile per casa dallantiquario afghano (che dir Domenico?). I piatti del servizio Tucci, quello buono, da integrare (si trovano solo a Peshawar, sosteneva a ragione Akam Khan). Le michelangiolesche meditazioni dellimbianchino sul colmo delle impalcature di bamb den- tro casa. Poi ancora il lavoro fino a tardi, lo studio silenzioso in bibliote- ca. La costruzione della casa per i custodi sullo scavo, di un muro di sostegno per la terra di riporto, il passo indietro davanti ad un cobra, la riparazione dei canali di scolo; la pulizia rituale dei cassoni sui tetti, su cui si saliva preceduti da sereni richiami dallarme per i ginecei dei vici- ni. Gli inviti il venerd a palazzo, dal Wali e poi dal Waliahad. Il rito della cioccolata da noi portata in dono ogni anno, anno dopo anno, al dottor Najib (ma la mangiava poi?). A volte ci incantavamo in atti che si ripetevano per decenni, magari nati da una richiesta innocente (come le scarpe italiane per il Waliahad e le riviste per il professor Shah Alam Khan). A fianco di questo sereno metronomo, sotto il cielo smaltato dello Swat, molti dei protagonisti compivano il ciclo della loro vita, altri appa- rivano, la valle cambiava e nuove nubi si affacciavano allorizzonte, non tutte serene. 22 LA MISSIONE ARCHEOLOGICA ITALIANA Ero entrato a far parte della Missione archeologica italiana dellIsMEO in Pakistan. Questo signific sin da subito essere parte di un grande pro- getto scientifico. Un progetto reso ancora pi importante dalle ragioni che Giuseppe Tucci seppe imprimere sin dallinizio a questa sua creazione, nata al culmine della sua stagione di esplo- ratore e studioso dellAsia. Il primo decennio dopo la fine della II Guerra Mondiale rappresent nellopera di Tucci la sintesi operativa tra le sue grandi esplorazioni trans-himalayane e la sua profonda cultura classica. Dallincontro tra le vestigia letterarie dellepopea di Padmasambhava, il diffusore del Buddhismo nel Tibet, originario dellUddiyana (Swat) e quelle di Alessandro Magno, nacque lidea fondante della Missione. Essa non fu che il primo grano della collana di iniziative con cui Tucci disegn i compiti dellIsMEO nel dopoguerra. Un IsMEO da lui ideato nel 1933, ma di cui ora ereditava la Presidenza dopo lassassinio del suo primo Presidente, Giovanni Gentile. In quegli anni, alla Missione in Pakistan seguir lapertura nel 1957 di quella in Afghanistan, nel 1959 di quella in Iran. Nel 1955, Tucci condusse una missione esplorativa insieme a Raoul Curiel, Advisor del nascente Department of Archaeology del Pakistan (bella figura di studioso e gentiluomo cosmopolita), Waliullah Khan, direttore del Northern Circle di questultimo, e Felice Benuzzi, un altro gentiluomo daltri tempi, grande diplo- matico, lautore di Fuga sul Monte Kenya, allora Primo Consigliere a Karachi. Al rientro a Karachi, Giuseppe Tucci sigl gli accordi che portarono lIsMEO alla prima licenza di scavo triennale nello Swat. Lallora indipendente Yusufzai State of Swat (che chiamer anche lo Stato) era governato da S.A.R. Miangul Jahanzeb, il cui padre e fondatore dello Stato, Badshah Saheb, aveva ospitato nel 1929 la breve missione di un altro grande dellarcheologia orientalistica, Sir Aurel Stein. Il ruolo di S.A.R. fu determinante per lavvio e il mantenimento dellattivit della Missione fino al 1969, quando lo Swat entr a far parte del Pakistan. Sarebbe interessante analizzare i presupposti che portarono lItalia a conquistare il primato nelle relazioni culturali con il Pakistan a nemmeno dieci anni dalla nascita dei due nuovi Stati dalle ceneri di eventi drammatici come la fine del British Raj e la II Guerra Mondiale. Un primato che si rese evidente gi con la conquista del K2 nel 1954, vincendo una concorrenza in cui lItalia sembrava partire svantaggiata, nonostante la primaria tradizione geografica e sportiva che vantava nel Karakorum (grazie alle spedizioni del Duca degli Abruzzi del 1909 e del Duca di Spoleto del 1929). Unaltra manifestazione di questo primato si ebbe quindi con la concessione allItalia del permesso di scavo nello Swat, il primo ad una missione straniera in Pakistan. Se vero che ai due succitati eventi contribu non poco il nome dei loro due propu- gnatori, Ardito Desio e Giuseppe Tucci, va anche sottolineato che le relazioni tra i due futuri Stati avevano radici pi lontane. Forse non un caso che, in piena guerra, lItalia fu, tra le poten- ze europee, la prima a prendere sul serio lipotesi Pakistan, tra le diverse opzioni che si affastellavano nelle cancellerie riguardo al futuro assetto dellImpero britannico. Ne sono prova alcuni documenti, alcuni rapporti, che trovarono ampio credito presso la nostra diplomazia gi dal 1942 e che sono stati recentemente da me sottolineati (in Outline History of the IsIAO Italian Archaeological Mission in Pakistan, vedi la Bibliografia in fondo al volume). Che quei rapporti fossero letti e discussi nellambito di un Ministero Affari Esteri impegnato a sostenere una particolare politica nazionale, non deve far sottovalutare la loro portata anche per gli anni futuri. Alcuni di questi documenti furono redatti dallallora nostro Plenipotenziario a Kabul, il grande diplomatico Pietro Quaroni, altri dallallora rappresentante per lEuropa del Ghadar Party, M. Iqbal Shedai, segretario della Societ Amici dellIndia affiliata allIsMEO e futuro diplo- matico pakistano. I nomi coinvolti nella valutazione positiva del piano Pakistan sono estremamente significativi, anche in vista della sostanziale continuit di intenti, che ha caratterizzato la definizione delle linee-chiave della nostra politica estera in Asia. Negli anni 60 la Missione, inizialmente guidata da Tucci stes- so, affront nello Swat un variegato ed ambizioso programma di 24 lavoro, di cui si realizzarono appieno solo le direttive storico- archeologiche. Il contributo dato dallIsMEO al primo tentativo di innesto con cultivar europee delle foreste di olivi selvatici, nonostante la formazione di quadri agronomi in Italia, segn una definitiva battuta di arresto dopo lannessione dello Swat al Pakistan nel 1969. Recentemente questo progetto, stavolta esteso a tutta la North-West Province, stato nuovamente proposto dal governo pakistano alle autorit italiane. Sul piano dello sviluppo turistico delle aree di montagna, la Missione diede il suo contributo, inizialmente con la ricognizio- ne dei monti dellalto Swat chiesta da Tucci allallora giovanissi- mo Carlo Alberto Pinelli (spedizione SuCAI del 1964). A questa sarebbe dovuta seguire la pubblicazione di una guida escursioni- stico-alpinistica dellalto Swat, che per motivi vari non vide mai la luce (lo stesso Pinelli mi ha confidato lanno scorso la sua inten- zione di ritornare su quellantico progetto). Questo ramo delle attivit della Missione si inseriva nel quadro della promozione dellarea di Kalam a polo turistico, come inevitabilmente poi avvenuto, ma purtoppo con quei danni ambientali e paesaggisti- ci che si sarebbero potuti evitare. La promozione delle aree di montagna si intendeva infatti accompagnata dalla promozione e dalla protezione della cultu- ra dellartigianato ligneo, cui Tucci teneva in modo particolare. Oggi purtoppo i saperi artigianali stanno scomparendo insieme alle fonti di materia prima (le foreste di cedro deodar oggetto di tagli dissennati dopo la fine dello Stato) e alle manifestazioni di unabilit che spesso trapassa dallartigianato allarte. Ci si rife- risce alle moschee e alle abitazioni in legno, perlopi demolite in anni recenti per essere vendute in pezzi (colonne, porte, verande) sul mercato darte occidentale e giapponese, sostitui- te dalle pi improbabili forme del modernismo architettonico in calcestruzzo. Negli anni 60 (si noti la data) furono organiz- zati dei lunghi soggiorni di artigiani di area ladina (tra i quali vorrei ricordare Alfred Vallazza di Ortisei) per condurre labo- ratori di formazione, anche in vista della creazione di un indot- to commerciale a questa attivit, come da decenni avveniva appunto con lartigianato altoatesino e tirolese. La Missione ha poi continuato a studiare lartigianato e larchitettura lignea dello Swat, attraverso le ricerche condotte dagli Scerrato, padre e figlia. 25 Larcheologia, tra il 1956 e la met degli anni 60, focalizz la propria attenzione sui siti menzionati dagli Alessandrografi, con lo scavo di Ora, Udegram, diretto da Giorgio Gullini, e sui gran- di santuari buddhisti della valle di Mingora: Butkara I, Panr I e Saidu Sharif I. Questi furono scavati sotto la guida di Domenico Faccenna con la collaborazione del giovane Maurizio Taddei, pi tardi Direttore della Missione in Afghanistan, e poi di quella in Pakistan. Nel 1977 fu chiamato a Saidu Sharif I il giovanissimo Pierfrancesco Callieri, attuale Direttore della Missione, nonch di altri importanti progetti in Iran. Dai lavori nei tre santuari buddhisti provengono migliaia di sculture di arte gandharica. Queste collezioni rappresentano degli unica per il loro valore scientifico, in quanto tuttoggi sono le sole corredate di un record archeologico affidabile, mancante viceversa ad altre collezioni (che raccolgono pezzi provenienti da ritrovamenti occasionali, dal mercato antiquario, da collezioni di militari britannici, ecc.). I due Musei di Roma e Saidu Sharif (il Museo Nazionale di Arte Orientale, ora Giuseppe Tucci, e lArchaeological Museum of Swat), che ospitano gran parte di queste sculture, nacquero entrambi su impulso della Missione, quello di Saidu Sharif con la piena collaborazione delle autorit del Pakistan. Dopo il 1966, pur continuando le attivit precedenti, la Mis- sione, sempre sotto la Direzione di Domenico Faccenna, si con- centr anche sullarcheologia delle fasi preistoriche e protostori- che, portando alla luce le necropoli e gli insediamenti delle culture che dal Bronzo tardo allet del Ferro si sovrapposero nello Swat, fino allarrivo di Alessandro Magno. Le ricerche pre- protostoriche, dopo lavvio dato da Chiara Silvi Antonini, furono portate avanti con straodinaria costanza da Giorgio Stacul e, per un decennio circa, anche da Sebastiano Tusa, che si concentr sullo scavo dellabitato di Aligrama. Dal 1984 in avanti tra i progetti fondamentali c stato lo sca- vo (affidato a Callieri) della citt indo-greca di Bazira a Barikot, menzionata dagli storici di Alessandro, e delle sue fasi successive fino a quelle islamiche. Lo scavo di Barikot fu il laboratorio di studio dove si ciment una nuova generazione di collaboratori, tra i quali voglio ricordare Anna Filigenzi. Negli stessi anni si svolse lo scavo della terza pi antica moschea del Pakistan, la pi antica del nord del Paese, quella di fondazione ghaznavide a Udegram, sotto la guida di Umberto 26 Scerrato con la collaborazione di Francesco Noci, Alessandra Bagnera, Roberta Giunta, Nicola Olivieri e Danilo Rosati. Negli anni pi recenti, dopo la prematura scomparsa di Maurizo Tad- dei, la Missione, sotto la guida di Pierfrancesco Callieri ha in cor- so numerose altre ricerche, mentre continua lo scavo di Barikot: la Carta archeologica dello Swat, in parte gi pubblicata, lo stu- dio dellinaspettato patrimonio di arte rupestre (ripari dipinti e incisioni), che risale allet del Bronzo, le ricerche etno-archeo- logiche. La Missione italiana stata la prima missione straniera a lavo- rare in Pakistan; la pi longeva tra le missioni straniere in Asia attualmente in attivit; stata la prima missione italiana oltre i territori del Vicino Oriente pi noti alla nostra tradizione di stu- di. Fatto di grande importanza, che va giustamente sottolineato, che tutta la sua attivit scientifica pubblicata o in corso di pub- blicazione in oltre 500 titoli, in gran parte in lingua inglese, in prestigiose riviste internazionali o nelle serie dellIsMEO/IsIAO, come la Serie Orientale Roma, i Reports and Memoirs, o nel periodico East and West. 27 Fig. 3 - Carta generale dello Yusufzai State of Swat. ( Khyber.org). LA MAYA DELLARCHEOLOGO Il lavoro di scavo inizialmente mi vide concentrato sul sito di Barikot. Quasi subito, come ho detto, Domenico mi coinvolse nella ricognizione delle sculture rupestri dello Swat, poi nella ricerca sulle antiche cave di scisto, la pietra utilizzata per le deco- razioni architettoniche e scultoree degli stupa. Dal 1990 incomin- ciai ad interessarmi allarte rupestre dello Swat, di cui solo allora cominciavano a emergere le prime testimonianze. A lungo mi sono interrogato su come si arriv a scoprire lesistenza di un panorama cos inaspettato di pitture e incisioni. Per spiegarlo, mi servir di alcuni ricordi e alcune considerazioni. Dopo i primi rinvenimenti, eravamo nel giugno del 1996, ricordo di aver telefonato a Maurizio Taddei, che aveva assunto la Direzione su richiesta di Domenico. Fu una telefonata a lungo pensata, avevo per Maurizio affetto, ma allora soprattutto sogge- zione: sapevo che ogni proposta, come ogni scritto, ogni conclu- sione gli si fosse sottoposta, sarebbe stata valutata alla luce di unacutezza critica inesorabile. Avrei compreso peraltro presto quanto profonda fosse la sua humanitas, tanto che pochi, e tra questi Domenico, hanno saputo incoraggiare i propri allievi (ed io tra questi) e tirarne fuori le potenzialit nascoste quanto lui. Trovato il coraggio, gli proposi per telefono, visto che quellanno andavo in Missione da solo e non cera lo scavo, di poter docu- mentare e studiare il sito rupestre di Gogdara I. Maurizio rimase un po in silenzio, poi disse s. Gogdara I unenorme parete verticale di marmo listato lunga circa una dozzina di metri e incisa per gli oltre sei metri daltezza con uno straordinario bestiario. Le due fasi delle inci- sioni rappresentano il contrasto tra le due culture che le hanno prodotte: la tarda et del Bronzo con grandi rappresentazioni di animali selvatici isolati, stambecchi e felini, let del Ferro con mandrie di cavalli e rappresentazioni di carri e stendardi. La parete fu notata da Tucci nel 1956, presentata frettolosamente ventanni pi tardi, ma mai documentata integralmente n stu- diata. Per quasi due mesi mi mossi tra scale e fogli di polietile- ne, tra riduzioni fotografiche e ricalchi a china, portando i quasi 80 metri quadrati di parete alle dimensioni di una tavola pronta per la pubblicazione. Lavorai da solo, se non contiamo limman- cabile aiuto di un paio di operai, ai quali si aggiunse il nostro nuovo autista Ali, che rivel qualit alpinistiche superiori allec- cellenza comune tra i Pashtun. Il risultato fu uno studio che cre- do abbia aperto la strada alla ricerca sullarte rupestre dello Swat e al tempo stesso compensato un debito con quella prima scoperta, per la quale mai Tucci aveva trovato chi se ne volesse occupare. Come mai, mi domandavo per, dopo Gogdara non erano stati trovati altri esempi di arte rupestre, ad esclusione di poche pitture di et buddhista da me documentate nel 1990 e 1991? Per quattro decenni la Missione si era concentrata sui grandi scavi, da Butkara a Udegram, a Barikot, mentre lattivit di rico- gnizione era stata, non dico sottovalutata, certamente per ridot- ta. I pi continui in tal senso erano stati i colleghi che si occupa- vano degli studi pre-protostorici (Giorgio Stacul e Sebastiano Tusa) e dellarchitettura lignea tradizionale (Umberto Scerrato, Francesco Noci e Nicola Olivieri), ma le loro ricerche si erano concentrate pi che altro (ma non solo) verso lalto Swat, verso Kalam. Le mie ricognizioni sulle sculture rupestri buddhiste apriro- no alle ricerche tutte le creste e i passi che mettono lo Swat in comunicazione con le aree circostanti. Ma anche in quel caso si sapeva che cosa cercare. Tra le valli battute in questa ricerca ve nera una che, se era stata deludente per lobiettivo proposto, aveva dato limpressione di nascondere qualcosa, il Kandak. Parallela a questa era la valle di Kotah, lultima valle prima del confine sud-occidentale del distretto. Qui mi ero imbattuto nei primi ripari dipinti di epoca buddhista. Enormi massi di gneiss, apparentemente gettati via gli uni sugli altri in grande numero da forze cataclismiche (la forza dei ghiacciai pleistocenici, cre- do). In questi si aprono cavit, nicchie, corridoi, prodotti dalla forza dellerosione e stondati dai venti sabbiosi che soffiano a queste altitudini nella soffocante stagione del pashakal (stagione delle piogge). Allinterno di alcune, apparentemente per scelta casuale, si trovano straordinarie pitture in ocra rossa, pi rara- mente gialla o bianca. 30 Nel 2000 Massimo Vidale ed io cominciammo a organiz- zare il lavoro per la Carta archeologica dello Swat (AMSV Project), fortemente voluta da Domenico. Gravi eventi perso- nali mi avrebbero tenuto quellanno lontano dalla valle. Con Massimo quel settembre tenemmo una riunione veloce (come ogni riunione con lui), in piedi, davanti al tavolo da disegno, negli uffici della Missione a Roma. Prova ad andare nel Kan- dak, potrebbero esserci delle sorprese, ricordo di avergli det- to. Al ritorno, in novembre, mi mostr i disegni di tre straordi- nari ripari, due senzaltro protostorici (i primi cos antichi, tra questi lincredibile monumento di Sargah-sar, di cui dir pi avanti), e unenorme messe di incisioni rupestri, vasche, com- posizioni enigmatiche di coppelle. Queste sono piccole cavit artificiali semisferiche realizzate sulle rocce, uno dei pi miste- riosi segni delluomo, dal Paleolitico in avanti, dal Pacifico allestremo nord dellAtlantico. Comera possibile, ribadisco la domanda, che in tanti anni di ricerche questo straordinario patrimonio fosse rimasto invisibile agli occhi degli archeologi? Nei cinque anni successivi il numero dei ripari dipinti si molti- plicher, e si sa che altri, tanti, non sono stati identificati, men- tre le notizie sulla loro esistenza arrivano da altre valli, Jambil, Saidu, dallIlam. Si trova solo ci che si sa di cercare, si vede solo ci che si gi pensato. Linevitabile cecit delluomo a ci che non si aspetta di vedere rappresenta il fondamentale corollario al metodo scientifico e dovrebbe essere ricordata, insegnata come memento, nelle universit e nelle accademie. Grandezza vedere ci che non si conosce. Infatti, camminando per le creste e i passi, per anni, si vista la rovina di un santuario non la roccia incisa debolmente al suo fianco. Vedere qualcosa al tempo stesso non vedere qualcosaltro: si come giocati, distratti, dal- levidenza sensoria, che nellattivit visiva giocoforza corrispon- de allimmagine pre-pensata. Si guarda in terra alla ricerca del- la preziosa ceramica nera dellet del Ferro e non si vede la roccia antropomorfa che magari segnava in quel tempo le vie dei Canti delle genti dello Swat, ragione ignorata del passag- gio umano per quellangolo della valle. Si misura il podio diru- to di uno stupa, e non si vede il monumento megalitico su cui sorge: un enorme letto di gneiss istoriato da permutazioni di coppelle. Non si vede come quel masso si inserisca nel paesag- gio, ne sia, per cos dire, il crocevia spaziale, e per questo sia 31 stato scelto. Cos non si comprende come pi tardi quel luogo sia stato re-sacralizzato dai monaci con la costruzione di un san- tuario. Cos attraverso percezioni erroneamente enfatizzate, illusioni che portano a sovradimensionare un elemento sugli altri, selezio- ni visive e concettuali, intuizioni e improvvisi o lenti processi di conoscenza, procede il lavoro dellarcheologo. 32 UNA LENTA RIVELAZIONE Fino al 2000 le conoscenze sulla Preistoria e la Protostoria dello Swat non scendevano oltre il terzo millennio, le fasi neoliti- che pi tarde. Recentissimi ritrovamenti avvenuti durante i lavori per la Carta archeologica, ancora pi degli indizi che dati assolu- ti, portano indietro al Paleolitico inferiore le prime tracce di fre- quentazione umana della valle. Non per un caso che questi ritrovamenti si debbano allocchio di Massimo, che in quegli stessi anni gi divideva il suo tempo tra lo Swat e le ricerche sul Pleistocene della Dancalia (Eritrea). Egli, in un certo senso, era preparato a vedere. I manufatti paleolitici in questione, del tipo acheuleano (bifacciali), portano lo Swat allinterno della cosiddetta linea di Movius, che venne ipotizzata (1949) per dividere in senso latitu- dinale le tradizioni della pietra scheggiata bifacciale (Europa, Africa e Eurasia meridionale) e dei ciottoli scheggiati (Eurasia centro-orientale). Altri manufatti dallo Swat sono stati datati al Paleolitico medio e al Neolitico. Le pi recenti ricostruzioni del- le fasi pleistoceniche portano ad inquadrare tali ritrovamenti nella frequentazione di una valle non completamente coperta dai ghiacci anche durante una delle fasi fredde dellultima fase glaciale tra i 60.000 e i 30.000 anni fa, e probabilmente abitata gi dai periodi pi caldi del Pleistocene medio e tardo, come la vicina valle del Kashmir. Va ricordato che laltitudine media del basso corso dello Swat (tra 800 e 1.200 m.), per effetto dellinnal- zamento tettonico registrato nelle regioni circostanti, potrebbe essere oggi di circa 250-500 m. pi alta di quella che si sarebbe registrata 100.000 anni fa. Ancor pi straordinario lesempio di due stele megalitiche zoomorfe in marmo, trovate da Tucci vicino Panr e dimenticate per quasi mezzo secolo nei magazzini del museo di Saidu Sharif. Il loro studio ha aperto un nuovo orizzonte cronologico nel lun- go arco temporale che intercorre tra il Paleolitico e il Neolitico recente. Le due stele, secondo la lectio magistralis tenuta da Massi- mo Vidale allapertura della XIX International Conference on South Asian Archaeology (Ravenna, 2007), potrebbero far parte di una struttura a pilastri, sorprendentemente analoga alle strut- ture scavate in Anatolia orientale, nellarea di Urfa (9000 a.C.). Lipotesi, se confermata, collocherebbe lo Swat tra quelle poche, fortunate aree, dove le prime comunit organizzate, fortemente ritualizzate, gestirono il fenomeno della produzione agricola. Dallarea di Urfa allaltopiano iranico fino alle aree pi orientali dellEurasia si sarebbe sviluppato allinizio dellOlocene un siste- ma di produzione alimentare su larga scala basato sul rapporto dinamico tra aree fertili e sistemi montuosi. Il Neolitico dello Swat nei suoi rapporti con quello kashmiro e cinese ben noto da scavi e ricerche, anche paleo-botaniche. Nel terzo millennio nello Swat si coltivava grano, orzo, riso. Que- stultimo cereale offre un indizio di enorme rilevanza, poich proprio nello Swat che per la prima volta il riso appare a sud- ovest del Karakorum-Himalaya. La coesistenza di riso e degli altri due cereali ha anche un altro importante risvolto, in quanto testimonia dellesistenza di un microclima particolarmente favo- revole al doppio raccolto, con tutte le conseguenze che ci deve aver comportato sulleconomia della valle, anche in relazione alla produzione del foraggio. Nel quadro delle grandi civilt urbane dellAsia meridionale dellet del Bronzo, lo Swat sembra trovarsi in situazione di mar- ginale inter-relazione. La connessione tra la valle dello Swat e il corso medio ed inferiore dellIndo, dove sorgevano le citt di Harappa e Mohenjo-daro, anche nelle loro fasi di declino, va senzaltro integrata con contatti importanti ancora con il Kash- mir e larea cinese. La cultura proto-urbana e agricola dello Swat nellet del Bronzo (1800-1400 a.C.) nota da numerosi scavi, soprattutto quelli italiani, tra i quali Aligrama, Barikot, Loebanr III e Kalako-dherai. A queste evidenze archeologiche, stratigrafiche, verticali, van- no ad incrociarsi i pi enigmatici e sfuggenti, ma tridimensionali dati offerti da alcuni ripari dipinti. Penso soprattutto al sito di Sargha-sar, Il picco del volto secondo limaginifica toponoma- stica pashtun. Su un crinale della valle di Kotah si staglia quasi verticale una enorme lastra di gneiss a forma di losanga schiac- ciata, quasi un triangolo. Una testa, a vederla da lontano. Pi da vicino, un volto, segnato in basso da una larga nicchia a forma 34 darco carenato, la bocca, sormontata da due cavit naturali sub-circolari equidistanti, gli occhi. Una pietra parlante, ad unosservazione pi accurata. La nicchia ospita uno straordina- rio palinsesto di pittogrammi; alla base una pietra usata per la preparazione dellocra, che ancora conserva larghe tracce rosse, come una lingua sporgente. Sotto gli occhi, come tatuaggi, sono pittogrammi di danzatori che si tengono per mano. La lettura del palinsesto dipinto ha rivelato lesistenza di un vero e proprio lessico e di una sintassi pre-letterata: le genti che lhanno dipinto avevano senzaltro alle spalle una tradizione epi- co-religiosa orale di grande complessit. Al centro della composi- zione campeggia un grande quadrilatero partito, in cui si inseri- sce, come in un disegno di Escher, limmagine di un grande antropomorfo a braccia levate. difficile non pensare a Kshetra- pati, il Signore del Campo del Rig Veda. Intorno a questo simbo- lo complesso sono figure (sacerdoti?) che, in dimensioni minori, riproducono le fattezze dellantropomorfo e sono rappresentate nellatto di seminare. Scene di aratura eseguite da uomini e don- 35 Fig. 4 - Sargha-sar. ne con caratteristiche diverse, di seminagione e danze rituali ese- guite dai sacerdoti, completano la sequenza. Allesterno rap- presentato il mondo selvaggio della natura, le deit ipostasi della Montagna: lo stambecco selvatico sormontato da un ente antro- pomorfo fronteggiato da un grande felino rappresentato nel- latto di attaccare. Un grande eroe armato di scudo radiale (il sole?) si interpone tra i due simboli animali nellatto di protegge- re il sacro ungulato. La sua azione marcata da due punti, due enfatizzanti, posti al di sopra del capo. Anche il fregio istoriato di un sito non lontano replica lo stes- so tema epico-simbolico: ecco leroe con lo scudo solare come lApollo del frontone di Olimpia tra i due animali-simbolo, qui entrambi sormontati dalle loro ipostasi antropomorfe. In un riparo vicino, si ripete lenfasi sul culto dellaratura, cui si aggiunge il misterioso simbolo animale della scimmia, che nei testi vedici noto come Kapi, il simbolo dellequinozio autunnale. Lapparire delle genti indo-europee, come oggi impropria- mente le definiamo, e soprattutto del loro ramo iranico, parti- colarmente evidente nello Swat, dove dal Bronzo tardo in avanti (1400-800 a.C.) si sviluppa una cultura nota soprattutto dalle sue necropoli. In queste sono presenti tre costumi funerari (inuma- zione, incinerazione, sepoltura secondaria), anche se ciascuno dei tre prevale in differenti fasi. Le popolazioni delle necropoli avevano una struttura sociale di tipo aristocratico: tracce cospi- cue della loro visione del mondo, nomade, eroica, si ritrovano nellarte rupestre. Si ritrovano nelle incisioni di mandrie di cavalli, nei carri e negli stendardi di Gogdara, nelle ripetizioni ossessive di asce da combattimento, nei simboli del possesso del bestiame, nelle rappresentazioni di guerrieri a cavallo, nei sim- boli evidenti della gerarchia regale. Si tratta degli stessi popoli di guerrieri e allevatori che Ales- sandro incontrer alle porte dellIndia e noti dalle fonti greche e indiane come Gurei, Assaceni, Aspasii, ecc. Questi popoli a vario titolo prima di Alessandro dovettero essere clientes degli Acheme- nidi, almeno a giudicare dalle fonti persiane, e pagare loro dei tributi sotto forma di prestazioni militari e beni. 36 LO SWAT DI ALESSANDRO E DEI REGNI ELLENIZZANTI Nella primavera del 327 a.C. Alessandro, giunto nellarea di Kabul dalla Battriana, prima di entrare in India divise il suo eser- cito in due tronconi diseguali. Il grosso dellesercito prosegu lungo quellantica arteria su cui, in buona sostanza, sarebbe stata ricalcata la futura Grand Trunk Road britannica (colloquialmen- te detta GT Road). Alessandro si riserv invece il comando di un contingente specializzato per affrontare le trib delle montagne in un teatro che andava dal Chitral al Buner. Il percorso di Alessandro e le successive operazioni militari sono state molte volte e in modo diseguale analizzate. Saranno per gli studi italiani ad affrontare in modo convincente questo tema. Gli scavi italiani a Barikot e Udegram, identificate con le fortezze assacene di Bazira e Ora, nonch le numerose ricerche di superficie, hanno permesso di formulare nuove e pi fondate ipotesi in merito. Alessandro entr nello Swat scendendo dal Panjkora e, risa- lendo lo Swat, mise sotto assedio Bazira, che affid al suo luogo- tenente Ceno. Risalendo ancora la valle arriv alla piana di Min- gora, dove verosimilmente doveva trovarsi Massaka (il sito di Aligrama?), lasciando alle sue spalle Poliperconte allassedio di Ora, lodierna Udegram. Nonostante la capitolazione di Massaka le due fortezze non cedettero allassedio e Alessandro fu costret- to a ridiscendere la valle per rinforzare le retrovie. Avuta notizia dellimminente arrivo delle truppe del re Abisares dallHazara (a est dellIndo) in aiuto di Ora, per Alessandro lobiettivo princi- pale divenne la soluzione della spina di Ora. Ceno stabil dun- que una linea di fortificazioni davanti a Bazira per evitare sortite, e mand rinforzi ad Ora, che quindi capitol. Nel frattempo per le forze di Bazira erano riuscite ad elude- re il blocco e si raggrupparono sulla vicina fortezza montana del- lAornos (il monte Ilam, la cui altitudine raggiunge 2.816 metri). Fig. 5 - Litinerario di Alessandro nellarea secondo lAutore (frecce nere). Da qui, potenzialmente, esse avrebbero potuto rappresentare un grave pericolo per la buona riuscita della campagna, sia perch lAornos si trova alle spalle di Massaka e di Ora, sia perch la posizione sarebbe potuta diventare un eccellente avamposto per lavanzata di Abisares. Il valore militare della nuova posizione, nonch il carattere sacro della montagna, cui si legava oltretutto il mito del combat- timento tra un semidio armato di mazza e una deit infera, letto da Alessandro in chiave eraclea, spinse infine alla sua conquista. La vetta granitica dellIlam rappresenta infatti uno snodo fondamentale per la geografia mitica dello Swat. Lantico nome di questa montagna, simbolo dellantico Suvastu, lo Swat nelle antiche fonti indiane, era Varnu, che corrisponde, nella geogra- fia religiosa dellAvesta al distretto di Varna, identificato con ragione nel moderno Buner da Gherardo Gnoli. LIlam risale infatti con le sue pendici settentrionali il limitare della valle dello Swat e si affaccia con un precipizio di placche granitiche sul Buner. In diverse versioni lo stesso tema presente nella geografia mitica delle antiche genti iraniche ed indiane. Il distretto avesti- co di Varna era dominato da unentit ostacolatrice, una specie di arcangelo rovesciato che dalla sua roccaforte si frapponeva allavanzata degli di del retto ordine cosmico. Sar un eroe armato di mazza a sconfiggere lostacolatore, portando anche in quella parte dellecumene iranica lordine solare. Nella pi anti- ca versione vedica il compito eroico affidato a Indra stesso che con il suo vajra abbatte il Serpente che teneva prigioniere le acque nei ghiacci primordiali, irrorando quindi la terra con lac- qua, urina di Indra, manna ancestrale, metamorfosi del soma. Nella valle del Kandak (un toponimo suggestivo giacch molto vicino al termine munda una lingua indiana pre-indeuropea per acqua), presso un guado stato trovato un monumento megalitico impressionante. Dieci metri di gneiss sono costellati da unelaboratissima permutazione di coppelle, che, se riempite con sabbia colorata, rivelano il disegno di un eroe armato di vaj- ra che fronteggia un mostro anguiforme. Sui lati del masso brevi linee sinuose incise suggeriscono lidea della pioggia; idea che diventa realt quando si osservi la sabbia colorata colare lungo questi canaletti artificiali quando piove. Non difficile immaginare che questo mito sia stato letto poi in chiave euristica dai Greci come un momento del ciclo di Era- 39 cle. In questo senso la fantasia linguistica greco-ellenistica ha modellato la trascrizione fonetica di Varnu/Varna, praticando lelisione della labiodentale (la v) assente nel greco di et elle- nistica, nel pi volte usato toponimo di Aornos (Senza uccelli: il lago dellAde di Cuma, una roccaforte in Battriana, e cos via; un classico esempio di quella che i linguisti chiamano paretimo- logia). Il nome attuale Ilam viceversa di conio cinese e corri- sponde alla pronuncia in epoca Tang di Xiluo, trascrizione del- loriginale toponimo indiano (anche qui per analoghi motivi fonetici omessa la labiodentale). Il nome, poi passato alla lette- ratura tibetana, rimasto intatto pur nella generale trasforma- zione della toponomastica dello Swat dopo larrivo dei Pashtun Yusufzai. Saidu Sharif, 25 settembre 1996 Sono salito pi volte in cima allIlam. Una volta da Barikot e ci vollero due giorni per raggiungerne la sommit. Fu una bellissima escursione; eravamo numerosi: tre guide, tra cui il nostro capo-operaio Zamani, Vincenzo (V. Venturello, residente UNDP a Saidu Sharif) con sua moglie Delphine, un giovane architetto neozelandese, Mauro ed io. Altre volte sono salito con Arshad (khan di Barikot oggi District Coordi- nator Officer [DCO] a Malakand) e Zamani, dal versante di Saidu. Pi volte sono salito e disceso in giornata. LIlam un monte magneti- co. Una volta in cima, no, non si trovano le vestigia dellarmata di Alessandro, si intuisce per il simbolo imperituro di questa montagna. Essa ancora oggi sacra per le famiglie hindu, che vi praticano un pellegrinaggio annuale: la vetta sommitale chiamata Jogiano-sar (La vetta degli Yogin) dai Pashtun e Ram-takht (Il trono di Rama) dagli Hindu. Il silenzio delle foreste di abeti e cedri rotto solo dal soffiare del vento dalta quota. Questo risale dalle piane affocate del Buner, seguendo cor- renti ascensionali create dallo scambio termico e segnate dal planare ver- ticale delle aquile. Quando sale la nebbia, nelle foreste sommitali, tra i massi erratici coperti di muschi, si fanno visibili le amanite, mentre sulle radure coperte di stelle alpine grava un silenzio piovigginoso. Allora le storie di fate e del piccolo popolo che abita le radici, delle streghe cattive dello Swat (le peri [jins] volanti delle cronache tibetane), si fanno vero- simili, quasi ci si trovasse nella Germania dei Grimm. 40 Mi sovviene un mattino di sole, dopo una notte passata sullorlo di una cengia dominante il Buner, sotto la pioggia battente. Poco dopo lal- ba Arshad ed io fummo svegliati da un vociare assordante e stridulo: era una numerosa colonia di macachi che ci ordinava di lasciare immediata- mente il loro territorio. Ricordo che giungemmo ad un accordo dopo una laboriosa trattativa, i cui termini prevedevano la cessione di parte della nostra colazione. Una volta occupata la posizione, dominante sul passo di Karakar, Alessandro pot discendere nel Buner, e quindi, dopo una serie di scontri di bassa intensit, raggiungere il passo di Ambela e quindi il grosso dellesercito che attendeva presso Attock. interessante notare che Alessandro reinstaur al potere la famiglia del re Assaceno, dopo che questi mor, e si congiunse con la moglie, Cleofi, da cui ebbe un figlio. Di fatto continuava la politica di controllo tipica di Alessandro, fondata non su occu- pazioni militari stabili, ma sulla costituzione di una rete di princi- pati-clientes, posti sotto il controllo militare e politico di ufficiali macedoni nel ruolo di consiglieri e responsabili militari. Nello Swat vennero creati due presidi ad Ora e Massaka, Aornos ospit una guarnigione e Bazira fu fortificata di nuovo. Il comando del- lAornos fu affidato ad un indigeno, gi al servizio del satrapo della Battriana, mentre il comando della regione fu dato a Nica- nore. Questi, probabilmente unico ufficiale macedone al coman- do di truppe indigene, fu da queste assassinato lanno successivo, ci comportando la fine del controllo macedone sullo Swat. La conquista dello Swat fu uno snodo strategico fondamenta- le per Alessandro. Era infatti indispensabile costituire l un saliente difensivo arretrato attraverso quello che si pu definire come un sistema difensivo dinamico, volto a garantire il percorso dal passo Khyber al Panjab. Una volta conclusa loperazione, il sistema prese necessariamente forma statica, attraverso la costitu- zione di deterrenti visibili come fortezze e guarnigioni, il cui potenziale dinamico, ma al tempo stesso la sua vulnerabilit, era rappresentato dallessere costituite da truppe indigene sotto il controllo di un quadro di comando macedone. Questo sistema sembra essere la traduzione in termini militari della politica di controllo dellarea in et achemenide, di cui Alessandro rappre- sent la continuit. Tra la fine del VI e la met del IV secolo a.C., in et achemenide, lo Swat era nominalmente parte di una satra- 41 pia (gi nota come Gandhara e che come si detto pagava tribu- ti al re persiano), ma senza presentare il quadro di un controllo stabile. I dati archeologici e le fonti storiche non permettono di indi- viduare tracce di controllo politico-militare dello Swat fino alla met del II secolo a.C., quando le guarnigioni fondate dai Mace- doni vennero di nuovo fortificate. In particolare Barikot, Bazira, venne inquadrata in un sistema difensivo formato da mura e bastioni massicci in pietra comprendente sia la citt bassa che lacropoli. Tutta la fortificazione fu costruita tenendo conto del- le unit metrologiche ellenistiche, costituite sui multipli del pie- de attico (circa 30 centimetri): il muro di difesa largo 10 piedi attici, mentre i bastioni sono equidistanti 100 piedi (1 plethron). interessante notare che i sovrani indo-greci si riappropriarono delle due fortezze gi, a differente titolo, impiegate da Alessan- dro, mentre nellarea di Massaka, forse poco pi tardi, venne creata unimportante fortezza a Barama. Gli Indo-Greci e i loro successori saka-parthici nello Swat, di cui si conosce il nome della famiglia di Odi, stabilirono quindi dei deterrenti visibili lungo la valle negli stessi luoghi di Alessan- dro e probabilmente con le medesime funzioni. Lo sviluppo del- le metropoli della piana del Gandhara lungo il corso del Kabul e dellIndo, ovvero lungo la principale arteria commerciale pen- so a Pushkalavati, oggi Charsada, e Taxila si pu spiegare con la militarizzazione dello Swat in et indo-greca e saka-parthica (fine II a.C.-fine I secolo d.C.). Tra i grandi sovrani parthici del Gandhara, interesser forse il lettore la figura misteriosa e importante di Gondophares. Que- sta la forma greca della versione indiana del suo nome, che in medio-persiano suona Vindapharna, ovvero colui che trova la Forza-Splendore. Il re, della famiglia parthica dei Suren, cui apparteneva il vincitore di Carrhae, estendeva il suo dominio su un territorio che andava dal Sistan iraniano a Taxila, e che era sicuramente indipendente dal regno parthico degli Arsacidi che regnava pi a occidente. Durante il suo regno, iniziato nel 19 d.C., la tradizione apo- crifa cristiana colloca il viaggio di S. Tommaso alla sua corte a Taxila. Una tradizione di studi, seguita in Italia da Mario Bussa- gli, tende a vedere in lui Gaspar/Gudafar, il pi giovane dei Magi che visitarono il Signore fanciullo a Betlemme. 42 IL BUDDHISMO AL CENTRO DEL POTERE Il successo del Buddhismo nello Swat fa parte di quel grande fenomeno di indianizzazione della cultura del nord-ovest del- lantica India, non ancora sufficientemente studiato. Un impulso non indifferente alla diffusione del Buddhismo nello Swat devessere stato quello relativo alla sostituzione del simbolo dello stupa come monumento funerario alle forme pre- cedenti di culto funerario. Le grandi necropoli, che occupavano talvolta spazi enormi di terreno agricolo, vennero abbandonate: in pochi casi al loro posto sorse un santuario buddhista. Furono cos liberate enormi porzioni di terreno economicamente pro- duttivo e si assist ad un nuovo impulso allattivit agricola, che va di pari passo con linurbazione e la nascita dei monasteri. Certamente questo fenomeno devessere iniziato sotto la dinastia dei Maurya, quando, verso la fine del IV secolo a.C., il limes seleucide arretr ad ovest dellHindukush. Il principale santuario buddhista dello Swat, scavato a Butkara I, fu infatti fondato in epoca maurya. Il fenomeno prosegu sotto i principa- ti ellenizzanti fino allinstaurarsi dei sovrani saka-parthici. Sotto di loro, a fianco delle citt fortificate, si moltiplic il numero delle fondazioni monastiche, che sorgevano lungo tutta la valle e principalmente nelle ampie aree fertili di Manglawar, Mingora e Barikot, a cavallo di importanti arterie regionali di comunica- zione. Il fulcro delle fondazioni buddhiste il simbolo funerario dello stupa: ogni santuario segnato da questi giganteschi monu- menti semisferici, in muratura piena, che si innalzano al di sopra di un corpo di base cilindrico (tranne che nei rari casi dei cosid- detti dharmarajika stupa, come quello di Butkara, indianeggianti, di fondazione maurya) sempre in muratura piena. Innovazione tipica del Gandhara, pi spesso lo stupa posto su un podio qua- drato raggiungibile da una scalinata monumentale, che guarda a settentrione. Il podio pu essere segnato, come a Saidu Sharif I, ai suoi angoli da quattro colonne monumentali, simboli delle direzioni dello spazio. Lesene corinzie scandiscono il podio, cos come le metope decorate del corpo cilindrico, che illustrano gli episodi della vita del Buddha e la vita di devozione dei con- temporanei. Al di sopra della cupola, in un progressivo subli- marsi della materialit, un numero definito di lastre circolari (ombrelli o chattrei), si restringe per diametro fino al pinnaco- lo sommitale. Intorno allo stupa principale v un affastellarsi di monumenti minori e colonne votive. Alle spalle del santuario (definito area sacra nellopera di Faccenna, tradendo la sua formazione classica) era il monastero caratterizzato dalle celle aperte su unampia corte centrale. I santuari dovevano essere vividi di colore: il bianco delle murature, loro delle cupole, le bandiere di devozione, lo zafferano delle tonache, loro e il colo- re delle sculture. Durante il periodo della fioritura del Buddhismo lo Swat ancora al centro (direi addirittura il centro) di una vasta rete di comunicazioni e traffici, tra lAsia centrale, laltopiano iranico e 44 Fig. 6 - Stupa di Abbasaheb-China. le pianure indiane e i territori trans-himalayani. La principale via di comunicazione con la Cina dallo Swat seguiva il percorso del passo di Shangla (e altri percorsi paralleli) fino al corso dellIndo, da qui verso il Kashmir e lHazara, da cui, risalendo il passo di Babusar, nel VII secolo si entrava nel territorio dei Patola Shahi (oggi Chilas). Da queste aree, attraverso la piana del Deosai, alle spalle del Nanga Parbat, si raggiungeva loasi di Skardu, presso il Baltoro, da cui si entrava nellodierno Ladakh, ed infine nel Tibet. Altri percorsi mettevano lo Swat in comunicazione con le aree delle pianure meridionali, in direzione dellIndia gangetica. Nella gestione delle vie dei commerci, crediamo, il ruolo del- le fondazioni monastiche non fu secondario. Non un caso che con il grande sviluppo delledilizia religiosa buddhista il numero degli oggetti di esportazione, oggetti di lusso, si accresca, accanto allimportazione di nuove tecniche ceramiche, con vasellame realizzato, rifinito non a ruota ma a spatola, indizio importante dellindianizzazione della cultura materiale in epoca kushana. Un altro fenomeno che ben illustra il panorama cosmopolita della cultura indo-parthica e kushana nel Gandhara la straordi- naria produzione scultorea, decorativa, in scisto, di soggetto reli- gioso buddhista nota appunto come arte del Gandhara, di cui lo Swat senzaltro una delle principali province. I temi icono- grafici sono multiformi e rappresentano, nella loro sovrapponi- bilit alla letteratura canonica, uno dei pi efficaci mezzi di penetrazione del Buddhismo presso popolazioni sostanzialmente illetterate. Nelle espressioni plastiche di questarte confluiscono, appa- rentemente senza ordine, elementi, temi, propri allarte cosmo- polita dellEurasia meridionale al tempo del primo Impero romano. Temi ellenistici: penso alle cosiddette scene di genere (atleti, musici, teatranti) i cui cartoni giravano per tutta lAsia ellenizzata come i cartamodelli degli ateliers parigini; quelli delle Province orientali dellImpero romano: evidenti nellabbiglia- mento, nelle acconciature, nelle architetture, nella costruzione plastica; il gusto e liconografia iranica enfatizzata nella preferen- za data alla frontalit e al linearismo (secondo i canoni descritti da Daniel Schlumberger); ma soprattutto la tradizione indiana espressa dalla morbidezza delle pose, dai temi fondamentali del- le scene di vita quotidiana, dal valore dello spazio. Indipendentemente dallo straordinario valore artistico di gran parte di questa produzione, essa particolarmente signifi- 45 cativa nellillustrazione di un panorama fecondo, cosmopolita e economicamente molto attivo, quale fu in realt quello delle comunit monastiche buddhiste. In et kushana (fine I-III secolo d.C.) il panorama dello Swat mut ulteriormente in tal senso. Sotto il regno di Kujula Kadphi- ses i Kushana, gli Yeh-Chih delle fonti cinesi, provenienti dalla Battriana (Afghanistan settentrionale), arrivarono nellIndia di nord-ovest. Laristocrazia dello Swat (se ne hanno le prove stori- che) accett di infeudarsi sotto i sovrani kushana. In questepoca avvenne unaltra importantissima trasforma- zione. Le comunit monastiche acquisirono addirittura una pri- mazia sul piano politico, dopo aver gi conquistato il monopolio religioso, sociale, commerciale. Le grandi mura urbane furono di conseguenza abbandonate e le citt si trasformarono (almeno questo il caso di Barikot) in centri urbani e mercantili aperti e caratterizzati da santuari buddhisti urbani e magioni nobiliari, cuore degli insediamenti urbani. Furono ora le campagne a vive- re un periodo di grande sviluppo, soprattutto per merito dei cen- tri monastici buddhisti, che sorsero in questepoca in gran numero. I monasteri sorgevano sempre su alture risparmiando i terreni agricoli, e spesso controllavano canali di irrigazione, poz- zi e dighe, come avvenne contemporaneamente in Kashmir, dove i monasteri controllavano, ad esempio, la remunerativa col- tura dello zafferano. Il rapporto delle comunit monastiche con lacqua non era solo economico, utilitaristico, anche se andrebbe meglio analiz- zato il significato delleconomia in una dottrina che trov il suo massimo sviluppo proprio tra i ceti produttivi, mercantili, bor- ghesi. In ogni modo una leggenda buddhista ci chiarir meglio questaspetto. Il Buddha storico probabilmente non mise mai piede nello Swat; leggende riportate nei Canoni ci raccontano per lo stesso del suo passaggio. Tra gli atti del Buddha nella valle partico- larmente significativa la conversione del naga Apalala. Questa entit ostacolatrice anguiforme teneva prigioniere le acque della valle (ricordate il Serpente abbattuto da Indra?), per poi rila- sciarle a suo piacimento provocando drammatiche alluvioni. Il Buddha raggiunse la dimora del naga, un lago posto nellalto Swat, e lo convert (replicando in senso pacifico la lotta di Indra, un simbolo ulteriore?), convicendolo a regolare lafflusso delle acque in cambio di tributi regolari. Le comunit monastiche, 46 che gestivano i condotti idrici, le dighe e i pozzi, non facevano che ripetere in forma esteriore lantico rito di conversione degli elementari dellacqua, atto che doveva riecheggiare nelle coscienze delle genti dello Swat secondo un senso simbolico evidente. Saidu Sharif, 2 settembre 2006 Ricordo di aver vagheggiato, come Stein e Tucci ben prima di me, il lago mitico di Apalala. Nellestate del 2005, mi fu segnalato dal poliziotto di scorta alla Missione (erano gi anni difficili) un lago dalta quota, che non era stato ancora battezzato nella toponomastica ufficiale. La sua posizione corrispondeva grosso modo con quella descritta nelle fonti. Decisi di andare a vedere, andata e ritorno in giornata, perch quella sera sarebbero arrivati dallItalia Massimo e gli altri, Roberto ed Emanuele. Mi accompagnavano limmancabile Akhtar Manir e il poliziotto, che era del Dir. Questi si era vantato in modo epico delle sue capacit di resistenza in montagna, facendo capire che, forse, per il saheb (signore) sarebbe stata unimpresa eccessiva salire fin lass. Arrivammo a Bashigram, nel- lalto Swat, alle sei del mattino. In circa sei ore di marcia raggiungemmo quota 4.200 metri e ci sedemmo esausti tra i nevai, sullorlo di un laghet- to glaciale, sulle cui acque, cupe e metalliche, immobile si specchiava una chiostra di vette innevate poco pi alte. Le nuvole in parte coprivano il paesaggio, ma si intuiva a poche decine di metri la presenza di un passo agevole, che avrebbe condotto a Bar Khana, sulla strada per lIndo. Ce lo confermarono due giovani pastori gujari che pascolavano i loro armenti in quegli alpeggi estivi. No, il dand (lago) non ha nome saheb!, mi venne confermato. Non cerano tracce di frequentazione antica, o magari non cerano quelle che mi aspettavo di trovare. Sar stato il lago di Apala- la? Non lo so, forse no. Decisi comunque di battezzare il laghetto. Istruiti i miei quattro alunni, con una faticosa e incerta incisione, celebrammo su un masso la definitiva consegna di quel luogo alla scienza geografica, nominando solennemente il lago Tucci-dand. Quella escursione fiacc in modo preoccupante il morale della mia scorta, che mi aveva visto sempre precederla e aspettarla mentre arrancava sbuffando sulle morene. Un po lavevo fatto apposta, cercando di mascherare la mia fatica sotto un sorriso di comprensione, che dovette suonarle irritante. Giorni dopo, tornato da un breve periodo di riposo al suo villaggio (mai ammesso, peraltro), il giovane commando si pre- par ad altre sfide. 47 Non sorrida il lettore troppo di queste tenzoni. Fa parte della cultura pashtun, e quindi anche della sua poesia, una certa spavalderia, quasi sbruffonesca, come le sfide di forza, di resistenza, le gare venatorie, le ten- zoni poetiche, tra giovani maschi. Quando sono sfidato da un Pashtun, ho imparato a non tirarmi indietro. Credo, un giorno, di aver segnato un punto clamoroso col mio sfi- dante, quando durante un estenuante scambio di battute sulle pi o meno nobili genealogie (altro tormentone tra i Pashtun) dissi, scher- zando, che avevo le prove storiche per sostenere che i principi del Dir era- no di origini gujar. Non lavessi mai detto! Credette stessi dicendo sul serio e si chiuse in un sostenuto silenzio per tutto il giorno, con sollievo di Akhtar Manir, da cui, my poor fellow, durante le marce, avevo ricevu- to eloquenti sguardi di sostegno. Le ricognizioni successive alla salita al Lago Tucci furono dure per la mia scorta, anche perch io, nella valle gi da due mesi, ero ben allenato. Acqua? No grazie, kha yam (sto bene). Una sosta? Wrusto, ka na? (dopo, no?), e cos via. Alla fine della stagione ci fu il verdetto. Incredibile a dirsi, alla sua formulazione avevano partecipato tutti i familiari del poliziotto, al villaggio. La sentenza, che mi fu ripor- tata con solennit il giorno della partenza, fu che, s, in montagna ero pari ad un Pashtun. Una stretta di mano e un abbraccio sancirono la mia ammissione al club. 48 LA SINDROME DI FILIPPO LARABO Le pi longeve tra le fondazioni monastiche dellarea di Barikot sorgevano lungo le vie di comunicazione, come quella di Karakar. La ricchezza dei monasteri, di cui oggi si comincia a comprendere la complessa struttura sociale, si deve a donazioni s, ma anche allapporto economico di attivit mercantili svolte in proprio, allamministrazione agricola e ad altre rendite (pascoli, legname, cave di pietra). La citt fortificata si trasforma- va poi da deterrente visibile, simbolo fortificato del potere, in centro aperto di scambio e mercato. La smilitarizzazione dello Swat ben si spiega nellambito di quel felice momento del potere dei Kushana, la cui solidit eco- nomica e monetaria rappresentava il riflesso delle esigenze di mercati dellimpero di Roma verso le merci asiatiche. In realt unosservazione a pi ampio raggio permetterebbe di valutare come anche questa apparente pace commerciale in Asia si reg- gesse attraverso la mediazione di reti clientelari di deterrenza armata rappresentate dai vari principati di frontiera, nella Palmy- rene, nellOsroene, in Armenia, in Asia centrale, ecc., che non ressero allesplodere del problema iranico, al tempo dellascesa dei Sasanidi. La rivolta dei Goti al tempo di Filippo lArabo dopo la pace del 244 d.C. emblematica in tal senso, in quanto rappresent linsorgere di un problema di sicurezza militare ai confini orienta- li, proprio ad opera delle trib mercenarie gi alleate di Roma, quando questa decise di annullare gli accordi economici, data lef- fimera alleanza con i Sasanidi. La rivolta dei Goti contro Filippo lArabo dette di fatto origine a quel fenomeno, s devastante, ma anche sopravvalutato, noto col nome di invasioni barbariche. La rivolta contro Filippo lArabo e le sue conseguenze ricor- dano da vicino eventi molto pi recenti, quando gli USA si sono trovati a fronteggiare il nuovo pericolo rappresentato dal ricatto militare delle truppe irregolari precedentemente impiegate in funzione frontaliera nella gestione della crisi afghana dal 1979 al 1992. Questi eserciti locali, addestrati, armati e pagati su vasta scala dagli USA, si videro improvvisamente tagliata ogni forma di supporto, quando ritenuti superflui rispetto al mutato panora- ma geopolitico dellEurasia. Nel frattempo per le loro capacit tecniche e tattiche, nonch la loro abitudine al combattimento, si erano oramai consolidate. interessante il fatto che in molti ambienti pakistani (anche militari) questa situazione, che come detto ha un illustre precedente storico, costituisca la vulgata con cui si spiega la nascita del ramo qaidista arabo-afghano. Tornando al III secolo d.C., va registrato che con lo sgretolar- si della rete di alleanze militari, che assicurava continuit agli scambi, aggirando a nord e a sud il blocco irano-sasanide, proprio lIran assunse un ruolo concorrente nella gestione dei rapporti mercantili tra Asia e Mediterraneo (pensiamo alla guerra per la seta, vinta poi temporaneamente da Giustiniano nel VI secolo d.C., grazie allo spionaggio commerciale). In questa nuova insicurezza, i Kushana si fecero trovare impreparati e il loro sistema di controllo statale a largo raggio, basato sullequilibrio economico, sul commercio internazionale e sulla coesione sociale rappresentata dal Buddhismo, croll sot- to la spinta espansionistica sasanide. Ci produsse una frammen- tazione del centro nellIndia gangetica e peninsulare, ma anche linizio della regressione del Buddhismo nellantica India nord- occidentale. Di conseguenza, per lo Swat inizi una lunga fase di regressione, oltre che religiosa, politica e mercantile. Su queste fasi larcheologia ha detto poco. Le fonti cinesi ci informano che tra il IV e il V d.C. lo Swat si trovava sotto linfluenza di genti centro-asiatiche note come Kidariti. Dal 520 d.C. le fonti cinesi riportano il dominio della nazione centro-asiatica degli Ya-ta, gli Unni Eftaliti delle fonti bizantine, gli Hu - na delle fonti indiane. Un secolo pi tardi lo Swat dipendeva politicamente, secon- do i resoconti cinesi, dallarea del Kapisa (Kabul) e il suo pano- rama religioso era ormai multiforme, con numerosi monasteri buddhisti abbandonati accanto ad un proliferare di santuari brahmanici. Di questo stato di distruzione e caos il pellegrino buddhista cinese Xuanzang accusa le incursioni del principe ribelle del Kashmir Mihirakula (forse di etnia eftalita?). Di que- sta accusa, come di tanti altri aspetti della storia dello Swat in questepoca, in realt non v alcuna certezza. 50 DALLA RINASCENZA INDUISTA ALLISLAM Purtroppo i dati storici e archeologici ritornano ad essere chiari per lo Swat solo sotto dinastie note agli storici arabi (al- Biruni per primo) da eponimi etnici, i Turki Shahi e gli Hindu Shahi (questi ultimi professanti religione brahmanica), tra lVIII e il X secolo d.C. I principi Hindu Shahi furono gli ultimi difen- sori del mondo antico in questa parte dellIndia e, con la loro caduta, si apr un nuovo capitolo storico, quello di cui si sono scritte le ultime pagine nel XIX secolo. Al-Biruni ha delle pagine intense, intrise di cavalleresco rispetto per questi fieri nemici del suo campione dellIslam, Mahmud principe di Ghazni. Lepopea hindushahi lasci questi ed altri segni della sua grandezza: si prenda ad esempio il patrimonio delle leggende e delle storie popolari pashtun dello Swat. Non v racconto in cui, senzaltro attraverso un riaffiorare di sostrati pi antichi, non siano presenti un re, una principessa o un cavaliere hindushahi. Prima delle dinastie Shahi lo Swat, pur in tutta la confusione di quel periodo, venne considerato parte della sfera di influenza cinese, a giudicare anche dallinteresse che suscita in epoca Tang tra il V e lVIII secolo d.C. La valle fu senzaltro parte di quel grande movimento strategico che vide fronteggiarsi la Cina e il Tibet. Il fronte occidentale fu pi volte attraversato dagli eserciti delle due Potenze. Gli annali cinesi ricordano i passaggi salienti delloffensiva tibetana: la conquista della prefettura cinese di Kashghar nel 670; la sua perdita nel 693, dovuta ai cinesi; la ricon- quista segnata dallalleanza coi turco-musulmani del 715; la cam- pagna militare del 722 nel Karakorum; lalleanza coi re del Kash- mir del 733; la guerra del 736 per Gilgit, tappa importante per collegare i possedimenti del Baltistan a quelli del Pamir, ecc. in questepoca che the Dharma comes to Tibet, simboleggiato nel viaggio di Padmasambhava, figlio adottivo, secondo la leggenda, ed erede di Indrabhuti re dellUddiyana (lo Swat), celebrato nel- lagiografia tibetana col titolo di acarya, Maestro. Nel 747 le forze cinesi al comando del leggendario generale Kao Xien Chi sconfissero i tibetani e si ripresero definitivamente il Karakorum e, di conseguenza, inserirono nuovamente lo Swat nella loro sfera di influenza. In questepoca probabilmente la val- le era ripartita in due entit differenti, di cui quella a sud era afferente allarea di Laghman in Afghanistan, quella pi setten- trionale, con centro nel Buner o addirittura a Darel, sotto prote- zione cinese. In questepoca lo Swat meridionale era caratterizzato dalle costruzioni di insediamenti fortificati a casa-torre, strutture non dissimili da quelle ancor oggi visibili nei villaggi kafiri del Chitral. In questa fase non da escludersi che la valle, o la sua parte meridionale, facesse parte dellaltrimenti mitico regno di Kator, il reame delle genti pagane dellHindukush, oggi note come Kafiri e isolate nel loro relictum geografico nel Chitral. Un tempo la loro area di influenza doveva essere ben pi vasta, comprendere ampie zone pianeggianti, nel Laghman e nel Kapi- sa, come nel Gandhara settentrionale, dove essi esercitavano un controllo mercantile e militare. Lorganizzazione castale dei Kafiri, la loro storia orale e scritta, la presenza di animali-sim- bolo come il cavallo, mal si sposa con lattuale rappresentazione di genti di montagna, isolate e geneticamente regressive. Lesi- stenza del reame di Kator, o meglio del cosiddetto Grande Kafiristan oggetto dibattuto tra gli studiosi; tra chi lo ammet- te c accordo nel considerare lo Swat come sua potenziale pro- vincia, mentre i confini nord-orientali vanno cercati oltre Chilas e Gilgit. Recentemente Massimo ed io abbiamo documentato nel bas- so Swat, nellarea appunto delle case-torri, un cospicuo numero di vasche scavate nella roccia, dotate di canali di scolo (una ogni 5 ettari). Si tratta senzaltro di impianti per la torchiatura del- luva, lequivalente dei palmenti romani ed etruschi cos comuni in Toscana, simili a quelli ancora usati in Sicilia al principio del secolo scorso. Il confronto immediato, evidente ed inequivocabile con gli analoghi impianti ancora in uso nelle valli kafire e ben noti dagli studi etnografici. La vite silvestre, inselvatichita, tuttora presen- te nei terreni silicei delle valli meridionali dello Swat, soprattutto nei boschi di lecci, relitto certamente delle antiche colture che, similmente alle cosiddette alberate etrusche, prevedeva di col- tivare la vite maritata ad alberi dalto fusto, cos come avviene 52 oggi nellarea kafira. La produzione del vino e la coltura della vite da tempo scomparsa, anche se, alle soglie dellet moder- na, i resoconti dei pellegrini tibetani nello Swat narrano ancora delluso, presso quei pagani di bevande inebrianti. Nella sola zona di studio (250 ettari), con Massimo abbiamo calcolato per difetto una produzione di circa 6-8.000 ettolitri di vino, con un lavoro di torchiatura che poteva coinvolgere non pi di cento vignaroli in una settimana di lavoro. Ancora larte rupestre ci offre importanti elementi a soste- gno dellipotesi di uno Swat kafiro in et tardoantica. Alcuni ripari dipinti, trovati ad alta quota, associati a vasche per il vino, mostrano il tipico lessico e la cifra stilistica, lineare, sem- plificata, dellarte visuale kafira: teorie di capridi e icone di uomini di alto rango, forse sciamani: i commendatori della Confincapra, come umoristicamente li ebbe a definire Fosco Maraini nel suo Paropmiso (1963 1 , 2003). Il paesaggio a quelle quote segnato da rocce zoomorfe, come un giardino di Bomarzo: ricordo un masso di granito affusolato e lungo una decina di metri cui la fantasia delluomo aveva aggiunto un occhio gigantesco, trasformando la muta roccia in un rettile animato. Questa la situazione a sud. Nel nord rimanevano frequentate alcune fondazioni buddhiste, di scuola Vajrayana e Tantrayana, i cui cospicui monumenti rupestri ancora si ammirano sulle mon- tagne dello Swat, in sorprendente continuit con una tradizione presente in quellepoca a Gilgit, Skardu, e poi nelle aree di influenza cinese e kashmira. Si tratta di uno straordinario feno- meno, tardivo e glorioso, il canto del cigno del Buddhismo dello Swat. Alcune delle fondazioni monastiche, meno di un centinaio rispetto alle 4-500, che possiamo supporre, per difetto, esistenti in epoca gandharica, furono mantenute dai monaci delle scuole magico-ascetiche del tardo Buddhismo. qui che nacque la dot- trina tantrica, le cui simbologie rupestri, al di l delleclettismo apparente, in cui si fondono elementi brahmanici, buddhisti e magismi locali, richiamano in alcuni ben studiati casi una precisa ideologia del potere temporale e religioso. Questo si collega, secondo Anna Filigenzi, al culto di Surya, di cui recentissima- mente si va riconoscendo limportanza nella ritualit del potere sotto i Turki Shahi e di cui si individuato un possibile santuario dinastico nella grotta di Hindu-ghar, fronteggiante il colle di Barikot. 53 In questepoca vengono fondati numerosi templi dedicati ai deva, ci racconta Xuanzang. Due di questi templi brahmanici sono stati individuati: uno sulla cima dellacropoli di Barikot e da me casualmente trovato mentre scavavo nel 1998 quelle che rite- 54 Fig. 7 - Scultura rupestre ad Arabkhan-china. nevo fossero le rovine di uno stupa (ancora la maya dellarcheolo- go!). Il secondo stato documentato nel 2005 nellarea di Shah- kot, dominante sullantica via di accesso alla valle, parallela a Malakand, ma inutilizzata dai Britannici per lostilit dei signori (khan) di Thana. La confluenza di elementi brahmanici e buddhisti, nonch il lento prevalere dei primi su questi ultimi, decisamente un segno di questepoca: se ne ritrova traccia anche nella produzio- ne delle pitture rupestri, che, come detto, continua ininterrotta nelle aree alpestri pi remote. Il fatto che dellarea sacra buddhista di Barikot, per cui forse sarebbe stata costruita una terrazza monumentale (ipotesi anco- ra non chiarita dallo scavo), non rimangano che indizi erratici, probabilmente per far posto ad un tempio brahmanico, potreb- be rappresentare un chiaro segnale del declino dellimportanza politica delle comunit monastiche. Il loro canto del cigno fu lo sfolgoro delle immagini scolpite sulla roccia dello Swat (ne sono state documentate quasi due centinaia); spesso in luoghi inaccessibili, comunque in posizione dominante, lungo le vie di pellegrinaggio e presso i guadi, esse rappresentano quasi una seconda Natura come direbbe Goethe svayambhu, in sanscrito. Esse si inseriscono in quella tradizione geomantica tipica dello Swat, rappresentata sin dalla Protostoria, dai ripari rupestri, dalle rocce antropomorfe e zoo- morfe, che segnavano, mi si perdoni ancora il termine, le vie dei Canti della valle. Dal IX allXI secolo d.C., anche sotto la prepotente spinta della minaccia turco-musulmana, lo Swat divenne parte impor- tante di un sistema di principati hindushahi. I loro sovrani fortifi- carono lo Swat con una vera e propria rete di fortezze, torrioni e castelli, tutti in posizione di controllo visuale reciproco, di cui fortunatamente larcheologia ci ha detto abbastanza. Una volta perduta la piana di Peshawar e laccesso allIndo, conquistati dai Ghaznavidi, il sistema di controllo militare rove- sci il proprio fronte, divenendo il saliente meridionale e occi- dentale di unarea il cui centro, come ci narrano le fonti, doveva trovarsi in Kashmir, dei cui sovrani gli Hindu Shahi erano dive- nuti i pi importanti vassalli. Anche in questo caso per la sicu- rezza della piana di Peshawar non poteva prescindere dal con- trollo dello Swat, che nellXI secolo d.C. fu pi volte attaccato e infine sottomesso dai Ghaznavidi. 55 La necessit di un controllo stabile, sostenuto dal reimpiego in et ghaznavide di alcune delle fortificazioni hindushahi (Barikot, Udegram, Bar-tangai), si un ad una prima politica di conversione: cos possiamo leggere le prime forme di islamizza- zione dello Swat, che ritroviamo nelliscrizione bilingue arabo- brahmi di Zalam-kot, presso il sito di una delle pi famose batta- glie combattute dai Ghaznavidi contro gli Hindu Shahi, ad Allahdand-dheri, ma soprattutto nella fondazione della moschea di Udegram, datata allXI secolo d.C. In realt questi tentativi furono privi di continuit, se vero che circa un secolo dopo la sua fondazione la moschea fu abbandonata. Bisogner aspettare larrivo degli Yusufzai nel XVI secolo d.C., in concomitanza con la nascita della potenza Moghul, per vedere la progressiva isla- mizzazione dello Swat. Questa procedette di pari passo con lac- quisizione manu militari da parte degli Yusufzai di territori prece- dentemente occupati dalle prime genti pashtun Swati (che larrivo degli Yusufzai spinger poi verso lHazara) e dalle trib dardiche (ritiratesi verso lo Swat Kohistan). Con la dinastia Miangul nel XX secolo si assist alla definitiva scomparsa delle tradizioni pre-islamiche, anche nelle valli pi remote, seppure allinterno di uno Stato formalmente etico-lai- co. Il ruolo indubbiamente positivo che lo Stato dei Miangul ha svolto come deterrente dinamico per la pacificazione della North-West Frontier, cos come anche seppure con un differen- te grado di affidabilit quello svolto dai principi del Dir, in par- ticolare da Muhammad Sharif, mostra senzaltro come la politica britannica seppe avvalersi del valore atemporale della lezione geopolitica di Alessandro. Ma di questa parte della storia ci occu- peremo nel prossimo capitolo. 56 MORFOLOGIA DEL PRESENTE Uno sciacallo alle strette combatte anche contro un leone. Proverbio pashtun (MacKenzie 1982: nr. 45) LARRIVO DEGLI YUSUFZAI Non facile tracciare con sicurezza le origini della nazione pashtun. Non ci prover nemmeno, rimandando il lettore alle pagine dedicatevi da Sir Olaf Caroe, penultimo Governatore della Corona della NWFP (vedi la Bibliografia). Esistono due tradizioni principali: quella israelita, cos cara a certi settori della cultura britannica, che innalz questo popolo ad un rango di attenzione che altri nemici o sudditi dellImpero non hanno goduto; quella nordica, molto cara ai circoli intellettuali pashtun di Kabul soprattutto nella prima met del XX secolo, contraltare dellaria- nesimo politico-religioso hindu, ma ancoroggi viva anche nei villaggi pi remoti. Saidu Sharif, 14 aprile 1992 Una sera davanti al fuoco acceso in un alpeggio dalta quota, un giovane khan mi sussurr una sua inverosimile sintesi storica: Saheb, voi Italiani e noi Indo-Germanici (sic) abbiamo combattuto insieme con- tro la Gran Bretagna, lo sai?. Non sar per questo che certi circoli americani hanno inven- tato il mostro lessicale, oltre che storico dellislamofascismo? Anni dopo probabilmente mi avrebbe detto abbiamo combattu- to contro gli USA, oggi sicuramente non mi direbbe nulla. La fantasia ricrea la Storia; mi ricordo un altro episodio signi- ficativo di fantasia, geografica stavolta. Saidu Sharif, 18 settembre 1997 Durante una pausa sullo scavo, ero solo circondato da operai accoc- colati intorno a me ad ascoltarmi descrivere lorbe terracqueo che andavo via via disegnando sulla terra con un bastoncino. Disegnata la Terra con i riferimenti fondamentali (Roma, la Gran Bretagna, lIndia, di cui indicavo la direzione nello spazio a nord delle montagne di Adinzai, a sud del fiume, oltre Musa Khel, ecc.), uno di loro mi chiese se intorno a quel golei (il disco della Terra) ci fosse il mare Oceano, che immagina- va distendersi infinito e orizzontale nello spazio. In un istante mi ero ritrovato trasportato indietro nel tempo, quando la stessa immagine si sarebbe formata nella coscienza pre-razionale (bi-camerale avrebbe detto J. Jaynes) dei Greci del tempo di Omero. Anche la loro percezione di s diversa da quella che si rica- va dai diagrammi dei linguisti: infatti solo da pochi decenni che i Pashtun hanno imparato a definirsi tali: ancora nella prima met del secolo scorso si sarebbero definiti, pi semplicemente, ma forse con maggiore esattezza storica, Afghani. Torniamo per a discorsi pi razionali, quelli con cui siamo abituati a trattare questi temi. Oggi sono soprattutto gli studi lin- guistici a poter dire una parola se non sullorigine dei Pashtun, 60 Fig. 8 - La pianura verso Peshawar vista dai passi montani dello Swat. perlomeno sulla loro bellissima lingua. Fortunatamente, aggiun- go, la genetica non si ancora pronunciata (non a caso: la raccol- ta dei markers resa complicata dal sospetto con cui certe pratiche sono riguardate, vedi anche solo la vaccinazione antipolio). I miei colleghi e amici linguisti sostengono che il Pashtu appartiene al- larea nord-orientale dellatlante linguistico iranico, e si proba- bilmente definito nelle pianure tra il Caspio e lAral, in area turca. Tra i Pashtun, v poi la famiglia degli Yusufzai, I figli di Giu- seppe. Lantenato eponimo, Yusuf, detto discendere da Khar- shbun, padre dei Pashtun orientali, figlio di Sarbanr, figlio di Qais Abdur Rashid, ovvero colui che accett di convertirsi di fronte a Khalid ibn Walid, il maggiore tra i campioni del Profeta nel VII secolo. Prima di arrivare nello Swat, provocando lesodo delle genti Swati verso lHazara (dove ancor oggi vivono i loro eredi: altro interessante tema di ricerca per i genetisti), gli Yusufzai, una del- le cinque principali famiglie pashtun, erano al servizio di Mirza Ulugh Beg, principe turco, usurpatore della linea timuride, quella di Tamerlano, nella seconda met del XV secolo. Suo nipote Babar sarebbe stato poi il futuro fondatore della dinastia dei Moghul, i creatori di quel magnifico e decantato impero, che un lIndia allAfghanistan orientale. Il carattere militare dellari- stocrazia Yusufzai ne faceva per quello che il pragmatismo lin- guistico inglese definisce, con felice sintesi, dei king-makers: utili, ma pericolosi alleati. Tutto il loro rapporto con i sovrani Moghul ne testimonianza. Ulugh Beg, dopo aver usufruito delle loro capacit militari per prendere Kabul, ne tent lannientamento, applicando con ci lessenza della dottrina politica, da Caino in poi. Ci fu una cruenta battaglia, nota con un nome che suona come Il campo insanguinato del mattatoio, il cui epilogo fu degno della pi raffinata diplomazia tribale: i malik yusufzai invitati ad un ban- chetto di tregua vennero massacrati, solo pochi sfuggirono. Nellesodo da Kabul, gli scampati alleccidio, guidati da un sogno, dice la leggenda, risalirono Malakand ed entrarono nella valle dello Swat. In realt la conquista della valle fu lenta, compo- sta di avanzate e ritirate, nelle cui cronache complesse e disordi- nate si ricordano nomi di principi non-Yusufzai, come Raja Jahangir, Sultan Awes di Manglawar, Mir Hinda di Thana. Comunque alla met del XVI secolo gli Yusufzai erano signori di Mardan, Chamla, Swabi, Buner, Swat e Dir. 61 Facciamo per un attimo un passo indietro. Abbiamo poche frammentarie notizie degli originari abitanti dello Swat. Le testi- monianze pi importanti provengono dai resoconti di viaggio dei pellegrini tibetani, rinvenuti da Tucci nel Tibet occidentale, da lui tradotti negli anni 30 e 40. O rgyan pa viaggi nello Swat nel 1260 circa, sTag tsan ras pa (il lettore mi perdoni, si chiama- va cos) e Buddhagupta nella seconda met del XVI secolo. Le notizie dei due resoconti pi recenti sono piene di lamen- tele sulle difficolt di viaggiare in quei tempi nello Swat (non con laria insopportabilmente posh di E. Waugh in Quando viag- giare era un piacere, per), terra islamizzata, ma ancora sacra ai Tibetani. Significativamente lo Swat era noto in quel tempo, oltre che col nome tradizionale, O rgyan (Uddiyana), come Ghazni, con riferimento al centro politico cui la valle e i suoi nuovi signori, gli Yusufzai, si richiamavano. Molto interessante la testimonianza di O rgyan pa (nome attribuitogli per il merito del viaggio). Essa giunge come una luce ad illuminare le nostre conoscenze su unepoca altrimenti oscura, quella appunto della fine del XIII secolo. Proveniente dal Buner, dove verosimilmente si trovava allora la dimora della famiglia regnante di fede hindu, O rgyan pa entr nello Swat valicando il passo di Karakar, munito di credenziali ricevute da un re afghano. Questo dettaglio la dice lunga sul ruolo di vassal- laggio che i piccoli feudi hindu dello Swat conservavano verso pi importanti reami ad occidente. Arrivati a Udegram, i costumi e le abitudini delle genti che i pellegrini tibetani incontrano sono soprendentemente simili a quelli degli attuali Kafiri, e comunque, viene notato, differenti da quelli indianeggianti e consueti registrati nella prima parte dei loro itinerar. Queste genti sono probabilmente le stesse che, poi migrate dal ramo principale della valle verso le aree alpestri, abitano tuttora larea di Kalam, di lingua torwali, khowar e bushkarik; ma forse anche quegli stessi Pashtun, che, fuggiti ver- so lIndo allarrivo degli Yusufzai, ancora oggi conservano le loro peculiarit (gli Swati dellHazara). La descrizione della cultura religiosa locale, in O rgyan pa, piena di richiami pagani, venata di una religiosit vernacolare, in cui riecheggiano elementi dellantico tantrismo e dellinduismo. Al di l delle rovine e dei segni morti dellantica devozione, non v per pi traccia della gloria del Buddhismo, cos come anco- ra non vi sono segni evidenti dellarrivo dellIslam. 62 Ritorniamo ora agli eventi del XV-XVI secolo, allinizio della storia dei Moghul. Alla morte di Ulugh Beg, il nipote Babar usurp il trono di Kabul ed entr in India. Diverse furono le campagne militari che Babar condusse tra Mardan, Peshawar e lo Swat. Nel tempo libero organizzava grandi battute di caccia: rinoceronti, tigri, leopardi, erano allora le prede pi ambite nel- le piane intorno Peshawar e sulle montagne verso Malakand; non erano assenti dalla regione gli elefanti utilizzati come anima- li da lavoro, almeno a giudicare dalla toponomastica. La sua condotta verso i principati yusufzai, soprattutto nel- larea di Mardan, fu sempre spietata, ma la resistenza che dovette fronteggiare fu asperrima. Alla strategia di Babar, che era quella di garantirsi la connessione tra Kabul e Delhi, senza sacche di insicurezza, rispose la convinzione yusufzai di aver diritto alle ter- re tra Mardan e lo Swat. La conquista del basso Swat inizi dal passo di Morah o da quello di Shahkot, che, forse nel 1515, fu finalmente forzato. Cos, poco pi tardi, forse mentre Babar entrava in trionfo a Delhi (seconda decade del XVI secolo) gli Yusufzai sconfiggeva- no i Pashtun alleati del sovrano nella grande battaglia di Katlang e presero possesso delle terre tra Peshawar e lo Swat. Ora il territorio yusufzai era quasi del tutto definito: il sogno dei due malik superstiti delleccidio di Kabul, Sheikh Malik e Malik Ahmed poteva dirsi compiuto. Il primo, in qualit di Wazir, Ministro di corte, organizz il sistema di distribuzione delle terre tra i khan attraverso la rotazione fondiaria, detta wesh, che rimase in funzione fino alla prima met del XX secolo. In un certo sen- so gli Yusufzai furono la prima, e per molto tempo lunica, trib pashtun che si diede una struttura sociale complessa e regolata da norme scritte. Quando sal al trono dei Moghul il re Akbar il Grande, i canti di guerra ricominciarono a suonare sulle valli intorno Malakand. Secondo S.A.R. Miangul Abdul Wadud, fondatore dello Yusufzai State of Swat, la responsabilit dellira di Akbar verso gli Yusufzai da ascriversi alla predicazione di un mistico, Bayazid Ansari, detto Pir-i Roshan (Santo della Luce), il cui islamismo era intriso di elementi eclettici, anche induisti, ma tra i quali era centrale il culto della Luce di retaggio iranico. Semplicisticamen- te si potrebbe considerare il movimento roshaniyya (gli Illumi- nati) come uneresia sciita, o un ramo degli Ismaeliti. Io credo ci fosse qualcosa di pi, forse addirittura il ripresentarsi di quella 63 corrente della teosofia iranico-islamica, che trov ad esempio in Sohrawardi il pi alto pensatore e martire. Una nota a margine: non forse un caso che il movimento roshaniyya fu considerato estremamente pericoloso da Akbar, non solo sul piano politico, ma soprattutto su quello religioso. In questo senso non per in difesa dellortodossia, ma piuttosto rispetto alla nuova religiosit che limperatore andava formulan- do per il suo vastissimo Impero, sotto il nome di Din Ilahi, la Fede Divina. Una costante della storia dello Swat e degli Yusufzai il per- petuo oscillare tra la tendenza a superare il tribalismo attraverso lorganizzazione statale, e la profonda sensibilit spirituale, direi quasi la sete di un messaggio religioso. Un peculiare concentrato di razionalit e misticismo. Sotto la guida spirituale di Pir-i Roshan gli Yusufzai scesero in armi. La contromossa fu quella di stanare il movimento rosha- niyya direttamente nei suoi capisaldi nello Swat. La campagna del 1586 prevedeva di collegare due fronti: quello occidentale dal Dir, e quello sud-orientale dal Buner per il passo di Karakar. La campagna fu fallimentare, nonostante larmata avesse rag- giunto Barikot e poi il passo di Karakar. La resistenza tra le mon- tagne fu aspra. Lesercito moghul, diviso da gelosie tra gli alti comandi, decise incomprensibilmente di ritirarsi. Forse legitti- mo chiedersi se, anche in campo moghul, il movimento rosha- niyya avesse fatto proseliti, e fosse la causa delle numerose defe- zioni e degli intrighi che portarono alla sconfitta. Fatto sta che lanno successivo il comando delle operazioni contro lo Swat fu affidato a un generale hindu. Negli anni successivi e fino al 1592 furono fatti numerosi altri tentativi, tutti fallimentari, e se poi nel 1593 gli Yusufzai attacca- rono addirittura Peshawar, vuol dire che mai lo Swat, il Buner e Malakand furono sotto il controllo imperiale. Dove la forza non riusc, pot per la fede. 64 AI CONFINI DEGLI IMPERI La predicazione del campione dellIslam ortodosso Sayyid Ali Shah Tarmezi, detto Pir Baba, e del suo principale discepolo Abdur Rashid, detto Akhund Darwaza, soprattutto diretta contro leresia roshaniyya, rappresenta linizio della storia del moderno Swat. Anche questa una manifestazione del pendolo che da sempre accompagna la storia, non solo degli Yusufzai, ma, in fon- do, di tutto lo Swat, che fu sempre una terra spiritualmente feconda, uno di quegli angoli della Terra dove gli impulsi del tempo hanno battuto al ritmo dello spirito. Si ricordano due importanti dispute teologiche tra Pir Baba e Pir-i Roshan, tenute a Charsada e a Katelai, nello Swat. Que- stultima considerata decisiva per la definitiva sconfitta del movimento roshaniyya. Fatto sta che col rientrare degli Yusufzai nellortodossia, lo Swat e le regioni circonvicine, divennero nominalmente feudi Moghul almeno fino alla morte dellimpe- ratore Aurangzeb nel 1748, quando limpero Moghul inizi il suo declino. Visitare il santuario che circonda il cenotafio di Pir Baba, nel Buner, ai piedi dellIlam, stata unesperienza indimenticabile. Almeno ancora ai primi anni 90 si poteva notare, nella cornice di santit, la pacifica coesistenza della devozione musulmana e di quella delle famiglie hindu e sikh. Luna visibile nella folla che spinge intorno al cenotafio, laltra nelle processioni annuali, che da qui partono per la cima dellIlam. Saidu Sharif, 13 settembre 1995 Allesterno i cambiavalute prendevano quegli straccetti da 1, 2 o 5 rupie e li cambiavano in consunti anna, centesimi di rame o nichel, da impiegarsi nelle elemosine. Ovunque erano fieri caratteri di asceti con la barba e i capelli lunghi, seminudi direi, con stracci variopinti intorno alla vita, e uno sguardo, fisso o eccessivamente mobile, comunque inquie- tante (tanto pi che brandivano talvolta sciabole dantiquariato o altri pericolosi strumenti). Erano i malangan, i fakiri guardiani delle tombe dei santi, perlopi degli alienati. Gesticolavano, agitavano i loro stru- menti, come marescialli di banda; avanzavano a passi larghi, innatura- li, cadenzando ogni loro azione con solipsistica iperlala. Lungo il viale daccesso al cenotafio, bianco, selciato, impavesato da logore innumeri bandieruole verdi, che drappeggiavano laria ventosa sotto la montagna, si accalcavano ordinatamente i mendicanti, perlopi lebbrosi, benedicenti coi loro moncherini, le maschere dargento del viso mutilato, le monetine che tintinnavano in fondo al loro barattolo. Dopo aver tenuto ben stretto in mano un pugno di anna per unoret- ta buona ed essermi sentito per un po un buon musulmano, ricordo di aver realizzato con leggero sgomento che quelle stesse monete erano state riconsegnate personalmente dai lebbrosi ai cambiavalute alla fine della giornata, per poi ricominciare il giro il giorno seguente. In realt quello che succede sempre, in forma invisibile, nella circolazione del denaro. Da dove proviene? Chi lha usato? inutile dire che una sottile forma di ipocondria vel, come una garza leggera, le ore successive della mia giornata. La linea familiare di Pir Baba molto importante per la sto- ria politica dello Swat. Tra i suoi discendenti, significativamente detti sayyid 1 , vennero scelti due re dello Swat. Gli eventi che attraversarono i due secoli successivi sono complessi, ma anche poco rilevanti rispetto alla storia dello Swat e mi permetto di riassumerli in forma sintetica, giusto per non lasciare lacune nella curiosit del lettore. Nel 1747 Ahmad Shah della trib pashtun dei Durrani diven- ne sovrano monocratico dellAfghanistan, ora unificato, strap- pando i suoi lembi occidentali ai Safavidi e quelli orientali agli ultimi Moghul, giungendo fino a saccheggiare Delhi. La sua idea di unire tutte le genti afghane sotto un unico Stato mor con lui, secondo lopinione di Miangul Abdul Wadud, nel senso che il suo successore Timur Shah, mai considerato un vero Pashtun, semmai con un sottile, ma significativo distinguo, un Persiano, non seppe raccogliere intorno a s lappoggio degli Yusufzai. 66 1 Originariamente capo, in seguito, in epoca islamica, un titolo onorifico per i discendenti del Profeta Maometto. Lemergere della potenza Sikh, durante il regno di Shah Zaman, salito al trono dopo la morte di Timur Shah (1793), un fenomeno singolare, complesso e difficile da spiegarsi. Altrettan- to complesso comprendere le ragioni della popolarit di que- sto fenomeno di rinnovamento religioso. Le religioni in questa parte del mondo non sono mai state dei fenomeni definiti: lo testimoniano non solo fenomeni spontanei come il movimento roshaniyya, in cui si raccolgono correnti apparentemente lonta- ne (come nel catarismo di Provenza), ma anche fenomeni neo- religiosi pi recenti. Questi sono a mio avviso legati alla crisi spi- rituale della potest temporale, che si manifesta alle soglie dellet moderna: in India con Akbar, che ide una sorta di esperanto dellesperienza religiosa pensato per unificare le genti del suo Impero; quasi negli stessi anni, nel regno dInghilterra, Enrico VIII creava la Chiesa anglicana. Lesperienza politica sikh fu molto importante da molti punti di vista, non ultimo quello di essere stato accuratamente osserva- to dai Britannici come un elemento di novit, interessante anche ai fini di una loro penetrazione nei territori di Peshawar e Kabul, operazione i cui piani erano gi across the board come risposta al pericolo russo. Lesperienza del regno sikh a Peshawar non sembra aver avu- to ripercussioni significative nello Swat, se si esclude lappoggio dato dagli Yusufzai a un altro predicatore, Sayyid Ahmed Shah Brelwi, di fede wahabita. Questi, giunto nello Swat, si pose sotto la protezione di un discendente di Pir Baba, Sayyid Akbar Shah di Sitana (Hazara). Limportanza di questa alleanza risiede piut- tosto nel fatto che essa fu la causa indiretta nel 1862 della batta- glia di Ambela, che, insieme alle due battaglie di Malakand, sta- to uno degli episodi pi rilevanti della storia militare britannica che abbia visto coinvolti gli Yusufzai dello Swat. Ahmed Shah, grazie allappoggio del Sayyid di Sitana, riun intorno a s gli Yusufzai e altre trib, andando ad espugnare Peshawar nel 1830. Gli Yusufzai per, rigidi osservanti di scuola hanafita, ben presto abbandonarono Ahmed Shah, non appro- vando lorientamento wahabita del suo movimento. Il movimen- to inaugurato da Ahmed Shah, che propugnava la creazione di uno Stato islamico su principi wahabiti, rimase tuttavia attivo in alcune aree tribali (Bajaur, Khyber, Mohmand), ma non nello Swat, in funzione anti-britannica almeno fino al 1947. Va notato che lorientamento hanafita degli Yusufzai particolarmente for- 67 te proprio nello Swat e tuttora rappresenta un elemento di bilan- ciamento al fondamentalismo wahabita dei gruppi filo-qaidisti. Nonostante le trib dello Swat avessero ritirato il loro appog- gio ad Ahmed Shah, daranno pi tardi prova di fedelt alla parola data, impegnandosi nella protezione dei suoi seguaci, i cosiddetti Hindustani fanatics, contro un nuovo nemico: lesercito britannico. Nel frattempo, intorno al 1794, era nato nellalto Swat Abdul Ghafur, figlio di Abdul Wahid, capostipite dei Miangul, della trib Safi di Mohmand. Abdul Ghafur noto come lAkhund dello Swat, o meglio Saidu Baba. Si tratta di una fondamentale figura di asceta, la ter- za figura messianica ad apparire nella storia degli Yusufzai, dopo Pir-i Roshan e Pir Baba. Circondato in vita da un folto seguito nello Swat, il suo mausoleo a Saidu Sharif oggi onora- to da dieci milioni di fedeli, dal South Waziristan al Punjab. Sot- to la sua guida spirituale lo Swat viene per breve tempo (1850- 1857) governato da Sayyid Akbar Shah con capitale a Ghalegai nello Swat. Con la figura di Saidu Baba, gli Yusufzai dello Swat trovano finalmente il raccordo tra le aspirazioni spirituali e la creazione della forma politica del loro organizzarsi come comu- nit. Il processo fu lento, ma se ne possono seguire con chiarez- za le tappe, che, sempre pi veloci, porteranno alla creazione di quel miracolo politico che fu lo Yusufzai State of Swat sotto la dinastia Miangul. Nel 1862 lamministrazione britannica aveva gi preso in carica i resti pi occidentali del regno sikh e, cos come i suoi predecessori, cominci a dover regolare i conti con le trib irre- dente delle montagne. Uno dei primi piani militari britannici fu la spedizione punitiva contro i seguaci di Ahmed Shah rifugiatisi presso gli Yusufzai del Buner (Bunerwal). La legge dellospitalit, melmastya, non conosce deroghe pres- so gli Yusufzai, ma non un dogma. La rottura dellalleanza con Ahmed Shah e la morte di questultimo avevano eliminato ogni dovere morale verso i suoi seguaci. Nel 1863 Saidu Baba per chiam il jihad contro la spedizione, che stava portando i Britan- nici nel Buner, dove si erano rifugiati i seguaci superstiti di Ahmed Shah. A questi si erano aggiunte le truppe ammutinate del 55esimo Bengal Infantry di stanza a Mardan. Dalle Black Mountains nellHazara, i ribelli, appunto gli Hindustani fanatics, si erano spostati a Malka e da l continuavano a compiere incur- sioni nelle retrovie britanniche. 68 La battaglia di Ambela, sanguinosa e cavalleresca, inizi con un errore di valutazione, tipico, ricorrente, ancora oggi: questo errore, non proprio la melmastya verso i ricercati, fu la causa dellinsorgenza delle trib, e ci dimostrato dalla singolare conclusione della campagna. Sir Neville Chamberlain volle infatti conservare leffetto-sor- presa della spedizione e, ritenendo i Bunerwal neutrali, non li inform che stava per entrare nel loro territorio con i suoi 5.000 soldati, tra coloniali e nazionali. Si tratt di un errore cultura- le, dovuto pi che altro alla sottovalutazione del titolo giuridico dei confini tribali. Ignoranza e presunzione tipica di ogni guer- ra coloniale, cui, secondo gli Atti della Conferenza sul Congo (Berlino 1884-85), non andavano applicati i princpi dello ius publicum Europaeum: fondamentalmente non si riconoscevano alle trib il titolo di iustus hostis. I Bunerwal, ignari delle ultime novit in fatto di ius belli, ovviamente accorsero in armi e a questi si aggiunsero i lashkar chiamati da Saidu Baba, fino a un totale stimato per eccesso in circa 25.000 uomini. Il caposaldo di Ambela, coi suoi due picchi, il Nido dAquila e la Rupe fu il teatro dello scontro, che dur dal 22 ottobre al 15 novembre. Una volta forzato il passo, i Britannici di fatto decisero di accordarsi per evitare di affrontare una marcia prolungata in ter- ritorio ostile. La conclusione della campagna fu esemplare, una lezione, purtroppo, inascoltata. Furono infatti i lashkar di Saidu Baba, accompagnati da pochi ufficiali britannici nel ruolo di osservatori, a ripulire Malka dai ribelli. La sottovalutazione giuridica, culturale, ma anche umana, del nemico, fu una costante nei rapporti ufficiali tra lammini- strazione britannica e le trib, forse a differenza di quanto era successo in epoca Sikh con il generale di scuola napoleonica P.C.M. Avitabile. Fanno eccezione figure illuminate dellammi- nistrazione dellImpero come G.N. Curzon, R. Sandeman, O. Caroe, ma anche H.W. Bellew, H.G. Raverty e scrittori del calibro di R. Kipling, colui che pi di ogni altro ci ha trasmesso the taste of the Frontier. Nel 1877 mor Saidu Baba e tra il 1887 e il 1893 morirono i suoi figli; al pi giovane, Miangul Abdul Khaliq, sopravvisse la moglie, figlia del Mehtar del Chitral. Alla morte di questultimo fu il fratello della principessa, Shuja-ul-Muluk, a succedergli. Questo legame della famiglia Miangul e in senso lato dello Swat 69 con la casa del Chitral fondamentale per capire i fatti che portarono alle due guerre di Malakand, fuori dalla vulgata che ne d la letteratura militare britannica. Intanto tra i figli di Abdul Khaliq si distingue in guerre feudali, tra i khan dello Swat, Miangul Gulshada Abdul Wadud, il futuro Badshah Saheb. Tra il 1891 e il 1893 prese corpo il progetto del colonnello Algernon Durand di una rete stradale che collegasse Hunza, Nagir, Gilgit e Chitral, ovvero gli stati principeschi controllati indirettamente dai Britannici attraverso i loro Political Agents, con le guarnigioni nella piana. Per meglio assicurarsi una linea di continuit politica, i Britannici avevano formalizzato il legame del Chitral alla casa regnante di Jammu e Kashmir. Era gi in corso il Grande Gioco: la guerra fredda tra Britannici e Russi per il controlo delle reciproche linee di penetrazione attraverso il Karakorum e lHindukush. In questo gioco pedine fondamen- tali furono proprio gli stati principeschi, il cui potere e il cui ruo- lo fu di volta in volta enfatizzato o limitato a seconda delle neces- sit della politica internazionale in Eurasia, di cui quei principati erano divenuti delle teste di ponte chiave. Mossa fondamentale sulla scacchiera sud-orientale del fronte invisibile russo-britannico fu la firma del trattato che sanciva i confini tra lAfghanistan dellemiro afghano Abdur Rahman e il Raj britannico dIndia: la cosiddetta Linea Durand, su cui si torner nel dettaglio nel prossimo capitolo. Nel 1895 la politica britannica provoc del malcontento in Chitral, cui seguiranno dei mutamenti dinastici favoriti dai Bri- tannici. A seguito della nomina del giovanissimo Shuja a Mehtar, la guarnigione Robertson a Chitral venne assediata dalle fazioni lealiste. La situazione innesc una serie di reazioni nei principati vicini. Il Khan di Jandul, Omara Khan, usurpato il trono del Dir, intervenne nei disordini con un suo esercito in funzione di fatto anti-britannica. La situazione divenne gravissima per la guarni- gione Robertson. I Britannici mobilitarono le guarnigioni di Nowshera e Peshawar, formando un corpo di spedizione per il Chitral. Tra i tre possibili passaggi, Malakand, Shahkot e Cherat, fu preferito il primo, in quanto si riteneva non avrebbe coinvolto i khan di Thana e dello Swat. Mentre unavanguardia, da Gilgit, entrava in Chitral da nord, il grosso dellesercito britannico veni- va bloccato sul passo di Malakand per uno scontro intenso, ma di breve durata. La vulgata della battaglia di Malakand, tramandata dalla diaristica militare, spesso viziata dalla sottovalutazione del 70 Fig. 9 - La battaglia di Malakand. (Da Barth 1995: fig. 6). il nemico (disprezzo talvolta), nonch da una certa superficiale conoscenza del contesto (ad esempio si veda come, ancor oggi, laltrimenti accurato M. Barthorp spieghi la disfatta delle trib con il fatto che gli Yusufzai [...] had never faced cavalry before!). Il passaggio delle truppe in Dir fu successivamente garantito dalla fazione del deposto Nawab Mohammad Sharif Khan, che poi fu reinsediato, ottenendo la recognition di sovrano del Dir dai Britannici. La guarnigione Robertson fu salva e la Corona si assi- cur il controllo sul Chitral. Nel 1896 si registra linizio dei disordini nella Frontiera, cau- sati dallaumento della presenza britannica, seguita alla discussa firma del trattato della linea Durand. Lanno successivo, lanno della cosiddetta Pathan Revolt, fu chiamata il jihad nello Swat dal cosiddetto Lewanai Fakir, il Fakir pazzo di Fatehpur, nel- lalto Swat. I lashkar dei khan dello Swat avanzarono su Malakand, dove furono sgominati. La rappresaglia britannica si spinse nello Swat fino a Mingora. Fu stabilito il campo principale a Barikot, da dove i Britannici effettuarono una prima ricognizione al pas- so di Karakar, di cui fu riconosciuta limportanza strategica per il collegamento con il Buner e Ambela. In questo clima di intimi- dazione militare si svolse, lo stesso anno, la prima ricognizione archeologica di Aurel Stein in Buner con la Buner Field Force. La campagna di Malakand del 1897 stata brillantemente descritta in una serie di articoli per il Daily Telegraph firmati da A Young Officer, (poi) Sir Winston S. Churchill. Gli articoli furono successivamente raccolti e rimaneggiati nel suo primo libro (1898), la cui prosa suona, quasi ad ogni pagina, supponen- za e irriguardo verso i nemici, considerati nulla pi che savages of the Stone Age. 72 NASCITA DI UNO STATO (1917-1926) Proviamo ad osservare il quadro della situazione in questo settore della NWFP tra la met del XIX secolo e i primi decenni del successivo. Due date innanzitutto: la linea Durand fu stabilita nel 1893, mentre la NWFP fu creata solo nel 1901. Per pi di mezzo secolo larea realmente amministrata dai Britannici, che astrattamente si intendeva limitata ad ovest dalla linea Durand, nella realt avrebbe compreso solo i distretti di Dera Ismail Khan, Bannu, Kohat, larea di Peshawar e il Khyber, Mardan, Malakand. Di fatto esisteva un confine interno, al di l del quale, ancora nel 1901, si pensava di potersi ritirare in caso di bisogno. Questo confine interno correva lungo lIndo (importante, lo snodo di Attock). A nord, linfluenza britannica era ben definita, anche se sotto forma di protettorati, o meglio principati a sovranit limitata, nel Karakorum-Hindukush, a Hunza, Gilgit e Chitral. La via di accesso pi occidentale a que- sti era garantita, come nel gioco del domino, da una serie pro- grediente di acquisizioni di controllo territoriale. Dalle guarni- gioni di Dargai, a Malakand e Chakdarra nel Dir, fino al Chitral e da qui a Gilgit. Malakand e Chakdarra, interfacce strategiche cruciali, furono il risultato delle due campagne nel basso Swat del 1895 e 1897. La patente concessa al sovrano del Dir dai Bri- tannici garantiva loro una sufficiente forma di controllo sulla via di comunicazione con Chitral. Se si guarda con attenzione, al di l del confine interno, nei distretti summenzionati, la presenza britannica era limitata al controllo di una rete stradale, del suo doppione ferroviario (fin dove era possibile), di alcuni snodi nevralgici e militari (Peshawar, Mardan, Nowshera, Dargai, ecc.), e allo sviluppo di alcune aree agricole. Nelle aree dove si era riconosciuta una sovranit stabile, la presenza britannica era garantita dalla con- clusione di accordi che sottoscrivessero il passaggio e la presenza delle truppe. Questa situazione fluida ricorda da vicino il sistema di con- trollo imperiale romano del suo limes. Il confine interno corre lungo un fiume (qui lIndo, l il sistema Reno-Danubio) ed costeggiato allinterno da unarteria stradale, punteggiata da insediamenti rigidamente divisi tra quartieri militari-ammini- strativi (cantonments/castra), quartieri residenziali (colonies/colo- niae) e villaggio indigeno. Larea amministrata al di l di questo limes considerata area a bassa intensit di pericolo salvo le zone poste lungo le infrastrutture (strade, ferrovie, ponti), dove si concentrano le guarnigioni; in gran parte la sicurezza dellarea garantita da alleanze temporanee e dai sussidi versati alle trib transfrontaliere. Centro amministrativo e civile dellarea ammini- strata una citt-mercato (qui Peshawar), aperta ai traffici che vengono da oltre confine, ma pronta a raccogliersi sotto la prote- zione della sua guarnigione in caso di bisogno. Nella zona 74 Fig. 10 - La valle dello Swat con vista del colle di Barikot. amministrata si pu porre in atto quella modalit di controllo e consolidamento del territorio che stata gi ottenuta nei territo- ri pi interni: si intende quella strategia di gestione sociale ottenuta principalmente con il controllo dellagricoltura (dighe, canali, impianti industriali di trasformazione: cotone, tabacco, canna da zucchero), delle infrastrutture (strade, ferrovie) e del- lurbanizzazione. Un sistema dinamico di difesa avanzata previsto tra i con- fini amministrati e il confine dellarea di influenza (qui la linea Durand), che un confine aperto, giuridico, non statico e sotto- posto a controllo militare. In termini politici la strategia britanni- ca di controllo della Frontiera conobbe diverse fasi, lungo le qua- li si alternarono due modelli strategici: il cosiddetto close border system (che prevedeva di attestarsi sui confini delle aree ammini- nistrate o addirittura sul confine interno) e la forward policy (pi dinamica ed aggressiva). In ogni caso questo sistema dinamico prevedeva una strategia fatta di incursioni, rappresaglie, guerre preventive, stipula e revoca di accordi, ma anche dal tentativo di regolamentare e tra- sformare nel tempo la struttura giuridica tribale via via sempre pi in profondit. Il sistema di controllo civile e della propriet terriera era supportato dal sistema dei tahsil (distretti locali) che intendeva sostituirsi al sistema feudale dei khan o jagirdar. Il siste- ma di sicurezza era giuridicamente sostenuto dalla promulgazio- ne delle Frontier Crime Regulations (1872, 1887, 1901, con revi- sioni anche recentissime). La ratio delle FCRs si basa su pochi concetti elementari: il controllo delle assemblee tribali (jirga) attraverso la nomina dei loro membri, il diritto di veto e di ratifi- ca da parte britannica alle loro decisioni, lassenza di diritto di appello, la significativa limitazione della pena massima (quattor- dici anni di carcere duro e lesilio), ma soprattutto il concetto di responsabilit collettiva. Con questo si intendeva, ad esempio, che nel caso di un reato attribuito a un membro di una particola- re trib, tutta la trib poteva essere colpita, attraverso sequestro di beni o larresto di qualsiasi altro suo membro, ovunque questi si trovasse. Comunque le si girino, le FCRs sono da considerarsi unalterazione in senso gravemente oppressivo e repressivo sia dei princpi della giurisprudenza europea sia di quella pashtun. Il fatto significativo che, pur emendate, le FCRs sono ancora in vigore e possono essere modificate o abolite, ai sensi della Costi- tuzione del Pakistan, solo per decreto presidenziale. 75 Ai limiti della zona a bassa intensit di rischio, nelle aree vita- li nel senso degli interessi strategici generali (qui il Karakorum- Hindukush), si creano o si sostengono degli Stati-clientes (qui il Dir e il Chitral, a nord-ovest). In questo senso particolarmente significativo il processo di controllo del Chitral. Il concetto-base che era allorigine della distinzione tra aree amministrate e non, senzaltro da ritrovarsi nella consapevolez- za britannica che le zone pi occidentali della Frontiera erano di fatto territori afghani ereditati dalloccupazione sikh, pi volte legittimamente rivendicati da Kabul. Questo fatto evidente sin dai primi passi della politica britannica nella regione. La dram- matica fine della missione di Alexander Burnes a Kabul presso la corte dellemiro Dost Muhammad (1841), e lo scoppio della prima guerra anglo-afghana, fu in pratica legata alle promesse, successivamente non mantenute, di far restituire dai Sikh i terri- tori occupati fino a Peshawar. Mi si permetta unulteriore digressione. Il lettore trover interessante sapere come il controllo del Chitral, con il corolla- rio nel Dir e nello Swat, sia anche passato, come si gi detto, attraverso la formale sottomissione del Mehtar al Maharaja di Kashmir e Jammu. Questa era stata siglata gi nel 1878; il primo articolo dellEngagement cos chiudeva: [...] Presenter annual- mente i seguenti nuzzerana [doni] a Sua Eccellenza come ricono- scimento del suo preminente potere: tre cavalli, cinque falchi, cinque cani tezi [levrieri]. Nel 1914 laccordo fu riconfermato in tutti i suoi articoli ed ampliato. Si ricordi a questo punto il ruolo- chiave giocato dalla famiglia regnante del Kashmir allepoca del- la Partition in relazione allaccessione di questo principato al- lIndia. Si capir allora facilmente il ruolo di principale alleato britannico che ebbe il Kashmir, prima nella gestione degli affari interni del Karakorum-Hindukush, poi nelle questioni del 1947. Interessante per anche vedere come tutto ci sia stato visto dallaltra parte. Nel frattempo, infatti, tutte le trib pashtun al di qua e al di l della linea Durand, sapevano che quella linea era solo un limite innaturale ai loro territori nazionali (nel senso di natio: intesi quindi come fines gentium), perdipi causato dal ritiro britannico a seguito della seconda guerra anglo-afghana. La linea Durand era per loro uningiustizia e al tempo stesso un segno di debolezza. Quella linea, comera nata, poteva scompari- re. Comera stata tracciata, poteva essere spinta indietro, sempre pi indietro, ricacciata, con le sue guarnigioni, le sue ferrovie, le 76 sue casematte, al di l di Attock, oltre lIndo. Inoltre, fatto ulte- riormente indicativo in tal senso, la linea Durand stata pi vol- te denunciata da Kabul, sin dallemiro Abdur Rahman: Nel vostro privarmi di queste trib frontaliere, che sono genti della mia razza e della mia religione, voi offendete il mio prestigio agli occhi dei miei sudditi e mi renderete debole, e questa mia debo- lezza offensiva per il vostro Governo (citato in Spain 1963: 117, n. 26). Lindifferenza britannica alle richieste afghane va fatta risalire alle grandi manovre della politica europea. Nel 1873 Londra e San Pietroburgo accettarono, almeno sulla carta, la linea dellOxus (Amu-darya) come linea di demarcazione meri- dionale degli interessi russi: ci comport come conseguenza la considerazione dellAfghanistan come stato-cuscinetto e il progetto di quella che sarebbe poi diventata la linea Durand. Tutti gli atti militari successivi al 1895 vanno interpretati come parte di quella strategia di difesa dinamica o forward policy: le campagne contro i Mohmand, gli Orazkai, gli Afridi fino al 1908; quelle posteriori sempre contro i Mohmand, poi i Mahsud, i Waziri, vanno lette sempre in tal senso. La strategia britannica segu le cinque direttrici delle aree di Gomal, Tochi, Kurram, Khyber e Malakand. Va da s che lincertezza militare legata alle conseguenze, mai definitive della forward policy, fu consegnata, come vedremo, come uneredit su cui pendano ipoteche e servit, al nuovo Stato del Pakistan con la Partition nel 1947. Nel 1899 Lord George Nathaniel Curzon di Kedleston diven- ne Vicer dellIndia. Con lui la politica britannica conobbe una fase nuova, che potremmo definire come un tentativo di sintesi tra forward e close border policies. Sulla scorta dellesperienza di Lord Robert Sandeman in Baluchistan, Lord Curzon propose un programma di penetrazione integrata, condotta da uomini di grande esperienza. Il primo atto formale fu la creazione della NWFP nel 1901, come unit territoriale separata dal Punjab. Allinterno della NWFP i cosiddetti territori tribali (non ammini- strati) furono considerati come marche di confine, la cui sicurez- za si volle garantita da nuovi corpi di polizia indigena (Khyber Rifles, Samana Rifles, Tochi Scouts, ecc.) affiancati dalle milizie tribali. Le trib vennero inserite in un programma di sussidi sot- to la responsabilit dei Political Agents; vennero costruite strade e tronchi ferroviari da cui avrebbero tratto vantaggi logistici anche le trib. La politica di Lord Curzon, che intendeva con- 77 durre ad una sorta di auto-governo delle trib, mostr tutte le sue debolezze con lo scoppio della terza guerra anglo-afghana sotto il regno dellemiro Amanullah nel 1919. La guerra fu bre- ve, ma indic linizio di una nuova politica. Gli ammutinamenti della polizia indigena costrinsero a riorganizzare questi corpi, riducendo la percentuale di truppe locali; dal Waziristan verso nord, le forze britanniche si concentrarono con maggior eviden- za e capacit di reazione: le parole dordine divennero peaceful penetration e control from within; infine venne siglato un accordo definitivo con Kabul (Anglo-Afghan Treaty, 1921). Mol- to probabilmente uno dei passi fondamentali di questa nuova politica fu lavallo finalmente dato da Londra alla nascita dello Yusufzai State of Swat. * * * Nel 1908, ai confini dellarea amministrata si verificarono tre fatti che andrebbero relegati nelle cronache, se non fossero stati prodromi di eventi successivi di particolare rilevanza. Innanzitutto si registra un secondo tentativo di Lewanai Fakir di chiamare al jihad contro i Britannici di stanza a Malakand. Quindi si registra lintervento politico-diplomatico del nipote di Saidu Baba, Gulshada Abdul Wadud (Miangul), ormai il pi influente e ambizioso tra i khan dello Swat, che blocc sul nascere liniziativa. Nonostante questo fatto i Britannici rimasero sospetto- si verso le attivit politiche del giovane khan. Non senza ragione, se si interpreta la sua mediazione come il tentativo di tenere lon- tani i Britannici dallo Swat, sul cui territorio il futuro Badshah Saheb stava cominciando a meditare di imporre la propria leader- ship. Ad una terza insurrezione senzaltro i Britannici avrebbero risposto con una guerra dannessione, che andava evitata. Laltro motivo di apprensione per i Britannici riguardava laumento di prestigio delluomo, fenomeno pericoloso, di cui non si prevede- va lesito, e a cui, comunque, si preferiva il tribalismo tradiziona- le, tutto sommato pi controllabile attraverso le sue intrinseche divisioni. Luomo era pur sempre il nipote di Saidu Baba, che ave- va chiamato il jihad ad Ambela; inoltre, rimasto vedovo, aveva spo- sato una discendente di Pir Baba: una miscela potenzialmente esplosiva di ambizione politica e autorit religiosa. I Britannici misero allora in moto uno dei meccanisimi previ- sti nelle strategie di difesa avanzata: autorizzarono il Nawab 78 del Dir, che godeva della recognition britannica, a innescare delle incursioni nello Swat. Il Nawab estese la sua rete di alleanze e costru guarnigioni sulla riva destra del fiume Swat. Va qui ricordata limportanza della riva destra nella storia recente dello Swat. Sar tra i khan della riva destra che le ambi- zioni del principato del Dir troveranno sempre sponda, anche perch lautorit del futuro Yusufzai State of Swat era stata accet- tata col con maggiori resistenze. La riva destra sar non a caso mantenuta sotto controllo militare da parte dei Miangul, e svi- luppata in modo limitato dal punto di vista delle infrastrutture stradali. Di fatto essa rappresenter il vero confine interno nord-occidentale dello Stato. Sar sempre nella riva destra che negli anni scorsi si sono infiltrati e hanno trovato protezione i membri delle organizzazioni qaidiste provenienti dallAfghani- stan (di questo si tratter pi avanti). Sar la riva destra, infine, il teatro dei combattimenti che, dal novembre-dicembre 2007 vedono opporsi allesercito pakistano le formazioni paramilitari taliban. Lanno 1908 registra per anche un quarto evento, la nascita del primo figlio di Gulshada (Abdul Wadud), Jahanzeb, futuro principe ereditario (Waliahad). La situatione rimase stabile fino al 1914. Qui si vede come linfluenza della situazione internazionale condizioni in parte lo sviluppo delle rivolte locali. Si diffuse la notizia dello scoppio della guerra in Europa. Agenti germanici, si diceva, erano segnalati di qua e di l della linea Durand. Recentemente ho potuto consultare documenti inediti, che confermano quanto le autorit britanniche fossero preoccupate dei riflessi che la guer- ra in Europa avrebbe avuto presso le trib e i principati della Frontiera. Lattivit diplomatica con le controparti locali si intensific, soprattutto in aree-chiave per il contenimento delle ingerenze afghane, come il Bajaur e il Chitral. Anche in questo caso nello Swat si gioc una partita decisiva. Approfittando della notizia delle ostilit in Europa e di altre circostanze, appunto nel 1914, i villaggi della riva destra dello Swat si ribellarono con- tro il Nawab del Dir, su istigazione del mullah Sandakai di Chakesar, che aveva senzaltro concertato liniziativa con Gul- shada, tra gli altri. Di fatto, dopo la vittoria, che tolse al Dir il controllo sulla riva destra nel settore tra Parrai e Kabbal (Sha- mozai), il mullah propose a Gulshada e al fratello maggiore di governare lo Swat. 79 Non era quello che Abdul Wadud si aspettava. Al rifiuto di questultimo di condividere il potere, il mullah si rivolse al Sayyid Abdul Jabbar Shah di Sitana, Amb, pronipote per parte materna del primo re dello Swat. Si noti come sempre nellideologia yusufzai il potere temporale si leghi allautorit spirituale e come questa si trasmetta per via ereditaria. Il Sayyid nel 1915 divenne re dello Swat con capitale a Kabbal (ovvero sulla riva destra). I Miangul scelsero lautoesilio. Va comunque notato che gi allora la famiglia Miangul aveva stretti rapporti con influenti personag- gi dellarea di Chakesar, Puran, che nel futuro rappresenter la testa di ponte per lespansione dello Stato verso lIndo. Negli anni dellesilio (1916-1917) i due fratelli Miangul deci- sero di allearsi segretamente col Nawab del Dir per rovesciare il re dello Swat, riguardato come un usurpatore. I Miangul forma- rono un lashkar e sconfissero il re a Tindodag, sulla riva sinistra, nonostante le forze del Nawab non intervenissero perch, secon- do un precedente accordo con i Britannici, al Nawab non era sta- to concesso di attraversare in armi il fiume Swat (considerato come il confine statico meridionale dellarea del Dir). Pu porsi la domanda: labilit politica di Abdul Wadud aveva considerato questo fattore? Era forse stata questa la valvola di sicurezza, che gli aveva permesso di stringere con tranquillit unalleanza con un pericoloso e pi potente ex-nemico? Abdul Wadud sapeva dunque che avrebbe vinto la battaglia finale da solo? La scelta di Tindodag come luogo per la battaglia poi carico di simboli sto- rici, che la fantasia yusufzai poteva trasformare, come dicevano gli ascari eritrei, in fantasie, poesia epica. Tindodag, alle porte di Ghalegai, prima capitale dello Swat moderno sotto il primo re discendente di Pir Baba, anche il luogo dove finito il breve regno di un altro discendente del santo. Nel 1917, sconfitto il re a Tindodag, Gulshada occup Saidu Sharif. Inizialmente si giunse ad un trattato di pace, secondo il quale il re sconfitto avrebbe continuato a regnare solo sulla riva destra, mentre Gulshada su quella sinistra. Il regno della riva destra fu di breve durata: termin con una ribellione guidata dal mullah Sandakai contro il re, scoperto seguace degli Ahmadiyya, una setta ritenuta eretica nellIslam. Le jirga (consigli degli anziani) yusufzai dello Swat riunite nominarono Gulshada Badshah dello Swat e venne fondato lo Yusufzai State of Swat con capitale a Saidu Sharif, dove si trova il cenotafio di Saidu Baba antenato spirituale dei Miangul. Il mul- 80 lah Sandakai andr poi in esilio in Puran, dove continuer a fomentare attivit contro lo Stato. Gi da questo si capisce che la vita iniziale del nuovo Stato non fu facile. Il lustro 1918-1923 fu poi un periodo di turbolenze causate dai principati di Dir e Amb, che mal sopportarono la nascita di un regno rivale in un territorio su cui avevano entrambi rivendi- cazioni e ambizioni territoriali. Il Nawab di Amb, sulla riva dellIndo vicino Chamla, accolse il deposto re dello Swat come ministro e avvi una politica espan- sionistica verso il Buner. Il Badshah per risposta inizi la politica di annessione del Buner che si concluder solo nel 1923. Sul versante del Dir si registra lalleanza tra il Nawab del Dir e il figlio di Omara Khan, il suo ex-nemico, khan di Jandul, quel- lo che lo aveva deposto al tempo della prima battaglia di Malakand. Insieme i due si annetterono la riva destra del basso corso dello Swat (Shamozai) reclamata dallo Stato: scoppiava la prima guerra col Dir, che si sarebbe conclusa con la conquista dellarea di Shamozai da parte del Dir. Va detto al lettore qualcosa riguardo la dimensione dellagire politico e militare in quegli anni nello Swat. Innanzitutto occor- re ricordare che il territorio era diviso tra famiglie aristocratiche, che, s, praticavano la rotazione dei terreni (wesh), ma sostanzial- mente insistevano in determinate aree. I loro maggiorenti, i malik o i khan, partecipavano come grandi elettori alle diete degli anziani, le jirga, dove si prendevano le decisioni politiche e militari. Un re senza lappoggio delle famiglie, lo si visto, iso- lato e ben presto deposto. In questo sistema feudale linserimen- to dellappoggio britannico a vantaggio di uno o di un altro khan ha dato sempre buoni frutti. Quando si parla quindi di politica di annessione, si intende sempre lelaborazione di un sistema di accordi e contropartite tra il potere centrale e i khan locali, basati spesso sullesistenza di relazioni parentali, presenti o passate, di grado diretto o lontano. Lo scontro militare sempre lultima opzione, spesso in risposta ad un casus comunque legato alla sfera etica o giuridica, a meno che non si tratti di guerra difensiva o di jihad. Quando poi la guerra scoppiata essa viene combattuta con le milizie (lashkar) dei vari khan che costituiscono lalleanza del re. La fedelt di questi di conseguenza vitale per la conduzione del conflitto e va da s che questa ripagata con la concessione di 81 titoli terrieri o politici. La guerra combattuta per scontri a bassa intensit, raramente con battaglie campali, pi spesso con scaramucce e assalti isolati, combinati con un gioco di interfe- renze politiche sullaltrui schieramento, che spesso si rivela pi fruttuoso del combattimento stesso. Si tratta pertanto di episodi bellici brevi, inseriti in conflitti a lunga durata, talvolta pi simili ad una partita a scacchi che alla guerra europea moderna. Nel 1918 scoppi la seconda guerra col Dir: lalleanza del Dir tent di sfondare oltre Shamozai con la battaglia di Khazana, in cui venne preso prigioniero e poi ucciso Shirin Sahib, zio del Badshah. Lanno successivo ricominciarono le ostilit (terza guerra col Dir). Le forze nemiche vennero inizialmente respinte, ma in un secondo attacco queste sfondarono ed arrivarono fino a Matta nel medio corso dello Swat. Nello stesso tempo il Nawab di Amb inizi le operazioni da sud-est per annettersi il Buner. Si ricorda unepica battaglia sul passo di Karakar vinta dal Badshah. In contemporanea si apr un terzo fronte con la ribellione del Khan di Miandam (alto Swat). Il Badshah paziente e sa combattere secondo larte degli scacchi, col ragionamento, ma sa anche tessere personaggio carismatico, dagli occhi magnetici, si dice unabile tela di rela- zioni e alleanze, che sapr poi usare in modo opportuno, e opportunamente ricompensare. Nel 1921 inizi lannessione dellalto Swat (Kalam). Questa fu senzaltro suggerita dallesistenza col di fazioni potenti ostili allo Stato, ma anche da un ragionamento strategico semplice ed acuto. La politica dello Stato doveva fare qualcosa che preoccu- passe i Britannici, doveva farsi notare, far finta di tentare subito di avere cento, mirando in realt a venti. Se il Badshah avesse tentato lannessione del tridente vallivo di Kalam, lui lo sapeva, lazione sarebbe echeggiata molto in alto a Peshawar. Se avesse spinto i Britannici a intimare linterruzione di ogni attivit politi- ca a Kalam, si sarebbe giunti ad un accordo. Nellaccordo si sarebbero potute negoziare la questione della terra di Shamozai contesa col Dir e la questione del Buner. Non solo: il veto britan- nico sullalto Swat avrebbe escluso future pretese del Dir e del Chitral. Con una mossa sola lo Stato sarebbe stato salvo. Ecco in breve i risultati. Nel 1922 vi fu un accordo tra lo Stato e lamministrazione britannica che riconobbe la sovranit dello Stato sulla riva destra. In seguito laccordo venne confermato sulla parola dal 82 Fig. 11 - Lultimo Wali dello Swat. (Da Barth 1995). figlio cadetto del Nawab e dal maggiore feudatario del Bajaur, il Khan di Khar. Il fatto che laccordo, pur sfavorevole allo Stato, fosse stato siglato, mise in buona luce il Badshah presso i Britan- nici, che concessero carta bianca alle annessioni verso sud fino ad Ambela e sud-est fino allIndo. Nello stesso anno e in quello seguente inizi lannessione del Buner. La maggior parte delle fazioni Bunerwal era favorevole allannessione, tranne i Mian di Sar che andarono in esilio a Chakesar fino alla presa del Puran. Dopo atto formale di sotto- missione vennero reinsediati e ammessi alla carriera militare nel- lo Stato. Nel 1923 il figlio maggiore Jahanzeb fu dichiarato waliahad, principe ereditario. Nel 1926 si ebbe la formale recognition della carica di Badshah (in his personal capacity) da parte delle autorit britanniche con conseguente conferma da parte del darbar (riunione plenaria) delle fazioni dei khan dello Swat. Vennero installate le linee telefoniche. Inizi lespansione verso lIndus Kohistan nonostan- te il jihad chiamato dal mullah Mazub contro il Badshah. Il tridente di Kalam, reclamato per motivi etno-linguistici dal Mehtar del Chitral e dal Nawab del Dir e, per ragioni geo- grafiche, dallo Stato, venne dichiarato area di interesse britan- nico. Ogni tentativo di annessione venne impedito dal veto di Peshawar. La partita a scacchi era vinta. 84 UNA VIA VERSO LA MODERNIT (1927-1969) Nel 1927 il Badshah, con lausilio di ingegneri britannici, complet la strada per lalto Swat. Si trattava del segno di una collaborazione, in cui ora Peshawar credeva e che serviva alla sua politica. Nel 1939 verr completata, sempre dai contingenti sap- pers (genieri) britannici, la strada del passo di Karakar verso il Buner. La strada del Karakar era considerata dallamministrazio- ne imperiale unimportante alternativa a Malakand. La strada sarebbe servita un giorno, quando lAmministrazione avesse voluto, comera nelle intenzioni, creare a Kalam unagency, intesa come unulteriore tessera nel mosaico di protettorati costruiti nellHindukush-Karakorum. Lo Stato sarebbe stato allora una cerniera sicura verso Gilgit, cos come Dir lo per Chitral. Que- sto progetto non si realizzer mai: ci sar una guerra mondiale e poi alle porte la fine dellImpero in India. Un certo Iskandar Mirza era Assistant Commissioner ad Abbottabad; il Badshah avr modo di conoscerlo e di stringere con lui una forte amicizia, senza sapere che costui sarebbe stato il futuro Presidente del Pakistan. In questo clima di tranquille relazioni con lamministrazione di Peshawar, si svolse la prima ricognizione archeologica dello Swat, quella dellallora gi celeberrimo esploratore anglo-unghe- rese Aurel Stein. Egli fu il primo occidentale (esclusi i membri dellAmministrazione) ammesso a visitare lo Stato. Le pagine che egli dedica allaccoglienza ricevuta, allospitalit illuminata del Badshah, ai progressi civili che riscontr nello Stato, sono importanti quanto quelle dedicate alle scoperte archeologiche. Sullimportanza dello Swat per larcheologia si deve dire ben poco, dopo i capitoli che vi abbiamo dedicato. Ricordo per un passo del primo grande studioso dellarte del Gandhara, Alfred Foucher, che scrive daver vagheggiato dalle colline di Malakand di poter un giorno visitare lo Swat, le cui imponenti rovine si doveva limitare a rimirare col binocolo. Ecco, il sogno di Fou- cher, mutata la temperie politica, divenne realt con Aurel Stein. Lo Swat divenne terra nota ac celeberrima tra i cultori dellarte e dellarchitettura buddhista. Tra i progetti politici che il Badshah, nel nuovo clima politi- co, pot avviare tra il 1928 e il 1932, vi era quello rivoluzionario della politica di sedentarizzazione dei feudi, fino allora mobili e sottoposti a periodica rotazione. Il progetto interveniva sulla pri- ma legge scritta degli Yusufzai, attribuita, come s visto, al leg- gendario wazir Sheikh Malik, subito dopo leccidio di Kabul. La creazione di feudi permanenti significava possibilit di controllo, gestione delle alleanze, controllo delle decime, ma soprattutto comportava un mutamento culturale profondo verso la propriet terriera. I khan sarebbero stati spinti ad utilizzare i terreni per colture stabili, come i frutteti, a costruire e mantenere infrastrut- ture come canali, pozzi e strade, per valorizzarli. Una seconda rivoluzione riguard la creazione di un esercito permanente al posto del sistema di reclutamento feudale (lashkar). Politicamente lo Stato era considerato ora un interlocutore valido. Valga a dimostrarlo questo esempio. Verso il 1929 il Bad- shah sistem, a seguito di accordi con le famiglie yusufzai di Mar- dan, a vantaggio dello Stato i confini con il distretto britannico di Peshawar. Come contromossa i confini in certe aree orientali vennero sistemati dai Britannici a svantaggio dello Stato. Il Bad- shah pot fare la voce grossa a Peshawar e ottenere i diritti terri- toriali inizialmente negati. Lanno successivo vi fu poi un forma- le darbar in onore del Vicer Lord Irwin a Saidu Sharif, in 86 Fig. 12 - Paesaggio di Malakand. occasione del quale il Badshah fu insignito dellOrdine di Knight of the British Empire. Nel frattempo, pi a sud scoppiavano dei disordini a Peshawar causati da problemi con gli Afridi e i Moh- mand, innescati secondo le autorit britanniche dalle Camicie Rosse di Abdul Ghaffar, un movimento indipendentista pashtun che avrebbe avuto un ruolo chiave negli anni a venire. Le turbo- lenze nellarea del Khyber saranno ricorrenti fino al 1939 e pro- seguiranno anche durante la II Guerra Mondiale. Leco del movimento indipendentista, che risuonava dallIn- dia peninsulare, arriv anche nello Stato. Nel 1931 fu risolto in modo spiccio laffaire di Sundia Baba, mullah arrestato dal Bad- shah e morto in carcere con laccusa di aver agitato i territori dello Stato che si affacciano sullIndo: Chakesar, Puran, Kana, Ghorband, Besham. I Britannici, che si possono immaginare istigatori della repressione, ritenevano, certamente a torto, che dietro le agita- zioni ci fosse il Movimento delle Camicie Rosse (che veniva pre- sentato per motivi propagandistici come bolscevico). Questo movimento e il suo leader, Abdul Ghaffar, erano assai temuti: il movimento resistette ai numerosi tentativi di repressione, il suo capo, chiamato il Gandhi della Frontiera, pass gran parte del- la sua vita in carcere. Il movimento fu considerato ora vicino allURSS, che aveva ripreso la politica zarista in questa parte del- lAsia, ora vicino alle potenze dellAsse, con i cui emissari vi furo- no certamente dei contatti. Lultima cosa che i Britannici voleva- no era che il fisiologico anarchismo tribale si saldasse a un elemento ideologico. In quel caso sarebbe stato difficile poi giocare la loro solita politica a strategia intermittente basata sul divide et impera. In risposta e come segno di buona volont nel 1932, a fianco delle repressioni, i Britannici decisero di innalzare lo status della NWFP da Chief Commissionership a Chief Governorship, con la nomina a Chief Minister di un pashtun, Sahibzada Abdul Qayyum, cui succeder il fratello di Abdul Ghaffar, Khan Sahib. Questa nuova politica, inutile dirlo, non dar i frutti sperati. Dopo che nel 1933 i Britannici concessero la loro recognition alla nomina di Miangul Jahanzeb a Waliahad (in his personal capacity), inizi un lungo periodo di raffreddamento nei rappor- ti tra il Badshah e il figlio, cui consegu laumento del potere del gabinetto dei Ministri (Waziran). Non facile capire le ragioni di questa freddezza: forse il Badshah non vedeva di buon occhio 87 langlofilia dellerede? temeva di essere estromesso anzitempo? era una forma di educazione pel futuro Capo di Stato? Personalmente ho sempre ritenuto che lo Yusufzai State of Swat sia stato, nella realt, un ente indipendente. Ci detto, cre- do che in molti aspetti della sua vita, esso abbia dovuto ascoltare i suggerimenti di Peshawar, come nellaffaire di Sundia Baba, oppure nel suo ruolo di argine alla diffusione delle idee rivolu- zionarie e indipendentiste delle Camicie Rosse (ruolo che lo Sta- to mantenne anche dopo il 1947 rispetto alle suggestioni di uno Stato pashtun ventilate oltre Frontiera da Kabul, il cosiddetto Pukhtunistan). Ora, anche nella risoluzione della freddezza tra il Badshah e lerede al trono si pu leggere forse la pressione delle autorit britanniche? Sta di fatto che i rapporti tra Peshawar e il Waliahad erano divenuti molto stretti. Quando costui venne insi- gnito dellordine di Companion of the Indian Empire, era maturo il tempo per il suo ritorno a palazzo (1940). Inizialmente fu nomi- nato Capo di Stato Maggiore dello Stato, e subito il principe ini- zi a riorganizzare lesercito, con nuove strutture e nuove unifor- mi, sul modello che egli aveva avuto modo di studiare presso i Britannici. Nel 1943 venne nominato Chief Minister, fatto che corrispose allesautorazione dei Ministri. Iniziava allora quella politica sulleducazione e la sanit pubbliche, avviata dal Badshah nel 1925, quando venne costruita la prima scuola elementare, che far dello Swat una punta avanzata in tutto il Sub-continente indiano e segner la prima manifestazione delle capacit di stati- sta del futuro Wali. Lo stesso anno fond lUniversit Islamica (Dar-ul-Ulum) di Mingora; nel 1950 permetter la costituzione di una scuola cattolica a Sangota (Public School Sangota; distrut- ta da un attentato nellottobre 2008); nel 1952 fonder il Jahan- zeb College (Graduate College dal 1954). Allatto della fusione dello Stato nel Pakistan, nel 1969, il sistema di istruzione avr portato lindice di alfabetizzazione al 20%, con 40.000 alunni e 300 istituti. Lanno successivo nacque lamicizia tra il Waliahad e lallora semplice Major Ayub Khan, futuro Capo di Stato Maggiore e poi Presidente del Pakistan. Lorologio della storia stava andando sempre pi avanti. 1947: Partition dellImpero Britannico. Il ramo regnante dei Miangul appoggi politicamente la Muslim League e non lAwami National Party (ANP) discendente delle Camicie Rosse, partito secessionista pashtun. Quellanno rappresent la fine dellinge- 88 renza diretta della Gran Bretagna sugli affari interni dello Stato, nonch lannessione completa e formale dellarea di Kalam, con conseguente completamento dellespansione dello Stato. In quellanno fin un Impero, nacque la Repubblica Islamica del Pakistan, si complet la struttura dello Stato. Il primo atto dello Stato nel nuovo panorama fu segno ine- quivocabile di una nuova fedelt gi manifestata con lappoggio alla Muslim League di Ali M. Jinnah, il fondatore del Pakistan, il Qaid-i Azam. Questo primo atto fu la partecipazione delleserci- to dello Stato alla prima guerra indo-pakistana in Kashmir. Il secondo atto fu formalizzato nel 1949, con labdicazione di Bad- shah Saheb a favore del figlio il Waliahad Miangul Jahanzeb, che divenne Wali. Va notato che anche in questo senso il ruolo dello Stato fu funzionale al processo di normalizzazione delle forze in campo. Lidea della secessione pashtun, ovvero la creazione del cosiddetto Pukthunistan a cavallo della linea Durand, come si gi detto, non incontr mai favore nello Swat. La famiglia Miangul, al contrario di alcuni membri delle dinastie regnanti in Chitral e in Dir, non ader mai allidea di uno Stato pashtun che veniva propagandato da circoli intellettuali e governativi afghani, anzi la rigett decisamente. Ne fu segno chiaro anche il non gradi- mento della presenza politica dei membri dirigenti dellAwami National Party, almeno fino al 1967. Dal 1950 inizi unattivit legislativa volta a modernizzare la struttura sociale dello Stato, innanzitutto limitando il potere feu- dale. Lanno successivo si verific la ribellione di alcune famiglie feudali, che fu presto sedata. Sempre in questanno il nuovo principe ereditario Aurangzeb iniziava la carriera militare nel- lesercito pakistano. Nel frattempo, al di fuori dei confini dello Stato si inaugurava la catena delle morti eccellenti con lassassi- nio di Liaqat Ali Khan, Primo Ministro del Pakistan. Nel 1954 avveniva la firma del trattato bilaterale (Instrument of Accession) con il Pakistan su questioni territoriali e su questioni relative la Difesa, Comunicazioni, Affari Esteri, sistema valutario (affari che divennero di competenza pakistana), le Finanze, non- ch lappannaggio reale. LInstrument of Accession conservava per allo Stato, in forza del peso politico del suo sovrano, la tota- le autonomia di governo, al contrario di quanto era avvenuto con gli altri dieci principati del Pakistan: Chitral, Dir, Amb, Bhawalpur, Khairpur, gli Stati del Baluchistan, ecc. In questi le dinastie regnanti assunsero il ruolo formale di caretakers per con- 89 to della neonata Repubblica e di fatto vennero assorbiti in tempi diversi dal Pakistan. Nello Stato invece venne soltanto introdotto un Consiglio di Stato, presieduto dal Wali, con 15 membri eletti e 10 di nomina reale. Il Consiglio di Stato sar solo uno strumen- to formale, mai utilizzato e ben presto esautorato. I fatti che seguono la firma del trattato sembrano segnare le tappe verso quella che sar linevitabile conclusione: laccessione dello Stato al Pakistan. Si trattava per il Wali di allungare i tempi per completare il suo programma politico e concedere allo Swat il maggior numero possibile di privilegi e diritti. I passi che ven- gono compiuti rivelano la natura dello statista. Vi rientrano la visita del Wali in Europa, in Gran Bretagna soprattutto; il matri- monio di Aurangzeb con la figlia maggiore del generale Ayub Khan, Capo di Stato Maggiore dellesercito pakistano sotto la presidenza di Iskandar Mirza, anchegli amico di antica data; linizio delle attivit della Missione Archeologica Italiana del- lIsMEO. Nel 1958 venne sospesa la Costituzione in Pakistan: il genera- le Ayub Khan, suocero del Wali, fu nominato Chief Martial Law Administrator. In questo panorama acceler il processo di nor- malizzazione dei principati, a volte sfruttando fattori episodici, forse enfatizzati ad arte. Sembra questo il caso del cosiddetto incidente del 1960, mai spiegato nei dettagli. Sembra che il principe cadetto del Dir, il Khan di Jandul, avesse stipulato accor- di segreti a Kabul di natura ritenuta ostile agli interessi pakistani. Il Nawab del Dir venne deposto manu militari e il principe eredi- tario Khusro fu posto sul trono, ma sotto il controllo di un Politi- cal Agent. Di fatto ci signific lannessione informale del Dir. Nel frattempo nello Stato incominciavano a dare frutti le politiche di riforme avviate gi dal 1928 e accelerate dal 1950, ma anche linserimento dello Stato in un contesto di mercato nazionale. Si registra una sensibile crescita delle attivit economi- che nello Swat (agricoltura, frutticultura, commercio, industria tessile) e il progressivo aumento dellinfluenza delle famiglie di commercianti: nello Swat stava nascendo un ceto medio-alto borghese, che contribuir al processo dinamico di modernizza- zione in corso, ma soprattutto a fare dello Swat la regione econo- micamente pi avanzata di tutta la NWFP. Nel lustro successivo si raccolsero poi i primi risultati del pro- getto pensato dal Wali per gestire linevitabile transizione verso il Pakistan: nel 1961 vi fu la visita ufficiale della Regina Elisabetta II 90 Fig. 13 - Il Wali, Ayub Khan ed il terzo figlio del Wali. (Da Barth 1995: fig. 14, particolare). e del Principe Filippo nello Swat; nel 1962, con la fine della legge marziale e le nuove elezioni, Ayub Khan divenne Presidente; nel 1963 si ebbe linaugurazione dello Swat Archaeological Museum a Saidu Sharif; nel 1965, con lo scoppio della seconda guerra indo-pakistana, lesercito dello Stato era di nuovo presente sul fronte del Karakorum. Nel 1967 il Wali concedette infine il permesso a Wali Khan, figlio di Abdul Ghaffar, leader dellAwami National Party, di costruirsi una residenza estiva nellalto Swat. Questo fatto, appa- rentemente insignificante, in realt nascondeva un panorama ben diverso. I giochi relativi allaccessione al Pakistan erano con- clusi, nessuna concessione ai partiti rivali poteva essere pi inter- pretata come il segno dun diverso progetto, tantomeno quello secessionista degli eredi delle Camicie Rosse. Nel 1969, sotto la breve presidenza del Generale Yahya Khan, lo Yusufzai State of Swat cessava di esistere; lanno successivo sali- va al potere Zulfikar Ali Bhutto, leader e fondatore del Pakistan People Party (PPP), poi ci sar la secessione del Pakistan Orien- tale (Bangladesh). In due anni finiva unepoca. 92 LA PARTITION INCOMPIUTA C sempre un destino nei nomi. Nella cultura pakistana con il termine partition si ricorda con orgoglio la separazione dallIndia, e non improbabile che di l, in India (ma non ho lesperienza per cogliere questa sfumatura), significhi, a rovescio, la stessa cosa. Mi sono sempre sorpreso di come si preferisse dimenticare che in realt con partition i Britannici intendevano molto semplicemente la spartizione dei territori indiani della Corona tra nuovi soggetti. La partition stato lultimo e pi controverso degli atti di una potenza coloniale, sebbene anche linizio della storia di due (poi diventati tre) nuovi Stati. Il concetto di partition come separazione storicamente forte in Pakistan e si rif allideale nazione per tutti i musulma- ni dIndia vagheggiata dal grande poeta e letterato Allama Muhammad Iqbal, lautore di Asrar-i Khudi (I segreti dellIo, 1915). Il concetto di partition come atto giuridico di spartizione dellImpero invece politicamente controverso. Addirittura giuridicamente debole, laddove lo si applichi a quella fascia terri- toriale compresa fra i distretti amministrati (D.I. Khan, Bannu, Kohat, larea di Peshawar e il Khyber, Mardan, Malakand) e il confine astratto segnato dalla linea Durand. Se prendiamo in esame le terre nazionali (fines gentium) dei Wazir e dei Mahsud (Waziristan), dei Turi (Kurram), degli Orak- zai (Tirah), degli Afridi (Khyber), dei Mohmand, e in parte quel- la dei Mamund (Bajaur), ecc., noteremo che queste non hanno mai fatto parte del territorio amministrato dalla Corona. I disordini tribali, che si scatenarono dal 1927 al 1933 tra i Mohmand, dal 1936, tra i Wazir, istigati dalla figura poco studiata del Fakir di Ipi (al secolo Mirza Ali Khan della trib dei Turi), furono parte delle campagne successive alla terza guerra anglo- afghana (1919) e alla strategia di mantenimento del confine con lAfghanistan. Alla fine tale strategia non port nulla di nuovo, non ci furono mutamenti territoriali, si torn allo statu quo ante. Non ci sarebbe comunque stato il tempo di sfruttare gli eventuali vantaggi. Poco tempo dopo scoppi la II Guerra Mondiale e i governi dellAsse poterono contare sulle trib irredente e i loro capi (tra cui il Fakir di Ipi) in funzione anti-britannica. Se nulla fu concluso, di quel poco che si tent, ci si dovette pi che altro alla scarsa convinzione e alle sostanziali divisioni in fatto di politi- ca indiana tra le cancellerie dellAsse. I movimenti dellamministrazione britannica nella fascia ter- ritoriale in questione si possono comprendere con chiarezza dal- la serie di trattati e accordi che furono siglati in vari momenti con i Chiefs delle trib. Ne abbiamo a disposizione unimportan- te collezione negli undici volumi curati da C.U. Aitchison, di cui stata recentemente ripubblicata la sezione dedicata alla NWFP, che arriva al 1930 (vedi Bibliografia). La documentazione relativa allo Swat, al Dir e al Chitral e alle aree tribali circonvicine, riguarda per lo pi agreements con- cernenti il lasciapassare di truppe, il vialibera sulle principali strade, il mantenimento delle linee telegrafiche, ecc., in cambio di appannaggi annuali, esenzione di tasse, garanzie politiche e territoriali, e cos via. In poche parole, essi rappresentano ine- quivocabilmente il quadro dei rapporti e il reale bilanciamento delle forze in campo. Sul piano politico i territori dello Swat, del Dir e del Chitral, in quanto entit statali compiute, dopo il 1947 cambieranno semplicemente interlocutore e, come si visto, giungeranno allannessione col Pakistan attraverso una serie di passi giuridici formalizzati. La situazione cambia sensibilmente nelle aree tribali al di fuori dei confini posti sotto lamministrazione coloniale. Gi se prendiamo in esame i documenti relativi al territorio dei Mohmand, uno dei pi vicini allo Swat, si vede come questi vertano sugli accordi economici relativi alla protezione di infra- strutture che costeggiavano i loro confini, come la Kabul River Railway e il Kabul River Canal. In pratica i Mohmand erano pagati come mercenari: una forma come unaltra per comprare la pace. La consueta formula di apertura di questi trattati (Noi e la nostra trib conserveremo relazioni amichevoli con il Gover- no Britannico) indica chiaramente che la trib era fuori dal- lamministrazione britannica, era libera, e tale sarebbe rimasta fino al 1947. La documentazione relativa agli altri territori va sempre nella stessa direzione, con eccezioni, cambiamenti di 94 alleanze, accessioni temporanee di territori, ecc. Spesso porzioni di territori erano prese in affitto dai Britannici per la costruzione di infrastrutture o campi militari. Ci significava il riconoscimen- to implicito della propriet tribale, ovvero il suo diritto sub iure privato, si badi bene, non la mera propriet (in senso privatistico, quella che impone ad esempio allo Stato moderno di compensa- re i terreni alienati a privati per interessi pubblici). I rapporti che riguardano la gestione dei fuoriusciti, dei ricercati, erano condotti, almeno sulla carta, come se i firmatari dellaccordo fos- sero stati due enti sovrani legittimi entrambi: si trattava quindi evidentemente di atti e accordi che rientravano nelle questioni di politica estera. Al momento della Partition i diritti naturali implicitamente riconosciuti per motivazioni di comodo, vennero negati sulla base di ragioni giuridiche e di strategia globale. Sugli errori etici e psicologici della politica britannica verso i diritti delle trib, si leggano le parole introduttive di H.G. Raverty al suo Dictionary: Dai rapporti che ho avuto con gli Afghani per via delle mie ricerche linguistiche e letterarie negli ultimi dodici-quattordici anni, so per certo che gli Afghani orientali [i.e. Pashtun] sono desiderosi di coltivare la nostra amicizia [...]. Lerrore di non essere stati in grado di cogliere questa occasione doro e di costruire dei rapporti amichevoli, ricade interamente sulla nostra responsabilit. Occorre sempre ricor- darsi una cosa: queste genti sono, per disposizione e tempera- mento, non molto diverse dagli Irlandesi o dagli Highlanders scozzesi di un secolo o due fa. Possono essere influenzate ma non guidate, e unattitudine arrogante e dominatrice [...] pro- durr un effetto contrario su questi liberi ed indipendenti figli delle montagne. (Traduzione dellAutore). Viene da chiedersi quanto siano attuali queste raccomanda- zioni. Viene anche da chiedersi se siano mai state meditate a fon- do le pagine di uno dei pi lucidi libri mai scritti sulla Frontiera, The Pathan Borderland del diplomatico americano James W. Spain (1963), soprattutto laddove si sottolinea quanto poco lelemento religioso abbia influito sulle turbolenze tribali, quanto invece molto abbiano influito negativamente aspetti pi propriamente etici, giuridici, psicologici. Scrive Spain: Per quanto sia difficile generalizzare, appare chiaro che i Pashtun nella loro lunga storia di rivolte abbiano combattuto principalmente per il diritto di essere liberi [...] Alla base 95 lobiettivo di ogni Pashtun altamente individualistico e auto- cosciente, con poco in comune con certi sofisticati concetti quali lauto-determinazione dei popoli e leguaglianza tra gli uomini. (Spain 1963: 191-92, traduzione dellAutore). Le trib hanno continuato a considerarsi legittimamente indipendenti, anche perch abituate da secoli a rispettare (da lontano) i grandi imperi, eventualmente a godere i frutti della stabilit da essi prodotta, ma mai a farne parte. Daltra parte i Britannici hanno considerato de facto quei territori come sottopo- sti al loro controllo. Di pi: siccome il principale risultato britan- nico, almeno durante gli anni 20-30, fu quello di aver tenuto lontane le trans-border tribes dalle ingerenze di Kabul, quei territo- ri andavano considerati non afghani, quindi, secondo il sillogi- smo implicito nella linea Durand, erano parte dellImpero. In questa forma sono stati consegnati al neonato Pakistan, che li ha s inclusi nel suo territorio, ma senza potervi esercitare piena sovranit e gestendoli come aree tribali semi-indipendenti, un po come fece con i principati prima della loro annessione. Ancora oggi in quei territori vigono diritti transfrontalieri ed esenzioni fiscali totali; la giurisdizione esercitata secondo con- suetudini e princpi locali; polizia ed esercito governativi, quando presenti, sono semplici osservatori, addirittura la partecipazione parlamentare definita in base a delle quote fisse. Si pu parago- nare questa situazione con quella che si incontra tuttora nelle cosiddette Northern Areas. Queste ancora rimangono disputed ter- ritories, il loro confine con il Kashmir e il Ladakh indiani non ratificato dal 1949. In queste aree, che lo stesso Pakistan non pu considerare compiutamente territorio nazionale, vigono diritti completamente differenti dal resto del Paese: non vi sono rappre- sentanze parlamentari, v esenzione fiscale totale, la propriet del sottosuolo libera, ecc. Daltra parte il Pakistan controlla le principali arterie (in primis la Karakorum Highway) attraverso check-points e guarnigioni nei punti nevralgici, spesso lontani dalla vita comune, sui ghiacciai al confine con lIndia. Il controllo governativo, dalle popolazioni kohistani, hunzakut e baltit, da sempre indipendenti o autonome, considerato di tipo coloniale. Il problema rimane sempre il medesimo: se con i principati stato possibile arrivare allaccessione, in quanto enti definiti in termini giuridici e spaziali, con i territori tribali, no. Il problema, a mio avviso, fondamentalmente di tipo giuri- dico, o meglio, riguarda la difficolt di riconoscere alle trib il 96 diritto naturale sui loro territori. Laddove tale diritto fosse consi- derato, era per subordinato al diritto europeo, che, dallinizio delle guerre coloniali ha voluto modificare lantico ius gentium e di conseguenza lantico ius belli (che garantivano in astratto pari trattamento a tutti i regni dellorbe terracqueo, compresi quelli delle terre incognitae). Si andato creando unilateralmente un corpus normativo (corollario allo ius publicum Europaeum) total- mente sbilanciato a favore delle potenze coloniali a causa di una reclamata e presupposta primaza morale, religiosa, storica e razziale (su questo tema si leggano fondamentali pagine di C. Schmitt). Laver lasciato questa situazione in eredit al nuovo Pakistan una responsabilit britannica per latto politico, ma in generale occidentale per la costruzione del suo retroterra giuridico. In questo senso, come vendendo un bene su cui pesi una ser- vit si trasmette al nuovo proprietario lobbligo di rispettare det- ta servit, con ci determinando un possesso incompiuto, cos, allo stesso modo, chiaro che in queste aree la partition, come spartizione, stata incompiuta. Se questo capitolo cominciato col destino di una parola, vuole terminare collaccenno al destino di un altro nome, che da anni si discute di cambiare, ovvero quello della provincia che rac- coglie tutti i territori, di cui ci siamo andati occupando. Il Paki- stan ha ereditato una North-West Frontier Province, ma non ha una East, South o North Frontier Province. probabile che negli anni successivi alla partition, nel defini- re la struttura amministrativa dello Stato, tutto il ragionamento che si fatto finora fosse ben chiaro agli uomini che reggevano le sorti del Pakistan, cos come doveva essere chiaro, e neanche detto sottovoce, a Londra. Questo estratto delle risposte del Pri- mo Ministro conservatore Sir Antony Eden alle domande di Sir C. Mott-Radclyffe deputato del suo stesso partito (dalla gazzetta ufficiale britannica Hansard del 1 marzo 1956) particolarmente significativo in tal senso: una volta liberato dal formalismo politi- co, vi si mostra una sostanziale, irresponsabile incertezza, rivelata peraltro da certi dettagli lessicali. PM: Lopinione dellattuale Governo di S.M., analogamente a quella dei precedenti, la seguente. Nel 1947 il Pakistan nato come un nuovo, sovrano ed indipendente membro del Com- monwealth. Il Governo ritiene che esso sia lerede della Corona nei territori della NWFP del Sub-continente, sia nelle aree 97 amministrate che in quelle non-amministrate (administered and non-administered areas) e che eserciti questo diritto col pieno consenso della stragrande maggioranza della popolazione di lingua pashtun. Il Governo appoggia completamente il governo del Pakistan nel mantenere la sua sovranit sui territori ad est della linea Durand, e nel considerare tale linea come la sua frontiera internazionale con lAfghanistan [...]. M.-R.: Mi domando se posso chiedere al my right honourable friend se non sia un fatto che, dopo il trasferimento del potere nel 1947, la maggioranza dei capi tribali abbiano espresso il desiderio di entrare a far parte (part and parcel) del Pakistan e di essere amministrati nel senso meno vincolante possibile (in a loose sense) dal Pakistan. PM: Non sono in grado di rispondere allultima parte del- la domanda supplementare del mio onorevole collega (friend), ma secondo le informazioni in mio possesso, non dovrebbero esistere significative porzioni della popolazione di queste aree, che siano in qualche misura insoddisfatte del loro presente status di cittadini pakistani. Viceversa tutte le indicazioni che abbiamo ci fanno pensare il contrario. (Caroe 1958: 465-66, traduzione dellAutore). 98 TEMPO DI UCCIDERE Islamabad, 10 settembre 1999 Lestate del 1998 fu calda ma non umida. Ricordo un pomeriggio sullo scavo Roberto ed io. La cima del colle di Barikot verso le sei. Un vento caldo soffiava dalla testa della valle, ini- zialmente blanda brezza che mont rapidamente in burrasca: una nube grigia copr il cielo e ci venne incontro. In un attimo una tempesta di sabbia ci costrinse piegati nelle trincee pi profonde dello scavo. La luce del pomeriggio divenne un arancione uniforme riflesso dalle particelle sospese e turbinanti. La tenda si strapp via dai picchetti e a stento gli operai ne contennero i movimenti convulsi. Lestate del 1998 fu caratterizzata da preoccupanti segnali: gli USA dopo gli attentati di Nairobi e Dar es-Salaam richiamavano in patria il personale non operativo delle ambasciate in Asia; cera una certa tensio- ne in Pakistan; al bazaar di Mingora cera per la solita aria flemmati- ca e febbrile a un tempo. In anni passati, ricordo il 1995 e il 1996, si avvertiva qualcosa di strano, ora no. Il fenomeno dei cosiddetti black turbans, i fedeli a oltranza (come direbbe Naipaul) della Shariah, sembrava rientrato. Finito lo scavo il 28 agosto con Roberto e Alessandro (che era venuto semplicemente in visita) partimmo per il Khunjerab Pass. Fu una bellis- sima gita di quattro giorni, fino al confine con la Cina a oltre 4.500 metri di altezza. Al ritorno fummo bloccati un paio di volte dalle frane, pioveva parecchio, ed eravamo preoccupati di arrivare in tempo a casa perch Alessandro aveva a giorni il volo da Peshawar. Era un tardo pomeriggio nuvoloso e ventoso, quando in macchina entrammo a Mingora da nord. I negozi erano tutti chiusi e cera una gran folla in giro, come a Roma intorno allo stadio alluscita dalla partita. Stracci di striscioni ballavano al vento, mentre tutta la strada era un vorticare di brandelli di volantini; i muri erano tappezzati di manifesti. Unaria stanca perva- deva le facce della gente, non cera tensione, n grida, n slogan, solo silenzio e smobilitazione. Al mattino, saranno state le 11, ero in biblioteca a casa, quando arriv Arshad Khan (allora lavorava al Secretariat di Peshawar). Fui sorpreso, lo sapevo a Peshawar, ma lui pi di me. Ancora state qui? Ma non sapete nulla?. Mi raccont che era stata emanata una circolare a tutti i Chief Commissioners dei distretti della zona di Malakand, con cui si invitava a evacuare tutti i residenti stranieri per ragioni di sicurezza (era stata minacciata una 24 hours deadline sugli stranieri). Devo dire che presi sottogamba lavviso, anche perch non considerai ufficiale la visita di Arshad. Io decisi comunque di fermarmi (cerano da pagare gli operai, fare il service alle macchine, ecc.), Roberto decise di rimanere con me. Alessandro, che aveva il volo il giorno dopo, sarebbe partito comunque, ma vestito con lo shalwar kamiz, labito pakistano; Akam Khan and al bazaar a prendere il vestito; mi accordai con Alessandro e il suo autista: il doctor saheb sarebbe dovuto passare per muto, per il resto carnagione e barba andavano bene; insomma pi che altro ci scher- zammo sopra. Verso le 7 di sera, avevo quasi dimenticato la cosa, venne la polizia a casa a intimarci levacuazione immediata. Mi opposi e, dopo aver parla- to con Roberto, chiesi un incontro personale con il Chief Commissioner. 100 Fig. 14 - Mingora. Riuscii a dilazionare la partenza, che il Chief considerava mandatory, sir, alle 11 della notte stessa. Da quel momento in poi si cerc di fare in poche ore quello che si faceva in due giorni. La macchina era al villaggio dellautista, bisognava recuperarla; io non avevo contanti e dovevo pagare tutti. Una serie di circostanze fortuite ci permise di sbrigare quasi tutto, compresa la consegna dei ritrovamenti di scavo al Museo (black- out elettrico durante la conta degli oggetti!). Alle 11 raggiungemmo, scortati dai nostri di casa lo Swat Hotel, da dove il convoglio sarebbe par- tito per Islamabad. In tutto eravamo cinque occidentali e un pakistano: noi tre, una coppia di inglesi, unamericana col suo segretario punjabi. Partimmo con la scorta e a ogni confine di distretto, cambiava la scorta (Landakai, Malakand, Mardan, Nowshera, Attock, Islamabad). Solo una squadra di poliziotti rimase sempre con noi, dovevano farsi firmare l handover dalle nostre ambasciate. Alle 4 entrammo in unIslamabad spettrale, vuota, con i giornali che, stracciati dal vento, vorticavano nelle avenues (mi ricordo, pensai ad una scena de Linfernale Quinlan di Orson Welles). Al mattino sapemmo dai giornali che eravamo stati ono- rati da una taglia di (soltanto) diecimila dollari. Londra, 26 giugno 2006 Interludio a Londra. 7 luglio 2005. Massimo, Roberto, Emanule ed io lasciammo il nostro alloggio di Earls Court. Ci fermammo troppo a lungo a fare colazione in una caffetteria. Eravamo in ritardo, dovevamo correre al British Museum, dove si svolgeva il convegno di South Asian Archaeology. Massimo parlava quel giorno, io il giorno seguente, mi pare. Quando entrammo in stazione per prendere la Piccadilly, sentimmo gli altoparlanti che avvisavano di uninterruzione della linea elettrica. Una massa di gente risaliva verso lesterno. Uscimmo a piedi di corsa verso il bus. Quasi corremmo lungo Oxford Street, traversammo Charing Cross e entrammo al British in ritardo. Unaria surreale, silenzio, sirene, silenzio. Sapemmo allora che mentre facevamo colazione cera stato un attentato sulla Picca- dilly e che, mentre correvamo verso il museo, alle spalle di questo, un bus esplodeva vicino Russell Square. Nel 1998, qualche giorno prima del nostro ritorno dal Khunjerab, lallora Primo Ministro Nawaz Sharif aveva permesso a missili americani di sorvolare lo spazio aereo pakistano dal- lOceano indiano. Uno dei missili, con obiettivo Jalalabad in 101 Afghanistan, cadde nei territori tribali pakistani, senza causare vittime civili. Questa fu la ragione, apparentemente improvvisa, dellinsorgenza dei gruppi pi radicali della NWFP. Inoltre era la prima volta che si parlava in modo chiaro del vero obiettivo del- lattacco missilistico: Osama bin Laden, considerato il mandante degli attentati di quellestate in Africa. Devo tornare con la memoria ai primi anni 90 per cercare di riscostruire il filo, la genesi di questi fatti. Quando arrivai in Pakistan la prima volta, nel 1987, era in corso da circa sette anni la guerra di conquista sovietica. Ricordo una Peshawar tesa, gri- gia e piena di sospetti, con molte facce bianche allAmerican Club, dove si poteva andare in piscina: giornalisti, mercanti dar- mi, spie? Ricordo poi la trasformazione della citt. Lo capivo dai crocchi di capi mujaheddin nei ristoranti buoni, come lUsmania: vi si riunivano di anno in anno pi pasciuti, con sempre pi nuo- vi e potenti fuoristrada giapponesi, le immancabili mimetiche. Dal loro sempre pi sicuro modo di muoversi (che differenza con laria triste dei rifugiati nei campi!) si capiva che circolava- no sempre pi soldi, pi armi e che la guerra stava per essere vinta. Dopo la guerra civile, era il 1994, dovetti registrare la grande simpatia, quasi lorgoglio, con cui nello Swat la gente seguiva i progressi del movimento dei taleban in Afghanistan. Era come se fossero dei figli a conquistare finalmente i diritti negati ai padri: mi ha ricordato come mi sono stati descritti ad Asmara i combat- tenti adolescenti, che, ottenuta lindipendenza, ora governano lEritrea indipendente: Luca, sono i nostri figli, i nostri ragazzi. Poi ci furono i fatti del 1994, quando dal Dir si allarg nello Swat listanza per lislamizzazione della legge (la Shariah). Il movimento per la Shariah era guidato da Maulana Sufi Moham- mad, un mullah a capo del Tehrik-i Nifaz-i Shariaht-i Mohammadi (lunga serie di genitivi, che significa in sintesi Movimento per la Legge del Profeta, pi semplicemente TNSM); allinizio sembr un fuoco di paglia, violento ma breve. Il maulana fu arrestato, i suoi black turbans dispersi, dopo chebbero occupato per breve tempo laeroporto di Saidu Sharif. Il governo provinciale decise di avviare un processo di islamizzazione sul piano legislativo e amministrativo. Il piano (Shariah Resolution) rimase sulla carta in realt, anche se provoc aspri dibattiti tra i quadri provinciali e quelli federali. Della sua entrata in vigore mi accorsi solo dal cambiamento della nomenclatura amministrativa (ad esempio 102 Chief Commissioner divenne Nazim-i Alam). Nella primavera del 1995 le uniche tracce che rimanevano di quellanno di turbolen- ze, erano i campi militari sulle alture, i controlli pi attenti ai check-points; continuammo il nostro lavoro tranquillamente, senza scorta. Magari, se cera notizia di blocchi (pacifici, ma non si sa mai) a Malakand, sceglievamo la strada di Karakar o quella di Cherat per scendere a Peshawar. Lo Swat non cambi, almeno ai miei occhi. Nellautunno del 1999 il Generale Musharraf, Capo di Stato Maggiore, scampato a un incidente aereo, di cui era stato rite- nuto responsabile lallora Primo Ministro Nawaz Sharif, prese il potere in Pakistan. Lo scoppio della guerra in Afghanistan, lultima, quella anco- ra in corso, port alla superficie la tensione che si era andata for- mando negli ultimi anni, direi dalla prima guerra del Golfo in poi. Inizialmente vi furono scontri e attentati nelle grandi citt; poi scontri religiosi (con gli Sciiti), attentati contro le minoranze ahmadiyya, cristiane; quindi con la ribellione aperta di Waziri- stan e Baluchistan. Eredit di una partition incompiuta, la sedizio- ne, agitata da militanti stranieri, risal lenta ed inesorabile la NWFP verso nord per tutto il 2006. Quellestate il Governo vinse brutalmente la partita per il Baluchistan, vitale per lapprovigionamento di gas naturale e per i programmi di sviluppo della costa del Makran, ma perse quella per il Waziristan. Era difficile capire quello che stava succedendo; alcune cause per mi apparvero chiare. Innanzitutto la reazione alla guerra in Afghanistan, considerata come una guerra daggressione contro un governo non solo legittimo, ma finalmente pashtun. Poi anche quello che era considerato un vero e proprio tradimento da parte degli USA. Intendo qui dire che si manifest quella che ho chiamato in un precedente capitolo la sindrome di Filippo lArabo. I taleban (e i loro fiancheggiatori qaidisti) si erano sen- titi supportati, armati, pagati, sostenuti a livello internazionale (chi conosce le politiche delle cancellerie euroamericane, lo ricorder senzaltro; io lo ricordo bene). Improvvisamente, il gioco internazionale inizi a metterli da parte, a trasformarli in banditi e di qui la reazione brutale, ma strategica, pi da banditi che da rivali militari. Infine, sotteso a tutto, la coscienza storica di unindipenden- za territoriale, giuridica, rispetto alla quale il Governo di Islama- 103 bad sempre stato considerato una potenza occupante. Quando il Governo sigl la tregua in Waziristan, accett ancora una volta, dopo averla negata pi volte, unindipendenza di fatto: ritir i soldati e le forze paramilitari, lasci libere le trib di armarsi, accett che proteggessero i propri ospiti stranieri, a patto che fossero controllori delle loro eventuali attivit ostili al Governo (in pratica fu la replica degli agreements siglati al tempo dellIm- pero britannico). Intanto in Occidente (con la sola esclusione del Vaticano) erano diventati luoghi comuni, parole dordine, senza che ci si chiedesse come, temi di prognosi storica, come quello del Nuo- vo Ordine Mondiale e dello Scontro di Civilt, maturati in esclusivi ambienti vicini alle leve del potere economico-politico anglosassone. Ma, allora, se di scontro di civilt si trattava, se da una parte cera il mondo occidentale con la sua spiritualit (in realt la visione messianica di quegli ambienti), dallaltra ci dove- va essere lIslam, quello duro e puro. Il radicalismo islamico, di stampo wahabita, comici, a mio avviso, a interpretare, arro- gandosi il diritto di rappresentare tutto lIslam, una recita a soggetto. Ma torniamo nello Swat. Dopo lattacco delle truppe NATO e USA e la penetrazione in profondit dei combattenti afghani dellAlleanza del Nord, nello Swat, Sufi Mohammad chiam il jihad e centinaia di ragazzi (dicono migliaia, ma non credo sia cos) fecero la fila ai campi di reclutamento in Bajaur, Buner, a Malakand. Figli di nostri operai, che avevamo visto crescere allombra dei muretti intorno gli scavi, seduti con la colazione dei padri tra le gambe, partirono per la guerra. La situazione per la Missione si era gi fatta difficile. Nellaprile del 2001 (il 12 mi pare), dopo la distruzione inutile e folle dei Buddha di Bamiyan, un gruppo di taleban sal sulla cima del colle di Barikot e, mitra alla mano, leg i nostri due custodi, poi, presi i picconi dalla loro casetta, distrusse tutto il podio decorato a lesene in stucco del grande tempio brahmanico di epoca shahi, che avevamo iniziato a sca- vare nel 1998. Avevamo tenuto accuratamente nascosto il fatto che si trattasse di un tempio hindu, anche agli operai, avevamo sempre sostenuto che si trattasse di uno stupa. La gente sa sem- pre di pi di quel che si immagina. Soprattutto nello Swat, dove si viene a sapere dove sei stato, con chi eri, che hai fatto: quasi tutto. 104 Saidu Sharif, 28 agosto 2005 Ricordo la chiusura dello scavo sul colle di Barikot nel 1998. Dopo la rituale preghiera di fine-scavo, dopo il discorso di ringraziamento alle maestranze, come di consueto fu dato un kebab-party: le grandi polpette schiacciate, avvolte in carta di giornale bisunta, e i carichi di Coca-Cola furono portati fin lass con le carriole. Dominando la vista grandiosa del fiume, mangiavamo in silenzio. Poi il sole declin e spar verso Occi- dente. Allora si accesero i fuochi, vennero tirati fuori i rabab (strumenti a corde) e le tabla (tamburi indiani) e una dolce melodia piena di mezzi toni sal nella notte, mentre qualcuno intonava la canzone di Khushal Khan e della principessa di Raja Gira. Verso mezzanotte scen- demmo dal colle in fila indiana per il versante ovest. Arrivato ai piedi del colle (per etichetta ero il primo della fila), mi girai e guardai verso lalto e vidi uno spettacolo daltri tempi: una serpentina di decine e deci- ne di fiaccole in lento costante movimento segnava la processione degli operai con gli attrezzi, le carriole, le tende ripiegate. Una spirale di punti di luce scendeva dallalto in basso nel buio della notte. Non avrei pi assistito, lo sapevo, ad uno spettacolo simile. I tempi sarebbero presto cambiati. Non si pot andare nello Swat nel 2001 e avemmo persino difficolt a trasferire i fondi per pagare gli stipendi dei custodi e laffitto dei terreni, a causa dei filtri che il circuito bancario internazionale aveva imposto alle rimesse dallestero verso il Pakistan. Pagammo spesso con ritardi di mesi, mentre la situazione locale sembrava ostacolare anche le nostre attivit future. La casa della Missione, concessa dal Wali a Tucci, fu dicharata occupata abusivamente e venne promulgato lo sfratto. La situazione fu evitata in extremis riuscendo a pagare in anticipo il nuovo canone, quasi decuplicato. Si pens addirittura di interrompere le attivit e chiudere la Missione. La decisione non matur anche per via delle responsabilit giuridiche che comunque ci eravamo assunti verso il governo pakistano: la custodia dei terreni archeologici e dei beni archeologici in studio; a questi impegni si aggiungevano quelli verso il nostro personale, i pagamenti delle pensioni, la continuit del lavoro. Alla fine sarebbe stato pi oneroso chiude- re che rimanere aperti, e comunque non si sarebbe potuto chiu- dere da Roma. Decidemmo di aspettare. Nel 2002 Pierfrancesco ed io ritornammo per un paio di set- timane per capire la situazione e decidere il da farsi. Nel 2003 105 riuscimmo a mandare in pensione con fondi adeguati i due custodi pi anziani, che lavoravano alla Missione dai tempi di Tucci (rispettivamente con 43 e 40 anni di anzianit). La liquida- zione (qui chiamata golden shakehands) si calcola cos: la media dello stipendio mensile moltiplicato per gli anni di servizio; in questo caso mancavano i records dei primi anni (quando poi la paga settimanale era di 3-4 rupie) e calcolai il rateo sugli ultimi ventanni. Luscita di Akam Khan e del fratello Dowar Khan era necessaria, anche in vista di una possibile chiusura delle attivit, ma fu un evento difficile, non solo per loro, ma anche per noi. Al loro posto subentrarono custodi pi giovani, gi formatisi alla loro scuola, che era poi quella del tempo di Tucci e del Wali, anchessi molto efficienti, affidabili, rispettosi. Una serie di altre consuetudini era per cambiata. Per motivi di sicurezza non sceglievamo pi il primo autista che capitava allaeroporto di arrivo (prima era sufficiente che le gomme della sua auto non fossero lisce e che i fari funzionassero); cominciammo a farci venire a prendere dallo Swat da un autista di fiducia; le comunicazioni precedenti il nostro arrivo ora passavano per cellulare e posta elettronica (i vantaggi della nuova generazione!), non pi per posta ordinaria. La registration alla polizia non era pi un rito pittoresco: pile di faldoni da terra al soffitto, una vecchia macchina per scrivere, carte fermate da ciottoli ovunque, agitate dai ventilatori, il the sotto la scrivania; la fatidica domanda sul visto letto a rovescio: Deitopissiu? (Date of issue?). Ora era una necessit al termine della quale ci veniva assegnata una scorta armata, che dormiva sotto le verande di casa. Cera qualcosa che non andava, nonostante dal 2004 avessi- mo ripreso in pieno le attivit: in quella valle non potevamo andare, in quel villaggio era meglio non fermarsi, in quellaltro dovevamo spegnere lautoradio del taxi (spesso invece della Coca-Cola, si trovava la Mekka-Cola, di produzione locale). Anche gli assistenti di scavo del Department erano guardinghi, come se temessero per noi; i poliziotti di scorta fibrillavano con impazien- za, quando ci fermavamo calmi a bere dellacqua in un villaggio di montagna, accanto a giovani uomini con bandoliere e kalash- nikov. Non lo sapevi, no saheb! L seduto accanto a te, quello che ti ha passato il the, un ricercato. Non potevamo far niente perch ceri tu, ma abbiamo rischiato saheb. Nei bazaar, negli internet-points, incontravi giovanissimi dalle facce insolite, asceti- che, con lunghe tuniche candide alla saudita, non leterno 106 shalwar kamiz color fango nellestivo eterno color fango delle strade, delle case, dei monti. Facce di africani (sudanesi, pensa- vo), centrasiatici (tajiki, uzbeki?), arabi, afghani, tutti dallaria molto devota, con le barbe ben curate, ma anche molto tecno- logizzati con i loro cellulari sempre in mano, con gli occhi fissi sulle loro e-mails. Alla fine dellinverno, nel 2007, la situazione cominci a pre- cipitare. Fu un processo lento allinizio, quasi impercettibile. Verso giugno ai proclami contro i negozi di CD musicali, con- tro i barbieri, contro le scuole femminili, lanciati dalla radio del Maulana Fazlullah, genero di Sufi Mohammad, ora nuovo capo del TNSM, si aggiunsero strani attentati, delle donne morirono calpestando delle mine a Kabbal, sulla riva destra dello Swat. Nel frattempo montava la protesta alla Lal Masjid di Islamabad (la Moschea Rossa): tra i fedeli asserragliati, tra quelli che seque- strarono le massaggiatrici cinesi, si disse dopo, cerano giovani dello Swat, soprattutto, si dice, dal villaggio di Jahanabad, dove fu danneggiato in due attentati (11 e 29 settembre) il gigantesco Buddha scolpito sulla roccia. Il 24 giugno lAwami National Party organizz a Mingora un importante raduno, cui partecip anche il TNSM, in cui si pre- sent invano come forza di pace. Da allora il partito erede delle Camicie Rosse fu fatto segno di attacchi e attentati, come quello del 21 settembre a Matta contro uno dei suoi capi. Fuori, nella valle, altri attentati seguirono la fine cruenta del- lassedio della Moschea (6 luglio) e la rottura della tregua del settembre 2006 in Waziristan. La conclusione dellassedio alla Moschea rappresenta un mistero per me. Andrebbe riletto con attenzione il discorso alla Nazione tenuto dal Generale Musharraf subito dopo, soprattutto l dove dice che forze diverse (sembra dire estranee) hanno spinto verso quella conclusione. Alla nuova serie di attentati, lesercito rispose intervendo nello Swat con carri armati, blindati e una forza di diverse migliaia di uomini (25.000 pare). Fu dichiarato il coprifuoco. Avvisai i nostri di non andare pi agli internet-points, che erano diventati obiettivi sensibili. Ci parlavamo solo per telefono. La roccaforte dei gruppi taleban era la riva destra tra Matta e Kabbal. La strategia dellesercito fu controproducente: inizial- mente le truppe scalzarono le resistenze dallarea dellaeroporto e intorno allarea di Kanju, sulla riva destra, per poi installarvisi 107 (14 luglio). Successivamente furono messi posti di blocco lungo la strada principale, la Kalam-Landakai, sulla riva sinistra. Questi furono presi di mira con due gravi attentati. Nel frattempo cominciavano a filtrare notizie sulla vera entit dei gruppi taleban, mentre gli USA spingevano per il pugno di ferro nella NWFP, e avevano gi deciso di aumentare gli aiuti economici e militari per la riorganizzazione del controllo delle frontiere (si veda il New York Times del 30 giugno 2007). Si faceva sempre pi insistente negli ambienti statunitensi lequazione Pashtun = terrorismo qaidista. Un clamoroso errore di analisi? Lesercito, dopo un momento di tensione, legato anche ad un paio di episodi di reazione incontrollata, accett di ritirarsi dalle strade secondo laccordo politico siglato a Malakand tra personalit laiche, religiose e militari alla fine di luglio. Era possibile ora cercare di tornare nello Swat. La campagna di scavo fu comunque annullata e, daccordo con Pierfrancesco, che era impegnato con scavi in Iran, partii per Islamabad. Lac- cordo era che avrei fatto base nella capitale (affittai una camera in una rest-house per un mese) e poi, dintesa con lAmbasciata, avrei atteso levolvere degli eventi. Le mie casse con i vestiti arri- varono a Islamabad dallo Swat e la mia camera divenne lufficio da cui incominciai a gestire lamministrazione, i rinnovi dei contratti dei terreni di scavo, ecc. Come sempre mi era a fianco Shafiq, venticinque anni, cinque figli, che aveva preso il posto del padre come chief accountant della Missione. * * * Islamabad, 2 settembre 2007 Va detto qualcosa su questo ragazzo. Egli appartiene a quella genera- zione yusufzai, che ha fatto in tempo a formarsi alla vecchia scuola: rispetto della gerarchia, senso della fedelt e mantenimento della parola. Va detto che anche noi ci siamo dovuti conformare a questa scuola per essere allaltezza delle aspettative, per essere dei veri saheb. Voglio dire che tutti noi della Missione siamo stati nello Swat meglio di quanto fossi- mo nella realt italiana. Ma torniamo a Shafiq: insomma, una volta successe che Massimo ed io presentammo una relazione ad un convegno in Pakistan sulle nostre ultimissime scoperte di pitture rupestri nello Swat. Dopo la relazione partimmo per lItalia. Un anno dopo venimmo a 108 sapere che degli studiosi stranieri si erano recati alla Missione in nostra assenza e avevano cercato di convincere Shafiq ad accompagnarli a visi- tare quei siti ancora inediti. Giunsero ad offrire una cifra pari a cinque anni del suo stipendio. No, sir, I cant. I think my officers will be upset, fu la risposta, incerta nella forma inglese, ma definitiva nella sostanza. Mi ricordo che lo chiamai in biblioteca per farmi spiegare la sto- ria, che avevo saputo da altri, che vi avevano assistito. Divenne rosso di vergogna, quasi avesse accettato: Saheb, I said no, I refused, disse abbassando gli occhi. * * * Islamabad, seconda met di agosto 2007. Daccordo con lAmbasciata e il Department, approfittai della tregua per partire per lo Swat. In realt, nonostante fosse stato levato il coprifuoco, la sequenza degli eventi si era solo diradata. Il 14 era stato compiuto un sanguinoso attentato suicida a Kalam contro il District Coordinator Officer (DCO) dello Swat e i suoi ospiti. Il DCO rimase ferito, ma quattro membri di famiglie influenti dello Swat morirono. Il 16 era stata lanciata da Matta una fatwa (condanna) contro gli amici degli USA. Pi tardi, il 22, furono chiuse le ONG che lavoravano nello Swat. A nulla erano valse le dichiarazioni di influenti capi religiosi e importanti khan, che avevano definito la tattica degli attentati suicidi haram (impura). Le notizie che avevo raccolto non coincidevano con limma- gine che nel frattempo veniva data dello Swat dalla stampa occi- dentale. Innanzitutto era chiaro che gli attentatori suicidi non erano locali, che la strategia del terrore non nasceva nello Swat. Ci per tre motivi. Primo: lattentato esplosivo e in particolar modo lattentato suicida colpisce in modo indiscriminato e questo contrario alletica yusufzai che, quando ricorre alla violenza, col- pisce in modo mirato lavversario. Le esplosioni indiscriminate rischiano inevitabilmente di innescare un numero indefinito di faide. Secondo: i legami e gli obblighi familiari tipici degli Yusuf- zai non contemplano le tattiche suicide: per il capofamiglia morire fronteggiando il nemico un conto, implica comunque un intervento del destino; darsi la morte volontariamente signifi- ca consegnare sicuramente la propria famiglia ad un incerto destino: quello che spesso attende le vedove e gli orfani. Terzo: 109 le relazioni familiari e di villaggio avrebbero rivelato in breve tempo lappartenenza dei suicidi a questo o a quel villaggio, cosa che non avvenuta. A queste tre considerazioni se ne aggiunge unaltra. Da tem- po si sapeva nello Swat che gruppi di militanti attivi in Afghani- stan usavano il Dir, lo Swat, il Bajaur, come retrovie dove andare in licenza. Come tutti i combattenti di tutte le guerre, molti di questi si sono sposati con donne di villaggi poveri, soprattutto sulla riva destra dello Swat. In circa tre, quattro anni, questo fenomeno ha comportato un mutamento antropologico, cultu- rale, in determinate aree. Con la presenza di questi militanti, si sono poi diffuse tecniche di combattimento nuove e spietate, come gli IEDs (Improvised Explosive Devices), usati in Iraq e Afghanistan. Perch questo fenomeno non stato capito? Semplicemente perch si continuato ciecamente a vedere la guerra in Afghani- stan come una lunga, estesa operazione di polizia, non come una vera e propria guerra con un fronte e le sue retrovie. Perch allora i militanti hanno dato fuoco alle loro retrovie? Perch se lo Swat fosse insorto, questo almeno era lo scopo pi superficiale, se lo Swat, il tranquillo civile Swat, fosse esploso, e non il Mohmand o il Waziristan, da sempre turbolenti, allora la guerra civile si sarebbe propagata in tutta la NWFP. Si tratta di una strategia di guerra, non della tradizionale Pathan Revolt. Lanarchismo atavico, il senso di indipendenza, ma anche lidea- lismo dei Pashtun, si trovano ad essere usati come armi nelle mani di elementi che con quella cultura hanno in comune forse solo la religione. Perch gli analisti occidentali non hanno capito la vera entit del fenomeno, perch non hanno capito che lelemento tradizio- nale della cultura yusufzai sarebbe stato il vero controllore del- linsorgenza militante? Anche a questa domanda non so dare una risposta. Eppure ci stato particolarmente evidente nello Swat, le cui attivit economiche (lecite, pensiamo al turismo, ma anche le illecite, come il contrabbando di autovetture, di legna- me, di materiale archeologico), subirono un forte contraccolpo dalla situazione di tensione locale (mi viene da dire: si mai pensato che la mafia sia stata il maggiore deterrente alle attivit delle Brigate Rosse in Sicilia?). Altre domande ancora: perch lesercito si mosso in modo cos improvvido, con una lunga occupazione e operazioni di ter- 110 ra, invece di colpire in modo chirurgico le unit straniere? Per- ch non ha disturbato le trasmissioni della radio del TNSM? Per- ch ha rischiato di saldare lelemento tribale, potenzialmente insofferente a tutto ci che riguardi il Governo centrale, visto come unentit estranea, alla militanza religiosa? Perch sono state mandate, come in Waziristan, truppe pashtun a combattere i Pashtun, rischiando ammutinamenti e rese ingloriose, com in parte avvenuto? Gi i Britannici avevano imparato la lezione, donde luso di truppe scelte sikh e gurkha per le operazioni nel- la Frontiera. A queste domande forse c una risposta. Al principio di novembre 2007 sar proprio la situazione nello Swat, portata fino a rischio di guerra civile, ad essere richiamata dal Generale Musharraf per dichiarare lo stato di emergenza e dare il via alla sua strategia di conservazione del potere. Una strategia in cui avevano un ruolo vitale sia Benazir Bhutto che Nawaz Sharif. Mi fermai a dormire nel Buner, area finallora non toccata dagli attentati. Il mattino dopo raggiunsi casa, la aprii e control- lai ogni cosa. Non potevo dormire l perch tutto quel quartiere (il College Colony) era considerato obiettivo sensibile e quindi per una settimana feci avanti e indietro dal Buner. Nel frattempo continuarono gli attentati. Il giorno prima di partire per Chilas a trovare i nostri colleghi dellAccademia di Heidelberg, ci fu un sanguinoso attentato suicida lungo la strada che conduce verso Besham e la KKH. Dei poliziotti fermarono unauto allo Shangla Pass: questa ruppe la barriera e fugg. Ad Alpurai, ad un successi- vo posto di blocco, il guidatore sembra aver gridato al poliziotto qualcosa come: Tu sei un buon musulmano, fammi proseguire, ho unimportante missione da compiere. Al rifiuto si fece esplo- dere uccidendo cinque poliziotti, se stesso e il suo compagno. Era il 26 agosto. Il giorno successivo vi fu un imponente scontro a fuoco a Mingora, con diversi feriti, nellarea di Katelai, di fron- te alla Missione. Incominciarono a filtrare le prime notizie sugli arrestati. Ogni volta si parlava di afghani o arabi arrestati nelle loro case con le mogli yusufzai e ci non faceva che confermarmi un certo qua- dro. Continuavano le esplosioni contro scuole e negozi (il 7 set- tembre furono fatti saltare in una notte sola sessanta negozi a Mingora), le sparatorie contro le stazioni di polizia. Verso la fine di settembre gli attentati, che finallora avevano riguardato la riva destra e larea di Mingora (a parte lattentato di Kalam), si sposta- 111 rono in altre zone della riva sinistra, quali larea di Khwazakhela. Continuarono nel frattempo i tentativi di mediazione da parte di vari soggetti laici e religiosi, con il coinvolgimento dellesercito e del TNSM. Il secondo attentato al Buddha di Jahanabad il 29 set- tembre segn linizio di una nuova offensiva. Ottobre fu un mese di fuoco. Furono colpiti istituti femmini- li, obiettivi governativi, continuarono gli attentati suicidi, inizi una campagna di attentati in Buner. Il 25 ottobre ci fu la provo- cazione pi sanguinosa: un attentato suicida nel bazaar di Mingo- ra che uccise 34 tra militari e civili. Il giorno dopo lesercito lan- ci unoperazione di terra con supporto di elicotteri nellarea di Manglawar e Kabbal. Migliaia di famiglie lasciarono le proprie case e si rifugiarono nel basso Swat. I taleban (le cui forze non dovevano forse superare i 3.000 uomini) presero prigionieri diversi soldati (alcuni saranno sgozzati o decapitati pubblicamen- te, si detto, ma non se ne hanno notizie certe). Il 28 ottobre loffensiva militare port alla riconquista di Manglawar. Alla fine del mese una tregua, chiesta e ottenuta con la mediazione di personalit civili e religiose, permise la conta dei militari caduti, 43, cui si aggiungono 106 feriti. Novembre fu tragico. Il 3 novembre, ad imitazione di quanto era avvenuto in Wazi- ristan, numerosi soldati prigionieri vennero rilasciati dai taleban con qualche centinaio di rupie in tasca per pagarsi il bus fino alle caserme. Il Generale dichiar lo stato di emergenza. Tre giorni dopo lesercito con una veloce operazione sgombr Fah- tepur dai militanti. Questi in ritirata verso nord il giorno seguen- te occuparono Madyan. Il teatro delle operazioni ora riguardava Madyan, larea di Shangla, il Ghorband e il Puran: lesercito ten- tava di evitare il passaggio delle forze taleban verso Besham, dove si temeva per la sicurezza della KKH. Le postazioni dei militanti vennero fatte segno di bombardamenti dagli elicotteri, mentre continuarono le evacuazioni dei civili. Il 14 novembre si svolse una grande battaglia nel Ghorband, intorno Alpurai, con 62 caduti tra civili e militari. Contemporaneamente continuarono gli attacchi di elicotteri sulla riva destra. Nel frattempo proseguivano i tentativi di mediazione. In questo quadro va senzaltro interpretato il ricovero del suocero di Fazlullah, il vecchio capo del TNSM Sufi Mohammad. Il 16 novembre lasci la prigione e venne ricoverato in un ospedale di Peshawar. 112 La terza settimana di novembre, di fronte al fallimento delle iniziative di mediazione, tentate a pi livelli, vennero inviati altri uomini (15.000?) per sostenere quella che viene considerata la fase finale della guerra nello Swat. Nel frattempo gli attentati continuarono a intermittenza anche nei territori vicini: a Swabi, nel Bajaur, a Malakand, Mardan, Nowshera e nel Buner. Levidente tentativo era quello di costituire una cintura di insicurezza alle spalle dellesercito, ma anche di puntare, attraverso la ribellione del Buner, ad aprire un nuovo fronte verso lIndo, verso Besham, e tagliare la KKH. Poi il 24 novembre i militanti, non riuscendo a sfondare ad Alpurai, si ritirarono verso lalto Swat, mentre leser- cito cercava di tagliare loro le comunicazioni con le roccaforti sulla riva destra. Il 28 novembre venne assediato il quartier generale di Fazlul- lah nellarea di Matta. Siamo alle strette finali. Il capo del TNSM lanci un ultimo appello via radio il 2 dicembre, incitando le donne al suicidio combattente. Lo stesso giorno i militari final- mente riuscirono ad oscurare la radio. Fazlullah sfugg allarre- sto. Lesercito riprese il controllo di tutto lo Swat e di tutto il Ghorband, e la guerra il 5 dicembre venne dichiarata conclusa. Conclusa? Se si guardano le cifre ufficiali, si parla di 250 caduti tra i taleban su un totale stimato di 5.000 uomini. La guerra solo sospesa. Fatti importanti e tragici segneranno poi il mese di dicembre 2007. Alla vigilia della vittoria del Governo nello Swat, Benazir Bhutto lancia il suo programma di lotta al terrorismo senza quar- tiere, senza compromessi. Questa dichiarazione stata la sua condanna a morte, si dice. Il 9 e il 23 dicembre due gravi attenta- ti suicidi a Mingora sottolineano laleatoriet della vittoria del Governo. Il 16 Nawaz Sharif, lunico contendente della Bhutto per la vittoria alle elezioni, lancia una dichiarazione opposta a quella della rivale, dice che in caso di vittoria porter la rivolu- zione nel Paese; il suo viene letto come un messaggio carico di positivi segnali per le forze fondamentaliste, i nazionalisti pash- tun, i gruppi anti-occidentali, in genere per tutto un Paese che stanco della politica filo-americana di Musharraf. Lultimo episodio del 2007 il pi grave per lo Swat, il pi simbolico. Il giorno dopo la morte di Benazir Bhutto (27 dicem- bre) viene ucciso in un attentato a Mingora lex Nazim-i Alam dello Swat, il giovane Asfandyar Amirzeb, che ho avuto lonore di conoscere. Asfandyar, nipote del Waliahad, era un membro di 113 altissimo lignaggio della famiglia reale dello Swat. Il suo assassi- nio stato senzaltro ordito per il suo valore simbolico: un punto di non ritorno per la storia dello Swat. * * * Quattro mesi pi tardi. Le elezioni del 2008 hanno segnato due importanti risultati nella NWFP. Innanzitutto la sconfitta dei partiti islamici (che hanno per boicottato le elezioni), quindi la vittoria delle forze laiche, a cominciare dallAwami National Party, e lalleanza di governo tra PPP e Nawaz Sharif. Nel frattempo, lesercito ha pre- so definitivamente possesso della riva sinistra dello Swat e delle direttrici viarie che conducono al passo di Shangla e alla KKH. Continuano per gli attentati, spesso di lieve entit con obiettivo stazioni di polizia isolate, talvolta pi gravi come quelli attuati durante feste di matrimonio e nelle vicinanze di santuari, ad Haji Baba a Mingora, a Pir Baba nel Buner. Il pi grave attentato, forse risultato di un attacco missilistico, quello che ha colpito il Mingora Hostel, nella zona meridionale di Mingora, dove si trovano la Corte, il comando di polizia, gli uffici governativi locali. 17 militari e 23 civili sarebbero stati uccisi nellesplosione (le cifre sono sempre incerte), che ha danneggiato seriamente il prospi- ciente Swat Museum, nella sua facciata, negli uffici, nei magazzi- ni, nelle sue vetrine pi vicine allentrata. Lesplosione stata cos forte che anche la casa della Missione, a quasi un chilometro di distanza, ha subito lievi danni. La situazione rimane quindi tesa, con lesercito che osserva da lontano i movimenti delle for- ze taleban sulla riva destra. L sarebbero rimaste poche centinaia di combattenti stranieri (si parla di tajiki e uzbeki) a guardia del passo di Gat Peochar a monte di Matta. Da qui possibile rag- giungere il Dir, il Chitral e Gilgit, ma soprattutto il corridoio di Wakhan, e quindi il Tajikistan. Si tratta di un passo vitale, che sfugge alla sorveglianza aerea a causa del fitto manto boschivo. Se linsurrezione dellautunno 2007 fosse stata vittoriosa, dal- larea di Matta i taleban avrebbero chiuso lesercito pakistano fuo- ri da tutto il nord del Paese, creando una cintura dal corridoio di Wakhan allo Swat, fino alla KKH, e quindi al Kashmir e al Bal- tistan. Il Paese sarebbe stato di fatto tagliato fuori dai commerci terrestri con la Cina, sarebbero stati bloccati i grandi lavori delle centrali idroelettriche e sarebbe stata messa a dura prova la sicu- 114 rezza ai confini con lIndia. In questo senso interessante notare che il fulcro della strategia di attacco, che ha coinvolto lo Swat, non risiede tanto nellAfghanistan, quanto nello scacchiere cen- trasiatico. Sotto questo profilo diventerebbe particolarmente rilevante analizzare il ruolo della presenza di combattenti centra- siatici, nonch la loro modalit di approccio alla realt locale. Approfittando di iniziali forme di cointeresse e della tradizionale ospitalit, i combattenti centrasiatici sono stati presto veduti come degli occupanti e, in molte aree, respinti. Ora, in questo specifico frangente, se la loro strategia di accerchiamento e con- quista dei nodi infrastrutturali del nord del Paese fallita, falli- ta proprio nello Swat, in particolare sulla riva sinistra del fiume. I motivi che hanno portato a questo fallimento devono essere ben analizzati, anche perch rappresentano lelemento sano, positivo, su cui, eventualmente, costruire il futuro di queste aree. I motivi risiedono nella cultura, nella storia, nella struttura socia- le e psicologica di queste genti, cos come sono state descritte nelle pagine precedenti. Nelle pieghe degli eventi narrati il lettore avveduto sapr leggere le ragioni per cui lo Swat stato e conti- nua ad essere un fulcro di equilibrio e pacificazione allinterno della regione. Tra Mingora e Barikot le jirga e la popolazione hanno saputo opporsi con fermezza alle forze taleban (si ricordi che queste comunit sono ancora armate), negando loro ogni forma di supporto. Va notato che in questa decisione hanno gio- cato un ruolo non indifferente valutazioni di ordine religioso e culturale: la tradizione religiosa yusufzai hanafita e non waha- bita. Non per caso che in una delle sue trasmissioni radio di fine marzo 2008, Fazlullah ha voluto insultare gli Yusufzai della riva sinistra chiamandoli Ebrei e Hindu. In questo panorama rimane comunque difficile prevedere una completa normalizzazione dello Swat in tempi rapidissimi. Non inverosimile ipotizzare uno Swat diviso a met per un cer- to periodo: tutta la riva sinistra libera e aperta, quella destra infil- trata seriamente da gruppi filo-qaidisti e quindi circondata da un cordone militare permanente. Si tratta della stessa situazione che lo Stato dello Swat ha vissuto tra il 1918 e il 1923, quando tutta la riva destra dello Swat era contesa col Dir e, di fatto, da questo controllata. Pi difficili a prevedersi sono le soluzioni politiche a pi vasto raggio, quelle che riguardano il rapporto tra la Frontie- ra e il Pakistan. Iniziative sono lanciate in continuazione: dal cambiamento del nome della NWFP allabolizione delle Frontier 115 Crime Regulations (FCRs) con le loro amendments anche recenti. C una certa disillusione verso queste iniziative, che sessantanni dopo ancora insistono nella direzione dellabbandono della cosiddetta Forward Policy britannica verso la Frontiera, annunciata da Ali M. Jinnah allindomani della nascita del Paki- stan. Si sa, ad esempio, che labolizione delle FCRs, annunciata recentemente dal Primo Ministro, non potr essere realizzata che dal Presidente e non dal governo in carica, a meno che non si aboliscano gli artt. 246 e 247 della Costituzione; quindi per ora si tratta di una mera ipotesi, non praticabile. Lo Swat e le sue genti hanno reso ancora una volta un impor- tante servigio alla pace del Paese e della regione in genere. Mol- to probabilmente ci si aspetta che questa ulteriore prova di matu- rit e di intelligenza storica sia riconosciuta finalmente con atti concreti di supporto e sviluppo e non a parole. Sarebbe ora. Quattro mesi pi tardi ancora. Riprendo queste pagine cercando di dire una parola definiti- va prima di consegnare il testo alla tipografia. Rileggendo quan- to scritto poco sopra (ma quattro mesi prima), mi verrebbe quasi 116 Fig. 15 - Bus a Saidu Sharif. di correggerlo, intervenire sulle parole che avevo scritto, ma decido di non farlo. In fin dei conti questalternanza di speranza e di crisi rappresenta in modo fedele la stratigrafia storica degli eventi. In archeologia non permesso di interferire con la strati- grafia: la si pu solo leggere e, se ci riesce, interpretarla. Dalla fine di giugno, dopo il fallimento delle trattative inaugu- rate dal nuovo governo, sono riprese le ostilit aperte nello Swat. Le forze filo-qaidiste sono ancora ben installate sulla riva destra del fiume. Sono ripresi gli attentati (clamoroso quello compiuto agli impianti sciistici di Malajabba), soprattutto contro le scuole femminili. Lesercito ritornato in forze nella valle. Dopo un breve periodo di schieramento, alla ripresa degli attentati, lesercito lan- cia una nuova offensiva contro le postazioni nemiche tra Kabbal e Matta; la campagna ancora in corso mentre scrivo queste righe. Nel frattempo si indurisce lo scontro in Bajaur, precipita la situa- zione nella Kurram Agency e pi a sud nel Waziristan. La situazio- ne nello Swat si aggrava ulteriormente durante il mese di luglio. Allo scontro militare si aggiunge un senso di generale insicurezza dovuto allaumento delle attivit criminose. Chi se lo pu permet- tere lascia la valle per Peshawar o Islamabad. In agosto torno di nuovo in Pakistan, ma questa volta non riesco a raggiungere lo Swat, mi devo fermare per due volte a Malakand. In cielo sono frequenti i passaggi degli elicotteri mili- tari diretti in Bajaur e verso il fronte di Matta, sulla riva destra dello Swat. Al mattino la strada bloccata per ore per il passag- gio dei convogli militari; di notte c il coprifuoco e si spara a Saidu Sharif. Alluna del 18 agosto, mi trovavo nella resthouse del Museo di Taxila, con i miei colleghi pakistani assistemmo al messaggio televisivo con cui il Presidente Musharraf annunciava le sue dimissioni. Neanche il tempo di tornare in Europa e la coalizio- ne governativa si rompeva con luscita di Nawaz Sharif in aperta ostilit verso il capo indiscusso del PPP, Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto. Pochi giorni pi tardi dal Dipartimento di Stato USA vengono criticamente rivelati alla stampa colloqui pri- vilegiati e non protocollari di una parte dellamministrazione americana con Zardari. Sembra aprirsi una nuova partita per cavalcare il futuro della regione, mentre va preparandosi il nuo- vo corso della Presidenza USA. C tutto un susseguirsi di chi- appoggia-chi tra Washington e Islamabad. Appare peraltro chia- ro, nelle scelte strategiche e nellattenzione con cui si segue 117 levolversi della situazione, da parte di entrambi i candidati alla presidenza USA, che il Pakistan nellimmediato futuro sar di interesse nevralgico per la politica estera atlantica in Eurasia: ne sar forse il focus. Nel contempo si concludono con il successo di Zardari le elezioni presidenziali in Pakistan; fra non molto ci saranno anche quelle in Afghanistan. Qui non detto che gli USA debbano per forza sostenere ancora lattuale presidenza. Tutto questo succede mentre nello Swat e nelle regioni cir- convicine la situazione precipita sempre pi. Mentre scrivevo, mi era giunta la notizia di un attacco delle forze americane in Wazi- ristan; si parla di vittime civili pakistane. Negli ultimi mesi si era- no infatti fatte sempre pi insistenti le voci e le dichiarazioni che parlavano della possibilit di interventi militari in territorio paki- stano da parte delle forze americane operative in Afghanistan. Si parlato addirittura di possibili attacchi nellIndus Kohistan, dove si detto si nascondesse Osama bin Laden. In realt duran- te lestate ci erano gi stati diversi incidenti militari, non del tut- to chiariti, tra il Waziristan e il Bajaur che hanno dimostrato quanto fossero concrete quelle voci. La reiterazione di simili incidenti, ovvero un possibile intervento aperto delle forze ame- ricane in Pakistan, soprattutto se in disaccordo con la politica difensiva di questo Paese, rappresenta il rischio pi grave, non solo per levoluzione della crisi lungo la Frontiera, ma addirittu- ra per il futuro del Pakistan stesso. Il rischio che si profila a livel- lo regionale quello di una saldatura tra le forze qaidiste o tale- ban e il sentimento popolare, finora evitata. Pi in generale il rischio addirittura quello di una balcanizzazione dellarea: un processo senza ritorno, ancora pi grave vista limportanza geo- strategica della regione per altre potenze: penso alla Cina soprat- tutto. Lo stato di confusione lungo la Frontiera alto: emergono ovunque nuove figure di politici-militanti e non si capisce pi chi chi. Sembra definirsi un piano molteplice di attori: combatten- ti stranieri, sostenitori locali dei taleban, agitatori locali che uni- scono rivendicazioni sociali alle istanze religiose, ma prendono le distanze dai fenomeni terroristici. Le politiche di dialogo ancora sostenute dallANP sono prese di mira apertamente: si intensificano gli attentati alle sedi e agli uomini di questo partito, cos come continuano gli attentati ai khan colpevoli di appoggiare queste iniziative. In tutto questo contesto lalta politica che si gioca a Islamabad, con le sue code a 118 Londra e a Washington, non compresa a livello locale: si sente palpabile la disaffezione. Si avverte che anche le pi positive risposte locali, le reazioni politiche, sostenute dalluso delle armi, espresse in pi occasioni contro le forze taleban, ad esem- pio in Buner e in Dir, non vengono colte nel loro importantissi- mo significato, n valorizzate come dovrebbero essere. La situazione non si presta ad una facile diagnosi. Si capisce chiaramente che il fulcro e la ragione di molti dei fatti che coin- volgono lo Swat oggi non si trovano nello Swat. La valle (e tutta le regione circostante) si trova oggi ad essere il teatro, il luogo di rappresentazione di un canovaccio scritto e diretto altrove. Dopo quattro mesi sono sempre pi convinto che lo scenario principale sia lAsia centrale. Da secoli, almeno da epoca Tang, questa parte del Sub-continente ha avuto strettissime relazioni, soprattutto commerciali, con il mondo cinese; in qualche momento ne stato addirittura vassallo. Senzaltro ne ha rappre- sentato, e rappresenta tuttoggi, la chiave di accesso allOceano indiano. La KKH, la Indus Highway e il porto in via di costruzio- ne a Ras Gwadar nel Makran, costituiscono oggi gli snodi infra- strutturali essenziali di questo rapporto privilegiato. Un giorno forse lo sar anche la progettata linea ferroviaria del trans- Karakorum. Una situazione di instabilit nella regione colpir in prima istanza gli interessi cinesi. Un esempio di tale strategia stata la battaglia per il controllo della KKH nellautunno-inverno del 2007. Un altro scenario quello afghano. Anche qui la storia ci sostiene. Almeno da et tardo-antica in avanti la valle stata con- siderata area di interesse geostrategico per chi dominava a Kabul, dallet dei Turki Shahi fino alle interferenze che hanno preceduto e seguito la terza guerra anglo-afghana; pi recente- mente penso al cosiddetto incidente del 1960 nel Dir e Bajaur. In sintesi si pu dire che il pendolo geopolitico della valle abbia oscillato tra Kabul, la Cina e il Kashmir: nellultimo millennio principalmente tra i primi due. Forse non del tutto chiaro, ma il Grande Gioco ancora in corso e, ancora una volta, una sua parte importante si gioca da queste parti della Frontiera. Lo Swat rappresenta quindi un luogo privilegiato, uno sno- do-chiave, essenziale anche per la comprensione del presente fenomeno storico. La lettura del suo presente sta come inscritta nel suo codice genetico, nella doppia elica della sua storia antica 119 e recente. Per questo, credo, lo Swat pu rappresentare un punto di osservazione importante per la comprensione di questa crisi epocale. Si nota sempre un certo scetticismo da parte degli analisti professionisti per riflessioni storiche come quelle che si sono andate delineando in questo libro. Da una parte le si considera come astrazioni o, tuttal pi, come riflessioni interessanti, ma inattuali; dallaltra vengono considerate come eccessivamente localizzate: la Storia presente viene preferibilmente letta come espressione di macrofenomeni. Questione di metodo. In archeo- logia si considera fondamentale la possibilit di incrociare losservazione orizzontale (ricognizione) con quella verticale (scavo). La ricognizione restituisce una serie di dati pi indifferenziati in termini cronologici e valutativi: si pu ad esem- pio sopravvalutare un sito per via del suo miglior stato di conser- vazione visiva e viceversa sottostimare lestensione di un altro a causa delle condizioni di superficie. In termini cronologici si rischia di costruire associazioni di dati solo parzialmente confer- mate da unanalisi pi accurata. Viceversa lo scavo in grado di restituire una completa e sicura sequenza cronologica, che per, in virt della sua ridotta competenza spaziale, pu portare ad altre forme di errori valutativi. Ovviamente il grado di maggiore attendibilit diagnostica si ha nel punto in cui i due processi si toccano, e si fa via via minore man mano che ci si allontana da questo. Fatta salva questa condizione, lincrocio delle due dina- miche conoscitive (orizzontale e verticale) compensa in misura accettabile i limiti dei due processi e pu portare ad una rico- struzione storica tridimensionale attendibile. Questo modello conoscitivo pu essere esportato dallindagi- ne archeologica allo studio del presente storico. In questo senso le osservazioni presenti in questo libro vogliono rappresentare lequivalente dello scavo archeologico (analisi dei dati locali), tentativamente incrociate con una ricognizione necessariamente superficiale dei dati orizzontali. Se da ci potr scaturire una maggiore intelligenza del presente e la possibilit di una progno- si attendibile, compito ulteriore lasciato al lettore. In questo senso valga unultima osservazione. Appare eviden- te alla luce dei dati presentati che uno dei temi cruciali per la soluzione del presente stato di crisi quello giuridico. Il punto di maggiore frizione tra la politica spirituale dellOccidente e quella dellarea di cui siamo occupati risiede infatti nel conflitto 120 Fig. 16 - Sperone roccioso di Topyalai. tra categorie politico-giuridiche di differente genesi. Documenti inediti, che ho potuto consultare recentemente, mi hanno chia- rito ulteriormente quanto questo punto stesse a cuore allammi- nistrazione britannica soprattutto alla vigilia della Partition. In futuro si dovr pertanto cercare di trovare una mediazione non astratta tra le categorie giuridiche nate in Occidente e oggi dominanti e le customary laws. In fin dei conti questo stato rea- lizzato nel riuscito esperimento politico chiamato Yusufzai State of Swat ed stato il lascito positivo principale dellilluminata gestione della dinastia Miangul nello Swat. In un certo senso la riforma delle FCRs, pur con i limiti evidenziati, e le altre iniziati- ve legislative annunciate dal presente esecutivo si muovono in questa direzione. Sar bene, a mio avviso, che questa strada sia sostenuta dallEuropa. Se ci sar fatto, sar infine resa inoffensi- va unarma importante, oggi nelle mani delle forze destabilizza- trici nella regione. Unarma che ad ogni momento rischia di col- pire nel segno presso le sensibilit locali, soprattutto in quanto agisce attraverso la controparte religiosa dellelemento giuridico. Si sa quanto questo aspetto sia importante nellIslam al punto che non credo sia azzardato parlare dellIslam come di una reli- gione profondamente giuridica. Quale che sia lesito del presen- te momento, in una prospettiva pi ampia sar importante che si proceda in questa direzione. Il riconoscimento delle altrui pecu- liarit e delle loro ragioni storiche, un compito che lEuropa (lEuropa di Federico II vorrei dire), in virt del suo patrimonio culturale, pu darsi e pu portare a compimento. 122 DA ARCHIVIARE PER USO FUTURO La strada della farina porta sempre al mulino. Proverbio pashtun (MacKenzie 1982: nr. 33) Tutto quello che stato scritto nelle poche pagine che prece- dono andrebbe forse sintetizzato. Forse il lettore si sentito som- merso da una massa di dati e di informazioni incoerenti, forse invece sono riuscito a far trapelare il filo conduttore dei pensieri, che alla loro base. Credo sia invece il caso di rendere esplicite le vere ragioni per cui stato scritto questo libro, non tanto il sentimento di fondo, quanto il suo pensiero fondante, cos, perch sia archivia- to per futura memoria. Lo Swat una terra metafisica. Allarrivo delle genti indo-iraniche, forse anche prima, le montagne dello Swat, e lIlam tra queste, potrebbero essere state utilizzate come supporto fisico-geografico per le grandi immagi- nazioni degli eventi che videro la lotta tra gli di celesti e le entit avversarie. Al tempo dellimpresa di Alessandro risuonava grandiosa leco di quelle lotte, al punto che il Macedone ne volle rivivere il mito, andando alla conquista dellIlam. Col Buddhi- smo lo Swat divenne terra sacra, oltre i meriti storici che ad altre terre dellantica India erano dovuti, per il diritto desser stati quei suoli calpestati dai calcagni del Buddha stesso. Lo Swat nel- la geografia sacra del Buddhismo sar per secoli e secoli una por- ta verso la dimensione luminosa della realt: zona di confine, dove lelemento minerale-vegetale (Uddiyana vuol dire Giardi- no) si smaterializza nelle particelle luminose delle forze forma- tive del Creato. Per secoli i suoi spazi fisici, le sue rocce, le sue vette, i suoi fiumi, sono stati segnati da riti imaginifici: segni dipinti, incisioni ineffabili, icone. La natura s rifatta seconda Natura, come dice Goethe. Col passare dei secoli, mentre la dimensione metafisica della Storia cresceva sempre pi verso lUomo, la valle si trovata al centro di via via crescenti processi di evoluzione storica e sociale. Nellambito del processo di evoluzione verso la socialit, che senzaltro il senso e la missione della presente crisi, lo Swat ha avuto una funzione per tutta lAsia. Nella valle si raccolta dagli ultimi cinque secoli una trib fiera e combattente, che vi giunse come in una terra promessa al termine di un breve, ma doloroso peregrinare. Nello Swat si realizzato in modo anticipato e progressivo il processo di liberazione dallatavismo tribale verso lacquisizione di una coscienza sociale della vita. Al termine del processo, lo Swat si doner al mondo moderno con i frutti e le caratteristiche di uno Stato civile avanzato. Lelemento pi importante sar che lo Stato che nacque, nacque sulle basi delloriginale e intatta capacit di progresso implicita nei protagonisti che lo fecero nascere. Non vi furono interessati impulsi esterni, se non quelli che, nel dinamismo storico del tempo, non solo non impedirono quellesperienza sociale e politica, ma forse la facilitarono. 124 Fig. 17 - Riparo rupestre al crepuscolo nella valle dello Swat. Anche se per motivazioni egoistiche, lImpero britannico ha infatti nelloccasione svolto unazione favorevole al libero svilup- po degli impulsi sociali nello Swat. A ben guardare, lopposizione, che vide fronteggiarsi lImpe- ro alle genti yusufzai, fu quella di due entit eticamente parita- rie. Luna accanto allaltra ebbero modo di migliorarsi a vicenda: luna dellaltra accolse la vivida forza e ne fece, suo malgrado, il mito della Frontiera, laltra della prima ha saputo, nello Swat, distillare le qualit giuridiche, organizzative e i riti politici. Come al tempo delle nazioni germaniche ai confini del Reno-Danubio romano, da questa coesistenza sarebbero potute nascere nuove comunit, nuove missioni storiche. Al tempo della caduta del- lImpero romano gli uomini non presumevano di modificare i ritmi della Storia: gli eventi accadevano e gli uomini accettavano o lottavano, sapendo di recitare una parte scritta altrove. Al tem- po degli eventi, di cui stiamo parlando, invece, gli uomini credo- no di dover/poter intervenire nella formazione dei fatti storici col loro agire e pensare. Come il giardiniere che pota ed innesta, la politica dellOccidente ha creduto di poter realizzare un suo piano, una sua utopia. Non vi sarebbe nulla di sbagliato anche nello sbagliare politica. V viceversa qualcosa di luciferico, direi quasi di agghiacciante, quando luomo modella un pensiero, che poi ritiene di dover applicare allaltrui pensiero, quando un pia- no di conquista territoriale sottende un modello di evoluzione da applicarsi allaltro, anche se per motivi e scopi moralmente ed eticamente superiori. Anzi proprio in questi casi che il feno- meno acquisisce un carattere luciferico, quello duna velleit babelica, dun orgoglio non pi umano. Le genti yusufzai dello Swat, ma anche tutte quelle della Frontiera, in genere le masse, per noi anonime, dellAsia, tutte le anime di quello che si chiama il Sud del mondo, ma anche tut- ti noi che subiamo i modelli della presente civilt senza essere chiamati a concorrervi, soffriamo la distanza che sentiamo tra ci che sentiamo in noi e ci che viviamo fuori di noi. Gli impul- si sociali, quando non sono liberi di realizzarsi, spesso si trasfor- mano in malattie sociali; non sempre le malattie sociali dnno luogo a depressioni, come accade nellOccidente addormentato, talvolta dnno luogo a febbri violente. La febbre, si sa, viene vista in due modi: se considerata unanomalia rispetto allordinaria temperie delle cose, viene chimicamente o meccanicamente abbassata; se vista come il necessario surriscaldamento dun 125 organo colpito o la liberazione da scorie fisio-psichiche, pu essere lasciata, favorita, comunque riguardata come il segno di qualcosa daltro. Ora in atto una potente febbre in Eurasia. Non vi sar cura, se non se ne vedranno le cause, se si continuer a considerarla un ostacolo alla corretta evoluzione delle cose, al retto ordina- mento del mondo. Essa continuer ad ardere e, se abbassata in un punto, sorger domani altrove, in altre forme, tali addirittura da non permetterne di scorgere la continuit con gli eventi che lhanno preceduta. Lo Swat si trova in uno stato di febbre. La sua evoluzione sto- rica, tutto il senso della sua storia, gli impulsi sociali che ha rap- presentato, creato e diffuso nel corso degli ultimi secoli, non permettono di capirne facilmente le cause. Quasi non si com- prende come unevoluzione cos lineare possa aver subto dun tratto uninterruzione, una svolta, uninversione cos radicale e violenta. Non si spiega a meno che non si cominci a vedere lin- tervento di qualcosa di estraneo, un virus politico, o meglio ideo- logico. Non credo per che quel virus si possa cos facilmente identificare con lislamismo radicale. Anche perch ho sempre creduto che lislamismo radicale sia uninvenzione del mondo moderno, una creazione artificiale. Non ha senso, addirittura frutto di unignoranza irresponsabile, continuare a rappresentar- si questa situazione come uno scontro tra civilt, come il segno, la pustola duna malattia che va estirpata. La concezione che in certi circoli si andata formando dello scontro di civilt, versione aggiornata del fardello delluomo bianco di imperiale memoria, pu essere nata solo in terre che sono divise dal mare dal resto dellecumene. Valga solo come immagine, eppure il senso di isolamento che se ne trae forte. V una solitudine alla base di pensieri, idee ed ideali astratti come questi. V limmagine di una civilt che crede di essere divenuta quello che da sola, con i suoi pochi eletti fondatori, i suoi ideali illuminati, in anticipo sul resto del mondo. Lorgo- glio babelico della solitudine versus la moltitudine degli umani, troppo umani. Il mare non la terra, ben lo insegna Schmitt, il mare unisce attraverso la velocit potenziale della sua orizzontalit tempora- nea; il mare divide. Il mare unisce, quando luomo costruisce cose che con lingegno e lartificio ingannino i venti, le onde, le cor- renti, le stelle. Il mare divide quando, nel rispetto metafisico della 126 sua essenzialit, luomo si ferma alle sue sponde e guarda al di l, come se guardasse al suo infinito. Attraversare il mare con linge- gno e lartificio, poterlo solcare, ha dato alluomo dellOccidente un senso di indipendenza: la terra cui approda sar quella conqui- stata, meritata, e al tempo stesso, gli rimarr estranea, diversa, alie- na. La civilt da cui proviene quelluomo non quella della terra su cui approda. Questa, viceversa, pu essere veduta come lambi- to di una civilizzazione svolta secondo le proprie utopie. Siccome ci si sente soli al mondo (In fin dei conti abbiamo noi attraversa- to il mare con lartificio e con lingegno, non loro!) le nostre utopie valgono come lutopia dellumanit intera. Ci si ricordi come le genti yusufzai dello Swat siano state sen- sibili a due elementi nel corso della loro storia moderna: impul- so alla socialit e direzione religiosa. Si ricordino le parole di Raverty: Dai rapporti che ho avuto con gli Afghani per via delle mie ricerche linguistiche e letterarie negli ultimi dodici-quattor- dici anni, so per certo che gli Afghani orientali [i.e. Pashtun] sono desiderosi di coltivare la nostra amicizia [...]. Si pensi alla fecondit dei rapporti tra lAsia islamica e le correnti del Movi- mento orientale poetico di Goethe e dei suoi, culminate nel Weststlischer Diwan. Si pensi alla sintesi che fu capace di prodursi tra il pi alto Islam e lopera di Hegel, Fichte, Nietzsche, Mazzi- ni, Gentile, Emerson, Steiner, in un rappresentante di elevato grado della Cultura asiatica come Muhammad Iqbal, il poeta che in Pakistan considerato il profeta nazionale. Si confronti tutto questo, e molto altro, tutto quello che di fecondo sorto e si metamorfosato nella cultura dellEurasia, come ebbe a intuire Giuseppe Tucci, con le gelide (ma soprattutto colpevolmente ignoranti) considerazioni dei rappresentanti delle teorie messia- niche dOltreoceano. Si vedr allora con chiarezza contrapporsi pensieri reali a verit astratte, irreali, feconde di dissoluzione. Rudolf Steiner, un pensatore che meriterebbe una pi vasta attenzione, pubblic nel 1919 un libro di straordinaria importan- za: I punti essenziali della questione sociale. Mi sono accorto, nel cor- so di una recente lettura, che quanto egli scrive alla fine della I Guerra Mondiale riguardo alla questione allora centrale del proletariato, si adatta perfettamente, nella ridefinizione del nuovo ordine mondiale conseguente ai fatti del 1989, alla condizione dei popoli del Sud, cui in buona sostanza si pu far risalire, e non certo per colpa loro, i motivi dellattuale crisi tra il Nord globalizzato e quella parte del mondo ancora legata a valori cul- 127 turali tradizionali. Da tale punto di vista v da chiedersi se lat- tuale crisi, piuttosto che uno scontro di civilt, non sia il segno dellagonia della civilt occidentale, quale noi oggi la conoscia- mo. Negli spasmi dellagonia si producono pensieri e concezio- ni, cui una parte ancora vitale (intendo addirittura naturalistica- mente vitale, una parte che ancora fa figli, che ancora soffre per cose umane, ancora muore di malattia, ancora non agogna lim- mortalit fisica, ancora si prende cura del congiunto), la parte vitale del mondo, si ribella. Non vuole partecipare dei beni mate- riali che il mondo occidentale le offre, anche se lanima bella di questultimo crede cos di sdebitarsi. Ne rifiuta la nuova spiri- tualit, l dove non si era opposta a quella che lEuropa, la migliore Europa, le aveva cominciato a proporre prima che le genti che navigavano il mare approdassero sulle sponde della Storia. La vita spirituale moderna stata trasmessa dalle classi dirigenti dellumanit al proletariato in una forma che, per la forma di esso, ne distrugge la forza [...]. Se, in qualche luogo, ricavata dagli impulsi del tempo e radicata in una realt spirituale, si manifester una vita dellani- ma che sia per gli uomini un sostegno interiore, da essa potr irradiare la forza adatta a dare il giusto impulso anche al movi- mento sociale. Il fatto che luomo oggi appartenente al proleta- riato, non possa attendersi questo dalla vita spirituale, quel che d alla sua anima lintonazione fondamentale. Egli ha biso- gno di una vita spirituale che emani una forza capace di dare alla sua anima il sentimento della dignit umana poich, quan- do egli fu impigliato nelleconomia capitalistica dei tempi moderni, i bisogni pi profondi della sua anima sindirizzarono verso la vita spirituale. Invece la vita spirituale che gli venne tra- smessa come ideologia dalle classi dominanti gli vuot lanima [...]. Come da una potente forza suggestiva, il suo sguardo sta- to avvinto esclusivamente dalla vita economica. (Steiner 1980 4 : 38-40). La netta separazione geopolitica Nord-Sud espressa nei fatti ultimi delle relazioni internazionali, pi radicale di quella Est- Ovest, sovrapposta a insolubili rapporti di comunione storica e culturale, pu trovare proprio nellItalia mediterranea il suo punto dincontro. Vicinanza culturale (non solo caratteriale), sensibilit, tendenza universale, ma soprattutto la presenza di un interno punto di riferimento: queste sono le forze coltivate lun- 128 go molti secoli che il popolo italiano pu mettere a disposizione dei popoli dOriente. I temi fondamentali sarebbero innanzitut- to quelli interiori: la coscienza, la vita del pensiero, la relazione di questa con il mondo, e quindi la questione sociale, il senso dello Stato, il rapporto tra politica e cultura. In tutto questo lIta- lia che si desti a se stessa pu rendere un servigio unico allunit eurasiatica e alla diffusione della concordia internazionale. Esser desti a se stessi significa per autoconoscenza, valorizzazione e diffusione presso i popoli a noi vicini delle nostre forze culturali, quelle che da noi si sono caratterizzate come una vera e propria tradizione. Fondamentale in questo rapporto, per favorire una reciproca fiducia, il riconoscimento delle forze culturali dei popoli del- lOriente e della loro storia spirituale. Ecco limportanza di studi orientalistici che si liberino del vizio dorigine loro proprio, che non quello di essere sorti, ma quello di essersi sviluppati in ambiti eccessivamente tecnici e specializzati, quindi sostanzial- mente privi di libert. Tutto ci che cultura in senso pi alto, conoscenza che nasca dallamore per loggetto, non pu che costituire un germe cosmopoliticamente valido l dove, superan- do il carattere nazionale, attinge ad una sfera meno effimera. Ed questa la sfera in cui vanno riportati tutti i nodi cruciali. Anche in questo lItalia, lEuropa, direi, per qualit intrinseche alla pro- pria tradizione e per lattuale presenza di forze culturalmente attive in tal senso, pu porsi allavanguardia. 129 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Akbar Ahmed (1976) Millennium and Charisma among Pathans. London. Azmat Hayat Khan (con note di M.Y. Effendi) (2005 3 ) The Durand Line. Its Geo-Strategic Importance. Area Study Centre University of Peshawar. Peshawar. Barth, F. (1959) Political Leadership among Swat Pathans. London School of Economics. Monographs on Social Anthropology. London. Barth, F. (1995) The Last Wali of Swat. An Autobiography as Told to Fredrik Barth. Bangkok. Barthorp, M. (1982 1 , 2002) Afghan Wars and the North-West Frontier 1939-1947. London. Bellew, H.W. (1864 1 , 2001) A General Report on the Yusufzais. Lahore. Biddulph, J. (1880 1 , 1986) Tribes of Hindoo Koosh. Lahore. Cacopardo, A.M. e A.S. Cacopardo (2001) Gates of Peristan. History, Religion and Society in the Hindu Kush. IsIAO Reports and Memoirs, series minor, V. Rome. Callieri, P. e A. Filigenzi, a cura di (2002) Il Maestro di Saidu Sharif. Alle origini dellarte del Gandhara. Roma. Callieri, P. et al., a cura di (2006) Valli della Memoria. Antiche Genti Luoghi e Immagini dello Swat. 50 Anni della Missione Archeologica Italiana in Pakistan. IsIAO. Roma. Caroe, O. (1958 1 , 1983) The Pathans 550 B.C.-A.D. 1957. With an Epilogue on Russia. Karachi. Churchill, W.S. (1898 1 , 1989) The Story of the Malakand Field Force. London. Fida Yunas, S. e Sher Zaman Taizi, a cura di (2007) Treaties, Engagements and Sanads Relating to the North West Frontier Province. Entered into between the Govt. of British India and the Neighbouring States and Territories. Compiled by Aitchison Charles Umpherston up to 1930 AD. Area Study Centre University of Peshawar. Peshawar. Hopkirk, P. (1990 1 , 2004) Il Grande Gioco. Milano. Hungtington, S.P. (1996 1 , 1997) Lo scontro delle civilt e il nuovo ordine mondiale. Milano. Iqbal, M. (1965) Il poema celeste (con una antologia di altre opere, curate e tradotte da A. Bausani). Scrittori dOriente, 3. Bari. Jettmar, K. (1989 1 , 2002) The Northern Areas of Pakistan. An Ethnographic Sketch. In Id., Beyond the Gorges of the Indus. Archaeology before Excavation, pp. 9-44. Karachi. La Cecla, F. e M. Tosi, a cura di (2005) Le frontiere dellAfghanistan. Bologna. Martelli, M. (2002) LIndia e il Fascismo. Chandra Bose, Mussolini e il problema del Nazionalismo indiano. Roma. Miangul Abdul Wadud, in collaborazione con M. Asif Khan (1963) The Story of Swat as Told by the Founder. Peshawar. Miangul Jahanzeb, in collaborazione con F. Barth (1985 1 , 1995) The Last Wali of Swat. Bangkok. Muhammad Amir Rana (2007) A to Z of Jehadi Organizations in Pakistan. Lahore. Muhammad Amir Rana e Rohan Gunaratna (2007) Al-Qaeda Fights Back Inside Pakistani Tribal Areas. Pak Institute for Peace Studies. Lahore. Muhammad Farani, a cura di (2007) Criminal Local & Special Laws. Minor Acts Central & Provincial. Lahore. Olivieri, L.M. (2006a) Outline History of the IsIAO Italian Archaeological Mission in Pakistan. In Id., a cura di, East and West, 56, 1-3 (volume dedicato al cinquantesimo anniversario della Missione Archeologica dellIsIAO in Pakistan), pp. 23-41. Rome. Olivieri, L.M. (2006b) The IsIAO Italian Archaeological Mission in Pakistan. A Selected Bibliography (1956-2006). In Olivieri 2006a: 301-18. Quaroni, P. (1965) Il mondo di un Ambasciatore. Milano. Rashid Ahmed (2000 1 , 2001) Talebani. Islam, petrolio e il Grande scontro in Asia centrale. Milano. Rashid Ahmed (2008) Descent into Chaos. The United States and the Failure of Nation Building in Pakistan, Afghanistan, and Central Asia. New York. Raverty, H.G. (1901 1 , 1982) A Dictionary of the Pukhto or Pushto Language. Peshawar. Spain, J.W. (1963 1 , 1985) The Pathan Borderland. Karachi (Indus). Stein, M.A. (1929 1 , 2001) On Alexanders Track to the Indus. Personal Narrative of Explorations on the North-West Frontier of India. London. Steiner, R. (1980 4 ) I punti essenziali della questione sociale. Traduzione di L. Schwarz. Milano. (1 a ed. tedesca 1919). Stewart, J. (2007) The Savage Border. The History of The North-West Frontier. Phoenix Mill. Tucci, G. (1963 1 , 1978) La via dello Swat. Roma. Tucci, G. (1997) On Swa - t. Historical and Archaeological Notes. A cura di P. Callieri e A. Filigenzi. Rome. Yule, H. e A.C. Burnell (1886 1 , 1996) Hobson-Jobson. The Anglo-Indian Dictionary. Ware. Zafar Hussain Chaudhary, a cura di (2005) Manual of Jirga Laws. Lahore. 132 Abdul Ghaffar 87, 92 Abdul Ghafur 68 Abdul Wahid 68 Abdur Rahman 70, 77 Abdur Rashid 65 Abisares 37, 39 Ahmad Shah 66 Aitchison, C.U. 94 Akam Khan 21-22, 100, 106 Akbar 63-64, 67 Akhtar Manir 22, 47-48 Akhund Darwaza 65 Al-Biruni 51 Alessandro Magno 7, 23, 26, 36, 37, 39, 40-42, 56, 123 Ali Khan 30 Amanullah 78 Apalala 46-47 Apollo 36 Arshad Khan 22, 40-41, 100 Asfandyar Amirzeb 113 Asif Ali Zardari 117-118 Assaceno 41 Aurangzeb 65, 89, 90 Avitabile, P.C.M. 69 Ayub Khan 88, 90-92 Babar 61, 63 Bagnera, A. 27 Barthorp, M. 72 Bayazid Ansari 63 Bellew, H.W. 69 Benuzzi, F. 23 Bhutto, Benazir 111, 113, 117 Bhutto, Zulfikar Ali 92 Bianchi Bandinelli, R. 11 Buddha 44, 46, 123 Buddhagupta 62 Burnes, A. 76 Bussagli, M. 42 Caino 61 Callieri, P. 10-11, 19-20, 26-27, 105, 108 Caroe, O. 59, 69, 98 Ceno 37 Censi, A. 11, 99-100 Chamberlain N. 69 Chatwin, B. 11 Churchill, W.S. 72 Cleofi 41 Colliva, L. 11 Curiel, R. 23 Curzon, G.N. 69, 77 De Chiara, M. 10 Desio, A. 8, 24 Dost Muhammad 76 Dowar Khan 106 Duca degli Abruzzi 24 Duca di Spoleto 24 Durand, A. 70 Eden, A. 97 Elisabetta II 90 Emerson, R.W. 127 Enrico VIII 67 Eracle 39 INDICE DEI NOMI PROPRI 134 Escher, M.C. 35 Faccenna, D. 10-11, 20-22, 26, 29, 31, 44 Fazal Mabud 19 Fazal Wahid 22 Federico II 122 Fichte, J.G. 127 Filigenzi, A. 10-11, 19-20, 26, 53 Filippo lArabo 49-50 Filippo, principe 92 Flajano, E. 11 Foucher, A. 85 Gaspar/Gudafar 42 Gentile, G. 23, 127 Giunta, R. 27 Giustiniano 50 Gnoli, G. 10, 39 Goethe, J.W. 55, 124, 127 Gondophares 42 Greene, G. 11 Grimm, J.L.K. e W.K. (fratelli) 40 Gullini, G. 26 Haji Baba 114 Hegel, G.W.F. 127 Indra 39, 46 Indrabhuti 51 Iqbal, A.M. 93, 127 Irwin, E. 86 Iskandar Mirza 85, 90 Jahanzeb 79, 83-84, 87-92, 105-106, 113 Jaynes, J. 60 Jinnah, A.M. 89, 116 Kao Xien Chi 52 Khalid ibn Walid 61 Khan Sahib 87 Kharshbun 61 Khushal Khan 105 Khusro 90 Kim 21 Kipling, R. 11, 69 Kshetrapati 35 Kujula Kadphises 46 Lewanai Fakir 72, 78 Liaqat Ali Khan 89 MacKenzie, D.N. 11, 17, 57, 123 Mahmud di Ghazna 7, 51 Malik Ahmed 63 Maometto 61, 66 Maraini, F. 53 Marco Polo 8 Maulana Fazlullah 107, 112-113, 115 Maulana Sufi Mohammad 102 Mazub mullah 83 Mazzini, G. 127 Melasecchi, B. 10 Miangul Abdul Khaliq 69-70 Miangul Gulshada Abdul Wadud, Badshah 23, 63, 66, 70, 78-82, 84-89 Miangul Jahanzeb 23 Micheli, R. 11, 47, 99-101 Mihirakula 50 Mir Hinda 61 Mirza Ali Khan 93 Mirza Ulugh Beg 61, 63 Morgenstierne, G. 11 Morigi, E. 11, 47, 101 Mott-Radclyffe, C. 97 Musharraf, P. 103, 107, 111, 113, 117 Naipaul, V.S. 99 Najib 22 Nascari, M. 11, 20-21, 40 Nawab Mohammad Sharif Khan 72 Nawaz Sharif 101, 103, 111, 113- 114, 117 Nicanore 41 Nietsche, F. 127 135 Noci, F. 27, 30 O rgyan pa 62 Olivieri, L.M. 7, 8, 10 Olivieri, N. 27, 30 Omara Khan 70, 81 Omero 60 Osama bin Laden 102, 118 Padmasambhava 23, 51 Pinelli, C.A. 25 Pir Baba 65-68, 78, 80, 114 Pir-i Roshan 63-65, 68 Podhoretz, N. 10 Poliperconte 37 Prati, V. 8 Qais Abdur Rashid 61 Quaroni, P. 8, 13, 24 Raja Jahangir 61 Raverty, H.G. 69, 95, 127 Robertson, G.S. 70, 72 Rosati, D. 27 Sahibzada Abdul Qayyum 87 Saidu Baba 68-69, 78, 80 San Tommaso 42 Sandakai mullah 79-81 Sandeman, R. 69, 77 Sarbanr 61 Sayyid Abdul Jabbar Shah 80 Sayyid Ahmed Shah Brelwi 67-68 Sayyid Akbar Shah 67-68 Sayyid Ali Shah Tarmezi 65 Scerrato, I. 25 Scerrato, U. 25, 27, 30 Schlumberger, D. 45 Schmitt, C. 97, 126 Shafiq Ahmad 108-109 Shah Alam Khan 22 Shah Zaman 67 Sharif, M. 56 Shedai, M.I. 24 Sheikh Malik 63, 86 Shirin Sahib 82 Shuja-ul-Muluk 69, 70 Silvi Antonini, C. 26 Sohrawardi 64 Spain, J.W. 77, 95 Stacul, G. 26, 30 sTag tsan ras pa 62 Stein, A. 23, 47, 72, 85-86 Steiner, R. 127-128 Sufi Mohammad 104, 107, 112 Sultan Awes 61 Sundia Baba 87-88 Surya 53 Taddei, M. 11, 26-27, 29-30 Tamerlano 61 Timur Shah 66-67 Tucci, G. 7-8, 15, 21, 23-25, 29, 33, 47, 62, 105-106, 127 Tusa, S. 26, 30 Vallazza, A. 25 Venturello, D. 40 Venturello, V. 40 Vidale, M. 11, 31, 33-34, 47, 52-53, 101, 108 Vindapharna 42 Wali Khan 91 Waliullah Khan 23 Waugh, E. 62 Welles, O. 101 Xuanzang 50, 54 Yahya Khan 92 Yusuf 61 Zamani 22, 40 INDICE Presentazione di S.E. Vincenzo Prati ................................................. 7 Prefazione ........................................................................................... 9 Nota................................................................................................... 11 INTRODUZIONE ................................................................................ 13 LE VIE DELLA STORIA Il fattore umano............................................................................... 19 La Missione Archeologica Italiana.................................................. 23 La maya dellarcheologo.................................................................. 29 Una lenta rivelazione....................................................................... 33 Lo Swat di Alessandro e dei regni ellenizzanti .............................. 37 Il Buddhismo al centro del potere ................................................. 43 La sindrome di Filippo lArabo................................................... 49 Dalla rinascenza induista allIslam................................................. 51 MORFOLOGIA DEL PRESENTE Larrivo degli Yusufzai ..................................................................... 59 Ai confini degli Imper .................................................................... 65 Nascita di uno Stato (1917-1926) ................................................... 73 Una via verso la modernit (1927-1969) ........................................ 85 La partition incompiuta.................................................................... 93 Tempo di uccidere .......................................................................... 99 Da archiviare per uso futuro........................................................... 123 Bibliografia essenziale.......................................................................... 131 Indice dei nomi propri ......................................................................... 133 Finito di stampare nel mese di gennaio 2009 Grafica Cristal S.r.l. Via Raffaele Paolucci, 12/14 - 00152 Roma