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francesco toto
Riconoscimento e dominio.
La superbia, la stima e il disprezzo nell'Etica di B. Spinoza.


Nella sua capacit di tenere assieme desiderio e normativit, natura e storia, autonomia
individuale e relazionalit, differenze e universalismo, conflitto e unificazione, dinamiche sociali e
politiche, il tema del riconoscimento occupa nella riflessione antropologica, etica e politica di
Spinoza una posizione al tempo stesso centrale e ambivalente. Da un lato, infatti, il riconoscimento
svolge un ruolo fondamentale nella strutturazione dell'Io, della sua coscienza di s, del suo rapporto
positivo con s stesso e con il mondo. La reciprocit del riconoscimento, allo stesso modo,
rappresenta una condizione fondamentale di ogni socialit non estrinseca, nella quale gli uomini
possano fare esperienza dei loro rapporti come condizioni del comune godimento della razionalit,
dell'autonomia, della felicit che definiscono una vita buona. Proprio ai criteri di riconoscimento
storicamente determinati nella forma dei costumi, infine, legata la definizione dei rapporti tra
societ civile e Stato e dei diritti nella cui protezione il potere politico deve trovare il proprio
fondamento consensuale. D'altro lato il riconoscimento si impone come un fattore capace di fissare
gli individui in una falsa consapevolezza di s e del mondo, di generare una rivalit che li rende
molesti gli uni per gli altri ed ostacola i rapporti di cooperazione e amicizia, di favorire
l'autonomizzazione di una sfera delle apparenze alla quale ognuno pu conformarsi solo a costo di
un occultamento di s e di una lacerazione interiore, di offrire le basi ideologiche che consentono
l'affermazione e la riproduzione di rapporti di potere asimmetrici. Le ragioni che finora hanno
ostacolato l'incontro tra le contemporanee teorie del riconoscimento e la riflessione spinoziana sugli
affetti di stima e il disprezzo, lode e biasimo, gloria e vergogna, emulazione ed invidia, amicizia e
gelosia, onest e ambizione, sono senza dubbio stratificate e complesse
1
. Alcune sono di natura
congiunturale, e dipendono almeno in parte dal modo in cui Honneth ha presentato il proprio
discorso nella forma di una riattualizzazione del pensiero hegeliano
2
, mentre il riferimento a
Spinoza stato valorizzato da autori come Althusser Deleuze o Negri in una chiave sostanzialmente

1
Alcuni studi hanno cominciato ad affrontare il problema. Tra questi mi limito a ricordare qui V. Morfino,
Transindividuale e/o riconoscimento: ancora sull'alternativa Hegel/Spinoza, in N. Marcucci, L. Pinzolo (a cura di),
Strategie della relazione, Meltemi editore, Roma, 2010, pp. 179-200; Ch. Lazzeri, Dsir mimtique et reconnaissance,
in Ch. Ramond (a cura di), Ren Girard. La thorie mimtique. De l'apprentissage l'apocalypse, PUF, Paris, 2010, pp.
15-58 e, Id, Pascal et Spinoza. Deux modles de reconnaissance, in L. Bove, G. Bras, E. Mchoulan (a cura di), Pascal
et Spinoza. Pense du contraste. De la gomtrie du hasard la ncessit de la libert, Editions Amsterdam, Paris,
2007, pp. 245-272
2
Cfr. per es. A. Honneth, Lotta per il riconoscimento. Proposte per un'etica del conflitto, Il saggiatore, Milano, 2002,
capp. 2 e 3, e Id., Il dolore dell'indeterminato. Una attualizzazione della filosofia politica di Hegel, manifestolibri,
Roma, 2003.
2

anti-hegeliana
3
. Altre sono invece di natura pi intrinseca, e riguardano la reciproca incompatibilit
di alcuni degli assunti di base del discorso honnethiano e di quello spinoziano
4
. Per contribuire a
superare questi ostacoli qui di seguito mi concentrer su un dettaglio apparentemente marginale
della teoria spinoziana delle passioni, e che per, rendendo evidente il possibile legame tra
riconoscimento e dominio, mi sembra interessante sia per gli studi spinoziani che per il dibattito
teorico contemporaneo: la definizione degli affetti di superbia stima e disprezzo con il riferimento
alla questione della giustizia contenuto che esso contiene, e la dimensione "intersoggettiva" entro la
quale questione della giustizia acquista il suo senso.

1. La parte dell'Etica spinoziana dedicata alla trattazione dell'origine e della natura delle
passioni si apre con una scena di conflitto, che vede l'autore dell'opera polemizzare contro coloro
che portano avanti un discorso moralistico sulle passioni. La maggior parte di coloro che hanno
scritto degli affetti e del modo di vivere degli uomini, scrive Spinoza, non ha cessato di
denunciare le passioni come ripugnanti alla ragione, vane, assurde ed orrende, interpretandole
come l'espressione di non so quale vizio della natura umana, che essi per questa ragione
compiangono, deridono, disprezzano o come accade per lo pi detestano. Nella pi netta
contrapposizione al discorso dominante, il compito che Spinoza assegna al discorso sulle passioni
quello di conoscerle nella loro necessit, come delle propriet coerenti rispetto alle leggi e regole
universali della natura
5
, delle conseguenze di quello stesso sforzo di perseverare nel proprio essere
che rappresenta l'essenza o natura non solo dell'uomo, ma di tutte le cose della natura
6
. Questi due
discorsi si contrappongono tra loro non solo come una forma di conoscenza inadeguata,
immaginaria, si oppone ad una adeguata e razionale, ma anche come un discorso finalizzato al
dominio e al suo occultamento ed uno finalizzato alla libert e allo smascheramento delle
formazioni ideologiche che ne ostacolano lo sviluppo. Chi ha saputo denigrare con maggiore
eloquenza ed arguzia limpotenza della mente umana, prosegue Spinoza, tenuto come divino,
ed oggetto di quella devozione che nel Trattato teologico-politico indica una sottomessa
dedizione nei confronti di un Dio immaginario, e nellEtica l'amore che possiamo provare per un

3
Su questo uso di spinoza vedi ad es. L. Althusser, L'unica tradizione materialista, a cura di V. Morfino, CUEM,
Milano, 1998; G. Deleuze, Spinoza e il problema dell'espressione, Quodlibet, Macerata, 1999
4
L'assunzione honnethiana del riconoscimento quale presupposto intersoggettivo dell'autodeterminazione individuale,
ad esempio, non ha senso in un sistema come quello spinoziano, nel quale l'idea di soggettivit e di libera volont si
ritrovano spogliate di ogni significato razionale. La distinzione tra scopi di autoconservazione e pulsioni morali
connesse al riconoscimento, ugualmente, incompatibile con l'identificazione spinoziana dello sforzo di conservare s
stessi come principio di ogni attivit umana. Su questo punto cfr. A. Honneth, Lotta per il riconoscimento, cit., p. 15,
e Riconoscimento come ideologia, in Id., Riconoscimento come ideologia, a cura di M. Solinas, Firenze university press,
2010, p. 83.
5
B. Spinoza, Etica, traduzione di G. Durante, note di G. Gentile rivedute e ampliate da G. Radetti, Bompiani, Milano,
2007 (D'ora in poi semplicemente Etica), p. 233-4.
6
Etica, p. 255.
3

uomo in ragione dellammirazione e della venerazione suscitata in noi dall'eccezionalit delle sue
virt, che ci spinge a considerarlo non pi come un nostro eguale
7
, ma come di gran lunga
superiore a noi
8
. Il discorso di colui che eloquentemente denigra la natura umana e ne deplora le
passioni un discorso esso stesso appassionato, mosso dallambizione con la quale il filosofo e il
teologo pretendono di imporre un ideale ascetico di rinuncia alle passioni
9
, capace di indurre chi
inevitabilmente le prova a vergognarsi di s, a tenere a freno i propri desideri, a delegare ad altri,
considerati superiori e magari interpreti di Dio
10
, lautorit di giudicare del bene e del male, del
vizio e della virt, del merito e della colpa. Il discorso spinoziano tende invece a una comprensione
razionale degli affetti, in grado di emanciparci sia dal dominio che le passioni esercitano su di noi
quando pretendiamo di negarle, sia da quello che l'altro uomo esercita quando, nel nome della
nostra libert, ci costringe ad operare quella negazione. Per portare a compimento il proprio
progetto, per, il discorso spinoziano deve riuscire ad applicarsi anche alla lotta per il
riconoscimento e per il dominio in cui sono impegnati il filosofo e il teologo, e renderne conto
facendone l'espressione di una disposizione affettiva pi generale e radicata nella natura stessa
dell'uomo. Adeguatamente compresa e contestualizzata, la definizione degli affetti di superbia stima
e disprezzo contenuta nello scolio della proposizione 26 della Parte terza mostra in che modo
Spinoza porti a termine questa naturalizzazione del discorso moralistico sulle passioni.

Da ci vediamo come avvenga facilmente che luomo senta di s e della cosa amata pi del
giusto, e al contrario della cosa odiata meno del giusto, immaginazione che, in verit, quando
riguarda lo stesso uomo che sente di s pi del giusto si chiama superbia, ed una specie di
delirio, perch luomo sogna ad occhi aperti di potere tutte le cose che consegue con la sola
immaginazione, e che perci considera come reali, e ne esulta finch non pu immaginare ci
che esclude la loro esistenza e limita la sua potenza di agire. La superbia perci, una letizia
nata dal fatto che luomo sente di s pi de giusto. Si chiama stima, inoltre, la letizia che nasce
dal sentire di un altro pi del giusto, e disprezzo quella che nasce dal sentire dellaltro meno
del giusto
11
.

Quando afferma che da ci vediamo come avvenga facilmente che luomo senta di s e della cosa
amata pi del giusto, e al contrario della cosa odiata meno del giusto, Spinoza fa riferimento alle
due proposizioni immediatamente precedenti, secondo le quali l'amore di s, l'amore e l'odio ci
dispongono da un lato ad affermare od immaginare come presenti tutte le cose che conservano od

7
Etica, p. 349.
8
Etica, p. 341.
9
Etica, p. 493-5
10
Etica, p. 95.
11
Per una lettura di questo passo, vedi P. Macherey, Introduction l'Ethique de Spinoza. La troisime partie: la vie
affective, PUF, Paris, 1995, pp. 208-11.
4

allietano noi stessi e la cosa amata, o distruggono e rattristano quella odiata, e dall'altro a negare od
immaginare come assenti tutte quelle che distruggono o rattristano noi o la cosa amata, e
conservano od allietano quella odiata. proprio questa disposizione che permette alle passioni
definite nel nostro scolio di ricomparire, nelle Definizioni degli affetti con cui si conclude la Parte
terza, come degli effetti o delle propriet dell'amore di s, dell'amore o dell'odio
12
, e dunque del
desiderio di cui tutte le passioni sono espressione. La gioia che noi proviamo quando immaginiamo
una cosa che amiamo come presente e una che odiamo come assente di per s stessa del tutto
indifferente alla circostanza ulteriore che quella cosa sia, in realt, presente od assente: noi godiamo
della sua presenza o della sua assenza perch ne siamo convinti, non perch questa convinzione sia
vera
13
. Internamente orientato dalla potenza del desiderio, il lavoro dell'immaginazione tende
sempre a rappresentare la fonte del godimento come presente, quello della sofferenza come assente.
La modalit primaria di soddisfazione del desiderio, di conseguenza, non quella pratica e legata
all'azione che in effetti secondo la proposizione 28 interviene solo quando il nostro desiderio
frustrato dal riconoscimento dell'assenza della cosa desiderata o della presenza di quella avversata
ma quella allucinatoria, legata alla potentia imaginandi. Superbia stima e disprezzo, queste forme
gioiose e deliranti di sopravvalutazione o sottovalutazione di s e dell'altro, indicano non solo dei
vizi o delle patologiche eccezioni
14
, ma, pi alla radice, delle disposizioni strutturali della natura
umana: le forme primarie di soddisfazione di un desiderio che per Spinoza costituisce l'essenza
stessa dell'uomo
15
, l'espressione specificamente umana di quello sforzo di perseverare nell'essere
che definisce l'essenza attuale di ogni cosa
16
.
Intrecciandosi tra loro, i nostri tre affetti operano come un solo meccanismo affettivo,
attraverso il quale l'immaginazione riesce a piegare fino ad un certo punto lesperienza e la
coscienza che l'uomo ha di s e del mondo alle proprie logiche, a costruire e proteggere
unesistenza completamente orientata su s stessa
17
, un s stesso immaginario, capace di porsi
come il signore incontrastato di un eden immaginario e impossibile, di vivere il mondo come una
protesi del proprio corpo, il teatro della sua affermazione di s, del trionfo della sua potenza o dei
suoi qualsivoglia desideri
18
. Anche se i nostri affetti rappresentano delle derivazioni di una pulsione

12
Cfr. Etica, pp. 377 e 381.
13
Etica, p. 275.
14
Cfr. Etica, pp. 157 e 491.
15
Etica, p. 363.
16
Cfr. Etica, p. 255 e 259.
17
Ch. Lazzeri, Reconnaissance spinoziste et sociologie critique : Spinoza et Bourdieu, in Y. Citton, Fr. Lordon, Spinoza
et les sciences sociales, Editions Amsterdam, Paris, 2008, p. 379.
18
Cfr. A. Matheron, Individu et communaut, Editions du minuit, Paris, 1969, pp.148-49, dove si legge che
lautomistificazione del superbo costruisce un universo mitico sul quale pu vantare una sia pure immaginaria
padronanza totale. Vedi anche L. Bove, La strategie du conatus, Vrin, Paris, 1996, trad. it., Ghibli, Milano, 2002, p.
104: considerare s stesso come un Dio [] la verit dellamor proprio.
5

biologica all'autoconservazione, la gioia che essi fomentano non si lascia ridurre al piacere
connesso alla liberazione dal bisogno o dal dolore, ma sempre legata alla formazione
intensificazione e difesa dell'amore che l'uomo prova verso s stesso, e chiama in causa la
dimensione immaginaria della coscienza che l'uomo ha di s, della propria potenza, del proprio
valore, della propria capacit di soddisfare i propri bisogni e le proprie aspirazioni, di essere attivo e
portare a compimento il progetto di vita che sente proprio trovando in s stesso un oggetto degno di
amore. Da questo punto di vista, per, un uomo pu rappresentare per un altro uomo una causa di
godimento o di sofferenza, un mezzo o un ostacolo alla sua soddisfazione, un oggetto di desiderio o
avversione, ma non sembra che i rapporti interumani, tra soggetto e soggetto, presentino alcuna
specificit rispetto a quelli tra uomo e natura, tra soggetto e oggetto, n quindi che l'opinione o il
sentimento che un uomo nutre nei confronti di un altro possano svolgere un ruolo autonomo nella
formazione della coscienza del secondo e della sua soddisfazione di s. Per afferrare la dimensione
"intersoggettiva" entro la quale superbia stima e disprezzo rivelano il loro pieno significato, e per
scorgere il bisogno di riconoscimento al quale non sfugge neppure colui che tende a trovare nelle
proprie stesse fantasie e in un rapporto monologico con s stesso la sua piena soddisfazione o
felicit, occorre concentrarsi su quello che mi sempre sembrato un vero e proprio enigma: perch
colui che prova superbia, stima o disprezzo viene detto sentire di s e della cosa amata pi del
giusto, di quella odiata meno del giusto?

2. La giustizia, come viene comunemente definita, la volont costante e perpetua di
garantire a ciascuno il suo diritto
19
, e si dice giusto colui che ha la volont costante di dare a
ciascuno il suo, e ingiusto chi cerca al contrario di far suo ci che appartiene ad altri
20
. Secondo
questa sua interpretazione tradizionale la giustizia, o il retto uso della assoluta facolt di volere di
cui l'uomo si immagina detentore
21
, potrebbe indicare non solo la virt "civile" attraverso la quale
l'uomo aderisce liberamente agli obblighi che gli sono imposti in quanto cittadino, ma anche una
virt "morale" consistente nel rispetto dei diritti che la natura stessa assegna ad ognuno. Per
Spinoza, per, il diritto e l'istituto di natura [] non proibiscono nulla, se non ci che nessuno pu
desiderare e nessuno pu
22
, perch il diritto naturale di una cosa qualunque si estende fin dove
arriva la sua determinata potenza
23
. Dove l'uomo fa quindi per supremo diritto di natura ci che

19
B. Spinoza, Trattato teologico-politico, a cura di Pina Totaro, Bibliopolis, Napoli, 2007 (d'ora in poi TTP), p. 109.
20
B. Spinoza, Trattato politico, edizione critica del testo latino e traduzione italiana a cura di Paolo Cristofolini,
Edizioni ETS, Pisa, 2011 (d'ora in poi TP), p. 51.
21
Etica, p. 215.
22
TTP, p. 375.
23
TTP, p. 373.
6

segue dalla necessit della sua natura
24
, o dal proprio desiderio, e non si d nulla che possa essere
per diritto di questo e non di quello, ma tutto di [] di coloro che hanno il potere di
appropriarsene
25
, il giusto e l'ingiusto si riducono a delle finzioni umane, a dei semplici esseri
di immaginazione
26
. Spogliate di ogni rapporto con un diritto naturale degli individui, ridotto a
mera rivendicazione soggettiva, giustizia e ingiustizia mostrano di poter essere concepite solo in
relazione a una potenza collettiva in grado di determinare i diritti dei singoli e di renderli esigibili, e
si identificano la prima con una volont costante di attribuire a ciascuno quello che gli compete per
diritto civile, la seconda con la volont di sottrarre a qualcuno [] ci che gli compete secondo la
vera interpretazione delle leggi, di compiere quell'injuria che consiste appunto in un danno
contro il diritto civile
27
.
Sullo sfondo di questa separazione tra diritto naturale e giustizia, il discorso spinoziano si
muove simultaneamente su due livelli. Da una parte, nessuno obbligato ad adattarsi alle pretese
dell'altro, a dei diritti che si basano pi su un'opinione che sulla realt
28
, e la definizione di
superbia stima e disprezzo come degli affetti che ci spingono a sentire di noi e delle cose pi o
meno del giusto indica certo che quando ne siamo presi formiamo una concezione immaginaria del
giusto e dell'ingiusto, incongruente con l'effettiva estensione della potenza e del diritto nostro od
altrui, ma non che nel provarli ci sia qualcosa di ingiusto. Dall'altra, e nell'atto stesso di rivendicare
la radicale innocenza che i nostri affetti palesano agli occhi di uno spettatore razionale e distaccato,
Spinoza ci invita a prendere in considerazione il punto di vista immaginario ed appassionato degli
attori. Ogni cosa naturale, vero, ha dalla natura tanto diritto quanta la sua potenza di esistere
ed operare
29
. Altrettanto vero, per, che la superbia consiste appunto in una sopravvalutazione
della propria potenza (luomo sogna ad occhi aperti di potere tutte le cose che consegue con la sola
immaginazione), e che per analogia anche la stima e il disprezzo possono essere pensate come
delle forme di sopravvalutazione o sottovalutazione della potenza delle cose che amiamo od
odiamo. I nostri affetti mostrano allora di investire la considerazione immaginaria che l'uomo ha
non solo della potenza, ma, per ci stesso, anche del diritto proprio ed altrui. Poich
l'immaginazione non per Spinoza una semplice illusione sulla realt, ma essa stessa una realt

24
Etica, p. 477.
25
TP, p. 51.
26
Etica, pp. 91 e 99.
27
TTP, p. 387. Per una ricostruzione del nesso spinoziano di potenza e diritto naturale vedi E. Balibar, Spinoza et la
politique, PUF, Paris, 1985, 72-78 e F. Bonicalzi, L'impensato della politica. Spinoza e il vincolo civile, Guida Editori,
Napoli, 1999, p. 71-82; per il raffronto con Hobbes, cfr. A. Matheron, Le "droit du plus fort". Hobbes contre Spinoza, in
Id., Etudes sur Spinoza et les philosophies de lge classique, ENS Editions, Lyon, 2011, e Ch. Lazzeri, Droit, pouvoir,
libert. Spinoza critique de Hobbes, PUF, Paris, 1998, pp. 132 e sgg.
28
TP, p. 45.
29
TP, p. 35.
7

capace di produrre effetti secondo precise leggi, vale la pena osservare pi da vicino il punto di
vista immaginario sul diritto e sulla giustizia. Per farlo, mi sembra utile concentrarmi a titolo di
esempio su un solo interrogativo: chi che pronuncia il nome della superbia conformemente al suo
uso comune, nel quale esso designa innanzitutto un vizio?
La superbia, come sappiamo, strutturalmente connessa a una falsa opinione sulla propria
potenza e sul proprio diritto
30
. La maggior parte degli errori consiste per solo in questo, che noi
non applichiamo correttamente i nomi delle cose
31
, ed quindi lecito supporre che il superbo pensi
ed agisca nel nome del diritto e della giustizia, ritenendo di dare a ciascuno il suo. La
consapevolezza della discrepanza tra l'idea immaginaria della potenza e del diritto che egli fa
propria e la realt non pu sorgere se non al tramonto dell'affetto, perch l'apparizione della
coscienza tutt'uno col dileguare della passione. Il superbo pu riconoscere come tale le proprie
illusioni solo quando il suo sogno ad occhi aperti cede il passo a una riconquistata lucidit, e la
gioia che lo accompagnava svanisce: pu confessare la propria superbia come appartenente a un s
stesso passato, nel quale non si riconosce pi, ma non riconoscerla come propria. Per questa
ragione, l'uomo pu fare esperienza della superbia solo come l'affetto di un altro. solo l'altro,
quando vede disprezzato s stesso e le cose che ama o stimate quelle che odia, e si identifica con la
vittima dell'ingiustizia dell'altro, a poter pronunciare il nome di superbia conformemente al suo uso
comune, che la identifica come l'inizio di tutti i peccati
32
. A questo punto, per, siamo gi usciti
dalla prospettiva monologica nella quale gli affetti di superbia stima e disprezzo sembrano in un
primo momento rinchiudere colui che li prova, e siamo costretti a prendere in considerazione il
rapporto dialogico tra il superbo e il suo altro, che coinvolge non solo gli interessi legati alla
conservazione e le identit che l'immaginazione costruisce sotto la pressione di questi interessi, ma
anche le interpretazioni immaginarie della giustizia che vi si accompagnano. Dato che nella sua
accezione immaginaria l'idea di giustizia chiama necessariamente in causa quella di volont e
responsabilit, nessuno pu imputare l'altro di superbia e ingiustizia senza riconoscergli la stessa
libert di volere, di giudicare e di agire in base a fini che attribuisce immaginariamente a s stesso, e
dunque senza ritrovarvisi di fronte non pi come ad un oggetto qualunque, ma come ad un altro
"soggetto". La migliore via di accesso a questa situazione speculare, che chiamo dialogica solo per
modo di dire, mi sembra offerto da un passo del Trattato politico, nel quale essa coinvolge meno un
rapporto tra individui che un rapporto tra classi.

30
Etica, 513.
31
Etica, p. 213.
32
Cfr. Ecclesiasticus, X, 15, in Biblia sacra juxta vulgatam clementinam. Editio electronica plurimis consultis
editionibus diligenter praeparata a Michaele Tvvedale, Londini, 2005, disponibile alla pagina
http://vulsearch.sourceforge.net/html/Sir.html.
8


3. Contro quanti ritengono che la plebe non ha alcun senso della misura, temibile se non gli
si incute timore, [] serve con umilt o domina con superbia, ed estranea ad ogni verit o
giudizio, Spinoza afferma che tali vizi riguardano i patrizi non meno dei plebei, e che essi
rappresentano la conseguenza della loro posizione di dominio o di servit. vero che la stessa
arroganza, la stessa mancanza di misura, lo stesso disprezzo per la verit che nel plebeo appaiono
come dei vizi, quando si adornano di fasto, di lusso, di prodigalit [], di una certa dotta
insipienza e raffinatezza nella turpitudine [] sembrano delle cose oneste e onorevoli, ma questo
succede solo nella misura in cui il dominatore riesce ad imporre la sua coscienza di s e del mondo
come una verit oggettiva. Accade cos che, quando due fanno la stessa cosa, spesso diciamo che a
questo lecito farlo impunemente, mentre e quello illecito, non perch la cosa sia dissimile, ma
perch lo chi la compie. Anche se in questo senso la superbia deve essere propria dei
dominanti, che rivendicano a s dei diritti che non sono disposti a riconoscere agli altri, e negano
che la natura umana sia una sola e comune a tutti, l'accusa di superbia resta comunque
reciproca
33
. Dal punto di vista dei dominanti, che pretendono di possedere qualcosa di superiore
alla comune natura umana, e si sforzano con tutte le loro forze di persuaderne il volgo
34
,
l'esclusione dei plebei dal godimento dei diritti politici giustificata dalla loro naturale inferiorit:
ogni loro aspirazione diversa da quella di servire come pecore
35
appare loro come incompatibile
con la pace sociale e con la giustizia, ogni rivendicazione di eguaglianza come una prova di
superbia, alla quale l'unica risposta sensata il terrore. Come tutti gli uomini, per, anche i dominati
nulla tollerano di meno che di essere asserviti ai loro eguali e di esserne comandati
36
, e, se non
introiettano il punto di vista del dominatore, non possono fare a meno di vedere un segno di
disprezzo e di superbia nella pretesa superiorit con la quale chi esercita il dominio pretende di
legittimare la loro esclusione dal potere. Il dominatore accusa il dominato di superbia perch nega la
propria inferiorit e rivendica una innaturale eguaglianza di diritti, mentre il dominato accusa il
dominatore di superbia perch pretende di fondare la diseguaglianza giuridica sulla propria
immaginaria superiorit.
Che nell'Etica la contrariet di interessi, dei modi di sentire e di pensare, dei progetti di vita,
tenda ad essere vissuta come una questione di giustizia, e pi precisamente come un conflitto nel
quale entrambi gli attori ritengono che il giusto sia dalla loro parte ed il torto dalla parte dell'altro,
immediatamente evidente nel caso di due uomini che sono l'uno per l'altro oggetto di odio e

33
Cfr. TP, pp. 139-40.
34
TTP, p. 139.
35
TP, p. 81
36
TTP, p. 137.
9

disprezzo. Poich posso essere stretto a me stesso da un rapporto positivo, di amore e soddisfazione,
solo nella misura in cui mi attribuisco certe facolt, certi successi e certi meriti, quando mi sento
odiato da un altro tendo a ritenere che costui senta di me meno del giusto ed interpreto quindi il suo
presunto disprezzo come un segno di superbia: l'altro sminuisce la mia potenza e i miei meriti, si
rifiuti di riconoscermi ci che parte integrante della mia identit ed mio di diritto, interpreta
questo ingiusto disprezzo come un merito e un atto di giustizia, sente quindi di s pi del giusto, si
attribuisce una potenza, un diritto ed un merito che non sono suoi. Questo stesso conflitto non
meno evidente nel caso in cui la contrariet tra i soggetti mediata dal loro opposto legame con
l'oggetto. Quando Giuseppe odia una persona che Michele ama, oppure ama una persona che
Michele odia, Giuseppe e Michele scorgono l'uno nell'altro lo stesso disprezzo verso qualcuno
degno di stima o la stessa stima verso qualcuno degno di disprezzo, e si ritrovano perci in una
situazione in cui non possono fare a meno di odiarsi e disprezzarsi a vicenda. Spinti dalle passioni a
favorire le persone che amano e a contrastare quelle che odiano, entrambi tendono a ritenersi capaci
di farlo e a pensare come giusta ogni azione compiuta in questo senso, ritenendo inconsistente la
capacit dell'altro di ostacolarli ed ingiusto ogni suo tentativo in tal senso: che sia solo la superbia a
privare l'altro di ogni imparzialit, a spingerlo a riconoscersi una potenza, dei diritti e dei meriti
immaginari misconoscendo quelli degli altri. In una posizione perfettamente speculare, i
contendenti rilanciano l'uno contro l'altro l'accusa di ingiustizia e superbia che si sentono
ingiustamente rivolta.
Questo conflitto diventa pienamente manifesto solo quando si esce da una prospettiva
puramente mentale, e si scorge il legame che lo unisce alla vendetta. Secondo Spinoza nessuno pu
giudicare degli stati mentali dell'altro se non confrontando i suoi comportamenti corporei con i
propri ed attribuendogli sentimenti analoghi a quelli provati da lui stesso quando gli capitato di
comporsi in maniera analoga
37
. Per questa ragione, il conflitto affettivo che abbiamo appena
descritto non pu accendersi se non quando un uomo dia segno del proprio disprezzo attraverso una
condotta o un atteggiamento che manifestano all'altro il suo odio verso di lui o verso una cosa che
egli ama, che direttamente o indirettamente lo danneggiano o comunque palesano la volont di
farlo. Poich in questo senso nessuno potrebbe manifestare il proprio odio a qualcuno di cui temesse
la reazione
38
e riconoscesse quindi il diritto, il danno reale o possibile che il superbo immagina di
subire rappresenta ai suoi occhi una svalutazione della sua potenza e una contestazione dell'idea di
giustizia che egli fa propria. Di fronte a questo danno esperito o immaginato, ed interpretato in ogni
caso come un torto e un'offesa, la vendetta costituisce l'unico modo in cui il superbo possa

37
Etica, pp. 87-9.
38
Etica, p. 315.
10

affermare s stesso proteggendo l'immagine che ha di s come un soggetto morale in grado di
realizzare ci che gli d gioia e reputa giusto o di impedire ci che gli d tristezza e reputa
ingiusto
39
. Quando l'altro sopravvaluta la propria potenza e pretende di imporre a tutti un'idea di
giustizia che una semplice espressione dei suoi interessi, agli occhi di chi la compie la vendetta ha
il merito di educarlo non solo alla verit, costringendolo a riconoscere la natura illusoria della sua
valutazione di s e della propria potenza, ma anche, attraverso una specie di "pedagogia del terrore",
all'umilt e al conseguente rispetto del diritto e alla giustizia
40
. Poich non esistono due uomini il
cui modo di sentire e di agire sia perfettamente identico; poich ognuno tende a vedere come un
superbo chiunque manifesti un modo di sentire ed agire diverso dal suo, a sentirsene disprezzato e a
disprezzarlo; poich la superbia alla quale l'amore di s inclina ogni uomo, con la sopravvalutazione
di s che essa comporta, gli impedisce di provare paura, di esserne tenuto a freno, di sottrarsi alle
sfide che gli vengono lanciate accettando le limitazioni che gli si vorrebbero imporre
41
, il circolo di
disprezzo e vendetta tende a non lasciare nessun rapporto interumano fuori dal proprio perimetro, e
la vendetta ad imporsi al tempo stesso come una tentazione irresistibile e una soluzione
intrinsecamente velleitaria del problema rappresentato dall'opposizione degli interessi e delle
rivendicazioni.

4. L'analisi del riferimento al giusto e della prospettiva intersoggettiva che esso dischiude ci
consente ora di comprendere meglio, nel suo doppio versante negativo e positivo, la lotta per il
riconoscimento innescata dagli affetti di superbia stima e disprezzo. Nella loro accezione
immaginaria la libert e la soddisfazione di s alle quali ognuno aspira consistono l'una nella facolt
di fare ci che si vuole, di vivere ed agire secondo il proprio modo di sentire e di pensare (ex suo
ingenio)
42
, di conformarsi unicamente ai criteri di giustizia che si sentono propri, l'altra nel
riconoscersi questa libert, vale a dire una potenza di agire sufficiente a soddisfare i propri desideri,
proteggere le cose e le persone che si amano, neutralizzare quelle che si odiano, non lasciarsi
costringere a seguire regole di vita diverse dalle proprie. In una situazione di contrariet affettiva,
nella quale gli uomini ostacolano la soddisfazione dei desideri e pretendono di limitare la libert
l'uno dell'altro, la lotta per il riconoscimento rappresenta la forma necessaria nella quale ognuno

39
Cfr. Etica, p. 319.
40
Sull'umilt, vedi Etica, p. 379. Per questa forma di pedagogia autoritaria vedi ci che Matheron afferma in un altro
contesto (op. cit., p. 171): quando tiranneggiamo i nostri simili [] noi vogliamo sempre renderli felici ma
pretendiamo di definire noi stessi le condizioni: essi non sanno cosa sia veramente buono, sta a noi insegnarglielo, ci
ringrazieranno in seguito.
41
Se gli uomini fossero [] tutti ugualmente superbi e non temessero nulla, si domanda retoricamente Spinoza,
come potrebbero essere congiunti e stretti assieme con vincoli? (Etica, p. 509).
42
Sul concetto di ingenium e sul suo rilievo politico vedi P-F. Moreau, Spinoza. L'exprience et l'ternit, PUF, Paris,
1994, pp. 395-404 e 427-40.
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deve affermare s stesso, la propria immaginaria identit, la propria potenza, la stima di cui si
ritiene degno, il diritto ad essere libero e felice che attribuisce a s stesso e alle persone che ama, la
concezione della giustizia che sente sua, e quindi negare la soddisfazione, l'identit, la potenza, il
diritto, la libert, l'idea di giustizia di coloro che pretendono di ostacolare questa affermazione di s.
Per dimostrare che il superbo non lui stesso, ma l'altro, ognuno deve vendicare il diritto proprio
ed altrui
43
, far prevalere la propria potenza sulla sua, spingerlo a rinunciare ai suoi desideri e alla
sua idea di giustizia, a deporre la coscienza che ha di s stesso per introiettare quella che egli stesso
ha di lui. In questa lotta ognuno si batte non solo per affermare s stesso e la forma di vita che egli
incarna di contro alla negazione di cui viene fatta oggetto, la sua autonomia e il suo diritto contro i
limiti che arbitrariamente l'altro pretende di imporgli, ma per ci stesso anche per negare l'altro ed
imporre dei limiti alla sua autonomia e ai suoi diritti. Tentando di spingerlo tramite la vendetta e la
paura a non volere ci che vuole, o a volere ci che non vuole
44
, ognuno si sforza di costringerlo
a rinunciare liberamente alla sua stessa libert, a sacrificare il suo desiderio, il suo modo di sentire e
di pensare, la sua idea di ci che giusto e sbagliato, sull'altare di un desiderio, di un modo di
sentire, di una libert e di una giustizia che non sono i suoi. Il riferimento alla giustizia che ognuno
compie in buona fede, con l'universalit, l'eguaglianza, la reciprocit che essa comporta, non in
realt che una maschera che nasconde una velleit di dominio, un impossibile desiderio di
assoggettare l'altro alla legge del proprio capriccio e alla proprie fantasie. Rivendicando per s il
diritto di tracciare dei limiti al diritto altrui, e negando all'altro quello di tracciare dei limiti al suo,
ognuno vuole che chi gli si oppone lo riconosca come superiore
45
, lo preferisca persino a s
stesso
46
, ne faccia il centro della propria esistenza, la voce della propria coscienza, in una parola il
proprio padrone.
Oltre a questa funzione negativa, che la vede sostanzialmente generatrice di conflitto, la lotta
per il riconoscimento ne assolve anche una positiva, come veicolo di socializzazione. A causa dei
loro diversi modi di sentire e di pensare, vero, gli uomini tendono ad odiarsi, disprezzarsi,
diventare nemici, a pretendere di imporsi l'un l'altro concezioni della giustizia che sono maschere di
un desiderio di dominio. Accanto alle divergenze, all'odio, al disprezzo, alla reciprocit della
vendetta e dell'ostilit, esistono per anche le convergenze, l'amore, la stima, la reciprocit della
gratitudine, l'amicizia. Uomini dotati di un modo di sentire e di pensare almeno in parte comune,
che fanno gli uni ci in cui anche gli altri trovano una fonte di felicit e che ritengono quindi

43
Etica, p. 563. Nell'espressione latina sui, vel alterius jus vendicare, il verbo vendico pu valere sia come
rivendicare che come vendicare.
44
Etica, p. 317.
45
Etica, p. 513
46
Etica, p. 383.
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meritorio e giusto, tendono a stimarsi a vicenda, a riconoscersi l'uno nell'altro, a difendere ognuno il
vantaggio e il diritto dell'altro come se fosse il suo proprio. Passioni contrarie, in forza delle quali
coloro che ne sono presi mirano l'uno alla realizzazione di ci che l'altro volto a impedire,
producono necessariamente un conflitto che ostacola chiunque vi si ritrova coinvolto, ma un
accordo delle passioni pu determinare la formazione di una totalit la cui potenza uguale alla
somma di quella delle parti, e nella quale, fin dove si estende l'accordo, la potenza di ogni parte
viceversa uguale a quella del tutto
47
. Per quanto instabile possa essere l'accordo che nasce
spontaneamente dalle passioni senza bisogno di trovare il proprio fondamento nell'artificio del
patto, esso tende comunque ad alimentarsi, su basi semplicemente passionali, grazie alla sua
capacit sia di premiare chi vi partecipa garantendogli una soddisfazione di s e una sicurezza
maggiori di quelle che potrebbe conquistare nella solitudine, sia di disincentivare chi vi si oppone
tramite una vendetta non pi individuale, ma collettiva
48
. La societ che in questo modo finisce per
strutturarsi non solo quella ipoteticamente omogenea che coinvolge tutti i membri dell'alleanza,
ma quella all'interno della quale questa alleanza, tenuta assieme da una solidariet di interessi e
valori, esercita la propria egemonia anche su chi se ne ritrova escluso, consentendo a chi ha la
possibilit di riconoscersi in essa, e nella misura in cui vi si riconosce, di vivere liberamente
secondo il proprio modo di sentire e di pensare, costringendo alla sottomissione chi pretende di
contestarla. Dalla lotta per il riconoscimento emerge cos uno spazio giuridico-morale nel quale si
cristallizzano precisi rapporti di interesse e di potere, che si consolida attraverso incentivi e
disincentivi nei quali i fattori che potremmo chiamare "utilitaristici" sono inseparabili da quelli
legati al riconoscimento, perch l'obbedienza e la disobbedienza, ovvero la condivisione o la
contestazione degli interessi e dei valori egemoni, sono tenute l'una per merito e l'altra per colpa,
generando la prima la stima pubblica e i vantaggi connessi all'inclusione, che spettano cio a chi
giudicato degno di godere dei benefici dello Stato
49
, la seconda il disprezzo e gli svantaggi
connessi all'esclusione, che spettano a chi di quei benefici considerato indegno.
Rappresentando la forma che la pulsione biologica alla conservazione di s acquista in un
contesto specificamente interumano, la lotta per il riconoscimento che emerge dalla sola
considerazione degli affetti di superbia stima e disprezzo e delle loro conseguenze intersoggettive si
sottrae nell'Etica ad ogni cesura tra il piano naturalistico dei bisogni o degli interessi, nel quale gli
individui si rapportano come forze fisiche convergenti o divergenti sottomesse alle universali leggi
della natura, e quello immaginario in cui si confrontano invece come soggetti liberi, coscienti e

47
Etica, p. 441.
48
Etica, p. 479.
49
Etica, p. 479.
13

portatori di diritti. Questa naturalizzazione della lotta per il riconoscimento manifesta subito il suo
potenziale critico. Sul piano cognitivo, consente di denunciare il carattere immaginario delle
identit, delle libert e dei diritti che i soggetti attribuiscono a s stessi e desiderano vedersi
attribuiti, e la conseguente coincidenza di riconoscimento e misconoscimento. Sul piano pratico
mostra poi come il riconoscimento di un'eguale libert, al quale non pu sottrarsi colui che
interpella il proprio simile in nome di un'idea di giustizia, possa essere funzionale a un pi profondo
desiderio di dominio, secondo il quale gli altri sarebbero liberi di fare soltanto ci che lui stesso
decide esser giusto. La naturalizzazione spinoziana della lotta per il riconoscimento non si limita
per a farne la forma immaginaria, e in una parola ideologica, attraverso la quale gli attori prendono
coscienza dei loro rapporti reali, la maschera di interessi o pulsioni che non potrebbero mostrarsi col
loro vero volto sulla scena pubblica, ma ne indica al tempo stesso la produttivit, la capacit di
veicolare unitariamente conflitti e legami sociali. Per il fatto che al suo interno ognuno impegnato
a fare in modo che l'altro lo stimi quanto lui stima s stesso, e quindi stimi o disprezzi esattamente
le stesse cose che sono stimate da lui, il riconoscimento sembra potersi accendere unicamente tra
individui simmetricamente spogliati di ogni alterit, che si riconoscono l'uno nell'altro come allo
specchio, e sembra quindi veicolare forme di socializzazione intrinsecamente fusionali, incentrate
sulla negazione, rimozione, esclusione o repressione di ogni differenza. Data per l'inevitabilit
delle differenze e dei conflitti, la lotta per il riconoscimento mostra di costituire, in realt, la forma
attraverso la quale deve continuamente costruirsi quell'adattamento
50
, quel compromesso
pulsionale, quella parziale rinuncia al proprio desiderio e alla propria immaginaria coscienza di s,
quel criterio di giustizia almeno parzialmente condiviso, che consente ai partner dell'interazione di
rapportarsi l'un l'altro, entro certi limiti, senza coercizione o violenza.


50
Etica, p. 553.

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