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CAMPI ELETTROMAGNETICI

Kurt Lechner
Prefazione
Le conoscenze sperimentali e teoriche nora acquisite sul comportamento della materia
a livello microscopico, portano a concludere che linterezza dei fenomeni sici microsco-
pici pu`o essere interpretata assumendo che tutta la materia sia costituita da particelle
elementari, soggette a solo quattro tipi di interazioni fondamentali: gravitazionale, elet-
tromagnetica, debole, forte. Fra queste, linterazione gravitazionale `e quella nota da pi` u
tempo, mentre quella elettromagnetica `e quella studiata e compresa pi` u a fondo, avendo
trovato una solida formulazione teorica nellElettrodinamica Quantistica ancora a met`a
del secolo scorso. La quasi totalit`a dei fenomeni sici quotidiani dalla stabilit`a della
materia alla globalit`a dei fenomeni luminosi `e, infatti, riconducibile a questa teoria.
Le interazioni deboli e forti, che a dierenza di quelle elettromagnetica e gravitazionale
si manifestano solo a distanze microscopiche, hanno trovato una formulazione analoga
nellambito del Modello Standard delle particelle elementari che include la stessa Elet-
trodinamica Quantistica mentre linterazione gravitazionale risulta tuttora in conitto
con le leggi della meccanica quantistica, malgrado i recenti progressi maturati nellambito
della teoria delle Superstringhe.
Nonostante il comune ruolo di mediatrici dellazione reciproca tra i costituenti ele-
mentari della natura, ciascuna delle quattro interazioni fondamentali `e contrassegnata da
propriet`a esclusive, tali da comportare fenomeni sici peculiari. Cos` linterazione forte
`e la sola a dar luogo al fenomeno del connamento, che imprigiona i quark e i gluoni
allinterno dei nucleoni, mentre linterazione debole `e lunica ad essere mediata da parti-
celle massive, le W

e la Z
0
. Similmente linterazione elettromagnetica `e lunica a essere
mediata da particelle i fotoni le quali, non essendo dotate di carica elettrica, non
sono soggette a loro volta a uninterazione elettromagnetica reciproca diretta. E inne,
linterazione gravitazionale `e lunica ad esercitarsi tra tutte le particelle elementari com-
presi gli stessi mediatori delle interazioni e ad essere mediata da particelle di spin due,
i gravitoni, mentre le rimanenti tre interazioni sono mediate da particelle di spin uno.
Di fronte a queste distinzioni importanti appare alquanto sorprendente come le quattro
interazioni fondamentali siano rette da unimpalcatura teorica comune, che ne determina
fortemente la struttura generale; impalcatura elegante nella forma e matematicamente so-
lida, le cui profonde origini siche sono in parte ancora da scoprire. Tra i pilastri principali
di questa impalcatura unicante ricordiamo i seguenti: tutte le interazioni fondamentali
soddisfano il principio di relativit`a einsteiniana e ammettono una formulazione covarian-
te a vista, con conseguente conservazione del quadrimomento e del momento angolare
quadridimensionale. Ciascuna delle interazioni viene trasmessa attraverso una o pi` u par-
ticelle bosoniche i bosoni intermedi che vengono rappresentate da campi vettoriali
o tensoriali, la cui dinamica `e controllata da uninvarianza di gauge locale. Il teorema
di Nother associa poi a ciascuna invarianza, e quindi a ciascun bosone intermedio, una
grandezza sica conservata. Inne, il pilastro forse pi` u misterioso, ma non per questo
meno fondante, `e rappresentato dal fatto che la dinamica di tutte e quattro le interazioni
fondamentali discende da un principio variazionale.
Il presente testo `e un trattato di Elettrodinamica classica, ed `e stato costruito at-
torno agli argomenti svolti nel corso Campi Elettromagnetici che ho tenuto negli anni
accademici 2004/052009/10 per la Laurea Magistrale in Fisica, presso lUniversit`a di
Padova. Nella sua stesura ha avuto preminenza lintento di enucleare gli aspetti che acco-
munano lElettrodinamica alle altre interazioni fondamentali vale a dire i pilastri sopra
nominati e di mettere in evidenza, ove possibile, analogie e dierenze. La rinuncia pi` u
pesante dovuta a questa impostazione consiste nellaver trascurato quasi completamente
limportante argomento dei campi elettromagnetici nella materia.
In questo testo presento lElettrodinamica classica come una teoria basata su un si-
stema di postulati essenzialmente il principio di relativit`a einsteiniana e le equazioni di
Maxwell e di Lorentz da cui lintera e ricca fenomenologia delle interazioni elettromagne-
tiche pu`o essere dedotta in modo stringente. Conseguentemente, ho dedicato particolare
attenzione alle propriet`a di consistenza interna, oltre che sica, di questa teoria. In li-
nea con questa impostazione, evidenzio n dallinizio le tracce lasciate dalle divergenze
ultraviolette che accompagnano inevitabilmente lElettrodinamica classica di particelle
cariche puntiformi, e la rendono cos` in ultima analisi una teoria internamente in-
consistente. Tale circostanza `e in apparente contraddizione con il fatto che, dal punto
di vista sperimentale, questa teoria descrive tutti i fenomeni elettromagnetici classici con
estrema precisione. A questa contraddizione ho riservato una certa attenzione, soprattut-
to nellesposizione delle applicazioni dellElettrodinamica, e propongo una sua soluzione
pragmatica nella parte nale del testo la soluzione denitiva potendo essere trovata
solo nellambito della Meccanica Quantistica. Sempre per un motivo di consistenza inter-
na, onde poter formulare le equazioni di Maxwell in modo matematicamente rigoroso `e
risultato indispensabile ambientarle nello spazio delle distribuzioni.
In generale, ogni argomento teorico viene illustrato con una serie di esempi sicamente
rilevanti e svolti in dettaglio, cos` come lintroduzione di ogni nuovo strumento matema-
tico viene motivata e accompagnata da esemplicazioni pratiche. Inne, la soluzione dei
problemi proposti a conclusione dei singoli capitoli comporta una migliore comprensione
di alcuni argomenti trattati nel testo, pur non condizionando la comprensione dei capitoli
successivi.
Organizzazione del materiale. A grandi linee gli argomenti del testo sono suddivisi in
tre parti. La prima parte (capitoli 14) espone le basi concettuali e matematiche su cui
si fonda lElettrodinamica di un sistema di particelle cariche puntiformi. Questa parte
iniziale presenta in particolare gli strumenti matematici necessari per una formulazione
precisa della teoria, vale a dire il formalismo covariante sede naturale di una qualsiasi
teoria relativistica e la teoria delle distribuzioni, strumento indispensabile per una trat-
tazione corretta delle singolarit`a dovute alla natura puntiforme delle particelle cariche.
Dopo lintroduzione delle equazioni fondamentali dellElettrodinamica le equazioni di
Maxwell e di Lorentz e una loro analisi strutturale preliminare, si analizzano le leggi
di conservazione da esse implicate. Conclude la prima parte la presentazione del metodo
variazionale. Questo metodo viene introdotto come approccio alternativo per la formu-
lazione di una generica teoria di campo, che ne codica la dinamica in modo conciso
ed elegante, e come ingrediente fondamentale per la validit`a del teorema di Nother. Lo
stretto nesso esistente in generale tra questo teorema e il metodo variazionale, viene poi
esemplicato in dettaglio nel caso dellElettrodinamica di particelle puntiformi.
La seconda parte (capitoli 513) `e la pi` u estesa; dedicata alla deduzione delle con-
seguenze fenomenologiche dellElettrodinamica, essa viene preceduta dalla derivazione di
una serie di soluzioni esatte delle equazioni di Maxwell, tra cui i fondamentali campi di
LienardWiechert. Tale sezione comprende in particolare uno studio dettagliato delle
propriet`a del campo elettromagnetico nel vuoto, una trattazione sistematica del campo
elettromagnetico generato da una particella carica in moto arbitrario e unanalisi ap-
profondita del fenomeno dellirraggiamento, sia nel limite non relativistico che in quello
ultrarelativistico. In particolare, eseguo uno studio sistematico della distribuzione angola-
re e spettrale della radiazione emessa in varie situazioni sicamente rilevanti, analizzando
in dettaglio le antenne, gli acceleratori ultrarelativistici, le collisioni tra particelle cariche,
la diusione della radiazione da parte di particelle cariche e il fenomeno della catastrofe
infrarossa. In questa parte vengono inoltre analizzati per esteso alcuni argomenti che
raramente ricevono trattazione sistematica nei libri di testo: la soluzione del problema del
campo elettromagnetico creato da una particella carica priva di massa, il confronto tra la
radiazione elettromagnetica e quella gravitazionale, la deduzione delle variegate sfaccetta-
ture della radiazione di ciclotrone e una spiegazione teorica particolareggiata delleetto
Cerenkov.
La terza parte (capitoli 1417) verte su argomenti pi` u speculativi e delicati, che nei
testi vengono spesso arontati solo supercialmente. Il capitolo 14 `e dedicato alla reazione
di radiazione, e aronta con cura il problema delle divergenze ultraviolette da cui essa
`e inevitabilmente aetta. Lo scopo di questo capitolo `e doppio. Da un lato si vogliono
enucleare le motivazioni teoriche che ci costringono a sostituire lequazione di Lorentz un
dogma dellElettrodinamica classica con lequazione di LorentzDirac. Dallaltro si vuole
illustrare come lElettrodinamica emergente da questa sostituzione sia aetta da unin-
consistenza interna incurabile, che muta soltanto di aspetto a seconda del punto di vista
pragmatico di volta in volta assunto, e che in ultima analisi pu`o essere sanata unicamente
nellambito della Meccanica Quantistica. Il capitolo 15 `e dedicato allaltro problema an-
tico dellElettrodinamica, rappresentato dallenergia innita del campo elettromagnetico
creato da una particella puntiforme, che mina la stessa legge di conservazione dellener-
gia. Sorprendentemente, questo problema ha trovato una sua soluzione solo una trentina
di anni fa; in questo capitolo ne viene presentata una versione alternativa in una veste
pi` u moderna, nellambito della teoria delle distribuzioni. Nel capitolo 16 si introduce il
formalismo delle forme dierenziali, mutuato dalla Geometria Algebrica, e si riscrivono
le equazioni di Maxwell in tale nuovo formalismo, compatto ed elegante. Scopo ultimo
di questo capitolo `e la generalizzazione dellElettrodinamica dalle particelle cariche agli
oggetti carichi estesi: le stringhe e le cosiddette pbrane. La scelta di questo argomento
`e motivata dal fatto che tali oggetti costituiscono le eccitazioni elementari della recente
teoria delle Superstringhe teoria candidata a unicare la Relativit`a Generale con la
Meccanica Quantistica, e con le altre interazioni fondamentali. Nel linguaggio delle forme
dierenziali la suddetta generalizzazione si ore in modo molto naturale. Inne, il capitolo
17 `e dedicato ai monopoli magnetici, e ha lo scopo di illustrare come lElettrodinamica
pur essendo basata su un sistema di postulati molto rigidi sia perfettamente compatibile
con lesistenza in natura di questo nuovo tipo di particelle elementari.
Prerequisiti. Si suppone che il lettore di questo testo possegga conoscenze di base di
Elettromagnetismo classico.
`
E utile, ma non indispensabile, un minimo di familiarit`a
con le equazioni di Maxwell e Lorentz scritte in forma covariante a vista, e in generale
con luso dei tensori quadridimensionali. Lorigine sica e gli elementi fondamentali del
calcolo tensoriale vengono, comunque, richiamati con il necessario grado di completezza
nel capitolo 1. Possono risultare utili le nozioni elementari della teoria delle distribuzioni,
in particolare il concetto della distribuzione di Dirac. Tuttavia, gli elementi essenziali
riguardanti le distribuzioni, e necessari per la comprensione del testo, sono presentati in
modo sintetico nel capitolo 2. Inne `e utile, ma di nuovo non indispensabile, conoscere
il metodo variazionale relativo a un sistema lagrangiano con un numero nito di gradi di
libert`a.
Padova, ottobre 2010 Kurt Lechner
Indice
1 I fondamenti della Relativit`a Ristretta 1
1.1 I postulati della Relativit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Trasformazioni di Lorentz e di Poincare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.2.1 Linearit`a delle trasformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2.2 Invarianza dellintervallo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.3 Leggi siche covarianti a vista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.3.1 Calcolo tensoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.4 Struttura del gruppo di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.4.1 Trasformazioni innitesime e trasformazioni nite . . . . . . . . . . 14
1.5 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
2 Le equazioni dellElettrodinamica 19
2.1 Cinematica di una particella relativistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2.2 LElettrodinamica di particelle puntiformi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2.2.1 Equazione di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.2.2 Identit`a di Bianchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
2.2.3 Equazione di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.3 La natura distribuzionale del campo elettromagnetico . . . . . . . . . . . . 34
2.3.1 Lo spazio delle distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
2.3.2 Operazioni sulle distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
2.3.3 Le equazioni di Maxwell nello spazio delle distribuzioni . . . . . . . 41
2.3.4 Il campo elettromagnetico della particella statica . . . . . . . . . . 44
2.4 Le costanti del moto dellElettrodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
2.4.1 Conservazione e invarianza della carica elettrica . . . . . . . . . . . 49
2.4.2 Tensore energiaimpulso e conservazione del quadrimomento . . . . 51
2.4.3 Il tensore energiaimpulso dellElettrodinamica . . . . . . . . . . . 54
2.4.4 Conservazione del momento angolare quadridimensionale . . . . . . 59
2.5 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
3 Metodi variazionali in teoria di campo 70
3.1 Principio di minima azione in meccanica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
3.2 Principio di minima azione in teoria di campo . . . . . . . . . . . . . . . . 75
3.2.1 Ipersuperci nello spazio di Minkowski . . . . . . . . . . . . . . . . 77
3.2.2 Invarianza relativistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
3.2.3 La lagrangiana per lequazione di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . 86
3.3 Il Teorema di Nother . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
3.3.1 Trasformazioni di Poincare innitesime . . . . . . . . . . . . . . . . 92
3.3.2 Teorema di Nother per il gruppo di Poincare . . . . . . . . . . . . . 95
3.3.3 Tensore energiaimpulso canonico per il campo di Maxwell . . . . . 99
3.4 Costruzione di un tensore energiaimpulso simmetrico . . . . . . . . . . . . 100
3.4.1 Tensore energiaimpulso simmetrico per il campo di Maxwell . . . . 103
3.5 Densit`a di momento angolare standard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
3.6 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
4 Il metodo variazionale in Elettrodinamica 109
4.1 Lazione per la particella libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109
4.2 Lazione per lElettrodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
4.3 Il teorema di Nother . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
4.4 Invarianza di gauge e conservazione della carica elettrica . . . . . . . . . . 120
4.5 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122
5 Onde elettromagnetiche 123
5.1 I gradi di libert`a del campo elettromagnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . 124
5.1.1 I gradi di libert`a in meccanica newtoniana . . . . . . . . . . . . . . 124
5.1.2 I gradi di libert`a in teoria di campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
5.1.3 Il problema di Cauchy per lequazione di Maxwell . . . . . . . . . . 126
5.2 Lequazione delle onde . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132
5.2.1 Onde elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136
5.2.2 Il problema alle condizioni iniziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138
5.2.3 Covarianza della formula risolutiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
5.3 Soluzione generale dellequazione di Maxwell nel vuoto . . . . . . . . . . . 142
5.3.1 Propriet`a delle onde elettromagnetiche elementari . . . . . . . . . . 145
5.3.2 Onde piane ed elicit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150
5.4 Il problema di Cauchy per il campo di radiazione . . . . . . . . . . . . . . 157
5.4.1 Campo di radiazione e invarianza di gauge manifesta . . . . . . . . 157
5.4.2 Problema di Cauchy e formule risolutive . . . . . . . . . . . . . . . 159
5.4.3 Invarianza per inversione temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
5.5 Eetto Doppler relativistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
5.6 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167
6 Generazione di campi elettromagnetici 170
6.1 Il metodo della funzione di Green: equazione di Poisson . . . . . . . . . . . 171
6.1.1 Una soluzione particolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172
6.1.2 Validit`a della soluzione e soluzione generale . . . . . . . . . . . . . 176
6.2 Il campo generato da una corrente generica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179
6.2.1 La funzione di Green ritardata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182
6.2.2 Il potenziale vettore ritardato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187
6.2.3 Rottura spontanea dellinvarianza per inversione temporale . . . . . 189
6.2.4 Validit`a della soluzione e trasformata di Fourier . . . . . . . . . . . 190
6.3 Campo di una particella in moto rettilineo uniforme . . . . . . . . . . . . . 193
6.3.1 Campo di una particella massiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194
6.3.2 Campo di una particella di massa nulla . . . . . . . . . . . . . . . . 198
6.4 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202
7 I campi di LienardWiechert 204
7.1 Linee di universo e condizioni asintotiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 204
7.2 Il quadripotenziale di LienardWiechert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 206
7.2.1 Gli zeri di f(s) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209
7.3 I campi di LienardWiechert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210
7.3.1 Campi di velocit`a e campi di accelerazione . . . . . . . . . . . . . . 211
7.3.2 I campi E e B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213
7.4 Emissione di radiazione da cariche accelerate . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
7.4.1 Limite non relativistico e formula di Larmor . . . . . . . . . . . . . 219
7.5 Espansione non relativistica di potenziali e campi . . . . . . . . . . . . . . 221
7.6 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223
8 Irraggiamento 224
8.1 Il campo elettromagnetico nella zona delle onde . . . . . . . . . . . . . . . 226
8.1.1 Emissione di quadrimomento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 228
8.1.2 Sorgenti monocromatiche e onde piane . . . . . . . . . . . . . . . . 229
8.2 La radiazione dellantenna lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231
8.3 Sviluppi non relativistici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235
8.3.1 Sviluppo in multipoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235
8.3.2 La radiazione di dipolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236
8.3.3 Potenza emessa da unantenna lineare corta . . . . . . . . . . . . . 242
8.3.4 Diusione Thomson della radiazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 244
8.3.5 Bremsstrahlung dallinterazione coulombiana . . . . . . . . . . . . . 250
8.3.6 La radiazione dellatomo didrogeno classico . . . . . . . . . . . . . 255
8.4 Radiazione di quadrupolo elettrico e di dipolo magnetico . . . . . . . . . . 258
8.5 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263
9 La radiazione gravitazionale 268
9.1 Onde gravitazionali e onde elettromagnetiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 268
9.2 Le equazioni per un campo gravitazionale debole. . . . . . . . . . . . . . . 269
9.2.1 La relazione con le equazioni di Einstein . . . . . . . . . . . . . . . 271
9.3 Irraggiamento gravitazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274
9.3.1 Un argomento euristico per la formula di quadrupolo . . . . . . . . 275
9.4 La potenza della radiazione di quadrupolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 277
9.5 La pulsar binaria PSR 1913+16 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 280
9.6 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 284
10 Irraggiamento ultrarelativistico 285
10.1 Generalizzazione relativistica della formula di Larmor . . . . . . . . . . . . 286
10.1.1 Un argomento di covarianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 286
10.1.2 Derivazione della formula di Larmor relativistica . . . . . . . . . . . 288
10.2 Perdita di energia negli acceleratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291
10.2.1 Acceleratori lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 293
10.2.2 Acceleratori circolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 294
10.3 Distribuzione angolare nel limite ultrarelativistico . . . . . . . . . . . . . . 296
10.4 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299
11 Analisi spettrale 301
11.1 Analisi di Fourier e risultati generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 301
11.2 Polarizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 304
11.3 Analisi spettrale nel limite non relativistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . 306
11.3.1 Bremsstrahlung a spettro continuo e catastrofe infrarossa . . . . . . 309
11.3.2 Bremsstrahlung a spettro discreto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313
11.4 Analisi spettrale relativistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 315
11.4.1 Spettro di emissione di una particella singola . . . . . . . . . . . . . 316
11.4.2 Frequenze caratteristiche nel limite ultrarelativistico . . . . . . . . . 319
11.5 Spettro di emissione di una corrente generica . . . . . . . . . . . . . . . . . 322
11.5.1 Corrente periodica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 322
11.5.2 Corrente aperiodica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 325
11.6 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 326
12 La radiazione di ciclotrone 328
12.1 Ciclotrone non relativistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 328
12.2 Analisi spettrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 329
12.2.1 Lo spettro nel limite ultrarelativistico . . . . . . . . . . . . . . . . . 331
12.3 Distribuzione angolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333
12.4 Polarizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 334
12.4.1 Polarizzazione a frequenza ssata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 335
12.4.2 Polarizzazione complessiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 336
12.5 Luce di sincrotrone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 339
13 Eetto Cerenkov 342
13.1 Campo di una particella in moto rettilineo uniforme in un mezzo . . . . . . 343
13.2 Il campo per v <
c
n
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 345
13.2.1 Analisi in frequenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 346
13.3 Il campo per v >
c
n
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 350
13.3.1 Il campo nella zona delle onde e langolo di Cerenkov . . . . . . . . 352
13.4 Mezzi dispersivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 354
13.5 Perdita di energia ed emissione di fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 358
13.5.1 Un argomento euristico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 358
13.5.2 La formula di Frank e Tamm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360
13.6 Rivelatori Cerenkov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363
14 La reazione di radiazione 365
14.1 Forze di frenamento: analisi preliminare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 368
14.1.1 Un argomento euristico per lequazione di LorentzDirac . . . . . . 370
14.2 Lequazione di LorentzDirac . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 371
14.2.1 Derivazione dellequazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373
14.2.2 Determinazione dellautocampo regolarizzato . . . . . . . . . . . . . 377
14.2.3 Caratteristiche dellequazione di LorentzDirac . . . . . . . . . . . . 378
14.2.4 La particella carica libera: soluzione esatta . . . . . . . . . . . . . . 382
14.2.5 Moto in campo costante: preaccelerazione . . . . . . . . . . . . . . 386
14.3 Lequazione integrodierenziale di Rohrlich . . . . . . . . . . . . . . . . . 389
14.3.1 Preaccelerazione e violazione della causalit`a . . . . . . . . . . . . . 391
14.4 Il problema relativistico a due corpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 393
14.4.1 Espansione non relativistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 396
14.5 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401
15 Un tensore energiaimpulso privo di singolarit`a 402
15.1 Linee guida della costruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 404
15.2 Costruzione di

em
per la particella libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407
15.2.1 Esistenza di

em
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 408
15.2.2 Conservazione di

em
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 411
15.2.3 Una denizione operativa dellenergia elettromagnetica . . . . . . . 413
15.3 Costruzione generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 414
16 LElettrodinamica delle pbrane e le forme dierenziali 417
16.1 Unintroduzione operativa alle forme dierenziali . . . . . . . . . . . . . . . 418
16.1.1 Le equazioni di Maxwell nel formalismo delle forme dierenziali . . 424
16.2 Equazioni di Maxwell per le pbrane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 428
16.2.1 LElettrodinamica di una carica puntiforme in D dimensioni . . . . 429
16.2.2 Volume di universo di una pbrana e invarianza sotto riparametriz-
zazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 430
16.2.3 La corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 433
16.2.4 Equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 436
16.3 Equazione di Lorentz per le pbrane e metodo variazionale . . . . . . . . . 439
16.3.1 Lazione per il campo elettromagnetico . . . . . . . . . . . . . . . . 440
16.3.2 Lazione per la pbrana libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 441
16.3.3 Azione completa ed equazione di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . 444
16.4 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 446
17 Monopoli magnetici 448
17.1 La dualit`a elettromagnetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 449
17.2 LElettrodinamica dei dioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 452
17.2.1 Equazioni di Maxwell generalizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . 452
17.2.2 Leggi di conservazione ed equazione di Lorentz generalizzata . . . . 458
17.3 Il problema a due dioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 460
17.3.1 Moto relativo e forza dionica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 461
17.3.2 Quantit`a conservate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 463
17.4 La condizione di quantizzazione di Dirac . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 466
17.4.1 Scattering asintotico tra due dioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 467
17.4.2 Quantizzazione delle cariche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 469
1 I fondamenti della Relativit`a Ristretta
LElettrodinamica classica rappresenta il prototipo per eccellenza di una teoria relativi-
stica, avendo contribuito in modo determinante alla nascita della Relativit`a stessa. Il
principio di relativit`a einsteiniana, che aerma che tutte le leggi della sica devono avere
la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali, `e emerso con forza da questa
teoria, ed `e andato consolidandosi sempre di pi` u, man mano che le nostre conscenze del
mondo microscopico si sono ampliate e approfondite. Limplementazione pi` u naturale ed
elegante di questo principio di fatto lunica di una utilit`a eettiva avviene attraver-
so il paradigma della covarianza a vista, realizzato nellambito del calcolo tensoriale.
Questo paradigma ha mostrato possedere carattere universale, essendo stato applicato
con successo a tutte le teorie di carattere fondamentale, come le teorie che descrivono le
quattro interazioni fondamentali, oppure la pi` u speculativa teoria delle Superstringhe, ed
esso mantiene la sua piena validit`a anche a livello quantistico. La presentazione dellElet-
trodinamica fornita in questo testo si baser`a cos` con forza, e diremo, a ragione, su questo
paradigma.
In questo capitolo introduttivo ripercorriamo innanzitutto i tratti essenziali del per-
corso logico, che ha portato dai postulati della Relativit`a alla formulazione del paradigma
della covarianza a vista.
`
E, infatti, importante tenere presente quali sono le assunzioni
apriorstiche fatte nella costruzione di una teoria, e distinguere le conseguenze inevitabili di
tali assunzioni dalle conseguenze di eventuali ipotesi aggiuntive, formulate strada facendo.
Riassumeremo poi in particolare gli elementi fondamentali del calcolo tensoriale, di cui
faremo ampio uso in tutto il testo. Nella parte nale del capitolo analizzeremo in dettaglio
la struttura del gruppo di Poincare, per via della sua connessione intima attraverso il
teorema di Nother con le leggi di conservazione, connessione che verr`a sviscerata nel
capitolo 3.
1.1 I postulati della Relativit`a
La Meccanica Newtoniana e la teoria della Relativit`a Ristretta si basano su alcune assun-
zioni aprioristiche comuni riguardanti le propriet`a dello spazio vuoto e del tempo, mentre
1
si distinguono in modo fondamentale attraverso i principi di relativit`a su cui ciascuna
delle due teorie si basa.
Le assunzioni in comune sono costituite dalla propriet`a dello spazio vuoto di essere
omogeneo e isotropo, e dallomogeneit`a del tempo. Inoltre le leggi siche di entrambe le
teorie sono formulate rispetto a una classe particolare di sistemi di riferimento, i riferi-
menti inerziali, ed entrambe implementano lequivalenza sica di tutti questi riferimenti
attraverso un principio di relativit`a. Il principio di relativit`a galileiana della Meccanica
Newtoniana prevede che le leggi della meccanica mantengano la stessa forma sotto trasfor-
mazioni di Galileo da un sistema di riferimento a un altro, mentre il principio di relativit`a
einsteiniana richiede che tutte le leggi della sica abbiano la stessa forma in tutti i sistemi
di riferimento, non facendo a priori nessuna ipotesi sul modo in cui si trasformano lo
spazio e il tempo.
Daltra parte, rispetto alla Meccanica Newtoniana la teoria della Relativit`a Ristretta
rinuncia al paradigma dellassolutezza degli intervalli spaziali e temporali, sostituendolo
con il postulato della costanza della velocit`a della luce. In denitiva, i postulati della
sica relativistica risultano i seguenti:
I) Lo spazio `e isotropo e omogeneo, e il tempo `e omogeneo.
II) La velocit`a della luce `e la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
III) Tutte le leggi della sica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento
inerziali.
Per rendere operativi questi postulati, in particolare il postulato III) che pone forti restri-
zioni sulla forma delle leggi siche ammesse, `e necessario determinare preliminarmente le
leggi di trasformazione delle coordinate spaziotemporali, nel passaggio da un sistema di
riferimento inerziale a un altro. Difatti, come faremo vedere in sezione 1.2, la forma di
queste leggi di trasformazione `e determinata univocamente, a sua volta, dai postulati I)
e II). Prima di proseguire specichiamo le notazioni che adotteremo in questo testo.
Indicheremo le coordinate spaziotemporali controvarianti di un evento con indici
greci, , , = (0, 1, 2, 3),
x

= (x
0
, x
1
, x
2
, x
3
), x
0
= ct,
2
dove dora in poi la velocit`a della luce c verr`a posta uguale allunit`a. Indicheremo le
componenti puramente spaziali dellevento con indici latini, i = (1, 2, 3, ),
x
i
= (x
1
, x
2
, x
3
),
e scriveremo anche x

= (x
0
, x
i
). La metrica di Minkowski e la sua inversa, indicate
rispettivamente con

, sono matrici diagonali 4 4 con,


diag(

) = (1, 1, 1, 1) = diag(

),

.
Adotteremo la convenzione della somma sugli indici muti di Einstein, che sottintende il
simbolo di sommatoria su un indice che compare due volte nella stessa espressione. Con
lespressione

di cui sopra si intende quindi, in realt`a, la sommatoria,


3

=0

,
e analogamente per le sommatorie multiple. La metrica di Minkowski permette di intro-
durre coordinate spaziotemporali covarianti secondo,
x

= (x
0
, x
1
, x
2
x
3
), x

.
Scrivendo x

= (x
0
, x
i
), avremo quindi x
0
= x
0
, x
i
= x
i
. Si dice che la metrica di
Minkowski permette di abbassare e alzare gli indici.
1.2 Trasformazioni di Lorentz e di Poincare
Come fatto notare sopra, al contrario dei postulati della Meccanica Newtoniana i postulati
della Relativit`a non specicano a priori la forma delle trasformazioni delle coordinate da
un sistema di riferimento a un altro: sono piuttosto i postulati stessi a determinare in modo
univoco la forma delle trasformazioni permesse, che risulteranno essere le trasformazioni
di Poincare. In questa sezione ripercorriamo brevemente la derivazione della forma di
queste trasformazioni a partire dai postulati, illustrando cos` lestrema economia degli
ultimi, assieme alla solidit`a delle prime.
3
1.2.1 Linearit`a delle trasformazioni
Consideriamo un sistema di riferimento inerziali K, e in esso due eventi innitesimamente
vicini, con coordinate x

e x

+ dx

. Le generiche coordinate x

in un altro sistema di
riferimento inerziale K

saranno legate alle coordinate in K da una generica trasformazione


invertibile x

= f

(x). Se le funzioni f

sono sucientemente regolari, le coordinate degli


stessi due eventi in K

dieriranno allora di,


dx

= f

(x + dx) f

(x) =
f

(x)
x

dx

(x) dx

. (1.1)
Tuttavia, per lomogeneit`a dello spazio e del tempo postulato I) la matrice

(x)
non pu`o dipendere da x, e integrando la (1.1) si ottiene pertanto una relazione lineare tra
le coordinate in K e K

,
x

+ a

. (1.2)
Moltiplicando questa relazione per la matrice

e ribattezzando gli indici, per le coordi-


nate covarianti si trova allora la legge di trasformazione,
x

+ a

, a

. (1.3)
I quattro parametri a

corrispondono ad arbitrarie traslazioni dello spazio e del tempo,


che costituiscono, in eetti, una classe di trasformazioni permesse tra due sistemi di
riferimento inerziali. Al contrario, ci si convince facilmente che per una scelta arbitraria
dei 16 parametri

, la (1.2) in generale non corrisponde a una trasformazione da un


sistema di riferimento inerziale a un altro. Per vederlo `e suciente considerare la scelta

= k

, corrispondente a una trasformazione di scala, che per k = 1 in generale non


lascia invarianti le leggi della sica.
1.2.2 Invarianza dellintervallo
Per determinare la classe delle matrici che corrispondono a trasformazioni tra sistemi di
riferimento sicamente permesse, `e necessario ricorrere anche al postulato II), dimostrando
linvarianza dellintervallo. Si denisce intervallo tra due eventi x

e x

+dx

, con dx

dierenze innitesime o anche nite, la quantit`a,


ds
2
dx

dx

= dt
2
|dx|
2
,
4
che si dimostra essere indipendente dal sistema di riferimento. Consideriamo, infatti,
lintervallo ds
2
tra gli stessi due eventi in un altro sistema di riferimento K

. Dalla (1.2)
discende che dx

dx

, e quindi,
ds
2
= dx

dx

dx

dx

= G

dx

dx

. (1.4)
Abbiamo introdotto la matrice simmetrica,
G

,
che risulta indipendente dagli eventi considerati. Se i due eventi corrispondono al passaggio
di un raggio di luce si ha evidentemente ds
2
= 0, e vale anche il viceversa. Dal postulato
II) segue allora che,
ds
2
= 0 ds
2
= 0 dt = |dx|.
Concludiamo che la quantit`a ds
2
, vista come polinomio del secondo ordine in dt, ha gli
zeri in dt = |dx|. La (1.4) permette allora di scrivere,
ds
2
= G
00
(dt |dx|) (dt +|dx|) = G
00
ds
2
, (1.5)
dove la quantit`a G
00
pu`o dipendere solo dal moto relativo dei due riferimenti. In parti-
colare, per linvarianza per rotazioni postulato I) G
00
pu`o dipendere solo dal modulo
della velocit`a relativa, e la (1.5) si scrive allora,
ds
2
= G
00
(|v|) ds
2
. (1.6)
Se invertiamo ora i ruoli di K e K

occorre eettuare nella (1.6) le sostituzione v v,


s s

, s

s, e risulta,
ds
2
= G
00
(|v|) ds
2
.
Se ne conclude che G
00
(|v|) = 1/G
00
(|v|), da cui segue G
00
= 1. Lintervallo tra due eventi
qualsiasi `e quindi lo stesso in tutti i sistemi di riferimento,
ds
2
= ds
2
,
e la (1.4) pone dunque,
G

.
5
Concludiamo che le matrici che compaiono nelle trasformazioni (1.2) tra due sistemi di
riferimento, sono soggette ai vincoli,


T
= . (1.7)
Linsieme di queste matrici forma un gruppo di Lie, chiamato gruppo di Lorentz, che
viene anche indicato con,
O(1, 3) {, matrici reali 4 4 /
T
= }.
Il simbolo O indica comunemente il fatto che si tratta di matrici (pseudo)ortogonali,
e la sigla (1, 3) si riferisce al fatto che la metrica lasciata invariante ha come diagona-
le (+1, 1, 1, 1). Due generici sistemi di riferimento sono pertanto collegati da una
trasformazione lineare non omogenea del tipo (1.2), dove `e un elemento del gruppo
di Lorentz. Linsieme di queste trasformazioni forma a sua volta un gruppo di Lie, che
viene chiamato gruppo di Poincare, P. Gli elementi di questo gruppo sono identicati
univocamente dalle coppie (

, a

),
P {(, a) / O(1, 3), a R
4
}.
Il gruppo O(1, 3) `e omeomorfo al sottogruppo di P corrispondente ad a

= 0, mentre
gli elementi di P corrispondenti a

formano il sottogruppo delle traslazioni.


Le trasformazioni delle coordinate (1.2) indotte dagli elementi del gruppo di Poincare
vengono chiamate trasformazioni di Poincare, mentre le trasformazioni corrispondenti ad
a

= 0 vengono chiamate trasformazioni di Lorentz.


Strettamente parlando quello che abbiamo dimostrato nora `e che una trasformazione
che collega due sistemi di riferimento inerziali `e necessariamente una trasformazione di
Poincare. A rigore dovremmo ancora convincerci che ogni trasformazione di Poincare
corrisponde realmente al passaggio da un riferimento inerziale a un altro; `e ovvio che
questo problema riguarda solo le trasformazioni di Lorentz, in quanto le traslazioni hanno
un signicato sico immediato. Aronteremo questa questione nella sezione 1.4.
6
1.3 Leggi siche covarianti a vista
Una volta determinata la forma delle trasformazioni delle coordinate da un sistema di
riferimento a un altro, possiamo procedere allimplementazione del postulato III), ovvero,
alla messa a punto di una strategia che permetta di derivare leggi siche soddisfacenti il
principio di relativit`a einsteiniana. Prima di poter fare questo dobbiamo stabilire in gene-
rale il modo in cui si trasformano le grandezze siche, quando si passa da un riferimento
a un altro.
Cominciamo notando che il gruppo di Lorentz possiede come sottogruppo il gruppo
delle rotazioni spaziali, vedi sezione 1.4, rappresentato dalle matrici 3 3 ortogonali R
i
j
,
O(3) {R matrici reali 3 3 / R
T
R = I}.
Questo gruppo costituisce un gruppo di invarianza a vista per le equazioni della Mec-
canica Newtoniana, in quanto queste ultime genericamente sono scritte in forma tri
tensoriale. Esempi ne sono lequazione di Newton stessa F
i
= ma
i
, oppure la formula
per il momento angolare di un corpo rigido, L
i
= I
ij

j
, dove I
ij
`e il tensore dinerzia,
I
ij
=

n
m
n
(r
i
n
r
j
n
r
2
n

ij
),
e
j
`e lo pseudovettore velocit`a angolare. Notiamo, comunque, che le grandezze -
siche coinvolte sono raggruppate in vettori o tensori tridimensionali, che trasformano
linearmente sotto O(3). Abbiamo, per esempio,
F
i
= R
i
j
F
j
, I
ij
= R
i
m
R
j
n
I
mn
.
Essendo O(3) sottogruppo di O(1, 3), possiamo allora assumere che anche le grandezze
siche che compaiono nelle leggi della sica relativistica siano raggruppate in multipletti
che trasformano linearmente sotto il gruppo di Lorentz. Nel linguaggio della teoria dei
gruppi si dice che ciascuno di questi multipletti deve essere sede di una rappresentazione,
riducibile o irriducibile, del gruppo di Lorentz. Da un risultato fondamentale della teoria
delle rappresentazioni dei gruppi segue, allora, che questi multipletti devono formare
necessariamente tensori quadridimensionali di rango (m, n). Per denizione, un tensore
quadridimensionale T
m
n
di rango (m, n) porta m indici controvarianti e n indici covarianti,
T
m
n
T

1
m

1
n
,
7
ed `e contraddistinto dalla sua peculiare legge di trasformazione sotto una trasformazione
di Poincare (1.2), che specicheremo tra un momento. Tensori di rango (0,0) vengono
chiamati scalari, e tensori di rango (1,0) e (0,1) vengono chiamati vettori, rispettivamente
controvarianti e covarianti.
Pi` u in generale considereremo campi tensoriali di rango (m, n), che rispetto ai tensori
esibiscono anche una dipendenza dalla coordinata quadridimensionale x, T

1
m

1
n
(x). Per
denizione, sotto la trasformazione di Poincare x

= x+a, un campo tensoriale di rango


(m, n) trasforma come, vedi (1.3),
T

1
m

1
n
(x

) =

1

m
m

n
n
T

1
m

1
n
(x). (1.8)
In particolare un campo tensoriale `e invariante sotto traslazioni. La legge di trasforma-
zione di un tensore di rango (m, n), si ottiene semplicemente dalla (1.8) omettendo la
dipendenza dalle coordinate spaziotemporali. In seguito per semplicit`a useremo la di-
citura generica tensore sia per un campo tensoriale che per un tensore, in quanto sar`a
chiaro dal contesto di che tipo di oggetto si sta trattando.
Una volta accettato che le osservabili siche in una teoria relativistica si devono rag-
gruppare in tensori quadridimensionali, limplementazione del postulato III) la relati-
vit`a einsteiniana avviene in analogia con la Meccanica Newtoniana. Cos` come le leggi
di questultima, eguagliando vettori tridimensionali a vettori tridimensionali, rispettano
automaticamente la richiesta di invarianza sotto rotazioni spaziali, le leggi della sica
relativistica avranno automaticamente la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento
inerziali, se sono scritte nel linguaggio quadritensoriale, cio`e, eguagliano quadritensori a
quadritensori. Infatti, se S
n
m
e T
m
n
sono due tensori dello stesso rango, schematicamente
avremo,
S
m
n
(x) = T
m
n
(x) in K S
m
n
(x

) = T
m
n
(x

) in K

, (1.9)
come si vede moltiplicando la prima equazione con unopportuna serie di matrici e

.
Unequazione scritta in forma quadritensoriale, come la (1.9), si dice essere covariante a
vista, in quanto soddisfa automaticamente il principio di relativit`a einsteiniana.
In conclusione, il paradigma della covarianza a vista costituisce il metodo pi` u diretto
ed ecace per implementare il postulato III), in una qualsiasi teoria relativistica: difatti
8
questo pardigma risulta equivalente al postulato stesso, nella misura in cui non sono note
leggi siche che hanno la stessa forma in tutti i riferimenti inerziali, ma non possono
essere poste in forma covariante a vista. Dato il largo uso che faremo, dunque, del calcolo
tensoriale, prima di procedere `e utile riassumerne gli elementi principali.
1.3.1 Calcolo tensoriale
Di seguito elenchiamo le operazioni principali che si possono eseguire sui tensori, lasciando
eventuali dimostrazioni, per lo pi` u, come esercizio.
Indici covarianti e controvarianti. Possiamo trasformare un tensore di rango (m, n)
in un tensore di rango (m k, n + k), alzando o abbassando k indici con la metrica di
Minkowski. In generale il tensore ottenuto viene indicato ancora con lo stesso simbolo.
Per esempio, per m = 2, n = 1 e k = 2 si scrive,
T

.
Di conseguenza un tensore di rango (m, n) `e a tutti gli eetti equivalente a un tensore di
rango (mk, n +k), motivo per cui come rango di un tensore si denisce spesso lintero
m + n.
Prodotti tra tensori. Il prodotto tra due tensori di rango (m, n) e (k, l) `e un tensore
di rango (m + k, n + l).
Contrazione degli indici e prodotti scalari. A partire da un tensore di rango (m, n) si
possono costruire tensori di rango (m k, n k), contraendo k indici covarianti con k
indici controvarianti. Per esempio, a partire da un tensore T

di rango (2, 1), contraendo


un indice si ottiene il vettore controvariante,
T

= T

. (1.10)
In particolare, la contrazione degli indici del prodotto di due vettori T

, d`a lo scalare,
T

= T

= T

.
Indicheremo il quadrato di un vettore con V
2
V

.
Gradiente di un campo tensoriale. Il gradiente quadridimensionale, o pi` u semplice-
mente la derivata, di un campo tensoriale di rango (m, n) `e un campo tensoriale di rango
9
(m, n+1). Indicando il gradiente rispetto alle coordinate spaziotemporali controvarianti
con il simbolo,

,
scriveremo la derivata del tensore T
m
n
(x) come,

1
m

1
n
(x).
Si noti che loperatore

porta lindice in basso, poich`e corrisponde a un vettore cova-


riante. Cos` la derivata di un campo scalare (x) `e il campo vettoriale covariante

(x),
mentre la derivata di un campo vettoriale T

(x) `e il tensore di rango (0, 2)

(x).
Simmetrie. Un tensore di rango (2, 0) si dice simmetrico se S

= S

, e antisimmetrico
se A

= A

, propriet`a che vengono preservate dalle trasformazioni di Poincare. La


contrazione doppia del prodotto tra un tensore simmetrico e uno antisimmetrico `e zero,
A

= 0. (1.11)
Si deniscono parte simmetrica e parte antisimmetrica di un generico tensore di rango
(2, 0) T

i tensori,
T
()

1
2
(T

+ T

), T
[]

1
2
(T

),
il primo essendo un tensore simmetrico, e il secondo un tensore antisimmetrico. Si ha la
decomposizione,
T

= T
()
+ T
[]
.
Per la contrazione doppia tra un tensore generico T

, e un tensore simmetrico o antisim-


metrico valgono le identit`a,
T

= T

= T
()
S

, T

= T

= T
[]
A

. (1.12)
Tensori completamente (anti)simmetrici. Un tensore di rango (n, 0) T

1
n
si dice
completamente (anti)simmetrico, se `e (anti)simmetrico nello scambio di qualsiasi coppia
di indici, propriet`a che vengono preservate dallazione del gruppo di Poincare. Come
generalizzazione della (1.11) si ha che la contrazione doppia tra un tensore completamente
10
simmetrico (antisimmetrico) di rango (n, 0), e un tensore di rango (0, 2) antisimmetrico
(simmetrico) `e nulla.
Si denisce parte completamente antisimmetrica di un tensore T

1
n
di rango (n, 0),
il tensore dello stesso rango,
T
[
1
n]

1
n!
(T

2
n
T

1
n
+ ),
dove nella somma compaiono tutte le n! permutazioni degli indici, ciascuna con il segno
()
p
, dove p `e lordine della permutazione. Per costruzione T
[
1
n]
`e un tensore comple-
tamente antisimmetrico, ed esso `e nullo se T

1
n
`e simmetrico anche in una sola coppia
di indici. Se A

1
p
`e un tensore completamente antisimmetrico, e T

1
p
un tensore
qualsiasi, vale,
T

1
p
A

1
p
= T
[
1
p]
A

1
p
, (1.13)
identit`a che generalizza la seconda formula in (1.12).
Propriet`a speculari valgono per la parte completamente simmetrica di un tensore di
rango (n, 0),
T
(
1
n)

1
n!
(T

2
n
+ T

1
n
+ ).
Tensori invarianti. Un tensore T
m
n
si dice invariante sotto il gruppo di Lorentz O(1, 3),
se per ogni O(1, 3) si ha,
T
m
n
= T
m
n
.
Il gruppo di Lorentz ammette i due tensori invarianti fondamentali,

.
Linvarianza di

`e espressa direttamente dalla (1.7).

denota il tensore di Levi


Civita, completamente antisimmetrico, denito da,

=
_

_
1 se , , , `e una permutazione pari di 0, 1, 2, 3,
1 se , , , `e una permutazione dispari di 0, 1, 2, 3,
0 se almeno due indici sono uguali.
(1.14)
Linvarianza di questo tensore discende dalla identit`a del determinante,

= det

, (1.15)
11
valida per unarbitraria matrice 4 4. Se det = 1, questa identit`a esprime esatta-
mente linvarianza di

sotto trasformazioni di Lorentz. Daltra parte, prendendo il


determinante di ambo i membri della (1.7) risulta,
(det)(1)(det) = 1 (det)
2
= 1, (1.16)
sicche le matrici del gruppo di Lorentz soddisfano automaticamente il vincolo det = 1.
Il tensore di LeviCivita `e quindi un tensore invariante solamente sotto le trasformazioni
di Lorentz, per cui det = +1. In realt`a la (1.15) identica il tensore di LeviCivita come
uno pseudotensore invariante, in quanto per det = 1 esso cambia di segno. Questo
tensore gode, inoltre, delle propriet`a algebriche,

= 4!

]
,

= 3!

]
, (1.17)

= 2!2!

]
,

= 3!

= 4! (1.18)
Concludiamo questa sezione con un teorema riguardante un generico (pseudo)tensore
invariante sotto il gruppo di Lorentz, che si dimostra in teoria dei gruppi.
Teorema: Uno (pseudo)tensore T
m
n
invariante sotto il gruppo di Lorentz, `e necessariamente
una combinazione algebrica dei due tensori invarianti fondamentali

. 2
Illustriamo il teorema con qualche esempio.
a) Non esistono tensori invarianti di rango totale m + n dispari. Infatti, essendo

tensori di rango pari, qualsiasi loro combinazione algebrica `e un tensore di rango


pari. In particolare non esistono ne vettori, ne tensori di rango totale tre, invarianti.
b) Se T

`e un tensore invariante, allora vale necessariamente T

= a

, dove a
`e una costante. Infatti,

`e lunica combinazione algebrica di rango (2, 0) che si pu`o


formare con

.
c) Se T

`e un tensore invariante, allora vale necessariamente,


T

= a
1

+ a
2

+ a
3

+ a
4

,
dove a
1
, , a
4
sono costanti. Se in pi` u si sa, per esempio, che T

`e antisimmetrico in
e , allora deve essere a
2
= 0, e a
4
= a
3
. Se invece si sa che T

`e simmetrico in
e , allora deve essere a
1
= 0, e a
4
= a
3
.
12
1.4 Struttura del gruppo di Lorentz
In questa sezione analizziamo brevemente la struttura del gruppo di Lorentz, alla luce
del fatto che le matrici che rappresentano trasformazioni di coordinate ammesse da un
sistema inerziale a un altro, sono vincolate dalla (1.7). In particolare vogliamo trovare
una parametrizzazione esplicita per la generica matrice che soddisfa questo vincolo, e
individuare, di conseguenza, tutte le possibili operazioni siche che connettono due diversi
sistemi di riferimento inerziali, questione lasciata aperta in sezione 1.2.2. Come vedremo,
a questo scopo sar`a utile eseguire unanalisi dettagliata delle trasformazioni di Lorentz
prossime allidentit`a.
Incominciamo osservando che la (1.7) comporta le due condizioni,
|det| = 1, |
0
0
| 1.
La prima condizione `e stata derivata sopra, vedi (1.16), mentre la seconda si desume
ponendo nella (1.7) = = 0. Si ottiene, infatti,
(
0
0
)
2
= 1 +|

L|
2
, L
i

i
0
, (1.19)
da cui (
0
0
)
2
1. Il gruppo di Lorentz si scinde quindi in quattro sottoinsiemi disgiunti,
a seconda del valore di det e del segno di
0
0
. Si chiama gruppo di Lorentz proprio, il
sottogruppo di O(1, 3) denito da,
SO(1, 3)
c
{ O(1, 3)/det = 1,
0
0
1}.
Il simbolo S indica comunemente il fatto che il determinante delle matrici vale +1, e il
pedice c si riferisce al fatto che il gruppo di Lorentz proprio risulta connesso allunit`a,
al contrario di O(1, 3). Siccome gli altri tre sottoinsiemi di O(1, 3) si possono ottenere
da SO(1, 3)
c
attraverso trasformazioni discrete, `e suciente occuparsi di questo ultimo
gruppo.
Conosciamo gi`a due classi importanti di elementi di SO(1, 3)
c
. La prima classe `e
costituita dalle rotazioni spaziali, denite da,

i
j
= R
i
j
,
0
0
= 1,
0
i
= 0 =
i
0
,
13
dove R SO(3) {R O(3)/ detR = 1}. Si verica, infatti, immediatamente che le
matrici cos` denite soddisfano la (1.7). Ricordiamo, inoltre, che una generica rotazione
spaziale dipende da tre parametri indipendenti, per esempio dai tre angoli di Eulero.
La seconda classe importante `e costituita dalle trasformazioni di Lorentz speciali. Per
un sistema di riferimento che si muove con velocit`a v lungo lasse x abbiamo, per esempio,

=
_
_
_
_
v 0 0
v 0 0
0 0 1 0
0 0 0 1
_
_
_
_
, (1.20)
dove = 1/

1 v
2
. In generale possiamo eseguire una trasformazione di Lorentz speciale
con velocit`a v arbitraria, e la matrice corrispondente dipende pertanto da tre parametri
indipendenti, ovvero, dalle tre componenti della velocit`a. Le operazioni descritte rota-
zioni spaziali e trasformazioni di Lorentz speciali coinvolgono quindi complessivamente
6 parametri, e ci aspettiamo allora che i 16 elementi della generica matrice SO(1, 3)
c
possano esprimersi in termini di 6 variabili indipendenti. In altre parole, il gruppo di Lie
SO(1, 3)
c
dovrebbe avere dimensione 6.
Per dimostrare la correttezza di questa previsione riscriviamo la (1.7) come,
H
T
= 0, (1.21)
che equivale a un sistema di 16 equazioni nelle 16 incognite

, vale a dire, H

= 0.
Tuttavia, siccome per costruzione H `e una matrice 4 4 simmetrica, solo 10 di queste
equazioni sono linearmente indipendenti, e la generica soluzione della (1.21) potr`a quindi
esprimersi eettivamente in termini di 16 10 = 6 parametri indipendenti.
1.4.1 Trasformazioni innitesime e trasformazioni nite
Per individuare una possibile scelta di questi 6 parametri consideriamo una generica
trasformazione di Lorentz prossima allidentit`a,

, |

| 1.
Imponendo la (1.21) e tenendo solo i termini lineari in

otteniamo,
(

= 0

. (1.22)
14
Denendo la matrice,

,
si ha anche,

, (1.23)
e la relazione in (1.22) diventa allora,

. (1.24)

`e quindi una matrice antisimmetrica, e come tale ha sei elementi indipendenti. Con-
cludiamo che la generica trasformazione di Lorentz innitesima dipende da sei parametri
liberi, potendo essere scritta come,

. (1.25)
A questo punto siamo anche in grado di dare unespressione esplicita per il generico
elemento nito di SO(1, 3)
c
: in forma matriciale risulta semplicemente,
= e

, (1.26)
purche soddis la relazione (1.22), oppure, equivalentemente, soddis la (1.24). Per di-
mostrare che le matrici in (1.26) soddisfano eettivamente la condizione (1.7), facciamo
notare che in forma matriciale la (1.22) si scrive,
=
T

T
= .
Sfruttando il fatto che
2
= 1 e che quindi,
e

=

N=0
()
N
N!
( )
N
=

N=0
()
N
N!

N
=
_

N=0
()
N
N!

N
_
= e

,
segue allora,

T
= e

T
e

= e

e

= e

= , c.v.d.
Osserviamo, inne, che le matrici date nella (1.26), pur dipendendo da sei parametri
indipendenti, parametrizzano solo SO(1, 3)
c
e non lintero gruppo di Lorentz. Infatti,
15
siccome lesponenziale di una matrice `e una funzione continua dei suoi elementi, linsieme
delle matrici e

`e connesso con continuit`a alla matrice identit`a.


Per concludere chiariamo il signicato sico dei sei parametri

, analizzando di nuovo
una generica trasformazione di Lorentz innitesima da un sistema di riferimento K a un
sistema di riferimento K

. Grazie alla (1.24), in notazione tridimensionale possiamo porre


in tutta generalit`a,

00
= 0, (1.27)

i0
= V
i
=
0i
(1.28)

ij
=
ijk
u
k
. (1.29)
A livello innitesimo il vettore

V corrisponde alla velocit`a di K

rispetto a K, mentre
gli assi di K

risultano ruotati rispetto a quelli di K dellangolo , attorno alla direzione


individuata dal versore u. Che queste interpretazioni delle quantit`a

V , u e sono in eetti
corrette, si vede scrivendo esplicitamente le trasformazioni innitesime delle coordinate,
vedi (1.25),
x

= x

.
In notazione tridimensionale risulta,
t

= t +
00

0i
x
i
= t

V x, (1.30)
x
i
= x
i
+
ij
(
j 0
t +
j k
x
k
) = x
i
V
i
t + (u x)
i
. (1.31)
Per

V = 0 si ottiene in eetti una rotazione spaziale innitesima di un angolo attorno
ad u, mentre per = 0 si ottiene una trasformazione di Lorentz speciale innitesima
con velocit`a relativa

V . Si noti che nelle (1.30), (1.31) i fattori 1/

1 V
2
sono assenti,
poiche questi corrispondono a correzioni quadratiche in

, mentre nella presente analisi


ci siamo limitati ai termini lineari in

.
Inne, a titolo di esempio facciamo vedere in che modo possiamo riottenere la trasfor-
mazione di Lorentz speciale nita (1.20), a partire dalla formula generale (1.26). A questo
scopo nella parametrizzazione generale (1.27)(1.29) poniamo = 0 e V
i
= (V, 0, 0), con,
V = v + o(v
2
),
16
dove v indica la velocit`a nita di K

rispetto a K lungo lasse x. In questo caso le


componenti non nulle di

sono date da,

10
= V =
01
,
e dalla (1.23) segue allora che gli elementi non nulli della matrice

sono,

0
1
= V =
1
0
. (1.32)
A questo punto il calcolo di e

pu`o essere eseguito agevolmente sviluppando lesponenziale


in serie di Taylor, ed `e facile vedere che il risultato coincide con la (1.20), per unopportuna
scelta di V come funzione di v, vedi problema 1.7.
1.5 Problemi
1.1 Usando le tecniche della sezione 1.4 si trovi una parametrizzazione esplicita per una
generica matrice R appartenente a O(3).
1.2 Si dimostri che il tensore dato in (1.10) corrisponde a un vettore controvariante.
1.3 Si dimostri che loperatore

corrisponde a un vettore covariante.


1.4 Si dimostrino le relazioni (1.12).
1.5 Si dimostri che la matrice

data in (1.20) soddisfa il vincolo (1.7).


1.6 Dato un generico tensore T

di rango (3, 0) si dimostri che si ha,


T
[]
= 0

= 0.
1.7 Si consideri la matrice,

=
_
_
_
_
0 V 0 0
V 0 0 0
0 0 0 0
0 0 0 0
_
_
_
_
,
corrispondente a una trasformazione di Lorentz speciale innitesima lungo lasse x, vedi
(1.32). Si dimostri che lesponenziale e

coincide con la trasformazione di Lorentz speciale


17
nita data in (1.20), con velocit`a relativa v, per unopportuna scelta di V . [Sugg.: si
sviluppi lesponenziale in serie di Taylor e si noti che la matrice,
M
_
0 1
1 0
_
,
gode delle identit`a algebriche,
M
2n
=
_
1 0
0 1
_
, M
2n+1
= M,
per ogni intero positivo n.]
18
2 Le equazioni dellElettrodinamica
In questo capitolo presentiamo le equazioni che governano la dinamica di un sistema di
particelle cariche puntiformi in interazione con il campo elettromagnetico, e ne illustriamo
ruolo e signicato, analizzandone le caratteristiche generali. Una parte sostanziale del
testo sar`a poi dedicata ad unanalisi approfondita delle soluzioni e delle conseguenze
siche di queste equazioni, vedi i capitoli 513.
Cominciamo con lintrodurre le grandezze siche che caratterizzano dal punto di vista
cinematico il moto di una singola particella relativistica.
2.1 Cinematica di una particella relativistica
Linee di universo causali. In Meccanica Newtoniana la legge oraria di una particella corri-
sponde alla curva tridimensionale y(t) (x(t), y(t), z(t))
1
. In ambito relativistico, invece,
per motivi di covarianza si introduce la traiettoria quadridimenionale della particella
detta anche linea di universo che `e descritta dalle quattro funzioni di un generico
parametro reale ,
y

() = (y
0
(), y()).
Supporremo che queste quattro funzioni siano di classe C
2
. Perch`e una linea di universo
sia sicamente accettabile, `e necessario che essa sia causale e diretta nel futuro. Si dice che
una linea di universo `e causale e diretta nel futuro quando, denito il vettore tangente,
V

=
dy

d
,
risultano soddisfatte le condizioni,
a) V
2
0, ,
b) V
0
> 0, .
Se la condizione b) `e sostituita con la richiesta V
0
< 0, , la linea di universo si dice,
invece, causale e diretta nel passato. La condizione a) segue dal fatto che in una teoria
relativistica una particella non pu`o superare la velocit`a della luce, vedi sotto, mentre la
1
Di solito la legge oraria di una particella viene indicata con x(t). Noi preferiamo la notazione y(t)
al posto di x(t), per evitare la confusione con il generico punto x

= (t, x), in cui si valuta il campo


elettromagnetico.
19
condizione b) assicura che y
0
, il tempo, `e una funzione monotona crescente di , propriet`a
il cui signicato verr`a chiarito tra un momento. Da un punto di vista geometrico la
condizione a) seleziona linterno del cono luce, mentre laggiunta della condizione b) ne
delimita la met`a in avanti, ovvero, il cono luce futuro. Dora in poi supporremo,
dunque, che la linea di universo percorsa da una qualsiasi particella sia causale e diretta
nel futuro, ovvero, che il suo vettore tangente V

appartenga allinterno del cono luce


futuro, per ogni .
Dato che y
0
`e una funzione monotona crescente di condizione b) la funzione
y
0
() pu`o essere invertita per determinare in modo univoco il parametro in funzione del
tempo,
y
0
() = t (t).
Daltra canto, le componenti spaziali y() descrivono la traiettoria tridimensionale della
particella. La legge oraria tridimensionale si ottiene allora eliminando dalla traiettoria
spaziale il parametro a favore del tempo, y((t)), e per semplicit`a scriveremo,
y((t)) y(t).
In seguito denoteremo velocit`a e accelerazione tridimensionali, come al solito, con,
v =
dy
dt
, a =
dv
dt
.
La condizione a) di causalit`a si scrive allora,
V
2
=
dy

d
dy

d
=
_
dt
d
_
2
dy

dt
dy

dt
=
_
dt
d
_
2
(1 v
2
) 0,
risultando quindi equivalente al fatto che la velocit`a massima permessa `e la velocit`a della
luce.
Invarianza per riparametrizzazione. Rispetto alla Meccanica Newtoniana sembrerebbe
che la linea di universo relativistica introduca un quarto grado di libert`a nella dinamica
della particella la funzione y
0
(). Tuttavia, questo grado di libert`a risulta spurio,
ovvero, inosservabile, in quanto riette solo larbitrariet`a della scelta del parametro. Due
linee di universo y

1
() e y

2
() risultano, infatti, sicamente equivalenti, se sono collegabili
attraverso una ridenizione del parametro, vale a dire, se esiste una funzione f da R in
20
R, invertibile e di classe C
2
insieme alla sua inversa, tale che,
y

1
(f()) = y

2
().
Si dice che le due linee di universo sono collegate da una riparametrizzazione.
`
E evidente
che le leggi orarie associate a due linee di universo collegate da una riparametrizzazione
sono identiche,
y
1
(t) = y
2
(t).
Per descrivere il moto di una particella saremo quindi autorizzati a usare le linee di
universo, al posto delle leggi orarie, purche le equazioni del moto che imporremo risultino
invarianti per riparametrizzazione. Si noti che la stessa legge oraria y(t), una grandezza
osservabile, `e invariante per riparametrizzazione, mentre le funzioni y() e y
0
() non lo
sono.
Se tutte le leggi siche che scriveremo risulteranno invarianti per riparametrizzazione,
`e lecito scegliere un parametro arbitrario. Una scelta che adotteremo di frequente `e la
componente = 0 della traiettoria stessa, ovvero, il tempo, = y
0
t. In questo caso la
linea di universo `e parametrizzata da,
y

(t) = (t, y(t)).


Unaltra scelta di estrema utilit`a `e il cosiddetto tempo proprio s, che ha il pregio di
essere simultaneamente invariante per trasformazioni di Lorentz e per riparametrizzazione.
Formalmente esso `e denito da,
ds =
_
dy

dy

, (2.1)
che costituisce una notazione abbreviata per lespressione,
s() =
_

0
_
dy

dy

+ s(0), (2.2)
dove s(0) `e una costante arbitraria. Mentre linvarianza di Lorentz di s `e manifesta, la
sua invarianza per riparametrizzazione `e conseguenza del fatto che nella (2.2) i fattori
d

formalmente si cancellano. Si noti, inoltre, che grazie alla causalit`a della linea di
universo condizione a) il radicando in (2.2) `e mai negativo. Il concetto di tempo
21
proprio permette poi di denire la derivata invariante,
d
ds

1
_
dy

d
dy
d
d
d
. (2.3)
Grazie allinvarianza per riparametrizzazione di s, nelle (2.2), (2.3) possiamo usare come
parametro il tempo, ottenendo cos`,
s(t) =
_
t
0
_
1 v
2
(t

) dt

+ s(0),
d
ds
=
1
_
1 v
2
(t)
d
dt
. (2.4)
Quadrivelocit`a, quadriaccelerazione e quadrimomento sono deniti da,
u

=
dy

ds
=
_
1

1 v
2
,
v

1 v
2
_
, w

=
du

ds
, p

= mu

,
e soddisfano identicamente le relazioni,
u

= 1, u

= 0, p
2
p

= m
2
, (2.5)
dove m `e la massa della particella. Per lenergia e la quantit`a di moto p della particella
si ottengono allora le note espressioni,
p
0
=
m

1 v
2
, p =
mv

1 v
2
.
Notiamo ancora che per ogni ssato istante t
0
, esiste sempre un sistema di riferimento
inerziale K chiamato sistema a riposo istantaneo in cui la particella allistante t
0
`e
a riposo. Si verica facilmente che in K in questo istante si ha,
u

= (1,

0), w

= (0, a).
2.2 LElettrodinamica di particelle puntiformi
Introduciamo ora il sistema sico la cui dinamica `e loggetto di studio primario di questo
testo: un sistema di N particelle cariche puntiformi interagenti con il campo elettromagne-
tico. Le variabili cinematiche indipendenti che lo descrivono sono le 4N funzioni y

r
(
r
),
con r = 1, . . . , N, che parametrizzano le linee di universo
r
percorse dalle particelle, e il
campo tensoriale di Maxwell F

(x) antisimmetrico,
F

(x) = F

(x).
22
Per ciascuna delle particelle possiamo denire le quantit`a cinematiche introdotte nella
sezione precedente: il tempo proprio s
r
, la quadrivelocit`a u

r
, la quadriaccelerazione w

r
, e
il quadrimomento p

r
= m
r
u

r
, dove m
r
`e la massa della particella resima. Per il momento
parametrizziamo ogni linea di universo
r
con un parametro
r
arbitrario.
La quadricorrente. Se supponiamo che la particella resima sia dotata della carica
elettrica e
r
, la (densit`a di) quadricorrente del sistema di particelle `e data da,
j

(x) =

r
e
r
_
r
dy

r

4
(x y
r
)

r
e
r
_
dy

r
d
r

4
(x y
r
(
r
)) d
r
. (2.6)
Per la derivazione delle propriet`a pi` u salienti di j

, e per la denizione precisa della


4
di Dirac, rimandiamo al paragrafo 2.3.3. Per il momento ci `e suciente sapere che
lespressione (2.6) risulta Lorentzcovariante, invariante per riparametrizzazione poiche
i fattori d
r
formalmente si cancellano e identicamente conservata,

= 0. (2.7)
Discuteremo le propriet`a di una generica quadricorrente conservata nel paragrafo 2.4.1.
Anticipiamo che la corrente (2.6) di un sistema di particelle puntiformi, strettamente
parlando non pu`o essere considerata come un campo vettoriale, poiche le sue quattro
componenti, coinvolgendo la
4
di Dirac non sono funzioni, ma piuttosto elementi di
S

(R
4
), vale a dire, distribuzioni temperate: si dice che j

rappresenta un campo vetto-


riale a valori nelle distribuzioni. Le conseguenze di questa circostanza verranno discusse
in dettaglio in sezione 2.3, dove introdurremo gli elementi essenziali della teoria delle
distribuzioni, e analizzeremo a fondo la natura distribuzionale delle equazioni di Maxwell.
Ricordiamo, inne, che il tensore di Maxwell `e legato ai campi elettrico e magnetico

E e

B dalle relazioni,
F
00
= 0 (2.8)
F
i0
= E
i
(2.9)
F
ij
=
ijk
B
k
B
i
=
1
2

ijk
F
jk
, (2.10)
e che gli invarianti di Lorentz indipendenti che si possono formare con le componenti di
F

sono dati da,

= 8

E

B, F

= 2 (B
2
E
2
). (2.11)
23
Presentiamo ora le tre equazioni fondamentali che governano la dinamica del nostro
sistema,
dp

r
ds
r
= e
r
F

(y
r
) u
r
, (r = 1, , N) (2.12)

= 0, (2.13)

= j

, (2.14)
che chiamiamo rispettivamente Equazioni di Lorentz, Identit`a di Bianchi ed Equazione di
Maxwell. Scopo di queste equazioni `e di determinare univocamente i campi F

(x) e le
linee di universo y

r
(
r
) queste ultime modulo riparametrizzazioni date certe condizioni
iniziali, vale a dire, di dare luogo a un ben denito problema di Cauchy, in accordo con il
determinismo newtoniano. Per le coordinate y

r
il problema di Cauchy verr`a specicato
nel prossimo paragrafo, mentre quello relativo al tensore di Maxwell verr`a arontato nel
paragrafo 5.1.3.
Di seguito analizziamo brevemente la struttura e il signicato delle singole equazioni.
2.2.1 Equazione di Lorentz
Per non appesantire la notazione consideriamo una singola particella di carica e e linea di
unverso y

(), che soddisfa dunque lequazione di Lorentz,


dp

ds
= eF

(y) u

. (2.15)
Ricordiamo che in questa equazione il campo elettromagnetico risulta valutato sulla tra-
iettoria della particella, in quanto si sottointende F

(y) F

(y()). Assunto noto il


campo elettromagnetico F

(x), le (2.15) costituiscono allora formalmente quattro equa-


zioni dierenziali del secondo ordine, nelle quattro funzioni incognite y

(). Daltra parte,


queste equazioni risultano invarianti per riparametrizzazione, perche lunica variabile che
vi compare in modo esplicito `e il tempo proprio s, e di conseguenza esse sono in grado di
determinare le y

() solo modulo una riparametrizzazione, in accordo con quanto richiesto


nella sezione 2.1. Queste equazioni dovrebbero, comunque, determinare univocamente la
legge oraria y(t), note le condizioni iniziali,
y(0) e v(0). (2.16)
24
Vediamo allora due approcci diversi ma matematicamente e sicamente equivalenti di
formulare il problema alle condizioni iniziali.
Approccio covariante. In questo approccio si considera s come una variabile indipen-
dente, vale a dire, non legata alla traiettoria dalla (2.2), e si parametrizza la linea di
universo con s. Corrispondentemente si considerano le (2.15) come quattro equazioni
dierenziali del secondo ordine nelle quattro funzioni incognite y

(s), le quali sono per`o


legate dal vincolo supplementare, vedi (2.5),
u
2
=
dy

ds
dy

ds
= 1. (2.17)
Il contenuto di questo vincolo risulta meno restrittivo di quanto non potrebbe sembrare
a prima vista. Le (2.15) assicurano, infatti, che esso `e automaticamente soddisfatto
per ogni valore di s, una volta che `e soddisfatto allistante iniziale, diciamo per s = 0.
Per vederlo `e suciente moltiplicare le (2.15) con u

. Il membro di destra si annulla


allora identicamente, perche F

= 0 grazie allantisimmetria del tensore di Maxwell.


Quindi deve annullarsi anche il membro di sinistra,
0 = u

dp

ds
=
m
2
du
2
ds
.
Lo scalare u
2
`e quindi indipendente da s, e se vale 1 per s = 0 vale 1 per ogni s.
Analizziamo ora le condizioni iniziali. Essendo le (2.15) del secondo ordine, esse hanno
soluzione unica, note le condizioni iniziali,
y

(0),
dy

ds
(0) u

(0).
Per quanto riguarda y

(0) osserviamo che, senza perdita di generalit`a, possiamo porre


y
0
(0) = 0. Ci`o equivale, infatti, a scegliere nella (2.4) s(0) = 0. Daltra parte y(0) fa
parte dei dati iniziali sici, vedi (2.16), ed `e quindi noto. Per quanto riguarda invece
u

(0), una volta assegnata la velocit`a iniziale v(0) poniamo dapprima,


u(0) =
v(0)
_
1 v
2
(0)
,
e imponiamo poi il vincolo (2.17) allistante s = 0,
u

(0)u

(0) = 1 u
0
(0) =
_
1 +|u(0)|
2
=
1
_
1 v
2
(0)
.
25
Anche i dati iniziali u

(0) risultano quindi noti. A questo punto le (2.15) determinano le


y

(s) in modo univoco, e il vincolo (2.17) `e automaticamente soddisfatto per ogni s. La


legge oraria y(t) si ottiene, inne, usando lequazione y
0
(s) = t per determinare s come
funzione di t, e sostituendo la funzione risultante s(t) in y(s).
Lapproccio covariante `e molto conveniente, quando il campo elettromagnetico ha una
forma analitica semplice, vedi per esempio il problema 2.7.
Approccio non covariante. In questo approccio si aronta la soluzione delle (2.15)
parametrizzando la linea di universo con il tempo,
y

(t) = (t, y(t)),


con il vantaggio palese che non sono presenti gradi di libert`a spuri. In questo caso abbiamo
ancora quattro equazioni dierenziali del secondo ordine, ma le incognite sono solo le tre
funzioni y(t). Tuttavia, possiamo fare vedere che solo tre delle quattro equazioni (2.15)
sono funzionalmente indipendenti. Per fare questo deniamo il quadrivettore,
H

dp

ds
eF

,
e scriviamo lequazione di Lorentz nella forma,
H

= 0.
Dalle (2.8)(2.10) si ricavano facilmente le componenti spaziali e temporale di H

H =
1

1 v
2
_
d p
dt
e
_

E +v

B
_
_
,
H
0
=
1

1 v
2
_
d
dt
ev

E
_
.
A questo punto osserviamo che vale identicamente senza usare la (2.15)
u

= u
0
H
0
u

H = 0. (2.18)
Infatti, in contrasto con lapproccio precedente, in questo caso la relazione u

= 0
`e unidentit`a, e ovviamente vale ancora u

= 0. Ne discende che H
0
dipende
funzionalmente da

H, essendo,
H
0
=
u

H
u
0
= v

H.
26
La componente temporale dellequazione di Lorentz, H
0
= 0, `e pertanto automaticamente
soddisfatta, se sono soddisfatte le sue componenti spaziali,

H = 0.
`
E allora suciente
risolvere queste ultime che, essendo del secondo ordine nelle derivate temporali, assumono
a tutti gli eetti il ruolo di equazione di Newton per la particella,
d p
dt
= e
_

E +v

B
_
. (2.19)
Noto F

(x), e assegnate le condizioni iniziali y(0), v(0), essa ammette soluzione unica
per la legge oraria y(t). La componente temporale dellequazione di Lorentz corrisponde,
invece, alla legge della potenza,
d
dt
= ev

E, (2.20)
ed `e dunque conseguenza dellequazione di Newton, esattamente come in sica non rela-
tivistica. Inne, nota y(t), la (2.4) fornisce s(t) e permette quindi di ricostruire y

(s).
Concludiamo questo paragrafo insistendo sul signicato preciso della (2.19), come
spiegato allinizio di questo paragrafo,
d
dt
_
mv(t)
_
1 v(t)
2
_
= e
_

E(t, y(t)) +v(t)



B(t, y(t))
_
. (2.21)
2.2.2 Identit`a di Bianchi
Lidentit`a di Bianchi (2.13) rappresenta, nella nomenclatura comune, met`a delle equa-
zioni di Maxwell, pi` u precisamente quella met`a che non lega il campo elettromagnetico
alla corrente, ma ne vincola la forma.
`
E abbastanza immediato trovare unintera classe
di soluzioni tra laltro molto semplici di questa equazione.
`
E suciente introdurre un
potenziale vettore A

, detto anche campo di Maxwell, o ancora, campo di gauge, e porre,


F

. (2.22)
Sostituendo nella (2.13) si trova, infatti,

) = 0, (2.23)
in quanto in entrambi i termini si contrae una coppia di indici simmetrici quelli delle
derivate con una coppia di indici antisimmetrici quelli del tensore di LeviCivita. Ma
27
vi `e molto di pi` u: usando i metodi della Geometria Dierenziale si pu`o dimostrare che,
per ogni campo tensoriale antisimmetrico F

soddisfacente lequazione (2.13), esiste un


campo vettoriale A

, tale che F

possa essere scritto come in (2.22). Questo risultato


che va sotto il nome di lemma di Poincar`e `e valido purche lo spaziotempo considerato
sia topologicamente banale, un esempio importante essendo proprio R
4
. Torneremo
sugli aspetti matematici di questo importante lemma nel capitolo 16, dove ne daremo una
formulazione rigorosa nellambito geometrico pi` u appropriato, ovvero, quello delle forme
dienziali.
La conclusione dellanalisi appena svolta, forse sorprendente, `e che la (2.22) rappre-
senta la soluzione generale dellidentit`a di Bianchi. Tuttavia, potenziali vettori diversi
possono dare luogo allo stesso F

. Infatti, dato un campo scalare qualsiasi, si pu`o


denire un nuovo potenziale vettore ponendo,
A

= A

, (2.24)
e si verica immediatamente che vale,
F

= F

= F

,
grazie alla commutativit`a delle derivate parziali. Le trasformazioni (2.24), che vengono
chiamate trasformazioni di gauge, lasciano quindi il tensore di Maxwell invariante. In
denitiva possiamo aermare che lidentit`a di Bianchi pu`o essere risolta identicamente
in termini di un potenziale vettore, ma che il potenziale vettore stesso `e determinato solo
modulo una trasformazione di gauge. Schematicamente abbiamo, dunque,

= 0 F

, con A

. (2.25)
La nostra strategia per arontare il sistema di equazioni (2.12)(2.14) sar`a quindi
nella maggior parte dei casi di risolvere lidentit`a di Bianchi in termini di un generico
potenziale vettore A

attraverso la (2.22), e di sostituire questultima nella (2.14). Restano


cos` da risolvere le equazioni (2.12) e (2.14), rispettivamente nelle incognite y

r
(
r
) e A

(x).
Ricordiamo inne che, ponendo A

= (A
0
,

A), in notazione tridimensionale le (2.22)
corrispondono alle note relazioni, si vedano le (2.8)(2.10),

E =

A
0



A
t
,

B =


A. (2.26)
28
Per concludere facciamo notare che lidentit`a di Bianchi pu`o essere scritta nei tre modi
equivalenti,

= 0, (2.27)

[
F
]
= 0, (2.28)

= 0, (2.29)
la dimostrazione essendo lasciata per esercizio, vedi problema 2.2.
2.2.3 Equazione di Maxwell
Lequazione (2.14) `e da considerarsi come la vera e propria equazione del moto del campo
elettromagnetico, in quanto lega F

alla quadricorrente elettrica. Questa equazione


quantica, quindi, il modo in cui la corrente genera il campo.
Innanzitutto facciamo notare che lequazione `e consistente con lequazione di continuit`a
della corrente,

= 0, grazie allantisimmetria del tensore di Maxwell, che comporta


lidentit`a,

= 0.
Come abbiamo appena osservato, una volta risolta lidentit`a di Bianchi secondo la (2.22),
lequazione di Maxwell diventa, in realt`a, unequazione del secondo ordine per il potenziale
vettore. Pi` u precisamente, avremmo quattro equazioni dierenziali del secondo ordine
alle derivate parziali, nelle quattro funzioni incognite A

. Tuttavia, questo conteggio


`e solo parzialmente signicativo, per i seguenti due motivi: primo, le componenti del
potenziale vettore non sono tutte reali, in quanto soggette alle trasformazioni di gauge
(2.24). Potenziali vettori diversi possono, infatti, corrispondere agli stessi campi elettrici
e magnetici, mentre sono solo questi ultimi a poter essere osservati sperimentalmente.
Non `e dunque corretto considerare le quattro componenti del potenziale vettore come
variabili siche. Secondo, le quattro componenti dellequazione di Maxwell non sono
funzionalmente indipendenti. Per vederlo deniamo il quadrivettore,
G

,
e scriviamo lequazione di Maxwell nella forma G

= 0. Grazie alle identit`a ricordate


29
pocanzi `e immediato vedere che le G

soddisfano identicamente il vincolo,

= 0
0
G
0
=


G. (2.30)
La derivata rispetto al tempo della componente temporale dellequazione di Maxwell `e,
quindi, legata alle sue componenti spaziali. Tuttavia, questo vincolo non `e di tipo algebrico
non coinvolge direttamente le equazioni del moto, ma le loro derivate e pertanto non `e
immediato individuare un insieme di equazioni dierenziali funzionalmente indipendenti.
Risolveremo questo problema nel paragrafo 5.1.3, nellambito del problema di Cauchy
per il campo elettromagnetico, quando avremo a disposizione i mezzi per arontarlo.
Concludiamo questa sezione con qualche ulteriore commento sul sistema (2.12)(2.14).
Sui gradi di libert`a del campo elettromagnetico. Daremo una denizione precisa di ci`o
che intendiamo con i gradi di libert`a associati a un generico campo (x), in sezione 5.1,
dove analizzeremo anche a fondo la natura dei gradi di libert`a del campo elettromagnetico.
Qualitativamente possiamo dire che con i gradi di libert`a di un sistema sico si intendono
le variabili indipendenti necessarie per descriverne la dinamica. In particolare, si richiede
che le equazioni del moto siano in grado di determinare il loro valore a un istante generico,
assegnati certi dati iniziali. Per svolgere unanalisi preliminare dei gradi di libert` a del
campo elettromagnetico, `e conveniente riscrivere le (2.13), (2.14) nel consueto formalismo
tridimensionale,

E
t
+


B =

j, (2.31)

B
t
+


E = 0, (2.32)


E = j
0
, (2.33)


B = 0. (2.34)
Le (2.31), (2.32) costituiscono sei equazioni nelle sei funzioni incognite

E(t, x) e

B(t, x),
che coinvolgono le derivate prime di

E e

B rispetto al tempo: esse vanno quindi considerate
come equazioni dinamiche. Queste equazioni ammettono, infatti, soluzione unica, note le
sei condizioni iniziali

E(0, x),

B(0, x). Al contrario, le due equazioni scalari (2.33) e (2.34)
non contengono derivate temporali, e vanno quindi considerate come vincoli, piuttosto che
come equazioni dinamiche. In particolare, i sei dati iniziali

E(0, x),

B(0, x) non possono
30
essere assegnati arbitrarimente, perche le (2.33), (2.34), valutate a t = 0, danno luogo a
due vincoli tra questi dati,


E(0, x) = j
0
(0, x), (2.35)


B(0, x) = 0. (2.36)
Vediamo cos` che allistante t = 0 possiamo assegnare in modo arbitrario solo 6 2 =
4 componenti del campo elettromagnetico, poiche allo stesso istante le rimanenti due
componenti risultano determinate in termini delle prime quattro, attraverso le (2.35),
(2.36). A questo punto non `e dicile dimostrare che, se le (2.31), (2.32) sono soddisfatte
per qualsiasi t, e le (2.33), (2.34) sono soddisfatte allistante t = 0, allora queste ultime
sono automaticamente soddisfatte per qualsiasi t, vedi problema 2.11. In base a questa
analisi ci aspettiamo, dunque, che il campo elettromagnetico corrisponda non a sei, ma
solo a quattro gradi di libert`a sici del primo ordine.
Sulle soluzioni del sistema (2.12)(2.14). Linsieme di queste equazioni costituisce un
sistema di equazioni dierenziali non lineari fortemente accoppiate che, eccetti casi raris-
simi, non `e risolubile analiticamente: la forma dei campi determina il moto delle particelle
secondo le (2.12), e i campi, a loro volta, sono determinati dal moto delle particelle se-
condo le (2.14), e dalle (2.13). Tuttavia, in molte situazioni siche il problema si riduce,
in pratica, a una delle seguenti due situazioni, in cui le equazioni risultano disaccoppiate:
I)

E assegnato un campo elettromagnetico esterno F

nel vuoto, soddisfacente,


cio`e, le (2.13) e (2.14) con j

= 0. Esempi ne sono un campo elettromagnetico costante


e uniforme in una regione limitata dello spazio, come quello tra le due paratie di un
condensatore, e unonda elettromagnetica piana, di frequenza e ampiezza date. Si chiede
di determinare il moto di una particella carica, sottoposta a un tale campo. Questo
problema si riconduce, allora, alla soluzione delle sole equazioni (2.12), nelle incognite y

r
.
II)
`
E assegnato il moto di una particella carica, oppure di pi` u particelle cariche, e si
chiede di determinare il campo elettromagnetico creato da questo sistema di cariche in
moto. Questo problema riguarda solamente le equazioni (2.13) e (2.14), le quali, come
vedremo, possono essere risolte esattamente, in termini dei celebri potenziali di Lienard
Wiechert.
31
In entrambi queste situazioni bisogna, per`o, tenere presente che la dinamica vera del
sistema `e governata dallintero set di equazioni (2.12)(2.14), e che le procedure descritte
in I) e II) rappresentano una schematizzazione della situazione sica reale, la cui validit`a
deve essere valutata caso per caso. In entrambe le situazioni abbiamo, infatti, trascurato il
campo che una particella accelerata esercita su se stessa, e nella situazione II) abbiamo,
inoltre, trascurato i campi che le cariche si esercitano reciprocamente, cambiandone il
moto.
In astratto, la strategia da seguire per risolvere il sistema delle equazioni fondamentali
dellElettrodinamica, e che in linea di principio seguiremo anche noi in questo testo, `e la
seguente. Risolta lidentit`a di Bianchi in termini di un potenziale vettore A

, si trova la
soluzione esatta dellequazione di Maxwell per A

e quindi per F

in termini delle
traiettorie generiche y

r
. Dopodich`e si sostituisce il campo F

risultante nelle equazioni


di Lorentz, che diventano cos` delle equazioni non locali, ma chiuse, nelle sole incognite
y

r
. Risolte queste equazioni si sostituiscono le y

r
risultanti in F

, ottenendo, inne, il
campo elettromagnetico come funzione delle sole x.
Come menzionato sopra, raramente questo programma pu`o essere portato a termine
in modo analitico, per via delle dicolt`a tecniche coinvolte. Ma nel corso della sua attua-
zione emerger`a, per di pi` u, una dicolt`a concettuale: le quantit`a F

(y
r
) che compaiono
nelle (2.12) risultano divergenti. In questo modo le equazioni di Lorentz diventano prive di
signicato, come il corrispondente problema di Cauchy del paragrafo 2.2.1. La consistenza
interna dellElettrodinamica classica come teoria che descrive in modo deterministico la
dinamica di cariche e campi risulta cos` denitivamente compromessa. In concreto que-
sto problema si presenter`a, quando analizzeremo in modo sistematico lautointerazione
della particella, fenomeno che verr`a arontato nei capitoli 14 e 15, mentre esso non incia,
almeno non direttamente, la propagazione causale del campo elettromagnetico, argomento
dei capitoli centrali di questo testo. Incontreremo, comunque, un primo esempio delle di-
vergenze suddette nel paragrafo 2.3.4, dove analizziamo le equazioni dellElettrodinamica
per la particella statica.
Sulle cariche elettriche. Per il momento abbiamo tacitamente assunto che le cariche
elettriche delle particelle costituiscano un insieme arbitrario di costanti {e
r
}. Siamo con-
32
fortati in questa ipotesi dal fatto che per quanto riguarda le analisi svolte nora sul
sistema (2.12)(2.14) non abbiamo incontrato nessuna inconsistenza: questo sistema di
equazioni sembra consistente, qualsiasi siano i valori delle e
r
. Facciamo, tuttavia, notare
che le cariche elettriche entrano nelle equazioni fondamentali in due locazioni diverse: nel-
le equazioni di Lorentz, e nellequazione di Maxwell attraverso la corrente. Ed `e evidente
che, a priori, non c`e nessun motivo per cui i due insiemi di cariche siano identici. Potrem-
mo, cio`e, usare nelle equazioni di Lorentz le cariche {e
r
}, e nella denizione della corrente
(2.6) un insieme diverso {e

r
}, e le equazioni fondamentali manterrebbero tutte le buone
propriet`a discusse nora. Rimane allora da capire cosa ci ha indotto a identicare questi
due insiemi di cariche n dallinizio. Unindicazione cruciale che ci aiuta a rispondere a
questa domanda viene dal limite non relativistico.
Consideriamo in questo limite due particelle con cariche rispettivamente (e
1
, e

1
), e
(e
2
, e

2
), e chiamiamo r il raggio vettore che congiunge la particella 1 alla particella 2.
Lequazione di Maxwell (2.33) d`a allora per il campo elettrico quasistatico

E
2
(

E
1
)
creato dalla particella 1 (2) nel punto in cui si trova la particella 2 (1),

E
2
=
e

1
4
r
r
3
,

E
1
=
e

2
4
r
r
3
.
Nel limite non relativistico i campi magnetici possono, invece, essere trascurati. Nello
stesso limite le equazioni di Lorentz (2.19) ci danno allora per la forza

F
12
esercitata dalla
particella 1 sulla particella 2, e viceversa,

F
12
= e
2

E
2
=
e
2
e

1
4
r
r
3
,

F
21
= e
1

E
1
=
e
1
e

2
4
r
r
3
.
Si vede, quindi, che la terza legge di Newton, ovverosia, il principio di azione e reazione

F
12
=

F
21
, un postulato fondamentale della Meccanica Newtoniana, vale solo se,
e
1
e

1
=
e
2
e

2
.
Ripetendo questo ragionamento per unarbitraria coppia di particelle, si conclude che
la validit`a della terza legge di Newton richiede che il rapporto e
r
/e

r
sia una costante
universale indipendente dalla particella, che pu`o, pertanto, essere posta uguale allunit`a
riscalando il campo elettromagnetico. Si ottiene cos`,
e
r
= e

r
, r.
33
A livello non relativistico lorigine di questa identicazione risiede, dunque, nel principio
di azione e reazione. Daltro canto, sempre a livello non relativistico questo principio `e
equivalente alla conservazione della quantit`a di moto totale di un sistema isolato,
d
dt
( p
1
+ p
2
) =

F
21
+

F
12
= 0.
Daltra parte, in una teoria relativistica la quantit`a di moto costituisce la componente spa-
ziale del quadrivettore p

, e in questo caso dobbiamo allora aspettarci che lidenticazione


dei due tipi di carica venga imposta dalla richiesta di conservazione del quadrimomento
totale, in particolare dellenergia totale. In sezione 2.4 vedremo in eetti che questo `e ci`o
che succede.
2.3 La natura distribuzionale del campo elettromagnetico
Abbiamo gi`a anticipato che le componenti della quadricorrente j

non sono funzioni, bens`


distribuzioni, supportate sulle linee di universo delle particelle. Dallequazione di Max-
well (2.14) segue, allora, che le componenti di F

non possono essere funzioni derivabili


lungo le linee di universo, perche altrimenti anche le componenti del quadrivettore

sarebbero funzioni. Traiamo allora le seguente conclusioni: I) il tensore F

`e necessaria-
mente singolare lungo le linee di universo, e vedremo che le singolarit`a in questione sono
del tipo 1/r
2
, se r indica la distanza spaziale dalla linea di universo; II) lequazione di
Maxwell (2.14) non ha senso come equazione dierenziale nello spazio delle funzioni, men-
tre essa sar`a perfettamente ben denita se la consideriamo come equazione dierenziale
nello spazio delle distribuzioni temperate S

(R
4
)
2
.
In questa nuova ottica le componenti di F

andranno dunque considerate come ele-


menti di S

(R
4
), e le derivate che compaiono nella (2.14) andranno considerate come
derivate nel senso delle distribuzioni. Per consistenza, anche lidentit`a di Bianchi (2.13)
deve allora essere riguardata come equazione dierenziale in S

(R
4
). Si noti che questa
reinterpretazione delle due equazioni di Maxwell, come equazioni dierenziali nello spazio
delle distribuzioni, `e consistente poiche esse sono lineari in F

.
2
In ultima analisi il ruolo della (2.14) `e unicamente quello di qualicare le singolarit`a di F

lungo
le linee di universo, visto che nel loro complemento la corrente si annulla. Ivi vale, infatti, banalmente:

= 0.
34
Una volta dato un signicato matematico preciso alle equazioni di Maxwell e Bianchi,
possiamo chiederci se ora anche lequazione di Lorentz risulti ben denita.
`
E immediato
vedere che la risposta a questa domanda `e negativa. Infatti, nelle (2.12) compare la
quantit`a F

(y
r
), ovvero, il campo elettromagnetico totale valutato sulla traiettoria della
particella resima. Tale campo comprende in particolare il campo generato dalla particella
resima stessa, che lungo la sua traiettoria esplode come 1/r
2
: la quantit`a F

(y
r
) `e quindi
divergente, e lequazione di Lorentz resta mal denita, come anticipato nel paragrafo 2.2.3.
Linterpretazione sica di questa patologia `e, evidentemente, che linterazione della
particella con il campo elettromagnetico da essa stessa creata lautointerazione `e di
intensit`a innita. Si intuisce facilmente che la causa prima di questa divergenza ultra-
violetta, dovuta, cio`e, alle leggi che governano la sica a piccole distanze, `e proprio la
natura puntiforme della particella carica. Torneremo su questo punto nel capitolo 14.
2.3.1 Lo spazio delle distribuzioni
Prima di illustrare nel paragrafo 2.3.4 il signicato e la necessit`a di questa nuova in-
terpretazione delle leggi dellElettrodinamica, nel caso della particella statica, ricordiamo
qualche elemento operativo della teoria delle distribuzioni temperate in seguito chiamate
semplicemente distribuzioni in uno spazio di dimensione D arbitraria.
Distribuzioni e funzioni di test. In D dimensioni lo spazio delle funzioni di test S
S(R
D
) `e lo spazio vettoriale delle funzioni complesse (x) di classe C

, che allinnito
decrescono, insieme a tutte le loro derivate, pi` u rapidamente dellinverso di qualsiasi
potenza. Devono, cio`e, essere nite tutte le seminorme,
||||
P,Q
sup
xR
D |P(x)Q()(x)| , (2.37)
dove con P intendiamo un generico monomio nelle x

, e con Q un generico monomio nelle


derivate parziali

. Per quanto riguarda la topologia di cui si dota S, si rimanda a un


testo di Metodi Matematici. Lo spazio delle distribuzioni S

(R
D
) `e denito come
linsieme dei funzionali F lineari e continui su S,
F : S C,
F(). (2.38)
35
Una generica distribuzione F S

`e completamente determinata dai valori complessi


F() che essa assume, quando viene applicata a una generica funzione di test S.
Ricordiamo ora un teorema che `e di grande utilit`a pratica, quando si tratta di stabilire
se un dato funzionale lineare su S risulta continuo.
Teorema: un funzionale lineare F su S `e continuo, cio`e, appartiene ad S

, se e solo se esso
pu`o essere maggiorato da una somma nita di seminorme di , vale a dire, se esiste un
insieme nito di costanti positive C
P,Q
indipendenti da , tali che,
|F()|

C
P,Q
||||
P,Q
, S. 2 (2.39)
Unimportante classe di distribuzioni `e quella costituita dalle distribuzioni regolari,
ovvero dalle distribuzioni che sono rappresentate da funzioni. Si dice che una distribuzione
F `e rappresentata dalla funzione f(x) da R
D
in C, quando si ha,
F() =
_
f(x) (x) d
D
x, S. (2.40)
Sfruttando il teorema di cui sopra `e allora facile dimostrare che rappresentano distribu-
zioni regolari, in particolare, tutte le funzioni limitate, e tutte le funzioni con singolarit`a
integrabili, che divergono allinnito al massimo come qualche potenza, vedi problema 2.4.
Ricordiamo inoltre che in generale le distribuzioni non si possono moltiplicare o di-
videre tra di loro, e che il valore di una distribuzione F in un punto x in generale non
`e una quantit`a ben denita. Tuttavia, certe propriet`a delle distribuzioni risultano di
accesso immediato, se si ricorre alla notazione simbolica, vale a dire, se si introduce
formalmente la quantit`a F(x), scrivendo,
F() =
_
F(x) (x) d
D
x,
espressione analoga alla (2.40) per le distribuzioni regolari.
2.3.2 Operazioni sulle distribuzioni
Le operazioni che presentiamo di seguito si riferiscono a distribuzioni F che operano su
funzioni di test appartenenti ad S, ma in molti casi queste operazioni mantengono
la loro validit`a, anche quando le distribuzioni vengono applicate a funzioni molto meno
regolari delle appartenenti ad S.
36
Derivate di distribuzioni. Ogni elemento F S

ammette derivate parziali

F S

,
denite da,
(

F)() = F(

). (2.41)
Dalla denizione segue immediatamente che le derivate parziali nel senso delle distribu-
zioni commutano sempre,

F =

F.
La valutazione esplicita della derivata di una distribuzione F `e facilitata, se in un
sottoinsieme B di R
D
essa pu`o essere rappresentata da una funzione f : R
D
C, di
classe C

. In questa regione la derivata pu`o, infatti, essere calcolata semplicemente nel


senso delle funzioni, e il calcolo della derivata di F si riduce allora essenzialmente alla
determinazione di

F nel complemento di B, che `e il luogo dove F `e singolare. Siccome


le singolarit`a delle distribuzioni con cui avremo a che fare in pratica, costituiscono sempre
insiemi di misura nulla, questa strategia si riveler`a particolarmente ecace.
Regola di Leibnitz. Si denota con O
M
(R
D
) O
M
linsieme delle funzioni complesse di
classe C

su R
D
, polinomialmente limitate insieme a tutte le loro derivate. Il prodotto
fF, con f O
M
e F S

, appartiene allora ad S

, e vale la regola di Leibnitz,

(fF) = (

f)F + f

F.
Convoluzione. La convoluzione F tra una distribuzione F e una funzione di test
`e una distribuzione regolare, che in notazione simbolica si scrive,
(F )(x) =
_
F(y) (x y) d
D
y.
La funzione f(x) (F )(x) che la rappresenta, appartiene a O
M
. Per le sue derivate
si ha,

(F ) =

F = F

.
Se anche F S si ha, inoltre, F = F.
Funzione di Dirac unidimensionale. La distribuzione di Dirac unidimensionale
a
,
supportata in x = a, con a R, `e lelemento di S

(R) denito da
a
() = (a), per ogni
S(R). Essa al solito viene rappresentata dalla funzione simbolica (xa), e si scrive,
_
(x a) (x) dx = (a).
37
La di Dirac gode di alcune importanti propriet`a, che ora elencheremo usando la notazione
simbolica. Per la sua derivata nesima si ha,
_
d
n
dx
n
(x a) (x) dx = ()
n
d
n

dx
n
(a).
Per ogni f O
M
si ha poi,
f(x) (x a) = f(a) (x a). (2.42)
Questa relazione comporta alcune semplici identit`a, come per esempio,
x(x) = 0, x
2
d
dx
(x) = 0, x
d
dx
(x) = (x),
identit`a che si dimostrano facilmente usando la regola di Leibnitz.
Data una funzione reale f(x), in certe condizioni resta denita anche lespressione
(f(x)). Pu` precisamente, se f `e derivabile e ha un numero nito di zeri {x
n
}, tali che
le derivate prime f

(x
n
) sono tutte diverse da zero, si denisce,
(f(x)) =

n
(x x
n
)
|f

(x
n
)|
. (2.43)
Lorigine di questa denizione diventa evidente, se si applicano entrambi i membri a una
funzione di test, e se nellintegrale risultante a primo membro si esegue formalmente
il cambiamento di variabile x y = f(x). Un caso che incontreremo di frequente
corrisponde alla funzione f(x) = x
2
a
2
, con a = 0, per cui la (2.43) d`a,
(x
2
a
2
) =
1
2|a|
((x a) + (x + a)) . (2.44)
Se si considera, invece, la funzione f(x) = c (x a), con c un numero reale diverso da
zero, la (2.43) d`a,
(c (x a)) =
(x a)
| c|
.
Dalla denizione della convoluzione segue, inne, lidentit`a,
= ,
valida per ogni S.
38
Funzione di Dirac quadridimensionale. La distribuzione di Dirac si generalizza im-
mediatamente a uno spazio di dimensione arbitraria. Per denitezza, e in vista delluso
che ne faremo, di seguito presentiamo il caso quadridimensionale.
Dato un quadrivettore a

, la distribuzione di Dirac
a
, supportata in x

= a

, `e lele-
mento di S

(R
4
) denito da
a
() = (a), per ogni S(R
4
). Essa viene rappresentata
dallespressione simbolica,

4
(x a) = (x
0
a
0
)
3
(x a) = (x
0
a
0
)(x
1
a
1
)(x
2
a
2
)(x
3
a
3
), (2.45)
e si scrive,

a
() =
_

4
(x a) (x) d
4
x = (a).
Per le sue derivate si ottiene,
(

a
)() =
a
(

) =

(a),
che in notazione simbolica si scrive come,
_

4
(x a) (x) d
4
x =

(a).
Per ogni f O
M
si ha poi,
f(x)
4
(x a) = f(a)
4
(x a).
In questo caso da questa relazione, con laiuto della regola di Leibnitz, seguono le identit`a,
x

4
(x) = 0, x

4
(x) = 0, x


4
(x) =


4
(x).
Se C

`e una qualsiasi matrice 4 4 invertibile, si ha inoltre,

4
(C(x a)) =

4
(x a)
| det C|
. (2.46)
Distribuzioni con supporto in un punto. Terminiamo lelenco delle propriet`a della di
Dirac, enunciando un teorema che vincola fortemente la forma di una distribuzione che `e
diversa da zero solo in un insieme nito di punti, vale a dire, il cui supporto `e costituito
da un insieme nito di punti.
Teorema: Una distribuzione F S

(R
D
) il cui supporto `e costituito dal punto x

= a

,
39
`e necessariamente una combinazione lineare nita della
D
(x a), e delle sue derivate.
Avremo, cio`e,
F = c
D
(x a) + c

D
(x a) + + c

1
n

1

n

D
(x a), (2.47)
dove i c

k
sono coecienti costanti. Se il supporto di una distribuzione `e, invece,
costituito da N punti, essa `e data da una somma di N espressioni del tipo (2.47). 2
Come vedremo, questo teorema risulter`a molto utile nella soluzione di equazioni alge-
briche per distribuzioni.
Trasformata di Fourier di una distribuzione. La trasformata di Fourier costituisce una
biiezione di S in se stesso, e si estende naturalmente ad una biezione di S

in se stesso.
Indicheremo la trasformata di Fourier di un generico elemento S con , e analoga-
mente quella di un generico elemento F S

con

F. Nello spaziotempo di Minkowski
quadridimensionale, per una generica funzione di test si pone,
(k) =
1
(2)
2
_
d
4
xe
ikx
(x), (x) =
1
(2)
2
_
d
4
k e
ikx
(k),
dove abbiamo introdotto le quattro variabili duali k k

, e denito k x k

. Si
noti che, strettamente parlando, per quanto riguarda la variabile x la nostra denizione
corrisponde, in realt`a, allantitrasformata di Fourier. La trasformata di Fourier di una
distribuzione F `e allora denita da,

F() F( ), S.
Da questa denizione segue facilmente che in notazione simbolica si ha,

F(k) =
1
(2)
2
_
d
4
xe
ikx
F(x), F(x) =
1
(2)
2
_
d
4
k e
ikx

F(k).
Insistiamo sul fatto che questi integrali sono da intendersi come tali, solo se la distribuzione
F `e sucientemente regolare.
Per le derivate e la moltiplicazione per una coordinata si ha,

F(k) = i k


F(k),

x

F(k) = i

k

F(k),
con ovvie estensioni alla trasformata di Fourier di un generico polinomio in x e , applicato
a F. Ricordiamo, in particolare, le trasformate della
4
(x) e delle sue derivate,

4
(k) =
1
(2)
2
,

4
(k) =
ik

(2)
2
.
40
Trasformata della convoluzione. Riportiamo la formula per la trasformata di Fourier
della convoluzione F tra un elemento F di S

e un elemento di S, in uno spazio a


D dimensioni. In notazione simbolica si ha,

F (k) = (2)
D/2

F(k) (k).
2.3.3 Le equazioni di Maxwell nello spazio delle distribuzioni
Una volta assodato che le equazioni per il campo elettromagnetico (2.13), (2.14) devono
essere formulate nello spazio delle distribuzioni, `e opportuno riesaminarle brevemente in
questo nuovo ambito.
Conservazione e covarianza della quadricorrente. Come passo preliminare analizziamo
le propriet`a della quadricorrente di un sistema di particelle puntiformi, vedi (2.6),
j

(x) =

r
e
r
_
dy

r
d
r

4
(x y
r
(
r
)) d
r
, (2.48)
intesa ora come campo vettoriale a valori nelle distribuzioni. Con ci`o intendiamo che
ciascuna delle quattro componenti di j

`e una distribuzione. Presa una funzione di test


(x), lespressione simbolica (2.48) d`a, infatti, luogo ai funzionali lineari,
j

() =
_
j

(x)(x) d
4
x =

r
e
r
_
dy

r
d
r
(y
r
(
r
)) d
r
. (2.49)
La dimostrazione, che per ciascuno dei quattro valori di questa espressione denisce
eettivamente una distribuzione in S

(R
4
), `e lasciata per esercizio, vedi problema 2.13.
Dimostriamo dapprima che la corrente `e un quadrivettore. Per fare questo asse-
gniamo alle funzioni di test un carattere quadriscalare, ovvero, richiediamo che sotto la
trasformazione di Poincar`e x

= x + a, si abbia

(x

) = (x). Si tratta allora di


dimostrare che vale,
j

) =

(). (2.50)
Nel sistema trasformato la (2.49) diventa,
j

) =

r
e
r
_
dy

r
d
r

(y

r
(
r
)) d
r
.
Siccome si ha y

r
=

r
+ a

, dy

r
=

dy

r
,

(y

r
(
r
)) = (y
r
(
r
)), la (2.50) segue
immediatamente.
41
Dimostriamo ora che la corrente `e conservata nel senso delle distribuzioni, ovvero, che
per unarbitraria funzione di test vale (

)() = 0. Ricordando la denizione della


derivata di una distribuzione (2.41), e usando la (2.49) con la sostituzione

, si
ottiene,
(

)() = j

) =

r
e
r
_
dy

r
d
r

(y
r
(
r
)) d
r
=

r
e
r
_
d(y
r
(
r
))
d
r
d
r
=

r
e
r
_
(y
r
(+)) (y
r
())
_
= 0. (2.51)
La conclusione deriva dal fatto che per
r
, si ha y
0
r
, e che le funzioni di
test si annullano sia allinnito spaziale, che a quello temporale.
Per illustrare luso della di Dirac come funzione simbolica determiniamo lespres-
sione della quadricorrente in notazione tridimensionale, che ci servir`a in seguito. A questo
scopo esplicitiamo lintegrale resimo in (2.48), scegliendo come variabile di integrazione
la coordinata temporale della particella resima, ovvero, ponendo
r
= y
0
r
. Usando la
(2.45) risulta,
j

(x) =

r
e
r
_
r
dy

r
(y
0
r
)
dy
0
r

4
(xy
r
(y
0
r
)) dy
0
r
=

r
e
r
_
r
dy

r
(y
0
r
)
dy
0
r
(ty
0
r
)
3
(xy
r
(y
0
r
)) dy
0
r
.
A questo punto si pu`o eseguire lintegrale della (t y
0
r
) in dy
0
r
, considerando il resto
dellintegrando come una funzione di test, la quale va quindi valutata in y
0
r
= t. Si
ottiene,
j

(t, x) =

r
e
r
dy

r
(t)
dt

3
(x y
r
(t)),
dove `e sottinteso che y
0
r
(t) = t. Scrivendo separatamente le componenti temporale e
spaziali della quadricorrente, si ottengono rispettivamente la densit`a di carica e la densit`a
di corrente spaziale,
j
0
(t, x) =

r
e
r

3
(x y
r
(t)), (2.52)

j(t, x) =

r
e
r
v
r
(t)
3
(x y
r
(t)). (2.53)
Identit`a di Bianchi. Passiamo ora alla rianalisi dellidentit`a di Bianchi e dellequa-
zione di Maxwell. In base alle considerazioni svolte nellintroduzione alla sezione 2.3,
assumiamo, dunque, che il tensore di Maxwell F

sia un campo tensoriale a valori nelle


42
distribuzioni, e che le derivate

che compaiono nelle (2.13), (2.14) siano intese nel


senso delle distribuzioni.
Per quanto riguarda lidentit`a di Bianchi si presenta allora il problema, se lespres-
sione F

`e ancora soluzione della (2.13), ovverosia, se il calcolo formale


eseguito in (2.23) `e ancora valido. Se vogliamo dare senso a questa domanda dobbiamo,
innanzitutto, considerare anche A

come un campo vettoriale a valori nelle distribuzioni.


A questo punto la correttezza del calcolo eseguito in (2.23) indipendentemente dalla
presenza o assenza di singolarit`a in A

, purche di carattere distribuzionale `e garantita


dal semplice fatto che le derivate parziali nel senso delle distribuzioni commutano, ovvero,

.
Concludiamo che lespressione F

soddisfa lidentit`a di Bianchi anche nel


senso delle distribuzioni.
Come discuteremo nel capitolo 16, si pu`o dimostrare anche la propriet`a inversa, ovvero,
che in S

(R
4
) ogni soluzione dellidentit`a di Bianchi pu`o essere scritta nella forma (2.22),
con A

un opportuno campo vettoriale a valori nelle distribuzioni. Si dimostra inoltre


che, dati due potenziali A

e A

che danno luogo allo stesso F

, esiste sempre una


distribuzione scalare , tale che si abbia A

= A

. Si conferma, in denitiva, che


anche nel senso delle distribuzioni la soluzione generale dellidentit`a di Bianchi `e data
dalla (2.25).
Equazione di Maxwell. Dato che F

`e un campo a valori nelle distribuzioni, lequa-


zione di Maxwell (2.14) diventa ora unequazione dierenziale ben denita nello spazio
delle distribuzioni, grazie al fatto che anche la corrente (2.48) per costruzione `e un
campo vettoriale a valori nelle distribuzioni. Inoltre, siccome abbiamo vericato che in
S

vale

= 0, la consistenza dellequazione di Maxwell impone di nuovo il vincolo

= 0. Ma anche questo vincolo `e soddisfatto automaticamente in S

, visto che
le derivate parziali nel senso delle distribuzioni commutano. Inne, una volta risolta li-
dentit`a di Bianchi in termini di un potenziale vettore A

secondo la (2.25), lequazione di


Maxwell si riduce a unequazione dierenziale distribuzionale per A

.
In conclusione possiamo aermare che le equazioni dierenziali che governano la dina-
43
mica del campo elettromagnetico risultano perfettamente consisteni, se ambientate nello
spazio delle distribuzioni.
2.3.4 Il campo elettromagnetico della particella statica
La necessit`a di considerare le equazioni che governano la dinamica del campo elettroma-
gnetico nello spazio delle distribuzioni, emerge molto chiaramente dal semplice esempio
di una particella statica. Per questo motivo analizzeremo ora in dettaglio questo caso.
Ad una particella statica nellorigine corrisponde la linea di universo, y
0
(t) = t, y(t) =
0, e quindi v(t) = 0. Secondo le (2.52) e (2.53) le resta allora associata la quadricorrente,
j
0
(t, x) = e
3
(x),

j(t, x) = 0.
In questo caso sappiamo che il campo magnetico `e nullo,

B = 0,
e che il campo elettrico `e statico. Lequazione di Maxwell e lidentit`a di Bianchi si riducono
allora rispettivamente a,


E = e
3
(x),


E = 0, (2.54)
vedi (2.31)(2.34). Come `e noto, la soluzione di questo sistema di equazioni dovrebbe
essere data dal campo coulombiano,

E(t, x) =
e
4
x
r
3
, r = |x|, (2.55)
aermazione che ora rianalizzeremo criticamente.
Come analisi preliminare ci calcoliamo le derivate di

E nel senso delle funzioni. Dato
che
i
r = x
i
/r, per x = 0 si ottiene facilmente,

i
E
j
=
e
4r
3
_

ij
3
x
i
x
j
r
2
_
. (2.56)
Lidentit`a di Bianchi sarebbe quindi soddisfatta, in quanto
i
E
j

j
E
i
= 0, mentre
lequazione di Maxwell sarebbe violata, perche si otterrebbe
i
E
i
= 0 ! Lerrore sta,
evidentemente, nellavere considerato sia E
j
, che loperatore
i
, nello spazio delle funzioni.
44
Rianalizziamo, dunque, il problema nello spazio di distribuzioni S

(R
3
), appro-
priato per il caso statico. Come prima cosa dobbiamo domandarci se le componenti E
i
del campo elettrico (2.55) appartengono eettivamente ad S

. La risposta `e aermativa,
poiche

E ha una singolarit`a integrabile in x = 0, mentre allinnito `e limitato da una co-
stante, vedi problema 2.4. Le derivate
i
E
j
sono allora ben denite in S

, ma esse vanno
per lappunto calcolate nel senso delle distribuzioni, vale a dire applicando la (2.41).
Presentiamo prima i calcoli,
(
i
E
j
)() = E
j
(
i
) =
e
4
_
d
3
x
x
j
r
3

i
=
e
4
lim
0
_
r>
d
3
x
x
j
r
3

i

=
e
4
lim
0
_
r>
d
3
x
_

i
_
x
j
r
3

_

i
_
x
j
r
3
_

_
=
e
4
lim
0
__
r=
dn
i
n
j
+
_
r>
d
3
x
1
r
3
_

ij
3
x
i
x
j
r
2
_

_
=
e
3

ij
(0) +
e
4
_
d
3
x
1
r
3
_

ij
3
x
i
x
j
r
2
_
. (2.57)
Spieghiamo ora i vari passaggi. Lintegrando della prima riga appartiene a L
1
(R
3
), e cos`
possiamo eseguire lintegrale introducendo una successione invadente qualsiasi. Abbiamo
usato la successione invadente V

= R
3
\S

, dove S

`e la palla di raggio centrata nel-


lorigine. Siccome in V

lintegrando `e di classe C

, abbiamo poi potuto usare il calcolo


dierenziale standard. Nella seconda riga abbiamo cos` usato la regola di Leibnitz, e nella
terza il teorema di Gauss. Il bordo di V

`e costituito dalla sfera allinnito, che non d`a


contributo al usso perche svanisce allinnito pi` u rapidamente dellinverso di qualsiasi
potenza, e dalla sfera di raggio centrata nellorigine. Per valutare lintegrale su questa
sfera abbiamo usato coordinate polari x (r, ), con = (, ) e d sendd, e
introdotto il versore radiale uscente n
i
= x
i
/r = x
i
/. Lelemento di supercie diventa
allora d
i
= n
i

2
d. Inne abbiamo ultilizzato lintegrale sugli angoli, vedi problema 2.6,
_
dn
i
n
j
=
4
3

ij
.
Riscrivendo la (2.57) in notazione simbolica, otteniamo in denitiva per le derivate di

E
45
nel senso delle distribuzioni,

i
E
j
=
e
3

ij

3
(x) +
e
4r
3
_

ij
3
x
i
x
j
r
2
_
. (2.58)
Confrontando con la (2.56) si vede che il calcolo naiv `e valido per x = 0, ma non `e
capace di rivelare la presenza del termine supportato in x = 0, dove il campo elettrico `e
infatti singolare
3
. Come si vede, lespressione (2.58) soddisfa ora entrambe le equazioni
in (2.54), la prima essendo, in particolare, equivalente allidentit`a in S

x
r
3
= 4
3
(x). (2.59)
Inne possiamo rileggere i nostri risultati in termini del potenziale coulombiano A
0
.
La soluzione generale dellidentit`a di Bianchi


E = 0 `e, infatti, data da,

E =

A
0
.
Data la (2.55) si verica facilmente che questa relazione `e soddisfatta anche nel senso
delle distribuzioni (esercizio) se si sceglie il potenziale,
A
0
=
e
4r
, (2.60)
appartenente anchesso ad S

. Lanalisi svolta sopra implica allora la validit`a dellequa-


zione di Poisson


E =
2
A
0
= e
3
(x), dalla quale segue la nota identit`a,

2
1
r
= 4
3
(x). (2.61)
Lequazione di Lorentz. Una volta risolte lequazione di Maxwell e lidentit`a di Bian-
chi, arontiamo la soluzione dellequazione di Lorentz, le cui componenti indipendenti
sono date in (2.21). Siccome abbiamo v = p = 0, il membro di sinistra di questa equa-
zione `e identicamente nullo. Daltra parte, dato che y(t) = 0, il membro di destra della
(2.21) si ridurrebbe a e

E(t,

0), espressione che data la (2.55) diverge: come anticipato,


la forza esercitata dal campo elettromagnetico generato dalla particella, sulla particella
stessa, `e divergente, e lequazione di Lorentz `e inconsistente. A dire il vero, nel caso
3
Si noti che il secondo e il terzo termine al membro di destra della (2.58), che per r 0 divergono
entrambi come 1/r
3
, presi separatamente non costituiscono aatto distribuzioni.
`
E solo la loro particolare
combinazione lineare che compare in (2.58), con coeciente relativo 3, ad essere un elemento di S

.
46
statico qu` considerato esiste una ben nota soluzione pragmatica del problema: in accor-
do con lesperienza si usa porre la quantit`a, mal denita,

E(t,

0) uguale a zero, poiche


sperimentalmente si osserva che una particella statica non subisce nessuna forza.
Vedremo, tuttavia, che nel caso generale di una particella in moto vario, questa sem-
plice ricetta fatta a mano non risulta implementabile, perche violerebbe la conservazione
del quadrimomento totale.
Lenergia innita del campo elettromagnetico. Concludiamo lanalisi della particella
statica con un ulteriore commento, anticipando lespressione per la densit`a di energia
del campo elettromagnetico, vedi paragrafo 2.4.3,

em
=
1
2
(E
2
+ B
2
).
Vista la (2.55), e dato che

B = 0, lenergia totale del campo elettromagnetico di una
particella statica risulterebbe quindi,

em
=
_

em
d
3
x =
_
e
4
_
2
_
d
3
x
r
4
,
che corrisponde a una costante divergente, per via del comportamento singolare del-
lintegrando per r 0. Daltra parte, nel caso sotto esame lenergia della particella `e
conservata banalmente, essendo =
m

1 v
2
= m, e allora se si deve conservare lener-
gia totale anche lenergia
em
del campo elettromagnetico dovrebbe essere una costante,
nita. Nel capitolo 15 vedremo che nel caso statico lunico valore di
em
compatibile con
linvarianza relativistica `e
em
= 0. Tuttavia, vedremo anche che nel caso di una particella
in moto vario, questa semplice ricetta violerebbe sia la conservazione del quadrimomento
totale, sia linvarianza relativistica.
`
E abbastanza evidente che anche il problema dellenergia innita del campo elettro-
magnetico, cos` come quello dellautointerazione innita della particella carica, scaturisce
dalla natura puntiforme delle particelle elementari: mentre il secondo problema, in ultima
analisi, `e tuttora irrisolto, vedi capitolo 14, il primo ha trovato una soluzione denitiva
anche se solo di recente nellambito della teoria delle distribuzioni
4
. La presenteremo
in una forma alternativa, sicamente pi` u trasparente, nel capitolo 15.
4
E.G.P. Rowe, Phys. Rev. D 18 3639 (1978).
47
Singolarit`a del campo elettrico e della distribuzione di carica. Per illustrare il nesso esi-
stente tra le singolarit`a del campo elettrostatico e quelle della distribuzione di carica,
riportiamo i seguenti esempi noti.
1) Particella puntiforme:

E =
e
4
x
|x|
3
, j
0
= e (x)(y)(z).
2) Distribuzione lineare di carica:

E =

2
(x, y, 0)
x
2
+ y
2
, j
0
= (x)(y).
3) Distribuzione piana di carica:

E =

2
(x, 0, 0)
|x|
, j
0
= (x).
Si vede che una distribuzione di carica pi` u regolare al nito, comporta un andamento
meno singolare del campo nelle vicinanze delle cariche, mentre una distribuzione di carica
pi` u estesa, comporta un andamento pi` u violento del campo allinnito. Si noti come in
tutti e tre i casi siano soddisfatte le equazioni distribuzionali


E = j
0
,


E = 0, la
dimostrazione essendo lasciata per esercizio.
2.4 Le costanti del moto dellElettrodinamica
Come noto, tra le leggi della natura un ruolo particolare spetta alle leggi di conservazione.
In ambito sico tali leggi asseriscono che durante levoluzione temporale di un sistema
certe grandezze osservabili, chiamate costanti del moto, non variano, esempi essendo
lenergia e il momento angolare totali in un sistema isolato. Per di pi` u, in sica esiste un
legame molto stretto tra le leggi di conservazione e le simmetrie continue di un sistema,
legame che viene concretizzato dal teorema di Nother. Limportanza concettuale di questo
teorema che, oltre a stabilire lesistenza di costanti del moto ne fornisce anche la forma
esplicita, risiede nella sua generalit`a: esso `e valido in qualsiasi teoria, le cui equazioni del
moto possano essere dedotte da un principio variazionale prototipo di una tale teoria
essendo proprio lElettrodinamica.
48
In questa sezione individueremo le principali costanti del moto dellElettrodinamica
in modo euristico senza ricorrere a tale teorema utilizzando, invece, nozioni di elet-
tromagnetismo di base. Questa strada alternativa risulta percorribile, poiche le equazioni
del moto dellElettrodinamica sono relativamente semplici. La verica, che le costanti del
moto cos` ottenute combaciano perfettamente con quelle previste dal teorema di Nother,
verr`a poi eseguita nel capitolo 4.
2.4.1 Conservazione e invarianza della carica elettrica
Come prototipo di una legge di conservazione locale, che sia, cio`e, basata su unequazio-
ne di continuit`a per unopportuna quadricorrente j

, consideriamo la conservazione della


carica elettrica. Se la materia carica `e costituita da particelle puntiformi, la corrente `e
data dalla (2.6); se la carica `e, invece, distribuita con continuit`a come in un sistema
macroscopico la corrente avr`a una forma generica. Per quello che segue la forma parti-
colare della corrente sar`a irrilevante, in quanto assumeremo soltanto che essa goda delle
seguenti propriet`a:
I) j

`e un campo vettoriale.
II) j

soddisfa lequazione di continuit`a,

= 0.
III) lim
|x|
|x|
3
j

(t, x) = 0. Richiediamo, cio`e, che per ogni t ssato la corrente deca-


da allinnito spaziale pi` u rapidamente di 1/|x|
3
, propriet`a certamente posseduta dalle
(2.52), (2.53). Assumendo che j

soddis queste tre richieste, vogliamo ora dimostrare


che esiste una carica totale Q conservata, e che essa `e uno scalare sotto trasformazioni di
Lorentz.
La costruzione della carica Q segue una procedura standard, che consiste nellintegrare
lequazione di continuit`a su un volume V ,

0
_
V
j
0
d
3
x =
_
V

j d
3
x.
Applicando il teorema di Gauss e denendo la carica contenuta in un volume V come
Q
V
=
_
V
j
0
d
3
x, si ottiene cos` lequazione di conservazione locale,
dQ
V
dt
=
_
V

j d

. (2.62)
La derivata della carica contenuta nel volume V eguaglia, dunque, lopposto del usso
49
della corrente spaziale attraverso il bordo di V . Se estendiamo ora il volume a tutto R
3
,
per la propriet`a III) converge lintegrale della densit`a j
0
su tutto lo spazio, mentre va a
zero il usso della corrente spaziale allinnito
5
. Si ottiene quindi la carica conservata,
Q =
_
j
0
d
3
x,
dQ
dt
= 0. (2.63)
Che la carica totale sia un invariante di Lorentz propriet`a certamente non posseduta
dalla carica in un volume nito Q
V
`e un po meno ovvio. Per dimostrarlo valutiamo la
carica totale, che `e indipendente dal tempo, allistante t = 0 riscrivendola come segue,
Q =
_
j
0
(0, x) d
3
x =
_
j
0
(x) (t) d
4
x =
_
j
0
(x)
0
H(t) d
4
x =
_
j

(x)

H(t) d
4
x.
(2.64)
Abbiamo introdotto la funzione di Heaviside H(t), nulla per t < 0 e uguale a 1 per t 0,
legata alla di Dirac dalla nota relazione,
dH(t)
dt
= (t).
Consideriamo ora la carica totale Q

in un altro sistema di riferimento, legato al primo da


una trasformazione di Lorentz propria x

,
0
0
1. Con lo stesso procedimento
di cui sopra troviamo,
Q

=
_
j

(x

H(t

) d
4
x

.
Sfruttando le trasformazioni di Lorentz,
j

(x

) =

(x),

,
d
4
x

= |det| d
4
x = d
4
x,
si ottiene allora,
Q

=
_
j

(x)

H(t

) d
4
x,
dove,
t

=
0
0
t +
0
i
x
i
. (2.65)
5
Se V si estende a tutto lo spazio possiamo scegliere per V una sfera di raggio R, e mandare R
allinnito. Conviene passare a coordinate polari. Ponendo d

= nR
2
d, dove n e il versore normale
alla sfera, e langolo solido, otteniamo
_
V

j d

=
_
dn (lim
R
R
2

j). Ma per la propriet`a III) il


limite tra parentesi `e zero.
50
Valutiamo, inne, la dierenza,
Q

Q =
_
j

(x)

(H(t

) H(t)) d
4
x =
_

[j

(x) (H(t

) H(t))] d
4
x, (2.66)
dove nellultimo passaggio abbiamo sfruttato lequazione di continuit`a. Dividiamo ora
la quadridivergenza in parte spaziale e parte temporale, applicando alla prima il teore-
ma di Gauss tridimensionale, e alla seconda il teorema fondamentale del calcolo in t.
Supponendo di poter scambiare gli ordini di integrazione si ottiene,
Q

Q =
_
dt
_

(H(t

) H(t))

j(x) d

+
_
d
3
xj
0
(x)(H(t

) H(t))|
t=+
t=
.
Nel primo termine

`e una supercie sferica posta allinnito spaziale, sulla quale



j si
annulla pi` u rapidamente di 1/|x|
3
; lintegrale del usso `e quindi zero. Nel secondo termine
dobbiamo valutare la dierenza H(t

) H(t) nei limiti t , per x ssato. Grazie


al fatto che
0
0
1, dalla (2.65) si vede che per t + anche t

+, ed entrambe
le funzioni di Heaviside vanno a 1, mentre per t anche t

, ed entrambe le
funzioni di Heaviside vanno a zero. Anche il secondo integrale `e quindi zero e otteniamo,
Q

= Q.
2.4.2 Tensore energiaimpulso e conservazione del quadrimomento
Nel paragrafo 2.4.3 illustreremo come la conservazione dellenergia e della quantit`a di
moto cardine di qualsiasi teoria sica fondamentale viene realizzata nellambito del-
lElettrodinamica come conseguenza delle equazioni (2.12)(2.14). Prima di considerare
il caso particolare dellElettrodinamica, nel presente paragrafo impostiamo il problema in
una teoria relativistica generica.
In una teoria relativistica lenergia costituisce la quarta componente di un quadrivetto-
re, appunto del quadrimomento. Siccome una trasformazione di Lorentz mescola energia
e quantit`a di moto, ci si aspetta che la conservazione della prima non possa avvenire senza
la contemporanea conservazione della seconda. Stiamo quindi cercando quattro costan-
ti del moto, raggruppate nel quadrimomento P

, la cui componente temporale P


0
=
rappresenti lenergia totale del sistema.
In analogia con la carica elettrica ci aspettiamo anche per il quadrimomento leggi di
conservazione locali, ovvero, ci aspettiamo che a ciascuna delle quattro componenti del
51
quadrimomento P

sia associata una corrente conservata.


`
E uso indicare queste quattro
correnti con,
j
()
(x) T

(x), (2.67)
grandezza che viene chiamata tensore energiaimpulso.
Postuliamo, dunque, che in una teoria relativistica la conservazione del quadrimomen-
to sia conseguenza dellesistenza di un tensore energiaimpulso, che gode delle seguenti
propriet`a:
I) T

`e un campo tensoriale.
II) T

soddisfa lequazione di continuit`a,

= 0.
III) lim
|x|
|x|
3
T

(t, x) = 0.
La propriet`a I) assicura, in particolare, la covarianza dellequazione di continuit`a II), ov-
vero, se essa `e soddisfatta in un sistema di riferimento, `e soddisfatta in qualsiasi sistema
di riferimento.
Procediamo ora come nel caso della corrente elettrica, per dedurre lesistenza di
quantit`a conservate. Integrando lequazione di continuit`a su un volume nito otteniamo,

0
_
V
T
0
d
3
x =
_
V

i
T
i
d
3
x. (2.68)
In base allidenticazione (2.67), le componenti T
0
corrispondono alla densit`a di quadri-
momento, e il quadrimomento contenuto in un volume V `e pertanto dato da,
P

V
=
_
V
T
0
d
3
x. (2.69)
La (2.68) ci dice allora che le quantit`a T
i
sono da interpretarsi come densit`a di corrente
di quadrimomento. Infatti, applicando il teorema di Gauss si ottiene lequazione del
usso,
dP

V
dt
=
_
V
T
i
d
i
. (2.70)
Scriviamo in particolare le componenti = 0 delle (2.69), (2.70), che riguardano lenergia

V
P
0
V
contenuta nel volume V ,

V
=
_
V
T
00
d
3
x,
d
V
dt
=
_
V
T
i0
d
i
.
Si vede che, mentre T
00
rappresenta la densit`a di energia, il vettore tridimensionale T
i0
rappresenta il usso di energia, entrambe quantit`a che in seguito giocheranno un ruolo
52
importante. Interpretazioni analoghe valgono per le componenti T
j
, che riguardano la
quantit`a di moto. T
0j
rappresenta la densit`a di quantit`a di moto, mentre il tensore
tridimensionale T
ij
rappresenta il usso di quantit`a di moto, e viene anche chiamato
tensore degli sforzi di Maxwell.
Se, inne, nella (2.70) estendiamo il volume a tutto lo spazio, grazie alla propriet`a III)
concludiamo che il quadrimomento totale `e conservato,
P

=
_
T
0
d
3
x,
dP

dt
= 0. (2.71)
Come nel caso della carica elettrica facciamo notare che il quadrimomento P

V
contenuto
nel volume nito V , in generale dipende dal tempo, e non ha propriet`a ben denite
sotto trasformazioni di Lorentz. Al contrario, il quadrimomento totale P

costituisce
eettivamente un quadrivettore. La dimostrazione si basa sulle propriet`a I)III), e segue
da vicino quella dellinvarianza della carica elettrica del paragrafo precedente. Eseguendo
sulla (2.71) le stesse operazioni che hanno portato alla (2.64), si ottiene facilmente,
P

=
_
T

(x)

H(t) d
4
x, P

=
_
T

(x

H(t

) d
4
x

.
Considerando che i tensori energiaimpulso nei due riferimenti sono legati dalla relazione,
T

(x

) =

(x),
segue che,
P

_
T

(x)

H(t

) d
4
x.
Possiamo allora valutare la dierenza,
P

_
T

(x)

(H(t

)H(t)) d
4
x =

_
T

(x)(H(t

) H(t))

d
4
x,
dove nellultimo passaggio abbiamo sfruttato lequazione di continuit`a. Lintegrale otte-
nuto `e della stessa forma dellintegrale (nullo) in (2.66), e quindi anchesso svanisce. Vale
dunque,
P

,
come volevamo dimostrare.
53
2.4.3 Il tensore energiaimpulso dellElettrodinamica
In questo paragrafo diamo una dimostrazione costruttiva dellesistenza di un tensore
energiaimpulso con le propriet`a postulate nel paragrafo precedente, per lElettrodina-
mica classica. Deriveremo dapprima, in modo euristico, la forma della densit`a di energia
T
00
, dopodich`e useremo linvarianza di Lorentz per ricostruire lintero tensore.
Iniziamo ricordando la nota formula per la densit`a di energia del campo elettroma-
gnetico,
T
00
em
=
1
2
(E
2
+ B
2
). (2.72)
Chiaramente lenergia totale conservata non potr`a essere data solo dallintegrale di T
00
em
,
perche sappiamo che il campo elettromagnetico scambia energia con le particelle cariche.
Per quanticare questo scambio ci calcoliamo la derivata temporale di T
00
em
, usando le
equazioni di Maxwell nella forma (2.31)(2.34),
T
00
em
t
=

E

E
t
+

B

B
t
=

E
_

j
_


E
=

j

E

E

B
_
.
Integriamo ora questa relazione su tutto lo spazio. Applicando allultimo termine il teore-
ma di Gauss, e assumendo che

E e

B decrescano allinnito spaziale abbastanza rapida-
mente, vediamo che esso non d`a contributo. Ricordando la forma della corrente spaziale
(2.53), possiamo allora scrivere,
d
dt
_
T
00
em
d
3
x =
_

E

j d
3
x =

r
e
r
v
r

_

E(t, x)
3
(x y
r
(t)) d
3
x (2.73)
=

r
e
r
v
r


E(t, y
r
(t)) =
d
dt
_

r
_
, (2.74)
dove nellultimo passaggio abbiamo usato la legge della potenza (2.20), con
r
= m
r
/
_
1 v
2
r
.
La relazione che abbiamo ottenuto ci dice che si conserva lenergia totale del sistema, nella
forma,
=
_
T
00
em
d
3
x +

r
=
_
_
1
2
(E
2
+ B
2
) +

r

3
(x y
r
(t))
_
d
3
x.
54
Da questa formula possiamo dedurre lespressione della densit`a totale di energia,
T
00
=
1
2
(E
2
+ B
2
) +

r

3
(x y
r
(t)).
Viene allora naturale assumere che il tensore energiaimpulso totale possa essere scritto
come somma di due contributi, uno che rappresenta i campi e laltro che rappresenta le
particelle,
T

= T

em
+ T

p
, (2.75)
con le condizioni,
T
00
em
=
1
2
(E
2
+ B
2
), T
00
p
=

r

3
(x y
r
(t)). (2.76)
Con queste posizioni cerchiamo ora di determinare i due tensori separatamente, sfruttan-
do il fatto che sotto trasformazioni di Lorentz entrambi si devono trasformare in modo
covariante.
Cominciamo con il contributo del campo elettromagnetico. Siccome T
00
em
`e bilineare in

E e

B che sono le componenti del tensore F

e siccome le trasformazioni di Lorentz


sono lineari, segue che tutte le componenti di T

em
devono essere bilineari in F

. La
covarianza di Lorentz impone allora la seguente struttura generale, dove a, b e c sono per
il momento costanti arbitrarie
6
,
T

em
= a F

+ b

+ c F

. (2.77)
Lultimo termine `e identicamente nullo, grazie allantisimmetria di F

. Per determinare
le costanti a e b calcoliamo T
00
em
dalla (2.77), e confrontiamo il risultato con la (2.76),
T
00
em
= aF
0

F
0
+ b
00
2(B
2
E
2
)
= aF
0
i
F
i0
+ 2b (B
2
E
2
) = (a 2b)E
2
+ 2bB
2
.
Il confronto d`a a = 1, b = 1/4, e quindi,
T

em
= F

+
1
4

. (2.78)
6
A priori in T

em
potrebbero essere presenti anche termini che coinvolgono il tensore di LeviCivita,
come per esempio

. Tuttavia, questi contributi renderebbero T

em
uno pseudotensore. In
particolare, per parit`a, ovverosia per x x,

E

E,

B

B, la componente T
00
em
corrispondente a
questi contributi cambierebbe di segno, in contraddizione con la (2.72), che `e invece invariante per parit`a.
55
Per determinare T

p
riscriviamo la componente T
00
p
in (2.76) nel modo seguente,
T
00
p
=

r
_

r

4
(x y
r
) dy
0
r
=

r
_

r
u
0
r

4
(x y
r
) ds
r
=

r
m
r
_
u
0
r
u
0
r

4
(x y
r
) ds
r
.
Questa forma suggerisce di porre,
T

p
=

r
m
r
_
u

r
u

4
(x y
r
) ds
r
, (2.79)
che `e un tensore per trasformazioni di Lorentz, e riproduce la corretta componente 00.
`
E
sottinteso che lintegrale curvilineo `e esteso allintera linea di universo di ciascuna parti-
cella, come nella denizione della quadricorrente. Integrando nuovamente la temporale,
possiamo riscrivere questo tensore in modo non manifestamente covariante, in una forma
che sar`a utile nel prossimo paragrafo,
T

p
=

r
p

r
p

3
(x y
r
(t)). (2.80)
Facciamo notare che i tensori dati in (2.78) e (2.79) sono simmetrici in e , e quindi lo
`e anche il tensore energiaimpulso totale,
T

= T

.
Per il momento questa propriet`a sembra accidentale, essa giocher`a, tuttavia, un ruolo
importante in seguito.
Lequazione di continuit`a per T

. Le formula per T

p
e T

em
appena trovate sono state
dedotto in modo euristico, ma la loro giusticazione denitiva discende dal fatto che si
pu`o dimostrare che il tensore energiaimpulso totale T

`e conservato se,
a) F

soddisfa lidentit`a di Bianchi e lequazione di Maxwell,


b) le coordinate delle particelle soddisfano lequazione di Lorentz.
Per dimostrarlo calcoliamo la quadridivergenza dei due tensori separatamente, comincian-
do dal tensore elettromagnetico,

em
=

+ F

+
1
2
F

= F

+
1
2
F

_
+
1
2
F

= F

+
1
2
F

_
=

r
e
r
_
F

(y
r
)u
r

4
(x y
r
) ds
r
. (2.81)
56
Abbiamo usato lequazione di Maxwell, lidentit`a di Bianchi nella forma (2.29), e la
denizione della quadricorrente.
Per calcolare la quadridivergenza del tensore energiaimpulso delle particelle, si ese-
guono gli stessi passaggi del calcolo della quadridivergenza della corrente elettrica
7
, vedi
(2.51),

p
=

r
_
p

r
u

4
(x y
r
) ds
r
=

r
_
p

r
d
ds
r

4
(x y
r
) ds
r
=

r
_
dp

r
ds
r

4
(x y
r
) ds
r

r
p

r

4
(x y
r
)

sr=+
sr=
=

r
_
dp

r
ds
r

4
(x y
r
) ds
r
. (2.82)
Sommando questo risultato alla (2.81) si ottiene,

r
_ _
dp

r
ds
r
e
r
F

(y
r
)u
r
_

4
(x y
r
) ds
r
= 0, (2.83)
in virt` u dellequazione di Lorentz.
Concludiamo che le formule (2.75), (2.78) e (2.79) individuano un tensore energia
impulso che soddisfa le propriet`a I) e II) del paragrafo precedente. Sotto ipotesi molto
generali si pu`o, inoltre, fare vedere che esso soddisfa anche la propriet`a III) sul suo anda-
mento asintotico. Il contributo T

p
soddisfa questa propriet`a in modo ovvio. Per quanto
riguarda, invece, il tensore T

em
vedremo che esso la soddisfa, per esempio, se laccelerazio-
ne delle particelle cariche svanisce per t con suciente rapidit`a, in particolare se
le particelle sono accelerate solo per un intervallo temporale nito. Nel capitolo 6 faremo,
infatti, vedere che in questo caso il campo elettromagnetico ha landamento asintotico
tipico di un campo coulombiano,
F

1
|x|
2
, per |x| .
Siccome T

em
`e quadratico in F

, ne segue che asintoticamente,


T

em

1
|x|
4
,
7
Per non appesantire la notazione, in questo calcolo usiamo per le distribuzioni la notazione simbolica.
Per rendersi conto che i passaggi eseguiti sono corretti, `e suciente applicare i risultati intermedi a una
funzione di test S(R
4
).
57
e quindi per |x| si ha che |x|
3
T

em
0.
Prima di procedere osserviamo che nella dimostrazione dellequazione di continuit`a
appena svolta abbiamo evidentemente sottointeso lidenticazione dei due tipi di carica,
discussi alla ne del paragrafo 2.2.3, vale a dire, abbiamo posto e
r
= e

r
. Ricordiamo che
le {e

r
} sono le cariche che compaiono a priori nella corrente, e che le {e
r
} sono quelle
che compaiono nelle equazioni di Lorentz.
`
E facile ripetere gli passaggi di cui sopra senza
usare questa identicazione, e si vede immediatamente che al posto di

= 0, vedi
(2.83), si otterrebbe,

r
(e
r
e

r
)
_
F

(y
r
)
4
(x y
r
) dy
r
. (2.84)
Lequazione di continuit`a `e quindi violata, a meno che non si abbia e
r
= e

r
. Lidentica-
zione dei due tipi di carica viene quindi imposta dalla conservazione del quadrimomento
totale del sistema, come anticipato nel paragrafo 2.2.3.
Il signicato delle componenti di T

. Analizziamo ora brevemente il signicato del-


le singole componenti di T

, cominciando di nuovo con il contributo elettromagnetico.


Calcoli elementari danno,
T
00
em
=
1
2
(E
2
+ B
2
), (2.85)
T
i0
em
= T
0i
em
= (

E

B)
i
, (2.86)
T
ij
em
=
1
2
(E
2
+ B
2
)
ij
E
i
E
j
B
i
B
j
. (2.87)
Riotteniamo ovviamente la densit`a di energia T
00
em
, dalla quale eravamo partiti. Nelle com-
ponenti miste riconosciamo poi il vettore di Poynting S
i
che, come sappiamo, rappresenta
eettivamente il usso di energia del campo elettromagnetico,
T
i0
em
= S
i
,

S =

E

B. (2.88)
Vediamo, inoltre, che il vettore di Poynting eguaglia anche la densit`a di quantit`a di
moto T
0i
em
. Le componenti T
ij
em
, invece, formano un tensore tridimensionale simmetrico, il
tensore degli sforzi di Maxwell, che rappresenta il usso della quantit`a di moto. Inne
osserviamo che il tensore energiaimpulso elettromagnetico `e a traccia nulla,
T

em
= T

em

= 0.
58
Passando al tensore energiaimpulso delle particelle, dalla (2.80) si vede che la densit`a
di quadrimomento ha la forma aspettata,
T
0
p
=

r
p

r

3
(x y
r
(t)). (2.89)
Infatti, il quadrimomento totale delle particelle che a un istante considerato si trovano
allinterno di un volume V , `e dato da,
_
V
T
0
p
d
3
x =

r
p

r
_
V

3
(x y
r
(t)) d
3
x =

rV
p

r
,
dove la somma si estende a tutte le particelle contenute in V .
Concludiamo questo paragrafo, riprendendo il bilancio del quadrimomento riferito a
un volume V . Secondo la (2.70), il quadrimomento che abbandona nellunit`a di tempo il
volume V e dato da,
dP

V
dt
=
_
V
T
i
d
i
.
Lintgrale a secondo membro `e un integrale di supercie e riceve contributi a priori
sia da T
i
em
che da T
i
p
. Ma siccome le particelle allistante considerato stanno o allinterno
o allesterno della supercie, il termine T
i
p
non contribuisce, e si ottiene,
dP

V
dt
=
_
V
T
i
em
d
i
. (2.90)
In altre parole, la variazione del quadrimomento totale contenuto in V , che risulta dalla
somma del quadrimomento delle particelle e di quello del campo elettromagnetico, `e cau-
sata dal solo usso elettromagnetico. In particolare, per lenergia irradiata nellunit`a
di tempo dal volume V , otteniamo,
d
V
dt
=
_
V
T
i0
em
d
i
=
_
V

S d

. (2.91)
Questa importante relazione sar`a la formula cardine per lanalisi energetica di tutti i
fenomeni di irraggiamento.
2.4.4 Conservazione del momento angolare quadridimensionale
In questo paragrafo stabiliamo la legge di conservazione del momento angolare quadri-
dimensionale, nellambito di una generica teoria relativistica. In particolare daremo
59
una dimostrazione costruttiva dellesistenza di un momento angolare quadridimensiona-
le conservato, valida in qualsiasi teoria in cui esiste un tensore energiaimpulso con-
servato e simmetrico. Esemplicheremo poi la ricetta cos` ottenuta nel caso specico
dellElettrodinamica.
Sappiamo che in un sistema isolato di particelle neutre non relativistiche, oltre alle-
nergia e alla quantit`a di moto si conserva anche il momento angolare tridimensionale,
L
i
=

r
(y
r
p
r
)
i
=
ijk

r
y
j
r
p
k
r
, (2.92)
dove p
r
= m
r
v
r
`e la quantit`a di moto non relativistica della particella resima. In una teo-
ria relativistica ci si aspetta che questa legge di conservazione vettoriale, opportunamente
generalizzata, acquisisca carattere covariante quadridimensionale. Tuttavia, il tentativo
pi` u naturale di estendere il momento angolare a un quadrivettore fallisce, poiche il prodot-
to esterno non ammette nessuna estensione quadrivettoriale. Possiamo, per`o, sfruttare il
fatto che in tre dimensioni ogni vettore `e equivalente a un tensore doppio antisimmetrico,
L
ij

ijk
L
k
=

r
_
y
i
r
p
j
r
y
j
r
p
i
r
_
. (2.93)
In quanto tensore antisimmetrico questa espressione ammette ora unestensione naturale,
in termini del quadritensore antisimmetrico di rango due,
L

p
=

r
_
y

r
p

r
y

r
p

r
_
, L

p
= L

p
, (2.94)
in cui p

r
indica il quadrimomento relativistico della particella resima, e la sua linea di
universo y

r
`e parametrizzata con il tempo. Per di pi` u, `e immediato vericare che per un
sistema di particelle neutre, per cui dp

r
/dt = 0, le quantit`a (2.94) risultano eettivamente
conservate,
dL

p
dt
=

r
_
dy

r
dt
p

r

dy

r
dt
p

r
_
= 0,
poiche,
dy

r
dt
=
u

r
u
0
r
=
p

r
.
Propriet`a generali di M

e L

. Dallesempio appena svolto siamo portati a conclu-


dere che il momento angolare quadridimensionale di un generico sistema relativistico, sia
rappresentato da un tensore antisimmetrico L

, che rappresenta, pertanto, sei quantit`a


60
conservate. Come per la carica elettrica e il quadrimomento, assumiamo anche in questo
caso leggi di conservazione locali. Ipotizziamo, cio`e, lesistenza di un tensore densit`a di
corrente di momento angolare di rango tre, M

, con le propriet`a,
I) M

= M

.
II)

= 0.
Queste due richieste sono naturalmente soddisfatte, se postuliamo per la corrente del
momento angolare la seguente denizione in termini del tensore energiaimpulso,
M

= x

. (2.95)
Questa scelta `e motivata, in particolare, dal fatto che, come vedremo tra poco, per il caso
di un sistema di particelle neutre, essa restituisce la (2.94). Notiamo, comunque, che la
propriet`a I) `e valida per costruzione. Per vericare la II) calcoliamo,

+ x

= T

,
dove abbiamo sfruttato lequazione di continuit`a del tensore energiaimpulso. Vediamo
ora che, se questultimo `e anche simmetrico
8
,
T

= T

,
come nel caso dellElettrodinamica, vedi (2.75), allora segue in eetti lequazione di
continuit`a,

= 0.
In questo caso, seguendo il procedimento standard e assumendo opportuni andamenti
asintotici dei campi allinnito, si deduce lesistenza delle sei quantit`a conservate,
L

=
_
M
0
d
3
x =
_
(x

T
0
x

T
0
) d
3
x, L

= L

. (2.96)
Con i consueti passaggi si dimostra, inne, che sotto trasformazioni di Lorentz, L

si
comporta come un tensore di rango due.
Per concludere facciamo vedere, come anticipato sopra, che per un sistema di particelle
neutre la (2.96) si riduce alla (2.94). In questo caso il tensore energiaimpulso `e T

p
, vedi
8
Come faremo vedere nel capitolo 3, in tutte le teorie relativistiche fondamentali, ovvero, quelle basate
su un principio variazionale, esiste un tensore energiaimpulso simmetrico.
61
(2.79), le cui componente T
0
p
sono state valutate nella (2.89). Inserendo queste ultime
nella (2.96) si ottiene,
L

=
_
_
x

r
p

r

3
(x y
r
(t)) x

r
p

r

3
(x y
r
(t))
_
d
3
x
=

r
___
x

3
(x y
r
(t)) d
3
x
_
p

r

__
x

3
(x y
r
(t)) d
3
x
_
p

r
_
=

r
_
y

r
p

r
y

r
p

r
_
, c.v.d.
In realt`a, i campi M

si comportano come campi tensoriali solo sotto trasforma-


zioni di Lorentz, mentre sotto le traslazioni x

= x

+a

, essi trasformano in modo


anomalo,
M

(x

) = M

(x) + a

(x) a

(x).
Ricordiamo, per lappunto, che sotto traslazioni un tensore non dovrebbe cambiare.
Similmente le quantit`a conservate (2.96) trasformano secondo, vedi (2.71),
L

= L

+ a

. (2.97)
Questa anomalia si spiega facilmente, osservando che la densit`a di momento angolare
(2.95) `e stata calcolata prendendo come polo implicitamente lorigine O, con coordinate
x

O
= (0, 0, 0, 0). Per un polo generico la (2.95) deve essere sostituita da,
M

O
= (x

O
)T

(x

O
)T

,
espressione che risulta ora invariante per traslazioni, e preserva ancora le propriet`a I) e
II) di cui sopra. A posteriori la (2.97) pu`o essere interpretata come la versione relativi-
stica della nota regola di cambiamento del momento angolare non relativistico, per un
cambiamento del polo x

O
x

O
= x

O
a

.
Le componenti L
ij
. Determiniamo ora la forma esplicita delle costanti del moto L

,
nel caso dellElettrodinamica. Analizziamo separatamente le componenti L
ij
, o meglio,
il vettore L
i
=
1
2

ijk
L
jk
che corrisponde al momento angolare spaziale, e le tre nuove
costanti del moto L
0i
, che vengono chiamate boost. Per il momento angolare spaziale le
(2.96), (2.88) e (2.89) danno,
L
i
=
1
2

ijk
L
jk
=
ijk
_
x
j
T
0k
d
3
x =
ijk
_
x
j
_
S
k
+

r
p
k
r

3
(x y
r
)
_
d
3
x,
62
e quindi,

L =
_
_
x

S
_
d
3
x +

r
y
r
p
r
L
em
+

L
p
. (2.98)
Il momento angolare spaziale totale `e quindi composto da un contributo delle sole parti-
celle

L
p
, e da un contributo del solo campo elettromagnetico

L
em
: lespressione del primo
coincide con la (2.92) a parte i fattori relativistici 1/
_
1 v
2
r
, mentre lespressione del
secondo non risulta inaspettata, dato che il vettore di Poynting rappresenta proprio la
densit`a di quantit`a di moto del campo elettromagnetico.
Il signicato dei boost L
0i
. Analizziamo ora le componenti L
0i
K
i
di L

, in una
teoria relativistica generica. Le (2.96) danno per queste costanti del moto lespressione,
K
i
= t
_
T
0i
d
3
x
_
x
i
T
00
d
3
x,
dove nelle quantit`a P
i
=
_
T
0i
d
3
x riconosciamo la quantit`a di moto totale conservata del
sistema, vedi (2.71). Per dare uninterpretazione al secondo termine di K
i
, introduciamo
la posizione del centro di massa di un sistema relativistico, denita da,
x
cm
(t)
_
x T
00
d
3
x
_
T
00
d
3
x
, (2.99)
dove =
_
T
00
d
3
x `e lenergia totale conservata del sistema. Come si vede, la (2.99) mima
la denizione non relativistica del centro di massa, a patto di sostituire la densit`a di massa
con la densit`a di energia T
00
. Il vettore di boost si scrive allora,

K = t

P x
cm
(t),
ed essendo indipendente dal tempo, possiamo valutarlo a t = 0, ottenendo

K = x
cm
(0).
Ne segue che,
x
cm
(t) = x
cm
(0) +

t.
Concludiamo, quindi, che la conservazione di L
0i
`e equivalente al fatto che il centro di
massa del sistema si muove di moto rettilineo uniforme, con velocit`a,
v
cm
=

.
Se assumiamo, inoltre, che il vettore P

sia di tipo tempo, P

M
2
> 0, allora
possiamo assimilare lintero sistema a una particella di massa M e quadrimomento
63
P

= (,

P), la cui velocit`a risulta, pertanto, proprio

P/. In questo caso esiste un
sistema di riferimento chiamato sistema del centro di massa in cui P

= (M, 0, 0, 0)
e il centro di massa `e a riposo.
Occorre, tuttavia, aggiungere che il concetto di centro di massa di un sistema, per
come labbiamo denito in (2.99), non `e un concetto relativisticamente invariante, poiche
le sue coordinate (t, x
cm
(t)) non si trasformano come un quadrivettore: in altre parole, il
centro di massa di un sistema `e rappresentato da punti diversi in sistemi di riferimento
diversi.
In denitiva, dalle equazioni del moto dellElettrodinamica siamo riusciti a dedurre
lesistenza delle dieci quantit`a conservate P

e L

tante quanti sono i parametri a

che descrivono il gruppo di Poincare. In Elettrodinamica sussiste, poi, unulteriore legge di


conservazione, quella della carica elettrica, in concomitanza con unulteriore simmetria a
un parametro linvarianza di gauge. Come anticipato, alla base di queste coincidenze
c`e un legame profondo esistente in natura tra principi di simmetria e leggi di conservazione
legame che a livello matematico viene decodicato dal teorema di Nother. Nei due
capitoli che seguono rianalizzeremo, dunque, le leggi di conservazione derivate in questa
sezione a mano, basandoci essenzialmente su argomentazioni di tipo euristico usando
il metodo costruttivo fornito da questo ecace, ancorche misterioso, teorema.
2.5 Problemi
2.1 Si dimostri che il quadrato della quadriaccelerazione w
2
w

soddisfa,
w
2
0.
[Sugg.: si sfrutti lidentit`a w

= 0.] Si dimostri che in termini di velocit`a e accelerazione


tridimensionali si ha,
w
2
=
a
2
(a v)
2
(1 v
2
)
3
.
2.2 Si dimostri che lidentit`a di Bianchi pu`o essere scritta equivalentemente nella forma
(2.27), (2.28) o (2.29). [Sugg.: possono risultare utili le identit`a (1.13), (1.17) e (1.18).]
64
2.3 Si trovino tutte le soluzioni per F S

(R) dellequazione in una dimensione,


(x
2
a
2
)F(x) = 0, a > 0.
Si dimostri che ogni soluzione pu`o essere posta nella forma F(x) = f(x)(x
2
a
2
), per
unopportuna funzione continua f.
2.4 Si dimostri che una funzione f(x) : R
D
C rappresenta una distribuzione regolare
F S

(R
D
), denita da,
F() =
_
f(x) (x) d
D
x, (2.100)
se 1) f `e integrabile in modulo su una qualsiasi palla di R
D
in particolare se possiede un
numero nito di singolarit`a integrabili e 2) se essa `e asintoticamente polinomialmente
limitata. Una funzione f si dice asintoticamente polinomialmente limitata, se esistono
una distanza d, un intero positivo N e una costante positiva C, tali che per ogni x per
cui r d, si abbia,
|f(x)| C r
2N
,
dove r
_
(x
1
)
2
+ + (x
D
)
2
. [Sugg.: `e necessario e suciente dimostrare che vale la
(2.39), per opportuni monomi P e Q. A questo scopo `e utile suddividere il dominio di
integrazione della (2.100) in una palla sucientemente grande, e nel suo complemento in
R
D
, e sfruttare le propriet`a asintotiche (2.37) della .]
2.5 Si dimostri il Teorema di Birkho, enunciato come segue. Sia data una
quadricorrente a simmetria sferica, ma in generale non statica,
j
0
(t, x) = (t, r),
j
i
(t, x) =
x
i
r
j(t, r),
a supporto spaziale compatto, vale a dire,
j

(t, x) = 0, per r > r


0
, t.
Allora il campo elettromagnetico generato dalla quadricorrente nel vuoto, ovvero, nella
regione r > r
0
, `e statico, essendo dato da,

E =
Q
4
x
r
3
,

B = 0, Q =
_
r<r
0
(t, r) d
3
x. 2
65
[Sugg.: si usi lAnsatz

E = xf(t, r),

B = xg(t, r), implicato dalla simmetria sferica.] Se
ne conclude, in particolare, che una distribuzione di carica a simmetria sferica seppure
costituita da cariche accelerate non pu`o irradiare onde elettromagnetiche, perche il
campo generato `e statico.
2.6 Integrali invarianti in 3 dimensioni. Si denisca il tensore doppio tridimensio-
nale,
H
ij
=
_
dn
i
n
j
, (2.101)
dove d = sendd `e la misura dellangolo solido in 3 dimensioni, con
_
d = 4, e
n
i
= x
i
/r, r = |x|. Lintegrando nella (2.101) dipende quindi solo dagli angoli.
a) Si dimostri che si pu`o scrivere,
H
ij
=
_
d
3
x(r 1) x
i
x
j
. (2.102)
b) Si dimostri che H
ij
`e un tensore invariante per SO(3), cio`e,
R
i
m
R
j
n
H
mn
= H
ij
, R SO(3).
[Sugg.: nellintegrando della (2.102) si esegua il cambiamento di variabili x
i
= R
i
k
y
k
.]
c) Sapendo che gli unici tensori invarianti indipendenti per SO(3) sono
ij
e
ijk
, si con-
cluda che H
ij
= C
ij
, per qualche costante C. Si determini C contraendo la (2.101) con

ij
.
d) Secondo questa linea di ragionamento si stabilisca la seguente tabella di integrali
invarianti:
_
d = 4,
_
dn
i
= 0,
_
dn
i
n
j
=
4
3

ij
,
_
dn
i
n
j
n
k
= 0,
_
dn
i
n
j
n
k
n
l
=
4
15
(
ij

kl
+
ik

jl
+
il

jk
).
2.7 Una particella di carica e e massa m si trova in presenza di un campo elettroma-
gnetico costante e uniforme F

. La quadrivelocit`a iniziale della particella per s = 0 sia


66
u

(0), con u
2
(0) = 1. Seguendo lapproccio covariante del paragrafo 2.2.1,
a) si dimostri che in questo caso lequazione di Lorentz `e equivalente allequazione del
primo ordine,
dy

ds
= u

(s) =
_
e
sA

(0),
per unopportuna matrice costante A

, determinandola esplicitamente.
b) Si verichi esplicitamente che u
2
(s) = 1, s. [Sugg.: si noti che e
sA
SO(1, 3)
c
, s.]
c) Si dimostri che la scalare w
2
= w

(s)w

(s) `e indipendente da s, e lo si esprima in


termini di F

e u

(0).
d) Escluso il caso in cui |

E| = |

B|, e simultaneamente

E

B = 0, esiste sempre un sistema
di riferimento in cui

E e

B sono paralleli e diretti lungo lasse delle x:

E = (E, 0, 0),

B = (B, 0, 0). Si dimostri che in questo sistema di riferimento la matrice A `e diagonale a


blocchi 2 2.
e) Sfruttando questa struttura di A si determini e
sA
, sviluppando lesponenziale in serie
e risommandolo in termini delle funzioni sen, cos, cosh e senh.
f) Ponendo come velocit`a iniziale v
0
= (0, v
0
, 0), cio`e,
u

(0) =
1
_
1 v
2
0
(1, 0, v
0
, 0),
si determinino u

(s) e y

(s), e quindi la legge oraria y(t). In questo quesito per semplicit`a


si ponga B = 0.
2.8 Si consideri un sistema di N particelle cariche nel limite non relativistico, v
r
1,
che creano, quindi, un campo elettromagnetico dato da,

E =

A
0
, A
0
(t, x) =
N

r=1
e
r
4|x y
r
(t)|
,

B = 0.
a) Utilizzando lequazione di Coulomb
2
A
0
= j
0
, si dimostri che lenergia totale del
campo elettromagnetico,
em
=
1
2
_
d
3
x (E
2
+ B
2
), pu`o essere riscritta formalmente
come somma delle energie potenziali relative di tutte le cariche,

em
=
1
2
_
d
3
xA
0
j
0
=
1
2
N

r,s=1
e
r
e
s
4|y
r
(t) y
s
(t)|
. (2.103)
b) Si sottragga da questa espressione la parte divergente dovuta allautointerazione, e si
67
scriva lenergia totale del sistema campo elettromagnetico + particelle cariche, aggiun-
gendo lenergia cinetica non relativistica di queste ultime. Si dimostri che lenergia totale
cos` ottenuta risulta conservata nel limite non relativistico. Si noti che, mentre lespres-
sione originale per
em
`e sempre positiva qualsiasi siano i segni delle cariche ci`o non `e
pi` u vero per lespressione (2.103), dopo la sottrazione della parte divergente. Si consideri
lesempio: N = 2, e
1
= e
2
.
2.9 Si trovi la soluzione generale y

() dellequazione del moto per la particella libera,


d
2
y

ds
2
= 0,
parametrizzando la linea di universo con un parametro generico, vedi (2.3). Si verichi
che la soluzione generale `e determinata solo modulo una riparametrizzazione.
2.10 Si dimostri che lequazione di Newton (2.21) pu`o essere posta nella forma,
ma =

F(y, v),
per unopportuna forza

F.
2.11 Si dimostri che se un campo elettromagnetico F

(x) soddisfa le equazioni di Max-


well (2.31), (2.32) per ogni t, e le equazioni (2.33), (2.34) a t = 0, allora esso soddisfa
automaticamente le (2.33), (2.34) per ogni t. [Sugg.: si valuti la divergenza spaziale delle
(2.31), (2.32).]
2.12 Si verichi esplicitamente che il tensore tridimensionale,
1
r
3
_

ij
3
x
i
x
j
r
2
_
,
che compare al membro di destra della (2.58), appartiene ad S

(R
3
).
2.13 Si dimostri che i quattro funzionali lineari j

() dati in (2.49) deniscono ciascuno


un elemento di S

(R
4
). [Sugg.: si parametrizzino le linee di universo con il tempo.]
Soluzione Problema 2.3. Lequazione,
(x
2
a
2
)F(x) = 0, a > 0, (2.104)
68
implica che F pu`o essere diversa da zero solo per x = a, ovverosia, che il supporto
di F `e {a, a}, che `e un insieme di punti. Il teorema enunciato nel paragrafo 2.3.2, vedi
(2.47), implica allora che F `e una combinazione lineare nita delle (x a) e delle loro
derivate. Evidentemente,
F
0
c
1
(x a) + c
2
(x + a),
con c
1
e c
2
costanti aribitrarie, `e soluzione della (2.104), come si verica subito usando la
(2.42). Per quanto riguarda, invece, le derivate prime notiamo che, derivando lidentit`a
(x
2
a
2
) (x a) = 0, si ottiene,
(x
2
a
2
)

(x a) = 2x(x a) = 2a (x a) = 0.
Quindi le derivate prime non sono soluzioni della (2.104), e allo stesso modo si dimostra
che nemmeno le derivate successive lo sono. F
0
`e quindi la soluzione generale della (2.104).
Per porre F
0
nella forma richiesta nel problema, `e suciente ricordare la (2.44), e
moltiplicarla per una generica funzione continua f,
F
1
f(x)(x
2
a
2
) =
1
2a
(f(a)(x a) + f(a)(x + a)).
Siccome le costanti f(a) e f(a) possono assumere qualsiasi valore, F
0
pu`o sempre essere
posta nella forma F
1
.
Soluzione Problema 2.5. Inserendo gli Ansatz dati per

E e

B nelle equazioni di
Maxwell nel vuoto,

E = 0,

B = 0, si trovano equazioni dierenziali che determinano


completamente la dipendenza di f e g da r,
f(t, r) =
F(t)
r
3
, g(t, r) =
G(t)
r
3
.
Inserendo queste formule di nuovo negli Ansatz per

E e

B, si trova che vale identicamente


E = 0 =


B. Usando questi risultati nelle rimanenti due equazioni di Maxwell
nel vuoto, si trova che F(t) e G(t) sono funzioni costanti. Queste costanti si determinano,
inne, applicando il teorema di Gauss alle equazioni di Maxwell complete,



E = j
0
,


B = 0.
69
3 Metodi variazionali in teoria di campo
Nel capitolo 2 abbiamo presentato le equazioni fondamentali dellElettrodinamica e il-
lustrato le loro principali propriet`a, una delle pi` u importanti essendo linvarianza sotto
trasformazioni del gruppo di simmetria di Poincare. Abbiamo poi scoperto che queste
equazioni godono di unaltra propriet`a fondamentale, quella di assicurare la conservazio-
ne del quadrimomento e del momento angolare quadridimensionale. A prima vista questi
due aspetti linvarianza relativistica e la presenza di leggi di conservazione non sem-
brano avere niente a che fare luno con laltro. In realt`a, le equazioni dellElettrodinamica
posseggono unaltra caratteristica fondamentale che a questo punto della trattazione
risulta ancora celata: esse discendono da un principio variazionale. Come scopriremo in
questo capitolo, `e proprio questa caratteristica aggiuntiva in concomitanza con linva-
rianza relativistica a garantire lesistenza delle grandezze conservate di cui sopra. Infatti,
come accennato in sezione 2.4, la validit`a del teorema di Nother, che lega fra loro leggi di
conservazione e principi di simmetria, necessita del principio variazionale.
In questo capitolo rideriveremo, dunque, le equazioni del moto e le leggi di conser-
vazione dellElettrodinamica, usando il metodo variazionale metodo che in generale
fornisce una descrizione alternativa, compatta e elegante, della dinamica di un generico
sistema. Limportanza che questo metodo riveste in sica, si desume dal fatto che tutte le
teorie fondamentali, dal Modello Standard delle particelle elementari no alla Relativit`a
Generale, e alla pi` u speculativa teoria delle Stringhe, sono deducibili da un principio varia-
zionale: senza un tale principio la consistenza interna di queste teorie sarebbe dicilmente
controllabile, e non sarebbero garantite le principali leggi di conservazione.
Lo strumento fondamentale del metodo variazionale `e il principio di minima azione.
Questo principio si basa sulla conoscenza di ununica funzione delle variabili dinamiche del
sistema la lagrangiana L dalla quale per integrazione discende il funzionale I =
_
Ldt,
chiamato azione. Il pregio tecnico del metodo consiste nellestrema economia impiegata
nella costruzione di una teoria sica: assegnata la sola funzione L, il principio di minima
azione determina univocamente la dinamica del sistema. Infatti, secondo questo principio,
le congurazioni che soddisfano le equazioni del moto sono esattamente quelle che rendono
70
lazione stazionaria I = 0 sotto variazioni arbitrarie delle variabili dinamiche. In
presenza di simmetrie il teorema di Nother fornisce poi la forma esplicita delle costanti
del moto.
Invarianza relativistica. Nelle teorie relativistiche il metodo variazionale `e, in realt`a,
soggetto a unulteriore condizione: lazione deve essere uninvariante sotto trasformazioni
di Poincare, ovvero, un quadriscalare,
I = I

.
In questo caso le equazioni del moto che ne derivano soddisfano automaticamente il princi-
pio di relativit`a einsteiniana. Infatti, se con K e K

indichiamo due sistemi di riferimento


inerziali diversi, schematicamente abbiamo,
Equazioni del moto in K I = 0 I

= 0 Equazioni del moto in K

.
Se lazione `e uno scalare, le equazioni del moto hanno, dunque, automaticamente la stessa
forma in tutti i sistemi di riferimento.
Invarianza relativistica e quantizzazione. Sussiste unulteriore circostanza che conferi-
sce al metodo variazionale un ruolo fondamentale: esso costituisce il punto di partenza
indispensabile per la quantizzazione canonica di una qualsiasi teoria. Ricordiamo, infat-
ti, che attraverso la trasformata di Legendre dalla lagrangiana si deduce lhamiltoniana,
oggetto su cui si fonda la quantizzazione canonica della teoria. Tuttavia, in una teoria
relativistica la quantizzazione canonica non costituisce una procedura covariante a vista,
semplicemente perche lhamiltoniana, essendo la quarta componente di un quadrivettore,
non `e un invariante relativistico. Daltra parte, esiste una procedura di quantizzazione al-
ternativa quella dellintegrale funzionale di Feynman la quale, basandosi direttamente
sullazione I, ha il pregio di mantenere la teoria quantistica covariante a vista, purche
lazione sia un invariante relativistico. Se la teoria `e, dunque, formulata in termini di
un principio variazionale, linvarianza della teoria classica si trasferisce direttamente sulla
teoria quantistica.
Localit`a. Concludiamo queste note introduttive soermandoci su una caratteristica
peculiare delle teorie relativistiche: la localit`a dellinterazione. In sica non relativistica le
71
particelle interagiscono attraverso forze che esercitano unazione a distanza. Una particella
di carica e
2
, ad esempio, esercita su una particella di carica e
1
la forza,

F =
e
1
e
2
4
y
1
y
2
|y
1
y
2
|
3
,
la quale viene trasmessa in maniera istantanea: se a un dato istante la particella 2 si
sposta, la particella 1 ne subisce leetto allo stesso istante. Uninterazione non locale
di questo tipo corrisponde a un segnale che si propaga con velocit`a innita, ed `e quindi
in conitto con i principi della Relativit`a Ristretta. In una teoria relativistica, invece, le
particelle non interagiscono tra di loro direttamente, ma attraverso i campi, e linterazione
tra campi e particelle `e unazione a contatto, ovverosia, locale. Cos` la forza di Lorentz
subita da una particella carica relativistica,
e F

(y)u

,
dipende solo dal valore del campo nel punto y

dove essa si trova, e non dalle posizioni


delle altre particelle, o dai valori del campo in altri punti. Linterazione elettromagnetica
tra particelle cariche si propaga, quindi, con la velocit`a di propagazione del campo elet-
tromagnetico, cio`e, con la velocit`a della luce. Per confronto facciamo notare che a livello
quantistico la localit`a si realizza nel fatto che linterazione tra particelle cariche `e mediata
dai quanti del campo elettromagnetico, cio`e, dai fotoni, che viaggiano a loro volta con la
velocit`a della luce. Nella schematizzazione dei graci di Feynman linterazione tra questi
ultimi e le particelle cariche avviene in un punto, e risulta quindi ancora una volta
locale.
In una teoria relativistica sono, dunque, i campi a implementare la localit`a dellintera-
zione, e cos` questi ultimi vanno considerati a tutti gli eetti come gradi di libert`a dinami-
ci indipendenti, alla stessa stregua delle coordinate delle particelle: mentre in sica non
relativistica il concetto di campo `e utile, in una teoria relativistica esso `e indispensabile.
In conlusione, la formulazione di una teoria sica attraverso il metodo variazionale
avviene secondo il seguente schema:
I) Si individua lespressione dellazione.
II) Si derivano le equazioni del moto attraverso il principio di minima azione.
72
III) Si applica il teorema di Nother per derivare le leggi di conservazione.
Per quanto detto sopra, in sica relativistica genericamente avremo a che fare con un
sistema di particelle puntiformi, in interazione con un sistema di campi. Un sistema sico i
cui gradi di libert`a consistono di soli campi viene chiamato teoria di campo. In generale
dovremo, quindi, implementare il metodo variazionale per un sistema di particelle in
interazione con una teoria di campo. In questo capitolo presentiamo il metodo variazionale
per una generica teoria di campo che, come vedremo, pu`o essere considerata come un
sistema lagrangiano con un numero innito di gradi di libert`a. Per questo motivo nel
paragrafo che segue ricordiamo dapprima in che cosa consiste il metodo, per un sistema
lagrangiano con un numero nito di gradi di libert`a, ovverosia, in meccanica newtoniana.
Nel capitolo 4 estenderemo, poi, il principio variazionale a un sistema di particelle cariche
interagenti con il campo elettromagnetico.
3.1 Principio di minima azione in meccanica
Consideriamo un sistema meccanico non relativistico, conservativo e olonomo, a N gradi
di libert`a, descritto dalle coordinate lagrangiane q
n
(t), n = 1, , N. Indicheremo le coor-
dinate collettivamente con q = (q
1
, , q
N
), e le loro derivate prime con q = ( q
1
, , q
N
),
dove,
q
n
=
dq
n
dt
.
Sappiamo allora che esiste una funzione di 2N variabili, la lagrangiana L(q, q), tale che le
equazioni del moto del sistema meccanico sottostante siano equivalenti alle equazioni di
Lagrange,
d
dt
L
q
n

L
q
n
= 0, n = (1, , N). (3.1)
Ricordiamo lesempio prototipico di un sistema di M particelle non vincolate, con
coordinate cartesiane y
i
(t), i = 1, , M, nel qual caso le coordinate lagrangiane sono
date da q = (y
1
, , y
M
), e N = 3M. Se indichiamo il potenziale di interazione con V (q),
e lenergia cinetica totale delle particelle con T( q) =
1
2

i
m
i
v
2
i
, allora la lagrangiana di
questo sistema `e data da,
L(q, q) = T( q) V (q).
73
Fissiamo ora due estremi temporali t
1
< t
2
, e associamo alla generica lagrangiana L il
seguente funzionale I delle leggi orarie q(t), chiamato azione,
I[q] =
_
t
2
t
1
L(q(t), q(t)) dt. (3.2)
Possiamo allora enunciare il principio di minima azione, detto anche principio di Hamilton.
Principio di minima azione: le leggi orarie q(t) soddisfano le equazioni di Lagrange
(3.1) nellintervallo [t
1
, t
2
], se e solo se esse rendono stazionaria lazione I[q] sotto variazioni
q = (q
1
, , q
N
) arbitrarie, purche nulle agli estremi, vale a dire, soddisfacenti,
q
n
(t
1
) = 0 = q
n
(t
2
).
Prima di dimostrare il principio spieghiamo la terminologia usata nellenunciato. In-
nanzitutto specichiamo che le q
n
(t) indicano N funzioni reali del tempo, con le stesse
propriet`a di regolarit`a delle q
n
(t). Introduciamo poi il concetto di variazione dellazione
I attorno a una congurazione q, per delle variazioni q assegnate. Poniamo
9
,
I
d
d
I[q + q]

=0
, (3.3)
dove `e un parametro reale. Siccome lazione (3.2) `e data dallintegrale di una funzione
delle q e q che supponiamo essere sucientemente regolare, la (3.3) equivale a,
I = lim
0
I[q + q] I[q]

=
_
I[q + q] I[q]
_
lin
. (3.4)
Con lultima espressione intendiamo la quantit`a I[q+q] I[q], ristretta al termine lineare
in q. Per calcolare I userermo in pratica sempre la (3.4), tralasciando il pedice lin.
Si dice, inne, che la congurazione q rende lazione I stazionaria per delle variazioni
q date, se risulta I = 0.
Passiamo ora a dimostrare il principio di minima azione. Calcoliamo la variazione I
per variazioni q arbitrarie, usando la (3.4),
I = I[q + q] I[q] =
_
t
2
t
1
_
L(q + q, q + q) L(q, q)
_
dt
9
Si tenga presente che I `e in realt`a un funzionale delle 2N funzioni q e q, e andrebbe quindi
propriamente indicato con I[q, q].
74
=
_
t
2
t
1
Ldt =
_
t
2
t
1

n
_
L
q
n
q
n
+
L
q
n
d q
n
dt
_
dt
=
_
t
2
t
1

n
_
L
q
n
q
n
+
d
dt
_
L
q
n
q
n
_

d
dt
L
q
n
q
n
_
dt
=
_
t
2
t
1

n
_
L
q
n

d
dt
L
q
n
_
q
n
dt +

n
L
q
n
q
n

t
2
t
1
.
Se vale q
n
(t
1
) = 0 = q
n
(t
2
), lultima sommatoria `e nulla. Si conclude allora che I = 0
per variazioni q
n
arbitrarie nellintervallo aperto (t
1
, t
2
), se e solo se le q
n
(t) soddisfano
le equazioni di Lagrange (3.1) nellintervallo [t
1
, t
2
].
3.2 Principio di minima azione in teoria di campo
Una teoria classica di campo `e descritta da un certo numero di funzioni dello spazio
tempo,
r
(t, x)
r
(x), r = 1, , N, detti campi lagrangiani che indicheremo
collettivamente con = (
1
, ,
N
). Questi campi descrivono completamente il sistema,
nel senso che ogni grandezza sica osservabile potr`a esprimersi in funzione di essi, ma in
generale essi stessi non sono necessariamente osservabili. Nel caso dellElettrodinamica,
per esempio, i campi lagrangiani non saranno i campi elettrico e magnetico, bens` le
componenti del quadripotenziale, = (A
0
, A
1
, A
2
, A
3
), e queste ultime non essendo
gaugeinvarianti non risultano osservabili.
Scrivendo,

r
(t, x) q
r,x
(t),
e identicando la coppia (r, x) con lindice n del caso nito dimensionale, possiamo
pensare linsieme dei campi come un sistema lagrangiano con un numero innito di gradi
di libert`a. Anche in una teoria di campo cercheremo, dunque, di derivare la dinamica
del sistema da un principio di minima azione, a partire da unazione I[] che sar`a ora un
funzionale dei campi. In questo caso partiremo da una densit`a lagrangiana L, in seguito
chiamata semplicemente lagrangiana, che in analogia con il caso nito dimensionale sar`a
funzione dei campi e delle loro derivate =
0
. Tuttavia, se vogliamo che lazione
sia uninvariante relativistico, allora la lagrangiana dovr`a dipendere necessariamente da
tutte le derivate parziali

,
L((x), (x)).
75
La lagrangiana L, propriamente detta, sar`a allora ottenuta sommando su tutti i gradi di
libert`a, ovverosia, integrando la densit`a lagrangiana sulle coordinate spaziali x,
L(t) =
_
L((x), (x)) d
3
x.
Deniamo, inne, lazione della teoria di campo come,
I[] =
_
t
2
t
1
L(t) dt =
_
t
2
t
1
L((x), (x)) d
4
x. (3.5)
Per questa azione vogliamo ora formulare un principio variazionale, analogo al principio
di minima azione per un sistema a niti gradi di libert`a. Come in quel caso supponiamo
che le funzioni (x) e L(, ) siano sucientemente regolari, in modo tale che la (3.4),
opportunamente generalizzata, sia ancora valida, ma oltre a questo dobbiamo imporre
opportune condizioni asintotiche su e L. Pi` u precisamente, richiediamo che allinnito
spaziale i campi e le loro derivate si annullino con suciente rapidit`a. In particolare
imponiamo,
lim
|x|

r
(t, x) = 0. (3.6)
Supponiamo, inoltre, che la lagrangiana si annulli con suciente rapidit`a per 0, di
modo tale che nella (3.5) lintegrale in x su tutto R
3
esista nito.
Le equazioni analoghe alle (3.1) per la lagrangiana L, sono allora le equazioni di
EuleroLagrange,

L
(

r
)

L

r
= 0, (3.7)
equazioni che vanno riguardate come le equazioni del moto dei campi. Possiamo allora
enunciare il principio variazionale per una teoria classica di campo.
Principio di minima azione in teoria di campo: le leggi orarie
r
(t, x) soddisfano le
equazioni di EuleroLagrange nellintervallo [t
1
, t
2
], se e solo se esse rendono staziona-
ria lazione I[] sotto variazioni
r
arbitrarie, purche nulle agli estremi, vala a dire,
soddisfacenti
r
(t
1
, x) = 0 =
r
(t
2
, x), per ogni x.
La stazionariet`a del funzionale I[] rispetto a variazioni
r
`e denita in modo comple-
tamente analogo alla stazionariet`a del funzionale I[q], rispetto a variazioni q
n
, vedi (3.3)
e la discussione susseguente.
`
E, inoltre, sottinteso che le variazioni
r
, che prendiamo in
76
considerazione, hanno le stesse propriet`a di regolarit`a e le stesse propriet`a asintotiche dei
campi
r
.
Per dimostrare il principio calcoliamo la variazione di (3.5), per variazioni
r
arbi-
trarie dei campi,
I =
d
d
I[ + ]

=0
= I[ + ] I[]
=
_
t
2
t
1
_
L( + , + ) L(, )
_
d
4
x
=
_
t
2
t
1
Ld
4
x =
_
t
2
t
1

r
_
L

r
+
L
(

r
)

r
_
d
4
x.
Siccome per denizione abbiamo,

r
=

(
r
+
r
)

r
=

r
,
usando la regola di Leibnitz si ottiene,
I =
_
t
2
t
1

r
_
L

L
(

r
)
_

r
d
4
x +
_
t
2
t
1

_
L
(

r
)

r
_
d
4
x. (3.8)
Il secondo integrale, il cui integrando `e una quadridivergenza, `e nullo. Per dimostrarlo
usiamo il teorema fondamentale del calcolo nella variabile temporale, e il teorema di Gauss
tridimensionale, con una supercie chiusa

posta allinnito spaziale,


_
t
2
t
1

_
L
(

r
)

r
_
d
4
x =

r
_
d
3
x
L

r

t
2
t
1
+

r
_
t
2
t
1
__

L
(
i

r
)

r
d
i
_
dt.
Il primo termine a secondo membro `e nullo, se le variazioni
r
si annullano sugli iperpiani
t = t
1
e t = t
2
, mentre il secondo termine `e nullo, poiche allinnito spaziale i campi
svaniscono. La (3.8) si riduce allora al primo integrale, e vediamo che I si annulla per
qualsiasi scelta delle
r
, se e solo se i campi soddisfano le equazioni di EuleroLagrange.
3.2.1 Ipersuperci nello spazio di Minkowski
In questo paragrafo introduciamo alcune nozioni riguardanti le ipersuperci in quattro
dimensioni, di cui ci serviremo in seguito.
Parametrizzazioni di ipersuperci. Per denizione unipersupercie nello spazio qua-
dridimensionale di Minkowski `e un sottoinsieme per essere pi` u precisi, una sottovariet`a
77
di R
4
, di dimensione tre. In forma parametrica unipersupercie `e descritta da quattro
funzioni di tre parametri,
x

(), (3.9)
dove con si intende la terna {
a
}, con a = 1, 2, 3. Alternativamente unipersupercie
pu`o essere rappresentata in forma implicita, in termini di ununica funzione scalare f(x)
attraverso,
x

f(x) = 0. (3.10)
Si passa da una rappresentazione allaltra, per esempio, invertendo le funzioni spaziali
x() della (3.9), per determinare i tre parametri in funzione di x, (x), e denendo poi,
f(x) = f(x
0
, x) x
0
x
0
((x)).
Useremo una rappresentazione o laltra, a seconda della convenienza. Si noti, comunque,
che vale identicamente,
f(x()) = 0. (3.11)
Iperpiani. Una classe importante di ipersuperci `e costituita dagli iperpiani, che in
forma implicita sono descritti da una funzione del tipo,
f(x) = M

(x

0
) = 0, (3.12)
dove M

e x

0
sono vettori costanti. Liperpiano corrispondente alla funzione (3.12) passa
per il punto x

0
, ed `e ortogonale al vettore M

.
Vettori tangenti e vettore normale. In un generico punto P x

() si deni-
sce liperpiano tangente in P, come lo spazio vettoriale tridimensionale spannato dai tre
vettori di base,
V

a

x

()

a
. (3.13)
Un generico vettore V

tangente a in P pu`o quindi essere scritto come combinazione
lineare di questi vettori,
V

=
3

a=1
c
a
V

a
,
per certi coecienti c
a
. Essendo lo spazio totale quadridimensionale, in P resta poi
denito un vettore normale a , N

(), unico a parte la normalizzazione, caratterizzato


78
dal fatto di essere ortogonale a tutti i vettori tangenti,
N

V

a
= 0, a. (3.14)
Se lipersupercie `e data nella forma implicita (3.10), dierenziando lidentit`a (3.11)
rispetto a
a
si ottiene,
0 =
f
x

a
=
f
x

V

a
, a,
sicch`e per N

si ricava la semplice espressione,


N

=
f
x

.
A questo punto siamo in grado di denire i tre tipi di ipersupercie che ci interesseranno
in seguito.
Denizione. Unipersupercie si dice di tipo spazio, tempo o nullo, se in ogni punto
di vale rispettivamente,
N
2
> 0, N
2
< 0, N
2
= 0,
caratteristiche che sono evidentemente invarianti sotto trasformazioni di Lorentz.
Ipersuperci di tipo spazio. Per unipersupercie di tipo spazio abbiamo N
2
> 0, e di
conseguenza i vettori tangenti sono tutti di tipo spazio. Per vederlo `e suciente sfruttare
il fatto che, se N
2
> 0, allora per ogni punto P esiste un sistema di riferimento in
cui il vettore normale ha la forma N

= (N
0
, 0, 0, 0). La condizione N

V

= 0 comporta
allora, che in questo sistema di riferimento si ha V
0
= 0, e quindi,
V
2
< 0.
Si pu`o inoltre far vedere che unipersupercie `e di tipo spazio, se e solo se per ogni
coppia di punti (x, y) appartenenti a vale,
(x y)
2
< 0.
Questa caratterizzazione alternativa risulta immediata nel caso degli iperpiani (3.12), per
cui si ha,
N

=
f
x

= M

= costante.
79
Infatti, se x e y appartengono a , e M
2
> 0, allora dalla (3.12) per dierenza si ottiene,
(x

)M

= 0 (x y)
2
< 0.
`
E facile convincersi che vale anche il viceversa. Nel caso particolare in cui M

= (1, 0, 0, 0),
si ottengono gli iperpiani a tempo costante,
f(x) = M

(x

0
) = t t
0
= 0,
che sono le particolari ipersuperci di tipo spazio che abbiamo usato per delimitare
lintegrale dellazione (3.5). In forma parametrica, vedi (3.9), questi iperpiani si scrivono,
x
0
() = t
0
, x
i
() =
i
. (3.15)
Ipersuperci di tipo tempo. Per unipersupercie di tipo tempo abbiamo N
2
< 0, e in
questo caso i vettori tangenti possono essere di tipo spazio, tempo o nullo. Se consideria-
mo, per esempio, liperpiano di tipo tempo z = z
0
, per cui M

= (0, 0, 0, 1), la condizione


V

M

= 0 ha la soluzione generale V

= (V
0
, V
x
, V
y
, 0), e V
2
pu`o quindi essere positivo,
negativo o nullo. Unaltra ipersupercie di tipo tempo `e rappresentata dalla funzione,
f(x) =
1
2
(x
2
R
2
) = 0, N

= (0, x), N
2
= |x|
2
< 0,
e corrisponde alla sfera di raggio R, al variare del tempo. Per R questa ipersupercie
si tramuta in una ipersupercie di tipo tempo situata allinnito spaziale un tipo di
ipersupercie che incontreremo tra poco.
Teorema di Gauss in quattro dimensioni. Consideriamo lintegrale della quadridiver-
genza di un vettore W

su un volume quadridimensionale V , con bordo lipersupercie


V . Se parametrizziamo come in (3.9), allora il teorema di Gauss che riportiamo
senza dimostrazione asserisce che,
_
V

d
4
x =
_

, (3.16)
dove lelemento di ipersupercie tridimensionale `e dato da, si veda (3.13),
d

V

1
V

2
V

3
d
3
.
80
Grazie allantisimmetria del tensore di LeviCivita vale identicamente,
V

a
_

V

1
V

2
V

3
_
= 0, a,
per cui per il vettore normale (non normalizzato) otteniamo,
N

V

1
V

2
V

3
. (3.17)
Abbiamo quindi,
d

= N

d
3
,
e il teorema di Gauss si scrive,
_
V

d
4
x =
_

d
3
.
Se non `e di tipo nullo, N
2
= 0, allora lelemento di ipersupercie pu`o essere posto in
una forma simile a quello bidimensionale, d

= nd, poiche in questo caso il vettore N

pu`o essere normalizzato. Infatti, prendendo il quadrato della (3.17), e usando la seconda
relazione in (1.17), non `e dicile fare vedere che vale,
N
2
= N

= det g
ab
,
dove abbiamo introdotto la matrice 3 3, la metrica indotta su ,
g
ab
= V

a
V

b

. (3.18)
Possiamo allora denire il vettore normale normalizzato,
n

=
N

_
|N
2
|
=
n

g
, g |det g
ab
| ,
e vale,
n
2
= 1, se `e di tipo spazio; n
2
= 1, se `e di tipo tempo.
Il teorema di Gauss pu`o allora essere posto nella forma desiderata,
_
V

d
4
x =
_

g d
3
, (3.19)
81
dove n

`e il versore normale a , e

g d
3
rappresenta larea dellelemento di ipersupercie.
Illustriamo luso della (3.19), supponendo che una falda di sia costituita dalliperpiano
di tipo spazio t = t
0
, vedi (3.15). Su questa falda le (3.15) e (3.13) danno,
V
0
a
= 0, V
i
a
=
i
a
,
e le (3.17) e (3.18) si riducono a,
N

= (1, 0, 0, 0) = n

, g
ab
=
ab
, g = 1.
Dato che x
i
=
i
, il contributo allintegrale (3.19) di questa falda `e allora dato da,
_
W
0
(t
0
, x) d
3
x,
come cera da aspettarsi.
3.2.2 Invarianza relativistica
Fino a questo punto non abbiamo fatto nessuna ipotesi sulle propriet`a di invarianza della
teoria di campo considerata. In questo paragrafo analizziamo alcuni aspetti importanti
del principio di minima azione, nel caso particolare di una teoria di campo relativistica.
Principio di minima azione covariante a vista. Nel caso di una teoria di campo re-
lativistica ci aspettiamo che le equazioni del moto siano covarianti a vista. A questo
proposito notiamo che, se i campi sono suddivisi in multipletti tensoriali, e se L `e un in-
variante relativistico, cio`e, un campo scalare, allora le equazioni di EuleroLagrange (3.7)
sono eettivamente covarianti a vista. In una teoria relativistica richiederemo, dunque,
che la lagrangiana sia uno scalare sotto trasformazioni di Poincare,
L(

(x

),

(x

)) = L((x), (x)), per x

= x + a. (3.20)
Possiamo allora domandarci se anche lazione sia uno scalare come richiesto nellintro-
duzione a questo capitolo. In realt`a, dalla scrittura (3.5) emerge unostruzione immediata
allinvarianza di I: mentre la misura dellintegrale `e invariante,
d
4
x

= |det| d
4
x = d
4
x,
la regione dintegrazione non lo `e aatto, in quanto la variabile temporale `e integrata
su un intervallo nito. Tuttavia, non `e dicile ovviare a questo problema.
`
E suciente
82
sostituire nella (3.5) gli iperpiani t = t
1
e t = t
2
, che delimitano la regione dintegrazione
quadridimensionale, con due generiche ipersuperci di tipo spazio
1
e
2
, che non si
intersecano. Un iperpiano a tempo costante `e, in eetti, una particolare ipersupercie
di tipo spazio, che in seguito a una trasformazione di Poincare non `e pi` u un iperpiano
a tempo costante, ma resta pur sempre unipersupercie di tipo spazio. Consideriamo
allora lazione generalizzata,
I[] =
_

2

1
L((x), (x)) d
4
x. (3.21)
Grazie alla (3.20), la (3.21) `e ora un invariante relativistico,
I

=
_

1
L(

(x

),

(x

)) d
4
x

=
_

2

1
L((x), (x)) d
4
x = I.
Possiamo allora formulare un principio di minima azione covariante a vista, richiedendo
che lazione (3.21) sia stazionaria per variazioni
r
arbitrarie, purche nulle su
1
e
2
.
La versione relativisticamente invariante della condizione asintotica (3.6) `e, invece,
lim
x
2

r
(x) = 0. (3.22)
`
E poi evidente che il principio di minima azione basato sulla (3.21) fornisce come equazioni
del moto ancora le equazioni di EuleroLagrange (3.7).
Lagrangiane equivalenti e quadridivergenze. Aggiungiamo ora un commento riguardo
allesistenza e allunicit`a della lagrangiana. Data L, le equazioni del moto (3.7) sono
ovviamente univocamente determinate, ma spesso si deve arontare il problema inverso:
dato un insieme di equazioni del moto per i campi, si cerca una lagrangiana da cui esse
discendano.
`
E chiaro che per un insieme arbitrario di equazioni del moto seppure
relativistiche questo problema in generale non ammette nessuna soluzione, nel senso
che non esiste nessuna lagrangiana, per cui queste equazioni possano essere poste nella
forma (3.7). Daltra parte, se una tale lagrangiana esiste come per tutte le teorie siche
fondamentali `e facile vedere che essa non `e unica. Per esempio, se a e b sono costanti
reali, `e immediato vericare che le lagrangiane L e,

L = a L + b,
danno luogo alle stesse equazioni di EuleroLagrange.
83
Unambiguit`a un po meno ovvia `e costituita, invece, dallaggiunta di una quadridi-
vergenza,

L = L +

(),
dove le C

() sono quattro funzioni arbitrarie dei campi, con le stesse propriet`a di rego-
larit`a di L. Possiamo, infatti, fare vedere che

L e L danno luogo alle stesse equazioni di
EuleroLagrange. A questo scopo calcoliamo la dierenza tra le azioni associate alle due
lagrangiane, e applichiamo il teorema di Gauss quadridimensionale,

I I =
_

2

Ld
4
x
_

2

1
Ld
4
x =
_

2

d
4
x =
_
V
4
C

.
V
4
indica il volume di integrazione quadridimensionale, il cui bordo `e composto da
1
e

2
, e da unipersupercie

di tipo tempo, situata allinnito spaziale, vedi paragrafo


3.2.1. Si ha allora,

I I =
_

2
C

1
C

+
_

.
Lintegrale su

`e nullo, per via della condizione asintotica (3.22). Viceversa, i primi due
integrali sono diversi da zero, ma coinvolgono solo i valori dei campi sulle ipersuperci
1
e
2
, che nel principio di minima azione sono tenuti ssi. Abbiamo quindi (

I I) = 0,
cio`e,

I = I.
Le due azioni danno pertanto luogo alle medesime equazioni di EuleroLagrange.
In conclusione, tutte le lagrangiane che dieriscono per una quadridivergenza sono
sicamente equivalenti, motivo per cui dora in poi le identicheremo a tutti gli eetti.
Localit`a. Concludiamo questo paragrafo con unulteriore restrizione sul tipo di lagran-
giane che ammetteremo in una teoria relativistica di campo. Alla richesta di invarianza
relativistica aggiungeremo, infatti, quella di localit`a, analoga alla richiesta di azione a
contatto tra particelle e campi, discussa nellintroduzione a questo capitolo. Nel caso di
una teoria di campo la localit`a richiede che la lagrangiana sia formata da una somma nita
di prodotti dei campi e delle loro derivate, valutati nello stesso punto dello spaziotempo.
Illustriamo questa richiesta, nel caso di una teoria di campo con due campi scalari,

1
(x) A(x),
2
(x) B(x). In questo caso ammetteremo, per esempio, una lagrangiana
84
del tipo,
L
1
=
1
2

A(x)

A(x) +
1
2

B(x)

B(x) g A
2
(x) B
2
(x), (3.23)
mentre non accetteremo la lagrangiana,
L
2
=
1
2

A(x)

A(x) +
1
2

B(x)

B(x) g
N
_
A
2
(x) [(x y)
2
]
N
B
2
(y) d
4
y,
(3.24)
dove g
N
`e una costante di accoppiamento reale, e N `e un intero positivo. Infatti, mentre
in L
1
il campo A(x) `e in contatto con il campo B(x) valutato nello stesso punto x, in
L
2
il campo A(x) `e in contatto con B(y) per qualsiasi valore di y. Dal punto di vista
delle equazioni di EuleroLagrange questo vorrebbe dire che la dinamica di A nel punto
x `e inuenzata dai valori di B in tutti i punti dello spaziotempo, in contrasto con la
localit`a dellinterazione.
Ribadiamo, comunque, che la lagrangiana L
2
`e uno scalare sotto trasformazioni di
Poincare, e che darebbe dunque luogo a equazioni del moto relativistiche ben denite.
Sussiste, tuttavia, un ulteriore motivo che ci porta a rigettare lagrangiane come queste.
Il fatto `e che lagrangiane come la (3.24) non hanno carattere fondamentale: lintero N
che ivi compare `e arbitrario, anzi, potremmo sostituire il termine g
N
[(x y)
2
]
N
con una
funzione f(x, y) arbitraria, purch`e invariante sotto il gruppo di Poincare. Non `e dicile
convincersi che, sviluppata in serie di Taylor, una tale funzione ha la forma generale,
f(x, y) =

N=0
g
N
[(x y)
2
]
N
, (3.25)
che dipenderebbe, dunque, da un numero innito di costanti di accoppiamento indetermi-
nate. In questo modo il potere predittivo della teoria sarebbe nullo, perch`e servirebbero
inniti esperimenti per determinare i valori delle g
N
. Per recuperare il carattere pre-
dittivo della teoria, la forma della f, ovvero, il valore delle g
N
, dovrebbe allora essere
determinata da una teoria pi` u fondamentale, della quale la teoria basata sulla (3.25)
costituisce unopportuna approssimazione. Lagrangiane del tipo L
2
, con la sostituzione
g
N
[(xy)
2
]
N
f(x, y), descrivono infatti tipicamente teorie eettive, vale a dire teorie di
validit`a limitata, che riproducono i risultati sperimentali correttamente solo in particolari
regimi sici, per esempio a basse o ad alte energie.
85
Consistenza quantistica. Le restrizioni pi` u forti sulle lagrangiane relativistiche per-
messe provengono, tuttavia, dallapproccio della teoria quantistica relativistica di campo.
Nellambito di questo approccio si dimostra, infatti, che le lagrangiane classiche che a
livello quantistico danno luogo a teorie consistenti devono essere:
a) invarianti sotto trasformazioni di Poincare,
b) locali,
c) polinomi nei campi e nelle loro derivate, di ordine massimo quattro.
Queste restrizioni limitano di molto la forma delle lagrangiane permesse e, insieme
ad altre richeste di invarianza, spesso permettono di determinarle univocamente. Esempi
ne sono le lagrangiane fondamentali, che descrivono le interazioni elettrodeboli e quelle
forti. Al contrario, la lagrangiana che secondo la Relativit`a Generale descrive linterazione
gravitazionale soddisfa le richiesta a) e b), ma non la c) la causa essendo lautointera-
zione non polinomiale del campo gravitazionale.
`
E questo il motivo per cui, stando alle
conoscenze acquisite no ad oggi, linterazione gravitazionale risulta tuttora in conitto
con le leggi della Meccanica Quantistica.
3.2.3 La lagrangiana per lequazione di Maxwell
In questo paragrafo illustriamo il metodo variazionale, derivando le equazioni che gover-
nano la dinamica del campo elettromagnetico da un principio di minima azione. In linea
di principio si tratta, dunque, di interpretare le equazioni (2.13) e (2.14), come equazioni
di EuleroLagrange relative ad unopportuna lagrangiana. La prima questione da aron-
tare riguarda la scelta dei campi lagrangiani
r
: visto che le (2.13), (2.14) corrispondono
a otto equazioni, dovremmo pertanto introdurre altrettanti campi lagrangiani. La scelta
naturale
r
F

che tra laltro avrebbe il pregio di introdurre solo campi osservabili


`e dunque esclusa, perche il tensore di Maxwell corrisponde non a otto, ma solo a sei
campi indipendenti, vale a dire

E e

B. Questa strada risulta quindi impraticabile si
veda in particolare il problema 3.9 e dobbiamo cercarne unaltra.
Una strategia alternativa consiste nel procedere come anticipato nel paragrafo 2.2.2.
Risolviamo, cio`e, lidentit`a di Bianchi attraverso,
F

,
86
e consideriamo come campi lagrangiani le componenti del quadripotenziale,

r
= A

, (3.26)
con r = = (0, 1, 2, 3). Secondo questa strategia il principio di minima azione dovrebbe
allora dare luogo alle equazioni di Maxwell,

= 0, (3.27)
come equazioni di EuleroLagrange associate a unopportuna lagrangiana L. Si noti che la
scelta dei quattro campi lagrangiani (3.26) `e ora consistente con il fatto che le equazioni
(3.27) sono quattro. Il problema si riduce allora a trovare una lagrangiana L(A, A),
polinomiale in A e A, tale che le equazioni di EuleroLagrange ad essa associate,

L
(

)

L
A

= 0, (3.28)
equivalgano alle (3.27).
La lagrangiana che cerchiamo dovr`a essere certamente un invariante relativistico. Per
di pi` u, dato che le (3.27) coinvolgendo solo F

sono gaugeinvarianti, essa dovr`a


essere altres` invariante sotto le trasformazioni di gauge,
A

= A

,
modulo quadridivergenze. Per quanto riguarda, invece, la corrente assumeremo solo che
essa sia conservata,

= 0, e che non dipenda da A

. Per individuare lo scalare L pro-


cediamo in modo euristico, sfruttando la struttura della (3.27). Il primo termine di questa
equazione `e lineare in A

, mentre il secondo ne `e indipendente. Corrispondentemente la


lagrangiana dovr`a contenere un termine quadratico in A

, L
1
, e uno lineare in A

, L
2
.
Considerata poi la forma particolare dei due termini nella (3.27), L
1
dovr`a contenere due
derivate, mentre L
2
dovr`a esserne privo.
Cerchiamo ora di determinare L
1
. Questo termine deve contenere le derivate del
quadripotenziale. Linvarianza di gauge richiede allora che esso dipenda da A

attraverso
il campo gaugeinvariante F

, e L
1
deve pertanto essere quadratico in questultimo. In
eetti abbiamo due invarianti quadratici a disposizione,
F

.
87
Tuttavia, grazie allidentit`a di Bianchi il secondo invariante corrisponde a una quadridi-
vergenza,

= 2

= 2

) 2A

)
= 2

) .
Linvariante

d`a quindi un contributo irrilevante alla lagrangiana


10
. L
1
deve
essere pertanto proporzionale a F

.
Consideriamo ora L
2
. Questo termine deve essere lineare in A

e coinvolgere la corrente
j

. Lunico scalare lineare in A

che possiamo formare con questi vettori `e L


2
A

.
Verichiamone linvarianza di gauge,
A

= A

= A

(j

= A

(j

),
dove abbiamo usato lequazione di continuit`a della corrente. Vediamo che L
2
`e in eetti
gauge invariante modulo una quadridivergenza.
Per ottenere lequazione di Maxwell con i coecienti corretti poniamo,
L = L
1
+L
2
=
1
4
F

. (3.29)
Verichiamo ora che con questa scelta per L le equazioni (3.28) corrispondono proprio
allequazione di Maxwell. Al termine
L
A
contribuisce solo L
2
,
L
A

= j

,
mentre alla derivata
L
(A)
contribuisce solo L
1
. Per determinarla `e conveniente calcolare
la variazione di L
1
per una variazione innitesima di A,
L
1
=
1
2
F

=
1
2
F

) = F

),
e quindi,
L
(

)
= F

. (3.30)
10

`e, in realt`a, uno pseudoscalare. Di conseguenza, anche se non fosse una quadridivergen-
za, contribuirebbe allequazione del moto con un termine pseudovettoriale, mentre lequazione di Maxwell
`e vettoriale.
88
In denitiva otteniamo,

L
(

)

L
A

+ j

= 0, (3.31)
che `e lequazione di Maxwell.
Il ruolo del potenziale vettore. Concludiamo questa deduzione con un commento sul
ruolo del potenziale vettore in Elettrodinamica, classica e quantistica. Come abbiamo
visto, a livello classico lequazione di Maxwell e lidentit`a di Bianchi sono formulate senza
nessun riferimento al potenziale vettore. Ma c`e di pi` u: come vedremo nel paragrafo 5.4.1,
queste equazioni possono essere anche risolte senza mai introdurre il potenziale vettore.
Nella teoria classica il potenziale vettore costituisce, dunque, solo un ausilio utile, ma
assolutamente dispensabile. Al contrario, se vogliamo far discendere le equazioni del
campo elettromagnetico da un principio variazionale, allora come abbiamo appena visto
lintroduzione del potenziale vettore risulta indispensabile. Daltra parte il principio
variazionale costituisce, a sua volta, il punto di partenza obbligatorio per la quantizzazione
di una qualsiasi teoria. Vediamo cos` che, mentre a livello classico luso del potenziale
vettore `e un optional, a livello quantistico la sua presenza `e inevitabile.
Al contrario, nelle altre interazioni fondamentali il potenziale vettore deve essere in-
trodotto gi`a a livello classico. Il motivo `e che in queste teorie al contrario dellElettro-
dinamica il mediatore, essendo carico, `e soggetto a unautointerazione, e si pu`o vedere
che lequazione del moto che descrive questultima coinvolge necessariamente il potenziale
vettore.
Sui mediatori delle interazioni deboli e forti. Terminiamo questo paragrafo con un com-
mento sulla struttura della lagrangiana (3.29), nel caso particolare di corrente nulla,
j

= 0. In questo caso lequazione (3.27) descrive il campo di Maxwell nel vuoto,


disaccoppiato da qualsiasi carica, ovvero, un campo libero. La lagrangiana,
L
1
=
1
4
F

,
descrive dunque un campo di gauge libero. Come abbiamo visto, la struttura di questa
lagrangiana `e essenzialmente determinata dai principi di invarianza relativistica e di inva-
rianza di gauge. Non stupisce allora che anche la propagazione libera dei mediatori delle
interazioni deboli e forti, che sono soggette agli stessi principi fondamentali, sia descritta
89
da lagrangiane completamente analoghe. Ai mediatori delle interazioni deboli Z
0
e W

sono associati rispettivamente il campo di gauge reale Z


0

, e i campi di gauge complessi


W

= (W

1
i W

2
), con i corrispondenti tensori di Maxwell,
F
0

Z
0

Z
0

, F

.
Analogamente agli otto mediatori delle interazioni forti sono associati i campi gluonici
A
I

, I = 1, , 8, con i relativi tensori di Maxwell,


F
I

A
I

A
I

.
La lagrangiana che descrive la propagazione libera di tutti questi campi `e allora data da,
L
0
=
1
4
_
F

+ F
0
F
0

+ F
+
F

+
8

I=1
F
I
F
I

_
.
Questa lagrangiana `e invariante sotto trasformazioni di Lorentz, sotto trasformazioni di
gauge di A

, nonche sotto le trasformazioni di gauge generalizzate,


W

, Z
0

Z
0

0
, A
I

A
I

I
. (3.32)
Linvarianza di gauge e le masse dei mediatori. Torniamo un attimo alla lagrangiana
libera del campo elettromagnetico
1
4
F

, che d`a luogo allequazione di Maxwell nel


vuoto

= 0. Sappiamo che questa equazione `e risolta dalle onde elettromagnetiche,


che si propagano con la velocit`a della luce. Corrispondentemente, i mediatori associati
i fotoni hanno massa nulla. Secondo la lagrangiana L
0
, che assegna a tutti i campi
vettoriali la stessa dinamica libera, tutti i mediatori dovrebbero, dunque, avere massa
nulla. Ma mentre i fotoni e i gluoni sono eettivamente particelle prive di massa, i
mediatori delle interazioni deboli sono, in realt`a, massivi. La lagrangiana L
0
deve allora
essere completata attraverso laggiunta di un termine L
m
, dipendente solo da W

e Z
0

, che
tenga conto delle masse m
W
e m
Z
di queste particelle. Si pu`o vedere che questo termine `e
dato dal polinomio del secondo ordine Lorentzinvariante, si veda anche il problema 3.1,
L
m
=
1
2
2
_
m
2
W
W
+

+ m
2
Z
Z
0

Z
0
_
, (3.33)
in cui la presenza della costante di Planck `e suggerita da motivi dimensionali. Daltro
canto si verica immediatamente che lespressione (3.33) non `e invariante sotto le trasfor-
mazioni di gauge (3.32): la lagrangiana totale L
0
+L
m
viola, quindi, queste fondamentali
90
simmetrie. Questo conitto tra linvarianza di gauge e il fatto che i mediatori delle in-
terazioni deboli sono massivi, ha ostruito a lungo la costruzione di una teoria di campo
consistente per le interazioni deboli. Il problema `e stato superato soltanto, quando si `e
scoperto che la rottura dellinvarianza di gauge non incia la consistenza interna di una
teoria, se essa avviene in modo spontaneo, ovvero, attraverso la condensazione di un
campo di Higgs. Per maggiori dettagli su questo argomento rimandiamo a un testo di
particelle elementari.
3.3 Il Teorema di Nother
Il teorema di Nother asserisce in generale che a ogni gruppo a un parametro di simmetrie
di un sistema sico corrisponde una grandezza conservata. La conservazione dellenergia,
ad esempio, `e legata allinvarianza per traslazioni temporali, mentre allinvarianza per
rotazioni spaziali corrisponde la conservazione del momento angolare.
Prima di proseguire specichiamo meglio cosa intendiamo nel contesto del teorema di
Nother con il concetto di invarianza. In primo luogo si potrebbe intendere linvarianza
delle equazioni del moto che governano la dinamica del sistema. Tuttavia, come abbiamo
gi`a avuto modo di osservare, questa richiesta risulta troppo debole, perche in generale
linvarianza delle equazioni del moto non `e suciente per garantire la presenza di costanti
del moto. Il teorema di Nother si basa, infatti, sulle ipotesi pi` u restrittive che,
1) le equazioni del moto discendano da un principio variazionale;
2) lazione associata sia invariante sotto il gruppo di simmetrie.
Come abbiamo visto, in teoria di campo lazione `e data a sua volta dallintegrale di
una lagrangiana,
I =
_
Ld
4
x.
Per le teorie di campo che considereremo linvarianza dellazione sar`a sempre conse-
guenza dellinvarianza della lagrangiana modulo eventualmente quadridivergenze e
dellinvarianza della misura di integrazione d
4
x
11
.
Unaltro aspetto importante peculiare del teorema di Nother in teoria di campo `e
11
Nel caso di simmetrie interne, per denizione le coordinate non cambiano, x

= x

d
4
x

= d
4
x.
Per trasformazioni di Poincare, invece, abbiamo x

+ a

d
4
x

= d
4
x|det | = d
4
x.
91
che esso comporta leggi di conservazione locali. Questo signica che si conserva non solo la
carica totale, ma che la sua conservazione `e conseguenza di unequazione di continuit`a.
Per ogni gruppo di simmetrie a un parametro il teorema implica, cio`e, lesistenza di
una quadricorrente J

a quadridivergenza nulla,

= 0. La variazione della carica


Q
V
=
_
V
J
0
d
3
x nel volume V `e allora necessariamente accompagnata da un usso di
carica attraverso il suo bordo,
dQ
V
dt
=
_
V

J d

.
In conclusione, in teoria di campo non `e possibile che la carica scompaia in un punto e
compaia simultaneamente in un altro punto, senza uire da un punto allaltro.
In teoria dei campi esiste una dimostrazione generale e semplice del teorema di Nother,
nel caso delle cosiddette simmetrie interne, cio`e, per simmetrie che non coinvolgono tra-
sformazioni dello spaziotempo, come ad esempio le trasformazioni di gauge. Al contrario,
il gruppo di Poincare origina proprio da trasformazioni dello spaziotempo, e per questo
gruppo di simmetrie la dimostrazione del teorema `e leggermente pi` u complicata. Tuttavia,
date limportanza concettuale e la rilevanza fenomenologica che esso ricopre, in questa
sezione dimostreremo il teorema di Nother per il gruppo di Poincare, in una generica teo-
ria di campo relativistica: il sottogruppo delle traslazioni costituisce un gruppo a quattro
parametri, a cui corrisponderanno quattro grandezze conservate, che identicheremo con
il quadrimomento totale P

, mentre il sottogruppo di Lorentz costituisce un gruppo a sei


parametri, a cui corrisponderanno altrettante grandezze conservate, che identicheremo
con il momento angolare totale L

.
3.3.1 Trasformazioni di Poincare innitesime
Per dimostrare il teorema di Nother sfrutteremo, in particolare, linvarianza della lagran-
giana sotto trasformazioni di Poincare innitesime. Ci serviranno allora le espressioni
esplicite delle variazioni dei campi sotto trasformazioni innitesime, vale a dire, valutate
al primo ordine nei parametri

e a

. Questo paragrafo preliminare `e dedicato al calcolo


di queste variazioni.
Finora abbiamo indicato linsieme dei campi lagrangiani genericamente con =
(
1
, ,
N
). Se una teoria `e relativistica, questi campi devono essere raggruppati in
92
multipletti, che formano tensori sotto trasformazioni di Poincare, per esempio, campi
scalari (x), campi vettoriali A

(x), campi tensoriali di rango due B

(x), etc.
`
E ovvio
che possono essere presenti anche pi` u campi dello stesso rango. Lindice r dellinsieme
{
r
}
N
r=1
indica allora tutte le componenti di tutti i multipletti.
Incominciamo ricordando la forma di una generica trasformazione di Poincare,
x

+ a

, (3.34)
dove la matrice di Lorentz `e data da, vedi paragrafo 1.4.1,

= (e

. (3.35)
Sotto questa trasformazione i singoli campi trasformano a seconda del loro rango tenso-
riale,

(x

) = (x), A

(x

) =

(x), B

(x

) =

(x), etc. (3.36)


Possiamo indicare queste trasformazioni complessivamente con,

r
(x

) = M
r
s

s
(x), (3.37)
per una qualche matrice N N M
r
s
, indipendente da x. Si noti in particolare che queste
trasformazioni sono lineari nei campi
r
.
Possiamo allora denire due tipi di variazioni per i campi: le variazioni totali
r
,
e le variazioni in forma
r
,

r
(x

)
r
(x) (3.38)

r
(x)
r
(x). (3.39)
Passiamo ora alla valutazione esplicita di queste variazioni, per trasformazioni di Poincare
innitesime. Queste ultime sono composte da trasformazioni di Lorentz innitesime,

,
e da traslazioni innitesime. Per le coordinate otteniamo le trasformazioni innitesime,
x

= x

= (

)x

+ a

= a

. (3.40)
93
Usando le (3.36) troviamo allora le seguenti trasformazioni totali innitesime,
=

(x

) (x) = 0,
A

= (

)A

(x) A

(x) =

(x),
B

= (

)(

)B

(x) B

(x) =

(x) +

(x).
Da questi esempi si capisce che le generiche variazioni
r
sono lineari nei parametri

,
e nei campi stessi, si veda anche la (3.37). Possiamo allora scrivere la parametrizzazione
generale,

r
=
1
2

r
s

s
, (3.41)
dove le quantit`a

r
s
sono antisimmetriche in e
12
,

r
s
=

r
s
,
e la sommatoria su s `e sottintesa. Le espressioni esplicite di queste quantit`a si leggono
facilmente dalle variazioni totali innitesime dei campi, calcolate sopra. Per esempio, per
il campo scalare si ha semplicemente

1
1
= 0, mentre per il campo vettoriale A


r
si ha,

r
s
=

s
. (3.42)
Calcoliamo ora la versione innitesima delle variazioni in forma. Aggiungendo e to-
gliendo nella (3.39) lo stesso termine, e usando la (3.41), al primo ordine in

e a

si
ottiene,

r
=

r
(x)

r
(x

) +

r
(x

)
r
(x)
=

r
(x)

r
(x + x) +
r
= x

r
+
r
= x

r
+
r
= x

r
+
1
2

r
s

s
, (3.43)
dove nella penultima riga abbiamo tenuto conto che la dierenza tra
r
e

r
`e del primo
ordine in

e a

.
12
Nella (3.41) gli indici e di

r
s
sono contratti con la coppia antisimmetrica di

. Pertanto
comunque solo la parte antisimmetrica in e di

r
s
contribuisce a

r
s
.
94
3.3.2 Teorema di Nother per il gruppo di Poincare
In una teoria di campo classica il teorema di Nother riferito al gruppo di Poincare si
enuncia come segue.
Teorema di Nother. Sia data una teoria di campo la cui dinamica discende dallazione,
I =
_
d
4
x L, per unopportuna lagrangiana L. In tale teoria, se L `e invariante per
traslazioni si conserva il quadrimomento, il tensore energiaimpulso essendo dato dalla
(3.49), mentre, se L `e invariante per trasformazioni di Lorentz si conserva il momento
angolare quadridimensionale, il tensore densit`a di momento angolare essendo dato dalla
(3.50). Queste leggi di conservazione locali sono valide, purche i campi soddisno le
equazioni di EuleroLagrange (3.7). 2
Per comprendere meglio il signicato dellinvarianza per traslazioni di L, consideriamo
una classe di lagrangiane leggermente pi` u generali di quelle considerate nora, ovvero,
lagrangiane del tipo,
L((x), (x), x). (3.44)
Ammettiamo, cio`e, che L esibisca anche una generica dipendenza esplicita da x. Eseguia-
mo ora una generica traslazione x

= x + a, per cui

r
(x

) =
r
(x). Per la lagrangiana
traslata si ottiene allora,
L(

(x

),

(x

), x

) = L((x), (x), x + a).


Essa uguaglia dunque L((x), (x), x), solo se L non dipende esplicitamente da x. Ve-
diamo, quindi, che una lagrangiana `e invariante per traslazioni, se e sole se essa non
esibisce una dipendenza esplicita da x.
Dimostrazione. Il primo passo nella dimostrazione del teorema di Nother consiste nel
valutare la variazione della lagrangiana per unarbitraria trasformazione nita di Poincare,
vedi (3.34) e (3.36),
L L(

(x

),

(x

), x

) L((x), (x), x). (3.45)


Per ogni x ssato questa espressione `e una funzione dei parametri

e a

, e come tale
pu`o essere sviluppata in serie di Taylor attorno ai valori

= 0 = a

. Dato che L si
95
annulla per valori nulli dei parametri, otteniamo uno sviluppo del tipo,
L = L + o(

, a

)
2
,
dove con L, la variazione innitesima della lagrangiana, abbiamo indicato i termini di
L lineari in

e a

. Se L `e invariante sotto lazione del gruppo di Poincare, abbiamo


che L = 0 identicamente, ovvero

, a

, e per il teorema sullidentit`a delle serie di


potenze ne segue che L = 0,

, a

. Sfruttando questultima identit`a, e assumendo


la validit`a delle equazioni di EuleroLagrange, concluderemo che le quadridivergenze di
certi tensori sono nulle.
Secondo questa strategia dobbiamo, dunque, trovare unespressione esplicita per L.
A questo scopo `e conveniente aggiungere e sottrarre da L lo stesso termine, e valutare
poi lespressione risultante tenendo solo i termini lineari nei parametri,
L = [L(

(x

),

(x

), x

) L(

(x),

(x), x)]
lin
+ [L(

(x),

(x), x) L((x), (x), x)]


lin
.
I due termini della prima riga dieriscono tra di loro per la sostituzione x x

= x +x,
mentre i due termini della seconda riga dieriscono per la sostituzione
r

r
=
r
+
r
,
dove
r
indica la variazione in forma (3.39). Tenendo conto che

= 0,
vedi (3.40), e denendo i momenti coniugati,

r
=
L
(

r
)
, (3.46)
si ottiene allora,
L = x

L +
r
L

r
+

r

r
=

(x

L) +
r
_
L

r
_
+

(
r

r
)
=

[x

L +
r

r
] +
r
_
L

r
_
, (3.47)
dove la sommatoria su r `e sottintesa. Valutiamo ora il termine tra parentesi quadre nella
(3.47), usando per la variazione in forma dei campi la (3.43),
x

L +
r

r
= x

L
r

r
) +
1
2

r

r
s

s
. (3.48)
96
Prima di procedere deniamo il tensore energiaimpulso canonico,

=
r

L, (3.49)
e il tensore densit`a di momento angolare canonico,

= x

+
r

r
s

s
,

M

. (3.50)
Usando queste denizioni e la (3.40), la (3.48) diventa,
x

L +
r

r
= (a

+
1
2

r

r
s

s
= a

+
1
2

. (3.51)
Per la variazione di L sotto una generica trasformazione di Poincare innitesima, ottenia-
mo cos` il seguente risultato,
L = a

+
1
2

+
r
_
L

r
_
. (3.52)
Supponiamo ora, per esempio, che la lagrangiana sia invariante per il sottogruppo a
un parametro del gruppo di Poincare, costituito dalle traslazioni del tempo,
t

= t + a
0
, x

= x.
Come visto sopra, ci`o equivale allassunzione che L non dipenda esplicitamente da t. In
questo caso abbiamo,
L = 0, per a
i
= 0 =

, a
0
arbitrario.
Se in pi` u imponiamo che i campi soddisno le equazioni di EuleroLagrange,

r
= 0,
allora dalla (3.52) si ricava,
0 = a
0

T
0
= 0, a
0

T
0
= 0.
Abbiamo, dunque, ottenuto lequazione di continuit`a per lenergia. In particolare, dalla
(3.49) si ottiene per lenergia totale lespressione esplicita, vedi (3.46),
=
_

T
00
d
3
x =
_ _
L

r

r
L
_
d
3
x.
97
Si noti come questa formula ricorda molto da vicino lespressione analoga per lenergia in
meccanica classica,
E =

n
L
q
n
q
n
L.
Allo stesso modo dalla (3.52) si deduce che a ciascuno dei dieci parametri (a

)
corrisponde una corrente a quadridivergenza nulla, e una grandezza localmente conservata,
se la lagrangiana `e invariante sotto il corrispondente gruppo a un paramentro: ad a
0
(traslazioni del tempo) corrisponde la conservazione locale dellenergia, ad a
1
(traslazioni
lungo lasse x) quella della componente x della quantit`a di moto, ad
12
(rotazioni attorno
allasse z) quella della componente z del momento angolare, ad
01
(trasformazioni di
Lorentz speciali lungo lasse x) quella della componente x del boost, e via di seguito.
In partciolare, se la lagrangiana `e invariante sotto lintero gruppo delle traslazioni, si
conserva localmente il quadrimomento, mentre se essa `e invariante sotto lintero gruppo
di Lorentz, allora si conserva localmente il momento angolare quadridimensionale. Con
ci`o il teorema risulta dimostrato.
In particolare, se L `e invariante sotto lintero gruppo di Poincare, dalla (3.52) ottenia-
mo,
a

+
1
2

= 0, a

,
e quindi,

= 0,

= 0.
In questo caso abbiamo dieci costanti del moto, raggruppate nel quadrimomento e nel
momento angolare quadridimensionale,

=
_

T
0
d
3
x,

L

=
_

M
0
d
3
x.
Insistiamo sul fatto che queste leggi di conservazione sono valide, purche i campi soddisno
le equazioni del moto di EuleroLagrange.
Per enfatizzare la portata di questo teorema ricordiamo che le teorie che descrivono
le quattro interazioni fondamentali soddisfano il principio di relativit`a einsteiniana, e che
sono formulate in termini di un principio variazionale: per queste teorie il teorema di
Nother assicura allora che la conservazione del quadrimomento e del momento angolare `e
automatica.
98
Sulle densit`a di corrente canoniche. Concludiamo questo paragrafo con qualche com-
mento sulla struttura delle correnti canoniche (3.49) e (3.50). Come prima cosa notiamo
che il tensore energiaimpulso canonico in generale non `e simmetrico,

T

=

T

. In Rela-
tivit`a Ristretta questa circostanza, di per se, non costituisce nessun problema. Viceversa,
si pu`o vedere che lesistenza di un tensore energiaimpulso simmetrico `e una condizione
irrinunciabile, se si vuole accoppiare una teoria di campo alla gravit`a secondo i postulati
della Relativit`a Generale
13
. Come seconda cosa facciamo notare che lespressione (3.50)
della densit`a di momento angolare canonico non `e standard, nel senso che non `e della
semplice forma M

. Viceversa, il tensore M

non pu`o essere iden-


ticato con la densit`a di momento angolare, perche non soddisfa lequazione di continuit`a.
In realt`a, le due anomalie riguardanti

T

e

M

sono legate tra di loro. Infatti, la


divergenza di M

uguaglia proprio la parte antisimmetrica del tensore energiaimpulso


canonico,

_
x

_
=

=

T

.
Facciamo comunque notare che

M

si riduce a M

, se le quantit`a

r
s
nella (3.50)
svaniscono. Ma questo succede solo se i campi della teoria sono tutti campi scalari.
In questultimo caso, daltro canto, non `e dicile dimostrare che

T

`e eettivamente
simmetrico, vedi problema 3.6.
In conclusione, per quanto riguarda la densit`a di momento angolare, lanomalia appena
discussa non costituisce un problema di tipo concettuale, ma solo di naturalezza. Al
contrario, qualore non fosse possibile trovare un tensore energiaimpulso simmetrico, la
teoria di campo sarebbe incompatibile con linterazione gravitazionale. Questo problema
verr`a arontato e risolto, in tutta generalit`a, nelle sezioni 3.4 e 3.5.
3.3.3 Tensore energiaimpulso canonico per il campo di Maxwell
In questo paragrafo esemplichiamo la derivazione del tensore energiaimpulso canonico
(3.49), nel caso semplice di un campo di Maxwell libero, j

= 0. La dinamica di questo
13
Le equazioni di Einstein eguagliano un opportuno tensore doppio simmetrico, formato con la metrica
g

(x) e le sue derivate, al tensore energiaimpulso. Queste equazioni sarebbero quindi inconsistenti, se
questultimo non fosse simmetrico.
99
campo `e governata dalla lagrangiana, vedi (3.29),
L
1
=
1
4
F

, (3.53)
con lidenticazione
r
A

. I momenti coniugati sono stati determinati in (3.30),

=
L
1
(

)
= F

. (3.54)
Il tensore energiaimpulso canonico si legge allora direttamente dalla (3.49),

em
=

L
1
= F

+
1
4

. (3.55)
Come si vede, questo tensore `e aetto da due patologie: non e simmetrico, ma non `e
nemmeno gaugeinvariante. Aronteremo questi problemi nel paragrafo 3.4.1.
3.4 Costruzione di un tensore energiaimpulso simmetrico
In questa sezione faremo vedere che in una teoria di campo lagrangiana invariante sot-
to trasformazioni di Poincare, `e sempre possibile costruire un tensore energiaimpulso
simmetrico, la costruzione essendo canonica.
La costruzione si basa sul fatto che il tensore energiaimpulso di una teoria in realt`a
non `e denito univocamente. Consideriamo, infatti, un generico tensore di rango tre

, che sia antisimmetrico nei primi due indici,

.
Allora a partire da

T

possiamo denire un nuovo tensore energiaimpulso T

, ponendo,
T

=

T

. (3.56)
Il tensore cos` modicato gode, infatti, delle seguenti due propriet`a:
1)

= 0,
2) P

_
T
0
d
3
x =

P

.
T

`e dunque conservato, come lo `e



T

, e d`a luogo allo stesso quadrimomento totale di

. Per dimostrare la prima propriet`a calcoliamo,

= 0.
100
Il primo termine al membro di destra si annulla perche

T

per ipotesi soddisfa lequazione


di continuit`a, mentre il secondo termine si annulla perche in

una coppia di indici


antisimmmetrici contrae una coppia di indici simmetrici. Per dimostrare la propriet`a 2)
calcoliamo,
P

=
_
_
T
0


T
0
_
d
3
x =
_

0
d
3
x =
_

i

i0
d
3
x =
_

i0
d
i
= 0, (3.57)
dove abbiamo sfruttato il fatto che
00
= 0, come conseguenza dellantisimmetria di

nei primi due indici. Nellultimo passaggio abbiamo applicato il teorema di Gauss, con

supercie chiusa allinnito spaziale, e abbiamo inoltre supposto che

decada allin-
nito pi` u rapidamente di 1/r
2
. La propriet`a 2) assicura in particolare che lhamiltoniana
del sistema, rappresentata dalla componente P
0
, non dipende dal tensore energiaimpulso
che si considera.
T

pu`o, dunque, essere riguardato come tensore energiaimpulso della teoria alla
stessa stregua di

T

. Sfruttando questa libert`a di scelta dimostreremo ora il seguente


teorema.
Teorema. Si consideri una teoria di campo la cui dinamica discende da una lagrangiana
L, che sia invariante sotto lazione del gruppo di Poincare. Allora il tensore energia
impulso T

dato in (3.56) risulta simmetrico, se per

si sceglie il tensore denito


dalle (3.61), (3.58). 2
Dimostrazione. Dato che per ipotesi la lagrangiana `e invariante sotto trasformazioni
dellintero gruppo di Poincare, possiamo servirci del teorema di Nother e ricorrere ai
tensori

T

e

M

, a quadridivergenza nulla, deniti in (3.49) e (3.50). Riprendiamo in


particolare lespressione per la densit`a di momento angolare,

= x

+ V

, V


r

r
s

s
, (3.58)
dove abbiamo introdotto il tensore V

antisimmetrico negli ultimi due indici,
V

= V

.
Sfruttando il fatto che

M

e

T

sono tensori a quadridivergenza nulla, si ottiene,


0 =

V

, (3.59)
101
ovverosia, cambiando di nome agli indici,

V

=

T

. (3.60)
Il tensore

V

eguaglia, dunque, proprio la parte antisimmetrica di

T

. Tuttavia, non
possiamo identicare V

direttamente con

, perche il primo non `e antisimmetrico


in e . Se poniamo, invece,

=
1
2
(V

V

V

) , (3.61)
possiamo vericare che questo tensore gode delle seguenti propriet`a:
I)

,
II)

=
1
2
_

1
2

(V

+ V

).
La propriet`a I), che assicura che

d`a luogo a una modica consistente di



T

, discende
direttamente dalla denizione (3.61), e dallantisimmetria di V

negli ultimi due indici.
La propriet`a II) `e conseguenza delle (3.60), (3.61),

=
1
2
(

V

) =
1
2
_

1
2

(V

+ V

) .
Possiamo ora determinare il tensore energiaimpulso (3.56), usando la relazione II),
T

=

T

=
1
2
_

+

T

1
2

(V

+ V

) . (3.62)
Come si vede, questa espressione `e manifestamente simmetrica in e , e il teorema
risulta pertanto dimostrato. Sfruttando lantisimmetria di V

negli ultimi due indici,
e usando la nostra convenzione sulla simmetrizzazione dei tensori, possiamo riscrivere
questo risultato anche come,
T

=

T
()
+

V
()
,

= 0. (3.63)
Abbiamo quindi dato una dimostrazione costruttiva dellesistenza di un tensore energia
impulso a quadridivergenza nulla e simmetrico, che d`a luogo allo stesso quadrimomento
totale del tensore energiaimpulso canonico. Facciamo, per`o, notare che il quadrimo-
mento P

V
contenuto in un volume nito V , dipende dal tensore energiaimpulso che si
considera. Tuttavia, questo quadrimomento non ha carattere tensoriale, cio`e, P

V
non `e
un quadrivettore.
102
Dalla dimostrazione appena svolta traiamo, inoltre, le seguenti conclusioni. Lesistenza
di un tensore energiaimpulso conservato richiede soltanto linvarianza per traslazioni di
una teoria, mentre lesistenza di un tensore energiaimpulso conservato e simmetrico
richiede, in pi` u, che essa sia invariante sotto trasformazioni di Lorentz. Infatti, nella
nostra costruzione di

era essenziale lequazione di continuit`a

= 0, vedi (3.59)
e (3.60), che a sua volta discende dallinvarianza di Lorentz via il teorema di Nother.
Il gruppo di Poincare e la Relativit`a Generale. Concludiamo questa sezione con una
considerazione sul doppio ruolo dellinvarianza di Poincare nellinterazione gravitazionale.
In primo luogo menzioniamo il fatto che, in base al Principio di Equivalenza, qualsiasi
teoria invariante sotto trasformazioni del gruppo di Poincare, nellambito della Relativit`a
Generale ammette un cosiddetto accoppiamento minimale consistente con un campo
gravitazionale esterno. In secondo luogo ricordiamo che la consistenza delle equazioni
di Einstein, che governano la dinamica del campo gravitazionale, necessita del tensore
energiaimpulso simmetrico (3.62) la cui esistenza `e assicurata, a sua volta, dallinva-
rianza di Poincare. Vediamo allora che la consistenza dellinterazione gravitazionale di un
sistema sico bench`e coinvolga un gruppo di simmetrie pi` u ampio del gruppo di Poin-
care, ovvero, il gruppo dei dieomorsmi
14
`e garantita in ultima analisi dallinvarianza
di Poincare del sistema in assenza di interazione gravitazionale. Limportanza di questa
invarianza sta anche in questo: oltre ad assicurare la covarianza delle equazioni del mo-
to e la conservazione delle grandezze siche fondamentali, essa garantisce la consistenza
interna della Relativit`a Generale.
3.4.1 Tensore energiaimpulso simmetrico per il campo di Maxwell
A titolo di esempio determiniamo il tensore energiaimpulso simmetrico per il campo
di Maxwell libero. La lagrangiana di questo sistema `e data in (3.53), e lequazione di
EuleroLagrange associata `e lequazione di Maxwell nel vuoto,

= 0. (3.64)
14
Un dieomorsmo `e una generica trasformazione di coordinate x

(x), invertibile e di classe C

insieme alla sua inversa. I dieomorsmi costituiscono, quindi, una generalizzazione delle trasformazioni
di Poincare x

(x) =

+ a

.
103
Il tensore energiaimpulso canonico associato a questa lagrangiana `e stato determinato
nella (3.55),

em
= F

+
1
4

.
Denotando i campi di gauge indistintamente con A
r
o A

, ricordiamo anche la forma dei


momenti coniugati (3.54), e delle matrici

r
s
per un campo vettoriale, vedi (3.42),

r
= F
r
,

r
s
=

s
.
Calcoliamo dapprima il tensore V

, antisimmetrico in e ,
V


r

r
s
A
s
= F

+ F

. (3.65)
Determiniamo poi il tensore

in (3.61), antisimmetrico in e , vedi problema 3.7,

= F

. (3.66)
Per la sua divergenza si ottiene allora,

= F

,
dove abbiamo utilizzato lequazione di EuleroLagrange (3.64). Il nuovo tensore energia
impulso risulta in denitiva,
T

em
=

T

em
+

= F

) +
1
4

= F

+
1
4

,
che `e gauge invariante, oltre che simmetrico, ed in perfetto accordo con la (2.78).
3.5 Densit`a di momento angolare standard
Concludiamo questo capitolo dimostrando il seguente teorema.
Teorema. In una teoria di campo basata su una lagrangiana L invariante sotto il gruppo
di Poincare, esiste una densit`a di momento angolare M

standard, vale a dire, legata


al tensore energiaimpulso simmetrico (3.62) dalla semplice relazione,
M

= x

. 2 (3.67)
104
La dimostrazione del teorema segue una strategia molto simile a quella usata nel
paragrafo 3.4 per dimostrare lesistenza di un tensore energiaimpulso simmetrico: sfrut-
teremo il fatto che la densit`a di momento angolare `e determinata a meno della quadridi-
vergenza di un tensore

, con opportune propriet`a di antisimmetria. Pi` u precisamen-


te, supporremo che esso sia antisimmetrico nella prima coppia di indici, oltre che nella
seconda,

. (3.68)
Dato che L `e Lorentzinvariante, il teorema di Nother assicura comunque lesistenza del
tensore conservato

M

, e possiamo allora denire il tensore modicato,


M

. (3.69)
Questo tensore gode delle propriet`a:
1) M

= M

,
2)

= 0,
3) L

_
M
0
d
3
x =

L

.
La propriet`a 1) segue dallantisimmetria di

nella seconda coppia di indici. La 2) si


dimostra valutando la divergenza,

= 0.
Il primo termine si annulla perche

M

soddisfa lequazione di continuit`a, mentre il


secondo si annulla perche una coppia di indici simmetrici contrae una coppia di indici
antisimmmetrici. Per dimostrare la 3) valutiamo la dierenza,
L

=
_
_
M
0


M
0
_
d
3
x =
_

0
d
3
x =
_

i

i0
d
3
x =
_

i0
d
i
= 0.
Abbiamo sfruttato il fatto che
00
= 0, grazie allantisimmetria di

nella prima
coppia di indici, e supposto che

si annulli allinnito con suciente rapidit`a. M

`e dunque conservato, e d`a luogo allo stesso momento angolare totale di



M

.
Dimostrazione. Per dimostrare il teorema `e suciente individuare un tensore

con le propriet`a di antisimmetria richieste, tale che il membro di destra della (3.69) si
105
riduca al membro di destra della (3.67). Iniziamo ricordando la denizione della densit`a
canonica di momento angolare,

= x

+ V

, V


r

r
s

s
, (3.70)
e la relazione tra il tensore energiaimpulso canonico e quello simmetrico,
T

=

T

1
2
(V

V

V

) . (3.71)
Sostituendo nella (3.70)

T

con T

, otteniamo,

= x

+ x

+ V

= x

_
x

_
+

+ V

= x

_
x

_
. (3.72)
Nellultimo passaggio abbiamo usato la denizione di

riportata in (3.71), che com-


porta lidentit`a,

= V

.
Ponendo,

, (3.73)
la (3.72) si scrive in denitiva,

= x

.
Dato che il tensore

in (3.73) per costruzione soddisfa le (3.68), il teorema `e pertanto


dimostrato.
3.6 Problemi
3.1 Si consideri un campo scalare reale , descrivente una particella neutra, di spin 0 e
massa m, con lagrangiana,
L =
1
2
_

m
2

2
_


4!

4
,
dove m e sono costanti reali.
a) Si scrivano le equazioni di EuleroLagrange associate a L.
106
b) Si verichi esplicitamente che tali equazioni sono equivalenti alla richiesta di stazio-
nariet`a dellazione I =
_
t
2
t
1
Ld
4
x, per variazioni generiche del campo , purche nulle in
t = t
1
e t = t
2
.
3.2 Si consideri un campo scalare complesso =
1
+ i
2
, descrivente una particella
carica, di spin 0 e massa m, con lagrangiana,
L =

m
2



4
(

)
2
,
dove m e sono costanti reali.
a) Si scrivano le equazioni di EuleroLagrange associate a L. [Sugg.: si considerino e

come campi indipendenti.]


b) Si dica per quali valori di e m le equazioni del moto per
1
e
2
risultano disaccoppiate
tra di loro.
3.3 Si consideri lazione,
I =
_
t
2
t
1
Ld
4
x,
con L data in (3.29).
a) Si determini la variazione di I per variazioni generiche di A

.
b) Si verichi che la variazione di I `e nulla per variazioni arbitrarie di A

, purche nulle
in t = t
1
e t = t
2
, se e solo se A

soddisfa lequazione di Maxwell.


3.4 Si consideri la lagrangiana per il campo reale scalare data nel problema 3.1.
a) Si derivi il tensore energiaimpulso canonico, analizzandone le propriet`a di simmetria.
b) Si scriva lespressione esplicita della densit`a di energia e dellenergia totale del sistema.
Si dica per quali valori di m e lenergia `e denita positiva.
3.5 Si verichi che il tensore energiaimpulso canonico del campo di Maxwell libero,
dato in (3.55), ha quadridivergenza nulla.
3.6 Si dimostri che in una teoria di campo di soli campi scalari il tensore energiaimpulso
canonico `e simmetrico. [Sugg.: per linvarianza di Lorentz la lagrangiana pu`o dipendere
da

r
solo attraverso la matrice M
rs
=

s
, simmetrica in r e s.]
107
3.7 Si verichi che per un campo di Maxwell libero il tensore

ha la forma data in
(3.66).
3.8 Si determini la densit`a di momento angolare canonico

M

per un campo di Max-


well libero. Si verichi che il tensore

M

, con

dato in (3.73), risulta


uguale a x

em
x

em
.
3.9 Si consideri una teoria di campo descritta dai sei campi lagrangiani {

E,

B},
con lagrangiana,
L =

E

B
t
+
1
2
_


E +

B


B
_

j

B,
dove

j `e un campo esterno indipendente da

E e

B. Si confrontino le equazioni del moto
associate a questa lagrangiana con le equazioni di Maxwell (2.31)(2.34).
3.10 Si consideri la lagrangiana L del campo complesso del problema 3.2.
a) Si verichi che L `e invariante sotto il gruppo a un parametro di trasformazioni di
gauge globali,

(x) = e
i
(x),

(x) = e
i

(x), R,
con indipendente da x. Linsieme delle fasi {e
i
, R} forma, infatti, un gruppo
unitario, che comunemente viene indicato con U(1).
b) Si dimostri che sotto una generica variazione innitesima + si ha,
L =
_
L

L
(

)
_
+ c.c. +

_
L
(

)

_
+ c.c.
c) Si dimostri il teorema di Nother relativo al gruppo di simmetria di cui al punto a), de-
terminando la forma esplicita della corrente J

associata. [Sugg.: per una trasformazione


innitesima si ha =

= i.]
d) Si verichi esplicitamente che la corrente J

`e conservata, se il campo soddisfa le


equazioni di EuleroLagrange determinate nel problema 3.2.
108
4 Il metodo variazionale in Elettrodinamica
In questa sezione estendiamo il metodo variazionale al caso dellElettrodinamica. Questa
teoria costituisce una teoria di campo con un campo vettoriale A

, in interazione con
un sistema di particelle cariche.
4.1 Lazione per la particella libera
Prima di considerare il sistema accoppiato, deduciamo la forma dellazione per una parti-
cella relativistica libera. La richiesta di stazionariet`a di questa azione dovrebbe, dunque,
dare luogo allequazione del moto della particella libera,
dp

ds
= 0. (4.1)
Si tratta in sostanza di trovare la generalizzazione relativistica dellazione newtoniana per
la particella libera,
I
0
[y] =
_
t
b
ta
_
1
2
mv
2
_
dt, (4.2)
le cui variabili lagrangiane sono le coordinate y(t). Come abbiamo visto, il primo passo
nella formulazione di un principio variazionale consiste nella scelta delle variabili lagran-
giane. In questo caso stiamo cercando unazione relativistica, e le coordinate lagrangiane
appropriate non sono allora le y(t), ma le quattro funzioni,
y

(),
che parametrizzano una generica linea di universo. Conseguentemente lazione I[y] che
stiamo cercando dovr`a essere invariante non solo sotto trasformazioni di Poincare, ma
anche sotto riparametrizzazioni, poiche tale `e lequazione del moto (4.1).
Come primo passo nella covariantizzazione di I
0
sostituiamo la misura dt con la misura
invariante, sia per Poincare che per riparametrizzazione,
ds =
_
dy

d
dy

d
d,
che nel limite non relativistico si riduce in eetti a dt. Lazione che stiamo cercando dovr`a
dunque avere la forma,
I[y] =
_
b
a
l(y, y) ds,
109
per unopportuna lagrangiana invariante l. In questa espressione a e b indicano gli estremi
del tratto di linea di universo considerato, e abbiamo introdotto la notazione che verr`a
adottata solo in questo capitolo
y

=
dy

d
.
A questo punto facciamo notare che, al contrario delle velocit`a y

, le coordinate y

in realt`a non hanno carattere tensoriale, perche sotto traslazioni non sono invarianti.
Di conseguenza l non pu`o dipendere dalle y

, ma solo dalle y

. Daltra parte, lunico


quadriscalare indipendente che possiamo formare con le y

`e la grandezza,
y

,
che, per`o, non `e invariante sotto riparametrizzazioni. Concludiamo pertanto che l de-
ve essere indipendente anche dalle y

, e quindi una costante. Per lazione relativistica


otteniamo allora lespressione,
I[y] = l
_
b
a
ds, (4.3)
che dal punto di vista geometrico corrisponde alla lunghezza del tratto della linea di
universo compreso tra a e b. Per determinare, inne, la costante l imponiamo che nel
limite non relativistico, v 1, questa azione si riduca a I
0
. Per fare questo eseguiamo lo
sviluppo non relativistico dellelemento di linea ds,
ds =

1 v
2
dt =
_
1
v
2
2
+ o(v
4
)
_
dt.
Inserendo questa espressione nella (4.3) e arrestandoci al termine quadratico otteniamo
allora,
I[y] = l(t
a
t
b
)
_
t
b
ta
_
l
2
v
2
_
dt.
Il primo termine `e indipendente dalle variabili dinamiche ed `e quindi irrilevante. Il secondo
si riduce in eetti a I
0
, se poniamo l = m. Otteniamo quindi per lazione relativistica
di una particella libera,
I[y] = m
_
b
a
ds = m
_
b
a
_
dy

d
dy

d
d. (4.4)
110
Ci possiamo ora domandare quali sono le linee di universo che rendono stazionaria
questa azione, per variazioni generiche delle coordinate
15
,
y

() = y

() y

(),
purche nulle ai bordi,
y

(a) = 0 = y

(b). (4.5)
Non `e dicile dimostrare che le linee di universo in questione sono esattamente quelle
che soddisfano le (4.1). Per farlo vedere calcoliamo la variazione dellazione (4.4) per
variazioni generiche delle coordinate,
I = m
_
b
a
1
2
_
dy

d
dy
d

_
dy

d
dy

d
_
d = m
_
b
a
1
_
dy

d
dy
d
_
dy

d
d y

d
_
d.
Usando le relazioni,
_
dy

d
dy

d
=
ds
d
, p

= m
dy

ds
,
otteniamo,
I =
_
b
a
p

d y

ds
ds,
e integrando per parti arriviamo poi a,
I = p

b
a
+
_
b
a
dp

ds
y

ds.
Grazie alle condizioni al bordo (4.5) il primo termine al membro di destra si annulla.
Richiedendo che lazione sia stazionaria per variazioni y

altrimenti arbitrarie, otteniamo


allora la condizione di stazionariet`a,
dp

ds
= 0, c.v.d.
15
In alternativa, lazione di una particella relativistica potrebbe essere considerata anche come funzio-
nale delle variabili lagrangiane y(t), al posto delle y

(). In questo caso si otterrebbero equazioni del


moto completamente equivalenti, ma non in forma covariante a vista.
`
E facile vedere che nel caso della
particella libera, per esempio, dalla (4.4) si otterrebbe lequazione d p/dt = 0, al posto di dp

/ds = 0.
111
4.2 Lazione per lElettrodinamica
In questa sezione consideriamo un generico sistema di particelle cariche, in interazione
con il campo elettromagnetico. Se introduciamo, come al solito, un potenziale vettore A

e deniamo,
F

,
allora le equazione del moto del sistema sono lequazione di Maxwell (2.14) per il potenziale
vettore, e le equazioni di Lorentz (2.12) per le particelle. In questa sezione rideriveremo
queste equazioni da un principio variazionale. Useremo poi il teorema di Nother applicato
al gruppo di Poincare per riottenere le note leggi di conservazione. Confermeremo, in
particolare, le espressioni delle correnti (2.78), (2.79) e (2.95), derivate precedentemente
in modo euristico.
Punto di partenza deve essere unazione I[A, y
r
] funzionale del campo elettroma-
gnetico A

(x) e delle linee di universo y

r
(
r
) delle particelle che sia invariante sotto
trasformazioni di Poincare. Abbiamo gi`a dedotto lequazione di Maxwell da un principio
variazionale a partire dalla lagrangiana (3.29), e conosciamo, inoltre, lazione (4.4) per
una particella libera. Per lazione del sistema interagente viene allora naturale ipotizzare
lespressione,
I[A, y
r
] =
1
4
_

b
a
F

d
4
x
_

b
a
A

d
4
x

r
m
r
_
br
ar
ds
r
= I
1
+ I
2
+ I
3
. (4.6)
In questa espressione gli integrali quadridimensionali sono eseguiti tra due ipersuperci
di tipo spazio
a
e
b
non intersecantesi, mentre a
r
e b
r
sono rispettivamente i punti
dintersezione della linea di universo resima con
a
e
b
16
. Interpretiamo I
1
come la
parte dellazione che descrive la propagazione libera di A

, I
3
come la parte che descrive il
moto libero delle cariche, e I
2
come la parte che descrive linterazione tra particelle cariche
e campo elettromagnetico. La giusticazione ultima di questa azione deriva, ovviamente,
dal fatto che essa d`a luogo alle equazioni del moto desiderate, come faremo vedere di
seguito.
Per impostare il problema variazionale `e conveniente riscrivere lazione in una forma
16
Ogni linea di universo
r
interseca le ipersuperci
a,b
ununica volta, perche la prima `e di tipo
tempo, mentre le seconde sono di tipo spazio.
112
diversa. Inserendo la denizione della corrente riscriviamo il termine di interazione come,
I
2
=
_

b
a
A

(x)

r
e
r
_

4
(x y
r
) dy

r
d
4
x =

r
e
r
_
br
ar
A

(y
r
) dy

r
. (4.7)
Come nella sezione precedente introduciamo poi per le derivate delle variabili lagrangiane
y

r
(
r
) la notazione abbreviata,
y

r
=
dy

r
d
r
.
Usando la (4.4) e la (4.7) `e allora immediato ottenere,
I
2
+ I
3
=

r
_
br
ar
_
m
r
ds
r
+ e
r
A

(y
r
) dy

r
_
(4.8)
=

r
_
br
ar
_
m
r
_
y

r
y
r
+ e
r
A

(y
r
) y

r
_
d
r
(4.9)
=

r
_
br
ar
L
r
(y
r
, y
r
) d
r
, (4.10)
dove abbiamo denito le Lagrangiane ordinarie,
L
r
(y
r
, y
r
) = m
r
_
y

r
y
r
e
r
A

(y
r
) y

r
. (4.11)
Dalle formule scritte si vede anche che lazione totale pu`o essere posta nella forma,
I =
_

b
a
Ld
4
x,
se deniamo la lagrangiana totale,
L = L
1
+L
2
+L
3
=
1
4
F

r
m
r
_

4
(x y
r
) ds
r
(4.12)
= L
1
+

r
_
L
r

4
(x y
r
) d
r
. (4.13)
Il problema variazionale. Secondo il principio di minima azione cerchiamo ora le con-
gurazioni di campi e particelle che rendono stazionaria lazione I per variazioni A

e
y

r
arbitrarie, purche soddisfacenti,
A

|
a
= 0 = A

b
, y

r
(a
r
) = 0 = y

r
(b
r
).
Consideriamo separatamente variazioni dei campi e variazioni delle linee di universo. Dato
che I
3
`e indipendente da A

, per le variazioni dei campi il problema si riduce a considerare


113
lazione I
1
+ I
2
=
_
d
4
x (L
1
+ L
2
). Ma sappiamo che le congurazioni dei campi che
rendono questa azione stazionaria, sono quelle che soddisfano le equazioni di Eulero
Lagrange associate alla lagrangiana L
1
+ L
2
. Queste ultime, daltro canto, sono state
derivate in sezione 3.2.3 e viste coincidere con lequazione di Maxwell, vedi (3.31).
Resta da imporre la stazionariet`a dellazione per variazioni delle coordinate. Dato
chg I
1
`e indipendente dalle y
r
, in questo caso `e suciente considerare lazione I
2
+ I
3
.
Calcolando la variazione di I
2
+ I
3
con le tecniche usate nella sezione precedente, trove-
remmo in eetti che le condizioni di stazionariet`a coincidono proprio con le equazioni
di Lorentz, vedi problema 4.1.
Di seguito proponiamo una dimostrazione alternativa di questo risultato, basata di-
rettamente sul metodo lagrangiano per un sistema a niti di gradi di libert`a, vedi sezione
3.1. A questo scopo riprendiamo lazione I
2
+I
3
, scritta come in (4.10). Questa azione si
separa in una somma di N termini,
I
2
+ I
3
=

r
I[y
r
], I[y
r
] =
_
br
ar
L
r
(y
r
, y
r
) d
r
,
tale che il termine resimo dipende solo dalle coordinate y

r
. Lazione I
2
+ I
3
sar`a quindi
stazionaria, se ciascuna I[y
r
] `e stazionaria per variazioni arbitrarie delle y

r
, con le solite
condizioni agli estremi. Daltra parte, I[y
r
] `e lintegrale della lagrangiana ordinaria L
r
.
Come sappiamo dalla sezione 3.1, il problema della stazionariet`a di questa azione si riduce
allora alle equazioni di Lagrange relative a L
r
, vale a dire,
d
d
r
L
r
y

L
r
y

r
= 0.
Valutiamo ora esplicitamente i due termini di queste equazioni, tralasciando per semplicit`a
lindice r. Dalla (4.11) si ottiene immediatamente,
L
y

= e

.
Calcoliamo poi,
L
y

=
m y

eA

(y) = p

eA

(y), (4.14)
dove abbiamo introdotto il quadrimomento p

della particella, ed utilizzato la solita


relazione

=
ds
d
. Inne dobbiamo valutare,
d
d
L
y

=
dp

d
e y

.
114
Otteniamo in denitiva,
d
d
L
y


L
y

=
dp

d
+ e y

) =
ds
d
_
dp

ds
eF

_
= 0, (4.15)
che `e lequazione di Lorentz.
4.3 Il teorema di Nother
Nella sezione precedente abbiamo stabilito un principio variazionale per lElettrodinamica
classica, compatibile con i postulati della Relativit`a Ristretta. Pi` u precisamente, abbiamo
individuato unazione invariante sotto trasformazione del gruppo di Poincare, da cui di-
scendono le equazioni del moto per campi e particelle. Secondo il teorema di Nother deve
allora essere possibile derivare la forma delle correnti conservate T

e M

, sfruttando
linvarianza dellazione rispettivamente per traslazioni e per trasformazioni di Lorentz. La
dimostrazione del teorema segue la stessa strategia adottata nel capitolo precedente per
un sistema di soli campi, ma dal punto di vista tecnico essa `e leggermente pi` u complicata,
a causa della presenza delle particelle.
Seguendo il metodo della sezione 3.3 impostiamo la dimostrazione a partire non diretta-
mente dallazione, bens` dalla lagrangiana del sistema, vedi (4.12). Per brevit`a indichiamo
le dipendenze funzionali di questa lagrangiana con L(A(x), y
r
, x), omettendo di indica-
re esplicitamente la dipendenza dalle derivate A e y
r
. Si noti che formalmente questa
lagrangiana esibisce anche una dipendenza esplicita dalla coordinata x, indicata dal suo
terzo argomento, attraverso le
4
(x y
r
) che compaiono in (4.12). Tuttavia, vedremo fra
poco che in questo caso non sussiste nessuna rottura dellinvarianza per traslazioni.
Per le trasformazioni di Poincare adottiamo le notazioni del paragrafo 3.3.1. Per
trasformazioni nite abbiamo,
x

+ a

, y

r
=

r
+ a

, A

(x

) =

(x),
e per le trasformazioni innitesime

, ne segue,
x

= a

, y

r
= a

r
. (4.16)
Per le trasformazioni del campo vettoriale distinguiamo di nuovo trasformazioni totali e
115
trasformazioni in forma, vedi (3.43),
A

(x

) A

(x) =

,
A

(x) A

(x) = x

+ A

= x

. (4.17)
Linvarianza di L sotto trasformazioni di Poincare `e allora espressa dallidentit`a,
L L(A

(x

), y

r
, x

) L(A(x), y
r
, x) = 0. (4.18)
Difatti, lunico elemento della (4.12) la cui invarianza va controllata `e la
4
di Dirac,

4
(x

r
) =
4
(x + a (y
r
+ a)) =
4
((x y
r
)) =

4
(x y
r
)
|det|
=
4
(x y
r
).
Questo vuol dire che le trasformazioni delle
4
in seguito potranno essere semplicemente
ignorate.
Manipoliamo ora lidentit`a (4.18) in completa analogia con il caso di una teoria con
soli campi, scrivendo,
L = [L(A

(x

), y

r
, x

) L(A

(x), y
r
, x)] + [L(A

(x), y
r
, x) L(A(x), y
r
, x)] .
I due termini della prima parentesi quadra dieriscono solo per le variazioni (4.16) di x
e y
r
, mentre nella seconda parentesi quadra compare solo una trasformazione in forma
di A

. Nella prima parentesi quadra conviene usare lespressione (4.13), mentre nella
seconda `e pi` u conveniente la (4.12). Si ottiene cos`,
L =
_
x

L
1
+

r
_
L
r

4
(x y
r
) d
r
_
+
_
L
A

_
. (4.19)
L
r
indica la variazione di L
r
per le variazioni delle y
r
date in (4.16), e abbiamo introdotto
i consueti momenti coniugati

L
(A)
= F

. Alla seconda parentesi quadra


contribuiscono solo i termini L
1
+L
2
, e possiamo riscriverla come,
L
A

) +
_
L
A

_
A

,
=

) + (

) A

,
dove nellultimo termine riconosciamo lequazione di Maxwell. In modo analogo possiamo
manipolare la variazione di L
r
, facendo comparire le equazioni di Lorentz,
L
r
= y

r
L
r
y

r
+ y

r
L
r
y

r
=
d
d
r
_
y

r
L
r
y

r
_
+ y

r
_
L
r
y

d
d
r
L
r
y

r
_
=
d
d
r
_
y

r
L
r
y

r
_
+
ds
r
d
r
_
dp
r
ds
r
F

r
_
y

r
,
116
dove nellultimo passaggio abbiamo usato la (4.15). Il primo termine, invece, inserito nella
(4.19), attraverso unintegrazione per parti d`a luogo a,
_
d
d
r
_
y

r
L
r
y

r
_

4
(x y
r
) d
r
=
_
y

r
L
r
y

r
d
d
r

4
(x y
r
) d
r
+
_
y

r
L
r
y

4
(x y
r
)
_

r=+
r=
. (4.20)
Per ogni x ssato, per
r
la
4
(x y
r
) si annulla, quindi il secondo termine `e
nullo. Per quanto riguarda il primo termine notiamo, invece, che,
d
d
r

4
(x y
r
) = y

4
(x y
r
) =

( y

4
(x y
r
)),
sicche la (4.20) muta in una quadridivergenza,
_
d
d
r
_
y

r
L
r
y

r
_

4
(x y
r
) d
r
=

__
y

r
y

r
L
r
y

4
(x y
r
) d
r
_
.
Inserendo questi risultati nella (4.19), e notando che

= 0, otteniamo allora,
L =

_
x

L
1
+

r
_
y

r
y

r
L
r
y

4
(x y
r
) d
r
_
(4.21)
+(

) A

r
_ _
dp
r
ds
r
F

r
_
y

r

4
(x y
r
) ds
r
.
Questa formula ha ora la stuttura prevista dal teorema di Nother: eguaglia la variazio-
ne della lagrangiana alla quadridivergenza di un certo quadrivettore la parentesi quadra
modulo termini proporzionali alle equazioni del moto.
`
E ora un semplice esercizio espli-
citare la parentesi quadra e determinare i coecienti di a

e di

, per ottenere la forma


esplicita delle correnti conservate; `e suciente inserire le formule (4.14), (4.16) e (4.17).
Per i primi due termini della parentesi quadra in (4.21) otteniamo,
x

L
1
+

= x

L
1

) +

= x

em
F

, (4.22)
dove abbiamo ritrovato il tensore energiaimpulso canonico

T

em
del campo elettroma-
gnetico, vedi (3.55). Per il terzo termine in (4.21) notiamo che per le propriet`a della
4
possiamo sostituire y

r
con x

. Con laiuto della (4.14), e parametrizzando lintegrale


con il tempo proprio, questo termine pu`o allora essere posto nella forma,

r
_
y

r
y

r
L
r
y

4
(x y
r
) d
r
= x

r
_
u

r
(p

r
+ e
r
A

(y
r
))
4
(x y
r
) ds
r
= x

_
T

p
+ j

_
, (4.23)
117
dove abbiamo ritrovato il tensore energiaimpulso T

p
delle particelle, vedi (2.79). Som-
mando le (4.22) e (4.23), ed esplicitando le variazioni x

= a

, la parentesi
quadra in (4.21) pu`o allora essere scritta come,
x

_
T

p
+

T

em
+ j

_
F

= a

+
1
2

,
dove abbiamo denito i tensori energiaimpulso e densit`a di momento angolare canonici
dellElettrodinamica,

= T

p
+

T

em
+ j

(4.24)

= x

+ F

. (4.25)
In denitiva possiamo riscrivere la (4.21) come,
L = a

+
1
2

(4.26)
+(

) A

r
_ _
dp
r
ds
r
F

r
_
y

r

4
(x y
r
) ds
r
,
da confrontare con lanaloga identit`a (3.52) per una teoria di soli campi. Dato che la la-
grangiana `e invariante per lintero gruppo di Poincare, abbiamo che L = 0 identicamente.
Concludiamo quindi che, se i campi e le particelle soddisfano le rispettive equazioni del
moto, allora i tensori

T

e

M

risultano conservati,

= 0 =

. (4.27)
Tensore energiaimpulso simmetrico e densit`a di momento angolare standard. Di nuo-
vo vediamo che le correnti ottenute non hanno la forma trovata nei paragra 2.4.3 e 2.4.4
con metodi euristici In particolare:

T

non `e simmetrico, e

M

non ha la forma
standard. Inoltre, entrambi i tensori non sono invarianti sotto trasformazioni di gauge.
Vediamo, comunque, che in assenza di particelle

T

si riduce a

T

em
, mentre in assenza di
campo elettromagnetico esso si riduce a T

p
. Ma nella (4.24) `e presente anche un termine
di interferenza, j

, di interpretazione pi` u dicile. Tuttavia, anche in questo caso pos-


siamo applicare la strategia generale per la simmetrizzazione del tensore energiaimpulso,
sviluppata in sezione 3.4. Poniamo,
T

=

T

, (4.28)
118
con

dato in termini del tensore V



, secondo la (3.61). Questo ultimo si determina
confrontando la (4.25) con lespressione generale (3.58). Risulta,
V

= F

+ F

,
come nel caso del campo di Maxwell libero, vedi (3.65). Anche

coincide allora con


lespressione (3.66) del campo di Maxwell libero,

= F

.
In presenza di particelle cariche la divergenza di questo tensore contiene, tuttavia, un
contributo proporzionale alla corrente. Risulta infatti,

= j

.
Aggiungendo questa espressione alla (4.24) si vede che il termine di interferenza j

si cancella, e che si ricombina il tensore energiaimpulso simmetrico T

em
del campo
elettromagnetico,
T

= T

em
+ T

p
,
a conferma delle (2.78) e (2.79) del capitolo 2.
Analogamente, secondo le (3.69), (3.73) si pu`o modicare la densit`a di momento
angolare (4.25) ponendo,
M

=

M

= x

.
Nel nostro caso, usando la (4.28), si ottiene,

+ x

( ) = F

+ x

(T

) ( ).
Aggiungendo questo termine alla (4.25) si vede immediatamente che risulta,
M

= x

,
in accordo con la nostra previsione euristica (2.95).
Abbiamo cos` riottenuto i tensori energiaimpulso e densit`a di momento angolare
dellElettrodinamica. Pi` u del risultato, gi`a noto, `e importante il metodo che abbiamo
119
utilizzato, cio`e, il teorema di Nother. In sezione 3.3 abbiamo dato una dimostrazione
generale di questo teorema per una teoria di soli campi. In questa sezione abbiamo dimo-
strato il teorema in una situazione sica molto diversa, in cui alcuni gradi di libert`a non
sono distribuiti con continuit`a nello spazio, come i campi, ma costituiscono dei difetti
puntiformi, appunto le particelle. In questo capitolo abbiamo, difatti, illustrato una cir-
costanza molto generale, cio`e, che in sica il teorema di Nother vale a tutti i livelli: vale in
teorie descriventi campi, particelle, stringhe e pi` u in generale membrane di qualsiasi
estensione spaziale. Vale a livello newtoniano, cos` come vale in Relativit`a Ristretta e
in Relativit`a Generale, vale in sica classica e in sica quantistica, in teoria quantistica
relativistica dei campi e, ancora, in teoria di Superstringa.
4.4 Invarianza di gauge e conservazione della carica elettrica
Nella sezione precedente abbiamo discusso il teorema di Nother relativo al gruppo di Poin-
care, con conseguente conservazione del quadrimomento e del momento angolare quadri-
dimensionale. Ma in Elettrodinamica esiste unaltra grandezza conservata non associata
al gruppo di Poincare che `e la carica elettrica, e secondo il teorema di Nother anche
ad essa dovrebbe essere associato un gruppo a un parametro di simmetrie. In eetti,
lElettrodinamica `e dotata di una simmetria fondamentale che abbiamo gi`a ampiamento
esplorato linvarianza di gauge che potrebbe essere legata alla conservazione della
carica elettrica.
Per analizzare questa ipotesi notiamo che le trasformazioni di gauge costituiscono
eettivamente un gruppo (abeliano), con un solo parametro . Posto
A

1
= A

1
,
abbiamo infatti,
A

2
= A

1
+

2
= A

(
1
+
2
).
Esploriamo allora la variazione della lagrangiana (4.12) sotto una generica trasformazione
di gauge A

= A

. Risulta,
L =

(j

) +

,
120
dove abbiamo sfruttato il fatto che le lagrangiane sono denite modulo quadridivergenze.
Avremmo, dunque, trovato proprio il legame implicato dal teorema di Nother, ovvero, che
linvarianza della lagrangiana implica la conservazione locale della carica,
L = 0

= 0. (4.29)
Tuttavia, il nesso appena evidenziato non segue proprio le linee del teorema di Nother,
per come labbiamo illustrato nella sezione precedente. Il primo motivo `e che il parametro
(x) non `e un parametro globale, ovvero, costante, come previsto invece dal teorema di
Nother. Al contrario, se `e costante la trasformazione di gauge si riduce banalmente alla
trasformazione identica. Il secondo motivo `e che nella derivazione della (4.29) le equazioni
del moto dellElettrodinamica non hanno giocato nessun ruolo, mentre erano essenziali
nella dimostrazione delle leggi di conservazione (4.27). Sappiamo, infatti, che la corrente
(2.6) `e conservata identicamente, indipendentemente dalla validit`a delle equazioni del
moto.
Si pu`o intuire che questa asimmetria tra il gruppo di Poincar`e e il gruppo delle tra-
sformazioni di gauge, inerente allElettrodinamica classica, `e dovuta al fatto che in questa
teoria le particelle cariche vengono trattate come difetti puntiformi. Corrispondente-
mente, in questo ambito la stessa legge di conservazione della carica si banalizza, riducen-
dosi semplicemente al conteggio delle particelle contenute in un dato volume. Infatti,
integrando la (2.52) su un volume V , si ottiene per la carica Q
V
(t) contenuta allistante
t in V ,
Q
V
(t) =
_
V
j
0
(t, x) d
3
x =

r
e
r
_
V

3
(x y
r
(t)) d
3
x =

rV
e
r
,
dove la somma si estende a tutte le particelle che allistante t si trovano in V .
Si pu`o, al contrario, vedere che quando anche le particelle cariche vengono rappresen-
tate da campi alla stessa stregua del campo elettromagnetico allora la conservazione
della carica elettrica segue esattamente lo schema a la Nother, ovvero, discende da una
simmetria globale U(1), e necessita delle equazioni del moto, come illustrato nel problema
3.10. In particolare, questo `e il modo in cui la conservazione della carica elettrica avviene
in Elettrodinamica Quantistica.
121
4.5 Problemi
4.1 Si deducano le equazioni di Lorentz (2.12), imponendo la stazionariet`a dellazione
(4.9) per variazioni arbitrarie delle coordinate y

r
, purche nulle in a
r
e b
r
.
4.2 Si deduca la lagrangiana di un sistema di cariche non relativistiche sottoposte a
un campo elettromagnetico esterno F

, eseguendo il limite non relativistico dellazione


(4.8).
Risposta:
L(y
r
, v
r
, t) =

r
_
1
2
m
r
v
2
r
e
r
_
A
0
(t, y
r
)
1
c
v
r


A(t, y
r
)
__
+ o
_
1
c
2
_
.
122
5 Onde elettromagnetiche
In questo capitolo avviamo la ricerca di soluzioni esatte delle equazioni di Maxwell, e
lanalisi delle loro propriet`a. La prima classe di soluzioni che analizzeremo sono le onde
piane, che costituiscono un particolare insieme completo di soluzioni dellequazione di
Maxwell nel vuoto, ovvero, in assenza di sorgenti,
j

= 0.
La rilevanza fenomenologica di queste soluzioni `e evidente. Basti pensare che lenergia
fornita dal sole viaggia interamente a cavallo di onde elettromagnetiche, e che qualsiasi
tipo di segnale che si propaga sulla terra via etere `e costituito da tali onde. Inoltre,
la quasi totalit`a dellinformazione che acquisiamo sulluniverso giunge sulla terra tramite
segnali luminosi emessi da oggetti cosmici, segnali costituiti da onde elettromagnetiche
che si propagano nello spazio vuoto su scale di distanza enormi.
Luniverso stesso `e pervaso dalla cosiddetta radiazione cosmica di fondo, con ottima
approssimazione isotropa e omogenea, che `e caratterizzata da uno spettro in frequenza
di corpo nero, a una temperatura di T = 2.73
o
K. Questa radiazione `e messaggera di
unepoca primordiale, in cui la materia era costituita prevalentemente da particelle cariche
dissociate, soggette in continuazione a urti di natura elettromagnetica. Dopo lultimo
scattering e la conseguente ricombinazione delle particelle cariche in molecole neutre, il
campo di radiazione prodotto in questi urti si `e disaccoppiato dalle cariche, e si manifesta
oggi come radiazione di fondo apparentemente priva di sorgenti.
Come menzionato sopra, in questo capitolo studieremo le propriet`a delle onde elet-
tromagnetiche, in quanto base completa di soluzioni dellequazione di Maxwell nel vuoto.
Nel prossimo capitolo ci occuperemo, invece, delle soluzioni dellequazione di Maxwell in
presenza di sorgenti. In particolare determineremo il campo elettromagnetico creato da
una distribuzione di carica j

arbitraria, purche connata a una regione spaziale limitata.


Lontano da questa regione il campo soddisfa lequazione di Maxwell nel vuoto, ed ivi
potr`a quindi essere analizzato, a sua volta, in termini di onde elettromagnetiche.
Tuttavia, prima di poter arontare questi argomenti dobbiamo capire qual `e il conte-
nuto cinematico del campo elettromagnetico, ovverosia, quali sono le variabili indipendenti
123
che descrivono il suo stato in ogni istante. Detto in altre parole, dobbiamo individuare i
gradi di libert`a sici coinvolti nellevoluzione temporale del campo elettromagnetico. Solo
allora saremo in grado di impostare il problema di Cauchy, cioe, di assegnare un insie-
me completo di dati iniziali, che attraverso lequazione di Maxwell determinino il campo
elettromagnetico ad ogni istante.
5.1 I gradi di libert`a del campo elettromagnetico
Il concetto di grado di libert`a in teoria di campo costituisce una generalizzazione del
concetto analogo della meccanica classica prototipo di un sistema lagrangiano a niti
gradi di libert`a. Prima di passare alla teoria di campo `e allora utile ricordare brevemente
il signicato di questo importante concetto in meccanica.
5.1.1 I gradi di libert`a in meccanica newtoniana
In meccanica newtoniana il concetto di grado di libert`a si riferisce al numero di variabili
lagrangiane che descrivono un sistema sico. Per fare un esempio, una particella che
si muove nello spazio tridimensionale `e caratterizzata da tre gradi di libert`a, poich`e la
sua posizione `e specicata in ogni istante dalle tre coordinate y(t) = (x(t), y(t), z(t)).
Daltra parte, possiamo analizzare il sistema anche da un altro punto vista, ponendoci
la domanda: quanti dati iniziali, diciamo a t = 0, dobbiamo assegnare per poter predire
la posizione della particella in ogni istante? La risposta sei e non tre `e strettamente
legata alla dinamica del sistema, vale a dire, allequazione di Newton,
m
d
2
y
dt
2
=

F,
la quale, come equazione dierenziale del secondo ordine, richiede di assegnare come dati
iniziali sia y(0) che
dy(0)
dt
. Daltro canto, secondo il formalismo hamiltoniano la dinamica
del sistema pu`o essere presentata anche in un modo alternativo, se si considerano y e
v come variabili indipendenti. In questo formalismo la dinamica `e descritta dalle sei
equazioni dierenziali del primo ordine,
m
dv
dt
=

F,
dy
dt
= v,
124
che ammettono soluzione unica, note le condizioni iniziali y(0) e v(0). In questo modo il
sistema apparirebbe, dunque, come un sistema a sei gradi di libert`a. Ci si rende cos` conto
che la convenzione comune una particella corrisponde a tre gradi di libert`a, sottintende,
in realt`a, tre gradi di libert`a del secondo ordine. Equivalentemente si pu`o dire che una
particella corrisponde a sei gradi di libert`a del primo ordine. La preferenza per la prima
convenzione discende dal fatto che il determinismo newtoniano confermato sperimental-
mente in modo universale prevede che una variabile fondamentale `e determinata in ogni
istante, se a un dato istante si conoscono il suo valore e la sua derivata prima. Dora in
poi con il termine grado di libert`a intenderemo sempre un grado di libert`a del secondo
ordine.
5.1.2 I gradi di libert`a in teoria di campo
In teoria di campo le variabili fondamentali sono i campi che da un punto di vista
meccanico corrispondono a un sistema a inniti gradi di libert`a. Mantenendo lanalogia
con la meccanica, ma adattando la prospettiva, diamo allora la seguente denizione.
Denzione. Diremo che un campo (t, x) corrisponde a un grado di libert`a (del secondo
ordine), se le equazioni del moto che governano la sua dinamica sono tali che, noti (0, x)
e
0
(0, x) in tutto lo spazio, esse determinano (t, x) per ogni t.
Come prototipo di unequazione di questo tipo consideriamo lequazione per un campo
scalare,
2 = P(), (5.1)
dove P() `e un polinomio in e,
2

=
2
0

2
,
`e loperatore dAlembertiano, completamento relativistico delloperatore Laplaciano tridi-
mensionale. Questa equazione `e del secondo ordine nella derivata temporale, e ci aspet-
tiamo dunque che essa assegni a un grado di libert`a. Per convincerci che questo `e
eettivamente il caso ssiamo i dati iniziali,
(0, x) e
0
(0, x),
125
e cerchiamo di determinare (t, x) imponendo la (5.1). Se assumiamo che la soluzione sia
una funzione analitica in t, possiamo svilupparla in serie di Taylor,
(t, x) =

n=0

n
0
(0, x)
n!
t
n
, (5.2)
e cercare di determinare i coecienti usando la (5.1). I coecienti con n = 0 e n = 1
sono ssati dai dati iniziali. Il coeciente con n = 2 si ottiene invece valutando la (5.1)
in t = 0,

2
0
(0, x) =
2
(0, x) + P((0, x)).
Derivando la (5.1) una volta rispetto al tempo e valutandola in t = 0, si ottiene invece il
coeciente con n = 3,

3
0
(0, x) =
2

0
(0, x) + P

((0, x))
0
(0, x).
Derivando ripetutamente la (5.1) rispetto al tempo, si ottengono cos` tutte le derivate

n
0
(0, x) in termini delle derivate spaziali dei dati iniziali (0, x) e
0
(0, x), e la solu-
zione `e quindi univocamente determinata.
`
E poi facile vedere che si giunge alla stessa
conclusione, se P `e un arbitrario polinomio in e

, e anche se il membro di destra


della (5.1) contiene un termine aggiuntivo noto j(x), indipendente da .
5.1.3 Il problema di Cauchy per lequazione di Maxwell
Siamo ora in grado di arontare il problema di Cauchy, ovvero, il problema alle condizioni
inziali, per lequazione di Maxwell. In particolare vogliamo stabilire quanti e quali sono i
gradi di libert`a associati alla propagazione del campo elettromagnetico.
Se, secondo la nostra consueta strategia, risolviamo lidentit`a di Bianchi introducendo
un potenziale vettore A

, allora il sistema di equazioni da risolvere schematicamente si


scrive,

= j

, F

, A

.
Condizioni asintotiche. Prima di arontare la soluzione di questo sistema, specichia-
mo la classe di congurazioni del potenziale vettore e della corrente che consideriamo
sicamente accettabili. Assumeremo intanto che la corrente sia nota e ovviamente
126
a quadridivergenza nulla. Supporremo, inoltre, che per ogni t ssato essa sia a sup-
porto spaziale compatto, come succede per qualsiasi distribuzione di carica realizzabile in
natura. Richiederemo, cio`e, che,
j

(t, x) = 0, per [x[ > R, (5.3)


dove il raggio R in generale dipende da t. Corrispondentemente accetteremo come so-
luzioni siche dellequazione di Maxwell, solo quelle che per ogni t ssato allinnito
spaziale si annullano,
lim
|x|
A

(t, x) = 0. (5.4)
Si pu`o, infatti, vedere che questa condizione discende essenzialmente dallassunzione, che
non ci siano cariche allinnito.
Nel caso particolare di un campo elettromagnetico nel vuoto, in realt`a, non sembra
esserci nessun legame tra la condizione (5.4) e la posizione delle cariche semplicemente
perche le cariche sono assenti. Tuttavia, un campo nel vuoto costituisce la schema-
tizzazione matematica di una situazione sica, in cui il campo `e stato generato da delle
cariche lontane in un passato lontano, e quindi `e ragionevole assumere che anche in
questo caso allinnito esso `e zero. Daltra parte, la condizione (5.4) esclude anche una
serie di soluzioni idealizzate la cui realizzazione sica richiederebbe unenergia innita,
e che vengono, tuttavia, spesso utilizzate per semplicare le analisi svolte. Esclude, ad
esempio, il campo elettromagnetico costante e uniforme f

, con potenziale vettore,


A

=
1
2
x

, F

= f

,
i campi prodotti da li e piani inniti uniformemente carichi, e la stessa onda piana, in
quanto innitamente estesa.
Torniamo ora allequazione di Maxwell, esplicitandola in termini del potenziale vettore,

) = 2A

) = j

.
Per via della presenza delle derivate seconde rispetto al tempo, ci si potrebbe aspettare
che questo sistema corrisponda a quattro gradi di libert`a. Tuttavia, questa conclusione `e
arettata, per i seguenti due motivi.
127
Un vincolo. Il primo motivo `e costituito dal fatto che come gi`a notato nel para-
grafo 2.2.3 le quattro componenti dellequazione di Maxwell non sono funzionalmente
indipendenti. Denito,
G

= 2A

) j

, (5.5)
vale infatti identicamente,

= 0
0
G
0
=
i
G
i
. (5.6)
Ci`o signica che le quattro equazioni di Maxwell,
G

= 0,
sono equivalenti al sistema,
G
i
(t, x) = 0, t (5.7)
G
0
(0, x) = 0. (5.8)
Infatti, imposto G
i
(t, x) = 0 t, la (5.6) assicura che
0
G
0
(t, x) = 0, e quindi la funzione
G
0
(t, x) `e indipendente dal tempo; `e allora suciente imporre il suo annullamento alli-
stante t = 0. La componente 0 dellequazione di Maxwell si riduce, quindi, a un vincolo
sui dati iniziali, e non va considerata come una vera e propria equazione del moto.
Invarianza di gauge e gaugexing. Il secondo motivo per cui il conteggio dei gradi
di libert`a di cui sopra `e errato, `e costituito dal fatto che il potenziale vettore `e denito
solo modulo una trasformazione di gauge: i potenziali A

e A

corrispondono allo
stesso campo elettromagnetico F

, e sono quindi sicamente equivalenti. Si rende allora


necessario selezionare tra tutti i potenziali vettore associati ad un dato F

, un unico
rappresentante, ovverosia, come si suol dire, attuare un gaugexing su A

. Esistono
inniti modi di ssare la gauge, tutti sicamente equivalenti, poich`e legati tra di loro
da una trasformazione di gauge. La scelta che si fa di volta in volta dipende solo dalle
convenienze. Noi optiamo per la cosiddetta gauge di Lorentz, rappresentata dal vincolo,

= 0, (5.9)
128
per il suo pregio di essere preservata dalle trasformazioni di Lorentz
17
. Per dimostrare la
consistenza di questa scelta dobbiamo fare vedere che, a partire da un potenziale vettore
A

arbitrario, `e sempre possibile eseguire una trasformazione di gauge, tale che il nuovo
potenziale vettore abbia quadridivergenza nulla,

(A

) = 0.
Per soddisfare questo vincolo `e suciente scegliere un tale che,
2 =

,
equazione che, come visto nel paragrafo precedente, ammette innite soluzioni. Con il
gaugexing (5.9) lequazione di Maxwell (5.5) si semplica, riducendosi a,
G

= 2A

= 0.
Useremo questa forma per le componenti spaziali G
i
dellequazione mentre, per quello che
segue, per la componente G
0
`e pi` u conveniente usare lespressione originale (5.5),
G
0
= 2A
0

0
(
0
A
0
+
i
A
i
) j
0
=
2
A
0

i
(
0
A
i
) j
0
= 0. (5.10)
Si noti che questa equazione non contiene la derivata seconda rispetto al tempo: come
anticipato sopra, essa va infatti interpretata come vincolo, piuttosto che come equazione
dinamica.
Invarianza di gauge residua. Resta a questo punto la domanda se la gauge di Lorentz
`e completa, ovvero, se essa ssa il potenziale vettore univocamente. La risposta `e negativa
perche, assumendo che valga

= 0, e volendo restare nella classe di potenziali che


soddisfano questa condizione, possiamo ancora eseguire trasformazioni di gauge A

, a patto che,

(A

) = 0 2 = 0.
Sussiste, cio`e, linvarianza di gauge residua,
A

, 2 = 0. (5.11)
17
Esempi di gaugexing non covarianti, usati talvolta, sono la gauge di Coulomb


A = 0, e la gauge
assiale A
0
= 0, oppure, pi` u in generale, n

= 0, con n

vettore costante.
129
Anche il gaugexing dellinvarianza residua pu`o essere eseguito in inniti modi equiva-
lenti. Noi optiamo per le condizioni,
A
3
(0, x) = 0 =
0
A
3
(0, x), (5.12)
che si possono, in eetti, imporre eseguendo una trasformazione di gauge residua. Per
farlo vedere ricordiamo dal paragrafo precedente che la soluzione dellequazione 2 = 0
`e completamente determinata dalle condizioni iniziali,
(0, x)
1
(x),
0
(0, x)
2
(x).
Per una trasformazione di gauge abbiamo,
A
3
= A
3
+
3
, (5.13)
ed `e facile vedere che esistono dei campi
1
e
2
tali che,
A
3
(0, x) = A
3
(0, x) +
3
(0, x) = A
3
(0, x) +
3

1
(x) = 0, (5.14)

0
A
3
(0, x) =
0
A
3
(0, x) +
3

0
(0, x) =
0
A
3
(0, x) +
3

2
(x) = 0. (5.15)
Infatti, `e suciente scegliere per
1
e
2
delle primitive rispetto alla variabile x
3
, ri-
spettivamente di A
3
(0, x) e
0
A
3
(0, x). Per il potenziale trasformato le (5.14), (5.15)
equivalgono allora eettivamente alle (5.12).
In conclusione, tenendo conto delle condizioni di gaugexing (5.9) e (5.12) ci siamo
ricondotti al seguente sistema di equazioni,
2A
i
= j
i
, (5.16)

2
A
0
=
i
(
0
A
i
) j
0
, per t = 0, (5.17)

= 0, (5.18)
A
3
(0, x) = 0 =
0
A
3
(0, x). (5.19)
Facciamo ora vedere che questo sistema ammette soluzione unica per A

(t, x), una volta


assegnate le condizioni iniziali siche,
A
1
(0, x),
0
A
1
(0, x), A
2
(0, x),
0
A
2
(0, x). (5.20)
130
Per cominciare osserviamo che con queste condizioni iniziali e con le (5.19), le tre equa-
zioni (5.16) determinano A
i
(t, x) per ogni t. Noti i campi A
i
, la (5.17) determina allora
univocamente A
0
(0, x), perche nello spazio delle funzioni che svaniscono allinnito, il La-
placiano tridimensionale ammette inverso unico, vedi sezione 6.1. Noti A
0
(0, x) e i campi
A
i
(t, x), la (5.18) determina, inne, A
0
(t, x) per ogni t,

0
A
0
=


A A
0
(t, x) = A
0
(0, x)
_
t
0


A(t

, x) dt

.
In conclusione, una volta assegnate le quattro condizioni iniziali siche (5.20), lequa-
zione di Maxwell determina i campi A

(t, x) in modo univoco. Con la procedura scelta


da noi, i campi sici sono risultati A
1
e A
2
, ma `e chiaro che una scelta diversa del
gaugexing porta ad assegnazioni diverse. Quello che resta, per`o, invariato `e il numero
di condizioni iniziali quattro che si possono imporre arbitrariamente, vedi problema
5.3. Resta poi il problema, solo tecnico, di come si deducono i dati (5.20) a partire dai
dati iniziali osservabili sperimentalmente, che sono i campi elettrico e magnetico allistan-
te iniziale. Difatti, noti

E(0, x) e

B(0, x), e imposti i gaugexing (5.18) e (5.19), la
determinazione dei dati iniziali (5.20) `e un semplice esercizio.
I due gradi di libert`a del campo elettromagnetico. Dai dati indipendenti (5.20) vedia-
mo, inne, che il campo elettromagnetico corrisponde a due gradi di libert`a, come antici-
pato nel paragrafo 2.2.3, e non a quattro. Dalla nostra trattazione si desume in particolare
che il meccanismo che elimina da A

due gradi di libert`a `e essenzialmente il seguente: un


grado di libert`a viene assorbito dallinvarianza di gauge, e laltro dallinvarianza di gauge
residua, in concomitanza con il fatto che una delle quattro equazioni di Maxwell, in realt`a,
`e un vincolo. Come menzionato sopra, quali siano le componenti di A

che appaiono come


siche, dipende dalla scelta del gaugexing e, per di pi` u, sotto una trasformazione di Lo-
rentz queste componenti non restano invariate. Infatti, mentre la gauge (5.9) `e invariante
sotto trasformazioni di Lorentz, le condizioni (5.12) non lo sono.
`
E importante notare
che questa circostanza non viola aatto linvarianza relativistica, perch`e, come abbiamo
visto, in qualsiasi sistema di riferimento le condizioni (5.12) possono essere ripristinate
eseguendo unopportuna trasformazione di gauge.
Il fatto che i gradi di libert`a sici del campo elettromagnetico sono due ha conseguenze
importanti: una `e che a livello classico, come vedremo tra poco, le onde elettromagnetiche
131
sono caratterizzate da due vettori di polarizzazione indipendenti, e unaltra `e che a livello
quantistico i fotoni esistono in due stati indipendenti, contrassegnati da spin ed elicit`a
opposti.
5.2 Lequazione delle onde
Consideriamo un campo scalare reale con lagrangiana,
L =
1
2

. (5.21)
Lequazione di EuleroLagrange associata a questa lagrangiana viene chiamata equazione
delle onde, o anche equazione di dAlembert,

L
(

)

L

= 2 = 0. (5.22)
Essa riveste un ruolo importante in sica, e in particolar modo in Elettrodinamica, motivo
per cui analizzeremo in dettaglio la sua soluzione generale. In particolare vedremo che
la ricerca delle soluzioni dellequazione di Maxwell nel vuoto, sar`a molto facilitata dalla
conoscenza della soluzione generale della (5.22). In analogia con le condizioni asintotiche
(5.4), considereremo solo soluzioni che soddisfano,
lim
|x|
(t, x) = 0. (5.23)
Dalla (5.21) possiamo derivare anche il tensore energiaimpulso di , vedi (3.49), che ci
servir`a nellanalisi energetica delle soluzioni della (5.22),
T

=
L
(

L =


1
2

. (5.24)
Si ricordi che, essendo campo scalare, si ha

T

= T

.
Lequazione delle onde in trasformata di Fourier. Assumendo che eventuali singola-
rit`a di (x) siano di tipo distribuzionale, vale a dire, assumendo che sia un elemento di
o

(R
4
), un metodo potente per risolvere lequazione delle onde `e fornito dalla trasformata
di Fourier, che costituisce una biiezione di o

in se stesso. In notazione simbolica questa


trasformata `e denita da,
(k) =
1
(2)
2
_
d
4
xe
ik x
(x), (x) =
1
(2)
2
_
d
4
k e
ik x
(k), (5.25)
132
dove abbiamo introdotto la variabile duale k k

, e denito k x = k

. Tra
le propriet`a della trasformata di Fourier ci serviranno, in particolare, le seguenti, vedi
paragrafo 2.3.2.
1) Se il campo `e reale, come da noi sottinteso, allora la trasformata soddisfa,

(k) = (k). (5.26)


Per vederlo `e suciente prendere il complesso coniugato della prima relazione in (5.25),
e sfruttare il fatto che

(x) = (x).
2) Se (x) `e un campo scalare,

(x

) = (x), e se assegniamo a k

carattere vettoriale,
k

,
allora anche la trasformata (k) `e un campo scalare,

(k

) = (k).
Infatti, `e suciente notare che per denizione si ha,

(k

) =
1
(2)
2
_
d
4
x

e
ik

(x

),
e usare le relazioni k

= k x, e d
4
x

= d
4
x.
3) Per la trasformata delle derivate di abbiamo,

[P(

)](k) = P(ik

) (k),
dove P(

) `e un qualsiasi polinomio nelle derivate parziali

.
Usando la propriet`a 3) `e immediato eseguire la trasformata di Fourier di 2,
2(k) =

(k) = (ik

)(ik

) (k) = k
2
(k),
sicche lequazione delle onde diventa,
k
2
(k) = 0, (5.27)
dove,
k
2
= (k
0
)
2
[

k[
2
.
133
In seguito indicheremo la frequenza [

k[ con,
[

k[.
Vediamo che la trasformata di Fourier ha mutato lequazione dierenziale (5.22) in une-
quazione algebrica nello spazio delle distribuzioni, facilmente risolubile. Dalla (5.27) si
vede, in particolare, che (k) ha come supporto solo il cono luce,
k
0
= [

k[,
ed `e quindi ovvio che essa non pu`o essere una funzione ordinaria. Le soluzioni di questa
equazione cadono in due categorie, che ora analizzeremo separatamente.
Soluzioni di tipo I. Cominciamo lo studio delle soluzioni, analizzandole in una regione
del cono luce che non contenga lorigine, cioe, per

k ,= 0. Per

k ssato `e allora conveniente


considerare le (k) come distribuzioni nella sola variabile k
0
, poiche in questo modo le
soluzioni della (5.27) possono essere dedotte direttamente dalla soluzione del problema
2.3.
`
E suciente eettuare in questo problema le sostituzioni,
x k
0
, a , x
2
a
2
(k
0
)
2

2
= k
2
, f(x) f(k),
con f(k) generica funzione complessa di k

, per ottenere le soluzioni della (5.27),



I
(k) = (k
2
)f(k). (5.28)
Ricordando che (x) `e reale, la (5.26) impone,
f

(k) = f(k). (5.29)


Inoltre, dato che (k
2
) `e Lorentzinvariante e (k) `e campo scalare, anche la funzio-
ne f(k) `e dunque uno scalare per trasformazioni di Lorentz. Usando le propriet`a della
distribuzione possiamo allora esplicitare le (5.28) come segue,

I
(k) =
1
2
_
(k
0
) + (k
0
+ )
_
f(k
0
,

k)
=
1
2
_
(k
0
)f(,

k) + (k
0
+ )f(,

k)
_
=
1
2
_
(k
0
) (

k) + (k
0
+ )

k)
_
, (5.30)
134
dove nellultimo passaggio abbiamo denito la funzione complessa di tre variabili,
(

k) f(,

k),
e sfruttato la (5.29).
Soluzioni di tipo II. Il problema 2.3 `e ben posto solo se a ,= 0 ,= 0, che esclude
dal cono luce lorigine quadridimensionale, k

= 0. Potrebbero dunque esistere ulteriori


soluzioni della (5.27), supportate nel punto k

= 0. Per il teorema sulle distribuzioni sup-


portate in un punto, vedi paragrafo 2.3.2, sappiamo allora che queste soluzioni sarebbero
necessariamente combinazioni lineari nite della
4
(k) e delle sue derivate,

II
(k) =
N

n=1
C

1
n

1

n

4
(k), (5.31)
dove i C

1
n
sono arbitrari tensori costanti, completamente simmetrici. Antitrasforman-
do questa espressione nello spazio delle congurazioni, e tenendo conto che la trasformata
della
4
vale 1/(2)
4
si ottiene,

II
(x) =
1
(2)
4
N

n=1
(i)
n
C

1
n
x

1
x
n
. (5.32)
Inserendo la (5.32) nella (5.22) `e facile vedere che lequazione di dAlembert `e soddisfatta,
se e solo se i tensori simmetrici C sono anche a traccia nulla,
C

3
n
= 0. (5.33)
Ed `e altrettanto immediato vedere che queste condizioni ammettono innite soluzioni.
Per esempio, per n = 2, che corrisponde a un polinomio del secondo ordine, la soluzione
generale della (5.33) `e data da,
C

= H

1
4

,
dove H

`e unarbitraria matrice simmetrica costante. Concludiamo quindi che esiste una


seconda classe di soluzioni, rappresentate dalla (5.32), che sono polinomi in x

. Tuttavia,
come tali non svaniscono allinnito spaziale, e quindi non le ammettiamo come soluzioni
siche.
Ritorniamo allora alle soluzioni di tipo I (5.30), antitrasformandole nello spazio delle
coordinate secondo la (5.25). Integrando la di Dirac in k
0
, ed eseguendo nellintegrale
135
che coinvolge

k) il cambiamento di variabili

k

k, si ottiene la soluzione generale


dellequazione delle onde,
(x) =
1
(2)
2
_
d
3
k
2
_
dk
0
e
i(k
0
x
0

k x)
_
(k
0
) (

k) + (k
0
+ )

k)
_
=
1
(2)
2
_
d
3
k
2
_
e
ik x
(

k) + c.c.
_
. (5.34)
Sottolineiamo il fatto che nella (5.34) k

soddisfa il vincolo k
2
= 0, e che la componente
k
0
nellesponenziale `e denita da k
0
= +.
Come si vede, la soluzione generale (5.34) `e identicata da due funzioni reali di tre
variabili,
(

k) =
1
(

k) + i
2
(

k),
in accordo con il fatto che un campo scalare che soddisfa lequazione delle onde corrispon-
de a un grado di libert`a del secondo ordine. In particolare, non `e dicile determinare
esplicitamente
1
(

k) e
2
(

k) in termini dei dati iniziali (0, x) e


0
(0, x), e viceversa, vedi
paragrafo 5.2.2.
5.2.1 Onde elementari
Vediamo che la soluzione generale (5.34) dellequazione delle onde pu`o essere riguardata
come una sovrapposizione di innite onde elementari, di vettore donda k

= (k
0
,

k)
ssato,

el
(x) = (

k) e
ik x
+ c.c., k
0
= . (5.35)
Esaminiamo ora le principali propriet`a di queste onde.
a) Le
el
sono onde piane, i cui piani delle fasi sono piani ortogonali a

k. Per t ssato, su
un piano delle fasi la funzione
el
(x) assume lo stesso valore.
b) Le
el
sono onde che si propagano con la velocit`a della luce nella direzione di

k. Se
scegliamo x//

k, abbiamo infatti: k

= t

k x = (t [x[).
c) Le
el
sono onde monocromatiche, di frequenza , periodo T = 2/ e lunghezza
donda = 2/, ssati.
d) Le
el
sono onde scalari, nel senso che il tensore di polarizzazione , che ne identica
lintensit`a, `e uno scalare sotto trasformazioni di Lorentz.
136
e) Contenuto in energia. Per esplicitare il tensore energiaimpulso del campo, vedi (5.24),
valutiamo le derivate dellonda elementare,

el
(x) = i k

k) e
ik x
+ c.c.
Introducendo il vettore di tipo nullo,
n

, n
0
= 1, n =

, n
2
= n

= 0, (5.36)
dove n `e il versore tridimensionale che indica la direzione di propagazione dellonda,
possiamo scrivere in modo compatto,

el
= n


el
.
Ne segue che

el

el
= 0. Usando queste relazioni nella (5.24), risulta,
T

= n


2
el
= n

2
_
2[[
2

2
e
2ik x

2
e
i2k x
_
. (5.37)
Mediando il tensore energiaimpulso su scale temporali grandi rispetto al periodo, e su
scale spaziali grandi rispetto alla lunghezza donda, gli esponenziali si mediano a zero, e
si ottiene,
T

) = 2 k

[[
2
.
La densit`a di energia dellonda vale, dunque, in media T
00
) = 2
2
[[
2
, ed `e proporzionale
al quadrato dellampiezza dellonda, mentre il usso di energia vale T
0i
) = 2
2
[[
2
n
i
, ed
`e diretto lungo la direzione di propagazione dellonda. Considerando, inne, un volume
V piccolo, ma grande rispetto alla lunghezza donda, determiniamo il quadrimomento P

ivi contenuto. Otteniamo,


P
0
= T
00
) V = 2
2
[[
2
V, P
i
= T
0i
) V = 2
2
[[
2
V n
i
.
La massa della particella corrispondente a questo volume `e allora zero, in quanto,
M
2
= P

=
_
2
2
[[
2
V
_
2
_
1 [n[
2
_
= 0.
Questo risultato `e in accordo con il fatto che in teoria quantistica di campo, la particella
associata a un campo scalare reale soddisfacente lequazione delle onde (5.22), `e in eetti
una particella neutra e di spin zero priva di massa.
137
5.2.2 Il problema alle condizioni iniziali
In questo paragrafo arontiamo il problema alle condizioni iniziali. Vogliamo, cio`e, trovare
la forma esplicita della soluzione dellequazione delle onde, ssati i dati iniziali,
(0, x) f(x),

0
(0, x) g(x).
Si tratta, dunque, di determinare la funzione complessa (

k) nella (5.34), in termini


delle due funzioni reali f e g. A questo scopo `e conveniente sviluppare queste ultime in
trasformata di Fourier,
f(x) =
1
(2)
3/2
_
d
3
k e
i

k x

f(

k), g(x) =
1
(2)
3/2
_
d
3
k e
i

k x
g(

k), (5.38)
e valutare la (5.34), e la sua derivata temporale, a t = 0,
f(x) = (0, x) =
1
(2)
2
_
d
3
k
2
_
e
i

k x
(

k) + c.c.
_
,
g(x) =
0
(0, x) =
1
(2)
2
_
d
3
k
2
_
i e
i

k x
(

k) + c.c.
_
. (5.39)
Confrontando con le (5.38), e antitrasformando, si trova,

f(

k) =
1

2
1
2
_
(

k) +

k)
_
,
g(

k) =
1

2
i
2
_
(

k)

k)
_
,
e quindi,
(

k) =
_
(2)
_

f(

k) i g(

k)
_
.
Sostituendo questa espressione nella (5.34) si ottiene,
(x) =
1
(2)
3/2
_
d
3
k
2
_
e
ik x
_

f(

k) i g(

k)
_
+ c.c.
_
. (5.40)
Inne possiamo invertire le trasformate (5.38), per riesprimere

f e g in termini di f(x) =
(0, x) e g(x) =
0
(0, x). Sostituendo le espressioni che ne risultano nella (5.40), si trova
la formula cercata, vedi problema 5.1,
(t, x) =
_
d
3
y [D(t, x y)
0
(0, y) +
0
D(t, x y) (0, y)] . (5.41)
138
Abbiamo introdotto il kernel antisimmetrico D, denito da,
D(t, x) =
1
(2)
3
_
d
3
k
2 i
_
e
ik x
e
ik x
_
=
1
(2)
3
_
d
3
k
sen(t)

e
i

k x
, (5.42)
dove k
0
= . La trasformata di Fourier tridimensionale che compare in questa espressione
`e da intendersi nel senso delle distribuzioni. Eseguendola esplicitamente si trova, vedi
problema 5.1,
D(t, x) =
1
4r
((t r) (t + r)) =
1
2
(t) (x
2
), (5.43)
dove ( ) indica la funzione segno, e r = [x[. Dalle espressioni scritte sopra si deduce
facilmente che questo kernel gode delle propriet`a,
2D = 0, (5.44)
D(0, x) = 0, (5.45)

0
D(0, x) =
3
(x). (5.46)
Per dimostrare lultima, ad esempio, si deriva la (5.42),

0
D(t, x) =
1
(2)
3
_
d
3
k cos(t) e
i

k x
,
che valutata in t = 0 d`a la (5.46). Usando queste propriet`a `e immediato vericare espli-
citamente che la (5.41) soddisfa lequazione delle onde, con le corrette condizioni inizia-
li. Per quanto riguarda la condizione iniziale (0, x), questo discende direttamente dalle
(5.45), (5.46), mentre per quanto riguarda
0
(0, x), derivando la (5.41) rispetto al tempo
e ponendo t = 0 si ottiene,

0
(0, x) =
_
d
3
y
_

0
D(0, x y)
0
(0, y) +
2
0
D(0, x y) (0, y)

.
Il primo integrale si riduce a
0
(0, x), grazie alla (5.46), mentre il secondo si annulla
poiche la (5.44) valutata in t = 0 d`a,

2
0
D(0, x) =
2
D(0, x) = 0,
grazie alla (5.45).
139
5.2.3 Covarianza della formula risolutiva
Facciamo ora vedere che la formula risolutiva (5.41) pu`o essere resa manifestamente
Lorentzcovariante, se si assegnano i dati iniziali di su unarbitraria ipersupercie di
tipo spazio.
Iniziamo riprendendo la formula del kernel (5.43), e facendo vedere che esso `e invariante
sotto trasformazioni di Lorentz proprie,
D(x) = D(x), SO(1, 3)
c
. (5.47)
Il fattore (x
2
) `e invariante in modo manifesto. Per dimostrare la (5.47) `e allora suciente
fare vedere che (t) il segno di t `e invariante sotto trasformazioni di Lorentz proprie,
se x `e di tipo (tempo o) nullo,
x
2
= t
2
[x[
2
0, ovvero, [x[ [t[. (5.48)
Per far vedere questo ricordiamo che se SO(1, 3)
c
, allora
0
0
1. In particolare, la
condizione

, per = = 0 fornisce,
(
0
0
)
2
= 1 +[

L[
2
, L
i

0
i
. (5.49)
Per il tempo trasformato abbiamo allora, supponendo t ,= 0,
t

=
0
0
t +
0
i
x
i
=
0
0
t +

L x =
0
0
t
_
1 +

L x

0
0
t
_
. (5.50)
Sfruttando le (5.48), (5.49) si ottiene la stima,

L x

0
0
t

L[ [x[
[t[
_
1 +[

L[
2

L[
_
1 +[

L[
2
< 1
_
1 +

L x

0
0
t
_
> 0.
Dato che anche
0
0
`e positivo, dalla (5.50) si conclude allora che t

e t hanno lo stesso
segno.
Invarianza relativistica dei coni luce. Con lanalisi appena svolta abbiamo, in partico-
lare, dimostrato che il cono luce futuro e il cono luce passato, ovvero, gli insiemi di
quadrivettori,
L
+
= V

R
4
/V
2
0, V
0
> 0, L

= V

R
4
/V
2
0, V
0
< 0,
140
sono invarianti sotto trasformazioni di Lorentz proprie. Faremo ampio uso di questo
risultato nel capitolo 6.
Grazie alla (5.47) siamo ora in grado di covariantizzare la (5.41), generalizzandola al
caso in cui i valori iniziali di sono dati su unarbitraria ipersupercie di tipo spazio
, vedi paragrafo 3.2.1. Una tale ipersupercie `e descritta in forma parametrica dalle
quattro funzioni di tre variabili y

(), ed `e caratterizzata da un vettore normale di tipo


tempo n

(), che possiamo normalizzare a uno, n

= 1. Assegnando su i valori di
e della derivata normale n

, la versione covariante della (5.41) si scrive allora,


(x) =
_

[D(x y)

(y) +

D(x y) (y)] , y

(), (5.51)
dove lelemento di ipersupercie `e dato da d

= n

g d
3
, si veda il paragrafo 3.2.1.
Per dimostrare che la (5.51) `e soluzione dellequazione delle onde `e suciente ricordare
che 2D = 0. Sfruttando le versioni covarianti delle (5.45), (5.46),
D(x) = 0, per x
2
< 0,

D(y() y(

)) = n

()

3
(

)
_
g()
,
si pu`o poi anche dimostrare che il secondo membro della (5.51) soddisfa le corrette
condizioni iniziali su .
La (5.51) `e indipendente da . Al posto di svolgere questa dimostrazione in dettaglio
facciamo vedere direttamente che la (5.51) coincide con la (5.41). Per fare questo notiamo
innanzitutto che, scelta come lipersupercie t = 0, la (5.51) si riduce alla (5.41). La
verica `e immediata poiche in questo caso abbiamo,
y

() = (0,
1
,
2
,
3
), n

() = (1, 0, 0, 0), g() = 1.


A questo punto, per concludere che la (5.51) coincide con la (5.41), `e suciente dimostrare
che la (5.51) `e indipendente dallipersupercie di tipo spazio scelta. Per dimostrare
questo introduciamo il campo vettoriale nelle due variabili x e y,
W

(x, y) = D(x y)

(y) +

D(x y) (y),
che `e a quadridivergenza nulla, se soddisfa lequazione delle onde. Infatti, tralasciando
di scrivere gli argomenti si ha,

(x, y) =

+ D2 2D +

= D2 2D = 0,
141
essendo che 2 = 0 = 2D. Integriamo ora lequazione

= 0 su un volume qua-
dridimensionale V il cui bordo `e composto da due arbitrarie ipersuperci di tipo spazio

1
e
2
, parametrizzate da y

1
() e y

2
(), e da unipersupercie di tipo tempo

, posta
allinnito spaziale,
_
V

(x, y) d
4
y = 0.
Applicando il teorema di Gauss si ottiene,
_

2
d

(x, y
2
)
_

1
d

(x, y
1
) +
_

(x, y

) = 0.
Se supponiamo che allinnito spaziale si annulla con suciente rapidit`a, il terzo
integrale `e zero, e concludiamo che,
_

2
d

(x, y
2
) =
_

1
d

(x, y
1
).
Data la denizione di W

abbiamo, quindi, dimostrato che la (5.51) `e indipendente da ,


ed essa uguaglia quindi la (5.41).
5.3 Soluzione generale dellequazione di Maxwell nel vuoto
In questa sezione determiniamo la soluzione generale dellequazione di Maxwell in assenza
di sorgenti,

= 0, F

, A

. (5.52)
Un campo elettromagnetico che soddisfa questa equazione viene chiamato campo libero,
oppure campo di radiazione. Stiamo, dunque, cercando la forma di un generico campo
di radiazione. Siccome il sistema (5.52) `e lineare nei campi, e dato che in base allanalisi
della sezione 2.3 consideriamo sia F

che A

come distribuzioni temperate, la tecnica di


soluzione pi` u appropriata `e ancora quella della trasformata di Fourier.
Per arontare la soluzione del sistema (5.52) dobbiamo innanzitutto scegliere il gauge
xing. Come esemplicato nel paragrafo 5.1.3, `e convienente imporre la gauge di Lorentz,

= 0,
142
per via della sua Lorentzinvarianza, mentre ci riserviamo di ssare la gauge residua in un
secondo momento. Secondo lanalisi del paragrafo 5.1.3, particolarizzata al caso j

= 0,
dobbiamo allora risolvere il seguente sistema,
2A

= 0, (5.53)

= 0, (5.54)
A

, 2 = 0. (5.55)
La trasformata di Fourier del potenziale vettore `e denita nel modo standard,

(k) =
1
(2)
2
_
d
4
xe
ik x
A

(x),
e analogamente quella

(k) del campo (x). Lunica dierenza sostanziale tra

A

(k) e
la trasformata di Fourier del campo scalare (k), `e che sotto trasformazioni di Lorentz

(k) trasforma come un campo vettoriale, vedi problema 5.2,

(k

) =

(k).
Il sistema di equazioni dierenziali (5.53)(5.55) muta allora, nuovamente, in un sistema
algebrico,
k
2

(k) = 0, (5.56)
k

(k) = 0, (5.57)

(k)

A

(k) + i k

(k), k
2

(k) = 0. (5.58)
La soluzione generale della (5.56) si deriva come nel caso delle onde scalari, vedi (5.28) e
(5.30), con lunica dierenza che la funzione peso ora `e un quadrivettore f

(k),

(k) = (k
2
)f

(k) =
1
2
_
(k
0
)

k) + (k
0
+ )

k)
_
, (5.59)
dove abbiamo posto,

k) f

(,

k), = [

k[.
Cos` come nel caso delle onde scalari (

k) era un quadriscalare, cos` ora

k) `e un qua-
drivettore, che viene chiamato vettore di polarizzazione. La (5.57) impone allora su
questo vettore la condizione di trasversalit`a,
k

= 0, dove k
0
= . (5.60)
143
Analogamente, la soluzione dellequazione k
2

= 0 in (5.58), `e data da,

(k) =
1
2i
_
(k
0
)(

k) (k
0
+ )

k)
_
.
La (5.58) asserisce allora che i vettori di polarizzazione, oltre a essere soggetti al vincolo
(5.60), sono deniti modulo la trasformazione di gauge residua,

+ k

. (5.61)
Questa trasformazione preserva, infatti, la gauge di Lorentz (5.60),
k

+ k

) = 0,
poiche k
2
= 0 = k

. Si evince, cos`, che delle quattro componenti complesse del


vettore di polarizzazione solo due hanno rilevanza sica: una viene eliminata dal gauge
xing (5.60), e laltra dalla gauge residua (5.61). Confermiamo, cos`, che nel campo
elettromagnetico si propagano due gradi di libert`a sici.
Antitrasformando la (5.59) si trova, inne, il potenziale vettore nello spazio delle
coordinate,
A

(x) =
1
(2)
2
_
d
3
k
2
_
e
ik x

k) + c.c.
_
. (5.62)
Per il campo elettromagnetico soluzione generale dellequazione di Maxwell nel vuoto
si ottiene allora lespressione,
F

=
1
(2)
2
_
d
3
k
2
_
i e
ik x
[k

] + c.c.
_
. (5.63)
Introducendo per la variabile di integrazione

k coordinate polari,

k (, , ), d
3
k =

2
d d, si pu`o anche scrivere,
F

(t, x) =
i
2(2)
2
_

0
d e
it

_
d
_
e
i

k x
[k

]
_
+ c.c., (5.64)
espressione che pu`o essere posta nella forma,
F

(t, x) =
1

2
_

d e
it
F

(, x), F

(, x) = F

(, x). (5.65)
Vediamo, dunque, che la trasformata di Fourier di F

(x) nella sola variabile t, ovvero, la


quantit`a F

(, x), rappresenta il peso relativo con cui una frequenza compare nella
144
sovrapposizione di onde piane, che compongono un generico campo di radiazione. Questo
risultato verr`a utilizzato, quando analizzeremo il contenuto energetico della radiazione
frequenza per frequenza, cio`e, quando eettueremo la sua analisi spettrale, vedi capitolo
11.
5.3.1 Propriet`a delle onde elettromagnetiche elementari
Dalla soluzione generale dellequazione di Maxwell nel vuoto (5.62), vediamo che il gene-
rico potenziale vettore risulta sovrapposizione di onde elementari, a vettore donda k

ssato,
A

el
(x) =

e
ik x
+ c.c., k
0
= , k

= 0,

+ k

. (5.66)
Dalla sezione 5.2 sappiamo gi`a che queste onde sono piane, moncocromatiche, e che viag-
giano con la velocit`a della luce. Al contrario, queste onde non sono scalari, perche il
tensore di polarizzazione

`e un vettore.
Le relazioni delle onde. Per derivare le caratteristiche addizionali derivanti dalla na-
tura tensoriale di queste onde, vedi le propriet`a 1) 5) elencate sotto, `e utile trovare
unespressione conveniente per le derivate di A

el
. Per non appesantire la notazione dora
in poi indicheremo A

el
semplicemente con A

. Derivando la (5.66) si trova allora,

= ik

e
ik x
+ c.c. (5.67)
Come nel caso delle onde scalari, vedi (5.36), introduciamo il vettore nullo,
n

, n
0
= 1, n =

.
Dalle (5.66), (5.67) seguono allora facilmente le relazioni delle onde,

= n

, n

= 0, n

= 0. (5.68)
Si noti che queste relazioni vengono preservate dalle trasformazioni di gauge residue (5.61),
che per unonda elementare equivalgono semplicemente alla sostituzione,
A

+ n

, (5.69)
145
con unarbitraria onda piana scalare. Baseremo la dimostrazione delle propriet`a 1), 2)
e 5) sulle relazioni delle onde (5.68) e non sulle formule esplicite (5.66) per un motivo
che spiegheremo alla ne del paragrafo.
1) Onde trasverse. Le onde elettromagnetiche sono polarizzate trasversalmente, vale
a dire,
n

E = 0 = n

B. (5.70)
I campi elettrico e magnetico sono dunque ortogonali alla direzione di propagazione
dellonda. Per dimostrare le (5.70) determiniamo il campo elettromagnetico usando le
(5.68),
F

= n

, (5.71)
e sfruttiamo la relazione,
n

= 0

A
0
= n
k

A
k
. (5.72)
Otteniamo,
E
i
= F
i0
= n
i

A
0


A
i
= n
i
(n
k

A
k
)

A
i
, (5.73)
B
i
=
1
2

ijk
F
jk
=
ijk
n
j

A
k
. (5.74)
Le (5.70) seguono allora immediatamente.
2) Relazione tra

E e

B. I campi elettrico e magnetico sono uguali in modulo e
ortogonali fra loro,
[

E[ = [

B[,

E

B = 0. (5.75)
Per farlo vedere `e suciente ricordare la forma degli invarianti quadratici,

= 8

E

B, F

= 2 (B
2
E
2
).
Inserendo la (5.71) si trova che entrambi gli invarianti sono nulli, il primo per lantisim-
metria del tensore di LeviCivita, e il secondo per le (5.68). Pertanto valgono le (5.75).
Possiamo riassumere le propriet`a 1) e 2) nelle formule,

B = n

E, n

E = 0. (5.76)
Il campo magnetico `e dunque determinato univocamente dal campo elettrico.
146
3) Due stati sici di polarizzazione. Come accennato nel paragrafo precedente,
per ogni

k ssato esistono due stati di polarizzazione sici linearmente indipendenti. Per
analizzarli prendiamo come asse z la direzione di propagazione dellonda,
k

= (, 0, 0, ),
sicche la condizione k

= (
0

3
) = 0 pone

= (
0
,
1
,
2
,
0
). Il vettore di
polarizzazione pu`o dunque essere considerato come sovrapposizione

T
+

L
dello
stato longitudinale non sico,

L
= (
0
, 0, 0,
0
),
e dei due stati sici trasversi,

T
= (0,
1
,
2
, 0). (5.77)
Questa terminologia `e giusticata dal fatto che sotto una trasformazione di gauge residua
gli stati trasversi sono invarianti, mentre lo stato longitudinale cambia,

+ k

= (
0
+ ,
1
,
2
,
0
+ ) =

T
+
_
1 +

0
_

L
. (5.78)
In particolare, lo stato longitudinale pu`o essere eliminato scegliendo =
0
/, ope-
razione che viola, tuttavia, linvarianza di Lorentz manifesta. Al contrario, la presenza
virtuale dello stato longitudinale pu`o essere sfruttata per controllare la correttezza dei
calcoli che si stanno svolgendo. Infatti, le quantit`a osservabili non devono risentire della
presenza dello stato longitudinale, e quindi devono essere invarianti sotto trasformazioni
di gauge residue. A titolo di esempio verichiamo linvarianza dei campi elettrico e ma-
gnetico (5.73), (5.74), che certamente costituiscono delle grandezze osservabili. Eseguendo
le trasformazioni (5.69), ovvero, A
i
A
i
+ n
i
, si trova infatti,
E
i
E
i
+ n
i
(n
k
n
k
) n
i
= E
i
,
B
i
B
i

ijk
n
j
n
k
= B
i
.
4) Polarizzazione lineare, circolare ed ellittica. Inserendo la (5.66) nella (5.73)
si trova che il campo elettrico in unonda piana ha la forma generale,

E =

c e
ik x
+

c

e
ik x
=

V
1
cos(k x) +

V
2
sen(k x), (5.79)
147
dove

c
1
2
(

V
1
i

V
2
) `e un arbitrario vettore complesso ortogonale ad n, e

V
1
e

V
2
sono due
arbitrari vettori reali, ortogonali anche essi ad n.

E dipende dunque da quattro parametri
reali indipendenti, che sono in corrispondenza biunivoca con le due polarizzazioni siche
complesse di A

. Le propriet`a di polarizzazione di unonda elementare sono legate ai


vincoli a cui `e soggetto

c, oppure, equivalentemente, alle relazioni esistenti tra

V
1
e

V
2
.
Londa si dice polarizzata linearmente, se

E ha direzione costante nel tempo, quindi se,

V
1
|

V
2


c = e
i

V , con e

V reali. (5.80)
Londa si dice invece polarizzata circolarmente, se per ogni x ssato al variare di t la
punta di

E percorre una circonferenza, quindi se,

V
1


V
2
, [

V
1
[ = [

V
2
[ n

c = i

c. (5.81)
Se si prende come asse z la direzione di n, questa condizione equivale a c
x
= i c
y
, si
veda il problema 5.5. La polarizzazione circolare si dice oraria (antioraria) se

E percor-
re la circonferenza in senso orario (antiorario), quindi se il vettore

V
2


V
1
`e parallelo
(antiparallelo) a n. Inne, se

c `e un vettore generico, londa si dice polarizzata ellitti-
camente. In realt`a, in questo caso londa non possiede nessuna particolare propriet`a di
polarizzazione. Per concludere notiamo che, se deniamo,

W
1
= cos

V
1
sen

V
2
,

W
2
= sen

V
1
+ cos

V
2
, tg 2 =
2

V
1

V
2
[

V
2
[
2
[

V
1
[
2
,
le (5.79) possono essere poste anche nella forma alternativa,

E =

W
1
cos(k x + ) +

W
2
sen(k x + ),

W
1


W
2
= 0. (5.82)
In questa rappresentazione londa risulta polarizzata linearmente se uno dei vettori

W
1
,

W
2
si annulla, mentre `e polarizzata circolarmente se [

W
1
[ = [

W
2
[. Dalla (5.82) si vede inoltre
che la punta del campo elettrico descrive in generale un ellisse, da cui la nomenclatura
polarizzazione ellittica. Infatti, se dirigiamo lasse x lungo

W
1
e lasse y lungo

W
2
, dalla
(5.82) segue che le componenti di

E soddisfano lequazione dellellisse,
(E
x
)
2
W
2
1
+
(E
y
)
2
W
2
2
= 1.
148
5) Contenuto in energia. Il contenuto in quadrimomento di un generico campo
elettromagnetico `e espresso dal tensore energiaimpulso (2.78),
T

em
= F

+
1
4

.
Valutiamolo per le onde elementari, inserendovi le (5.71). Sappiamo gi`a che linvariante
F

si annulla, sicche otteniamo la formula compatta,


T

em
= (n

)(n

) = n

(

A

). (5.83)
Analizziamo ora le propriet`a di questa espressione. Innanzitutto, usando le (5.68) si veri-
ca facilmente che T

em
`e invariante sotto le trasformazioni di gauge residue (5.69). Inoltre,
eliminando dalla (5.83) A
0
tramite la (5.72), otteniamo unespressione che coinvolge solo
il potenziale vettore spaziale,
T

em
= n

(

A
i

A
j
)
ij
,
ij

ij
n
i
n
j
. (5.84)
Se per di pi` u scegliamo come asse z la direzione di propagazione dellonda, sicch`e n
i
=
(0, 0, 1), la (5.84) si riduce semplicemente a,
T

em
= n

_

A
i

A
i

_
n
i

A
i
_
2
_
= n

_
(

A
1
)
2
+ (

A
2
)
2
_
. (5.85)
Come si vede, il tensore energiaimpulso non dipende dalla componente longitudinale
non sica A
3
. In ultima analisi ci`o `e dovuto allinvarianza di gauge residua (5.69), che
assicura che T

em
`e invariante sotto lo shift A
i
A
i
+ n
i
, ovvero,
A
1
A
1
, A
2
A
2
, A
3
A
3
+ .
Confrontando la (5.85) con la (5.37) riscontriamo di nuovo che alle onde elettromagnetiche
corrispondono due gradi di libert`a sici trasportatori di quadrimomento rappresentati
qu` da A
1
e A
2
. Secondo lanalisi svolta dopo la formula (5.37) ci aspettiamo allora che
a livello quantistico a ciascuno dei due gradi trasversi sia associata una particella priva
di massa, ovvero, un fotone trasverso. Nel prossimo paragrafo vedremo che quello che
distingue questi due gradi trasversi tra di loro, `e lelicit`a.
Inne, sfruttando la (5.73) si vede che la (5.84) pu`o essere riscritta come,
T

em
= n

E[
2
=
1
2
n

_
[

E[
2
+[

B[
2
_
.
149
Daltra parte, per le onde piane il vettore di Poynting assume la forma, vedi (5.76),

S =

E

B =

E (n

E) = [

E[
2
n. (5.86)
Ritroviamo cos` le formule generali T
00
em
=
1
2
(E
2
+ B
2
), e T
0i
em
= S
i
. In particolare, in
unonda piana il usso di energia

S `e diretto lungo la direzione di propagazione dellonda,
come cera da aspettarsi.
Il campo nella zona delle onde. Concludiamo questo paragrafo con il caveat che le pro-
priet`a 1)5) valgono per le onde elettromagnetiche elementari (5.66), ma non per un
arbitrario campo di radiazione (5.63) sovrapposizione generica delle prime. Tuttavia,
vedremo che le relazioni delle onde (5.68) sono valide anche per un generico campo elet-
tromagnetico nella cosiddetta zona delle onde, ovvero, a grandi distanze dalle sorgenti
che lo creano. Dato che nella dimostrazione delle propriet`a 1), 2) e 5) abbiamo utilizzato
solo tali relazioni, ne cosegue che queste propriet`a sono soddisfatte anche da un generico
campo elettromagnetico nella zona delle onde. Ci riferiamo in particolare alle formu-
le (5.73), (5.76) e (5.84), che danno il campo elettrico, il campo magnetico e il tensore
energiaimpulso in termini del solo potenziale spaziale

A,

E =

A + (n

A ) n = n (n

A), (5.87)

B = n

E, n

E = 0, (5.88)
T

em
= n

(

A
i

A
j
)
ij
= n

E[
2
,
ij
=
ij
n
i
n
j
. (5.89)
Insistiamo su questo punto perche, come vedremo, lanalisi energetica del fenomeno dellir-
raggiamento non richiede la conoscenza del potenziale vettore esatto, ma soltanto quella
del suo andamento asintotico nella zona delle onde. Per questultimo potremo allora usare
le formule molto semplici riportate sopra, e lanalisi energetica risulter`a cos` notevolmente
semplicata.
5.3.2 Onde piane ed elicit`a
In questo paragrafo analizziamo una propriet`a caratteristica delle onde piane, che va sotto
il nome di elicit`a. Questo concetto `e intimamente legato a una grandezza sica che gioca
un ruolo fondamentale nella descrizione quantistica delle onde: lo spin
18
. Pi` u precisa-
18
Il termine elicit`a viene talvolta usato anche a livello quantistico. In quel caso si intende la proiezione
dello spin di una particella priva di massa, lungo la sua direzione di propagazione.
150
mente, si pu`o far vedere che lelicit`a di unonda piana corrisponde esattamente allo spin
della particella, che la rappresenta a livello quantistico. Per chiarire meglio il signicato
dellelicit`a metteremo a confronto le onde scalari, elettromagnetiche e gravitazionali.
Riportiamo, dunque, la forme delle onde piane, rispettivamente nei tre casi,
(x) = (

k) e
ik x
+ c.c., (5.90)
A

(x) =

k) e
ik x
+ c.c., k

= 0,

+ k

, (5.91)
h

(x) =

k) e
ik x
+ c.c., k

=
1
2
k

. (5.92)
Onde gravitazionali. Per le onde gravitazionali abbiamo riportato le previsioni fatte
dalla Relativit`a Generale. In uno spaziotempo curvo la forma dellintervallo si generalizza
a,
ds
2
= dx

dx

ds
2
= dx

dx

(x),
dove il tensore simmetrico g

(x) rappresenta la metrica del continuo spaziotemporale.


Se lo si scrive come,
g

(x) =

+ h

(x),
allora il campo gravitazionale `e rappresentato dal tensore doppio simmetrico h

. Questo
campo descrive, dunque, lo scostamento della metrica di uno spaziotempo curvo, dalla
metrica piatta

. Si pu`o poi vedere che nellapprossimazione di campi gravitazionali


deboli, ovvero, per,
[h

[ 1,
le equazioni di Einstein nel vuoto ammettono come soluzioni le onde piane date nella
(5.92). Queste onde sono caratterizzate da un tensore di polarizzazione

simmetrico,
soggetto alle condizioni di gaugexing e di invarianza di gauge residua, riportate in
formula. In questo caso si hanno quattro parametri di gauge

, ed `e immediato vericare
che le trasformazioni di gauge residue preservano la condizione di gaugexing. Dato che
k
2
= 0 si ha, infatti,
k

) =
1
2
k

),

.
Anche le onde gravitazionali viaggiano con la velocit`a della luce. Per determinare il
numero di gradi di libert`a associati a queste onde osserviamo che il tensore

, essendo
151
simmetrico, ha dieci componenti indipendenti. Abbiamo quattro condizioni di gauge
xing, e quattro trasformazioni di gauge residue, rappresentate dal vettore

. Queste
onde sono quindi caratterizzate da 10 4 4 = 2 gradi di libert`a, esattamente come le
onde elettromagnetiche. Dal punto di vista cinematico, lunica cosa che le distingue dalle
onde elettromagnetiche in ultima analisi `e lelicit`a.
Elicit`a. Il concetto di elicit`a `e legato alle propriet`a di trasformazione dei tensori di po-
larizzazione (

k),

k),

k), sotto una certa classe di rotazioni tridimensionali. Ricor-


diamo che sotto una generica trasformazione di Lorentz

, questi tensori sono soggetti


a leggi di trasformazione ben denite,

) = (

k),

) =

k),

) =

k), (5.93)
dove,
k

.
Ricordiamo che k
0
= = [

k[, in quanto k
2
= 0. Consideriamo ora un generico vettore
donda

k, che teniamo sso in tutta lanalisi che segue. Una generica onda piana `e allora
completamente caratterizzata dal suo tensore di polarizzazione complesso, soggetto alla
rispettiva condizione di gaugexing. Chiamiamo V
i
(i = 1, 2, 3) lo spazio vettoriale
lineare complesso dei tensori di polarizzazione in ciascuno dei tre casi, vincolati dalle
rispettive condizioni di gaugexing. Le dimensioni d
i
di questi spazi sono allora,
d
1
= 1, d
2
= 4 1 = 3, d
3
= 10 4 = 6.
Deniamo ora il sottogruppo G del gruppo di Lorentz, costituito dalle rotazioni spaziali
di un generico angolo attorno alla direzione di

k. Evidentemente G costituisce un sot-
togruppo abeliano ad un solo parametro. Indicando il suo generico elemento con

(),
vale in particolare,

(
1
)

(
2
) =

(
1
+
2
).
Per trasformazioni di questo tipo

k resta ovviamente invariante,
k

() k

= k

.
152
Nelle (5.93) trasformano allora solo i tensori di polarizzazione, ma non i loro argomenti. Di
conseguenza le polarizzazioni trasformate continuano a soddisfare le condizioni di gauge
xing indicate in (5.90)(5.92), con lo stesso k

. Concludiamo, quindi, che ciascuno spazio


vettoriale V
i
`e sede di una rappresentazione di G, in generale riducibile. Daltra parte,
secondo un noto teorema della teoria dei gruppi, le rappresentazioni complesse irriducibili
di G in quanto gruppo abeliano sono tutte unidimensionali, con sede i numeri complessi
c C, e in ogni rappresentazione irriducibile lelemento

() di G agisce secondo,
c c

= e
i h
c, (5.94)
per un qualche numero reale h ssato.
Deve allora essere possibile decomporre lo spazio vettoriale V
i
delle polarizzazioni, in d
i
sottospazi unidimensionali, sedi di rappresentazioni irriducibili di G del tipo (5.94). Ogni
sottospazio rappresenta cos` un grado di libert`a sico o non sico e la polarizzazione
c associata trasforma per una rotazione attorno a

k secondo la (5.94). A ciascuno dei
gradi di libert`a dellonda piana, classicati in questo modo, resta quindi associato in modo
univoco un numero reale h che viene chiamato elicit`a (helicity). Il fatto rilevante `e che
si pu`o dimostrare che a un grado di libert`a con elicit`a h, a livello quantistico corrisponde
una particella di spin h.
Per eseguire esplicitamente la decomposizione in rappresentazioni irriducibili in ciascu-
no dei tre casi, `e conveniente scegliere come asse z la direzione di

k, sicche k

= (, 0, 0, ).

() `e allora la matrice di rotazione di un angolo attorno allasse z,

() =
_
_
_
_
1
0
0
0
0
cos
sen
0
0
sen
cos
0
0
0
0
1
_
_
_
_
. (5.95)
Per ridurre le rappresentazioni di G date in (5.93) in rappresentazioni unidimensionali,
occorre trovare opportune combinazioni lineari c delle componenti dei tensori di polariz-
zazione, tali che le trasformazioni (5.93) assumano la forma diagonale (5.94). Eseguiamo
ora questa riduzione in ciascuno dei tre casi.
Onde scalari. Per le onde scalari abbiamo d
1
= 1. Per qualsiasi trasformazione di Lo-
rentz, e quindi anche per la trasformazione

(), abbiamo

= . La rappresentazione
153
`e gi`a unidimensionale, e vale la (5.94) con c = , e h = 0. Le onde scalari corrispondono,
dunque, a un solo grado di libert`a sico, di elicit`a zero.
Onde elettromagnetiche. In questo caso abbiamo d
2
= 3. Per via del gaugexing
k

= 0, il vettore

ha infatti tre componenti indipendenti: le due polarizzazioni


siche trasverse
1
e
2
, e la componente non sica longitudinale
3
=
0
. Esplicitando la
trasformazione

()

, si ottiene,

0
=
0
,

1
= cos
1
+ sen
2
,

2
= sen
1
+ cos
2
,

3
=
3
.
Si vede che la componente longitudinale porta elicit`a zero. Le combinazioni lineari di
1
e
2
che diagonalizzano le trasformazioni appena scritte sono invece,
c

=
1
i
2
.
Infatti,
c

=
1
+ i
2
= cos
1
+ sen
2
+ i (sen
1
+ cos
2
) = e
i
c

,
e un risultato analogo si trova per c
+
. Risulta quindi,
c

= e
i
c

.
Concludiamo che unonda elettromagnetica contiene uno stato di polarizzazione non -
sico di elicit`a h = 0, e due stati di polarizzazione sici di elicit`a h = 1. Questi due
stati corrispondono a onde elettromagnetiche polarizzate circolarmente, rispettivamente
in senso orario e antiorario, si veda il problema 5.5.
Onde gravitazionali. Nel caso dellonda gravitazionale il tensore di polarizzazione

,
per via del gaugexing,
k

=
1
2
k

, (5.96)
ha d
3
= 6 componenti indipendenti, di cui due sici e quattro non sici. Per brevit`a in
questo caso ci occupiamo solo delle due componenti siche. Per individuarle notiamo che
154
le componenti 0 di

possono essere eliminate con una trasformazione di gauge residua,

0
=
0
+
0
k

= 0.
`
E suciente scegliere,

0
=
1
2

00
,
i
=
1

_
1
2
n
i

00

0i
_
.
Una volta posto
0
= 0, le condizioni (5.96) per = 0 implicano,

=
ii
= 0, (5.97)
e per = i esse si riducono allora a,
k

i
= k
j

ji
= 0.
Dato che

k = (0, 0, ), se ne deduce che anche
3
`e zero. La (5.97) d`a allora,

11
+
22
= 0.
Concludiamo cos` che possiamo annullare tutte le componenti di

, tranne,

12
=
21
, e
11
=
22
.

12
e
11
rappresentano allora le due polarizzazioni siche linearmente indipendenti. Si
noti, in particolare, che esse sono invarianti sotto le trasformazioni residue di (5.92), perche
k

non ha componenti lungo x e y.


Per una rotazione attorno allasse z il tensore di polarizzazione trasforma come indicato
in (5.93), e per la componente
11
si ottiene allora,

11
=
1
1
()
1
1
()
11
+ 2
1
2
()
1
1
()
12
+
1
2
()
1
2
()
22
= cos
2

11
+ 2 sencos
12
sen
2

11
= cos 2
11
+ sen2
12
.
In modo del tutto analogo si ottiene,

12
= sen2
11
+ cos 2
12
.
155
Come nel caso delle onde elettromagnetiche queste trasformazioni si diagonalizzano po-
nendo,
c

=
11
i
12
,
ma ora risulta,
c

= e
2i
c

.
Le due polarizzazioni siche contenute in unonda gravitazionale hanno quindi elicit`a
h = 2. A livello classico le onde elettromagnetiche e le onde gravitazionali hanno,
dunque, in comune la velocit`a di propagazione e il numero di gradi di libert`a, ma si
distinguono per lelicit`a.
In base al nesso esistente tra elicit`a e spin possiamo allora concludere che a livello
quantistico a un campo scalare, la cui dinamica discenda dalla lagrangiana (5.21), cor-
risponder`a una particella priva di massa e di spin 0, che il campo elettromagnetico sar`a
composto da particelle prive di massa di spin 1, i fotoni, mentre il campo gravitazionale,
supposto che esista una teoria quantistica consistente dellinterazione gravitazionale, sar`a
composto da particelle prive di massa di spin 2, i gravitoni.
Basi diverse di soluzioni. In questa sezione abbiamo studiato una particolare base
completa di soluzioni dellequazione di Maxwell nel vuoto, le onde piane, e ne abbia-
mo analizzato le propriet`a pi u salienti. Aggiungiamo ora unultima propriet`a, non me-
no signicativa delle altre, e forse la pi` u caratteristica: per trasformazioni di Lorentz
ogni suo elemento va in un altro elemento della stessa base. Detto in altre parole, sotto
trasformazioni di Lorentz londa piana (5.66) resta unonda piana.
Tuttavia, `e chiaro che la base delle onde piane, pur essendo di particolare rilevanza,
non `e lunica base di interesse sico. Un altro importante sistema completo di soluzioni `e
costituito dalle cosiddette onde sferiche, sistema che risulta molto utile nello sviluppo
sistematico della radiazione in multipoli. Non ci occuperemo in dettaglio di questo si-
stema, perche ci serviremo dello sviluppo in multipoli solo nel limite non relativistico, in
cui `e suciente tenere conto dei termini di dipolo e di quadrupolo. Si vedano, tuttavia, i
paragra 9.6 e 9.7 del testo di J.D. Jackson
19
.
19
J.D. Jackson, Classical Electrodynamics, 3
a
edizione, Wiley & Sons, New York, 1998.
156
5.4 Il problema di Cauchy per il campo di radiazione
In questa sezione arontiamo il problema alle condizioni iniziali per il campo elettroma-
gnetico libero. La nostra analisi partir`a dalla formula risolutiva (5.63), in quanto soluzione
generale dellequazione di Maxwell nel vuoto. Nel paragrafo che segue cogliamo loccasio-
ne per riderivare questa formula con un approccio alternativo, che ha il pregio di essere
manifestamente gaugeinvariante.
5.4.1 Campo di radiazione e invarianza di gauge manifesta
Abbiamo visto che lintroduzione del potenziale vettore risulta inevitabile se si vuole
derivare lElettrodinamica da un principio variazionale, che costituisce, a sua volta, il
punto di partenza indispensabile per la quantizzazione della teoria. Daltra parte, il
difetto pi` u signicativo degli approcci che coinvolgono esplicitamente il potenziale vettore
e non solo il campo elettromagnetico `e lassenza dellinvarianza di gauge manifesta.
In realt`a, nellambito dellElettrodinamica classica lintroduzione del potenziale vet-
tore costituisce solo un fatto di convenienza, in quanto pu`o rendere pi` u agevole lo studio
di certi fenomeni. Abbiamo visto, per esempio, che lintroduzione del potenziale vetto-
re, insieme alluso della trasformata di Fourier, ci ha permesso di risolvere agevolmente
lequazione di Maxwell nel vuoto. Tuttavia, `e possibile formulare e analizzare lElettrodi-
namica classica in termini del solo campo elettromagnetico F

: i pregi evidenti di un tale


approccio sono che non si introducono mai elementi nonsici, e che linvarianza di gauge
`e manifesta. Per illustrare questo framework alternativo di seguito risolviamo nuovamente
le equazioni di Maxwell nel vuoto facendo uso solo del campo elettromagnetico.
In questa prospettiva dobbiamo considerare oltre allequazione di Maxwell, anche
lidentit`a di Bianchi, e il sistema da risolvere `e dunque,

= 0, (5.98)

[
F
]
=
1
3
(

) = 0. (5.99)
Come primo passo della soluzione dimostriamo che tutte le componenti del campo elet-
tromagnetico devono soddisfare lequazione delle onde. Applicando allidentit`a di Bianchi
157
loperatore

risulta,
1
3
(2F

) = 0.
Grazie alla (5.98), il secondo e il terzo termine di questa equazione sono nulli, e si ottiene
eettivamente,
2F

= 0. (5.100)
Si badi, tuttavia, che questa equazione segue dalle (5.98), (5.99), ma non le implica. Con
lesperienza accumulata nora `e comunque immediato scrivere la soluzione generale della
(5.100),
F

=
1
(2)
2
_
d
3
k
2
_
e
ik x
f

k) + c.c.
_
, (5.101)
dove f

k) per il momento `e un arbitrario tensore complesso antisimmetrico, e k


2
= 0.
Resta da capire per quali f

lespressione appena scritta soddisfa anche le (5.98), (5.99).


A questo scopo valutiamo le derivate della (5.101), portandole sotto il segno di integrale
e derivando lesponenziale,

=
i
(2)
2
_
d
3
k
2
_
e
ik x
k

k) + c.c.
_
.
Imponendo le (5.98), (5.99), ed eseguendone lantitrasformata di Fourier nella sola varia-
bile x, si vede che queste equazioni dierenziali mutano nelle equazioni algebriche,
k

= 0, (5.102)
k
[
f
]
= 0. (5.103)
Non `e dicile convincersi che la soluzione generale della (5.103) `e,
f

= k

, (5.104)
dove

k) `e un arbitrario quadrivettore complesso. La (5.102) impone allora,


k

= k

(k

) = k
2

(k

) = k

(k

) = 0,
ovvero,
k

= 0. (5.105)
Daltra parte, non tutti i

soddisfacenti la (5.105) danno luogo a soluzioni diverse.


Infatti, i vettori

+k

soddisfano entrambi la (5.105), ma danno luogo allo stesso


158
f

. A questo punto `e immediato vericare che le soluzioni (5.101), con f

dato dalle
(5.104), (5.105), combaciano perfettamente con le soluzioni (5.63), previa lidenticazione,

= i

.
5.4.2 Problema di Cauchy e formule risolutive
Arontiamo ora il problema alle condizioni iniziali per il campo elettromagnetico. Date le
(5.100), (5.101), e vista lanalisi del paragrafo 5.2.2, siamo gi`a in grado di scrivere F

(x)
in termini dei dati inziali F

(0, x) e
0
F

(0, x), e del kernel antisimmetrico D(x), si


veda la (5.41),
F

(x) =
_
d
3
y [D(t, x y)
0
F

(0, y) +
0
D(t, x y) F

(0, y)] . (5.106)


Daltro canto, le derivate temporali
0
F

(0, x) sono legate ai valori iniziali degli stessi


campi F

(0, x) attraverso le (5.98) e (5.99). Nel vuoto valgono, infatti, le solite relazioni,

E =


B,
0

B =


E.
Valutandole a t = 0 e inserendole nella (5.106), si ottengono cos` le formule risolutive,

E(x) =
_
d
3
y
_
D(t, x y)


B(0, y) +
0
D(t, x y)

E(0, y)
_
, (5.107)

B(x) =
_
d
3
y
_
D(t, x y)


E(0, y) +
0
D(t, x y)

B(0, y)
_
. (5.108)
Queste formule esprimono il campo elettromagnetico a un istante t, direttamente in ter-
mini dei dati iniziali

E(0, x) e

B(0, x). Per di pi` u, sfruttando il fatto che il kernel anti-
simmetrico soddisfa lequazione delle onde 2D = 0, `e immediato vericare che le (5.107),
(5.108) soddisfano eettivamente le (5.98), (5.99) ovvero, le (2.31)(2.34) con sorgenti
nulle per ogni t, purche i dati iniziali soddisno i vincoli di sicit`a,


E(0, x) = 0 =


B(0, x).
Come anticipato nel paragrafo 2.2.3, la conoscenza di solo quattro componenti del campo
elettromagnetico a t = 0, ad esempio di E
1
(0, x), E
2
(0, x), B
1
(0, x) e B
2
(0, x), `e quindi
suciente a determinare il campo elettromagnetico per ogni t !
159
Concludiamo questo paragrafo evidenziando le propriet`a pi` u importanti delle formule
risolutive (5.106)(5.108).
Covarianza. Grazie ai risultati del paragrafo 5.2.3 concernenti lequazione delle onde
per il campo scalare, `e immediato porre la (5.106) in forma covariante. Scegliamo unar-
bitraria ipersupercie di tipo spazio, con vettore normale unitario di tipo tempo n

, su
cui assegniamo i valori di F

e di n

. La versione covariante della (5.106) si legge


allora,
F

(x) =
_

[D(x y)

(y) +

D(x y) F

(y)] , (5.109)
dove lelemento di ipersupercie `e d

= n

g d
3
, si veda il paragrafo 3.2.1. Come
abbiamo dimostrato nel caso del campo scalare, il secondo membro della (5.109) coincide
in eetti con la (5.106). Inne, come sopra si pu`o far vedere che le derivate n

su
sono determinate dai valori su degli stessi campi F

, e che di questi ultimi solo quattro


possono essere scelti in modo arbitrario.
Causalit`a. Una caratteristica importante del kernel (5.43) risiede nel fatto che il suo
supporto `e il cono luce, vale a dire, D(t, x) `e diverso da zero solo per t = [x[. Questa
propriet`a assicura, infatti, che un generico campo di radiazione e non solo le onde
piane si propaga con la velocit`a della luce. Illustriamo questo fatto con un esempio.
Supponiamo che i campi iniziali

E(0, x) e

B(0, x) siano diversi da zero solo allinterno di
una sfera di raggio L centrata nellorigine, sicche nelle (5.107), (5.108) lintegrale su y si
restringe alla regione [y[ < L. Consideriamo allora un punto P esterno alla sfera, con
coordinate x
0
. Dato che D(t, x y) = 0 per [x y[ , = t, dalle (5.107), (5.108) si vede che
a un istante t > 0 il campo elettromagnetico in P `e diverso da zero solo se esistono degli
y tali che,
t = [x
0
y[, [y[ < L.
In P il primo segnale giunge quindi allistante t = [x
0
[ L, mentre a tutti gli istanti
precedenti in P il campo `e nullo. Siccome la distanza di P dalla sfera `e proprio [x
0
[ L,
si vede dunque che il campo si propaga con la velocit`a della luce.
Principio di Huygens. Il kernel (5.43) `e invariante per trasformazioni di Lorentz e
160
quindi, in particolare, per rotazioni spaziali,
D(t, Rx) = D(t, x), R SO(3).
Data la forma delle (5.107), (5.108), il campo elettromagnetico si propaga allora in tutte le
direzioni in modo isotropo, caratteristica che costituisce la base del principio di Huygens.
5.4.3 Invarianza per inversione temporale
Linvarianza per inversione temporale si riferisce al fatto che un evento sico che sia
stato lmato, quando viene rivisto proiettando il lm in senso inverso appare realistico
come levento originale. Ad esempio, se lmiamo la collisione elastica tra due particelle
e la proiettiamo al contrario, quello che vediamo `e una collisione che pu`o eettivamente
avvenire in natura. Dal punto di visto teorico linversione temporale `e un elemento discreto
del gruppo di Lorentz, dato da,

0
0
= 1,
i
j
=
i
j
,

= 0, se ,= . (5.110)
Questa trasformazione, che non fa parte del gruppo di Lorentz proprio, manda dunque
t in t, ma lascia lo spazio invariato. Vediamo come si realizza in alcuni sistemi sici
concreti.
Invarianza per inversione temporale in meccanica non relativistica. Consideriamo le-
quazione di Newton in presenza di una generica forza dipendente da posizione e velocit` a,
ma =

F(y, v).
Ci chiediamo sotto quali condizioni lequazione mantiene la stessa forma sotto linversione
temporale t t

= t, ovvero, sotto le trasformazioni,


y

(t

) = y(t), v

(t

) =
dy

dt

= v(t), a

(t

) =
d
2
y

dt
2
=a(t). (5.111)
Il primo membro dellequazione di Newton `e invariante, mentre linvarianza del secondo
richiede che,
F(y, v) =

F(y, v).
La forza deve essere quindi indipendente dalla velocit`a, oppure dipendere solo dal suo mo-
dulo e dalla sua direzione, ma non dal suo verso. Una conseguenza sica dellinvarianza
161
per inversione temporale `e che se y(t) `e una soluzione, allora `e soluzione anche y

(t

) nella
variabile t

, ovvero, dato che y

(t) = y(t), `e soluzione anche y(t) nella variabile t. Le


leggi orarie y(t) e y(t) corrispondono evidentemente alle stesse orbite, ma nel caso di
y(t) esse vengono percorse a ritroso nel tempo, con tutte le velocit`a invertite. Viceversa,
se la forza dipende anche dal verso della velocit`a, le y(t) non sono pi` u soluzioni. Ad
esempio, nel caso della forza viscosa

F = kv, le soluzioni y(t) descrivono moti esponen-
zialmente smorzati, mentre le y(t) descriverebbero moti non sici esponenzialmente
crescenti, che non soddisfano lequazione di Newton.
Inne, se la forza `e conservativa si ha

F =

V (y), e in questo caso lequazione di


Newton pu`o essere dedotta dalla lagrangiana L =
1
2
mv
2
V (y). Come si vede, anche L
`e invariante sotto inversione temporale.
Invarianza per inversione temporale dellequazione delle onde. Analizziamo ora sotto
lo stesso punto di vista lequazione delle onde per un campo scalare, 2 = 0, e la sua
soluzione generale (5.41). Questa volta partiamo dallosservazione che il kernel D che
governa la formula risolutiva (5.41), oltre alle caratteristiche gi`a menzionate, ne possiede
una che non abbiamo ancora messo in evidenza: `e una funzione antisimmetrica del tempo,
D(t, x) = D(t, x).
Come faremo vedere, questa propriet`a `e intimamente legata con linvarianza per inversione
temporale dellequazione delle onde,
_

2
0

2
_
= 0.
Essendo unequazione del secondo ordine nella derivata temporale come lequazione di
Newton essa `e infatti invariante sotto le trasformazioni,
t

= t,

0
=
0
,

(t

, x) = (t, x). (5.112)


Di conseguenza, se (t, x) `e soluzione, allora `e soluzione anche

(t, x) = (t, x). In


particolare, la soluzione

(t, x) `e univocamente determinata dalle condizioni iniziali,

(0, x) = (0, x),


0

(0, x) =
0
(0, x).
162
Scrivendo la (5.41) per

si ottiene allora,

(t, x) =
_
d
3
y [D(t, x y)
0
(0, y) +
0
D(t, x y) (0, y)] .
Daltra parte, la

pu`o essere anche ottenuta eettuando nella (5.41) la sostituzione


t t,

(t, x) =
_
d
3
y [D(t, x y)
0
(0, y) +
0
D(t, x y) (0, y)] .
Si vede che, anche le due formule coincidano, `e necessario e suciente che D sia fun-
zione antisimmetrica di t. Lantisimmetria del kernel (5.43) `e, quindi, una conseguenza
dellinvarianza per inversione temporale dellequazione delle onde. Inne ricordiamo che
lequazione delle onde discende dalla lagrangiana L =
1
2

, anchessa invariante
sotto le trasformazioni (5.112).
Linvarianza per inversione temporale in Elettrodinamica. LElettrodinamica classica
`e una teoria invariante per inversione temporale invarianza che si preserva anche a livello
quantistico. Come primo segnale di questa invarianza si consideri il fatto che nel vuoto sia
F

che A

soddisfano lequazione delle onde, che abbiamo appena vista essere invariante.
Per fare vedere che le equazioni dellElettrodinamica sono invarianti sotto inversione
temporale, dobbiamo preliminarmente determinare le regole di trasformazione delle varia-
bili fondamentali y
r
(t),

E(x) e

B(x). Per fare ci`o imponiamo che lequazione di Lorentz
d p
r
dt
= e
r
(

E +v
r


B) sia invariante. Dato che v
r

= v
r
, p
r

= p
r
, il primo membro `e
invariante, sicche deve essere invariante anche il secondo. Otteniamo pertanto le regole,
y
r

(t

) = y
r
(t),

(t

, x) =

E(t, x),

(t

, x) =

B(t, x).
Dato che le velocit`a cambiano di segno, la quadricorrente trasforma secondo,
j
0
(t

, x) = j
0
(t, x),

j

(t

, x) =

j(t, x).
Con queste trasformazioni `e immediato vericare che le equazioni di Maxwell (2.31)(2.34)
sono eettivamente invarianti sotto inversione temporale.
163
Per completezza aggiungiamo le regole di trasformazione del potenziale vettore, che
possiamo leggere dalle (2.26),
A
0
(t

, x) = A
0
(t, x),

(t

, x) =

A(t, x).
Si noti che queste regole identicano A

e j

come pseudovettori sotto inversione tem-


porale. Infatti, se A

fosse un quadrivettore vero, allora dovrebbe trasformare secondo


A

, con

data in (5.110), ovvero, A


0
= A
0
,

A

=

A. Di conseguen-
za anche F

costituisce uno pseudotensore, poich`e loperatore

`e un
quadrivettore vero.
Inne, anche lazione totale dellElettrodinamica (4.6) `e invariante sotto le trasfor-
mazioni di cui sopra: in ultima analisi `e proprio linvarianza dellazione a garantire
linvarianza delle equazioni del moto.
Rottura spontanea dellinvarianza per inversione temporale. Linvarianza dellElettro-
dinamica sotto inversione temporale assicura che, se la congurazione,

+
= y
r
(t),

E(t, x), B(t, x),
risolve le equazioni fondamentali (Maxwell, Bianchi e Lorentz), allora queste sono risolte
anche dalla congurazione,

= y
r
(t),

E(t, x), B(t, x),
e viceversa. Si noti, in particolare, che i vettori di Poynting

S =

E

B delle due
congurazioni sono legati dalla relazione,

S
+
(t) =

(t).
Anticipiamo tuttavia, vedi capitolo 6, che linvarianza per inversione temporale dellElet-
trodinamica risulta rotta spontaneamente, poiche non tutte le soluzioni delle equazioni
fondamentali descrivono processi sici. Vedremo, infatti, che se la soluzione
+
descri-
ve una situazione realizzabile in natura, allora la soluzione

descrive una situazione


che non pu`o essere realizzata, e viceversa, salvo casi banali. La ragione sica di questa
164
asimmetria `e molto semplice: in natura qualsiasi particella accelerata emette radiazione,
e non la assorbe. I vettori di Poynting associati alle due congurazioni sono, invece, uno
lopposto dellaltro: se in un caso la radiazione viene emessa, nellaltro caso verrebbe al-
lora assorbita, in contrasto con lesperienza. Discuteremo le origini concettuali di questa
rottura di simmetria nel capitolo 6, e le sue drammatiche conseguenze nel capitolo 14.
Concludiamo la sezione aggiungendo che linversione temporale costituisce una simme-
tria discreta non solo dellinterazione elettromagnetica, ma anche di quelle gravitazionali
e forti. Al contrario, dagli esperimenti condotti nel 1964 da Cronin e Fitch sul decadimen-
to dei mesoni K, sappiamo che essa `e violata dalle interazioni deboli. Senza entrare nei
dettagli di questi esperimenti ci limitiamo ad osservare che questa violazione ha implica-
zioni siche importanti, la pi` u eclatante, forse, essendo che essa `e essenziale per spiegare
lasimmetria tra materia e antimateria del nostro universo.
5.5 Eetto Doppler relativistico
Nella sezione precedente abbiamo visto che nel passaggio da un sistema di riferimento a
un altro unonda piana resta unonda piana, ma polarizzazione, direzione di propagazione
e frequenza cambiano. In questo paragrafo ci occupiamo del cambiamento della frequen-
za. Consideriamo, dunque, una sorgente che emette segnali luminosi monocromatici di
frequenza propria vale a dire, quando `e a riposo
0
= 2/
0
, in tutte le direzioni.
Vogliamo allora determinare la frequenza del segnale, quando la sorgente si trova in moto
rettilineo uniforme con velocit`a v.
Consideriamo allora il sistema di riferimento K

in cui la sorgente `e a riposo. In K

la quadrivelocit`a della sorgente e il vettore donda quadridimensionale sono dati da,


u

= (1,

0), k

= (
0
,

k
0
),
0
= [

k
0
[.
Se la sorgente emette in tutte le direzioni, la direzione di

k
0
`e arbitraria. Nel sistema di
riferimento K del laboratorio le analoghe quantit`a sono date da,
u

=
_
1

1 v
2
,
v

1 v
2
_
, k

= (,

k).
Indicato con langolo tra la direzione di propagazione dellonda e la velocit`a della sor-
gente, entrambe misurate in K, possiamo sfruttare linvarianza dello scalare u k per
165
scrivere,

0
= u

= u

=
v

1 v
2
=
v cos

1 v
2
.
La frequenza e la lunghezza donda nel sistema del laboratorio sono allora date da,
=

1 v
2
1 v cos

0
, =
1 v cos

1 v
2

0
. (5.113)
Queste formule descrivono leetto Doppler relativistico.
Nei casi particolari in cui la sorgente si avvicina (allontana) frontalmente, abbiamo
= 0 ( = ) e, ripristinando la velocit`a della luce, otteniamo,
=
1 v/c
_
1 v
2
/c
2

0
. (5.114)
Questa formula pu`o essere confrontata con la formula delleetto Doppler non relativistico,

n.r.
= (1 v/v
p
)
0
,
in cui v
p
rappresenta la velocit`a di propagazione del segnale. Si vede che, se la sorgente
si muove con velocit`a v piccola rispetto alla velocit`a della luce, formalmente il risultato
relativistico si riduce a quello non relativistico se si pone v
p
= c.
Redshift cosmologico e espansione delluniverso. Concludiamo la sezione con unappli-
cazione importante delleetto Doppler relativistico, il cosiddetto redshift. Per sorgenti
che si allontanano dallosservatore frontalmente, la (5.114) d`a per la variazione relativa
della lunghezza donda,
z

0

0
=

1 +v/c
1 v/c
1 > 0. (5.115)
Allaumentare della velocit`a aumentano quindi le lunghezze donda, mentre diminuiscono
le frequenze, fenomeno noto come redshift, poich`e le righe spettrali si spostano verso
il rosso. Questo eetto riveste un ruolo importante in vari rami della sica, in partico-
lare in cosmologia: cos` attraverso unanalisi sistematica del redshift cosmologico nella
radiazione emessa da un gruppo di galassie, Hubble nel 1929 scopr` lespansione dellu-
niverso. Le galassie da lui osservate avevano velocit`a piccole rispetto alla velocit`a della
luce, dellordine di v 3.000km/s, e pertanto laumento relativo delle lunghezze donda
era relativamente piccolo. Sviluppando la (5.115) per v/c 1, si ottiene infatti,
z
v
c
= 10
2
.
166
Daltro canto, oggi si conoscono anche galassie con valori di z molto elevati. Nella galassia
8C1435+635, ad esempio, nel 1994 si `e misurato il redshift z = 4.25, corrispondente a una
velocit`a di allontanamento pari a v = 0.93 c.
Per concludere notiamo che misure molto precise del redshift cosmologico nelle su-
pernovae di tipo Ia, eettuate di recente, hanno permesso di trarre conclusioni nuove e
rivoluzionarie sullo stato del nostro universo: da queste misure sappiamo, infatti, che
luniverso non solo `e in espansione, ma che sta anche accelerando. Daltro canto, secondo
la Relativit`a Generale, un universo che accelera esige necessariamente una costante co-
smologica diversa zero e positiva, circostanza che ha arricchito la cosmologia odierna di
una serie di problematiche nuove, tuttora irrisolte.
5.6 Problemi
5.1 In riferimento alla soluzione dellequazione delle onde del paragrafo 5.2.2,
a) si dimostri che la (5.40) si pu`o riscrivere come in (5.41);
b) si dimostri che il kernel antisimmetrico (5.42) pu`o essere riscritto come in (5.43). [Sugg.:
si passi per la variabile di integrazione

k in coordinate polari, e si sfrutti linvarianza
per rotazioni per porre x = (0, 0, [x[). Si ricordi inoltre che la di Dirac ammette la
rappresentazione simbolica in trasformata di Fourier,
(x a) =
1
2
_
e
ik(xa)
dk.]
5.2 Supponendo che A

(x) sia un campo vettoriale, e che per una trasformazione di


Lorentz si abbia k

, si dimostri che anche la trasformata di Fourier,

(k) =
1
(2)
2
_
d
4
xe
ikx
A

(x),
`e un campo vettoriale nella variabile k.
5.3 Usando il gaugexing,
A
0
= 0,
si dimostri che lequazione di Maxwell,

= j

, propaga due gradi di libert`a sici. Si


adotti la seguente strategia:
167
a) si impongano condizioni iniziali per A
1
e A
2
e le loro derivate temporali, a t = 0;
b) si determini la forma delle trasformazioni di gauge residue;
c) imponendo lequazione G
0

F
0
j
0
= 0 a t = 0, e utilizzando le trasformazioni di
gauge residue, si ssino le condizioni iniziali per A
3
e
0
A
3
a t = 0.
5.4 Partendo dalla (5.63) si deducano le espressioni generali per i campi elettrico e
magnetico nel vuoto,

E(t, x) =
1
2(2)
2
_
d
3
k
_
i e
ikx
[(n ) n ] + c.c.
_
,

B(t, x) =
1
2(2)
2
_
d
3
k
_
i e
ikx
[ n] + c.c.
_
.
a) Si verichi che questi campi soddisfano le equazioni di Maxwell nel vuoto (2.31)(2.34),
nonche le equazioni delle onde,
2

E = 0 = 2

B.
b) Noti i campi iniziali

E(0, x) e

B(0, x), si determini il campo vettoriale tridimensionale,

V (

k) (n ) n,
e quindi

E e

B ad ogni t. [Sugg.: si veda il paragrafo 5.2.2.]
c) Il campo (

k) `e univocamente determinato?
5.5 Si consideri unonda piana propagantesi lungo lasse z, con vettore donda k

=
(, 0, 0, ), e vettore di polarizzazione

= (
0
,
1
,
2
,
0
) generico,
A

e
ikx
+ c.c.
a) Si determinino i campi

E e

B, e si verichi che essi sono gaugeinvarianti, ovvero,
indipendenti da
0
, e che soddisfano le condizioni di trasversalit`a E
z
= 0 = B
z
.
b) Si denisca il campo elettrico complesso E E
x
+ iE
y
. Si dimostri che risulta,
E = i
_
c

e
ikx
c

+
e
ikx
_
, (5.116)
dove i coecienti c


1
i
2
rappresentano gli autostati di elicit`a.
c) Si dimostri che per c

= 0 (c
+
= 0) londa risulta polarizzata circolarmente in senso
antiorario (orario). Si confronti lespressione risultante di

E con le (5.79), (5.81).
168
d) Si dimostri che londa `e polarizzata linearmente, se e solo se c

= e
i
c
+
, per qualche
numero reale .
5.6 Si dimostri che il tensore energiaimpulso dellonda elettromagnetica elementare
(5.66), mediato su scale temporali grandi rispetto al periodo, `e dato da,
T

em
) = 2 k

.
Si verichi che T
00
em
) 0.
5.7 Si consideri londa scalare sferica,
(t, x) =
1
r
G(t r), r [x[,
dove G `e una funzione arbitraria.
a) Si dimostri che soddisfa lequazione delle onde 2 = 0, in ogni regione spaziale che
non contenga lorigine, x = 0. [Sugg.: pu`o essere utile scrivere il Laplaciano in coordinate
polari,

2
=
1
r
_

r
_
2
r +
1
r
2
L
2
,
dove L
2
`e un operatore dierenziale che coinvolge solo gli angoli.]
b) Si spieghi perche non `e soluzione dellequazione delle onde in tutto lo spazio, e se ne
dia uninterpretazione sica.
5.8 Si consideri lequazione delle onde in una dimensione spaziale,
_

2
t

2
x
_
(t, x) = 0.
a) Utilizzando la tecnica della trasformata di Fourier si dimostri che la soluzione generale
di questa equazione si pu`o scrivere come,
(t, x) = f(t x) + g(t + x),
con f e g funzioni arbitrarie.
b) Si determini (t, x), noti i valori iniziali (0, x) e
t
(0, x).
169
6 Generazione di campi elettromagnetici
Nel capitolo precedente abbiamo determinato la forma di un generico campo di radiazione.
Abbiamo trovato che questo campo consiste di una sovrapposizione lineare di onde piane,
monocromatiche e trasverse, che si propagano con la velocit`a della luce, le onde elettroma-
gnetiche. In questo capitolo arontiamo un altro problema centrale dellElettrodinamica
classica: la determinazione del campo elettromagnetico generato da unarbitraria distri-
buzione di cariche in movimento. Risolveremo, infatti, lequazione di Maxwell in presenza
di una generica quadricorrente j

conservata. Come prima applicazione della formula


risolutiva deriveremo unespressione esplicita per il campo elettromagnetico prodotto da
una particella in moto rettilineo uniforme. Analizzeremo dapprima il campo di una parti-
cella massiva e successivamente, come caso limite, quello di una particella priva di massa:
troveremo che questi campi hanno caratteristiche radicalmente diverse. Nel capitolo 7
useremo poi la formula risolutiva per determinare il campo elettromagnetico prodotto da
una carica in moto arbitrario.
In presenza di sorgenti il campo elettromagnetico deve soddisfare le equazioni,

= j

, F

,
ovvero, in gauge di Lorentz,
2A

= j

, (6.1)

= 0. (6.2)
Queste equazioni sono lineari in A

, ma non omogenee. La soluzione generale si ottiene


quindi sommando a una soluzione particolare A

ret
, la soluzione generale A

in
del sistema
omogeneo associato,
A

= A

ret
+ A

in
. (6.3)
A

in
`e dunque la soluzione generale del sistema,
2A

in
= 0,

in
= 0,
che descrive un campo di Maxwell libero. Dal capitolo precedente sappiamo allora che
A

in
`e un campo di radiazione generica sovrapposizione di onde piane che in questo
caso si presenta come un campo esterno.
170
Il potenziale A

ret
rappresenta, invece, il campo generato causalmente dalla corrente
j

attraverso le equazioni (6.1), (6.2), della cui soluzione ci occuperemo nelle prossime
sezioni. I pedici in e ret signicano rispettivamente incoming e retarded. Tale notazione
deriva dal fatto che convenzionalmente la radiazione A

in
, che si sovrappone al potenziale
ritardato A

ret
, viene considerata entrante dallinnito. Questa terminologia `e legata
alla rottura dellinvarianza per inversione temporale a cui abbiamo gi`a accennato nel pa-
ragrafo 5.4.3, e che riprenderemo quando avremo risolto lequazione di Maxwell. Nel resto
di questo capitolo ignoreremo il campo di radiazione, sicche il pi` u delle volte indicheremo
A

ret
semplicemente con A

.
Una tecnica ecace per risolvere equazioni dierenziali alle derivate parziali come la
(6.1) viene fornita dal metodo della funzione di Green. Prima di applicare questo meto-
do alla soluzione della (6.1), nella prossima sezione lo illustriamo nel caso di unequazione
pi` u semplice, ma sicamente signicativa.
6.1 Il metodo della funzione di Green: equazione di Poisson
Consideriamo lequazione di Poisson in tre dimensioni spaziali,

2
F(x) = (x), (6.4)
nellincognita F. Per denitezza assumiamo che,
F S

(R
3
), S(R
3
).
ma vedremo che le soluzioni che troveremo mantengono la loro validit`a, anche se
appartiene a un certo sottoinsieme di S

.
Se interpretiamo F come il potenziale elettrico A
0
, e come la densit`a di carica j
0
,
allora la (6.4) si identica con lequazione fondamentale dellElettrostatica. Ispirati da
questa interpretazione aggiungiamo la condizione sica che F si annulla allinnito,
lim
|x|
F(x) = 0. (6.5)
In realt`a, in generale non ha senso imporre una condizione asintotica come la (6.5) a
una distribuzione. Vedremo, per`o, che nel caso specico tutte le soluzioni F S

della
171
(6.4) sono distribuzioni regolari, ovvero, sono rappresentate da funzioni, e ne consegue
che la (6.5) `e ben posta. Dimostreremo, per di pi` u, che sotto questa condizione asintotica
lequazione di Poisson ammette soluzione unica.
Discuteremo comunque la soluzione generale dellequazione di Poisson indipenden-
temente dalla (6.5) nel paragrafo 6.1.2.
6.1.1 Una soluzione particolare
Essendo lequazione di Poisson unequazione lineare non omogenea, la sua soluzione gene-
rale si ottiene sommando a una soluzione particolare la soluzione generale dellomogenea
associata, ovvero, dellequazione di Laplace
2
F = 0. Ovviamente la soluzione particolare
non `e unica, ma possiamo circoscriverla attraverso qualche richiesta aggiuntiva.
Partiamo dallosservazione che la (6.4) `e congiuntamente lineare in F e , nel senso
che una soluzione particolare relativa a =
1
+
2
pu`o essere ottenuta sommando le
soluzioni F
1
e F
2
, relative a
1
e
2
. Lasciando per il momento da parte le propriet`a di
regolarit`a delle grandezze coinvolte possiamo allora avanzare lipotesi, che il valore di F
in x dipenda linearmente dai valori di in tutti i punti dello spazio. Detto in altre parole,
possiamo assumere che per ogni x ssato il numero F(x) denisca un funzionale lineare
e continuo f
x
sullo spazio delle ,
F(x) = f
x
().
In notazione simbolica avremo allora,
F(x) =
_
d
3
y f
x
(y) (y)
_
d
3
y g(x, y) (y), (6.6)
per qualche funzione incognita di due variabili g(x, y). Possiamo vincolare la forma di
questa funzione, se adottiamo linterpretazione elettrostatica della (6.4) e invochiamo il
gruppo di simmetria dello spazio tridimensionale vuoto, ovvero, le rototraslazioni,
x x

= Rx +a, R SO(3), a R
3
.
In un altro sistema di riferimento la (6.6) si scrive allora
20
,
F

(x

) =
_
d
3
y

g(x

, y

(y

). (6.7)
20
La dipendenza funzionale di g dai suoi argomenti deve essere la stessa in tutti i sistemi di riferimento,
perche altrimenti un osservatore in un altro sistema di riferimento potrebbe accorgersi di essere stato
rototraslato. In altre parole, deve valere g(x

, y

) = g(x, y), e non g

(x

, y

) = g(x, y).
172
Daltra parte, sotto una rototraslazione il potenziale elettrico e la densit`a di carica sono
invarianti,
F

(x

) = F(x),

(x

) = (x).
Eguagliando la (6.7) alla (6.6) e sfruttando che d
3
y

= d
3
y, si conclude allora che deve
essere,
g(x

, y

) = g(x, y), (6.8)


per una qualsiasi rototraslazione. Scegliendo R = 1 e a = y, si ottiene,
g(x, y) = g(x y, 0) g(x y).
A questo punto la (6.8) per a = 0 impone che g(Rx) = g(x), R SO(3), sicche g(x)
pu`o dipendere da x solo attraverso |x|.
In denitiva la (6.6) si scrive,
F(x) =
_
d
3
y g(x y) (y). (6.9)
Ricordando la denizione della convoluzione, vedi paragrafo 2.3.2, si riconosce che questa
formula pu`o essere riscritta in modo compatto come,
F = g . (6.10)
Posta in questa forma possiamo aermare che F apparterr`a eettivamente ad S

, purche
anche g appartenga ad S

. Ricordiamo, infatti, che la convoluzione tra una distribuzione


e una funzione di test denisce sempre una distribuzione.
La funzione di Green. Data la (6.10) lequazione di Poisson muta ora in unequazione
per g,

2
F =
2
(g ) =
2
g = .
Per larbitrariet`a della deve allora valere,

2
g(x) =
3
(x). (6.11)
Alla stessa conclusione si arriva se nella (6.9) si portano le derivate sotto il segno di
integrale,

2
F(x) =
_
d
3
y
2
g(x y) (y) = (x)
2
g(x y) =
3
(x y).
173
Lequazione (6.11) identica g come la funzione di Green associata allequazione (6.4),
chiamata talvolta anche propagatore, o kernel integrale dellequazione. Il metodo
della funzione di Green consiste nel risolvere esplicitamente lequazione del kernel (6.11),
e di scrivere la soluzione dellequazione di partenza nella forma integrale (6.9). Lecacia
del metodo risiede nel fatto che esso riconduce la soluzione della (6.4), che a priori dovrebbe
essere risolta per ogni separatamente, alla soluzione di una sola equazione: lequazione
del kernel (6.11).
Linverso del Laplaciano. La particolare forma della soluzione (6.10), (6.11) permette
di dare uninterpretazione alternativa a g. Infatti, come ogni kernel integrale g induce un
operatore lineare O nello spazio delle funzioni su R
3
, denito da,
O = g .
Alla luce dellidentit`a,

2
O =
2
(g ) = (
2
g) =
3
= ,
loperatore O costituisce un inverso delloperatore
2
. Per questo motivo si suole dire
che il kernel g inverte il Laplaciano, e formalmente si scrive,
1

2
= g.
Soluzione dellequazione del kernel. Abbiamo ricondotto la soluzione dellequazione di
Poisson alla soluzione dellequazione del kernel. Con le nostre richieste aggiuntive si tratta
dunque di risolvere il sistema,

2
g(x) =
3
(x), g(Rx) = g(x), R SO(3), g S

. (6.12)
Conosciamo gi`a una soluzione di questo sistema, vedi (2.61),
g(x) =
1
4|x|
. (6.13)
Per trovare la soluzione generale `e allora suciente sommare la soluzione generale del-
lomogenea associata lequazione di Laplace
2
g = 0 che sia anche invariante per
rotazioni. Come faremo vedere nel paragrafo (6.1.2), lequazione di Laplace ammette
174
in eetti innite soluzioni, ma solo la costante `e invariante per rotazioni. La soluzione
generale del sistema (6.12) `e dunque,
g(x) =
1
4|x|
+ C, (6.14)
con C costante. Daltra parte, come sar`a chiaro tra un attimo, la F data in (6.9) per
C = 0 non svanisce allinnito. Pertanto dobbiamo porre C = 0, e la soluzione cercata `e
data dalla (6.13).
Sostituendo la (6.13) nella (6.9) possiamo allora aermare che una soluzione particolare
dellequazione di Poisson `e data da,
F(x) =
1
4
_
d
3
y
1
|x y|
(y), (6.15)
espressione che riproduce correttamente il potenziale elettrico creato dalla densit`a di ca-
rica . Resta da vericare la validit`a della condizione asintotica (6.5). Per fare questo
valutiamo il limite,
lim
|x|
|x| F(x) =
1
4
lim
|x|
_
d
3
y
|x|
|x y|
(y) =
1
4
_
d
3
y (y)
Q
4
,
dove Q `e la carica totale, nita poiche appartiene ad S. Asintoticamente F va quindi
a zero come,
F(x)
Q
4|x|
, per |x| . (6.16)
Concludiamo il paragrafo osservando che la formula risolutiva (6.15) pu`o restare valida,
anche se non appartiene ad S, ma ad S

. Un esempio `e dato dalla corrispondente alla


densit`a di carica di un sistema di particelle puntiformi,
(x) =
N

r=1
e
r

3
(x y
r
). (6.17)
In questo caso la (6.15) si riduce, infatti, al noto potenziale coulombiano,
F(x) =
1
4

r
e
r
_
d
3
y
1
|x y|

3
(y y
r
) =

r
e
r
4|x y
r
|
,
che possiede ancora landamento asintotico (6.16),
F(x)

r
e
r
4|x|
, per |x| .
175
6.1.2 Validit`a della soluzione e soluzione generale
Arontiamo ora la questione della validit`a generale della soluzione (6.15), ovvero della
(6.10),
F = g . (6.18)
Ricordiamo che avevamo richiesto F S

e S. Dato che g S

, la convoluzione in
(6.18) denisce eettivamente un elemento di S

. Per di pi` u, in questo caso la convolu-


zione equivale proprio allintegrale (6.15). Tuttavia, come abbiamo notato nel paragrafo
precedente, in diversi casi di interesse sico non appartiene ad S. In Elettrostatica esem-
pi sono la (6.17), oppure certe densit`a di carica macroscopiche singolari, come quelle
corrispondenti a distribuzioni di carica superciali o liformi. In questi casi abbiamo,
S

, / S,
e la (6.18) `e a priori priva di senso, poiche in generale la convoluzione tra due distribuzioni
non `e denita.
Una convoluzione tra due distribuzioni. Per uscire dallempasse manteniamo per il mo-
mento S, ed eseguiamo la trasformata di Fourier della (6.18), vedi paragrafo 2.3.2,

F(

k) = (2)
3/2
g(

k) (

k). (6.19)
Sappiamo che la trasformata g sta in S

, e in questo caso siamo anche in grado di valu-


tarla esplicitamente. Per determinarla in modo spedito procediamo in modo formale.
Scriviamo, cio`e, lintegrale corrispondente di per se divergente e sfruttiamo linvarian-
za per rotazioni per porre

k = (0, 0, k), con k = |

k|. Valutiamo lintegrale passando in


coordinate polari,
g(

k) =
1
(2)
3/2
_
d
3
xe
i

kx
1
4|x|
=
1
(2)
3/2
4
_

0
r
2
dr
_
2
0
d
_
1
1
d cos e
i cos rk
1
r
=
i
2 (2)
3/2
k
_

0
dr
_
e
ikr
e
ikr
_
=
i
2 (2)
3/2
k
_

dxe
ikx
(x)
=
i
2 (2) k
(k).
Nellultimo passaggio abbiamo introdotto la trasformata di Fourier della funzione segno,
(x) = H(x) H(x),
(k) =
1

2
_

dxe
ikx
(x) = i
_
2

P
_
1
k
_
,
176
dove P indica la parte principale. Dato che k `e positivo si ottiene in denitiva,
g(

k) =
1
(2)
3/2
|

k|
2
S

, (6.20)
e quindi,

F(

k) =
1
|

k|
2
(

k). (6.21)
Si noti, in particolare, lesatta corrispondenza tra le relazioni (6.20), (6.21), e le trasfor-
mate di Fourier delle equazioni (6.11), (6.4).
A questo punto notiamo, per`o, che il membro di destra della (6.21) e pi` u in generale
della (6.19) ha senso anche se g S

e O
M
, perche il prodotto tra una generica
distribuzione e una funzione in O
M
denisce sempre una distribuzione, vedi paragrafo
2.3.2. Daltra parte, per il teorema di PaleyWiener
21
la trasformata di Fourier di una
generica distribuzione S

a supporto compatto, appartiene a O


M
. Di conseguenza, per
una tale il membro di destra della (6.21) costituisce una distribuzione in S

. In questo
caso possiamo allora denire F come lantitrasformata di Fourier del membro di destra
della (6.21).
In conclusione, lespressione formale (6.18), denita come lantitrasformata di Fourier
del membro di destra della (6.19), costituisce una soluzione della (6.4) con F S

, purche
sia una distribuzione a supporto compatto. Tali sono in particolare tutte le distribuzioni
di carica realizzate in natura.
Unicit`a della soluzione e soluzione generale dellequazione di Laplace. Per concludere
discutiamo la soluzione generale della (6.4), indipendentemente dalla condizione asintotica
(6.5). Per ottenere la soluzione generale dellequazione di Poisson `e suciente somma-
re alla soluzione particolare (6.15) la soluzione generale F
0
S

(R
3
) dellequazione di
Laplace,

2
F
0
(x) = 0. (6.22)
Questa equazione ammette, in eetti, innite soluzioni linearmente indipendenti, ma
nessuna di queste svanisce allinnito. Per provarlo ne eseguiamo la trasformata di Fourier,
|

k|
2

F
0
(

k) = 0, (6.23)
21
Vedi per esempio, M. Reed e B. Simon, Methods of Modern Mathematical Physics I Functional
Analysis, Academic Press, New York, 1980.
177
e sfruttiamo il teorema sulle distribuzioni con supporto in un punto, vedi paragrafo 2.3.2.
Lequazione appena scritta implica, infatti, che

F
0
(

k) ha come supporto lorigine



k = 0.
Essa `e dunque necessariamente una combinazione lineare nita della
3
(

k) e delle sue
derivate. Abbiamo, cio`e,

F
0
(

k) =
N

n=1
C
i
1
in

i
1

in

3
(

k), (6.24)
dove i C
i
1
in
sono tensori costanti completamente simmetrici. Inserendo questa espressio-
ne nella (6.23) si trova che, anche

F
0
(

k) sia soluzione, `e necessario e suciente che questi


tensori siano a traccia nulla, vedi il problema analogo per lequazione di DAlembert in
sezione 5.2,

i
1
i
2
C
i
1
in
= 0. (6.25)
Esistono, dunque, eettivamente innite soluzioni. Per determinare le F
0
(x) corrispon-
denti dobbiamo eseguire lantitrasformata della (6.24). Si ottengono semplicemente i
polinomi,
F
0
(x) =
1
(2)
3/2
N

n=1
(i)
n
C
i
1
in
x
i
1
x
in
, (6.26)
che pertanto allinnito divergono. Concludiamo, quindi, che lequazione di Laplace non
ammette soluzioni che svaniscono allinnito, esclusa la soluzione banale F
0
= 0.
Soluzione generale del sistema (6.12). Per fare vedere che la soluzione generale del
sistema (6.12) `e la (6.14), dimostriamo che lequazione di Laplace non ammette soluzioni
invarianti per rotazioni, a parte la costante. Il modo pi` u veloce per farlo consiste nellusare
una base di soluzioni alternativa alle (6.26), che si ottiene risolvendo la (6.22) in coordinate
polari. Scrivendo il Laplaciano come nel problema 5.7 `e infatti immediato vedere che la
base di soluzioni che ne risulta `e data da,
F
lm
0
(x) = r
l
Y
lm
(, ), (6.27)
dove le Y
lm
sono le armoniche sferiche, e r = |x|. Contando le potenze di x nella (6.26),
si vede che lindice l della base (6.27) si identica con lintero n della base (6.26). Dalla
base F
lm
0
si vede che lunica soluzione dellequazione di Laplace invariante per rotazioni,
ovvero, indipendente dagli angoli, `e F
00
0
, che `e una costante.
178
Metodo della funzione di Green in generale. Il metodo della funzione di Green si gene-
ralizza facilmente a una generica equazione dierenziale lineare in uno spazio Ddimensionale,
che coinvolge un arbitrario operatore polinomiale nelle derivate parziali P(),
P() F = .
La funzione di Green g associata a questa equazione deve soddisfare lequazione del kernel,
P() g(x) =
D
(x),
e la soluzione si scrive allora come,
F = g .
Infatti, ricordando le propriet`a della convoluzione riportate nel paragrafo 2.3.2, si trova,
P() F = P() (g ) = P() g =
D
= .
6.2 Il campo generato da una corrente generica
Applichiamo ora il metodo della funzione di Green per risolvere lequazione di Maxwell
in presenza di una generica corrente conservata, in gauge di Lorentz,
2A

= j

, (6.28)

= 0. (6.29)
Come anticipato cercheremo non la soluzione generale, ma il campo generato causalmente
dalla corrente j

. Per il momento per denitezza assumeremo che sia,


A

(R
4
), j

S S(R
4
). (6.30)
Ricordiamo tuttavia che, come nel caso dellequazione di Poisson, la corrente di un sistema
di particelle puntiformi in realt`a non sta in S, ma in S

. Anche nel caso dellequazione di


Maxwell dovremo allora arontare il problema di come estendere la soluzione trovata al
caso sico, in cui j

. La dierenza principale tra la (6.28) e lequazione di Poisson


risiede essenzialmente nel fatto che la seconda vive nello spazio tridimensioniale, mentre
179
la prima `e ambientata nello spazio quadrimensionale di Minkowski: il suo gruppo di
invarianza `e quindi il gruppo di Poincare, in sostituzione del gruppo delle rototraslazioni.
Ci occuperemo dapprima della soluzione della (6.28), e successivamente imporremo la
(6.29) alle soluzioni trovate.
Per la linearit`a congiunta in A

e j

dellequazione di Maxwell cerchiamo ora una


soluzione della forma,
A

(x) =
_
d
4
y G(x, y) j

(y), (6.31)
dove la funzione di Green G(x, y) `e una funzione incognita delle coordinate spazio
temporali x

e y

. Come prima cosa vediamo quali sono i vincoli imposti a questa fun-
zione dalla richiesta di covarianza sotto trasformazioni di Poincare. Cambiando sistema
di riferimento,
x

+ a

,
abbiamo,
A

(x

) =
_
d
4
y

G(x

, y

)j

(y

),
e dato che si ha,
A

(x

) =

(x), j

(y

) =

(y), d
4
y

= d
4
y,
segue facilmente,
A

(x) =
_
d
4
y G(x

, y

)j

(y).
Confrontando con la (6.31) concludiamo allora che G deve essere invariante per trasfor-
mazioni di Poincare, cio`e
22
,
G(x + a, y + a) = G(x, y),

SO(1, 3)
c
, a

R
4
.
Scegliendo

, e a

= y

si ottiene,
G(x, y) = G(x y, 0) G(x y).
22
Come nel caso dellequazione di Poisson, la quantit`a G(x, y) va considerata non come un campo
scalare in x e y, ma come una funzione invariante di x e y, con una dipendenza funzionale ben denita.
Questa funzione deve essere la stessa in ogni sistema di riferimento, altrimenti due correnti con la stessa
dipendenza funzionale in due diversi sistemi di riferimento, darebbero luogo a potenziali con dipendenze
funzionali diverse, in contrasto con il principio di relativit`a einsteiniana. In altre parole, deve valere
G(x

, y

) = G(x, y), e non G

(x

, y

) = G(x, y).
180
Scegliendo poi a

= 0 e

generico, si trova che G(x) deve essere invariante per


trasformazioni di Lorentz proprie,
G(x) = G(x),

SO(1, 3)
c
. (6.32)
In particolare vediamo allora che la (6.31) pu`o essere scritta nella forma prevista dal
metodo della funzione di Green,
A

(x) =
_
d
4
y G(x y) j

(y), (6.33)
ovvero, in notazione compatta,
A

= G j

. (6.34)
Sostituendo, inne, la (6.33) nella (6.28) si trova,
2A

(x) =
_
d
4
y 2G(x y) j

(y) = j

(x),
che comporta per la funzione di Green lequazione,
2G(x) =
4
(x). (6.35)
La soluzione dellequazione di Maxwell `e quindi ricondotta alla soluzione di questa equa-
zione, compatibilmente con il vincolo (6.32).
Causalit`a. Come vedremo, diversamente da quello che succede per lequazione di
Poisson, le condizioni (6.32) e (6.35) non determinano la funzione di Green univocamente.
Aggiungiamo a questo punto una richiesta sica, concernente la propagazione causale
del campo elettromagnetico: richiediamo che il potenziale A

(x) nel punto x non possa


dipendere dai valori della corrente j

(y) in punti y che sono temporalmente successivi a


x, ovverosia, in punti per cui y
0
> x
0
. Data la (6.33), questo vuol dire che G(x y) deve
annullarsi non appena y
0
> x
0
, ovvero, deve valere,
G(x) = 0, x
0
< 0.
Vedremo che con questa richiesta aggiuntiva le (6.32), (6.35) ammettono ununica solu-
zione. La funzione di Green risultante viene chiamata funzione di Green ritardata e
181
indicata con G
ret
, mentre il potenziale corrispondente si chiama potenziale ritardato e
viene indicato con,
A

ret
= G
ret
j

. (6.36)
La terminologia deriva dal fatto che in teoria quantistica, per motivi tecnici si introduce
anche la funzione di Green avanzata G
adv
, che soddisfa le (6.32), (6.35) e la condizione
speculare,
G(x) = 0, x
0
> 0. (6.37)
A tale funzione di Green resta associato il potenziale avanzato,
A

adv
= G
adv
j

, (6.38)
soluzione anchesso dellequazione di Maxwell. Tuttavia, non rispettando la causalit`a,
questa soluzione non giocher`a nessun ruolo nella nostra trattazione.
6.2.1 La funzione di Green ritardata
La funzione di Green ritardata `e denita dalle condizioni,
2G(x) =
4
(x), (6.39)
G(x) = G(x), SO(1, 3)
c
, (6.40)
G(x) = 0, x
0
< 0. (6.41)
Prima di procedere alla soluzione di questo sistema di equazioni, dimostriamo che la
soluzione, se esiste `e, unica.
Unicit`a della funzione di Green. Per dimostrare lunicit`a della funzione di Green `e
suciente dimostrare che non esistono soluzioni dellequazione omogenea associata alla
(6.39), vale da dire, lequazione delle onde,
2F = 0, (6.42)
soddisfacenti le (6.40), (6.41). Condurremo questa dimostrazione determinando prima
tutte le soluzioni della (6.42) soddisfacenti la (6.40), e facendo poi vedere che nessuna
di queste soluzioni soddisfa la (6.41). Per risolvere la (6.42) `e conveniente passare in
trasformata di Fourier, F(x)

F(k). La Lorentzinvarianza (6.40) di F(x), F(x) =
182
F(x), si traduce allora nella Lorentzinvarianza di

F(k), come funzione di k

. Infatti,
eseguendo il cambiamento di variabili x = y, d
4
x = d
4
y, si ha,

F(k) =
1
(2)
2
_
d
4
xe
i kx
F(x) =
1
(2)
2
_
d
4
y e
i ky
F(y)
=
1
(2)
2
_
d
4
y e
i ky
F(y) =

F(k).
Dobbiamo pertanto risolvere il sistema,
k
2

F(k) = 0,

F(k) =

F(k), SO(1, 3)
c
.
In realt`a, lequazione delle onde `e stata risolta in tutta generalit`a in sezione 5.2, e possiamo
quindi ricorrere ai risultati di quella sezione. Avevamo trovato che le soluzioni cadono
nelle due classi,

F
I
= (k
2
)f(k) (6.43)

F
II
=
N

n=1
C

1
n

1

n

4
(k), C

3
n
= 0, (6.44)
dove i tensori C

1
n
sono completamente simmetrici. Si tratta allora di selezionare le
soluzioni Lorentzinvarianti. Per quanto riguarda le soluzioni di tipo I osserviamo che,
per linvarianza per rotazioni spaziali, f pu`o dipendere solo da k
0
= |

k|. Ma le uniche
funzioni di k
0
Lorentzinvarianti sul cono luce sono la costante e la funzione segno (k
0
).
Tenendo conto della condizione di realt`a

F

(k) =

F(k), si ottengono cos` le due soluzioni
linearmente indipendenti,

F
1
= (k
2
),

F
2
= i (k
0
) (k
2
). (6.45)
Per quanto riguarda, invece, le soluzioni di tipo II osserviamo che linvarianza di Lorentz
impone che i tensori completamente simmetrici C

1
n
devono essere tensori Lorentz
invarianti. I tensori di rango dispari devono allora essere nulli, mentre quelli di rango pari
devono essere proporzionali al prodotto simmetrizzato di metriche di Minkowski. Deve
essere, cio`e,
C

1
n
= a
n

(
1

n1
n)
,
dove le a
n
sono costanti. Tuttavia, questi tensori devono essere anche a traccia nulla, vedi
(6.44),
C

3
n
= a
n
n + 2
n 1

(
3

n1
n)
= 0.
183
Ne segue che le a
n
con n = 0 devono annullarsi. Per n = 0 otteniamo invece una terza
soluzione indipendente,

F
3
=
4
(k).
Si noti che le tre soluzioni trovate si possono ottenere formalmente dalla soluzione generale
(5.30), scegliendo rispettivamente (

k) = 1, i,
3
(

k).
Prima di poter imporre la (6.41) dobbiamo determinare le antitrasformate delle

F
i
.
Queste possono essere valutate analiticamente, e noi le riportiamo senza dimostrazione,
F
1
=
1

P
_
1
x
2
_
, F
2
= (x
0
) (x
2
), F
3
=
1
(2)
2
, (6.46)
dove P indica la parte principale rispetto alla variabile x
0
. Come si vede, tutte e tre le
soluzioni sono invarianti per SO(1, 3)
c
, come da costruzione, ma nessuna di esse soddisfa
la (6.41). La funzione di Green ritardata, se esiste, `e quindi unica.
Determinazione della funzione di Green ritardata. Procediamo ora alla soluzione del
sistema (6.39)(6.41). Cominciamo con losservazione che linvarianza per rotazioni spa-
ziali,
G(t, Rx) = G(t, x), R SO(3),
impone che G dipende da x solo attraverso la variabile r = |x|,
G = G(t, r).
Consideriamo ora la regione x = 0, t arbitrario, dove G soddisfa lequazione 2G = 0. In
questa regione `e lecito usare coordinate polari, e scrivere il Laplaciano come nel problema
5.7. Sfruttando il fatto che G non dipende dagli angoli si ottiene allora,
2G =
_

2
t

1
r

2
r
r
_
G =
1
r
_

2
t

2
r
_
(rG) = 0. (6.47)
Il prodotto rG soddisfa dunque lequazione delle onde in una dimensione spaziale. Ricor-
dando la sua soluzione generale abbiamo quindi, vedi problema 5.8,
G(t, r) =
1
r
(f(t r) + g(t + r)) ,
dove f e g sono funzioni arbitrarie di una variabile. Tuttavia, siccome G deve annullarsi
t < 0, dobbiamo scegliere g = 0. Infatti, al variare di r nei reali positivi e di t nei reali
184
negativi, la variabile t + r assume qualsiasi valore in R, mentre t r assume solo valori
negativi. g deve quindi annullarsi per ogni valore del suo argomento, mentre f pu`o essere
diversa da zero per argomenti positivi. Restiamo allora con,
G =
1
r
f(t r).
Per determinare f imponiamo ora che G soddis lequazione del kernel (6.39) in tutto
lo spazio, ovvero, nel senso delle distribuzioni,

2
t
G
2
G =
3
(x) (t). (6.48)
Indicando la derivata di f rispetto al suo argomento con un primo, abbiamo intanto,

2
t
G =
1
r
f

(t r).
Per valutare, invece,
2
G occorre procedere con un po pi` u di cautela, per via della
singolarit`a in r = 0 del fattore 1/r. Possiamo comunque applicare la regola di Leibnitz
per le derivate, se supponiamo che f(tr) sia regolare in r = 0, propriet`a che vericheremo
a posteriori,

2
G =
_

2
1
r
_
f(t r) +
1
r

2
f(t r) + 2
_

1
r
_

f(t r)
_
. (6.49)
Per funzioni invarianti per rotazioni, e regolari in r = 0, possiamo usare la formula del
Laplaciano utilizzata in (6.47). Abbiamo quindi,

2
f(t r) =
1
r

2
r
(rf(t r)) = f

(t r)
2
r
f

(t r).
Ricordiamo poi che nel senso delle distribuzioni si ha,

1
r
=
x
r
3
,
2
1
r
= 4
3
(x),
e che

f(t r) =
x
r
f

(t r).
Sostituendo questi elementi nella (6.49) si vede che le derivate prime di f si cancellano, e
rimane,

2
G = 4
3
(x) f(t) +
1
r
f

(t r).
185
La (6.48) si riduce allora a,
_

2
t

2
_
G = 4
3
(x)f(t) =
3
(x) (t),
e quindi deve essere,
f(t) =
1
4
(t).
Concludiamo che la funzione di Green ritardata `e data da,
G
ret
=
1
4r
(t r). (6.50)
Questa espressione soddisfa la (6.41), ma non sembra soddisfare la (6.40). In realt`a,
usando lidentit`a,
(x
2
) = (t
2
r
2
) =
1
2r
[(t r) + (t + r)] ,
e osservando che H(t)(t + r) = H(r)(t + r) = 0, si riconosce che la (6.50) pu`o essere
posta nella forma manifestamente Lorentzinvariante,
G
ret
=
1
2
H(x
0
) (x
2
). (6.51)
Si ricordi, infatti, che sul cono luce il segno di x
0
`e invariante sotto SO(1, 3)
c
. In modo
analogo per la funzione di Green avanzata (6.37) si ottiene,
G
adv
=
1
4r
(t + r) =
1
2
H(x
0
) (x
2
). (6.52)
In denitiva abbiamo, dunque, ottenuto due funzioni di Green soddisfacenti le (6.39),
(6.40), entrambi appartenenti ad S

, vedi problema 6.1. In particolare, 2G


ret
=
4
(x) =
2G
adv
. A priori avremmo, quindi, potuto scegliere come funzione di Green qualsiasi
combinazione del tipo,
G

= G
ret
+ (1 ) G
adv
, 2G

=
4
(x), (6.53)
con numero reale arbitrario. Tuttavia, la condizione di causalit`a (6.41) ssa il valore
= 1 ! Dora in poi con G intenderemo sempre G
ret
.
Osserviamo, inne, che sussiste un semplice legame tra i kernel avanzato e ritardato,
e il kernel antisimmetrico D del paragrafo 5.2.2, vedi (5.43). Vale infatti,
D = G
ret
G
adv
. (6.54)
186
Da questa relazione discende immediatamente lequazione caratteristica del kernel anti-
simmetrico,
2D = 0,
che lo identica come propagatore del campo elettromagnetico libero.
6.2.2 Il potenziale vettore ritardato
Inserendo la (6.51) nella (6.33) otteniamo il potenziale ritardato in forma covariante a
vista,
A

(x) =
1
2
_
d
4
y H(x
0
y
0
) ((x y)
2
)j

(y). (6.55)
Usando, invece, la (6.50) possiamo integrare sulla coordinata y
0
e riscriverlo come,
A

(t, x) =
1
4
_
d
3
y
_
dy
0
1
|x y|
(t y
0
|x y|) j

(y
0
, y)
=
1
4
_
d
3
y
1
|x y|
j

(t |x y|, y). (6.56)


In seguito faremo uso sia della (6.55) che della (6.56); la prima scrittura ha il pregio di
essere manifestamente Lorentzinvariante, la seconda quello di coinvolgere unintegrazione
in meno.
Resta ancora da imporre la condizione di gaugexing (6.29), che abbiamo lasciato in
sospeso. La soluzione appena scritta, con i criteri imposti, ha un carattere di unicit`a. Per
consistenza la condizione di Lorentz dovrebbe allora essere soddisfatta automaticamente.
In eetti questo `e quello che succede. Per farlo vedere `e suciente ricorrere alla (6.34) e
usare le propriet`a della convoluzone del paragrafo 2.3.2. Si ottiene,

(G j

) = G

= 0,
avendo sfruttato la conservazione della quadricorrente. Si noti che il potenziale A

= Gj

soddisfa la gauge di Lorentz indipendentemente dalla forma di G.


Funzioni di Green e causalit`a. Analizziamo ora brevemente la struttura causale della
soluzione (6.55). Abbiamo derivato questa formula imponendo la condizione minimale
che la funzione di Green si annulli per tempi negativi, assicurando cos` che eventi futuri
non possano inuenzare eventi passati. Daltro canto, a priori una richiesta di questo
tipo `e in palese conitto con la Relativit`a Ristretta, perche in generale lordinamento
187
temporale tra due eventi non viene preservato da una trasformazione di Lorentz, anche se
propria. Per preservare lordinamento temporale occorre imporre la condizione ulteriore
che due eventi possano inuenzarsi solo se sono a distanza di tipo tempo o nullo. Infatti,
secondo la causalit`a relativistica un evento y pu`o inuenzare un evento x solo se valgono
le due condizioni,
(x y)
2
0, x
0
y
0
.
Tali eventi x deniscono il cone luce futuro di y, insieme che sappiamo essere invariante
sotto trasformazioni di Lorentz proprie, vedi paragrafo 5.2.3. Levento y pu`o quindi
inuenzare levento x solo se x appartiene al cono luce futuro di y. Corrispondentemente
una generica funzione di Green causale e relativistica deve godere delle propriet`a minimali,
G(x) = 0, t < 0.
G(x) = 0, x
2
< 0.
La funzione di Green (6.51) non solo possiede queste propriet`a, ma `e supportata intera-
mente sul bordo del cono luce. Di conseguenza nella (6.55) il potenziale in un punto x
`e causalmente connesso solo con punti y della corrente, che si trovano a distanze di tipo
luce da x e che appartengono al passato di x: nel campo elettromagnetico linformazione
si propaga quindi dalle particelle cariche al punto di osservazione con la velocit`a della
luce, e non viceversa. Torneremo su questo punto nel paragrafo 6.2.3.
Il ritardo.
`
E istruttivo confrontare la (6.56) con la soluzione (6.15) dellequazione di
Poisson. Riportiamo questultima nella versione elettrostatica e accendendo il tempo,
A
0
(t, x) =
1
4
_
d
3
y
1
|x y|
j
0
(t, y). (6.57)
Per confrontarla con la (6.56) riscriviamo questultima ripristinando la velocit`a della luce,
A

(t, x) =
1
4
_
d
3
y
1
|x y|
j

_
t
|x y|
c
, y
_
.
Vediamo che lunica dierenza tra le due formule `e la comparsa del ritardo
|x y|
c
nellargomento temporale della corrente, ritardo che eguaglia il tempo che la luce impiega
per passare dal punto y in cui `e situata la carica, al punto di osservazione x dove si valuta
il campo. Il campo nel punto x allistante t dipende dunque dal valore della corrente nel
188
punto y allistante ritardato t

= t
|x y|
c
. Nel potenziale non relativistico (6.57)
si suppone, invece, uninterazione a distanza istantanea, ovvero, uninterazione che si
propaga con velocit`a innita, e il ritardo viene dunque trascurato.
6.2.3 Rottura spontanea dellinvarianza per inversione temporale
Nel paragrafo 5.4.3 abbiamo visto che le equazioni dellElettrodinamica sono invarianti
per inversione temporale. Sappiamo in particolare che, se la coppia (j

, A

) `e soluzione
dellequazione di Maxwell, allora `e soluzione anche la coppia (j

, A

), denita da,
j
0
(x
0
, x) = j
0
(x
0
, x), (6.58)

j

(x
0
, x) =

j(x
0
, x), (6.59)
A
0
(x
0
, x) = A
0
(x
0
, x), (6.60)

(x
0
, x) =

A(x
0
, x). (6.61)
Vogliamo ora trovare il legame che esiste tra A

e j

. La questione ha una rilevanza


sica concreta poiche, se j

`e una corrente realizzabile in natura, allora `e realizzabile


anche la corrente j

. Se j

corrisponde, ad esempio, a un elettrone che compie un moto


circolare in senso orario, allora j

descrive un elettrone che compie un moto circolare


in senso antiorario. Il potenziale del moto antiorario potrebbe allora essere ottenuto da
quello del moto orario, eettuando semplicemente le sostituzioni (6.60), (6.61). Tuttavia,
vedremo che questa procedura `e errata: il potenziale sico creato da j

non `e dato da
A

. Come abbiamo anticipato nel paragrafo 5.4.3, linvarianza per inversione temporale
dellElettrodinamica `e rotta in modo spontaneo, ovvero, `e rotta dalle soluzioni.
Per dimostrare quanto appena aermato determiniamo esplicitamente il legame tra
A

e j

. Viste le (6.58)(6.61) `e suciente concentrarsi sul legame tra j


0
e A
0
. Dalla
(6.60) si vede che A
0
si ottiene eettuando nella (6.55) la sostituzione x
0
x
0
,
A
0
(x) =
1
2
_
d
4
y H(x
0
y
0
) ((x
0
y
0
)
2
|x y|
2
)j
0
(y
0
, y).
Sostituendo la variabile di integrazione y
0
con y
0
, e usando la (6.58), questa espressione
muta in,
A
0
(x) =
1
2
_
d
4
y H(x
0
+ y
0
) ((x y)
2
)j
0
(y
0
, y).
189
Ricordando la denizione del kernel avanzato (6.52), si riconosce che questa relazione pu`o
essere scritta come A
0
= G
adv
j
0
. Procedendo alla stessa maniera per il potenziale
spaziale, si trova in denitiva,
A

= G
adv
j

. (6.62)
Questo risultato `e in palese conitto con la causalit`a, perch`e il potenziale sico creato
dalla corrente j

`e dato da,
A

ret
= G
ret
j

,
che `e diverso da A

. La (6.62) rappresenta, infatti, il potenziale avanzato creato


dalla corrente j

, vedi (6.38). Tornando al nostro esempio di cui sopra, nel capitolo


(7) vedremo che A

ret
descrive una particella che ruota in senso antiorario ed emette
radiazione, come si osserva in natura, mentre A

descrive una particella che ruota sempre


in senso antiorario, ma assorbe radiazione, fenomeno che non avviene in natura. In realt`a,
come vedremo in sezione (6.3), i potenziali A

ret
e A

coincidono solo nel caso di una


particella che si muove di moto rettilineo uniforme: non essendo accelerata non emette,
ne assorbe radiazione. In ultima analisi `e proprio la rottura dellinvarianza per inversione
temporale ad ammettere il fenomeno dellirraggiamento: se si imponesse alle soluzioni
dellElettrodinamica di rispettare linvarianza per inversione temporale scegliendo nella
(6.53) il valore = 1 tanta radiazione verrebbe emesse, quanta ne verrebbe assorbita.
6.2.4 Validit`a della soluzione e trasformata di Fourier
Discutiamo ora la validit`a delle formule risolutive (6.34), (6.55), nel caso in cui j

`e la
corrente di un sistema di particelle puntiformi, e pertanto non appartiene ad S.
Osserviamo, in proposito, che grazie al fatto che G S

, lespressione (6.34),
A

= G j

, (6.63)
`e ben denita in S

, purche j

stia in S, come supposto in (6.30). Al contrario, la


corrente di un sistema di particelle puntiformi non sta in S, ma in S

, e in questo caso la
convoluzione (6.63) `e mal denita. Per di pi` u, essendo diverse da zero per qualsiasi t R,
da un punto di vista quadridimensionale le correnti non sono a supporto a compatto. Di
conseguenza non `e pi` u garantito che la loro trasformata di Fourier appartenga ad
M
, e
190
non possiamo pi` u applicare il teorema di PaleyWiener per dare senso alla (6.63), come
nel caso dellequazione di Poisson, vedi paragrafo 6.1.2.
La formula risolutiva in trasformata di Fourier. Tuttavia, come in quel caso possia-
mo cercare di dare un signicato alla (6.63), passando in trasformata di Fourier. Per
determinare la trasformata del kernel lo riscriviamo come,
G(x) =
1
2
H(x
0
) (x
2
) =
1
4
_
(x
2
) + (x
0
) (x
2
)
_
.
In questo modo possiamo, infatti, utilizzare le trasformate di Fourier delle funzioni F
1
e
F
2
del paragrafo 6.2.1, vedi (6.45) e (6.46), per ottenere,

G(k) =
1
(2)
2
_
P
_
1
k
2
_
+ i (k
0
) (k
2
)
_
. (6.64)
Come si vede, questa formula soddisfa lequazione del kernel 2G(x) =
4
(x) in trasformata
di Fourier, ovvero,
k
2

G(k) =
1
(2)
2
.
A questo punto possiamo eseguire la trasformata di Fourier della (6.63), utilizzando la
formula per la trasformata della convoluzione del paragrafo 2.3.2,

(k) = (2)
2

G(k)

j

(k) =
_
P
_
1
k
2
_
+ i (k
0
) (k
2
)
_

j

(k). (6.65)
Come anticipato sopra, per un sistema di particelle la trasformata della corrente

j

(k) non
appartiene ad O
M
, e quindi a priori non `e garantito che il prodotto a secondo membro sia
ben denito in S

. Tuttavia, si pu`o dimostrare che la (6.65) denisce in eetti un elemento


di S

, purche le particelle cariche siano massive, ovvero, abbiano velocit`a strettamente


minori della velocit`a della luce. In questo caso la soluzione A

pu`o, dunque, essere denita


come lantitrasformata di Fourier del secondo membro della (6.65), in sostituzione della
(6.63), come nel caso dellequazione di Poisson.
Illustriamo la situazione nel caso di una particella che si muove di moto rettilineo
uniforme. In questo caso la linea di universo `e data da y

() = u

, e la corrente ha la
forma semplice,
j

(x) = e u

_

4
(x u) d.
191
`
E pertanto immediato valutare la sua trasformata di Fourier,

j

(k) =
e u

(2)
2
_
d
4
xe
ikx
_

4
(x u) d =
e u

(2)
2
_
e
i(k u)
d =
e u

2
(u k),
e come si vede, essa non appartiene ad O
M
, bens` ad S

. Possiamo comunque scrivere il


prodotto (6.65),

(k) =
e u

2
_
P
_
1
k
2
_
+ i (k
0
) (k
2
)
_
(u k). (6.66)
Analizziamo ora separatamente i casi di particella massiva, e di particella priva di massa.
a) Traiettorie di tipo tempo. Per una particella massiva la traiettoria `e di tipo tempo,
con u
2
= 1, e possiamo porci nel suo sistema di riferimento a riposo. In questo sistema
abbiamo u

= (1, 0, 0, 0) e (u k) = (k
0
). Il secondo termine del prodotto (6.66) `e allora
nullo in quanto,
(k
0
) (k
2
) (u k) =
1
2|

k|
_
(k
0
|

k|) (k
0
+|

k|)
_
(k
0
) = 0. (6.67)
La (6.66) si riduce pertanto a,

(k) = P
_
1
k
2
_
e u

2
(k
0
) =
e u

2|

k|
2
(k
0
),
che appartiene eettivamente ad S

. In questo caso semplice lantitrasformata di



A

(k)
pu`o essere valutata esplicitamente, si vedano le (6.13), (6.20), e si ottiene il noto potenziale
coulombiano,
A

(x) =
e u

4|x|
. (6.68)
Come menzionato sopra, il prodotto (6.65) denisce una distribuzione, purche la par-
ticella segua unarbitraria linea di universo di tipo tempo. In questo caso vedremo esplici-
tamente che anche le rappresentazioni integrali (6.55) e (6.56) sono sempre ben denite,
motivo per cui dora in avanti ci serviremo prevalentemente di tali rappresentazioni.
b) Traiettorie di tipo luce. Una particella priva di massa viaggia con la velocit`a della
luce, e quindi u
2
= 0. Possiamo dunque metterci nel sistema di riferimento in cui u

=
(1, 0, 0, 1), sicche (u k) = (k
0
k
3
). In questo caso avremmo, al posto di (6.67),
(k
0
) (k
2
) (u k) = (k
0
) ((k
1
)
2
+ (k
2
)
2
) (k
0
k
3
).
192
Questa espressione, di per se, non denisce una distribuzione, ma possiamo associarle un
elemento di S

attraverso la sostituzione,
((k
1
)
2
+ (k
2
)
2
)

2
(k
1
) (k
2
).
Questa identicazione si pu`o giusticare applicando il primo membro a una funzione
di test di S(R
2
), e procedendo formalmente. Usando coordinate polari bidimensionali
{, =
_
(k
1
)
2
+ (k
2
)
2
}, si ottiene cos`,
_
d
2
k ((k
1
)
2
+ (k
2
)
2
) (k
1
, k
2
) =
_
2
0
d
_

0
d (
2
) (, )
=
1
2
_
2
0
d
_

0
d
2
(
2
) (, ) =

2
(0),
dove lulteriore fattore 1/2 deriva dal fatto che lestremo inferiore dellintegrale sulla (
2
)
`e
2
= 0. La (6.66) diventerebbe allora,

(k) =
e u

2
_
1
(k
1
)
2
+ (k
2
)
2
i

2
2
(k
3
) (k
1
) (k
2
)
_
(k
0
k
3
). (6.69)
Tuttavia, mentre il secondo addendo appartiene ora eettivamente ad S

, la funzione,
1
(k
1
)
2
+ (k
2
)
2
,
non `e localmente integrabile in R
4
e non ammette nessuna regolarizzazione in S

: pertanto
la (6.69) non denisce una distribuzione !
Per una particella priva di massa le formule (6.55) e (6.65) sono, dunque, prive di
senso e devono essere abbandonate insieme al metodo della funzione di Green. Nondi-
meno vedremo che le equazioni di Maxwell (6.28), (6.29) ammettono soluzioni ben de-
nite nel senso delle distribuzioni, anche per particelle prive di massa: le determineremo
esplicitamente nel paragrafo 6.3.2, utilizzando un metodo alternativo.
6.3 Campo di una particella in moto rettilineo uniforme
Come prima applicazione della formula (6.55), in questa sezione calcoliamo il campo
elettromagnetico creato da una particella carica in moto rettilineo uniforme. Tratteremo
separatamente i casi di particelle massive e particelle prive di massa. In realt` a, nel primo
193
caso il campo potrebbe essere calcolato anche attraverso una trasformazione di Lorentz
dal sistema a riposo della particella, dove,

E =
e
4
x
r
3
,

B = 0,
al sistema di riferimento del laboratorio, vedi problema 6.2. Tuttavia, questa procedura
romperebbe linvarianza di Lorentz manifesta. Nel secondo caso, per di pi` u, questa pro-
cedura non sarebbe nemmeno applicabile, perche per una particella di massa nulla non
esiste nessun sistema a riposo. Daltra parte, nel paragrafo 6.3.2 vedremo che il campo
di una particella priva di massa pu`o essere dedotto da quello di una particella massiva
attraverso unopportuna procedura di limite, superando cos` le dicolt`a menzionate alla
ne del paragrafo precedente.
6.3.1 Campo di una particella massiva
Per poter applicare la (6.55) dobbiamo prima esplicitare la corrente j

(y) di una particella


in moto rettilineo uniforme. La linea di universo di una tale particella si scrive,
y

(s) = y

(0) + u

s, u
2
= 1,
e se scegliamo lorigine del sistema di riferimento di modo tale che a t = 0 la particella
passi per lorigine, abbiamo pi` u semplicemente,
y

(s) = u

s.
Per la quadricorrente si ottiene allora,
j

(y) = e
_
ds u

4
(y y(s)) = e u

_
ds
4
(y us). (6.70)
Determinazione di A

. Per determinare il quadripotenziale sostituiamo la (6.70) nella


(6.55), ottenendo,
A

(x) =
e
2
u

_
d
4
y
_
ds H(x
0
y
0
) ((x y)
2
)
4
(y us)
=
e
2
u

_
ds H(x
0
su
0
) ((x us)
2
)
=
e
2
u

_
ds H(x
0
su
0
) (f(s)). (6.71)
194
Abbiamo denito la funzione di s,
f(s) (x us)
2
= x
2
2s (ux) + s
2
, (ux) u

,
sottintendendo la dipendenza da x

e u

. Per valutare lintegrale della (6.71) esplicitiamo


(f(s)) applicando la (2.43), e quindi dobbiamo preventivamente individuare gli zeri di
f. Essendo quadratica, f(s) ha due zeri,
s

= (ux)
_
(ux)
2
x
2
, f(s

) = 0, (6.72)
entrambi reali. Lo scalare (ux)
2
x
2
`e, infatti, sempre maggiore o uguale a zero. Per
dimostrarlo sfruttiamo linvarianza di Lorentz e lo valutiamo nel sistema a riposo della
particella, dove si ha u

= (1,

0). Si ottiene allora,


(ux)
2
x
2
= (x
0
)
2
((x
0
)
2
|x|
2
) = |x|
2
0. (6.73)
Secondo la (2.43) abbiamo allora,
(f(s)) =
(s s
+
)
|f

(s
+
)|
+
(s s

)
|f

(s

)|
. (6.74)
Essendo,
f

(s) = 2(s ux),


abbiamo inoltre,
|f

(s

)| = 2
_
(ux)
2
x
2
.
Inserendo questi elementi nella (6.71) si ottiene allora,
A

(x) =
e
4
u

_
(ux)
2
x
2
_
ds
_
H(x
0
s
+
u
0
) (s s
+
) + H(x
0
s

u
0
) (s s

)
_
.
Per valutare lintegrale rimanente dobbiamo determinare i segni di x
0
s

u
0
, e per fare
questo usiamo di nuovo argomenti di covarianza. Deniamo i quadrivettori,
V

= x

,
che per costruzione appartengono al cono luce, V
2

= 0. I segni delle componenti temporali


V
0

= x
0
s

u
0
sono allora Lorentzinvarianti, e possiamo determinarli nel riferimento a
riposo della particella. In questo riferimento abbiamo, vedi (6.72) e (6.73),
s

= x
0
|x| V
0

= x
0
s

u
0
= |x|.
195
Concludiamo che in qualsiasi riferimento vale,
x
0
s
+
u
0
> 0, x
0
s

u
0
< 0.
Di conseguenza,
H(x
0
s
+
u
0
) = 1, H(x
0
s

u
0
) = 0.
Si ottiene quindi,
A

(x) =
e
4
u

_
(ux)
2
x
2
, (6.75)
formula manifestamente Lorentzinvariante. Dal calcolo appena eseguito `e evidente che,
se avessimo usato la funzione di Green avanzata, con la sostituzione H(x
0
) H(x
0
),
il risultato per A

sarebbe stato lo stesso. Come notato in precedenza, nel caso di una


particella in moto rettilineo uniforme non avviene nessuna rottura dellinvarianza per
inversione temporale.
Vediamo, in particolare, che per la particella statica, u

= (1, 0, 0, 0), riotteniamo il


potenziale coulombiano,
A
0
=
e
4|x|
,

A = 0. (6.76)
Inne possiamo calcolare il campo elettromagnetico. Dato che si ha,

=
e
4
x

(ux)
((ux)
2
x
2
)
3/2
u

, (6.77)
risulta,
F

=
e
4
x

((ux)
2
x
2
)
3/2
. (6.78)
Contraendo, invece, nella (6.77) con , si verica che il potenziale soddisfa la gauge di
Lorentz

= 0, come da costruzione.
I campi

E e

B. Partendo dalla (6.78) analizziamo ora le propriet`a generali dei campi
elettrico e magnetico di una particella in moto rettilineo uniforme. Li confronteremo con
i campi di una particella non relativistica, v 1, e li analizzeremo anche nel regime
opposto, quello ultrarelativistico, quando la particella si muove con velocit`a prossima a
quella della luce.
Cominciamo con il calcolo di

E e

B a partire dalla (6.78),
E
i
= F
i0
=
e
4
x
i
u
0
x
0
u
i
((ux)
2
x
2
)
3/2
=
e u
0
4
x
i
v
i
t
((ux)
2
x
2
)
3/2
.
196
B
k
=
1
2

kij
F
ij
=
1
2
e
4

kij
x
i
u
j
x
j
u
i
((ux)
2
x
2
)
3/2
=
e u
0
4

kij
v
i
x
j
((ux)
2
x
2
)
3/2
=
e u
0
4

kij
v
i
(x
j
v
j
t)
((ux)
2
x
2
)
3/2
=
kij
v
i
E
j
. (6.79)
Abbiamo, cio`e, ripristinando la velocit`a della luce,

B =
v
c


E. (6.80)
In ogni punto il campo magnetico `e dunque una semplice funzione del campo elettrico, ed
`e quindi suciente analizzare questultimo. In particolare vediamo che rispetto al campo
elettrico il campo magnetico `e soppresso di un fattore relativistico v/c, in accordo con il
fatto che il secondo rappresenta un eetto dinamico.
Per analizzare la forma del campo elettrico `e conveniente introdurre il vettore,

R = x v t,
congiungente in ogni istante t il punto di osservazione x con la posizione y(t) = v t della
particella. Con semplice algebra si trova allora,
(ux)
2
x
2
=
R
2
+ (v

R)
2
v
2
R
2
1 v
2
,
e quindi,

E =
e
4
(1 v
2
)

R
(R
2
+ (v

R)
2
v
2
R
2
)
3/2
. (6.81)
Se introduciamo, inne, langolo tra v e

R, il campo elettrico si pu`o scrivere come,

E =
(1 v
2
)
(1 v
2
sen
2
)
3/2

E
nr
, (6.82)
dove abbiamo introdotto il campo coulombiano non relativistico,

E
nr
=
e
4

R
R
3
.
Vediamo ora quali sono le propriet`a del campo elettrico ottenuto. Intanto vediamo che
per ogni t ssato a grandi distanze

E decade come 1/r
2
, come il campo coulombiano non
relativistico, e quindi abbiamo landamento asintotico,
F

1
r
2
, per r = |x| . (6.83)
197
Inoltre

E `e ancora un campo centrale, cio`e, `e diretto lungo la retta passante per la posizione
della particella e il punto di osservazione. Tuttavia, questo campo non `e pi` u a simmetria
sferica come il campo non relativistico, perche il suo modulo dipende ora dalla direzione.
Infatti, per

R rispettivamente ortogonale ( = /2) e parallelo ( = 0, ) a v, la (6.82)
d`a per i corrispondenti moduli del campo elettrico,
E

=
1

1 v
2
E
nr
> E
nr
, (6.84)
E

= (1 v
2
) E
nr
< E
nr
. (6.85)
Lungo la direzione del moto il campo risulta quindi schiacciato, in entrambi i versi,
mentre lungo le direzioni ortogonali al moto il campo risulta potenziato. In particolare,
per velocit`a che si approssimano alla velocit`a della luce il primo svanisce, mentre il secondo
va a innito. Difatti per velocit`a molto elevate il campo elettromagnetico `e praticamente
nullo in tutte le direzioni, tranne per valori di molto vicini a /2.
Vista la (6.80), risultati analoghi valgono per il modulo del campo magnetico. Dato che

E `e radiale, questa formula ci dice, inoltre, che le linee di campo di



B sono circonferenze
ortogonali alla traiettoria della particella, e concentriche con essa.
6.3.2 Campo di una particella di massa nulla
Abbiamo dedotto il campo (6.78) nellipotesi che la velocit`a della particella sia costante,
ma minore di quella della luce. In questo paragrafo determiniamo, invece, il campo
elettromagnetico creato da una particella che viaggia con la velocit`a della luce. Per le
peculiarit`a del campo di una particella ultrarelativistica, appena messe in evidenza, ci
aspettiamo di ottenere un campo elettromagnetico con singolarit`a molto pronunciate, al
quale si potr`a dare senso solo nello spazio delle distribuzioni. Per di pi` u, come evidenziato
nel paragrafo 6.2.4, per una particella priva di massa la formula risolutiva (6.55) non `e
applicabile, dovremo quindi cercare una strada alternativa.
Per una particella che viaggia con la velocit`a della luce, il tempo proprio non `e de-
nito, e dobbiamo parametrizzare la sua linea di universo con un parametro generico.
Introducendo il quadrimomento p

della particella possiamo parametrizzarla secondo,


y

() = p

, p
2
= 0, p
0
= | p| > 0,
198
dove di nuovo abbiamo supposto che per t = 0 la particella passi per lorigine. La direzione
del moto `e allora,
n =
p
| p|
,
e la legge oraria `e y(t) = nt. Per quello che segue `e anche conveniente denire il vettore
nullo,
n

= (1, n) =
p

p
0
, n
2
= 0.
La quadricorrente della particella `e comunque data da,
J

(x) = e p

_

4
(x p) d = e n

3
(x nt),
e il sistema di equazioni da risolvere `e,

= J

,
[
F
]
= 0. (6.86)
Una procedura di limite. Vogliamo ora ricavare la soluzione di questo sistema dai ri-
sultati del paragrafo precedente, con unopportuna procedura di limite. Ponendo nella
(6.70) v = v n, e ricordando le (2.52), (2.53) per una particella singola, si vede intanto
che abbiamo il limite in S

(R
4
),
S

lim
v1
j

= J

.
Siccome il tensore F

dato in (6.78) soddisfa per costruzione,

= j

,
[
F
]
= 0,
e siccome le derivate costituiscono operazioni continue in S

, se esiste il limite di F

per
v 1 nel senso delle distribuzioni, allora il tensore,
F

lim
v1
F

, (6.87)
soddisfa automaticamente le (6.86). Insistiamo sul fatto che questa strategia ha senso, solo
se i limiti di cui sopra vengono eseguiti nel senso delle distribuzioni: si noti, in particolare,
che il limite puntuale di F

per v 1 `e nullo quasi ovunque, vedi (6.81).


Arontiamo ora la determinazione del limite (6.87) partendo non direttamente dalla
(6.78), ma dallespressione del potenziale (6.75), che appare pi` u semplice. Se questo
199
potenziale ammettesse limite nel senso delle distribuzioni, potremmo, infatti, scrivere,
S

lim
v1
F

_
S

lim
v1
A

_
S

lim
v1
A

_
,
di nuovo perch`e le derivate sono operazioni continue in S

. Ora, eseguendo il limite


puntuale della (6.75) si ottiene in eetti il risultato nito,
lim
v1
A

(x) =
e
4
n

|(nx)|
, (nx) = t n x,
ma questa espressione non costituisce una distribuzione! Vedremo tra poco che, in realt`a,
il limite di A

nel senso delle distribuzioni non esiste. Sorge allora la domanda se F

ammette eettivamente limite in S

, oppure no. La risposta pu`o essere ancora aermativa,


se la parte di A

che diverge per v 1 in S

, in qualche modo non contribuisce a F

.
Una trasformazione di gauge. A questo proposito ricordiamo che il potenziale in
eetti `e denito modulo una trasformazione di gauge. Anche F

ammetta un
limite ben denito, `e allora suciente che la parte divergente del potenziale possa essere
eliminata con una trasformazione di gauge. Consideriamo, ad esempio, una trasformazione
di gauge con parametro,
=
e
4
ln

(ux)
_
(ux)
2
x
2

. (6.88)
Con un semplice calcolo si trova allora che il potenziale trasformato, del tutto equivalente
a (6.75), ma non pi` u soddisfacente la gauge di Lorentz, `e dato da,

= A

=
e
4
_
1 +
(ux)
_
(ux)
2
x
2
_
x

x
2
, F

, (6.89)
dove con 1/x
2
intendiamo la sua parte principale. A questo punto non `e dicile convincersi
che per v 1 il potenziale

A

ammette limite nel senso delle distribuzioni, e che questo


limite coincide semplicemente con il suo limite puntuale. Grazie al limite puntuale,
lim
v1
(ux)
_
(ux)
2
x
2
= (nx),
dove () indica la distribuzione segno, risulta allora,
A

lim
v1

=
e
2
x

x
2
H(nx). (6.90)
200
Dato che

A

ammette limite per v 1 in S

, mentre nello stesso limite il parametro di


gauge diverge, vedi (6.88), ora risulta anche chiaro il motivo per cui (6.75) non poteva
ammettere limite.
Il campo elettromagnetico. Usando le (6.89), (6.90), possiamo ora determinare il campo
elettromagnetico creato da una particella di massa nulla, in moto in direzione n,
F

= S

lim
v1
F

= S

lim
v1
(

) =

=
e
2
n

x
2
(nx).
Per i campi elettrico e magnetico si ottiene allora facilmente,

E =
e
2
x nt
x
2
(nx), B = n

E, n

E = 0. (6.91)
In particolare per i moduli vale E = B. Se vede che in ogni istante i campi sono
diversi da zero solo sul piano passante per la posizione della particella in quellistante, e
perpendicolare alla sua velocit`a. Se la particella si muove, ad esempio, lungo lasse z si
ha,

E =
e
2(x
2
+ y
2
)
(x, y, 0) (z t), (6.92)

B =
e
2(x
2
+ y
2
)
(y, x, 0) (z t). (6.93)
Allistante t i campi sono quindi non nulli solo sul piano z = t, dove sono molto intensi,
cio`e, proporzionali alla di Dirac. Ricordiamo che per costruzione questi campi soddisfano
le equazioni di Maxwell. Si verica, per esempio, facilmente che vale, vedi problema 6.4,


E = e (x) (y) (z t) = j
0
(x),


B = 0. (6.94)
Inne, se si vuole ottenere nuovamente un potenziale nella gauge di Lorentz, `e suciente
eseguire unaltra trasformazione di gauge,

= A

_
e
4
H(nx) ln

x
2

_
=
e
4
ln |x
2
| (nx) n

= 0.
Shock waves. Campi del tipo (6.91) vengono chiamati shock waves, perche in ogni
istante il campo `e diverso da zero solo su un piano, che avanza con la velocit`a della luce.
Succede allora che una carica di prova avverte un eetto solo nellistante in cui questo
piano la colpisce, subendo una variazione istantanea, ma nita, della propria quantit`a di
201
moto. Supponiamo, ad esempio, che il piano donda colpisca allistante t = 0 una particella
non relativistica di carica e

, che a quellistante si trova nella posizione (x, y, 0)

b. In
questo caso nellequazione di Lorentz,
d p
dt
= e

(E +v B)
il campo magnetico `e trascurabile. Inserendo in questa formula la (6.92), e integrandola
tra un instante precedente e uno successivo allurto, si trova che alla particella viene
comunicata la quantit`a di moto,
p =
_
t
t
d p
dt
dt = e

_
t
t

E dt = e

_
t
t
e

b
2b
2
(z(t) t) dt =
e

b
2b
2
(1 v
z
)

e

b
2b
2
c
.
Nel risultato nale abbiamo ripristinato la velocit`a della luce, per evidenziare il fatto che si
tratta di un eetto relativistico. Lurto provoca quindi un kick di allontanamento lungo
il piano della shock wave, se le cariche sono dello stesso segno, e un kick di avvicinamento
se sono di segno opposto.
Facciamo, comunque, notare che in Elettrodinamica il fenomeno delle shock waves
costituisce unestrapolazione matematica e non una situazione sicamente realizzabile
perche in natura non esistono particelle cariche prive di massa. Al contrario, risolvendo
le equazioni di Einstein si trova che il campo gravitazionale generato da una particella
che viaggia con la velocit`a della luce, `e ancora di tipo shock wave
23
. Ma questa volta
le soluzioni hanno valenza sica, perche una particella priva di massa, come il fotone,
possiede comunque unenergia ed `e quindi gravitazionalmente carica: essa crea pertanto
un campo gravitazionale di tipo shock wave. In questo caso lestrapolazione matematica
descrive, dunque, una situazione realizzata in natura.
6.4 Problemi
6.1 Si dimostri che la funzione di Green ritardata (6.51) denisce una distribuzione in
S

(R
4
).
6.2 Si consideri una particella di carica e che si muove con velocit`a v costante lungo
lasse z, nel sistema di riferimento del laboratorio K. Si consideri che nel sistema di
23
P. Aichelburg e R. Sexl, Gen. Rel. Grav. 2 (1971) 303).
202
riferimento K

, dove la particella `e a riposo in x

= 0, il quadripotenziale vale,
A

(x

) =
e
4|x

|
(1, 0, 0, 0).
a) Si determini la trasformazione di Lorentz

che connette un evento in K con levento


corrispondente in K

.
b) Si determini il potenziale A

(x) in K, sfruttando il fatto che si tratta di un quadrivet-


tore, e si confronti il risultato con la (6.75).
6.3 Si verichi che i campi elettrico e magnetico (6.92), (6.93) di una particella priva
di massa soddisfano le equazioni (6.94), dimostrando in particolare che in due dimensioni
vale lidentit`a distribuzionale,

x
r
2
= 2
2
(x),
dove x (x, y) e r =
_
x
2
+ y
2
.
Se ne deduca che la funzione di Green del laplaciano bidimensionale `e data dal
logaritmo,

2
_
1
2
ln r
_
= (
2
x
+
2
y
)
_
1
2
ln
_
x
2
+ y
2
_
=
2
(x).
203
7 I campi di LienardWiechert
Come seconda applicazione importante della (6.55), in questo capitolo determiniamo i
campi elettrico e magnetico generati da una particella che percorre unarbitraria traiettoria
di tipo tempo. Questi campi rivestono nellambito dellElettrodinamica classica un ruolo
fondamentale e portano i nomi dei loro scopritori, Lienard (1898) e Wiechert (1900).
Una particella in moto arbitrario ha unaccelerazione generalmente non nulla, e genera
un campo con caratteristiche fondamentalmente diverse da quelle del campo coulombia-
no (6.78) del moto rettilineo uniforme. Le peculiarit`a distintive rispetto a questultimo
si riassumono come segue. Il campo (6.78) subisce una deformazione locale, preservando
comunque landamento asintotico 1/r
2
. In aggiunta a questo campo compare, tuttavia, un
campo nuovo causato dallaccelerazione della particella, che a grandi distanze decade pi` u
debolmente come 1/r e soppianta quindi il campo coulombiano. Come vedremo, questo
particolare andamento asintotico, pi` u intenso, d`a origine al fenomeno dellirraggiamento:
gli arteci primi di questo fenomeno sono dunque le cariche accelerate.
7.1 Linee di universo e condizioni asintotiche
Cominciamo con qualche considerazione di carattere generale sulle traiettorie delle parti-
celle che prenderemo in considerazione.
In generale le velocit`a delle particelle sono limitate superiormente dalla velocit`a della
luce, v 1. Tuttavia, dato che in natura non esistono particelle cariche di massa nulla,
dora in poi considereremo solo particelle massive, per cui ad ogni istante nito vale la
disuguaglianza stretta v < 1. In linea di principio pu`o comunque accadere che per t che
tende a , v tenda a 1. Questo succede, ad esempio, nel caso di una particella che
compie un moto uniformemente accelerato, essendo sottoposta ad un campo elettrico
costante e uniforme che si estende no allinnito, vedi problema 2.7. In questo caso,
prendendo come asse x la direzione del campo elettrico, si ottiene infatti la linea di
universo,
y

(s) =
_
1
b
senh(bs),
1
b
cosh(bs), 0, 0
_
, b =
eE
m
, (7.1)
204
corrispondente alle leggi orarie,
y(t) =
_
1
b

1 + b
2
t
2
, 0, 0
_
, v(t) =
_
b t

1 + b
2
t
2
, 0, 0
_
, lim
t
v(t) = 1. (7.2)
Volendo escludere tali situazioni non siche, imponiamo alle linee di universo una condi-
zione leggermente pi` u forte, cio`e, che esista una velocit`a massima v
M
tale che,
v(t) v
M
< 1, t. (7.3)
Sotto questa condizione si ha
_
1 v
2
(t)
_
1 v
2
M
, e il tempo proprio,
s(t) =
_
t
0
_
1 v
2
(t

) dt

, (7.4)
soddisfa le condizioni asintotiche,
lim
t
s(t) = . (7.5)
Ci`o assicura, in particolare, che i parametri s e t possono essere usati equivalentemente
durante lintera evoluzione temporale.
Le traiettorie che si riscontrano sperimentalmente sono essenzialmente di due tipi
moti limitati e moti illimitati e per tali moti la condizione (7.3) `e sempre soddisfatta,
come ora illustreremo.
Moti illimitati. Per moti illimitati, per denizione la quadrivelocit`a della particella
ammette limiti niti per t ,
lim
t
u

= u

.
Questa assunzione `e equivalente allipotesi che le velocit`a ordinarie ammettano limiti v

,
con v

< 1. Da un punto di vista sico queste condizioni sono motivate dal fatto che
in natura non esistono campi di forza con unestensione spaziale illimitata. Di conse-
guenza allinnito laccelerazione tende a zero e la velocit`a a un vettore costante, con
v

< 1. In particolare esiste allora una velocit`a massima v


M
. Esempi tipici di moti il-
limitati sono le traiettorie aperte in un esperimento di scattering, o la traiettoria di una
particella che passa da a +attraversando una regione limitata con un campo elet-
tromagnetico non nullo. Daltra parte, per un moto uniformemente accelerato la (7.1) d`a
205
s(t) =
1
b
arcsenh(bt), e per t si ottenono gli andamenti asintotici s(t)
1
b
ln|t|.
In questo caso valgono dunque le (7.5), ma non la (7.3).
Moti limitati. Per denizione i moti limitati soddisfanno i vincoli,
v(t) v
M
< 1, |y(t)| L, t.
Questa categoria riguarda particelle connate a una regione limitata dello spazio, come
ad esempio gli elettroni in unantenna, o una particella carica in un ciclotrone. Nel primo
caso le particelle sono sottoposte a una forza costante oscillante, ma contemporanea-
mente dissipano energia per eetto Joule e per irraggiamento. Il risultato `e che la loro
energia resta limitata, e la loro velocit`a rimane quindi strettamente minore di quella della
luce. Analogamente nel caso del ciclotrone, durante alcuni tratti del ciclo oltre al campo
magnetico sono presenti anche dei campi elettrici acceleranti le cosiddette cavit`a riso-
nanti che periodicamente tendono a fare aumentare lenergia della particella. Tuttavia,
a regime anche questo aumento `e compensato dalla perdita di energia per irraggiamento
e da altri eetti dissipativi, e la velocit`a massima `e di nuovo strettamente minore della
velocit`a della luce seppure spesso molto vicina ad essa.
In seguito tutte le traiettorie considerate saranno supposte appartenere a una di queste
due categorie.
7.2 Il quadripotenziale di LienardWiechert
Per determinare il campo elettromagnetico creato da una particella con linea di universo
y

(s) arbitraria, procediamo formalmente come nel caso di una particella in moto rettilineo
uniforme. Determiniamo il quadripotenziale inserendo la corrente corrispondente,
j

(y) = e
_
ds u

(s)
4
(y y(s)),
nella formula risolutiva (6.33),
A

(x) =
e
2
_
d
4
y
_
ds u

(s) H(x
0
y
0
) ((x y)
2
)
4
(y y(s))
=
e
2
_
ds u

(s) H(x
0
y
0
(s)) ((x y(s))
2
)
=
e
2
_
ds u

(s) H(x
0
y
0
(s)) (f(s)). (7.6)
206
Abbiamo denito la funzione di s,
f(s) = (x y(s))
2
= (x
0
y
0
(s))
2
|x y(s)|
2
, (7.7)
in cui sottintendiamo la dipendenza dal punto di osservazione x

= (x
0
, x), che `e ssato.
Come nel caso del moto rettilineo uniforme, per valutare (f(s)) dobbiamo individuare gli
zeri della f. Nel paragrafo 7.2.1 faremo vedere che se le linee di universo corrispondono
a moti illimitati o moti limitati allora anche in questo caso f(s) ha esattamente
due zeri s

(x), soddisfacenti rispettivamente,


x
0
y
0
(s
+
) > 0, x
0
y
0
(s

) < 0. (7.8)
Possiamo allora valutare lintegrando della (7.6) applicando la (2.43), e notando che
f

(s) = 2(x

(s)) u

(s):
H(x
0
y
0
(s)) (f(s)) = H(x
0
y
0
(s))
_
(s s
+
)
|f

(s
+
)|
+
(s s

)
|f

(s

)|
_
= H(x
0
y
0
(s
+
))
(s s
+
)
|f

(s
+
)|
+ H(x
0
y
0
(s

))
(s s

)
|f

(s

)|
=
(s s
+
)
|f

(s
+
)|
=
(s s
+
)
2(x y(s
+
))u(s
+
)
. (7.9)
Nellultima riga abbiamo sfruttato il fatto che lo scalare (x y(s
+
))u(s
+
) `e positivo. Per
rendercene conto `e suciente valutarlo nel riferimento in cui la particella al tempo proprio
s
+
`e a riposo, ove vale u

(s
+
) = (1, 0, 0, 0). Si ottiene,
(x y(s
+
))u(s
+
) = x
0
y
0
(s
+
) > 0,
vedi (7.8). Sostituendo la (7.9) nella (7.6) si ottiene il quadripotenziale di Lienard
Wiechert,
A

(x) =
e
4
u

(s)
(x y(s))u(s)

s=s
+
(x)
. (7.10)
La funzione s
+
(x) `e determinata implicitamente in modo univoco dalle relazioni,
(x y(s))
2
= 0, x
0
y
0
(s) > 0, (7.11)
equivalenti a,
x
0
y
0
(s) = |x y(s)|. (7.12)
207
Il tempo ritardato. Per chiarire il signicato del tempo proprio ritardato s
+
(x) `e
conveniente parametrizzare la linea di universo con il tempo,
y
0
(s) t

, y

(t

) = (t

, y(t

)).
La (7.12) si traduce allora in unequazione per t

,
t t

=
1
c
|x y(t

)|, (7.13)
in cui abbiamo ripristinato la velocit`a della luce. La soluzione di questa equazione `e il
tempo ritardato t

(t, x). Come si vede, questo istante `e determinato in modo tale che la
posizione y(t

) della particella allistante t

sia connessa attraverso un segnale di tipo luce


futuro alla posizione x

, dove si valuta il campo.


In questa ottica alternativa la (7.10) muta in,
A

(x) =
e
4
_
1,
v(t

)
c
_
|x y(t

)| (x y(t

))
v(t

)
c
, (7.14)
dove a denominatore abbiamo sostituito la (7.13). Il potenziale nel punto x

= (t, x)
non dipende, dunque, dalle variabili y e v della particella allistante t, bens` dal valore di
tali variabili allistante ritardato t

. Si noti inoltre che, rispetto al quadripotenziale non


relativistico,
A

(x) =
e
4
_
1,

0
_
|x y(t)|
,
la (7.14) presenta correzioni relativistiche esplicite dovute ai fattori v(t

)/c, nonche cor-


rezioni relativistiche implicite dovute alla presenza del tempo ritardato, poiche t

=
t+o(1/c). Pi` u precisamente, eseguendo lo sviluppo non relativistico della (7.13) si ottiene,
t

(t, x) = t
|x y(t)|
c

(x y(t)) v(t)
c
2
+ o
_
1
c
3
_
. (7.15)
Moto uniformemente accelerato. Concludiamo questo paragrafo con il caveat che per
traiettorie diverse da quelle contemplate in sezione 7.1, per certi x

lequazione del ritardo


(7.12) pu`o non ammettere soluzioni. Per tali x

la (7.6) d`a allora un quadripotenziale


nullo, e in questi punti si annulla dunque anche il campo. Una tale situazione si presenta,
ad esempio, nel caso del moto uniformemente accelerato. Per la linea di universo y

(s)
208
data in (7.2), lequazione (7.12) non ammette infatti nessuna soluzione per s, se x

si
trova nella regione,
= {x

/x
0
< x
1
, x
1
< 0, x
2
R, x
3
R}, (7.16)
vedi problema 7.2. In tutta la regione il campo elettromagnetico `e, dunque, nullo.
7.2.1 Gli zeri di f(s)
Teorema: La funzione,
f(s) = (x y(s))
2
= (x
0
y
0
(s))
2
|x y(s)|
2
,
per ogni x

ssato possiede esattamente due zeri s

, soddisfacenti rispettivamente,
x
0
y
0
(s
+
) > 0, x
0
y
0
(s

) < 0, (7.17)
purch`e i moti siano limitati o illimitati, vedi sezione 7.1. 2
Incominciamo la dimostrazione con losservazione che si hanno i limiti,
lim
s
f(s) = +. (7.18)
Per i moti limitati questo `e ovvio, perche per s si ha,
y
0
(s) = t(s) ,
mentre y(s) resta limitata. Per i moti illimitati, invece, per s le quadrivelocit`a
tendono a limiti u

ben deniti, e quindi,


y

(s) u

s f(s) x
2
2 (xu

) s + s
2
+.
Dai limiti (7.18) segue che f(s) ha almeno un estremale in particolare almeno un minimo
e quindi la sua derivata almeno uno zero. Scegliamo un estremale qualsiasi, s = a.
Calcolando la derivata,
f

(s) = 2(x

(s)) u

(s), (7.19)
si deduce che,
f

(a) = 2(x

(a)) u

(a) = 0.
209
Ne segue che
24
,
f(a) < 0.
Per provare questo sfruttiamo il fatto che le quantit`a f(s) e f

(s) sono scalari, quindi pos-


siamo calcolarle in un sistema di riferimento arbitrario. Scegliamo il sistema di riferimento
in cui allistante s = a la particella `e a riposo, u

(a) = (1, 0, 0, 0). Allora abbiamo,


0 = f

(a) = 2(x
0
y
0
(a)) f(a) = |x y(a)|
2
< 0.
Tutti i minimi e massimi di f(s) si trovano dunque nel semipiano inferiore. Questa
informazione, insieme al fatto che per s f va a +, ci permette di concludere che
per ogni x

ssato f possiede esattamente due zeri s

,
f(s

) = 0, s
+
< s

.
In caso contrario f avrebbe, infatti, almeno un estremale nel semipiano superiore. In s
+
f passa da valori positivi a valori negativi, e in s

da valori negativi a valori positivi. Di


conseguenza abbiamo,
f

(s
+
) < 0, f

(s

) > 0.
Valutando queste disuguaglianze tramite la (7.19) nei riferimenti in cui la particella `e
a riposo, rispettivamente agli istanti s
+
e s

, si ottengono le relazioni (7.17) in questi


riferimenti. Ma dato che i vettori x

(s) appartengono al cono luce, il segno di


x
0
y
0

(s) `e un invariante relativistico. Concludiamo, quindi, che le disuguaglianze (7.17)


valgono in qualsiasi sistema di riferimento, c.v.d.
7.3 I campi di LienardWiechert
Passiamo ora al calcolo del campo elettromagnetico F

. In segui-
to per semplicit`a con s indicheremo la funzione di x s
+
(x). Introduciamo oltre alla
quadriaccelerazione w

= du

/ds, il quadrivettore dipendente da x,


L

(x) x

(s), (7.20)
24
In tutta questa analisi `e sottointeso che x non appartenga alla linea di universo della particella, cio`e,
x

= y

(s), s. Nei punti x appartenenti alla linea di universo il potenziale vettore diverge.
210
in cui occorre tenere presente che la dipendenza da x avviene anche attraverso s. Allora
il sistema (7.11) pu`o essere riscritto come,
L

= 0, L
0
= |x y(s)|. (7.21)
Per il potenziale e il campo elettromagnetico si ottiene allora,
A

=
e
4
u

(uL)
, F

=
e
4
_
1
(uL)

1
(uL)
2

(uL) u

( )
_
. (7.22)
Per valutare le derivate rimanenti dobbiamo determinare le derivate parziali di s rispetto
a x

. Per fare questo `e suciente derivare la (7.21) rispetto a x

,
0 = L

= L

(x

(s)) = L

s
x

dy

ds
_
= L

(uL)
s
x

,
che d`a,
s
x

=
L

(uL)
.
Possiamo ora calcolare le derivate che compaiono in F

=
s
x

du

ds
=
L

(uL)
,

s
x

dy

ds
=

(uL)
,
e quindi,

(uL) = (

)L

+ u

=
1
(uL)
L

(wL) + u

(uL)
_
=
1
(uL)
((wL) 1)L

+ u

.
Sostituendo queste espressioni nella (7.22) si ottiene unespressione covariante a vista per
il campo elettromagnetico prodotto da una particella carica in moto arbitrario,
F

=
e
4(uL)
3
_
L

+ L

[(uL) w

(wL) u

] ( )
_
. (7.23)
7.3.1 Campi di velocit`a e campi di accelerazione
Come prima cosa vogliamo analizzare il comportamento della (7.23) a grandi distanze
dalla particella. A questo scopo `e conveniente suddividere i termini che compaiono in F

in due classi, in base alla loro dipendenza dalla variabile,


R L
0
= |x y(s)|,
211
vedi (7.21).
`
E anche conveniente denire il versore nullo,
m

R
, m

= 0,
con componenti,
m
0
= 1, m =
x y(s)
|x y(s)|
, | m| = 1.
Scrivendo L

= Rm

, possiamo allora riscrivere il campo (7.23) come somma di due


contributi, il campo di velocit`a F

v
, e il campo di accelerazione F

a
,
F

= F

v
+ F

a
, (7.24)
F

v
=
e
4(um)
3
R
2
(m

) , (7.25)
F

a
=
e
4(um)
3
R
_
m

[(um) w

(wm) u

)] ( )
_
. (7.26)
In F

a
abbiamo incluso i termini proporzionali a 1/R, e in F

v
i termini proporzionali
a 1/R
2
. Come si vede, il primo risulta proporzionale alla quadriaccelerazione, mentre il
secondo ne `e indipendente.
Analizziamo ora gli andamenti di questi campi a grandi distanze dalla particella. Per
fare questo supponiamo che la particella si muova in una regione limitata dello spazio,|y|
l, e consideriamo il campo in un punto x lontano da questa regione, |x| l. Ponendo
|x| r abbiamo allora lidenticazionie asintotica,
1
R
=
1
|x y|

1
r
, per r |y|. (7.27)
Supponendo che i quadrivettori u

e w

siano limitati, vediamo pertanto che a grandi


distanze dalla particella il campo di accelerazione decade come,
F

a

1
r
, (7.28)
mentre il campo di velocit`a decade come,
F

v

1
r
2
. (7.29)
In particolare, a grandi distanze il campo di accelerazione domina sul campo di velocit`a,
sicche il campo totale decade come F

1
r
. Si noti che questo andamento `e in contrasto
con landamento asintotico del campo del moto rettilineo uniforme, vedi (6.83).
212
Analizziamo pi` u in dettaglio il campo di velocit`a, riscrivendolo come,
F

v
=
e
4(uL)
3
(L

) . (7.30)
`
E facile vedere che per un moto rettilineo uniforme questo campo si riduce proprio alla
(6.78). Infatti, se y

(s) = u

s, si ha L

= x

s, e quindi,
L

= x

,
(uL) = u

(x

s) = (ux) s
+
(x) =
_
(ux)
2
x
2
,
vedi (6.72). F

v
rappresenta dunque una deformazione del campo elettromagnetico di
una particella in moto rettilineo uniforme, ereditando in particolare il suo andamento
asintotico 1/r
2
. Per questo motivo F

v
viene anche chiamato campo coulombiano.
Il campo di accelerazione F

a
causato, appunto, dallaccelerazione della particella
rappresenta invece un eetto genuinamente nuovo. Nel prossimo paragrafo vedremo che
`e proprio questo campo a generare il fenomeno dellirraggiamento.
7.3.2 I campi E e B
Esplicitiamo ora i campi elettrico e magnetico corrispondenti alla (7.23). Secondo le
(7.24)(7.26) questi campi si suddividono a loro volta in campi di velocit`a, indipendenti
dallaccelerazione e proporzionali a 1/R
2
, e in campi di accelerazione, lineari nellaccele-
razione e proporzionali a 1/R,

E =

E
v
+

E
a
,

B =

B
v
+

B
a
.
Per esplicitare questi campi occorre esplicitare la quadriaccelerazione in termini dellac-
celerazione ordinaria a,
w

=
du

ds
=
a v
(1 v
2
)
3/2
u

+
1
(1 v
2
)
(0, a). (7.31)
Si vede che quando w

viene inserito nellespressione [(um) w

(wm) u

], il termine
proporzionale a u

si cancella. Notando anche che,


(um) =
1

1 v
2
(1 v m),
213
le (7.25), (7.26) danno allora i campi di LienardWiechert,

E
v
=
e
4R
2
_
1
v
2
c
2
_
_
m
v
c
_
_
1
v m
c
_
3
,

B
v
= m

E
v
, (7.32)

E
a
=
e
4c
2
R
m
__
m
v
c
_
a

_
1
v m
c
_
3
,

B
a
= m

E
a
, (7.33)
dove abbiamo ripristinato la velocit`a della luce. Si badi che le quantit`a cinematiche y, v e
a che compaiono in queste formule sono valutate allistante ritardato t

(x), denito dalla


(7.13). Vediamo che in ogni punto i campi elettrico e magnetico sono ortogonali tra di
loro, poiche si ha,

B = m

E.
Data lespressione particolare di

E
v
si vede poi che vale anche,

B
v
=
v
c


E
v
.
Il campo magnetico di velocit`a `e, dunque, soppresso di un fattore v/c rispetto al campo
elettrico di velocit`a, come nel caso del moto rettilineo uniforme, vedi (6.80). Viceversa, i
campi elettrico e magnetico di accelerazione sono uguali in modulo, poiche si ha,
m

E
a
= 0,

B
a
= m

E
a
, |

B
a
| = |

E
a
|, (7.34)
relazioni che sfrutteremo nel prossimo paragrafo.
Facciamo, inne, notare che rispetto al campo di velocit`a

E
v
, i campi

E
a
e

B
a
pre-
sentano un prefattore 1/c
2
: i campi di accelerazione rappresentano, dunque, degli eetti
prettamente relativistici !
Andamenti asintotici per un sistema arbitrario di particelle. Concludiamo questo pa-
ragrafo con una generalizzazione importante. Grazie al fatto che la (6.55) `e lineare nella
corrente, gli andamenti asintotici dei campi di LienardWiechert si estendono automatica-
mente al campo elettromagnetico generato da un arbitrario sistema di cariche puntiformi.
Il campo si scrive dunque ancora come somma di due termini, F

= F

v
+ F

a
, che a
grandi distanze decadono come,
F

v

1
r
2
, F

a

1
r
. (7.35)
214
A livello asintotico si possono generalizzare anche le (7.34). A grandi distanze il versore
m diventa infatti indipendente dalla particella,
m =
x y(s)
|x y(s)|

x
r
n, per r . (7.36)
Abbiamo introdotto il versore n, che identica la direzione asintotica in cui si valuta il
campo. Per un sistema arbitrario di particelle, dalle (7.34) per linearit`a si ottengono
allora le relazioni asintotiche,
n

E
a
= 0,

B
a
= n

E
a
, |

B
a
| = |

E
a
|, per r . (7.37)
Inne, siccome anche le correnti macroscopiche come quelle degli elettroni in unantenna
o in un circuito elettrico possono essere pensate come sovrapposizioni delle correnti
elementari delle cariche costituenti, le relazioni asintotiche (7.35), (7.37) valgono pure per
i campi generati da tali correnti.
7.4 Emissione di radiazione da cariche accelerate
Ora che abbiamo unespressione concreta per il campo elettromagnetico prodotto da una
particella carica in moto arbitrario, siamo in grado di analizzare il modo in cui le parti-
celle emettono o assorbono energia, o pi` u in generale quadrimomento, attraverso il loro
campo. Non siamo, dunque, interessati al quadrimomento che le particelle scambiano
con il campo, ma piuttosto al quadrimomento che il sistema campo + particelle scambia
con lambiente che `e quello che viene rivelato sperimentalmente. Con un abuso di
linguaggio, che adotteremo anche noi, si parla comunque di quadrimomento emesso dalle
particelle.
Formula fondamentale per lemissione di quadrimomento. Consideriamo un generico
sistema di particelle cariche interagenti con il campo elettromagnetico. Come abbiamo
visto, il trasporto di quadrimomento di un tale sistema `e quanticato dal tensore energia
impulso del solo campo elettromagnetico, vedi paragrafo 2.4.3,
T

em
= F

+
1
4

.
In particolare, se consideriamo positivo il quadrimomento emesso come dora in poi
faremo sempre il quadrimomento emesso nellunit`a di tempo da una supercie chiusa
215
`e dato da, vedi (2.90),
dP

dt
=
_

T
i
em
d
i
. (7.38)
Tuttavia, il quadrimomento che pu`o essere considerato denitivamente ceduto dal sistema
allambiente, `e solo quello che successivamente non viene riassorbito. Il quadrimomento
in questione `e quindi quello che riesce a raggiungere linnito spaziale
25
. Nella (7.38)
dobbiamo pertanto scegliere per una sfera di raggio r, e poi fare tendere r allinnito.
Scrivendo lelemento di supercie della sfera come d

= nr
2
d, dove d `e langolo solido,
per il quadrimomento emesso nellunit`a di tempo otteniamo allora,
dP

dt
= r
2
_
T
i
em
n
i
d, r . (7.39)
Da questa espressione possiamo, inne, selezionare il quadrimomento emesso nellunit`a di
tempo e nellunit`a di angolo solido, in direzione n,
d
2
P

dt d
= r
2
_
T
i
em
n
i
_
, r . (7.40)
Dora in poi il limite per r sar`a sempre sottinteso. La (7.40) costituisce la formula
fondamentale per il calcolo del quadrimomento emesso da un generico sistema carico.
Come si vede, per valutare il secondo membro della (7.40) `e suciente selezionare da T
i
em
i contributi che vanno come 1/r
2
, ovverosia, dato che T

em
`e proporzionale a (F

)
2
, da
F

quelli che vanno come 1/r. Visti gli andamenti asintotici (7.35), questo signica che
al secondo membro della (7.40) contribuisce solo il campo di accelerazione.
La doppia conclusione di questa analisi completamente generale `e che al quadrimo-
mento emesso da un sistema di cariche contribuisce solo il campo di accelerazione, e che
per determinare il primo `e suciente valutare il secondo a grandi distanze dalle cariche.
Formula fondamentale dellirraggiamento. Consideriamo pi` u in dettaglio lemissione
di energia. Per lenergia P
0
emessa nellunit`a di tempo e nellunit`a di angolo solido,
vale a dire, per la potenza W =
d
dt
emessa nellunit`a di angolo solido, la componente zero
della (7.40) d`a (si ricordi che T
0i
em
= S
i
),
dW
d
=
d
2

dt d
= r
2
(

S n). (7.41)
25
A livello quantistico ci`o signica che consideriamo come emessi solo i fotoni che riescono a
raggiungere linnto, e non vengono successivamente risassorbiti dalle particelle.
216
Per quanto visto sopra, nel vettore di Poynting `e suciente considerare i campi di
accelerazione,

S =

E

B

E
a


B
a
,
e questi ultimi vanno, inoltre, valutati a grandi distanze. Possiamo allora usare le relazioni
asintotiche (7.37) per derivare la semplice formula,

S =

E
a


B
a
=

E
a
(n

E
a
) = n|

E
a
|
2
. (7.42)

S ha dunque la stessa direzione e lo stesso verso di n, e ne segue che il usso di ener-


gia `e sempre radiale uscente, verso linnito: lenergia viene quindi sempre emessa dalle
particelle, e mai assorbita ! Si noti che, se nella (6.55) al posto del kernel ritardato G
ret
avessimo usato il kernel avanzato G
adv
, il usso di energia sarebbe stato, invece, sempre
entrante dallinnito. Si capisce facilmente che questa asimmetria `e una manifestazione
della rottura spontanea dellinvarianza per inversione temporale, discussa nel paragrafo
6.2.3.
Inserendo la (7.42) nella (7.41), e ripristinando la velocit`a della luce, otteniamo per la
distribuzione angolare della potenza emessa,
dW
d
= c r
2
|

E
a
|
2
. (7.43)
Questa relazione `e la formula chiave della teoria dellirraggiamento: essa lega lenergia
irradiata direttamente al modulo del campo elettrico di accelerazione, valutato a grandi
distanze dalle particelle. Grazie al fatto che

E
a
decade come 1/r, nel limite (sottointeso)
per r , la (7.43) d`a sempre un risultato nito. Inoltre, dato che |

B
a
| = |

E
a
|, abbiamo
la doppia implicazione,
dW
d
= 0 F

a
= 0.
La presenza o assenza di energia emessa costituisce quindi un fenomeno Lorentzinvariante,
ovvero, indipendente dal sistema di riferimento.
Campo e ritardo asintotici. Nel caso particolare di una particella singola il campo
asintotico

E
a
assume una forma relativamente semplice. Eseguendo nella (7.33) le iden-
ticazioni asintotiche m n, R r, si ottiene infatti,

E
a
=
e
4c
2
r
n
__
n
v
c
_
a

_
1
v n
c
_
3
. (7.44)
217
Come si vede, vedi problema 7.1,

E
a
= 0, n a = 0.
La presenza o assenza di energia emessa `e quindi legata inscindibilmente allo stato di
accelerazione della particella. Per quanto semplice possa sembrare la (7.44), occorre
comunque tenere presente che le variabili cinematiche che vi compaiono sono valutate
al tempo ritardato t

(x), determinato da,


t t

=
1
c
|x y(t

)|. (7.45)
Anche questa equazione deve essere considerata a grandi distanze dalla traiettoria. Suppo-
nendo che la particella sia connata alla sfera S
l
di raggio l centrata nellorigine, si tratta
allora di valutare il secondo membro della (7.45) per r = |x| l > |y(t

)|. Ponendo
y y(t

) abbiamo lespansione,
|x y| = r

n
y
r

= r
_
1 2
n y
r
+
y
2
r
2
= r
_
1
n y
r
+ o
_
1
r
2
__
= r n y + o
_
1
r
_
. (7.46)
La versione asintotica della (7.45) si legge allora,
t

= t
r
c
+
n y(t

)
c
. (7.47)
Vediamo che il tempo ritardato `e composto dal termine macroscopico t
r
c
, e dal con-
tributo microscopico n y(t

)/c. Il primo rappresenta listante ritardato in cui il segnale


elettromagnetico deve lasciare il centro di S
l
, per giungere allistante t nella posizione di
rilevazione x. Questo istante `e indipendente dal moto della particella e dalla direzione di
propagazione n. Il termine microscopico rappresenta invece un ritardo aggiuntivo, dipen-
dente da n, che `e causato dal moto y(t

) della particella allinterno di S


l
. Come vedremo
nel paragrafo 8.3.1, nel limite non relativistico questo ritardo pu`o essere trascurato.
Il campo di accelerazione come campo di radiazione. Il campo di accelerazione F

a
pu`o
essere messo in relazione con i campi di radiazione le soluzioni dellequazione di Max-
well nel vuoto che abbiamo studiato nel capitolo 5. Riferendoci a una particella singola
218
notiamo che, nel complemento della linea di universo, il campo totale (7.24) soddisfa
eettivamente le equazioni di un campo di radiazione,

= 0 =
[
F
]
. (7.48)
Dato che F

= F

v
+ F

a
, e visto che F

v
decade come 1/r
2
, dalle (7.48) segue allora
che F

a
(che di per s`e decade solo come 1/r) soddisfa queste equazioni asintoticamente,
vale a dire, modulo termini di ordine 1/r
2
,

a
= o
_
1
r
2
_
,
[
F
a ]
= o
_
1
r
2
_
.
Possiamo allora aspettarci che a grandi distanze dalla particella il campo di accelerazione
si comporti come un campo di radiazione, e che risulti in particolare sovrapposizone di
onde piane. Se questo `e vero, dalla formula del vettore di Poynting (7.42) formalmente
identico a quello delle onde piane (5.86) si desume allora che le onde che compongono
F

a
si propagano lungo la direzione radiale uscente. Nel prossimo capitolo analizzeremo
in dettaglio le propriet`a asintotiche di un generico campo di accelerazione, e potremo
quindi vericare queste previsioni. Per le caratteristiche appena descritte, il campo F

a
viene spesso anche chiamato semplicemente campo di radiazione.
7.4.1 Limite non relativistico e formula di Larmor
Per illustrare le formule del paragrafo precedente determiniamo la potenza totale emessa
da una particella non relativistica in tutte le direzioni,
W =
_
dW
d
d. (7.49)
Per essere precisi, vogliamo valutare questa potenza allordine pi` u basso in 1/c che, come
vedremo, equivale a W 1/c
3
. Data la (7.43) si tratta, dunque, di valutare il campo
asintotico (7.44) allordine pi` u basso in 1/c. Visto il prefattore 1/c
2
possiamo trascurare
i termini v/c, ottenendo cos`,

E
a
=
e
4r c
2
n (n a), |

E
a
|
2
=
e
2
|n a|
2
16
2
r
2
c
4
. (7.50)
La validit`a di questa approssimazione richiede dunque in particolare che v c, come cera
da aspettarsi. Occorre poi tenere in conto che laccelerazione che compare nelle (7.50)
219
`e valutata allistante ritardato asintotico t

, determinato dalla (7.47). Come anticipato


sopra, nel limite non relativistico il ritardo microscopico pu`o essere trascurato, e si ottiene
semplicemente,
t

= t
r
c
.
La (7.43) si riduce allora a,
dW
d
(t, r, n) =
e
2
16
2
c
3

n a
_
t
r
c
_

2
. (7.51)
Questa formula fornisce lenergia emessa nellunit`a di angolo solido e nellunit`a di tem-
po, rivelata allistante t a una distanza r molto grande dalla particella, in direzione n.
Corrispondentemente a secondo membro compare laccelerazione allistante t
r
c
.
Formula di Larmor. Nella (7.51) laccelerazione `e indipendente dagli angoli, e la po-
tenza totale (7.49) pu`o allora essere valutata analiticamente. Per farlo scegliamo come
asse z la direzione di a, e usiamo le relazioni,
|n a|
2
= | a |
2
sen
2
, d = sendd.
Le (7.49), (7.51) danno allora,
W =
e
2
| a |
2
16
2
c
3
_
2
0
d
_

0
sen
3
d.
Svolgendo gli integrali si ottiene unespressione semplice per la potenza totale emessa da
una particella non relativistica, con carica e e accelerazione a,
W =
e
2
| a |
2
6 c
3
. (7.52)
Questa `e la nota formula di Larmor (1897). Insistiamo sul fatto che in questa formula
non relativistica la potenza W(t, r) rivelata a un istante t a una distanza r dalla
particella, coinvolge a secondo membro laccelerazione allistante t
r
c
. Proprio perche
la radiazione si propaga con la velocit`a della luce, la formula di Larmor pu`o allora essere
anche interpretata dicendo che, se a un dato istante la particella possiede laccelerazione
a, in quellistante emette radiazione con potenza e
2
|a|
2
/6c
3
. Torneremo su questa inter-
pretazione in sezione 10.1, dove presenteremo la generalizzazione relativistica della (7.52).
Le conseguenze fenomenologiche della formula di Larmor verranno invece analizzate nel
capitolo 8, dove la rideriveremo nellambito di un approccio pi` u sistematico.
220
7.5 Espansione non relativistica di potenziali e campi
In questa sezione eseguiamo unespansione non relativistica dei campi di LienardWiechert
(7.32), (7.33), vale a dire, unespansione in potenze di 1/c. Questa espansione `e giusticata
se la particella si muove con velocit`a piccole rispetto alla velocit`a della luce, e ce ne
serviremo in seguito.
Dalla forma della forza di Lorentz

E +
v
c


B, si vede che se si arresta lespansione
di

E allordine 1/c
n
, allora quella di

B pu`o essere arrestata allordine 1/c
n1
. Di seguito
eseguiamo queste espansioni no allordine corrispondente ad n = 3. Dal punto di vista
tecnico lespansione delle (7.32), (7.33) risulta complicata dal fatto che `e necessario svi-
luppare in serie di potenze di 1/c anche il tempo ritardato t

(t, x), vedi (7.15). In pratica,


per eettuare lespansione non relativistica dei campi conviene esprimerli in termini dei
potenziali di LienardWiechert (7.14),

E =

A
0

1
c


A
t
,

B =


A, (7.53)
e sviluppare questi ultimi. Dobbiamo dunque espandere A
0
no ai termini di ordine 1/c
3
,
e

A no ai termini di ordine 1/c
2
. Inne, per espandere i potenziali (7.14) conviene
ripartire dalla loro rappresentazione integrale (6.56),
A

(t, x) =
1
4c
_
d
3
z
1
|x z|
j

_
t
|x z|
c
, z
_
, (7.54)
in cui la corrente `e data da,
j

(t, x) = e V

(t)
3
(x y(t)), V

(t) = (c, v(t)) .
Incominciamo espandendo la (7.54) in serie di potenze di 1/c, arrestandoci al terzo ordine,
A

=
1
4c
_
d
3
z
_
j

(t, z)
|x z|

1
c
j

(t, z)
t
+
1
2c
2
|x z|

2
j

(t, z)
t
2

1
6c
3
|x z|
2

3
j

(t, z)
t
3
_
=
1
4c
__
d
3
z
j

(t, z)
|x z|

1
c

t
_
d
3
z j

(t, z)
+
1
2c
2

2
t
2
_
d
3
z |x z| j

(t, z)
1
6c
3

3
t
3
_
d
3
z |x z|
2
j

(t, z)
_
=
e
4c
_
V

R

1
c
V

t
+
1
2c
2

2
t
2
(RV

)
1
6c
3

3
t
3
_
R
2
V

_
_
. (7.55)
221
Usiamo la notazione
26
,

R = x y(t), R = |x y(t)|,

R =

R
R
.
Sostituendo nella (7.55) lespressione di V

si ottengono allora le espansioni non relativi-
stiche dei potenziali di LienardWiechert (7.14), arrestate allordine richiesto,
A
0
=
e
4
_
1
R
+
1
2c
2

2
R
t
2

1
6c
3

3
R
2
t
3
_
, (7.56)

A =
e
4
_
v
cR

a
c
2
_
. (7.57)
Si noti che in A
0
`e assente il contributo di ordine 1/c. Per determinare il campo elettrico
occorre calcolare le derivate,

A
0
=
e
4
_

R
R
3

1
2c
2

2

R
t
2

1
3c
3
da
dt
_
, (7.58)

1
c


A
t
=
e
4
_
1
c
2

t
_
v
R
_

1
c
3
da
dt
_
. (7.59)
Sommando queste espressioni, e usando le derivate,
R
t
=

R v,


R
t
=
(

R v)

R v
R
, (7.60)
si arriva a,

E =
e
4
_

R
R
3

1
2c
2

t
_
v + (

R v)

R
R
_
+
2
3c
3
da
dt
_
. (7.61)
La derivata rimanente si valuta facilmente usando di nuovo le (7.60). Per determinare,
invece, il campo magnetico `e suciente prendere il rotore della (7.57). Si ottengono cos`
le espansioni non relativistiche,

E =
e
4
_

R
R
3

1
2c
2
R
_
a + (

R a)

R +
(3(

R v)
2
v
2
)

R
R
_
+
2
3c
3
da
dt
_
+ o
_
1
c
4
_
,
(7.62)

B =
e
4c
v

R
R
3
+ o
_
1
c
3
_
. (7.63)
26
Si noti che in questa sezione R ha un signicato diverso da quello delle sezioni precedenti, dove si
aveva R = |x y(t

)|.
222
In

E si riconosce allordine pi` u basso il termine coulombiano. Lordine 1/c
2
rappresenta
una correzione relativistica di tipo cinetico al campo coulombiano, mentre il termine
di ordine 1/c
3
`e legato alla radiazione, come vedremo in sezione 14.4. In

B `e assente il
termine di ordine 1/c
2
, poiche nella (7.57) il termine di ordine 1/c
2
`e proporzionale ad a,
e quindi indipendente da x. Dalle formule scritte si desume, in particolare, che tra

E e

B
sussiste la relazione generale,

B =
v
c


E + o
_
1
c
3
_
. (7.64)
Insistiamo sul fatto che le (7.62), (7.63) costituiscono le espansioni non relativistiche dei
campi di LienardWiechert (7.32), (7.33).
Inne facciamo notare che lespansione in potenze di 1/c e lespansione asintotica per
grandi valori di |x|, sono due operazioni che non commutano tra di loro. Si confronti,
ad esempio, il limite per grandi |x| della (7.62), con la prima formula in (7.50), ottenuta
eseguendo prima lespansione per grandi |x|, e successivamente lespansione in potenze di
1/c.
7.6 Problemi
7.1 Si dimostri che il campo di accelerazione asintotico (7.44) `e nullo in tutte le direzioni
n, se e solo se a = 0.
7.2 Si consideri la linea di universo del moto uniformemente accelerato,
y

(s) =
_
1
b
senh(bs),
1
b
cosh(bs), 0, 0
_
,
dove b `e una costante. Si dimostri che lequazione del ritardo (7.12) non ammette nessuna
soluzione, se x

appartiene allinsieme,
= {x

/x
0
< x
1
, x
1
< 0, x
2
R, x
3
R}. (7.65)
223
8 Irraggiamento
Con irraggiamento si intende genericamente il fenomeno dellemissione di radiazione da
parte di un generico sistema carico. Nel capitolo 7 abbiamo derivato unespressione esatta
per il campo elettromagnetico generato da una particella carica in moto arbitrario. Ab-
biamo visto che se la particella `e accelerata, allora genera un campo di accelerazione che
a grandi distanze decade come 1/r, e che trasporta energia e quantit`a di moto. Abbiamo
anche constatato che lanalisi quantitativa della radiazione, e in particolare la determi-
nazione del quadrimomento emesso, in realt`a non richiedono la conoscenza dei campi di
LienardWiechert esatti, ma solo della loro forma asintotica. In base al principio di so-
vrapposizione abbiamo poi concluso che queste propriet`a qualitative si estendono a un
arbitrario sistema carico.
In questo capitolo eseguiamo unanalisi sistematica della radiazione emessa da un ar-
bitrario sistema carico, rappresentato da una generica corrente j

. Uno degli scopi prin-


cipali del capitolo `e la determinazione del quadrimomento emesso dal sistema nellunit`a
di tempo, vedi (7.40),
d
2
P

dt d
= r
2
_
T
i
em
n
i
_
. (8.1)
Come ricordato sopra, al secondo membro di questa equazione contribuiscono solo i campi
F

che a grandi distanze decadono come 1/r. Pertanto, per valutare la (8.1) `e suciente
selezionare dal quadripotenziale (6.56) i contributi che vanno come 1/r. La prossima sezio-
ne sar`a, dunque, dedicata a unanalisi sistematica del quadripotenziale a grandi distanze
dal sistema carico, ovvero, nella zona della onde.
Decomposizione spettrale della corrente. Concludiamo questa premessa con una speci-
cazione sulla natura delle correnti che considereremo. In primo luogo queste dovranno
certamente essere conservate,

= 0. Le correnti che compaiono nella realt`a sica si


suddividono poi naturalmente in due categorie, a seconda della loro dipendenza dal tem-
po, correnti aperiodiche e correnti periodiche. Nel primo caso la corrente ammette una
trasformata di Fourier nella sola variabile temporale, ovvero, ammette la decomposizione
spettrale,
j

(t, x) =
1

2
_

d e
it
j

(, x), (8.2)
224
dove la trasformata j

(, x) rappresenta il peso continuo con cui la frequenza compare


nella corrente. Dato che la corrente `e reale, sotto inversione di questi pesi trasformano
secondo,
j

(, x) = j

(, x).
Di seguito le frequenze saranno dunque considerate sempre positive. Esempi di processi
che corrispondono a correnti aperiodiche sono gli urti elastici tra particelle cariche, o il
passaggio di una particella carica attraverso una zona con un campo elettromagnetico.
Se la corrente `e invece periodica nel tempo, come la corrente macroscopica in unan-
tenna, o quella dovuta a una particella carica in un ciclotrone, allora la decomposizione
(8.2) viene sostituita dalla serie di Fourier
27
,
j

(t, x) =

N=
e
iN
0
t
j

N
(x), j

N
(x) = j

N
(x), (8.3)
dove T `e il periodo, e
0
= 2/T `e la frequenza fondamentale. In questo caso j

N
(x)
rappresenta il peso discreto con cui la frequenza,

N
= N
0
,
compare nella corrente.
In seguito considereremo anche sorgenti monocromatiche, corrispondenti a correnti
con frequenza ssata,
j

(t, x) = e
it
j

(, x) + c.c. (8.4)
Qualsiasi sorgente pu`o, infatti, essere pensata come sovrapposizione discreta o continua
di sorgenti monocromatiche. La denominazione frequenza per la variabile duale
deriva dal fatto che, come vedremo, una sorgente monocromatica genera un campo elet-
tromagnetico che nella zona delle onde assume la forma di unonda monocromatica, con
la stessa frequenza della sorgente.
27
La (8.3) pu`o essere riguardata come un caso particolare della (8.2), se si pone nella seconda,
j

(, x) =

N=
(
N
)j

N
(x).
225
8.1 Il campo elettromagnetico nella zona delle onde
Consideriamo una generica corrente j

supportata in una palla S


l
di raggio l,
j

(t, x) = 0, per |x| > l, t.


La limitazione a correnti siatte trova la sua motivazione sica nel fatto che le distribuzioni
di carica realizzabili in natura, sono necessariamente connate a una regione limitata.
Il potenziale nella zona delle onde. Deniamo come zona delle onde la regione lon-
tana dalle cariche, ovvero, la regione spaziale
28
,
|x| r l. (8.6)
Per i motivi detti valutiamo il quadripotenziale esatto (6.56),
A

(x) =
1
4
_
d
3
y
1
|x y|
j

(t |x y|, y), (8.7)


nella zona delle onde, arrestandoci ai termini di ordine 1/r. Dato che la corrente `e nulla
al di fuori di S
l
, lintegrale in d
3
y `e ristretto alla regione |y| l. La condizione (8.6)
implica, pertanto, che |x| |y|. Possiamo allora eettuare le espansioni, vedi (7.46),
|x y| = r n y + o
_
1
r
_
, n
x
r
, (8.8)
1
|x y|
=
1
r
+ o
_
1
r
2
_
.
Inserendole nella (8.7) si ottiene allora il potenziale nella zona delle onde,
A

(x) =
1
4r
_
d
3
y j

(t r +n y, y) + o
_
1
r
2
_
. (8.9)
Per i motivi suddetti in seguito trascuriamo i termini di ordine 1/r
2
. Nella (8.9) ritroviamo
il tempo ritardato macroscopico t r, insieme al ritardo microscopico n y, vedi sezione
7.4.
28
Come zona delle onde si denisce spesso la regione degli r che oltre alla (8.6) soddisfano anche,
r , r
l
2

, (8.5)
dove = 2/, e indica la generica frequenza presente nella corrente (8.2). Se r soddisfa queste
relazioni ulteriori, allora le formule (8.9), (8.10) mantengono la loro validit`a anche per valori niti di r.
Per esempio, per arrivare alla (8.9), nellargomento temporale della corrente in (8.7) abbiamo trascurato
un termine o(y
2
/r), vedi (8.8), che nello sviluppo della corrente darebbe luogo a un contributo del tipo
(y
2
/r)
0
j

. Considerando la componente monocromatica (8.4), schematicamente si ha


0
j

ij

, e
quindi questo termine `e trascurabile se y
2
/r < l
2
/r 1, che equivale alla seconda condizione in (8.5).
226
Le relazioni delle onde. Le propriet`a principali del campo elettromagnetico che deriva
dal potenziale (8.9), possono essere dedotte agevolmente usando le relazioni delle onde
(5.68),

= n

, n

= 0, n

= 0, (8.10)
relazioni che ora dimostreremo essere valide anche per il potenziale (8.9) modulo ter-
mini di ordine 1/r
2
. Cominciamo denendo il quadrivettore nullo n

= (n
0
, n), con
componenti,
n
0
= 1, n =
x
r
, n
2
= 0.
Calcoliamo poi le derivate rispetto a t e x
i
dellintegrando della (8.9),
1
r
j

(t r +n y, y),
tralasciando di scrivere esplicitamente gli argomenti,

0
_
1
r
j

_
=
1
r

0
j

i
_
1
r
j

_
=
x
i
r
2

0
j

+ o
_
1
r
2
_
.
Modulo termini di ordine 1/r
2
queste relazioni equivalgono a,

_
1
r
j

_
= n

0
_
1
r
j

_
.
Dalla (8.9) si ottiene allora,

=
1
4
_
d
3
y

_
1
r
j

_
=
1
4
_
d
3
y n

0
_
1
r
j

_
= n

0
1
4r
_
d
3
y j

= n

0
A

,
che `e la prima relazione in (8.10). La seconda `e conseguenza del fatto che il potenziale
per costruzione soddisfa la gauge di Lorentz,

= 0.
Una volta appurato che valgono le (8.10), concludiamo che il campo elettromagnetico
nella zona delle onde condivide con le onde piane le propriet`a (5.87)(5.89),

E =

A + (n

A ) n = n
_
n

A
_
, (8.11)

B = n

E, n

E = 0, |

E| = |

B|, (8.12)
T

em
= n

E|
2
. (8.13)
227
Abbiamo dunque ritrovato le relazioni asintotiche (7.37), ma abbiamo anche ottenuto
unespressione semplice per il tensore energiaimpulso. Inne, dato che dalla (8.9) segue
landamento asintotico,

1
r
,
le (8.11), (8.12) implicano per il campo elettromagnetico latteso andamento asintotico
F

1/r.
8.1.1 Emissione di quadrimomento
Inserendo la formula per il tensore energiaimpulso asintotico (8.13) nella (8.1), otteniamo
unespressione compatta per la distribuzione angolare del quadrimomento emesso,
d
2
P

dt d
= r
2
n

E|
2
. (8.14)
Indicando come al solito la potenza emessa con
d
dt
= W, le componenti temporale e
spaziali di questa relazione si scrivono, vedi (8.11),
d
2

dt d
=
dW
d
= r
2
|

E|
2
= r
2

2
= r
2
(

A
i

A
j

ij
),
ij

ij
n
i
n
j
, (8.15)
d
2

P
dt d
=
dW
d
n. (8.16)
Si noti che le potenze di r nella (8.15) si compensano, una volta inserita la (8.9). Come
si vede, per il campo nella zona delle onde il usso di quantit`a di moto `e determinato
localmente dal usso di energia, e quantit`a di moto e energia soddisfano localmente le
relazioni,

P = n, ()
2
|

P|
2
= 0, (8.17)
come nel caso delle onde piane. Dato che a livello quantistico lirraggiamento viene realiz-
zato attraverso un usso di fotoni, le (8.17) indicano allora che queste particelle sono prive
di massa e che si propagano in direzione radiale. Torneremo su alcuni aspetti quantistici
della radiazione nel capitolo 11.
Il risultato pi` u signicativo di questo paragrafo `e la formula (8.15), in quanto punto di
partenza per lanalisi energetica di tutti i fenomeni radiativi: essa permette di determinare
la distribuzione angolare e temporale della radiazione emessa da un generico sistema
carico, una volta valutate le componenti spaziali della (8.9).
228
8.1.2 Sorgenti monocromatiche e onde piane
Abbiamo appena appurato che il campo elettromagnetico nella zona delle onde possiede
molte delle propriet`a delle onde piane. Questa circostanza chiaramente non `e casuale,
poiche, essendo j

(t, x) = 0 per |x| > l, al di fuori di S


l
il campo `e un campo libero.
Pur non essendo libero in tutto lo spazio, la sua forma si avviciner`a tanto pi` u a quella
di un campo libero, quanto pi` u ci si allontana dalle sorgenti. Ci si aspetta, dunque, che
nella zona delle onde il campo elettromagnetico risulti con buona approssimazione una
sovrapposizione di onde piane, e non stupisce allora che erediti le loro propriet`a. Tuttavia,
`e altrettanto chiaro che in generale questo campo non sar`a costituito da una singola onda
piana monocromatica.
Per decomporre il campo nella zona delle onde in onde elementari, sfruttiamo la linea-
rit`a in j

del potenziale vettore (8.9), e utilizziamo le decomposizioni in frequenza (8.2),


(8.3) della corrente. Selezionando una singola frequenza , inseriamo allora la sorgente
monocromatica (8.4) nella (8.9),
A

(x) =
1
4r
_
d
3
y e
i(tr+n y)
j

(, y) + c.c.
=
1
4r
e
i(tr)
_
d
3
y e
i(n y)
j

(, y) + c.c.

e
ikx
+ c.c. (8.18)
Abbiamo denito il vettore donda k

con componenti,
k
0
= ,

k = n,
soddisfacente,
k
2
= 0, k x = k

= (t r),
e il vettore di polarizzazione,

=
1
4r
_
d
3
y e
i(ny)
j

(, y). (8.19)
Vediamo allora che una sorgente monocromatica genera un campo che nella zona delle
onde si riduce formalmente a unonda piana, con i vettori di onda e di polarizzazione
indicati. In particolare, una corrente di frequenza genera unonda della stessa frequenza.
229
Onde piane e onde sferiche. Tuttavia, la (8.18) non costituisce unonda piana vera e
propria, perche sia il vettore donda, sia il vettore di polarizzazione presentano una dipen-
denza residua dalla posizione x = nr. In particolare, il vettore di polarizzazione porta
il prefattore 1/r, la cui presenza `e tra laltro richiesta dalla conservazione dellenergia.
Infatti, il vettore di Poynting mediato nel tempo associato allonda (8.18) `e dato da, vedi
problema 5.6,

S = 2n
2

,
e risulta proporzionale a 1/r
2
. Di conseguenza, lenergia che attraversa la sezione di un
cono di apertura angolare d nellunit`a di tempo,

S (nr
2
d),
`e indipendente da r. Lenergia uisce quindi verso linnito, conservandosi. Oltre a questa
dipendenza da r,

presenta anche una dipendenza da n, attraverso lesponenziale e


i(ny)
.
Per queste particolari dipendenze da r e n il potenziale (8.18) corrisponde, propriamente
parlando, a una sovrapposizione di onde sferiche, piuttosto che a unonda piana. Per
maggiori dettagli sulle onde sferiche si veda il testo di J.D. Jackson
29
.
Tuttavia, in una regione con estensioni spaziali L piccole rispetto a r,
L r,
i vettori k

sono praticamente costanti, e in una tale regione la (8.18) si comporta


come unonda piana. Infatti, allinterno di una regione estesa L, le variazioni relative di
r ed n sono limitate da,
r
r
<
L
r
, |n| <
L
r
,
e la variazione relativa di

k `e allora limitata da,
|

k|

= |n| <
L
r
1.
Per quanto riguarda, invece, la variazione del vettore di polarizzazione, dalla (8.19) si
ricava,

=
1
4r
_
d
3
y
_

r
r
+ i (n y)
_
e
i(n y)
j

(, y).
29
J.D. Jackson, Classical Electrodynamics, 3
a
edizione, Wiley & Sons, New York, 1998.
230
Considerando che |y| < l abbiamo,

r
r
+ i (n y)

<
L
r
+ l |n| < (1 + l)
L
r
.
Come vedremo nel paragrafo 8.3.1, l coincide con le velocit`a tipiche delle cariche nella
corrente (8.4), sicch`e il fattore 1 + l 1 +v `e dellordine dellunit`a. Concludiamo allora
che in una regione spaziale estesa L, anche la variazione relativa di

`e dellordine di
L/r 1.
A titolo di esempio consideriamo la radiazione emessa dal sole e osservata sulla terra.
In questo caso r corrisponde alla distanza terrasole, r = 1.5 10
8
km, mentre L `e il
diametro della terra, L = 1.2 10
4
km. Sulla supercie della terra i vettori di onda e
di polarizzazione sono allora soggetti a variazioni relative molto piccole, dellordine di
L/r 10
4
, e la radiazione osservata risulta in pratica composta da onde piane.
Sorgenti generiche. Data la linearit`a della (8.9), questi risultati si estendono diretta-
mente alle generiche quadricorrenti (8.2), (8.3). Nel caso generale il campo nella zona delle
onde risulta dunque localmente sovrapposizione di onde piane monocromatiche, e le
frequenze presenti nella radiazione sono un sottoinsieme di quelle presenti nella corrente.
Pu`o, infatti, succedere che per qualche lintegrale nella (8.19) sia zero.
In particolare, a un sistema di cariche che eseguono moti periodici di periodo T,
corrisponde una corrente periodica del tipo (8.3), e un sistema siatto emette dunque
radiazione con frequenze appartenenti allinsieme,

N
= N
0
, N = 1, 2, 3 .
Viceversa, a un sistema di cariche che percorrono orbite aperte, corrisponde una corrente
aperiodica del tipo (8.2), e un tale sistema emette dunque radiazione con uno spettro
continuo di frequenze.
8.2 La radiazione dellantenna lineare
Come abbiamo visto, il calcolo del quadrimomento emesso da un sistema carico richiede
la valutazione del potenziale

A nella zona delle onde. Sfortunatamente lintegrale che
compare nella (8.9) raramente pu`o essere eseguito analiticamente, ed in genere `e necessario
231
ricorrere a un approccio perturbativo, come ad esempio lo sviluppo in multipoli, che
presenteremo in sezione 8.3. Uno dei rari casi in cui lintegrale nella (8.9) pu`o essere
valutato esattamente `e quello dellantenna lineare.
Senza entrare nei dettagli diamo la forma della densit`a di corrente spaziale in unan-
tenna lineare di lunghezza L disposta lungo lasse z, alimentata al centro da un generatore
di frequenza ,

j(t, y) = I (y
1
) (y
2
) sen((L/2 |y
3
|)) cos(t) u, (8.20)
I
I
0
sen(L/2)
. (8.21)
`
E sottinteso che

j = 0 per |y
3
| L/2. La corrente si annulla al bordo, in y
3
= L/2,
mentre per ogni t ssato essa `e massima al gap, ovvero in y
3
= 0, che `e il punto
in cui viene alimentata. I
0
ha le dimensioni di una corrente, nel senso di carica per
unit`a di tempo, e corrisponde alla corrente al gap. u = (0, 0, 1) `e il versore dellasse z.
Confrontando la (8.20) con la (8.4) si vede che la prima `e una corrente monocromatica, e
quindi emette radiazione monocromatica di frequenza , e lunghezza donda = 2/.
Per determinare il potenziale nella zona delle onde inseriamo la (8.20) nella (8.9),

A(t, x) =
Iu
4r
_
L/2
L/2
dy
3
_
dy
1
_
dy
2
(y
1
) (y
2
) sen((L/2 |y
3
|)) cos((t r +n y)).
Integriamo le funzioni in y
1
e y
2
, sostituendo ny = n
1
y
1
+n
2
y
2
+n
3
y
3
con n
3
y
3
= cosy
3
,
dove `e langolo tra n e lasse z. Si ottiene,

A(t, x) =
Iu
4r
_
L/2
L/2
dy
3
sen((L/2 |y
3
|)) cos((t r + cos y
3
)).
Lintegrazione rimanente su y
3
`e elementare e porta a,

A(t, x) =
I cos((t r))
2r sen
2

_
cos
_
L
2
cos
_
cos
L
2
_
u. (8.22)
Il potenziale vettore `e quindi in ogni punto parallelo allasse z, cos` come lo `e

A. Dalle
(8.11) vediamo allora che il campo elettrico giace sempre nel piano individuato dallasse
z e da n, essendo ortogonale a n.
La distribuzione angolare della potenza emessa si ottiene invece derivando la (8.22)
rispetto al tempo, e inserendo lespressione risultante nella (8.15). Dato che

A `e diretto
232
lungo lasse z si ottiene,
dW
d
= r
2

2
= r
2

2
sen
2
. (8.23)
La derivata temporale della (8.22) equivale alla sostituzione,
cos((t r)) sen((t r)),
e considerando la media temporale della (8.23) eettuiamo la sostituzione,
sen
2
((t r)) 1/2.
In denitiva otteniamo per la distribuzione angolare della potenza media emessa dallan-
tenna lespressione
30
,
dW
d
=
I
2
0
8
2

cos
_
L
2
cos
_
cos
L
2
sen(
L
2
) sen

2
. (8.24)
Da questa formula si vede che lesistenza di direzioni in cui dW/d `e massima o minima
dipende fortemente dai valori del rapporto,
L
2
=
L

.
Invece di eseguire unanalisi sistematica della distribuzione angolare (8.24), di seguito ci
limitiamo a considerare qualche caso particolare. Vediamo, comumque, che dW/d `e
sempre nulla per = 0, cio`e, lungo la direzione dellantenna, mentre ha un massimo per
= /2, cio`e, nel piano ortogonale allantenna, a patto che sia L/ = 2 n con n intero.
Inoltre si pu`o vedere che se L , allora la (8.24) non ha altri estremali, mentre se L > ,
allora esistono ulteriori direzioni in cui la potenza `e massima o nulla.
Qualitativamente possiamo dividere le antenne in due categorie, antenne lunghe
corrispondenti a L , e antenne corte corrispondenti a L . Tratteremo le seconde
in dettaglio nel paragrafo 8.3.3, nellambito dellapprossimazione di dipolo, mentre di
seguito consideriamo un tipico esempio di antenna lunga.
Antenna a mezzonda. Casi particolarmente interessanti di antenne lunghe sono le
antenne a mezzonda, di lunghezza L = /2, e quelle a onda intera, di lunghezza
30
Per L = n = 2n/, con n intero, la normalizzazione di I nella (8.21) deve essere cambiata.
233
L = . Consideriamo a titolo desempio unantenna a mezzonda, per cui L/2 = /2.
In questo caso la (8.24) si riduce a,
dW
d
=
I
2
0
8
2
cos
2
_

2
cos
_
sen
2

,
che ha un unico massimo in = /2, e un unico minimo in = 0, dove si annulla. Per
analizzare lecienza dellantenna a mezzonda calcoliamo la potenza totale,
W =
_
dW
d
d =
I
2
0
8
2
_
2
0
d
_

0
d
cos
2
_

2
cos
_
sen
=
I
2
0
4
_

0
d
cos
2
_

2
cos
_
sen
.
Lultimo integrale pu`o esser valutato solo numericamente, e vale 1.22. Otteniamo in
denitiva,
W = 0.097 I
2
0
=
1
2
I
2
0
R
(1/2)
rad
. (8.25)
Abbiamo introdotto la resistenza di radiazione dellantenna a mezzonda,
R
(1/2)
rad
= 2 0.097, (8.26)
da non confondere con la sua resistenza ohmica R
ohm
. Volendo tornare alle unit`a di misura
del sistema MKS, dobbiamo moltiplicare la (8.26) per la resistenza del vuoto,
R
0
=
_

0
377 Ohm.
La resistenza di radiazione dellantenna a mezzonda diventa allora,
R
(1/2)
rad
= 2 0.097 R
0
73 Ohm. (8.27)
Analogamente, per unantenna a onda intera si ottiene,
R
(1)
rad
201 Ohm.
Questi valori risultano tipicamente molto maggiori della resistenza ohmica dellantenna,
R
rad
R
ohm
,
sicche unantenna lunga costituisce in generale un radiatore molto ecace. Infatti, la
maggior parte dellenergia fornita dal generatore viene irradiata sotto forma di onde elet-
tromagnetiche, mentre solo una piccola parte viene dissipata per eetto Joule. Nel pa-
ragrafo 8.3.3 vedremo, al contrario, che unantenna corta costituisce invece un radiatore
poco ecace, poiche in quel caso si ha R
rad
R
ohm
.
234
8.3 Sviluppi non relativistici
In sezione 8.1 abbiamo ricondotto la determinazione del quadrimomento emesso da un
generico sistema carico al calcolo del potenziale nella zona delle onde (8.9), che qu`
riportiamo ripristinando la velocit`a della luce,
A

(x) =
1
4r c
_
d
3
y j

_
t
r
c
+
n y
c
, y
_
. (8.28)
In pratica, per valutare lintegrale di questa formula in generale `e necessario ricorrere a
qualche approccio perturbativo. Se le cariche si muovono con velocit`a piccole rispetto alla
velocit`a della luce, allora risulta appropriato un metodo perturbativo che viene chiamato
sviluppo in multipoli. Vediamo in che cosa consiste.
8.3.1 Sviluppo in multipoli
Per denizione lo sviluppo in multipoli della (8.28) consiste in unespansione in serie
di Taylor della corrente j

_
t
r
c
+
n y
c
, y
_
attorno al tempo t
r
c
T, considerando
come parametro di espansione il ritardo microscopico
n y
c
,
A

(x) =
1
4r c
_
d
3
y
_
j

(T, y) +
n y
c

t
j

(T, y) +
1
2
(n y)
2
c
2

2
t
j

(T, y) +
_
. (8.29)
Come si vede, questo sviluppo equivale a una serie di potenze in 1/c, e costituisce dunque
uno sviluppo non relativistico. Il primo termine nella (8.29) viene chiamato termine di
dipolo, il secondo termine di quadrupolo, e cos` via.
Spieghiamo innanzitutto il motivo per cui questa espansione risulta appropriata, se
le velocit`a delle particelle che compongono la corrente sono piccole rispetto alla velocit`a
della luce. Supponiamo che queste particelle si muovano con velocit`a caratteristica v.
Esse impiegano allora il tempo l/v per attraversare la palla di raggio l entro la quale sono
connate, e ne segue che la corrente j

varia sensibilmente su scale temporali dellordine


di t
0
= l/v. Pertanto j

_
T +
n y
c
, y
_
pu`o essere sviluppato in serie di potenze di
n y
c
,
a patto che,

n y
c

t
0
. (8.30)
Daltra parte, dato che |y| < l, il ritardo microscopico vale al massimo,

n y
c

<
l
c
=
v
c
t
0
, (8.31)
235
sicche la condizione (8.30) si traduce in,
v
c
t
0
t
0
v c.
Lespansione (8.29) `e quindi lecita, purche le cariche abbiano velocit`a molto minori di
quella della luce.
Un metodo alternativo per analizzare il signicato dello sviluppo in multipoli consiste
nellanalizzare A

frequenza per frequenza, cio`e, considerando la corrente monocromatica


(8.4),
j

(t, x) = e
it
j

(, x) + c.c. , (8.32)
con frequenza ssata. La velocit`a caratteristica delle cariche `e allora v = l. In questo
caso abbiamo schematicamente,

N
t
j


N
j

,
e dalla (8.31) segue allora che il termine Nesimo dello sviluppo (8.29) ammonta a,
1
N!
(n y)
N
c
N

N
t
j

(T, y)
1
N!
( l)
N
c
N
j

(T, y) =
1
N!
_
v
c
_
N
j

(T, y).
Si vede quindi che la (8.29) equivale a uno sviluppo in serie di potenze in
v
c
, valido se
v/c 1.
8.3.2 La radiazione di dipolo
I rimanenti paragra di questa sezione sono dedicati ad una analisi della radiazione
nellapprossimazione di dipolo, che equivale a considerare nella (8.29) solo il primo termine,
A
i
(x) =
1
4r c
_
d
3
y j
i
_
t
r
c
, y
_
. (8.33)
Il campo elettromagnetico risultante viene chiamato campo di dipolo, e la radiazione ad
esso associata radiazione di dipolo. Quando le velocit`a delle cariche in gioco sono piccole
rispetto alla velocit`a della luce, lapprossimazione di dipolo fornisce in generale valori
accurati per il quadrimomento irradiato. Se si richiede, invece, un grado di precisione
pi` u elevato, oppure se il campo di dipolo `e nullo, allora nella (8.29) occorre tenere conto
anche dellordine successivo, corrispondente al campo di quadrupolo. Come vedremo in
sezione 8.4, lenergia trasportata dal campo di quadrupolo `e soppressa di un fattore
_
v
c
_
2
rispetto a quella trasportata dal campo di dipolo.
236
Il momento di dipolo. La (8.33) pu`o essere riscritta in modo pi` u semplice, se si intro-
duce per una generica quadricorrente j

= (c,

j ) il momento di dipolo (elettrico),


D
i
(t)
_
d
3
xx
i
(t, x). (8.34)
Il motivo `e che la sua derivata `e uguale a,

D
i
(t) =
_
d
3
xj
i
(t, x). (8.35)
Infatti, grazie allequazione di continuit`a =
k
j
k
, si ha,

D
i
(t) =
_
d
3
xx
i
=
_
d
3
xx
i

k
j
k
=
_
d
3
x
_

k
(x
i
j
k
) j
i

=
_
d
3
xj
i
,
dove nellultimo passaggio la derivata totale non contribuisce, poiche per |x| > l la corrente
`e zero. La (8.33) diventa allora semplicemente,
A
i
=
1
4r c

D
i
, (8.36)
dove `e sottointeso che il momento di dipolo `e valutato allistante ritardato t
r
c
. La
caratteristica principale di questa formula peculiare per lapprossimazione di dipolo `e
che esprime A
i
in termini della sola densit`a di carica, senza coinvolgere esplicitamente la
corrente spaziale.
Il potenziale A
0
. Per lanalisi della radiazione `e suciente la conoscenza di A
i
. Fac-
ciamo, tuttavia, notare che nello sviluppo (8.29) occorre fare una distinzione tra A
i
e A
0
.
Questa distinzione deriva dal fatto che la componente temporale della corrente `e legata
alla densit`a di carica dalla relazione j
0
= c , mentre le sue componenti spaziali sono
indipendenti da c. Per una singola particella si ha, infatti,

j = v . Ne segue che, se
nello sviluppo (8.29) per A
i
ci si arresta allordine 1/c
N
, per consistenza nello sviluppo di
A
0
occorre considerare anche il termine successivo di ordine 1/c
N+1
. In particolare, nel
calcolo di A
0
in approssimazione di dipolo bisogna allora tenere conto anche del termine
lineare in n y/c,
A
0
=
1
4r c
__
d
3
y c +n
1
c

t
_
d
3
y y c
_
=
1
4r
_
Q +
n
i

D
i
c
_
, (8.37)
dove Q =
_
d
3
x `e la carica totale conservata del sistema. Nel primo termine, indipen-
dente dal tempo, si riconosce il potenziale coulombiano, mentre il secondo, dipendente
237
dal tempo, rappresenta una correzione relativistica. Si verica facilmente che il quadri-
potenziale (8.36), (8.37) soddisfa la gauge di Lorentz

= 0, modulo termini di ordine


1/r
2
. Dora in poi poniamo di nuovo c = 1.
Emissione di quadrimomento. Grazie alla (8.36), dalle (8.11), (8.12) si ottengono espres-
sioni semplici per i campi nella zona delle onde,

E =
1
4r
[

D (n

D) n],

B =
1
4r
n

D. (8.38)
Il campo elettrico giace, dunque, nel piano individuato da

D e n. Daltro canto, inserendo


la (8.36) nella (8.15) otteniamo la distribuzione angolare della potenza emessa da un
generico sistema carico non relativistico,
dW
d
=
1
16
2

D
i

D
j
(
ij
n
i
n
j
) =
1
16
2

2
sen
2
=
1
16
2

2
, (8.39)
dove `e langolo tra

D e n. Vediamo, quindi, che la radiazione di dipolo ha una distribu-


zione angolare molto semplice: essa `e nulla lungo la direzione di

D, e massima nel piano


ortogonale a

D. Per calcolare, invece, la potenza totale dobbiamo integrare la (8.39) sugli


angoli. Usando gli integrali invarianti del problema 2.6 otteniamo,
W =
_
dW
d
d =
1
16
2

D
i

D
j
_
d
_

ij
n
i
n
j
_
=
1
16
2

D
i

D
j
_
4
ij

4
3

ij
_
=
1
6

2
. (8.40)
Daltra parte, la quantit`a di moto totale emessa in tutte le direzioni `e nulla. Infatti, dalla
(8.16) segue,
dP
k
dt
=
_
n
k
dW
d
d =
1
16
2

D
i

D
j
_
dn
k
(
ij
n
i
n
j
) = 0, (8.41)
dove di nuovo si sono usati gli integrali invarianti. Questo risultato segue dallinvarianza
della (8.39) per n n: le energie emesse in due direzioni opposte sono quindi uguali, e
pertanto le quantit`a di moto emesse in quelle direzioni si cancellano tra di loro.
Sistemi di particelle e Bremsstrahlung. Consideriamo come caso particolare un sistema
di particelle cariche puntiformi non relativistiche. In questo caso la densit`a di carica `e
data da,
(t, x) =

r
e
r

3
(x y
r
(t)),
238
e la (8.34) d`a allora il momento di dipolo,

D(t) =
_
d
3
xx

r
e
r

3
(x y
r
(t)) =

r
e
r
y
r
(t)

D =

r
e
r
a
r
, (8.42)
dove a
r
`e laccelerazione della particella resima. Secondo la (8.40) un tale sistema emette
radiazione di dipolo con potenza istantanea,
W =
1
6

r
e
r
a
r

2
. (8.43)
Questa formula generalizza la formula di Larmor (7.52) a un sistema arbitrario di parti-
celle. Si badi, tuttavia, che quello che compare al secondo membro della (8.43) non `e la
somma delle potenze individuali, ovvero, lespressione
1
6

r
e
2
r
|a
r
|
2
. Il campo elettroma-
gnetico soddisfa, infatti, il principio di sovrapposizione e obbedisce alle leggi dellinterfe-
renza: se

E
r
indica il campo asintotico della particella resima, la potenza emessa (8.15)
si scrive, per lappunto,
dW
d
= r
2

E
r

2
, (8.44)
e non
dW
d
= r
2

r
|

E
r
|
2
. Per un sistema di particelle non relativistiche il campo

E
r
ha la
semplice forma (8.45), ed `e immediato vedere che lintegrale della (8.44) sullangolo solido
restituisce allora proprio la (8.43).
La radiazione emessa da particelle cariche a causa di unaccelerazione momentanea, o
prolungata nel tempo, viene genericamente chiamata Bremsstrahlung, ovvero, radiazione
di frenamento. La formula (8.43) quantica lentit`a di questa radiazione sommata sugli
angoli per un arbitrario sistema di particelle non relativistiche, e ne faremo ampio uso
in seguito.
Particella singola. Consideriamo pi` u in dettaglio il caso di una particella singola, per
cui

D = ea. Per i campi a grandi distanze le (8.38) danno allora,

E =
e
4r
[a (n a) n],

B =
e
4r
n a. (8.45)
Si noti come questi campi siano fondamentalmente diversi dai campi coulombiani non
relativistici, vedi (6.82) e (6.80) con v 1. In particolare,

E non `e pi` u radiale essendo
piuttosto ortogonale alla direzione radiale n e appartiene al piano formato da n e a. Per
239
la distribuzione angolare della potenza la (8.39) d`a,
dW
d
=
e
2
|n a|
2
16
2
. (8.46)
Come si vede, la particella non emette radiazione lungo la direzione dellaccelerazione,
mentre lemissione `e massima nel piano ortogonale allaccelerazione. Anticipiamo che
questa distribuzione angolare della radiazione `e peculiare per particelle non relativisti-
che. Vedremo, infatti, che per particelle ultrarelativistiche la distribuzione angolare della
radiazione sar`a radicalmente diversa. Si noti, inne, come le formule per una particella
singola trovate sopra siano in perfetto accordo con le formule del paragrafo 7.4.1 derivate
a partire dai campi di LienardWiechert esatti.
Assenza della radiazione di dipolo. Menzioniamo alcuni casi importanti in cui la ra-
diazione di dipolo `e assente. Oltre al caso ovvio di un sistema di cariche in moto rettilineo
uniforme, quindi molto distanti tra di loro, la radiazione di dipolo `e assente in un sistema
isolato per cui il rapporto e
r
/m
r
= `e indipendente da r. In questo caso il momento di
dipolo si pu`o, infatti, scrivere come,

D(t) =

r
e
r
y
r
(t) =

r
m
r
y
r
(t),
e quindi,

D =
d
dt
_

m
r
v
r
_
= 0,
poiche la quantit`a di moto totale di un sistema isolato non relativistico `e una costante del
moto. Concludiamo, in particolare, che in qualsiasi processo che coinvolge solo una specie
di particelle, come ad esempio lo scattering tra due particelle identiche, non c`e emissione
di radiazione di dipolo.
La radiazione di dipolo si annulla, inoltre, per una distribuzione sferica di cariche,
come conseguenza del teorema di Birkho, vedi problema 2.5. Questo teorema asserisce,
infatti, che una distribuzione sferica di carica nel vuoto genera un campo statico, e un tale
campo non pu`o, dunque, emettere radiazione. Per vericare che le nostre formule siano
in accordo con questo teorema, ricordiamo che per una distribuzione sferica la densit` a di
carica dipende solo da r e t,
(t, x) = (t, r).
240
Per il momento di dipolo si ottiene allora, usando coordinate polari e sfruttando gli
integrali invarianti,
D
i
(t) =
_
d
3
xx
i
(t, r) =
__
r
3
(t, r) dr
___
dn
i
_
= 0.
Nei casi in cui la radiazione di dipolo `e assente diventa rilevante il termine successivo
nello sviluppo (8.29), ovvero, quello corrispondente al campo di quadrupolo. Per sistemi
a simmetria sferica la radiazione `e ovviamente assente a tutti gli ordini.
Riepilogo. Concludiamo questo paragrafo riassumendo le diverse formule per il poten-
ziale vettore, e la corrispondente distribuzione angolare della potenza emessa.
a) Potenziale esatto:
A

(x) =
1
4
_
d
3
y
1
|x y|
j

(t |x y|, y).
b) Potenziale nella zona delle onde:
A

(x) =
1
4r
_
d
3
y j

(t r +n y, y).
c) Potenziale nella zona delle onde in approssimazione di dipolo:
A
i
(x) =
1
4r
_
d
3
y j
i
(t r, y) =
1
4r

D
i
.
a) Potenza locale esatta:
dW
d
= r
2
n (

E

B).
b) Potenza emessa esatta:
dW
d
= r
2

2
.
c) Potenza emessa in approssimazione di dipolo:
dW
d
=
1
16
2

2
.
In approssimazione di dipolo la potenza totale emessa in tutte le direzioni `e data da,
W =
1
6

2
.
241
8.3.3 Potenza emessa da unantenna lineare corta
Come prima applicazione dellapprossimazione di dipolo determiniamo la potenza emessa
da unantenna lineare, molto pi` u corta della lunghezza donda su cui emette,
L , ovvero, L 1. (8.47)
Abbiamo calcolato questa potenza in modo esatto, per un L arbitrario, in sezione 8.2.
Lanalisi che segue ci permetter`a allora di discutere i limiti di validit`a dellapprossimazione
di dipolo in un esempio concreto.
Ripartiamo dalla corrente spaziale (8.20),

j(t, y) = I
0
(y
1
) (y
2
)
sen((L/2 |y
3
|))
sen(L/2)
cos(t) u. (8.48)
Prima di procedere verichiamo se sotto la (8.47) lapprossimazione di dipolo `e appro-
priata, ovvero, se la (8.30) `e soddisfatta. Il tempo caratteristico con cui varia la corrente
`e t
0
= 2/, e la (8.30) muta allora nella condizione,
|n y| L t
0
= 2/,
che coincide proprio con la (8.47). La potenza emessa dallantenna pu`o dunque essere
calcolata usando la (8.39), che coinvolge solo il momento di dipolo. La determinazione
di questultimo richiede, in realt`a, la conoscenza della densit`a di carica, ma questa pu`o
essere determinata sfruttando la conservazione della quadricorrente,

0
j
0
=
i
j
i
=

y
3
j
3
.
Dalla (8.48) si ottiene allora facilmente,
j
0
(t, y) = I
0
(y
1
) (y
2
)
cos((L/2 |y
3
|))
sen(L/2)
sen(t) (y
3
),
dove () `e la funzione segno. Calcoliamo allora il momento di dipolo,

D(t) =
_
d
3
y y j
0
(t, y) =
I
0
sen(t)
sen(L/2)
_
d
3
y y (y
1
) (y
2
) cos((L/2 |y
3
|)) (y
3
)
=
2I
0
sen(t) u
sen(L/2)
_
L/2
0
dy
3
y
3
cos((L/2 y
3
)) =
2I
0
sen(t)(1 cos(L/2))

2
sen(L/2)
u.
242
Siccome per ipotesi abbiamo L 1, questa espressione si riduce a,

D =
I
0
L
2
sen(t) u,

D =
1
2
I
0
Lsen(t) u.
La potenza istantanea si ottiene allora dalla (8.39),
dW
d
=
(I
0
L)
2
sen
2
((t r))
64
2
sen
2
,
dove `e langolo tra n e lasse z. Eseguendo la media temporale su un periodo abbiamo
< sen
2
((t r)) >= 1/2, e quindi,
dW
d
=
(I
0
L)
2
128
2
sen
2
, (8.49)
da confrontare con il risultato esatto (8.24). In eetti si vede facilmente che nel limite
L 1, questultimo si riduce alla (8.49). Per quanto riguarda la distribuzione angolare
osserviamo che la potenza approssimata (8.49) ha una distribuzione molto semplice, tipica
per la radiazione di dipolo, con un massimo nel piano ortogonale allantenna, e uno zero
nella direzione parallela ad essa. Da un confronto qualitativo tra la (8.49) e la (8.24)
emerge che, no a quando L , la seconda ha una forma molto simile alla prima: un
unico massimo in = /2, e uno zero in = 0.
La discrepanza maggiore tra lanalisi esatta e lapprossimazione di dipolo emerge se
si confrontano le intensit`a delle radiazioni. Per rendercene conto consideriamo la potenza
totale. Integrando la (8.49) sullangolo solido otteniamo,
W =
(L)
2
48
I
2
0
=
1
2
I
2
0
R
(c)
rad
, (8.50)
dove la resistenza di radiazione `e data da,
R
(c)
rad
=
(L)
2
24
=

6
_
L

_
2
.
Ripristinando la resistenza del vuoto, R
0
377 Ohm, risulta dunque,
R
(c)
rad
=

6
_
L

_
2
R
0
= 197
_
L

_
2
Ohm. (8.51)
Se in accordo con la (8.47) scegliamo ad esempio L = /50, otteniamo,
R
(c)
rad
= 0.08 Ohm,
243
che `e molto minore della resistenza (8.27) dellantenna a mezzonda, R
(1/2)
rad
= 73 Ohm.
Tuttavia, il dato pi` u rilevante `e che la resistenza ohmica di unantenna corta pu`o essere
dello stesso ordine di grandezza di R
(c)
rad
, o anche sensibilmente maggiore: unantenna corta
costituisce quindi in generale un radiatore poco ecace.
Inne possiamo chiederci quale potenza avremmo ottenuto, se per lantenna a mez-
zonda sbagliando avessimo usato lapprossimazione di dipolo. Il risultato sarebbe
stata la (8.50) con L = /, cio`e,
W =

48
I
2
0
= 0.065 I
2
0
,
al posto della (8.25), ovvero, W = 0.097 I
2
0
. Avremmo quindi ottenuto il corretto ordine
di grandezza, ma un valore numerico sbagliato.
8.3.4 Diusione Thomson della radiazione
La diusione della radiazione elettromagnetica da parte di una particella carica `e un
processo che in Elettrodinamica riveste un ruolo fondamentale. A livello classico, nel caso
pi` u semplice questo processo viene descritto da unonda piana che investe una particella
libera a riposo, e viene chiamato diusione Thomson. In ambito quantistico il processo
viene invece descritto attraverso gli urti tra i fotoni che compongono la radiazione incidente
e la particella, e si chiama eetto Compton.
Vediamo in che cosa consiste qualitativamente la diusione Thomson. Se unonda
elettromagnetica incide su una particella carica libera, la particella incomincia ad oscil-
lare, principalmente lungo la direzione del campo elettrico dellonda incidente. Essendo
accelerata, essa emette a sua volta radiazione elettromagnetica in tutte le direzioni.
Per velocit`a non relativistiche della particella, questa radiazione diusa ha la stessa
frequenza dellonda incidente.
Consideriamo, dunque, unonda piana incidente in direzione u, polarizzata linear-
mente, con campi elettrico e magnetico dati da,

E =

E
0
cos(k x),

B = u

E,
dove

E
0
`e un vettore reale costante ortogonale ad u. Lintensit`a media dellonda incidente,
denita come lenergia che attraversa lunit`a di supercie nellunit`a di tempo, `e allora data
244
da,
I
0
=< |

S| >=< |

E|
2
>=
1
2
E
2
0
. (8.52)
In seguito supporremo che lintensit`a dellonda incidente sia sucientemente bassa, in
modo tale che la velocit`a della particella si mantenga molto minore della velocit`a della
luce. Per lanalisi della radiazione emessa risulter`a allora appropriata lapprossimazione
di dipolo.
Vediamo ora qual `e leetto di questa onda, se investe una particella di massa m e
carica e. Per moti non relativistici dobbiamo risolvere lequazione,
ma = e
_

E +v

B
_
. (8.53)
Siccome abbiamo v 1, e |

B| = |

E|, il campo magnetico pu`o essere trascurato. Lequa-


zione da risolvere si scrive allora pi` u precisamente,
m
d
2
y(t)
dt
2
= e

E
0
cos( t

k y(t)).
Se supponiamo che londa si propaghi lungo lasse z, nel qual caso

k = (0, 0, ), e che

E
0
sia diretto lungo lasse x, si ottiene la soluzione stazionaria,
x(t) =
e E
0
m
2
cos(t), y(t) = z(t) = 0. (8.54)
La particella si mette quindi a oscillare lungo la direzione del campo elettrico incidente,
con la sua stessa frequenza . Vediamo in particolare che la nostra approssimazione non
relativistica `e consistente, purche la velocit`a massima v
M
della particella sia molto minore
di 1,
v
M
=
e E
0
m
1. (8.55)
Questo vuol dire che lintensit`a (8.52) dellonda incidente deve soddisfare I
0
m
2

2
/2e
2
.
Londa diusa. Dalle (8.54) si ottiene laccelerazione,
a(t) =
e

E
0
m
cos(t). (8.56)
Le (8.45), (8.46) permettono allora di determinare i campi di radiazione e la potenza
emessa,

E =
e
2
4mr
_

E
0
(n

E
0
) n
_
cos((t r)),

B = n

E, (8.57)
dW
d
=
e
4
16
2
m
2
_
E
2
0
(n

E
0
)
2
_
cos
2
((t r)). (8.58)
245
Il campo elettromagnetico di radiazione, che rappresenta londa diusa, ha quindi la stessa
frequenza dellonda incidente, ma si propaga radialmente in tutte le direzioni. La sua
intensit`a `e massima nel piano passante per la particella ed ortogonale a

E
0
. Inoltre, la sua
polarizzazione appartiene al piano formato da

E
0
e n.
Onda incidente non polarizzata. Consideriamo la distribuzione angolare (8.58) della
potenza emessa. Possiamo intanto eseguire la media temporale, che equivale alla sostitu-
zione cos
2
((tr))
1
2
. Tuttavia, nella maggior parte dei casi la radiazione incidente non
`e polarizzata, ma ammonta a una sovrapposizione equiprobabile di tutte le polarizzazioni

E
0
ortogonali a

k, come nel caso della luce naturale. In questo caso dobbiamo mediare la
(8.58) su tutte le polarizzazioni

E
0
ortogonali a

k, con il vincolo

E
0

E
0
= E
2
0
. Per eseguire
questa media esplicitiamo i termini della (8.58) che dipendendono dalle polarizzazioni,
E
2
0
(n

E
0
)
2
= E
2
0
(n
x
E
0x
+ n
y
E
0y
)
2
= E
2
0
n
2
x
E
2
0x
n
2
y
E
2
0y
2 n
x
n
y
E
0x
E
0y
.
Prendendo la media di questa espressione si ha < E
2
0x
>=< E
2
0y
>=
1
2
E
2
0
, e < E
0x
E
0y
>= 0.
Chiamando langolo tra n e la direzione di inicidenza, in questo caso lasse z, abbiamo
inoltre n
z
= cos, e quindi n
2
x
+ n
2
y
= sen
2
. Si ottiene cos`,
< E
2
0
(n

E
0
)
2
>= E
2
0

1
2
sen
2
E
2
0
=
1
2
(1 +cos
2
) E
2
0
.
Per unonda incidente non polarizzata, dalla (8.58) si ottiene allora la potenza diusa,
_
dW
d
_
n.p.
=
e
4
E
2
0
64
2
m
2
(1 +cos
2
). (8.59)
Si vede che questa potenza risulta massima lungo la direzione di propagazione dellonda
incidente, in entrambi i versi = 0 e = , in accordo con il fatto che per qualsiasi
polarizzazione dellonda incidente, la particella oscilla nel piano ortogonale alla direzione
di incidenza. Inne, per calcolare la potenza totale integriamo la (8.59) sugli angoli.
Usando lintegrale,
_
d(1 + cos
2
) =
_
2
0
d
_

0
send(1 +cos
2
) =
16
3
, (8.60)
si ottiene,
W =
_ _
dW
d
_
n.p.
d =
e
4
E
2
0
12 m
2
.
246
Questo risultato si pu`o ovviamente anche derivare inserendo la (8.56) nella formula di
Larmor (7.52), e mediando sul tempo. La potenza cos` ottenuta `e indipendente dalle
polarizzazioni, e la media su queste `e pertanto banale.
Sezione durto di Thomson. Dal punto di vista sperimentale le grandezze rilevanti in
un processo di diusione sono la sezione durto dierenziale
d
d
, e la sezione durto to-
tale . Nel caso in questione
d
d
`e denita come lenergia diusa nellunit`a di tempo e
nellunit`a di angolo solido in una data direzione, divisa lenergia incidente per unit`a di
supercie nellunit`a di tempo, ovvero, lintensit`a incidente I
0
. Analogamente, `e denita
come lenergia diusa nellunit`a di tempo in tutte le direzioni, divisa lintensit`a incidente.
Dalle formule ricavate sopra si ottiene,
d
d
=
1
I
0
_
dW
d
_
n.p.
=
1 + cos
2

2
r
2
0
, (8.61)
dove abbiamo introdotto il raggio classico della particella r
0
, che nel caso dellelettrone
vale,
r
0
=
e
2
4mc
2
= 2.8 10
13
cm. (8.62)
Possiamo confrontare r
0
con il raggio di Bohr r
B
, e la lunghezza donda Compton
C
dellelettrone,
r
B
=
4
2
me
2
= 5.3 10
9
cm,
C
=

mc
= 3.8 10
11
cm. (8.63)
Per calcolare la sezione durto totale integriamo la (8.61) su tutti gli angoli. Usando di
nuovo la (8.60) otteniamo,
=
_
d
d
d =
W
I
0
=
8
3
r
2
0
. (8.64)
Questa sezione durto viene chiamata sezione durto di Thomson. Essa ha le dimensioni di
unarea e vista la denizione pu`o essere interpretata come la supercie che lelettrone
ore come bersaglio allonda incidente: `e proprio il fatto che `e proporzionale a r
2
0
a
conferire ad r
0
il ruolo di raggio classico dellelettrone.
Bilancio del quadrimomento e reazione di radiazione. Concludiamo lanalisi della dif-
fusione Thomson con un commento sulla conservazione del quadrimomento in questo
processo. Ricordiamo innanzitutto che in approssimazione di dipolo la radiazione emessa
247
complessivamente non trasporta quantit`a di moto, vedi (8.41). Di conseguenza, alla radia-
zione diusa, rappresentata dal campo (8.57), complessivamente non `e associata nessuna
quantit`a di moto. Inoltre, vista la (8.64), il processo di diusione in questione pu`o essere
interpretato come segue: di tutta londa incidente, concettualmente innitamente estesa,
solo la parte che colpisce la supercie viene diusa, mentre il resto passa indisturbato
e costituisce londa trasmessa.
Consideriamo ora il bilancio del quadrimomento separatamente per londa trasmessa,
londa diusa e la particella. Per londa trasmessa il quadrimomento iniziale e nale sono
evidentemente uguali. Anche la particella conserva in media il suo quadrimomento, perche
si trova in moto stazionario. Allonda diusa prima della diusione `e associato il usso
di energia I
0
, mentre dopo la diusione le `e associato il usso W; poiche vale W = I
0
,
la sua energia si conserva. Al contrario, il suo usso di quantit`a di moto prima della
diusione vale,
dP
z
dt
= I
0
,
mentre dopo la diusione esso `e nullo! Se la quantit`a di moto totale del sistema si deve
conservare, dobbiamo concludere che la quantit`a di moto mancante `e stata trasferita alla
particella. Questultima deve, quindi, subire una forza media in avanti pari a,
F
z
=
dP
z
dt
=
4
3
r
2
0
E
2
0
, (8.65)
forza che andrebbe ad aggiungersi al membro di destra della (8.53).
Emerge pertanto il seguente quadro. La forza e(

E +v

B) `e lagente primario, che
imprime un moto oscillatorio alla particella. Conseguentemente la particella emette onde
elettromagnetiche, che le provocano a loro volta una reazione di rinculo rappresentata
dalla forza F
z
. Questa forza scaturisce, dunque, dallinterazione tra la particella e il campo
da essa stessa creata, e viena chiamata alternativamente reazione di radiazione, forza
di autointerazione, o anche forza di frenamento. Si noti, in particolare, che F
z
non
emerge come correzione relativistica dal termine e
v
c


B, che nella (8.53) abbiamo in
eetti trascurato. Infatti, usando la (8.55) e ricordando che |

B| = |

E|, schematicamente
abbiamo,
e
v
c


B
e
2
E
2
0
mc
.
248
Come si vede, questa forza `e quadriatica in E
0
come F
z
ma di ordine 1/c, mentre il
secondo membro della (8.65) `e di ordine 1/c
4
. Inoltre, dato che

B cos(t) e v sen(t),
vedi (8.54), in media si ha < v

B >= 0, e questo termine non produce dunque nessuna
forza netta.
In realt`a, la forza F
z
dovrebbe comparire automaticamente, se si considera lequa-
zione di Lorentz completa (2.21),
d p
dt
= e(

E +v

B) + e(

E +v

B), (8.66)
in cui

E e

B sono i campi di LienardWiechert prodotti dalla particella. Nella (8.66) questi
campi sono valutati proprio nella posizione della particella, sicch`e il termine e(

E+v

B)
rappresenta eettivamente la forza di autointerazione. Unanalisi dettagliata mostra che
a secondo membro della (8.66) compare s` il contributo (8.65), ma rivela anche la presenza
di termini inniti: come abbiamo menzionato varie volte, il campo nella posizione della
particella diverge. Per una trattazione sistematica della reazione di radiazione, che prevede
in particolare la sostituzione dellequazione di Lorentz con lequazione di LorentzDirac,
rimandiamo al capitolo 14.
Eetti quantistici. La diusione Thomson, come qu` analizzata, non tiene conto di
eetti quantistici, poiche trascura il fatto che le onde elettromagnetiche sono costituite da
particelle, i fotoni. A livello quantistico il processo di diusione di radiazione di frequenza
da parte di elettroni si realizza, infatti, attraverso urti tra fotoni incidenti di energia
ed elettroni, e viene chiamato eetto Compton. In questo caso londa uscente `e
costituita da fotoni che si propagano in tutte le direzioni . Fino a quando le lunghezze
donda della radiazione incidente sono molto maggiori della lunghezza donda Compton,
=
2c


C
=

mc
, e quindi mc
2
, gli eetti quantistici possono essere trascurati,
ed `e valida lanalisi svolta sopra. Viceversa, per
C
il fotone incidente cede parte
della sua energia allelettrone, ed emerge quindi dallurto con una frequenza pi` u piccola,
ovvero, con una lunghezza donda

maggiore di . Imponendo la conservazione del


quadrimomento risulta, infatti, la nota formula delleetto Compton,

= + 2(1 cos)
C
,
249
dove `e langolo tra il fotone entrante e quello uscente langolo di diusione che ha
lo stesso signicato che nella (8.61).
Le dierenze principali rispetto allanalisi classica della diusione sono le seguenti: 1)
lenergia non viene pi` u irradiata con continuit`a, ma sotto forma di quanti di luce; 2) la
frequenza della radiazione uscente `e minore di quella della radiazione incidente; 3) si pu`o
vedere che la sezione durto di Thomson subisce una correzione quantistica, che al primo
ordine in risulta in,
=
8
3
r
2
0
_
1 4

_
.
Per
C
i fotoni entranti e uscenti hanno praticamente la stessa energia ,
indipendentemente dallangolo di diusione, e in questo limite il numero di fotoni nelle
radiazioni incidente ed uscente `e dato semplicemente dallenergia divisa per . Le sezioni
durto (8.61), (8.64) rappresentano allora anche il numero di fotoni diusi nell unit`a di
tempo, diviso il numero di fotoni incidenti per unit`a di supercie nellunit`a di tempo.
8.3.5 Bremsstrahlung dallinterazione coulombiana
In questo paragrafo consideriamo la radiazione generata nellinterazione elettromagnetica
tra due particelle cariche in moto non relativistico prototipo di Bremsstrahlung non
relativistica. Di nuovo siamo interessati principalmente alla determinazione dellenergia
emessa sotto forma di radiazione. Dato che nel limite non relativistico linterazione elettro-
magnetica tra due particelle `e governata dal potenziale coulombiano /r, le orbite relative
sono coniche, ovvero ellissi, iperboli o parabole. Come vedremo, la conoscenza della forma
esplicita delle orbite ci permetter`a di determinare lenergia irradiata analiticamente.
Consideriamo un sistema isolato costituito da due particelle cariche, con masse m
1
e m
2
, e cariche e
1
e e
2
. Indichiamo i vettori posizione rispettivamente con r
1
e r
2
, la
posizione relativa con r = r
1
r
2
, e quella del centro di massa con r
CM
. Allora abbiamo,
r
1
= r
CM
+
m
2
m
1
+ m
2
r, r
2
= r
CM

m
1
m
1
+ m
2
r. (8.67)
Secondo la teoria dei moti relativi, la dinamica del sistema `e allora governata dalle
equazioni del moto,

r =
r
r
3
,

r
CM
= 0, (8.68)
250
dove,
=
e
1
e
2
4
, =
m
1
m
2
(m
1
+ m
2
)
,
essendo la massa ridotta.
Cinematica delle coniche. Poiche il potenziale coulombiano `e centrale e a simmetria
sferica, il moto relativo `e piano, e si conservano lenergia e il momento angolare L.
Introducendo le coordinate polari piane (r, ), e ignorando il moto del centro di massa, si
ha,
=
1
2
v
2
+

r
, L = r
2
. (8.69)
Per il potenziale in questione le orbite del moto relativo sono coniche. Se lenergia `e
negativa, e quindi necessariamente < 0, lorbita `e un ellisse di equazione,
r() =
(1 e
2
) a
1 + e cos
, (8.70)
dove leccentricit`a e e il semiasse maggiore a sono dati da,
e =

1 +
2 L
2

2
, a =

2
. (8.71)
Il periodo `e dato da,
T = 2

a
3
| |
.
Si noti che il momento angolare pu`o essere scritto anche come,
L =
_
a| |

1 e
2
.
Se lenergia `e invece positiva, le orbite sono iperboli di equazione,
r() =
(e
2
1) a
1 + e cos
, (8.72)
dove il segno + corrisponde al caso attrattivo, < 0, e il segno al caso repulsivo, > 0.
I parametri e ed a sono ancora dati dalle (8.71), ma ora le costanti del moto possono
essere espressi anche in termini del parametro dimpatto b e della velocit`a asintotica v
0
,
=
1
2
v
2
0
, L = b v
0
. (8.73)
Ricordiamo poi che nel caso delle iperboli la variabile angolare `e limitata da,

0
< <
0
, cos
0
=
1
e
. (8.74)
251
Lenergia emessa. Passiamo ora al calcolo dellenergia emessa via Bremsstrahlung.
Secondo la (8.40) la potenza emessa `e data in termini del momento di dipolo del sistema,
dalla formula,
W =
1
6

2
. (8.75)
Valutiamo

D usando le (8.67),

D = e
1
r
1
+ e
2
r
2
= (e
1
+ e
2
) r
CM
+
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
r.
Derivando due volte e usando le (8.68) si ottiene,

D =
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_

r =
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_

r
r
3
.
Per la potenza istantanea si ottiene allora
31
,
W =

2
6
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2
1
r
4
. (8.76)
Come si vede, la radiazione di dipolo `e assente se le due particelle hanno lo stesso rapporto
e/m, in particolare se sono particelle identiche, come dimostrato nel paragrafo 8.3.2.
Volendo determinare lenergia emessa lungo un tratto nito dellorbita, dobbiamo
integrare la (8.76) tra i corrispondenti istanti t
1
e t
2
. Per valutare lintegrale risultante
conviene passare dalla variabile t allangolo polare , sfruttando la costanza del momento
angolare (8.69). Scrivendo,
dt =
r
2
L
d,
e indicando gli angoli corrispondenti a t
1
e t
2
con
1
e
2
, per lenergia emessa lungo
questo tratto otteniamo allora,
=
_
t
2
t
1
Wdt =

2
6L
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2
_

2

1
1
r
2
d. (8.77)
Inserendo in questa espressione le equazioni polari (8.70) e (8.72) si ottengono integrali
che possono essere valutati analiticamente. Consideriamo ora separatamente le orbite
ellittiche e le orbite iperboliche.
31
La (8.76) rappresenta la potenza emessa allistante t a una distanza r

molto grande dalla particella,


se il raggio r che compare a secondo membro `e valutato allistante ritardato tr

. Se r `e invece valutato in
t, allora la formula fornisce lenergia che viene emessa allistante t, e che raggiunge linnito. Torneremo
su questo punto nel capitolo 10.
252
Orbite ellittiche. Se il moto relativo `e ellittico, entrambe le particelle compiono moti
periodici di periodo T. Come visto nel pargrafo 8.1.2, il sistema emette allora radiazione
con frequenze discrete
N
= 2N/T, con N intero. Lenergia totale emessa `e evidente-
mente innita, e in questo caso diventa signicativa la potenza media W. Mediando la
(8.77) su un periodo e inserendo la (8.70), si ottiene,
W =
1
T
_
T
0
Wdt =

2
6LT
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2
_
2
0
1
r
2
d
=

2
6LT
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2
1
a
2
(1 e
2
)
2
_
2
0
(1 +e cos)
2
d.
Valutando lintegrale,
_
2
0
(1 +e cos)
2
d = 2
_
1 +
e
2
2
_
,
e sostituendo i valori cinematici dati sopra, si ottiene,
W =

2
6a
4
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2
1 +
e
2
2
(1 e
2
)
5/2
. (8.78)
Lenergia che la Bremsstrahlung asporta durante un periodo `e allora data da,

c
= T W. (8.79)
Se lenergia totale si deve conservare, lenergia (8.69) del sistema cariche + campo durante
ogni periodo deve pertanto diminuire della quantit`a T W. Concludiamo allora che a causa
della Bremsstrahlung le orbite ellittiche non possono restare tali: si devono necessariamen-
te aprire, entrando in un regime spiraleggiante. Nel paragrafo 8.3.6 quantiticheremo la
(8.79) in un caso storicamente importante, quello dellatomo di idrogeno classico, e vedre-
mo che la sua orbita collasserebbe, difatti, in una frazione di secondo. La causa primaria
di questo fenomeno `e di nuovo la forza di frenamento.
Orbite iperboliche. Se il moto relativo `e iperbolico, entrambe le particelle compiono
moti aperiodici, e il sistema emette radiazione con uno spettro continuo di frequenze.
Questo processo corrisponde a un urto tra due particelle cariche che arrivano dallinnito,
si deettono a vicenda, e poi escono di nuovo verso linnito. Negli istanti iniziale e nale
laccelerazione delle due particelle `e nulla e, come vedremo, lenergia totale irradiata
durante lintero processo `e nita. Per calcolarla dobbiamo porre nella (8.77) t
1
=
253
e t
2
= +, ovvero,
1
=
0
e
2
=
0
, vedi (8.74). Inserendo la (8.72) nella (8.77)
troviamo per lenergia irradiata durante lintero processo,
=
_

Wdt =

2
6L
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2
1
a
2
(e
2
1)
2
_

0

0
(1 + e cos)
2
d
=

2
6L
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2
1
a
2
(e
2
1)
2
_
(2 +e
2
)
0
3

e
2
1
_
. (8.80)
Usando le (8.73) possiamo esprimere questo risultato in termini della velocit`a asintotica
v
0
, e del parametro dimpatto b. Per fare questo `e conveniente introdurre il parametro
adimensionale,

1

e
2
1
=

v
2
0
b

0
=

2
arctg .
Per un potenziale attrattivo si ha < 0, mentre per un potenziale repulsivo risulta > 0.
Con semplici passaggi la (8.80) muta allora in,
=

3
v
5
0
6
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2 _
(3
2
+ 1)
_

2
arctg
_
3
_

3
. (8.81)
Si noti che per parametri dimpatto grandi, corrispondenti a valori di piccoli, va
rapidamente a zero. Nel limite per 0 la (8.81) si riduce infatti a,


3
v
5
0
2
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2

3
=

2
12 v
0
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2
1
b
3
. (8.82)
Ci`o `e in accordo con il fatto che per grandi b le particelle compiono moti pressoche rettilinei
uniformi.
Parametri dimpatto piccoli. Lintensit`a della Bremsstrahlung dovrebbe, al contrario,
essere massima in un urto frontale, b 0, per cui,
.
In questo caso la (8.81) ha due andamenti diversi, a seconda che il potenziale sia attrat-
tivo o repulsivo. Nel caso attrattivo tende a , e entrambi i termini tra parentesi
quadre nella (8.81) vanno a pi` u innito. Lenergia irradiata tende quindi a pi` u innito, in
accordo con il fatto che laccelerazione diverge quando le particelle collidono. Tuttavia,
in questo caso anche le velocit`a delle particelle vanno a pi` u innito, e lapprossimazione
non relativistica non `e pi` u valida.
254
Vicevera, nel caso repulsivo le particelle si avvicinano no alla distanza minima, vedi
(8.69),
r
m
=
2
v
2
0
,
e lenergia totale irradiata dovrebbe essere nita. In questo caso il parametro tende a
+, ed eseguendo con cura il limite nella (8.81) si trova infatti il valore nito,

0
lim
+
=
2
3
v
5
0
45
_
e
1
m
1

e
2
m
2
_
2
. (8.83)
Per renderci conto dellentit`a dellenergia irradiata assumiamo che una delle due particelle
sia molto pi` u pesante dellaltra, m
2
m
1
, e che le cariche siano uguali, come succede
ad esempio nellurto protonepositrone. In queste condizioni il processo equivale allurto
della particella leggera contro la particella pesante, considerata praticamente a riposo, e
abbiamo m
1
, = e
2
/4. La (8.83) d`a allora,

0

8 m
1
v
5
0
45
.
In questo limite la (8.73) d`a
1
2
m
1
v
2
0
, e per la diminuzione relativa dellenergia della
particella leggera durante lurto si ottiene,


16
45
v
3
0
.
Essendo nel limite non relativistico abbiamo v
0
1, e ne segue che
0
/ 1. La
perdita di energia per irraggiamento `e, dunque, di nuovo completamente trascurabile,
anche nella situazione pi` u favorevole di un urto frontale.
Nel capitolo 10 analizzeremo lirraggiamento nel limite ultrarelativistico, v 1, e ve-
dremo che le conclusioni saranno drasticamente diverse. Vedremo, infatti, che per velocit`a
prossime alla velocit`a della luce gli eetti radiativi possono causare notevoli perdite di
energia, anche nella diusione coulombiana.
8.3.6 La radiazione dellatomo didrogeno classico
In questo paragrafo illustriamo brevemente il quadro fenomenologico che emergerebbe
per latomo didrogeno, se la sua dinamica fosse governata dalle leggi della sica classica.
Concentreremo la nostra analisi sullo stato fondamentale, che classicamente corrisponde
255
allelettrone che compie un moto circolare uniforme attorno al protone, con velocit` a v 1.
Possiamo allora applicare le formule del paragrafo precedente riguardanti il moto ellittico,
nel caso particolare di eccentricit`a nulla.
Dato che il protone `e molto pi` u pesante dellelettrone abbiamo m
2
m
1
m, e
m, e inoltre in questo caso abbiamo =
e
2
4
, a = r. Siccome la forza centripeta
vale
mv
2
r
=
e
2
4r
2
, lenergia totale e la velocit`a angolare dellelettrone diventano, vedi
(8.69),
=
e
2
8r
=
1
2
mv
2
, =
v
r
=
_
e
2
4 mr
3
=
_
r
0
r
3
=
me
4
(4)
2

3
. (8.84)
Abbiamo introdotto il raggio classico dellelettrone r
0
, e identicato r con il raggio di
Bohr, vedi (8.63).
Il moto dellelettrone `e periodico con periodo T = 2/, e la sua accelerazione a(t) `e
quindi una funzione periodica semplice. Secondo le (8.45) il campo di radiazione `e allora
costituito da una singola onda monocromatica di frequenza . Latomo didrogeno clas-
sico emetterebbe, dunque, radiazione unicamente sulla frequenza fondamentale . Come
vedremo in sezione 12, una particella relativistica in moto circolare uniforme emetterebbe,
invece, radiazione su tutte le frequenze
N
= N, con N intero. Queste previsioni sono
comunque in contrasto con la formula quantistica di Rydberg, che prevede le frequenze
di emissione,

MN
=
1
2
_
1
N
2

1
M
2
_
me
4
(4)
2

3
,
dove N e M sono interi.
Torniamo ora al calcolo della potenza emessa dallatomo classico. Ponendo nella (8.78)
leccentricit`a uguale a zero, si ottiene,
W =
_
e
2
4
_
2
e
2
6 m
2
r
4
=
e
2
6
r
2
0
r
4
=
e
2
6

4
r
2
, (8.85)
in accordo con la formula di Larmor (7.52). Lenergia dellatomo, vedi (8.84), deve
dunque diminuire secondo
d
dt
= W. Ma dato che 1/r, la diminuzione dellenergia
comporta anche una diminuzione del raggio. Dalle (8.84), (8.85) si ottiene la variazione
relativa,
1
r
dr
dt
=
1

d
dt
=
4
3
r
2
0
r
3
2 10
10
/s,
256
dove abbiamo sostituito i valori (8.62), (8.63). Si vede che il raggio dellorbita si ridurrebbe
a met`a nellarco di 10
10
s, e latomo di idrogeno classico collasserebbe nella frazione
di un secondo ! Si noti, in particolare, che secondo le (8.84) la velocit`a dellelettrone
andrebbe a pi` u innito, patologia dovuta evidentemente alla trattazione non relativistica
del problema.
`
E comunque interessante calcolare la diminuzione relativa dellenergia dellatomo du-
rante un ciclo,

=
TW

=
2W

=
8
3
_
r
0
r
_
3/2
3 10
6
,
che `e, in realt`a, una frazione molto piccola. Quello che in ultima analisi fa collassare
latomo di idrogeno classico in pochissimo tempo, `e la brevit`a di un ciclo,
T = 2

r
3
r
0
1.5 10
16
s.
Per concludere aggiungiamo che la velocit`a dellelettrone vale,
v
c
= r =
_
r
0
r
0.7 10
2
,
sicche era corretto arontare il problema nellapprossimazione non relativistica di dipolo.
Conlcudiamo questo paragrafo con un caveat sui limiti di validit`a della nostra analisi.
Da un punto di vista quantitativo lanalisi qu` eseguita `e, infatti, valida solo no a quando
il raggio dellorbita dellelettrone non varia apprezzabilmente. Se il raggio non `e costante,
non `e pi` u costante nemmeno laccelerazione da inserire nella formula di Larmor, e anche
la potenza emessa varierebbe quindi nel tempo. Lequazione del moto dellelettrone do-
vrebbe allora essere risolta tenendo conto della perdita di energia attraverso la formula di
Larmor, la quale coinvolge a sua volta laccelerazione incognita. Si vede, quindi, che per
arontare il problema dellatomo di idrogeno classico in modo corretto, in linea di prin-
cipio `e necessario risolvere le equazioni di Maxwell e Lorentz come sistema accoppiato.
Inoltre, come abbiamo visto sopra, da un certo istante in poi non `e pi` u lecito arontare
il problema nellapprossimazione non relativistica. Tuttavia, `e evidente che le conclusioni
principali della nostra analisi qualitativa restano comunque valide.
257
8.4 Radiazione di quadrupolo elettrico e di dipolo magnetico
Nei casi in cui la radiazione di dipolo `e assente, ovverosia, quando la derivata seconda del
momento di dipolo si annulla,

D = 0,
nello sviluppo non relativistico (8.29) diventa rilevante il termine perturbativo successivo,
cio`e, quello lineare in n y/c. Questo termine d`a luogo alle cosiddette radiazioni di qua-
drupolo elettrico e di dipolo magnetico, e in questa sezione determiniamo lapporto
allenergia irradiata dovuto a queste radiazioni. Per via della formula generale (8.15) `e di
nuovo suciente determinare le componenti spaziali del quadripotenziale.
Il potenziale

A no allordine 1/c
2
. Riprendiamo lo sviluppo (8.29), considerando ora
anche il termine lineare in n y/c. Sottintendendo che j

`e valutato in (tr, y), e ponendo


c = 1 abbiamo allora,
A
i
=
1
4r
_
_
j
i
+ (n
k
y
k
)
t
j
i
_
d
3
y
=
1
4r
_

D
i
+ n
k

t
_ _
1
2
_
y
k
j
i
y
i
j
k
_
+
1
2
_
y
k
j
i
+ y
i
j
k
_
_
d
3
y
_
=
1
4r
_

D
i


M
ik
n
k
+
1
2
n
k

t
_
_
y
k
j
i
+ y
i
j
k
_
d
3
y
_
. (8.86)
Abbiamo denito il tensore tridimensionale antisimmetrico,
M
ik

1
2
_
_
x
i
j
k
x
k
j
i
_
d
3
x,
legato al momento di dipolo magnetico,

M
1
2
_
x

j d
3
x,
dalle relazioni,
M
i
=
1
2

ijk
M
jk
, M
ij
=
ijk
M
k
. (8.87)
Per un sistema di particelle, per cui,

j(t, x) =

r
e
r
v
r
(t)
3
(x y
r
(t)),
si ha in particolare,

M =
1
2

r
e
r
y
r
v
r
. (8.88)
258
Per valutare lultimo termine nella (8.86) `e conveniente introdurre il momento di quadru-
polo elettrico D
ij
della distribuzione di carica, e la sua versione ridotta D
ij
, a traccia
nulla,
D
ij
=
_
x
i
x
j
d
3
x, D
ij
= D
ij

1
3

ij
D
kk
, D
ii
= 0. (8.89)
Lultimo termine nella (8.86) pu`o infatti essere espresso in termini di D
ij
, sfruttando
lidentit`a,

D
ij
=
_
_
x
i
j
j
+ x
j
j
i
_
d
3
x,
analoga alla (8.35). La si dimostra come nel caso di questultima attraverso uninte-
grazione per parti, usando la conservazione della quadricorrente, e ricordando che j

ha
supporto compatto,

D
ij
=
_
x
i
x
j
d
3
x =
_
x
i
x
j
(
k
j
k
)d
3
x =
_

k
_
x
i
x
j
_
j
k
d
3
x
=
_
_

i
k
x
j
+ x
i

j
k
_
j
k
d
3
x =
_
_
x
i
j
j
+ x
j
j
i
_
d
3
x.
Possiamo quindi riscrivere la (8.86) come,
A
i
=
1
4r
_

D
i


M
ij
n
j
+
1
2

D
ij
n
j
_
=
1
4r
_

D
i


M
ij
n
j
+
1
2

D
ij
n
j
_
+

D
kk
24r
n
i
, (8.90)
dove abbiamo introdotto il momento di quadrupolo ridotto, vedi (8.89). Consideriamo
ora lultimo termine nella (8.90). Dalla denizione (8.89) si vede che D
kk
`e funzione solo
di t r, poiche nellintegrando `e valutato in (t r, x). Questo ci permette di scrivere,

D
kk
(t r)
24r
n
i
=
i
_

D
kk
(t r)
24r
_
+ o
_
1
r
2
_
. (8.91)
Il termine o(1/r
2
) `e irrilevante, perche il potenziale `e valutato nella zona delle onde.
Sappiamo, inoltre, che una funzione del tipo
1
r
f(t r) soddisfa lequazione delle onde per
r = 0, vedi problema 5.7. Questo ci permette di concludere che lultimo termine nella
(8.90) pu`o essere eliminato con una trasformazione di gauge residua, A
i
A
i
+
i
,
2 = 0, scegliendo,
=

D
kk
(t r)
24r
.
259
Alla stessa conclusione si giunge osservando che un contributo ad A
i
che `e proporzionale a
n
i
, come quello in (8.91), comunque non contribuisce alla potenza (8.15), perche
ij
n
j
= 0.
Ritroviamo il fatto che lenergia, essendo una quantit`a osservabile, `e invariante sotto
trasformazioni di gauge.
In denitiva, a meno di una trasformazione di gauge il potenziale no allordine 1/c
2
`e dato da,
A
i
=
1
4rc
_

D
i
+
1
2 c
_

D
ij
2

M
ij
_
n
j
_
, (8.92)
dove abbiamo ripristinato la velocit`a della luce. In questa approssimazione il campo nella
zona delle onde risulta, dunque, sovrapposizione di un campo di dipolo elettrico, di un
campo di dipolo magnetico e di un campo di quadrupolo elettrico, gli ultimi due essendo
soppressi di un fattore 1/c rispetto al primo. Confrontando la (8.42) con la (8.88) si vede,
in particolare, che schematicamente si ha,
M
ij
v D
i
.
La potenza totale. In presenza dei campi di dipolo magnetico e di quadrupolo elettrico
la distribuzione angolare (8.15) della potenza emessa risulta abbastanza complicata, poi-
che n
i
compare ora non solo nel proiettore
ij
=
ij
n
i
n
j
, ma anche in A
i
. Ciononostante
`e ancora possibile derivare unespressione abbastanza semplice per la potenza totale,
W =
r
2
c
_

A
i

A
j
_

ij
n
i
n
j
_
d. (8.93)
Inserendo in questa espressione la (8.92) si ottiene,
W =
1
16
2
c
3
_ _

D
i
+
1
2c
_

D
ik
2

M
ik
_
n
k
__

D
j
+
1
2c
_

D
jl
2

M
jl
_
n
l
_
_

ij
n
i
n
j
_
d
(8.94)
Gli integrali in d si possono valutare, come al solito, tramite gli integrali invarianti
del problema 2.6. Questi integrali producono prodotti di
ij
di Kronecker, che vanno a
contrarre i tre momenti di multipolo tra di loro. I contributi di ordine 1/c
3
corrispondono
alla nota potenza di dipolo. I contributi di ordine 1/c
4
si annullano, poiche coinvolgono
integrali di un numero dispari di fattori n
i
. Nei termini di ordine 1/c
5
le contrazioni
260
miste tra

D
ij
e

M
kl
non contribuiscono, perche il primo `e simmetrico, mentre il secondo
`e antisimmetrico. Nella (8.94) contribuiscono, in denitiva, solo i termini diagonali,
W =
1
6c
3

2
+
1
64
2
c
5
_

D
ik

D
jl
+ 4

M
ik

M
jl
__
_
n
k
n
l

ij
n
k
n
l
n
i
n
j
_
d
=
1
6c
3

2
+
1
64
2
c
5
_

D
ik

D
jl
+ 4

M
ik

M
jl
__
4
3

kl

ij

4
15
_

kl

ij
+
ki

lj
+
kj

il
_
_
.
Nel calcolo delle contrazioni rimanenti occorre tenere conto che M
ij
`e antisimmetrico, e
che D
ij
`e simmetrico e a traccia nulla. Dalla (8.87) segue inoltre,

M
ij

M
ij
= 2

2
.
A conti fatti si ottiene,
W =
1
6c
3

2
+
1
6c
5

2
+
1
80c
5

D
ij

D
ij
. (8.95)
Come si vede, i contributi alla potenza emessa della radiazione di dipolo magnetico e di
quadrupolo elettrico sono subleading di un fattore 1/c
2
, rispetto alla radiazione di dipolo
elettrico. Inoltre non ci sono correzioni di ordine 1/c
4
. Si noti, tuttavia, che tali correzioni
sono presenti nella distribuzione angolare dW/d.
Facciamo, inne, un commento importante sullutilizzo corretto della (8.95). Le-
spansione non relativistica (8.29) del potenziale nella zona delle onde pu`o essere scritta
come,

A =
1
c

A
1
+
1
c
2

A
2
+
1
c
3

A
3
+ , (8.96)
dove con

A
N
intendiamo il contributo di 2Npolo, includendo anche i corrispondenti
contributi magnetici. La (8.92) rappresenta i primi due termini di questa espansione.
Si noti, in particolare, che

A
N
contiene N 1 fattori dei versori n. Se si inserisce la
(8.96) nella (8.93) si ottiene una serie di potenze in 1/c. Tuttavia, dato che lintegrale
sugli angoli di un numero dispari di fattori n `e zero, sopravvivono solo i prodotti del tipo

A
N

A
M
, con M + N pari. La (8.93) si scrive allora,
W = r
2
_ _
1
c
3

A
i
1

A
j
1
+
1
c
5
_

A
i
2

A
j
2
+ 2

A
i
1

A
j
3
_
+ o
_
1
c
7
__
_

ij
n
i
n
j
_
d.
Si vede, quindi, che per calcolare correttamente la potenza emessa no allordine 1/c
5
, alla
(8.95) andrebbe aggiunto il termine dovuto al prodotto

A
i
1

A
j
3
, che coinvolge la radiazione
261
di sestupolo

A
3
. Vediamo, comunque, che la (8.95) d`a la potenza corretta no allordine
1/c
5
, se la radiazione di dipolo `e assente,

A
1
= 0

D = 0.
Solo in questo caso la (8.95) `e allora di utilit`a concreta. In caso contrario in generale
occorre tenere conto anche della radiazione di sestupolo.
Assenza delle radiazioni di quadrupolo e di dipolo magnetico. Vediamo ora qualche ca-
so in cui i contributi di ordine 1/c
5
nella (8.95) si annullano. Il contributo di dipolo
magnetico `e nullo per un sistema isolato di particelle, con rapporto
e
r
m
r
= indipendente
da r. Questo `e una conseguenza della conservazione del momento angolare di un sistema
isolato. Per vederlo `e suciente inserire la relazione e
r
= m
r
nella (8.88). Risulta,

M =

2

r
y
r
m
r
v
r
=

2

L,
dove

L `e il momento angolare totale conservato. Ne segue che

M = 0. Il contributo di
dipolo magnetico `e assente anche per un sistema isolato composto da due sole particelle,
con cariche arbitrarie. In questo caso nel sistema di riferimento del centro di massa si ha,
m
1
r
1
+ m
2
r
2
= 0, p
1
= p
2
, e di conseguenza,

M =
1
2
(e
1
r
1
v
1
+ e
2
r
2
v
2
) =
1
2
_
e
1
m
2
1
+
e
2
m
2
2
_
m
1
m
2
m
1
+ m
2

L,
dove

L = r
1
p
1
+r
2
p
2
`e il momento angolare totale del sistema.

M `e quindi di nuovo
zero.
Inne, come conseguenza del teorema di Birkho i contributi di ordine 1/c
5
nella
(8.95) si devono annullare entrambi, se la corrente j

`e a simmetria sferica,

j = xj(t, r),
= (t, r). In eetti si vede che

M `e nullo, perche x

j = 0. Per quanto riguarda, invece,


il momento di quadrupolo ridotto, usando coordinate polari si ha,
D
ij
=
_ _
x
i
x
j

1
3

ij
r
2
_
d
3
x =
__

0
r
4
dr
_ __
d
_
n
i
n
j

1
3

ij
__
= 0, (8.97)
poiche lintegrale sugli angoli `e zero.
262
8.5 Problemi
8.1 Radiazione di ciclotrone nel limite non relativistico. Si consideri una parti-
cella che in presenza di un campo magnetico costante e uniforme compie un moto circolare
uniforme di frequenza = eB/m e raggio R, tale che v = R 1.
a) Si determini il campo elettrico generato dalla particella nella zona delle onde.
b) Per ogni istante t ssato si determinino le direzioni in cui la potenza emessa `e massima
e minima.
c) Si dimostri che la distribuzione angolare della potenza mediata nel tempo `e data da,
dW
d
=
e
2

4
R
2
32
2
(1 +cos
2
), (8.98)
dove `e langolo tra la direzione di osservazione n, e lasse della circonferenza.
d) Supponendo che la carica sia vincolata a stare su un anello liscio di raggio R, si
determini la legge oraria con cui la sua velocit`a diminuisce. Si assuma che valga,
| v|
2
R,
in modo da poter considerare nella formula di Larmor solo laccelerazione centripeta. Si
verichi la validit`a di questa ipotesi a posteriori.
8.2 Si consideri una particella carica leggera che compie un moto circolare uniforme
attorno a una particella carica pesante, nelle stesse ipotesi del paragrafo 8.3.6.
a) Si determini la legge oraria con cui variano la velocit`a e il periodo della particella
leggera.
b) Si discutano i limiti di validit`a dellanalisi svolta.
8.3 Distribuzione di carica a simmetria sferica. Si consideri la formula (8.9) per il
potenziale A

nella zona delle onde. Si supponga che la corrente j

sia dotata di simmetria


sferica, come specicato nel problema 2.5. Si verichi che una tale distribuzione di carica
non irradia in nessuna direzione, cio`e,
dW
d
= 0, n,
come previsto dal teorema di Birkho.
263
Traccia dello svolgimento.
`
E suciente dimostrare che in questo caso le componenti
spaziali del potenziale (8.9) sono della forma,

A(t, x, ) = ng(t, x), (8.99)


per qualche funzione g. A questo scopo conviene sfruttare il seguente teorema sugli
integrali invarianti tridimensionali.
Teorema: Sia data una funzione di due variabili tridimensionali f(x, y) invariante per
rotazioni, ovvero, soddisfacente,
f(Rx, Ry) = f(x, y), R SO(3). (8.100)
La funzione vettoriale,

F(x)
_
y f(x, y) d
3
y, (8.101)
`e allora necessariamente della forma,

F(x) = xF
0
(|x|). 2 (8.102)
Nota: la condizione (8.100) `e equivalente allassunzione che f dipenda da x e y solo
attraverso gli invarianti |x|, |y|, x y.
Dimostrazione. Eseguendo nella (8.101) il cambiamento di variabili y Ry, si ricava
che

F `e una funzione covariante per rotazioni, cio`e,

F(Rx) = R

F(x), R SO(3).

F(x) `e allora necessariamente della forma (8.102).


La funzione g che compare nella (8.99) in generale `e diversa da zero e dipendente
dal tempo. Ci`o sembra in contraddizione con il teorema di Birkho, secondo cui una
distribuzione sferica di carica, nel vuoto crea un campo statico. Il paradosso si risolve
facilmente, se si ricorda che A

`e denito modulo una trasformazione di gauge. Dalla


(8.9) si vede, infatti, che g `e della forma particolare g(t, x) =
1
r
f(t r), e in questo caso
esiste una trasformazione di gauge che annulla A
i
, si veda la (8.91). Allo stesso tempo
questa trasformazione riconduce il potenziale scalare alla forma standard A
0
=
Q
4r
.
264
8.4 Usando le espressioni covarianti (7.23) dei campi di LienardWiechert, si verichi
che il tensore energiaimpulso del campo per una particella singola nella zona delle onde
si riduce a,
T

em
= n

E|
2
,
in accordo con la formula generale (8.13).
Traccia dello svolgimento. Nella zona delle onde il campo elettromagnetico (7.23) `e
dominato dal campo di accelerazione (7.26), che riscriviamo come,
F

a
=
e
4(um)
3
R
(m

) ,

(um) w

(wm) u

.
Questa scrittura `e conveniente, poiche valgono le relazioni,
m

= 0 = m

,
2
= (um)
2
w
2
+ (wm)
2
.
`
E allora immediato valutare il tensore energiaimpulso,
T

em
= F

+
1
4

=
e
2

2
16
2
(um)
6
R
2
m

. (8.103)
Nella zona delle onde si ha inoltre R r, m

. La verica che il coeciente di n

nella (8.103) eguaglia proprio |

E
a
|
2
, vedi (7.44), `e lasciato come esercizio.
8.5 Bremsstrahlung in campo coulombiano a grandi distanze. Un elettrone non
relativistico passa accanto a un nucleo di carica Ze, considerato sso, a una distanza
molto grande, sicche la sua orbita si discosta poco da una retta. Indicando la sua velocit`a
asintotica con v
0
1, e il parametro dimpatto con b, la sua distanza dal nucleo come
funzione del tempo pu`o allora essere approssimata con,
r(t) = |y(t)|
_
b
2
+ v
2
0
t
2
.
a) Considerando che laccelerazione dellelettrone `e data da,
a =
Ze
2
4m
y
r
3
,
si dimostri che durante il suo passaggio vicino al nulceo irradia lenergia,
(v
0
, b) =
e
6
Z
2
192
2
m
2
v
0
1
b
3
. (8.104)
265
Si confronti questo risultato con la formula esatta (8.81).
b) Si supponga ora di avere un fascio di elettroni incidenti di velocit`a v
0
. Si dimostri che
lirraggiamento ecace, denito come la potenza irraggiata W
rad
, divisa per il usso j
di elettroni incidenti, `e dato in generale da
32
,
(v
0
) =
_

0
(v
0
, b)2 b db W
rad
= (v
0
) j. (8.105)
Si noti che (v
0
) ha le dimensioni di (energia)(area).
c) Nel caso in questione lintegrale (8.105) diverge per b 0. Occorre, tuttavia, tenere
presente che 1) il calcolo di (v
0
, b) eseguito sopra `e valido per b grandi, e che 2) a
distanze piccole non si possono trascurare gli eetti quantistici. In Meccanica Quantistica
un cuto naturale `e fornito dal principio di indeterminazione, che suggerisce di stimare
la distanza di minimo avvicinamento d attraverso d mv
0
, ovvero, d /mv
0
. Si pu`o
allora dare una stima dellirraggiamento ecace, sostituendo lestremo inferiore dellinte-
grale in (8.105) con b d. Inserendovi la (8.104) e ripristinando la velocit`a della luce si
ottiene cos`,
(v
0
)
e
6
Z
2
96m
2
v
0
c
3
_

/mv
0
db
b
2
=
e
6
Z
2
96 m c
3
. (8.106)
Questa stima riproduce, in eetti, il corretto ordine di grandezza dellirraggiamento ef-
cace calcolato in Meccanica Quantistica. In realt`a si pu`o vedere che per un fascio non
relativistico di elettroni incidenti, ad esempio, su un solido, la perdita di energia per
irraggiamento (8.106) `e soppressa di un fattore (v
0
/c)
2
rispetto alla perdita di energia do-
vuta alle collisioni. Anche in questo caso il fenomeno dellirraggiamento diventa, dunque,
rilevante solo nel limite ultrarelativistico.
8.6 Si consideri una particella non relativistica in un ciclotrone come nel problema 8.1.
a) Si dimostri che la radiazione di dipolo magnetico `e assente.
b) Si determini la potenza emessa dovuta alla radiazione di quadrupolo, confrontandola
con quella della radiazione di dipolo.
c) Si determinino le frequenze presenti nella radiazione di quadrupolo. [Sugg.: si analizzi
la dipendenza da t r del secondo termine in (8.92).]
32
Con usso incidente si intende in generale il numero di particelle incidenti, che attraversano lunit`a
di supercie nellunit`a di tempo.
266
8.7 Si consideri un urto tra due particelle cariche non relativistiche identiche, nel sistema
di riferimento del centro di massa. Si stimi la potenza istantanea emessa durante lurto,
e la si confronti con la potenza istantanea emessa nellurto tra due particelle della stessa
massa, ma di carica opposta. Per la soluzione si veda il testo di L.D. Landau et. al.
33
,
paragrafo 71, problema 1.
33
L.D. Landau e E.M. Lifsits, Teoria dei Campi, Editori Riuniti, Roma, 1976.
267
9 La radiazione gravitazionale
Questo capitolo `e dedicato a un confronto tra la radiazione elettromagnetica e quella gravi-
tazionale, ed `e quindi di carattere pi` u speculativo, visto che la seconda attende tuttora un
riscontro sperimentale diretto. Per concretezza considereremo queste radiazioni nel limite
non relativistico, ovvero quando vengono generate da corpi che si muovono con velocit`a
piccole rispetto alla velocit`a della luce. In questo modo risulta appropriato lo sviluppo in
multipoli, e cos` avremo a disposizione formule sucientemente esplicite da permettere un
confronto concreto. Riporteremo le previsioni fatte dalla Relativit`a Generale omettendo
evidentemente le deduzioni, ma forniremo, ove possibile, argomentazioni euristiche. No-
nostante le onde gravitazionali attendano a tuttoggi una conferma sperimentale diretta,
esistono pochi dubbi sul fatto che qualsiasi corpo accelerato ne debba emettere, non per
ultimo perche le equazioni di Einstein le predicono come soluzioni. Resta comunque il
fatto curioso che no a pochissimo tempo fa, lunica traccia indiretta della loro esisten-
za proveniva dalla pulsar binaria PSR 1913+16, scoperta nel 1974 da R.A. Hulse e J.H.
Taylor, che nel 1993 valse ai suoi scopritori il premio Nobel
34
.
9.1 Onde gravitazionali e onde elettromagnetiche
Per quanto riguarda il confronto tra le onde elettromagnetiche e quelle gravitazionali i
risultati di questo capitolo possono essere riassunti come segue. 1) Mentre le onde elet-
tromagnetiche costituiscono soluzioni esatte delle equazioni di Maxwell, le equazioni di
Einstein ammettono come soluzioni onde gravitazionali solo nel limite di campo debole.
Questa approssimazione `e pi` u che giusticata, perche le onde gravitazionali, se esistono,
hanno sicuramente unintensit`a bassissima, altrimenti sarebbero gi`a state osservate. 2)
Cos` come la sorgente del campo elettromagnetico `e la quadricorrente j

, cos` la sorgente
del campo gravitazionale `e il tensore energiaimpulso T

del sistema, e cos` come una


carica elettrica accelerata emette onde elettromagnetiche, cos` qualsiasi corpo accelerato
emette onde gravitazionali. 3) Un sistema a simmetria sferica emette n`e onde elettroma-
gnetiche, n`e onde gravitazionali. 4) Le onde gravitazionali trasportano quadrimomento
34
Per osservazioni pi` u recenti si veda M. Kramer et. al, Tests of General Relativity from Timing the
Double Pulsar, Science 314, 97-102 (2006); astroph/0609417.
268
come quelle elettromagnetiche, ma rispetto alle ultime lintensit`a delle prime `e soppressa
di un fattore relativistico
_
v
c
_
2
. Questo segue dal fatto che le radiazioni di dipolo elet-
trico e magnetico nel caso gravitazionale sono assenti per qualsiasi sistema isolato, e
che il contributo dominante della radiazione gravitazionale `e quindi costituito dalla ra-
diazione di quadrupolo. 5) Ricordiamo che entrambi i tipi di onda sono onde trasversali a
due gradi di libert`a, che si propagano con la velocit`a della luce. Ma mentre le onde elet-
tromagnetiche hanno elicit`a 1, quelle gravitazionali hanno elicit`a 2. 6) Inne facciamo
notare, senza entrare nei dettagli, che il gruppo di simmetria di gauge dellinterazione
gravitazionale `e rappresentato dai dieomorsmi, ovverosia, da arbitrari cambiamenti
di coordinate,
x

(x),
che generalizzano le trasformazioni di Poincare, x

+ a

.
9.2 Le equazioni per un campo gravitazionale debole.
In questa sezione useremo da una parte argomenti di invarianza relativistica, e dallaltra
la stretta analogia esistente tra le forze gravitazionale e elettromagnetica a livello non
relativistico, per dedurre le equazioni di propagazione per un campo gravitazionale di
bassa intensit`a in modo euristico. Le equazioni che otterremo, vedi (9.10), si identicano
con le equazioni di Einstein nel limite di campo debole. Come vedremo, queste equazioni
hanno una struttura analoga a quella delle equazioni di Maxwell in gauge di Lorentz,
e sfruttando lesperienza accumulata con queste ultime non avremo nessuna dicolt`a a
risolvere le prime.
Cominciamo con la semplice osservazione che a livello non relativistico le interazioni
gravitazionale e elettromagnetica hanno in realt`a la stessa identica struttura. Le forze
quasistatiche tra due corpi sono infatti date da,

F
em
=
e
1
e
2
4r
3
r (9.1)

F
gr
= G
m
1
m
2
r
3
r, (9.2)
essendo G la costante di Newton. Corrispondentemente i potenziali scalari elettrico e
269
gravitazionale soddisfano le equazioni di tipo Poisson,

em
=
e
, (9.3)

gr
= 4G
m
, (9.4)
dove
e
`e la densit`a di carica elettrica e
m
la densit`a di massa. Queste equazioni eviden-
temente non sono covarianti per trasformazioni di Lorentz, ma nel caso elettromagnetico
sappiamo bene come modicare la (9.3) per renderla tale. Come primo passo dobbiamo
covariantizzare il Laplaciano sostituendolo con il dAlembertiano,
2

2
+
2
0
= 2,
ottenendo cos`,
2
em
=
e
. (9.5)
Come secondo passo dobbiamo assegnare un ben denito carattere tensoriale alle gran-
dezze coinvolte. A questo proposito ricordiamo che la densit`a di carica `e la componente
0 della quadricorrente,
e
= j
0
, e cos` possiamo concludere che anche il potenziale sca-
lare debba essere la componente 0 di un certo quadrivettore A

,
em
= A
0
. Imponendo
linvarianza di Lorentz arriviamo cos` a postulare lequazione,
2A

= j

. (9.6)
La conservazione della quadricorrente impone inne il vincolo,

= 0. (9.7)
Abbiamo eettivamente ottenuto le equazioni di Maxwell in gauge di Lorentz.
Cerchiamo ora di applicare la stessa strategia alla (9.4), per derivare unequazione
relativistica per il campo gravitazionale. Di nuovo cominciamo sostituendo la (9.4) con,
2
gr
= 4G
m
. (9.8)
Per individuare il multipletto tensoriale al quale appartiene il campo
gr
, dobbiamo allora
trovare il multipletto tensoriale al quale appartiene la densit`a di massa. A questo proposito
ricordiamo che in Relativit`a Ristretta la massa `e una forma di energia, e ci dobbiamo allora
aspettare che in una teoria relativistica della gravitazione il campo gravitazionale venga
generato non dalla massa, ma piuttosto dallenergia di un corpo. Sappiamo, infatti, che i
270
fotoni vengono deviati da un campo gravitazionale, pur non possedendo massa, ma solo
energia. Nella (9.8) dobbiamo quindi sostituire la densit`a di massa con la densit`a di
energia, che altro non `e che la componente 00 del tensore energiaimpulso,

m
T
00
.
Si noti che per un sistema di particelle non relativistiche T
00
si riduce di nuovo alla
densit`a di massa, vedi (2.80). Questa analisi ci induce dunque a considerare
gr
co-
me la componente 00 di un tensore doppio simmetrico H

, il campo gravitazionale.
Convenzionalmente si pone,

gr
=
1
4
H
00
.
La (9.8) si scrive allora,
2H
00
= 16GT
00
, (9.9)
che si covariantizza naturalmente in,
2H

= 16GT

. (9.10)
La legge di conservazione

= 0, analoga a

= 0, impone poi al campo gravita-


zionale il vincolo,

= 0. (9.11)
Confrontando la (9.10) con la (9.6) si vede che la sorgente del campo gravitazionale `e
il tensore energiaimpulso, cos` come la quadricorrente elettrica `e la sorgente del campo
elettromagnetico. Ma a parte questo, la struttura delle (9.10), (9.11) `e identica a quella
delle (9.6), (9.7), e la soluzione delle prime sar`a quindi immediata.
9.2.1 La relazione con le equazioni di Einstein
Le equazioni per il campo gravitazionale (9.10) costituiscono una covariantizzazione mi-
nimale della (9.4), in quanto realizzano linvarianza di Lorentz nel modo pi` u semplice.
In realt`a le equazioni di campo esatte, ovvero, le equazioni di Einstein, come postulate
dalla Relativi`a Generale, si riducono alle (9.10) solo nel limite di campo debole.
`
E infatti
immediato rendersi conto le (9.10) non possono descrivere la dinamica del campo gravita-
zionale in modo esatto. Il motivo principale `e che secondo la (9.10) il campo gravitazionale
271
sarebbe generato unicamente dal tensore energiaimpulso T

della materia, che per un


sistema di particelle cariche, per esempio, `e dato dalla (2.75). Questa equazione non tiene
dunque conto dellenergia e della quantit`a di moto trasportate dal campo gravitazionale
stesso. Occorre quindi completare il membro di destra della (9.10), aggiungendo il ten-
sore energiaimpulso T

gr
del campo gravitazionale. In analogia con il tensore T

em
del
campo elettromagnetico, T

gr
dovrebbe essere costruito con termini quadratici in H

, ma
secondo la Relativit`a Generale esso contiene tutte le potenze (H

)
N
, per N 2. Emerge
cos` la dierenza fondamentale tra le equazioni di Maxwell e quelle di Einstein: mentre le
prime sono lineari in A

in quanto il campo elettromagnetico non porta carica elettrica,


le seconde sono (altamente) non lineari in H

in quanto il campo gravitazionale porta


quadrimomento.
Facciamo tuttavia notare che, se il campo gravitazionale `e di intensit`a cos` bassa da
non (auto)inuenzare la sua propagazione, allora nella (9.10) il contributo T

gr
potr`a essere
trascurato.
Data la presenza di potenze di tutti gli ordini in H

, per ottenere il corretto com-


pletamento non lineare della (9.10), ovvero le equazioni di Einstein, `e necessario ricorrere
al principio di equivalenza, che a sua volta si traduce nella richiesta di invarianza sotto
dieomorsmi. Mentre questa costruzione esula dagli scopi di questo testo, spieghiamo
comunque in che modo il campo H

`e legato alla curvatura dello spaziotempo. Come


anticipato nel paragrafo 5.3.2, in presenza di un campo gravitazionale non nullo lintervallo
tra due eventi si scrive,
ds
2
= dx

dx

(x),
dove g

rappresenta la metrica di uno spaziotempo curvo. Se la scriviamo nella forma,


g

(x) =

+ h

(x),
allora il campo h

quantica lo scostamento della metrica, dalla metrica

dello spazio
tempo piatto. Dato che secondo Einstein `e la materia a curvare lo spazio, in assenza di
materia (e di onde gravitazionali) si dovr`a dunque avere h

= 0. Si denisce poi il campo


H

a partire da h

attraverso,
H

= h

1
2

, (9.12)
272
relazione che si inverte facilmente, dato che H

= h

,
h

= H

1
2

. (9.13)
Si dimostra allora che nel limite di campo debole, cio`e, per |h

| 1, ovvero |H

| 1,
le equazioni di Einstein per la metrica,
g

+ H

1
2

, (9.14)
si riducono alle equazioni (9.10), (9.11), per unopportuna scelta di gaugexing per i
dieomorsmi. Risolte queste ultime per H

, la (9.14) permette di determinare la metrica


in ogni punto dello spaziotempo.
Scelte alternative per il campo gravitazionale. A priori si orono due alternative per il
tipo di tensore da scegliere per il campo gravitazionale. La prima immediata emerge
se si riguarda
m
come la componente 0 della quadricorrente di massa, la quale per un
sistema di particelle `e data da,
J

m
=

r
m
r
_
u

r

4
(x y
r
) ds
r
. (9.15)
Seguirebbe infatti,
J
0
m
=

r
m
r

3
(x y
r
) =
m
.
In base alla (9.8) il campo
gr
sarebbe allora la componente 0 di un quadrivettore. Questa
scelta `e, tuttavia, in conitto con due fatti sperimentali fondamentali. In primo luogo in
questo modo costruiremmo una teoria relativistica della gravit`a, in completa analogia con
lElettrodinamica procedura che `e in palese contrasto con il fatto che la prima prevede
solo cariche positive, le masse, mentre la seconda prevede cariche di entrambi i segni.
In secondo luogo, data la (9.15) si conserverebbe la massa totale di un sistema, e non la
sua energia di nuovo in contrasto con lesperienza.
La seconda scelta alternativa consiste, invece, nel considerare
gr
come un quadrisca-
lare. Nel limite non relativistico le componenti T
0i
e T
ij
del tensore energiaimpulso sono
trascurabili rispetto a T
00
, vedi (2.80), e di conseguenza T

T
00
. Potremmo allora
identicare
m
con la traccia di T

. Al posto di (9.10) otterremmo allora lequazione,


2
gr
= 4GT

.
273
Tuttavia, essendo che T
em

= 0, qesta scelta implicherebbe che il campo elettromagnetico


non genera alcun campo gravitazionale, in contrasto con il fatto che i raggi luminosi in
un campo gravitazionale vengono deviati.
9.3 Irraggiamento gravitazionale
Nel limite di campo debole le equazioni del campo gravitazionale hanno dunque la stessa
struttura delle equazioni del campo elettromagnetico, di cui conosciamo tutte le soluzioni.
In questo limite, dunque, anche le equazioni del campo gravitazionale possono essere
risolte esattamente. In questa sezione riportiamo le soluzioni rilevanti e ne discutiamo le
conseguenze siche, specie in riferimento al fenomeno dellirraggiamento gravitazionale.
Come prima cosa osserviamo che nel vuoto, dove T

= 0, le (9.10) si riducono alle


equazioni delle onde,
2H

= 0. (9.16)
Come sappiamo, queste equazioni ammettono come soluzioni delle onde piane gravita-
zionali, e viste le (9.11), (9.12) `e immediato vericare che esse sono date proprio dalle
(5.92).
Viceversa, in presenza di un tensore energiaimpulso diverso da zero la (9.10) ammette
la soluzione esatta, vedi (6.56),
H

= 4 G
_
d
3
y
1
|x y|
T

(t |x y|, y).
A grandi distanze dalla sorgente nella zona delle onde possiamo ripetere lanalisi
asintotica svolta in sezione 8.1. Usando le stesse notazioni di quella sezione `e allora
immediato vedere che il campo gravitazionale nella zona delle onde `e dato da,
H

=
4 G
r
_
d
3
y T

(t r +n y, y), r = |x|, n =
x
r
. (9.17)
A grandi distanze il campo gravitazionale decade quindi come 1/r, come si conviene a un
campo di accelerazione. Come in sezione 8.1 si dimostra inoltre che, modulo termini di
ordine 1/r
2
, il campo (9.17) soddisfa le relazioni delle onde,

= n

, n

= 0, n
2
= 0, n

= (1, n). (9.18)


274
Con lo stesso argomento del pargrafo 8.1.2 si pu`o poi vedere che asintoticamente il campo
h

= H


1
2

risulta sovrapposizione di onde piane del tipo (5.92), come si


conviene a un campo di radiazione.
Inne, nel limite non relativistico si pu`o trascurare il termine n y, e si ottiene la
semplice espressione,
H

=
4G
r
_
d
3
y T

(t r, y). (9.19)
La potenza emessa. Passiamo ora allanalisi energetica della radiazione emessa. Per
eseguire questa analisi occorre conoscere lespressione esplicita del tensore energiaimpulso
del campo gravitazionale T

gr
, in termini di H

. Noto questo tensore si possono deter-


minare la distribuzione angolare della potenza emessa dW
gr
/d, e la potenza totale W
gr
,
in completa analogia con la componente = 0 della (7.40),
dW
gr
d
= r
2
_
T
0i
gr
n
i
_
, r , W
gr
=
_
dW
gr
d
d. (9.20)
Tuttavia, per derivare la forma esplicita di T

gr
`e necessario ricorrere alle equazioni
di Einstein esatte. Per il momento ci `e suciente sapere che nel limite di campo debole
esso risulta quadratico in H

, di modo tale che per r la (9.20) d`a luogo a un


risultato nito. Nella prossima sezione valuteremo la (9.20) esplicitamente, e lespressione
di W
gr
risultante sar`a in eetti molto semplice, vedi (9.25). In sezione 9.5 applicheremo
poi questa formula per valutare la perdita di energia della pulsar binaria PSR 1913+16,
causa emissione di onde gravitazionali, ne analizzeremo le conseguenze fenomenologiche
e le confronteremo con le osservazioni astronomiche di Hulse e Taylor.
9.3.1 Un argomento euristico per la formula di quadrupolo
Invece di passare direttamente al calcolo esplicito della (9.20), in questo paragrafo daremo
un argomento euristico basato ancora sullanalogia con lElettrodinamica per valutare
lordine di grandezza di W
gr
. Questo argomento ci permetter`a inoltre di comprendere
meglio il signicato sico del risultato. Prima di procedere ricordiamo che nella trattazione
svolta nora abbiamo supposto che

= 0, cio`e, che il sistema irradiante che stiamo


considerando sia isolato. Per valutare la potenza emessa `e infatti suciente considerare
la dinamica del sistema nellapprossimazione di ordine zero, cio`e, trascurando la forza di
frenamento gravitazionale.
275
Torniamo dunque allespansione non relativistica (8.95) della potenza elettromagnetica
emessa da un sistema carico,
W
em
=
1
6c
3

2
+
1
6c
5

2
+
1
80c
5

D
ij

D
ij
. (9.21)
Supponiamo ora che il sistema in questione sia formato da un certo numero di particelle,
con cariche e
r
e masse m
r
. Allora lanalogia fra la (9.1) e la (9.2) suggerisce di stimare la
potenza gravitazionale emessa dallo stesso sistema, operando nella (9.21) semplicemente
le sostituzioni,
e
r

4Gm
r
. (9.22)
Dato che a livello non relativistico lenergia `e dominata dalla massa, dovremo quindi
eettuare la sostituzione, vedi (2.89),
j

4GT
0
.
Se si ricordano le denizioni dei vari momenti di multipolo che compaiono nella (9.21), si
vede che questa procedura porta alla stima,
W
gr

2 G
3c
3

2
+
G
6c
5

2
+
G
20c
5

P
ij

P
ij
, (9.23)
dove

P =

r
m
r
v
r
`e la quantit`a di moto totale del sistema,

L =

r
y
r
m
r
v
r
`e il suo
momento angolare totale, e P
ij
`e il suo momento di quadrupolo gravitazionale ridotto,
P
ij
= P
ij

1
3

ij
P
kk
, P
ij
=
_
d
3
xx
i
x
j
T
00
. (9.24)
Ma siccome il sistema `e isolato abbiamo

P = 0 =

L, ed entrambi i contributi di dipolo


nella (9.23) sono allora nulli! In ultima analisi lassenza dei contributi di dipolo nella
radiazione gravitazionale `e conseguenza del principio di equivalenza, che assicura che la
carica gravitazionale di un corpo coincide con la sua massa: dopo la sostituzione (9.22)
il rapporto e
r
/m
r
diventa allora indipendente da r per qualsiasi corpo, eguagliando la
costante =

4G. E in questo caso sappiamo, infatti, che le radiazioni di dipolo sono


entrambe assenti, si vedano il paragrafo 8.3.2 e la sezione 8.4.
Resterebbe quindi solo il termine di quadrupolo. In realt`a nel prossimo paragrafo
vedremo che la valutazione esplicita della (9.20) conferma il risultato (9.23) a parte un
276
fattore moltiplicativo 4. Otterremo infatti,
W
gr
=
G
5c
5

P
ij

P
ij
. (9.25)
Questa `e la celebrata formula di quadrupolo per lirraggiamento gravitazionale. Essa
costituisce a tutti gli eetti la controparte gravitazionale dellanalogo risultato (8.40)
dellElettrodinamica,
W
em
=
1
6c
3

2
,
in quanto entrambe le formule danno il termine leading della potenza totale emessa in
approssimazione non relativistica. Previa lidenticazione e

4Gm si vede che lin-


tensit`a della radiazione gravitazionale, essendo di quadrupolo, `e soppressa di un fattore
(v/c)
2
rispetto alla radiazione elettromagnetica, che `e appunto di dipolo.
Teorema di Birkho. Facciamo, inne, notare che nella (9.25) la comparsa del momen-
to di quadrupolo ridotto (9.24) `e dovuta al fatto che il teorema di Birkho, vedi problema
2.5, vale anche per il campo gravitazionale, per il quale, in realt`a, originalmente `e stato
dimostrato. In Relativit`a Generale questo teorema aerma che il campo gravitazionale
prodotto da un sistema sferico nel vuoto, `e statico, e quindi un tale sistema non pu`o
emettere onde gravitazionali, ovvero W
gr
= 0. La formula (9.24) verica in eetti questo
teorema, perch`e per un sistema a simmetra sferica si ha T
00
= T
00
(t, r), e largomento
dato in (8.97) si estende allora immediatamente al momento di quadrupolo ridotto (9.24),
e ne segue che P
ij
= 0. Per un sistema sferico si ha quindi W
gr
= 0.
9.4 La potenza della radiazione di quadrupolo
In questa sezione deriviamo la (9.25) a partire dalla (9.20).
Punto di partenza `e lespressione per il tensore energiaimpulso del campo gravitazio-
nale, che viene fornita dalle equazioni di Einstein. Invece di riportare lespressione esatta,
diamo la sua forma nella zona delle onde, che risulta particolarmente semplice,
T

gr
=
n

32 G
_

H

1
2
(

H

)
2
_
. (9.26)
Scrivendo la (9.26) abbiamo omesso un termine proporzionale a una quadridivergenza,
277
del tipo,

= n

t
, (9.27)
dove W

`e un tensore bilineare in H

e

H

. Essendo una derivata totale rispetto al


tempo, questo termine non contribuisce quando si considera un sistema che compie un
moto periodico, e si media la potenza (9.20) nel tempo. In questo caso H

`e, infatti,
periodico nel tempo, e tale sar`a allora anche W

. Se un sistema compie, invece, un moto


aperiodico, ed `e accelerato per un intervallo temporale nito, allora il termine (9.27) non
contribuisce allenergia totale emessa, perch`e in quel caso per t

H

tende a zero, e
per t si annulla dunque anche W

. Si noti, inne, lanalogia formale tra la (9.26)


e lespressione corrispondente del tensore energiaimpulso del campo elettromagnetico
(5.83),
T

em
= n

(

A

).
Per la distribuzione angolare della potenza le (9.20), (9.26) danno allora,
dW
gr
d
=
r
2
32G
_

H

1
2
(

H

)
2
_
. (9.28)
Come nel caso elettromagnetico esprimiamo innanzitutto il membro destra di questa for-
mula in termini delle sole componenti spaziali H
ij
del campo gravitazionale. A questo sco-
po riprendiamo dalle (9.18) le identit`a algebriche n

= 0, che permettono di esprimere


tutte le componenti di

H

in termini delle sole



H
ij
,

H
00
= n
i
n
j

H
ij

H
0i
= n
j

H
ij
.
Inserendo queste espressioni nella (9.28) si ottiene facilmente,
dW
gr
d
=
r
2
32G

H
ij

H
lm

ijlm
, (9.29)

ijlm

il

jm

1
2

ij

lm
2
il
n
j
n
m
+
ij
n
l
n
m
+
1
2
n
i
n
j
n
l
n
m
, (9.30)
analoga alla (8.15) dellElettrodinamica. Per procedere `e pi` u conveniente riesprimere il
membro di destra della (9.29) in termini della parte di traccia di H
ij
, cio`e H
ii
, e della sua
parte a traccia nulla,
H
ij
H
ij

1
3

ij
H
kk
, H
ii
= 0.
278
Inserendo nella (9.29) lespressione,
H
ij
= H
ij
+
1
3

ij
H
kk
,
e svolgendo i calcoli si vede che la parte di traccia si cancella, e si ottiene,
dW
gr
d
=
r
2
32G

H
ij

H
lm

ijlm
, (9.31)

ijlm

il

jm
2
il
n
j
n
m
+
1
2
n
i
n
j
n
l
n
m
. (9.32)
I campi H
ij
, inne, sono dati dalle (9.19),
H
ij
=
4G
r
_
d
3
y T
ij
. (9.33)
Come ultimo passo facciamo vedere che questi campi sono legati in modo molto semplice
ai momenti di quadrupolo (9.24). Si dimostra infatti che vale lidentit`a,
_
d
3
xT
ij
=
1
2

P
ij
.
La dimostrazione sfrutta la conservazione del tensore energiaimpulso

= 0, che
comporta,

T
00
=
k
T
k0
,

T
0k
=
m
T
mk
,
e quindi,

T
00
=
k

T
k0
=
k

m
T
km
.
Integrando due volte per parti si ottiene allora,

P
ij
=
_
d
3
xx
i
x
j

T
00
=
_
d
3
xx
i
x
j

m
T
km
=
_
d
3
x
k

m
_
x
i
x
j
_
T
km
=
_
d
3
x
_

i
k

j
m
+
j
k

i
m
_
T
km
= 2
_
d
3
xT
ij
.
Concludiamo che nel limite non relativistico il campo gravitazionale nella zona delle onde
`e legato al momento di quadrupolo dalla semplice relazione
35
,
H
ij
=
2G
r

P
ij
, (9.34)
35
Ripristinando la velocit`a della luce e identicando nella (9.24) T
00
con la densit`a di massa
m
, la
(9.34) si scrive, H
ij
=
2G
rc
4

P
ij
. Rispetto alla (8.36) che `e una radiazione `e di dipolo ci si sarebbe
aspettati una potenza di 1/c
2
. Lulteriore fattore 1/c
2
`e dovuto al fatto che h

corrisponde al campo
gravitazionale, diviso c
2
.
279
da confrontare con la (8.36). Per questo motivo la radiazione rappresentata da H
ij
corrisponde a una radiazione di quadrupolo. Sottraendo dalla (9.34) la traccia si trova,
H
ij
=
2G
r

P
ij
,
e sostituendo in (9.31) si ottiene,
dW
gr
d
=
G
8

P
ij

P
lm

ijlm
.
In generale la distribuzione angolare della potenza `e quindi una funzione abbastanza
complicata degli angoli. Tuttavia, grazie agli integrali invarianti del problema 2.6 si
ottiene una formula molto semplice per la potenza totale,
W
gr
=
G
8

P
ij

P
lm
_

ijlm
d (9.35)
=
G
8

P
ij

P
lm
2
15
_

ij

lm
+ 11
il

jm
+
im

jl
_
=
G
5

P
ij

P
ij
, (9.36)
che `e la formula di quadrupolo (9.25).
9.5 La pulsar binaria PSR 1913+16
La formula appena derivata fornisce lenergia emessa nellunit`a di tempo da un sistema
non relativistico mediante onde gravitazionali, noto il momento di quadrupolo (9.24), e
quindi la sua densit`a di energia. Nel limite non relativistico la densit`a di energia `e a sua
volta dominata dalla densit`a di massa. Se il sistema `e composto da un certo numero di
particelle con massa M
r
e traiettorie y
r
(t), o pi` u in generale, da un certo numero di corpi
rigidi con moti rotazionali trascurabili, allora abbiamo dunque, vedi (2.89),
T
00
=

r
M
r

3
(x y
r
).
Di conseguenza otteniamo la semplice espressione,
P
ij
=
_
d
3
xx
i
x
j
T
00
=

r
M
r
_
d
3
xx
i
x
j

3
(x y
r
) =

r
M
r
y
i
r
y
j
r
. (9.37)
Derivandola tre volte rispetto al tempo, sottraendo la traccia e inserendo lespressione
risultante nella (9.25), si pu`o quindi calcolare facilmente lenergia che viene emessa nel-
lunit`a di tempo. Per i motivi spiegati sopra lentit`a di questa energia `e in generale
280
molto piccola, e quindi dicile da misurare. La verica sperimentale della (9.25) necessi-
ta dunque dellesistenza di particolari sistemi sici, in cui la radiazione gravitazionale sia
cos` intensa da poter essere rivelata sperimentalmente. In linea di principio ci sono due
possibilit`a diverse per stabilire la presenza di onde gravitazionali.
Osservazioni dirette. Siccome in W
gr
compaiono le derivate delle coordinate, linten-
sit`a della radiazione sar`a elevata se un sistema `e costituito da corpi con accelerazioni
molto violente e masse molto grandi. In questo caso dovrebbe essere possibile osservare
direttamente gli eetti del campo (9.34), anche se la durata delle accelerazioni `e molto
breve, come per esempio nelle supernovae. Le tecniche sperimentali per eettuare misure
di questo tipo impiegano antenne gravitazionali o dispositivi interferometrici.
Osservazioni indirette. Se un sistema sico `e soggetto ad accelerazioni troppo picco-
le, allora la radiazione gravitazionale emessa pu`o essere troppo poco intensa per essere
osservata sperimentalmente. Tuttavia, per la conservazione dellenergia il fenomeno del-
lirraggiamento gravitazionale comporta necessariamente una diminuzione dellenergia del
sistema irradiante. Anche se la potenza istantanea `e molto piccola, se il sistema irradia
abbastanza a lungo, compiendo per esempio un moto periodico, allora pu`o succedere che la
continua perdita di energia causa nel sistema eetti cumulativi cos` grandi da poter essere
rivelati sperimentalmente. Eetti di questo tipo possono essere, per esempio, variazioni
molto leggere delle velocit`a o delle dimensioni delle orbite di un sistema altrimenti sup-
posto periodico. Un sistema astronomico con queste caratteristiche `e stato scoperto da
R.A. Hulse e J.H. Taylor nel 1974, la pulsar binaria PSR 1913+16, la quale `e stata tenuta
sotto osservazione dagli scopritori per una decina di anni.
La pulsar PSR 1913+16 e la sua compagna ruotano una attorno allaltra su orbite
ellittiche pressoch`e newtoniane, di periodo T = 7.75h, a una distanza di 2 r 1.8
10
6
km. Il diametro di entrambe le stelle si stima di una decina di km. La pulsar si
trova inoltre in rotazione rapida attorno a un suo asse con periodo di spin 59 ms,
ed in corrispondenza emette impulsi elettromagnetici intervallati dallo stesso periodo.
Losserazione di questi impulsi, in particolare lanalisi delle oscillazioni del periodo di spin
dovute alleetto Doppler, causato dal moto orbitale, ha permesso di eettuare una serie
di misure molto precise sulla dinamica del sistema. Una caratteristica delle pulsar isolate
281
`e, infatti, costituita dal fatto che lintervallo tra due impulsi successivi resta costante
nel tempo, con una precisione che rasenta spesso quella degli orologi atomici.
Cos` `e stato possibile, per esempio, determinare le masse delle due stelle e leccentricit`a
dellorbita relativa, con precisione molto elevata. Se indichiamo con M
0
la massa del sole,
la massa della pulsar e quella della sua compagna valgono rispettivamente,
M
1
= 1.4414(2)M
0
, M
2
= 1.3867(2)M
0
,
mentre leccentricit`a dellorbita `e,
e = 0.617127(3).
Le misure eettuate su questo sistema hanno permesso, in particolare, di vericare diverse
previsioni della Relativit`a Generale in un regime di campi gravitazionali forti, ma il dato
sperimentale forse pi` u rilevante `e che il periodo orbitale T del sistema diminuisce nel
tempo, anche se molto lentamente. Le osservazioni eettuate da Hulse e Taylor nellarco di
circa un decennio, tra il 1974 e il 1987, hanno infatti rivelato che sussiste una diminuzione
costante e sistematica del periodo data da,
_
dT
dt
_
oss
= (2.4056 0.0051) 10
12
s/s. (9.38)
Si noti che in un anno il periodo di 7.75 ore diminuisce di soli 7 10
5
s.
Valutazione della formula di quadrupolo. Analizzeremo ora gli eetti dellemissione di
radiazione gravitazionale sul sistema stesso, in stretta analogia con lanalisi svolta per
latomo di idrogeno classico nel paragrafo 8.3.6. In questo caso svolgeremo lanalisi ap-
prossimando le traiettorie ellittiche con orbite circolari di raggio r, e assumendo che si
abbia M
1
= M
2
= M; la correzione dovuta alleccentricit`a non nulla sar`a introdotta alla
ne. Dai dati riportati si vede che la velocit`a delle stelle vale v/c = 2r/T 0.7 10
3
, e
quindi `e giusticata lapprossimazione non relativistica.
Per valutare la potenza irradiata (9.25) dobbiamo partire dal momento di quadrupolo
(9.37). Dato che abbiamo y
1
= y
2
y, si ottiene semplicemente,
P
ij
= 2M y
i
y
j
.
282
Sfruttando la cinematica del moto circolare uniforme e ponendo v
i
= y
i
si ottiene poi
facilmente,

P
ij
=
8Mv
2
r
2
_
y
i
v
j
+ y
j
v
i
_
.
Dato che y v = 0, segue che

P
ii
= 0, e quindi in questo caso abbiamo,

P
ij
=

P
ij
.
La (9.25) d`a allora immediatamente,
W
gr
=
128 GM
2
v
6
5r
2
c
5
. (9.39)
Per quanticare gli eetti della potenza emessa (9.39) sul sistema, procediamo come
nel caso dellatomo di idrogeno classico. Poniamo,
W
gr
=
d
dt
,
dove `e lenergia totale non relativistica del sistema. Dallequazione della forza centripeta,
M
v
2
r
=
GM
2
(2r)
2
v
2
=
MG
4r
,
si ottiene,
= 2
_
1
2
Mv
2
_

GM
2
2r
=
GM
2
4r
.
Daltra parte, siccome,
T
2
4
2
=
r
2
v
2
=
4r
3
MG
,
risulta che `e proporzionale a T
2/3
. Si conclude allora che il periodo diminuisce nel
tempo secondo la legge,
dT
dt
=
3
2
T

d
dt
=
12
5
TG
3
M
3
r
4
c
5
,
dove per
d
dt
abbiamo sostituito la (9.39). Inne, si pu`o vedere che la struttura el-
littica delle orbite modica questo risultato solo per un fattore correttivo dipendente
dalleccentricit`a,
dT
dt
=
12
5
TG
3
M
3
r
4
c
5
1 + 73e
2
/24 + 37e
4
/96
(1 e
2
)
7/2
.
Inserendo in questa formula i dati di Hulse e Taylor si conclude che la Relativit`a Generale
prevede per la diminuzione del periodo orbitale nel tempo il valore,
_
dT
dt
_
RG
= (2.40242 0.00002) 10
12
s/s.
283
La diminuzione del periodo osservata (9.38) `e quindi perfettamente consistente con le-
missione di onde gravitazionali, come prevista dalla Relativit`a Generale. Risulta infatti,
_
dT
dt
_
oss
_
dT
dt
_
RG
= 1.0013 0.0021.
9.6 Problemi
9.1 Si dimostri che lintegrale sugli angoli nella (9.35) d`a la (9.36).
9.2 Si consideri un sistema formato da due stelle identiche di massa M, che ruotano
una attorno allaltra su orbite circolari di raggio r, come in sezione 9.5.
a) Si dimostri che la potenza totale della radiazione gravitazionale emessa `e data dalla
(9.39).
b) Si esegua lanalisi spettrale della radiazione emessa.
284
10 Irraggiamento ultrarelativistico
La sica moderna ricorre frequentemente ad esperimenti che coinvolgono particelle cariche
con velocit`a molto elevate, spesso prossime alla velocit`a della luce. Per portarle a velocit`a
cos` elevate occorre fornire loro energia e, se le si vogliono connare a zone limitate, le loro
traiettorie devono, inoltre, essere curvate. Durante entrambi questi processi le particelle
sono sottoposte ad accelerazione ed emettono radiazione elettromagnetica, dissipando par-
te dellenergia accumulata. In questi casi la potenza emessa non pu`o pi` u essere valutata
tramite lo sviluppo in multipoli, valido nel limite non relativistico, ed occorrono strumenti
di calcolo che forniscono risultati esatti. In questo capitolo deriviamo un tale strumen-
to, la formula di Larmor relativistica, che sfrutteremo in particolare per quanticare la
dissipazione di energia negli acceleratori ad alte energie causa irraggiamento.
Nel capitolo 8 abbiamo sviluppato le basi per lanalisi della radiazione emessa da un ge-
nerico sistema carico. In particolare abbiamo visto che la valutazione del quadrimomento
emesso,
d
2
P

dt d
= r
2
_
T
i
em
n
i
_
= r
2
n

E|
2
, (10.1)
richiede la conoscenza del campo elettrico nella zona delle onde. In seguito ci occuperemo
principalmente della radiazione emessa da una singola particella, e in questo caso per

E
possiamo usare il campo asintotico di LienardWiechert (7.44),

E =
e
4 r
n [(n v) a]
(1 v n)
3
, (10.2)
in cui le variabili cinematiche sono valutate al tempo ritardato t

, determinato da,
t = t

+ r n y(t

). (10.3)
Derivando questa equazione rispetto a t

, tenendo r ed n ssati, otteniamo una relazione


che useremo pi` u volte in seguito,
dt
dt

= 1 n v(t

). (10.4)
Inserendo la (10.2) nella (10.1) si ottiene unespressione abbastanza complicata per la
distribuzione angolare del quadrimomento emesso. Tuttavia, in sezione 10.1 deriveremo
una semplice espressione per il quadrimomento totale
dP

rad
ds
, irradiato dalla particella
285
in tutte le direzioni nellunit`a di tempo proprio. La formula risultante costituisce la
generalizzazione relativistica della formula di Larmor. Eseguiremo, comunque, unanalisi
qualitativa della distribuzione angolare della radiazione di una particella ultrarelativistica
in sezione 10.3.
10.1 Generalizzazione relativistica della formula di Larmor
Consideriamo una particella carica in moto arbitrario. Per determinare
dP

rad
ds
dobbiamo
inserire la (10.2) nella (10.1), integrare lespressione risultante sullangolo solido, e mol-
tiplicare il risultato per u
0
= dt/ds. Questo calcolo `e istruttivo, sebbene un po lungo,
e lo eseguiremo esplicitamente nel paragrafo 10.1.2. Nel prossimo paragrafo ci avvalia-
mo, invece, di un metodo alternativo, e pi` u rapido, per determinare
dP

rad
ds
, basato su un
argomento di covarianza.
10.1.1 Un argomento di covarianza
Riprendiamo le formule per lenergia e la quantit`a di moto irradiate nellunit`a di tempo
da una particella non relativistica (8.41), (8.43),
d
dt
=
e
2
6
|a(t r)|
2
,
d

P
dt
= 0.
Ricordiamo che questo quadrimomento viene rivelato a un istante t a una distanza r dalla
particella, motivo per cui laccelerazione `e valutata allistante ritardato t r. Proprio
questa circostanza permette di interpretare lespressione,
dP

rad
dt
=
e
2
6
|a(t)|
2
(1, 0, 0, 0), (10.5)
come la frazione di quadrimomento emessa dalla particella allistante t, che raggiunge
linnito.
Ci`o premesso, consideriamo ora una particella che compie un moto arbitrario. Dato
che siamo in presenza di una sola particella, al posto del tempo possiamo considerare equi-
valentemente il tempo proprio, e chiederci quanto vale il quadrimomento
dP

rad
ds
irradiato
dalla particella nellunit`a di tempo proprio. In seguito assumeremo che questa quantit`a
286
sia un quadrivettore
36
. Per riallacciarci alla (10.5) consideriamo per ogni s ssato il si-
stema di riferimento K

, in cui la particella in quellistante `e a riposo, e quindi in regime


non relativistico. Secondo quanto stabilito sopra, in questo sistema di riferimento vale
allora,
dP

rad
ds
=
e
2
6
|a

|
2
u

, u

(1, 0, 0, 0), (10.6)


dove u

`e la quadrivelocit`a della particella in K

. Abbiamo posto dt

= ds, poiche
v

= 0. Inoltre, in K

la quadriaccelerazione nellistante considerato vale w

= (0, a

),
sicche abbiamo,
w
2
= w

= |a

|
2
.
La (10.6) si scrive allora,
dP

rad
ds
=
e
2
6
w
2
u

.
Dato che questa relazione eguaglia un quadrivettore a un quadrivettore, concludiamo che
essa vale in qualsiasi sistema di riferimento, e otteniamo dunque,
dP

rad
ds
=
e
2
6
w
2
u

, (10.7)
relazione che rappresenta la formula di Larmor relativistica. Rimarchiamo il fatto che
questa formula non esprime il quadrimomento totale emesso dalla particella allistante
s, ma solo la frazione che raggiunge linnito.
Dalla (10.7) si vede che a livello relativistico la radiazione trasporta anche quantit`a di
moto. Dato che
d
ds
= u
0
d
dt
, le componenti spaziali di questa formula danno infatti,
d

P
rad
dt
=
e
2
6
w
2
v,
che risulta, appunto, trascurabile se v 1. Allo stesso modo la componente tempora-
le della (10.7) fornisce per la potenza emessa da una particella relativistica la semplice
espressione,
W =
d
rad
dt
=
e
2
6
w
2
, (10.8)
36
Se dP

rad
/ds uguagliasse la perdita totale di quadrimomento della particella allistante s, questa ipotesi
sarebbe certamente soddisfatta. In eetti, come vedremo pi` u avanti, la particella perde localmente unul-
teriore porzione di quadrimomento, il termine di Schott, che tuttavia risulta essere separatamente
Lorentzcovariante. La nostra ipotesi si giustica, quindi, a posteriori.
287
generalizzazione diretta della formula di Larmor (7.52). Si noti che il secondo membro
della (10.8) `e Lorentzinvariante, sebbene in generale la potenza non sia uno scalare
relativistico. Nel caso in questione la Lorentzinvarianza di W `e una conseguenza del
fatto che
dP

rad
ds
u

.
a v e a v. Per confrontare la (10.8) con la formula di Larmor non relativistica
esprimiamo la prima in termini dellaccelerazione spaziale a, vedi problema 2.1,
W =
e
2
6
a
2
(a v)
2
(1 v
2
)
3
.
Per velocit`a piccole riotteniamo ovviamente la potenza di Larmor, ma per particelle ul-
trarelativistiche, a parit`a di accelerazione i fattori
1
1 v
2
danno luogo a una potenza
irradiata molto pi` u elevata. Analizziamo separatamente i moti per cui a v, e quelli per
cui a v,
W

=
e
2
a
2
6
1
(1 v
2
)
3
, W

=
e
2
a
2
6
1
(1 v
2
)
2
. (10.9)
Si vede che, a parit`a di accelerazione, per particelle ultrarelativistiche si avrebbe W

, e quindi in un moto rettilineo verrebbe emessa molta pi` u radiazione che non in
un moto con pura accelerazione centripeta. Tuttavia, questa analisi non tiene conto
delle accelerazioni che si possono raggiungere sperimentalmente in un caso e nellaltro e,
inoltre, non rapporta lenergia irradiata allenergia posseduta dalla particella. Vedremo,
ad esempio, che negli acceleratori ad alte energie la situazione `e, difatti, rovesciata, poiche
negli acceleratori circolari gli eetti dellirraggiamento sono molto pi` u incisivi che in quelli
lineari.
10.1.2 Derivazione della formula di Larmor relativistica
Vogliamo ora derivare la (10.7) a partire dalla relazione fondamentale (10.1). La nostra
derivazione di
dP

rad
ds
si basa sul calcolo del quadrimomento totale P

emesso lungo
tutta la traiettoria. Corrispondentemente supponiamo che la particella sia accelerata solo
durante un intervallo temporale limitato, oppure, che la sua accelerazione vada a zero con
suciente rapidit`a per t . In questo modo la particella emette radiazione solo per
un intervallo temporale limitato, e P

sar`a allora nito.


Il calcolo di P

parte dalla (10.1), una volta sostituito il campo elettrico (10.2). Tut-
tavia, per motivi di covarianza conviene sfruttare la prima espressione in (10.1), inserendo
288
per T

em
la forma asintotica (8.103) del problema 8.4,
T

em
=
e
2
[(un)
2
w
2
+ (wn)
2
]
16
2
(un)
6
r
2
n

. (10.10)
Risulta cos`,
d
2
P

dt d
=
e
2
[(un)
2
w
2
+ (wn)
2
]
16
2
(un)
6
n

. (10.11)
`
E un semplice esercizio fare vedere che si ottiene lo stesso risultato, se nella (10.1) si
sostituisce la (10.2). Per determinare P

dobbiamo integrare la (10.11) su tutti gli


angoli e su tutti i tempi,
P

=
e
2
16
2
_
d
_

dt n

_
w
2
(un)
4
+
(wn)
2
(un)
6
_
. (10.12)
Lintegrando in questa espressione dipende in modo complicato da t e n, perche u e w
sono valutati al tempo ritardato t

(t, x). Per semplicare lintegrale conviene allora passare


dalla variabile di integrazione t al tempo proprio s. Per ogni x ssato esiste, infatti, una
relazione biunivoca tra t e t

, vedi (10.3), e una relazione biunivoca tra t

ed s, vedi (7.4).
Usando la (10.4) si trova in particolare,
dt =
dt

ds
dt
dt

ds = u
0
(1 n v) ds = (un) ds,
sicche la (10.12) diventa,
P

=
e
2
16
2
_

ds
_
d n

_
w
2
(un)
3
+
(wn)
2
(un)
5
_
. (10.13)
Ora u

(s) e w

(s) sono valutati in s, che `e una variabile di integrazione indipenden-


te, e lintegrazione sugli angoli pu`o allora essere eseguita analiticamente. La eseguiamo
esplicitamente, per illustrare alcune tecniche che in sica teorica si usano frequentemente.
Lintegrale sugli angoli. Cominciamo notando che la funzione integranda in (10.13)
dipende dai parametri u e w, che sono soggetti ai vincoli u
2
= 1 e uw = 0. La tecnica
che useremo prevede di valutare lintegrale per vettori u e w generici, cio`e, non soggetti
a tali vincoli. Lintegrale che ci interessa sar`a poi ottenuto imponendo questi vincoli nel
risultato nale. Considerando, dunque, u

come una variabile libera, possiamo riscrivere


lintegrando di (10.13) come un gradiente rispetto a u

,
n

_
w
2
(un)
3
+
(wn)
2
(un)
5
_
=
1
2

_
w
2
(un)
2
+
1
2
(wn)
2
(un)
4
_
.
289
Portando la derivata rispetto a u

fuori dallintegrale sugli angoli otteniamo,


P

=
e
2
32
2
_

ds

u

_
d
_
w
2
(un)
2
+
1
2
(wn)
2
(un)
4
_
.
Ci siamo dunque ricondotti al calcolo di un unico integrale. Possiamo semplicare ulte-
riormente lintegrando notando lidentit`a,
(wn)
2
(un)
4
= w

(un)
4
=
1
6
w

2
u

1
(un)
2
,
e portando le derivate rispetto a u

di nuovo fuori dal segno di integrale,


P

=
e
2
32
2
_

ds

u

__
w
2
+
1
12
w

2
u

__
d
1
(un)
2
_
. (10.14)
Abbiamo quindi ricondotto lintegrale sugli angoli alla valutazione di un unico semplice
integrale, e al calcolo di qualche derivata. Sfruttando linvarianza per rotazioni spaziali
possiamo porre u

= (u
0
, 0, 0, u
3
), ottenendo cos`,
_
d
1
(un)
2
= 2
_

0
send
(u
0
u
3
cos)
2
=
4
(u
0
)
2
(u
3
)
2
=
4
u
2
.
La (10.14) diventa allora,
P

=
e
2
8
_

ds

u

__
w
2
+
1
12
w

2
u

_
1
u
2
_
. (10.15)
Il calcolo delle derivate `e elementare e d`a,

__
w
2
+
1
12
w

2
u

_
1
u
2
_
=
_
2
3
2u
2
_
w
2
u

(u
2
)
3
+
_
4
3
u
2
w

4(uw)u

_
uw
(u
2
)
4
=
4
3
w
2
u

,
dove nellespressione nale, valida per qualsiasi u e w, abbiamo imposto i vincoli sici
u
2
= 1, uw = 0. La (10.15) si riduce allora a,
P

=
e
2
6
_

w
2
u

ds. (10.16)
Vediamo, quindi, che il quadrimomento totale irradiato dalla particella risulta composto
da una somma di contributi individuali, ciascuno associato ad un istante di emissione s
ssato, dati da,
P

rad
(s) =
e
2
6
w
2
(s) u

(s)s, (10.17)
290
a conferma della (10.7), c.v.d.
Inne possiamo confrontare la (10.16) con il rate di emissione istantanea di quadrimo-
mento,
dP

ds
. La (10.16) si traduce infatti in,
_

dP

ds
ds =
e
2
6
_

w
2
u

ds.
Tuttavia, questa relazione non permette di concludere che
dP

ds
=
e
2
6
w
2
u

, ma solo che
esiste un quadrivettore G

(s) tale che,


dP

ds
=
e
2
6
w
2
(s) u

(s) + G

(s), con
_

(s) ds = 0. (10.18)
Vediamo, quindi, che lemissione istantanea `e composta da due termini. Il primo corri-
sponde ai contributi (10.17), che uiscono verso linnito, mentre il secondo corrisponde
a una serie di contributi G

(s)s, che vengono emessi e riassorbiti lungo la traiettoria, e


si integrano a zero. La (10.18) conferma cos` linterpretazione data alla formula di Larmor
relativistica dopo lequazione (10.7). Nel capitolo 14 vedremo che il quadrivettore G

(s)
risulta in eetti diverso da zero.
10.2 Perdita di energia negli acceleratori
In questa sezione applichiamo la formula per la potenza emessa (10.8) per valutare la per-
dita di energia negli acceleratori ad alte energie. Negli acceleratori il moto delle particelle
`e determinato essenzialmente dai campi elettrici e magnetici presenti lungo la traiettoria.
Deriveremo quindi dapprima una formula per la potenza emessa, nel caso in cui lacce-
lerazione delle particelle `e causata da un generico campo elettromagnetico esterno F

.
Applicheremo poi questa formula per analizzare la portata degli eetti radiativi negli ac-
celeratori ultrarelativistici. Troveremo che, mentre negli acceleratori lineari questi eetti
sono completamente trascurabili, negli acceleratori circolari le perdite di energia causate
dallirraggiamento possono diventare il fenomeno dinamico dominante a un punto tale
da limitare in modo sostanziale le energie massime raggiungibili.
Supponiamo di avere una particella carica che si muove sotto linuenza di un campo
elettromagnetico F

, sicche il suo moto `e determinato dallequazione di Lorentz,


dp

ds
= e F

. (10.19)
291
Possiamo sfruttare questa equazione per esprimere la quadriaccelerazione,
w

=
1
m
dp

ds
,
in termini dei campi e della quadrivelocit`a. Esplicitando la (10.8) risulta infatti,
W =
e
2
6m
2
dp

ds
dp

ds
=
e
2
6m
2
1
1 v
2
_

d p
dt

_
d
dt
_
2
_
,
e usando lequazione di Lorentz in notazione tridimensionale (2.19), (2.20), si ottiene
allora,
W =
e
4
6m
2
|

E +v

B|
2
(v

E)
2
1 v
2
. (10.20)
Questa formula fornisce la potenza in termini dei campi esterni valutati lungo la traietto-
ria y(t) della particella, per determinare la quale bisogna, tuttavia, risolvere lequazione
di Lorentz. La (10.20) risulta quindi particolarmente utile, quando la (10.19) pu`o essere
risolta esattamente, come ad esempio nel caso di campi costanti e uniformi. Occorre,
comunque, tenere presente che procedendo in questo modo si trascura leetto dellirrag-
giamento sulla forma della traiettoria, ovverosia, la forza di frenamento. Il valore ottenuto
per W tramite la (10.20) sar`a dunque attendibile, se la perdita di energia dovuta alla stessa
(10.20) `e piccola rispetto allenergia posseduta dalla particella, sicche induce solo piccole
perturbazioni della traiettoria.
Concludiamo queste considerazioni introduttive con unosservazione di carattere gene-
rale, riguardante la sica degli acceleratori. Riscriviamo la (10.20) in termini dellenergia
= m/

1 v
2
della particella,
W =
e
4

2
6m
4
_
|

E +v

B|
2
(v

E)
2
_
.
Dalle potenze di m che compaiono a denominatore si vede che, a parit`a di campi acceleranti
e di energia raggiunta, nel caso ultrarelativistico una particella leggera irradia molto di
pi` u di una particella pesante. La ragione sica di questo fatto `e essenzialmente che, a
parit`a di forza applicata, una particella leggera subisce unaccelerazione maggiore di una
particella pesante. Dal punto di vista della dissipazione di energia per irraggiamento, gli
acceleratori di protoni e/o antiprotoni, come LHC e TEVATRON, sono dunque molto pi` u
convenienti degli acceleratori di elettroni e positroni, come LEP, poiche m
p
2000 m
e
.
292
10.2.1 Acceleratori lineari
Applichiamo ora la (10.20) per analizzare leetto dellirraggiamento negli acceleratori li-
neari. In questi acceleratori le particelle sono sottoposte ad un campo elettrico

E parallelo
al loro moto, diciamo lungo lasse x, che fornisce loro la potenza esterna,
W
ex
=
d
dt
= e v E.
Daltra parte, ponendo nella (10.20)

B = 0, otteniamo,
W =
e
4
6m
2
E
2
. (10.21)
A prima vista questa formula sembra in conitto con lespressione di W

calcolata in
(10.9), in quanto sono scomparsi i fattori relativistici
1

1 v
2
. Tuttavia, dallequazione
di Lorentz per un moto unidimensionale,
m
d
dt
_
v

1 v
2
_
= e E,
si deduce, vedi problema 2.10,
a =
dv
dt
=
_

1 v
2
_
3
eE
m
,
e le due formule combaciano. Per valutare la rilevanza del secondo membro della (10.21),
rapportiamo la potenza emessa alla potenza fornita dal campo esterno,
W
W
ex
=
e
3
E
6m
2
v
=
2 r
0
3 mv
d
dx
, (10.22)
dove,
d
dx
=
1
v
d
dt
= eE,
rappresenta lenergia fornita dal campo esterno per unit`a di spazio percorso, ed r
0
=
e
2
/4m `e il raggio classico della particella. Per velocit`a elevate, v 1, la perdita di
energia per irraggiamento sarebbe quindi rilevante solo in presenza di campi esterni cos`
intensi, da fornire alla particella unenergia dellordine di grandezze della sua massa,
mentre essa percorre uno spazio dellordine di grandezza del suo raggio classico. Tuttavia,
i campi elettrici che si riescono a produrre sperimentalmente sono molto pi` u piccoli, e non
superano il valore E 100 MV/m, per cui,
d
dx
100 MeV/m. (10.23)
293
Daltra parte, a parit`a di campo esterno il rapporto (10.22) `e massimo per la particella
carica pi` u leggera, lelettrone, per cui m = 0.5 MeV e r
0
= 3 10
13
cm. In questo caso,
considerando il campo massimo (10.23), la (10.22) d`a,
W
W
ex
4 10
13
,
mentre per il protone si otterrebbe un rapporto ancora pi` u piccolo, dellordine di 10
19
. Si
vede, quindi, che negli acceleratori lineari ad alta energia il fenomeno dellirraggiamento
`e completamente trascurabile.
10.2.2 Acceleratori circolari
In un acceleratore circolare o ciclotrone una particella carica compie un moto circolare
uniforme, sotto linuenza di un campo magnetico B costante e uniforme. Lequazione di
Lorentz diventa allora,
du
dt
= u
_
e
m

1 v
2
B
_
,
da cui si ricava la frequenza relativistica di ciclotrone,

0
=
e B
m

1 v
2
=
e B

. (10.24)
In questo caso abbiamo

E = 0, e la (10.20) d`a,
W =
e
4
6m
2
v
2
B
2
1 v
2
=
e
2
6
v
2

2
0
(1 v
2
)
2
, (10.25)
da confrontare con la potenza di Larmor non relativistica,
W
0
=
e
2
a
2
6
, a =
veB
m
.
Per analizzare gli eetti dellirraggiamento calcoliamo lenergia emessa durante un
ciclo, che dura il tempo T = 2/
0
. Indicando il raggio dellorbita con R, sicche
0
= v/R,
otteniamo,
= T W =
e
2
3R
v
3
(1 v
2
)
2
=
e
2
v
3
3Rm
4

4
,
dove abbiamo introdotto lenergia della particella. Per particelle ultrarelativistiche nel
numeratore poniamo v = 1, e otteniamo cos` limportante formula dellirraggiamento nei
ciclotroni ultrarelativistici,
=
e
2
3R
_

m
_
4
. (10.26)
294
Questa formula impone, infatti, forti restrizioni sulle caratteristiche tecniche degli acce-
leratori circolari realizzabili in pratica. Vediamo in particolare che, a parit`a di energia
accumulata, leetto dellirraggiamento `e minore se si scelgono anelli grandi e particelle
pesanti.
Esempi di ciclotroni ad alta energia. Data la perdita di energia (10.26), se in un acce-
leratore circolare si vogliono mantenere le particelle in orbita ad energia costante, lungo
lanello di accumulazione devono essere disposti dei campi elettrici acceleranti delle
cosiddette cavit`a risonanti a radiofrequenza che compensano tale perdita. A titolo di
esempio valutiamo lenergia dissipata nel sincrotrone di elettroni di Cornell, che era attivo
dal 1968 al 1979. Questo acceleratore raggiungeva energie dellordine di = 10 GeV , ed
aveva un raggio di R = 100 m. La (10.26) d`a allora,
= 8.9MeV,

10
3
,
mentre le cavit`a risonanti erano in grado di fornire unenergia di 10.5 MeV per ciclo. Ad
unenergia di 10 GeV lacceleratore funzionava quindi al limite delle sue possibilit`a.
Come secondo esempio consideriamo lacceleratore circolare LEP, attivo presso il
CERN di Ginevra dal 1989 al 2000, che accumulava elettroni e positroni. In questo
caso il raggio `e di R = 4.3 km, e lenergia massima raggiunta per particella era di circa
100 GeV . La (10.26) d`a allora,
2 GeV,

2 10
2
,
che equivale a una diminuzione dellenergia del 2% durante ogni ciclo. Dato che in un
secondo le particelle compiono circa 11.000 giri, in assenza di cavit`a risonanti tutta lener-
gia accumulata si sarebbe quindi dispersa nella frazione di un secondo. In LEP il numero
di cavit`a risonanti presenti era infatti molto elevato, arrivando nella sua fase nale a 344,
e i limiti delle sue potenzialit`a erano dovute in larga misura proprio allirraggiamento.
Inne consideriamo lacceleratore LHC del CERN, che prevede la collisione tra due
fasci di protoni di energia = 7 TeV , sempre con R = 4.3 km. Dato che la massa di un
protone `e circa duemila volte quella di un elettrone, la (10.26) d`a ora un valore molto
piccolo,
3 keV,

0.5 10
9
,
295
sicche nellarco di unora lenergia dei protoni diminuirebbe solo del 2%. Corrispondente-
mente in LHC il numero di cavit`a risonanti presenti `e molto basso ce ne sono solo 8 per
fascio. In questo caso il limite delle potenzialit`a dellacceleratore `e dovuto essenzialmente
ai campi magnetici molto intensi necessari per curvare le traiettorie delle particelle. Dalla
(10.24) si vede, infatti, che per v 1 il campo magnetico `e proporzionale allenergia,
B = /eR: per LHC servono, dunque, campi magnetici 70 volte pi` u intensi di quelli di
LEP.
10.3 Distribuzione angolare nel limite ultrarelativistico
In questo paragrafo eettuiamo unanalisi qualitativa della distribuzione angolare della
radiazione emessa da una particella ultrarelativistica.
Prima di procedere ricordiamo le caratteristiche della distribuzione angolare della ra-
diazione di una particella non relativistica, v 1. In questo caso avevamo ottenuto, vedi
(8.46),
dW
d
=
e
2
|n a|
2
16
2
=
e
2
16
2
|a|
2
sen
2
, (10.27)
dove `e langolo tra a e n. In questo limite la potenza emessa ha dunque una distribuzione
angolare continua, con un massimo nel piano ortogonale allaccelerazione, ed uno zero
lungo la direzione dellaccelerazione. In particolare la (10.27) risulta indipendente dalla
direzione della velocit`a della particella. Vedremo ora che nel limite ultrarelativistico la
natura della distribuzione angolare cambia drasticamente.
Riprendiamo la formula generale per la distribuzione angolare dellenergia emessa
dW
d
= r
2
|

E|
2
, e vi inseriamo il campo elettrico asintotico (10.2). Risulta lespressione,
valida per velocit`a arbitrarie,
dW
d
=
e
2
16
2
|n [(n v) a]|
2
(1 v n)
6
. (10.28)
Per v 0 la (10.28) si riduce alla (10.27), mentre per v 1 landamento della prima
`e dominato dal fattore 1/(1 v n)
6
. Per velocit`a non relativistiche questo fattore `e
prossimo allunit`a, in qualsiasi direzione, mentre per velocit`a elevate esso diventa molto
grande lungo la direzione di volo v/v della particella. Per n = v/v si ha infatti,
1
1 v n
=
1
1 v
.
296
Per analizzare leetto di questo fattore pi` u in dettaglio riscriviamo la (10.28) come
prodotto di due termini,
dW
d
=
e
2
16
2

n [(n v) a]
(1 v n)

1
(1 v n)
4
, (10.29)
e distinguiamo i seguenti due casi.
Accelerazione generica. Consideriamo un istante in cui la velocit`a e laccelerazione
formano un generico angolo diverso da zero. Per n = v/v abbiamo,
n v
1 v n
= n, (10.30)
e quindi lungo la direzione di volo il primo fattore della (10.29) si riduce a
37
,

n [(n v) a]
(1 v n)

2
= |n a|
2
,
che `e indipendente dalla velocit`a. Daltra parte, lungo la direzione di volo il secondo fattore
della (10.29) vale 1/(1v)
4
, che per v 1 `e molto grande. Concludiamo, quindi, che una
particella ultrarelativistica con accelerazione generica emette radiazione principalmente
in avanti, lungo la direzione di volo.
Stimiamo lapertura angolare del cono con asse v, allinterno del quale viene emessa
la maggior parte della radiazione. Le direzioni n in questione devono essere tali che,
1 v n 1 v, (10.31)
di modo tale che il fattore 1/(1 v n)
4
nella (10.29) si mantenga vicino al suo massimo
1/(1 v)
4
. Indicando langolo tra n e v con , e sfruttando il fatto che questo angolo `e
piccolo, abbiamo,
1 v n = 1 v cos 1 v
_
1

2
2
_
1 v +

2
2
.
La (10.31) `e quindi valida per angoli dellordine di

1 v, oppure, che `e lo stesso,


1 v
2
. (10.32)
37
Unanalisi pi` u accurata mostra che per qualsiasi n vale,
1

n v
1 v n

1 v
2
,
dove, se `e langolo tra v e n, lestremo inferiore viene raggiunto per = 0 e = , mentre lestremo
superiore si raggiunge per sen =

1 v
2
. In realt`a, quindi, per v 1 il vettore (n v)/(1 v n)
diventa molto grande per

1 v
2
, sicche la (10.30) equivale a una stima per difetto.
297
In conclusione, una particella ultrarelativistica in moto generico irradia principalmente
lungo la direzione di volo, e la maggior parte della radiazione viene emessa nel cono con
asse v e apertura angolare

1 v
2
.
Accelerazione parallela alla velocit`a. Un caso speciale `e rappresentato dalle orbite ret-
tilinee, per cui a v, vedi paragrafo 10.2.1. Per tali orbite la (10.29) si riduce a,
dW
d
=
e
2
16
2
|n a|
2
(1 v n)
6
=
e
2
16
2
a
2
sen
2

(1 v cos)
6
, (10.33)
dove `e di nuovo langolo tra n e v. In questo caso la particella non emette radiazione
lungo la direzione di volo, perche
dW
d
si annulla in = 0. Tuttavia, studiando la funzione
f() che compare nella (10.33), non `e dicile vedere che nel limite ultrarelativistico
dW
d
ha un massimo molto pronunciato per

1 v
2
, vedi problema 10.3. Anche in questo
caso la maggior parte della radiazione viene dunque emessa nel cono con asse v e apertura
angolare

1 v
2
.
Da queste considerazioni di carattere generale segue, ad esempio, che un elettrone
ultrarelativistico in un ciclotrone emette radiazione principalmente nel piano dellorbi-
ta, attraverso un lampo spiraleggiante di tipo pulsar. Tale distribuzione angolare `e
radicalmente diversa da quella del ciclotrone non relativistico, vedi problema 8.1.
Energia osservata ed energia emessa. Concludiamo questa sezione con un commento
riguardo allinterpretazione della formula (10.28). Come osservato varie volte, questa
espressione fornisce lenergia della radiazione, che a un istante ssato t attraversa la
sfera di raggio r nellunit`a di tempo dt, in direzione n. Questa radiazione proviene dalla
posizione della particella allistante ritardato t

, tale che t = t

+ r n y(t

). Lenergia
emessa dalla particella tra gli istanti
1
e
2
`e allora data da,
d
d
=
_

2
+rny(
2
)

1
+rny(
1
)
dW
d
dt =
_

2

1
dW
d
(1 n v) dt

,
dove abbiamo usato la (10.4). Lenergia W

emessa dalla particella nellunit`a dt

del suo
tempo di accelerazione `e allora data da,
dW

d
=
d
2

dt

d
= (1 n v)
dW
d
. (10.34)
dW
d
rappresenta lenergia osservata da un osservatore lontano, mentre
dW

d
rappresenta
lenergia emessa dalla particella. La relazione tra queste due grandezze risulta pi` u chiara,
298
se si considera una terza quantit`a, ovvero, lenergia W
0
emessa dalla particella nellunit`a
di tempo proprio ds,
dW
0
d
=
dt

ds
dW

d
=
1

1 v
2
dW

d
=
1 n v

1 v
2
dW
d
,
ovvero,
dW
d
=

1 v
2
1 n v
dW
0
d
.
In questa formula su riconosce il fattore di proporzionalit`a delleetto Doppler (5.113), che
lega giustappunto linverso dellintervallo di emissione (la frequenza propria
0
1/s
di una sorgente in moto con velocit`a v), allinverso dellintervallo di ricezione (la frequenza
1/t rilevata da un osservatore statico).
Facciamo, comunque, notare che la presenza del fattore (1n v) nella (10.34) non in-
cia i risultati dellanalisi qualitativa della distribuzione angolare ultrarelativistica, svolta
sopra.
10.4 Problemi
10.1 Si dimostri che lenergia totale irradiata da una particella ultrarelativistica con
carica e, massa m e velocit`a v
0
, che passa con parametro dimpatto b grande accanto a
un nucleo statico di carica Ze, vale,
(v
0
, b) =
e
6
Z
2
192
2
m
2
b
3
v
0
1 v
2
0
/4
1 v
2
0
.
Si confronti questo risultato con quello del problema 8.5. [Sugg.: dato che v
0
1 e b
`e grande, la particella viene deviata poco e si pu`o assumere che il moto sia pressoch`e
rettilineo uniforme.]
10.2 Unonda piana polarizzata circolarmente, con campo elettrico dato da,

E(t, x) = (E
0
cos((t z)), E
0
sen((t z)), 0),
investe una particella carica relativistica.
a) Si dimostri che i moti stazionari della particella sono moti circolari uniformi, determi-
nandone velocit`a e raggio.
b) Per questi moti si determini la potenza totale irradiata dalla particella.
299
10.3 Si analizzi la distribuzione angolare della radiazione di una particella in moto
rettilineo (10.33), nel limite ultrarelativistico. Si individuino in particolare le direzioni di
emissione massima e minima, e le si confrontino con quelle del limite non relativistico.
300
11 Analisi spettrale
Nei capitoli precedenti abbiamo sviluppato gli strumenti per lanalisi energetica della ra-
diazione emessa da un generico sistema carico. In particolare abbiamo derivato formule
esplicite per lenergia emessa nellunit`a di tempo, e per la distribuzione angolare della
radiazione. Per alcuni sistemi siamo stati anche in grado di determinare le frequenze pre-
senti nella radiazione. Cos` abbiamo visto che lantenna lineare emette tutta la radiazione
sulla frequenza fondamentale, e che nel moto circolare la radiazione di dipolo contiene
solo la frequenza fondamentale, mentre la radiazione di quadrupolo contiene solo la pri-
ma armonica superiore, vedi problema 8.6. In generale la radiazione emessa da sistemi
relativistici `e distribuita su unampia banda di frequenze, e per molti sistemi sici dalle
molecole no alle pulsar lo spettro di emissione costituisce un codice genetico che li
rende facilmente riconoscibili. La grandezza sica rilevante `e la quantit`a di energia che
viene emessa tra le frequenze e + grandezza che quantica il peso con cui le
varie frequenze compaiono nella radiazione. Lo studio di questa grandezza viene chiamato
analisi spettrale, o anche analisi in frequenza, ed `e largomento principale di questo
capitolo.
Unaltra propriet`a sica importante della radiazione `e rappresentata dalla polarizzazio-
ne, poiche legata intimamente al carattere tensoriale del campo elettromagnetico. Daremo
le basi per la sua analisi in sezione 11.2. Lanalisi congiunta di queste due caratteristiche
della radiazione lo spettro e la polarizzazione in generale fornisce importanti infor-
mazioni sulla struttura del sistema che la emette, permettendo a volte di identicarlo in
modo univoco.
11.1 Analisi di Fourier e risultati generali
La soluzione generale delle equazioni di Maxwell nel vuoto corrisponde a una sovrapposi-
zione di onde piane monocromatiche, e lanalisi temporale di Fourier del campo elettro-
magnetico risultante equivale a unanalisi in frequenza, vedi (5.65). Corrispondentemente
nel paragrafo 8.1.2 abbiamo visto che anche il campo elettromagnetico prodotto da una
generica corrente nella zona delle onde `e sovrapposizione di onde elementari, e che lana-
301
lisi di Fourier temporale del campo risultante equivale ancora a unanalisi in frequenza.
Pi` u in concreto, usando per una corrente aperiodica la decomposizione spettrale (8.2),
`e possibile esprimere la trasformata temporale di Fourier del campo elettrico nella zona
delle onde

E(, x), direttamente in termini dei pesi spettrali

j(, x). Inserendo la (8.2)
nella (8.9) e usando la (8.11), si trova infatti,

E(t, x) =
1

2
_

e
it

E(, x) d, (11.1)
con,

E(, x)
i e
i r
4r
n
_
n
_
e
i n y

j(, y) d
3
y
_
. (11.2)
Se la corrente `e invece periodica, vedi (8.3), la trasformata di Fourier pu`o essere sostituita
con una serie di Fourier, ed `e immediato adattare le (11.1), (11.2) a questo caso. Per un
sistema generico lanalisi spettrale potrebbe essere basata sulla formula generale (11.2).
Tuttavia, dato che in questo capitolo siamo interessati prevalentemente alla radiazione
emessa da una singola particella, preferiamo procedere in un altro modo. Lanalisi spet-
trale della radiazione generata da una corrente j

generica verr`a, comunque, sviluppata


in sezione 11.5.
Analisi di Fourier. Sia

E(t, x) il campo elettrico di un generico sistema carico nella
zona delle onde. Per non appesantire la notazione in seguito ometteremo di indicare
esplicitamente la dipendenza da x, scrivendo

E(t) al posto di

E(t, x) e analogamente per
le trasformate. Nel caso di un sistema aperiodico valgono allora le relazioni,

E(t) =
1

2
_

e
it

E() d, (11.3)

E() =
1

2
_

e
it

E(t) dt, (11.4)
_

E(t)|
2
dt =
_

E()|
2
d = 2
_

0
|

E()|
2
d, (11.5)
dove la (11.5) discende dallidentit`a di Parseval. Se il sistema `e invece periodico, con
periodo T e frequenza fondamentale
0
= 2/T, il campo

E(t, x) pu`o essere sviluppato
in serie di Fourier temporale, e valgono le relazioni analoghe,

E(t) =

N=
e
iN
0
t

E
N
, (11.6)
302

E
N
=
1
T
_
T
0
e
iN
0
t

E(t) dt, (11.7)


1
T
_
T
0
|

E(t)|
2
dt =

N=
|

E
N
|
2
= 2

N=1
|

E
N
|
2
. (11.8)
Per scrivere lultima espressione nelle (11.5), (11.8) abbiamo sfruttato il fatto che il campo
elettrico `e reale, sicche,

() =

E(),

E

N
=

E
N
,
motivo per cui le frequenze vengono considerate positive. Inoltre, nella (11.8) abbia-
mo omesso il termine con N = 0. Il campo elettrico nella zona delle onde `e, infatti,
proporzionale alla derivata temporale del potenziale vettore, vedi (8.11),

E(t) =

t
_
n (n

A)
_
,
e siccome anche

A `e periodico, la (11.7) per N = 0 d`a dunque,

E
0
=
1
T
_
T
0

E(t) dt = 0.
Dalla (11.2) si vede che

E()

E(, x) dipende da r solo attraverso il fattore e
i r
/r,
cosicche questa grandezza `e essenzialmente una funzione di e di n = x/r. Analogamente

E
N
`e essenzialmente una funzione di n.
Riprendiamo ora la formula generale per la distribuzione angolare della radiazione
emessa,
dW
d
=
d
2

dt d
= r
2
|

E(t)|
2
. (11.9)
Sistemi aperiodici. Per una corrente aperiodica la grandezza sica di rilievo `e lenergia
totale emessa nellunit`a di angolo solido tra t = e t = +. Dato che in questo
caso le cariche del sistema sono sottoposte ad accelerazione per un tempo limitato, questa
energia sar`a nita. Utilizzando la (11.5) si ottiene allora,
d
d
=
_

dW
d
dt = r
2
_

E(t)|
2
dt = 2r
2
_

0
|

E()|
2
d.
Lenergia emessa nellintervallo unitario di frequenze nellunit`a di angolo solido `e quindi
data da,
d
2

d d
= 2r
2
|

E()|
2
, (11.10)
303
e lo spettro di frequenze presenti `e in generale un sottoinsieme continuo di R
+
.
Sistemi periodici. Per una corrente periodica lenergia totale emessa `e innita, e la
grandezza di rilievo `e allora la potenza media, ovvero, lenergia emessa durante un periodo
divisa il periodo. In questo caso utilizziamo la (11.8) ottenendo,
dW
d
=
1
T
_
T
0
dW
d
dt = r
2
1
T
_
T
0
|

E(t)|
2
dt = 2r
2

N=1
|

E
N
|
2
. (11.11)
La potenza della radiazione emessa con la frequenza
N
= N
0
nellangolo solido unitario
`e quindi data da,
dW
N
d
= 2r
2
|

E
N
|
2
. (11.12)
Le formule (11.10) e (11.12) costituiscono il punto di partenza per lanalisi spettrale di
un generico fenomeno radiativo. Insistiamo sul fatto che in tutte le formule scritte sopra

E(t, x) non indica il campo elettrico esatto, ma il campo elettrico nella zona delle onde.
11.2 Polarizzazione
Con il termine polarizzazione in generale ci si riferise alla direzione del campo elettrico,
campo che nella zona delle onde giace nel piano ortogonale alla direzione di propagazione
n. Il vettore

E(t)

E pu`o dunque essere decomposto lungo due direzioni ortogonali ad
n, identicate da due versori e
p
, p = 1, 2, soddisfacenti,
n e
p
= 0, e
p
e
q
=
p q
. (11.13)
La scelta di e
1
e e
2
dipende in generale dalla geometria del sistema che genera la radia-
zione. Se sperimentalmente si osserva anche la polarizzazione della radiazione, occorre
determinare lintensit`a della radiazione con polarizzazione lungo una data direnzione e
p
.
Per fare questo ripartiamo dalla formula generale (11.9), e inseriamo una completezza
nel modulo quadro del campo elettrico,
|

E|
2
= (e
1


E)
2
+ (e
2


E)
2
+ (n

E)
2
= (e
1


E)
2
+ (e
2


E)
2
. (11.14)
La (11.9) si scrive allora,
dW
d
= r
2
_
(e
1


E)
2
+ (e
2


E)
2
_
, (11.15)
304
e lintensit`a della radiazione con polarizzazione lungo e
p
`e dunque data da,
dW
p
d
= r
2
(e
p


E)
2
. (11.16)
Allo stesso modo dalle (11.10) e (11.12) si trova che i pesi spettrali della radiazione con
polarizzazione lungo e
p
sono dati rispettivamente da,
d
2

p
d d
= 2r
2
|e
p


E()|
2
, (11.17)
dW
p
N
d
= 2r
2
|e
p


E
N
|
2
. (11.18)
Polarizzazione lineare. Ricordiamo che la radiazione si dice polarizzata linearmente,
se

E ha direzione costante nel tempo. La radiazione in una data direzione n `e dunque
polarizzata linearmente, diciamo lungo e
1
, se e solo se vale,
| e
1


E| = |

E|, ovvero, e
2


E = 0. (11.19)
In questo caso le (11.15), (11.16) si riducono a,
dW
d
=
dW
1
d
,
dW
2
d
= 0. (11.20)
Si noti tuttavia che, se la radiazione non `e polarizzata linearmente, ovverosia, se `e pola-
rizzata ellitticamente, non esiste nessuna scelta degli e
p
per cui le (11.19) siano vericate.
Pu`o succedere, inoltre, che la radiazione sia polarizzata linearmente solo per certe fre-
quenze. In tal caso, per un campo periodico, le (11.19) devono essere sostituite con le
condizioni |e
1


E
N
| = |

E
N
|, ovvero, e
2


E
N
= 0, equivalenti a,
dW
N
d
=
dW
1
N
d
,
dW
2
N
d
= 0. (11.21)
Condizioni analoghe valgono per un campo aperiodico.
Polarizzazione circolare. Analizziamo ora il caso della polarizzazione circolare. Per
denitezza consideriamo il campo periodico (11.6) e selezioniamo una singola frequenza

N
= N
0
, sicche abbiamo,

E = e
iN
0
t

E
N
+ c.c.
Dal paragrafo 5.3.1 sappiamo che questa onda `e polarizzata circolarmente, se e solo se
vale la (5.81), ovvero se,
n

E
N
= i

E
N
. (11.22)
305
Per trovare un criterio semplice per individuare una tale polarizzazione, consideriamo una
coppia arbitraria di versori e
1
e e
2
, e sfruttiamo il fatto che e
2
= n e
1
. Si ottiene
allora,
|e
1


E
N
| = |e
1
(n

E
N
)| = |(n e
1
)

E
N
| = |e
2


E
N
|. (11.23)
Data la regola di somma |e
1


E
N
|
2
+ |e
2


E
N
|
2
= |

E
N
|
2
, e data larbitrariet`a di e
1
, ci`o
signica che nel caso di polarizzazione circolare la quantit`a |e

E
N
| `e indipendente da e,
essendo,
|e

E
N
| =
1

2
|

E
N
|, e. (11.24)
Daltra parte `e facile dimostrare che vale anche il contrario, ovvero, che la (11.24) implica
la (11.22). Concludiamo quindi che la radiazione con frequenza
N
in una direzione n `e
polarizzata circolarmente, se e solo se vale la (11.24). In tal caso vale in particolare,
dW
1
N
d
=
dW
2
N
d
, (11.25)
per ogni scelta degli e
p
. Risultati completamente analoghi valgono per il campo aperio-
dico.
Concludiamo questo paragrafo con qualche esempio. La radiazione monocromatica
dellantenna lineare della sezione 8.2 `e polarizzata linearmente per qualsiasi n, lungo la
direzione e
1
appartenente al piano contenente n e lasse z, si veda la (8.22).
`
E polarizzata
linearemente per ogni n pure la radiazione della diusione Thomson (8.57), se `e pola-
rizzata linearmente londa incidente, e in tal caso la polarizzazione `e lungo il versore e
1
appartenente al piano contenente n e

E
0
. Al contrario, come vedremo nel capitolo 12,
la radiazione del ciclotrone ha una struttura molto pi` u ricca, essendo polarizzata ellitti-
camente per ogni frequenza e per ogni n, esclusi lasse e il piano dellorbita. Sullasse `e
infatti polarizzata circolarmente, mentre nel piano dellorbita `e polarizzata linearmente
lungo la direzione e
1
parallela al piano.
11.3 Analisi spettrale nel limite non relativistico
Nel limite non relativistico le (11.10) e (11.12) assumono una forma abbastanza semplice,
poiche in tal caso il campo elettrico asintotico `e espresso in termini del momento di dipolo
306
del sistema, vedi (8.38),

E(t) =
1
4r
n
_
n

D(t r)
_
. (11.26)
Trattiamo separatamente i due tipi di corrente.
Corrente aperiodica. Denendo la trasformata di Fourier di

D(t) in modo standard,

D() =
1

2
_

e
it

D(t) dt, (11.27)
dalla (11.26) segue facilmente,

E() =

2
e
i r
4r
n
_
n

D()
_
,
da confrontare con la (11.2). La (11.10) d`a quindi,
d
2

d d
=

4
8
2

n

D()

2
. (11.28)
Integrando sugli angoli risulta,
d
d
=

4
3
|

D()|
2
. (11.29)
Inne, integrando la (11.29) sulle frequenze si ottiene per lenergia totale emessa,
=
1
3
_

0

4
|

D()|
2
d.
Frequenze caratteristiche: analisi qualitativa. Consideriamo ora una particella non re-
lativistica, che esegue un generico moto aperiodico. In questo caso il momento di dipo-
lo `e

D(t) = e y(t), e

D(t) = ea(t). La trasformata di Fourier di questa relazione d`a

D() = ea(), dove a() `e la trasformata di Fourier di a(t). La (11.29) fornisce


allora la distribuzione in frequenza,
d
d
=
e
2
3
|a()|
2
. (11.30)
Supponiamo ora che la forza

F(t) agente sulla particella sia caratterizzata da un tempo
caratteristico T. Dato che a(t) =

F(t)
m
, per le propriet`a della trasformata di Fourier
concludiamo allora che |a()| `e una funzione apprezzabilmente non nulla, per valori di
che si estendono circa no a 1/T. Vale dunque il seguente risultato generale circa
la distribuzione spettrale della radiazione emessa da una particella non relativistica in
307
moto aperiodico: se la forza alla quale `e sottoposta la particella varia su scale temporali
dellordine di T, allora la radiazione emessa `e concentrata principalmente in un intervallo
di frequenze limitato superiormente da,

1
T
. (11.31)
Corrente periodica. Per una corrente periodica deniamo i coecienti di Fourier,

D
N
=
1
T
_
T
0
e
iN
0
t

D(t) dt, (11.32)


e dalle (11.7), (11.26) segue allora,

E
N
=
(N
0
)
2
e
i N
0
r
4r
n
_
n

D
N
_
.
La (11.12) d`a quindi,
dW
N
d
=
(N
0
)
4
8
2

n

D
N

2
. (11.33)
Integrando sugli angoli risulta poi,
W
N
=
(N
0
)
4
3
|

D
N
|
2
. (11.34)
Inne, la somma

N=1
W
N
uguaglia la potenza totale media W.
Frequenze caratteristiche: analisi qualitativa. Consideriamo una particella non rela-
tivistica che compie un moto periodico. La relazione

D(t) = ea(t) implica ora che


(N
0
)
2

D
N
= ea
N
, dove a
N
`e il coeciente di Fourier Nesimo dellaccelerazione.
Questo coeciente pu`o essere riscritto come,
a
N
=
1
T
_
T
0
e
iN
0
t
a(t) dt =

2
T

A(N
0
),
dove

A() `e la trasformata di Fourier della funzione

A(t) = a(t)
[0,T]
(t). Per t [0, T]

A(t) coindice con a(t), mentre fuori da questo intervallo



A(t) `e zero. La (11.34) diventa
allora,
W
N
=
e
2
|a
N
|
2
3
=
2 e
2
|

A(N
0
)|
2
3T
2
. (11.35)
Dato che a(t) =

F(t)/m, se la forza esterna varia su una scala temporale dellordine
del periodo, in base al teorema di Fourier

A() `e sensibilmente diverso da zero per le
frequenze 1/T =
0
/2. Di conseguenza

A(N
0
) `e sensibilmente diverso da zero se
308
N
0

0
/2, ovvero, se N `e dellordine dellunit`a. In questo caso la particella emette
dunque principalmente sulle prime armoniche pi` u basse. Pi` u in generale, se la forza varia
pi` u rapidamente, diciamo su una scala temporale dellordine di T/k con k > 1, allora

A(N
0
) `e sensibilmente diverso da zero per frequenze tali che N
0
k/T = k
0
/2. In
questo caso la particella emette dunque principalmente sulle frequenze,

N
= N
0
, con N k. (11.36)
Moti armonici semplici. Consideriamo un sistema di particelle non relativistiche che
compiono moti armonici semplici,
y
r
(t) =

b
r
sen(
0
t) +c
r
cos (
0
t) ,
con lo stesso periodo T = 2/
0
per ogni r. Esempi di moti di questo tipo sono i moti
circolari uniformi, e i moti di oscillazione sinusoidale in una direzione. Un tale sistema
emette radiazione esclusivamente sulla frequenza fondamentale
0
. Infatti, in questo caso
da

D(t) =

r
e
r
y
r
(t) si ricava,

D
N
=

r
e
r
y
rN
,
dove y
rN
`e il coeciente di Fourier Nesimo di y
r
(t). Dato che y
rN
= 0 per N > 1, nella
(11.34) solo W
1
`e diverso da zero, c.v.d.
Insistiamo sul fatto che i risultati qualitativi di questo paragrafo valgono nel limite
non relativistico.
11.3.1 Bremsstrahlung a spettro continuo e catastrofe infrarossa
Illustriamo ora i risultati del paragrafo precedente nel caso di una particella non relativi-
stica, che attraversa una regione limitata con un campo elettrico

E costante e uniforme.
Laccelerazione `e allora diversa da zero solo per un tempo limitato, e la particella compie
un moto aperiodico. Di conseguenza essa emette radiazione Bremsstrahlung a spettro
continuo. Vogliamo determinare la forma dello spettro di emissione e confrontarlo, in
particolare, con la previsione generale (11.31).
Senza perdita di generalit`a supponiamo che la particella entri nella zona del campo
elettrico allistante t = T, e che ne esca allistante t = T. In questo intervallo la sua
309
accelerazione vale,
a =
e

E
m
,
mentre fuori dallintervallo essa `e nulla. La (11.30) richiede allora di valutare la trasfor-
mata di Fourier,
a () =
1

2
_

e
it
a(t) dt =
e

E
m
1

2
_
T
T
e
it
dt =
2 e

E

2 m
sen(T)

,
sicche si ottiene,
d
d
=
2 e
2
a
2
3
2
sen
2
(T)

2
. (11.37)
Questa funzione ha un massimo per = 0, e si annulla la prima volta per =

T
. Oltre
questo valore essa va rapidamente a zero, in accordo con la (11.31).
Deessione istantanea. Calcoliamo lenergia totale emessa durante lintera fase di ac-
celerazione. Per fare questo possiamo integrare la (11.37) su tutte le frequenze, usando
lintegrale,
_

0
_
senx
x
_
2
dx =

2
,
oppure applicare la formula di Larmor W = e
2
a
2
/6. Si ottiene,
=
_

0
d
d
d =
_
T
T
Wdt =
e
2
a
2
T
3
=
e
2
|v|
2
12 T
, (11.38)
dove abbiamo introdotto la dierenza tra le velocit`a iniziale e nale,
v v
f
v
i
= 2 Ta. (11.39)
Abbiamo, quindi, trovato un legame diretto tra lenergia irradiata, e la variazione della
velocit`a della particella, causa della radiazione. Vediamo ora come si comporta la distri-
buzione spettrale (11.37) nel limite in cui la durata del processo va a zero, a v ssato.
In questo limite il processo di deessione descrive un urto istantaneo. Sostituendo la
(11.39) nella (11.37) risulta,
lim
T0
d
d
= lim
T0
_
e
2
|v|
2
6
2
sen
2
(T)

2
T
2
_
=
e
2
|v|
2
6
2
. (11.40)
Si otterrebbe quindi uno spettro piatto in cui tutte le frequenze sono equiprobabili,
ancora in accordo con la (11.31). Daltra parte, in questo limite lenergia totale (11.38)
diverge. Concludiamo che la schematizzazione dellurto di una particella carica come
310
un processo istantaneo usata spesso negli studi teorici per via della sua semplicit`a
concettuale `e sicamente inconsistente, perche lenergia emessa sarebbe innita.
Catastrofe infrarossa. Concludiamo la trattazione di questo esempio mettendo in evi-
denza un fenomeno quantistico che viene chiamato catastrofe infrarossa. Ricordiamo
in proposito che radiazione elettromagnetica di frequenza a livello quantistico `e com-
posta da fotoni di energia . Possiamo allora chiederci quanti sono i fotoni emessi con
frequenze comprese tra e + d, la risposta essendo
38
,
dN
d
=
1

d
d
=
2 e
2
a
2
3
2

sen
2
(T)

3
.
Il numero di fotoni emessi con frequenze comprese tra
1
e
2
`e dunque dato da,
N(
1
,
2
) =
_

2

1
dN
d
d =
2 e
2
a
2
3
2

_

2

1
sen
2
(T)

3
d.
Si vede che il numero di fotoni duri, cio`e, di frequenza elevata, risulta nito, poiche
lintegrale N(
1
, ) `e nito. Al contrario, il numero di fotoni soci, cio`e, di frequenza
inferiore a una data frequenza
2
, `e innito, poiche per 0 si ha,
sen
2
(T)

3

T
2

,
e N(0,
2
) `e innito: nonostante lenergia totale irradiata (11.38) sia nita, il numero di
fotoni soci emessi durante il processo di accelerazione `e innito. Questo fenomeno sico
viene chiamato catastrofe infrarossa, in quanto legato alla presenza di inniti fotoni con
lunghezze donda tendenti a innito. Si badi che solo un numero nito di questi fotoni
`e osservabile sperimentalmente, perche qualsiasi apparato di misura ha una sensibilit`a
nita, potendo rivelare solo i fotoni che hanno unenergia al di sopra di una certa soglia

s
.
`
E importante notare che la catastrofe infrarossa `e un fenomeno generale dovuto uni-
camente dallaccelerazione della particella indipendentemente dalla forza che la provoca
e accompagna dunque qualsiasi processo durto che coinvolge particelle cariche. Per
farlo vedere consideriamo un arbitrario processo di deessione, in cui la velocit`a della
38
In generale la radiazione pu`o essere analizzata con strumenti classici, trascurando eetti quantistici,
quando le lunghezze donda coinvolte sono molto superiori alla lunghezza donda Compton,
C
=
/mc, cio`e, quando mc
2
/, che nel caso dellelettrone vuol dire 10
21
/s. La catastrofe infrarossa
riguarda le frequenze 0, per cui la trattazione classica `e quindi comunque valida.
311
particella subisce una variazione non nulla v = v
f
v
i
. Per 0 la trasformata di
Fourier dellaccelerazione tende allora a un valore nito diverso da zero,
lim
0
a() = lim
0
1

2
_

e
it
a(t) dt =
1

2
_

a(t) dt =
v

2
.
Dalla (11.30) si deduce allora che per 0 il numero di fotoni emessi si comporta come,
dN
d
=
1

d
d
=
e
2
|a()|
2
3

e
2
|v|
2
6
2

, (11.41)
e quindi N(0,
2
) =
_

2
0
dN
d
d `e sempre innito.
La catastrofe infrarossa nelle interazioni fondamentali. La catastrofe infrarossa `e le-
gata strettamente al fatto che il mediatore dellinterazione elettromagnetica il fotone
essendo privo di massa pu`o raggiungere energie arbitrariamente piccole. Dato che le-
nergia totale emessa `e nita, questo fenomeno non pu`o dunque avvenire nelle interazioni
deboli, i cui mediatori sono massivi, mentre `e presente sia nelle interazioni gravitazionali
che in quelle forti. Notiamo, tuttavia, che nelle interazioni forti, per via del fenomeno
del connamento, i gluoni soci non si presentano come particelle asintotiche libere,
perche adronizzano in pochissimo tempo, formando particelle massive.
Essendo un fenomeno di basse energie, la catastrofe infrarossa, analizzata qu` a livello
semiclassico, si ripresenta anche in teoria quantistica di campo, dove causa una seria di
problemi sia di carattere tecnico che concettuale. Mentre in Elettrodinamica Quantistica
il problema delle cosiddette divergenze infrarosse ha trovato una soluzione pragmatica,
in Cromodinamica Quantistica la teoria di campo che descrive le interazioni forti
questo problema attende tuttora una soluzione. La dicolt`a risiede nel fatto che ciascun
gluone soce, possedendo carica di colore, emette a sua volta inniti gluoni soci, e cos`
via. Al contrario, un fotone soce `e elettricamente neutro e non pu`o a sua volta emettere
ulteriori fotoni soci. In Elettrodinamica Quantistica le divergenze infrarosse sono quindi
pi` u facili da controllare.
Inne, al contario di quello che si potrebbe pensare, nelle interazioni gravitazionali ed
elettromagnetiche il fenomeno infrarosso si presenta in modo molto simile.
`
E vero che
una particella massiva accelerata emette gravitoni soci i quali, essendo gravitazional-
mente carichi, vale a dire, possedendo energia, emettono altri gravitoni soci, e cos` via.
Tuttavia, la costante di accoppiamento gravitazionale, ovvero, la carica gravitazionale, `e
312
proprio lenergia, ed avendo un gravitone soce unenergia che tende a zero, la proba-
bilit`a di emissione di ulteriori gravitoni soci `e molto soppressa. Per questa ragione gli
unici gravitoni soci che sopravvivono sono quelli primari, emessi dalle particelle massive.
Questi gravitoni sono, dunque, analoghi ai fotoni soci emessi dalle particelle cariche in
Elettrodinamica e come fatto vedere da S. Weinberg essi possono essere controllati
alla stessa maniera di questi ultimi.
11.3.2 Bremsstrahlung a spettro discreto
Consideriamo una particella non relativistica che compie un moto periodico di periodo T
lungo un arco di circonferenza di raggio R, con legge oraria,
y(t) = (Rcos(t), Rsen(t), 0), (t) =
0
sen(
0
t), 0 <
0
< /2,
dove
0
= 2/T `e la frequenza fondamentale, e
0
`e lelongazione. Questo moto non `e
armonico semplice, e la particella emette allora radiazione con frequenze
N
= N
0
, per
ogni N 1. Tuttavia, dato che in questo caso laccelerazione varia sulla scale temporale
dellordine di T, secondo il risultato generale (11.36) con k = 1, la particelle dovrebbe
emettere solo sulle prime armoniche pi` u basse. Eseguiamo ora esplicitamente lanalisi
spettrale di questo sistema, vericando in particolare queste previsioni.
Per calcolare la potenza totale mediata su un ciclo usiamo la formula di Larmor,
W =
e
2
6
a
2
.
Dato che,
a
2
= (R )
2
+
_
R
2
_
2
= R
2

4
0
_

2
0
sen
2
(
0
t) +
4
0
cos
4
(
0
t)
_
,
un semplice conto fornisce,
W =
e
2
R
2

4
0
6
_
1
2

2
0
+
3
8

4
0
_
.
Per calcolare la potenza che la particella emette sulla frequenza
N
= N
0
, occorre
valutare i coecienti di Fourier del momento di dipolo

D(t) = e y(t),

D
N
=
1
T
_
T
0
e
i N
0
t

D(t) dt =
eR
T
_
T
0
e
i N
0
t
(cos(t), sen(t), 0) dt. (11.42)
313
Funzioni di Bessel. Gli integrali di cui sopra possono essere espressi in termini delle
funzioni di Bessel di ordine intero N,
J
N
(y) =
1
2
_
2
0
e
i(Nxy senx)
dx =
1

_

0
cos(Nx y senx)d x, (11.43)
di cui elenchiamo alcune propriet`a. Esse soddisfano le relazioni,
J
N
(y) = J
N
(y) = ()
N
J
N
(y), (11.44)
e inoltre,
1
2
_
2
0
e
i(Nxy senx)
cosxdx =
N
y
J
N
(y), (11.45)
1
2
_
2
0
e
i(Nxy senx)
senxdx = i J

N
(y). (11.46)
La (11.45) discende dallidentit`a,
_
2
0
d
dx
e
i(Nxy senx)
dx = 0,
mentre la (11.46) `e immediata. Si hanno poi gli andamenti asintotici,
J
N
(y)
_
2
y
cos
_
y

4
(2N + 1)
_
, per y , N ssato, (11.47)
J
N
(y)
1
N!
_
y
2
_
N
, per y 0, N ssato, (11.48)
J
N
(y)
1
N!
_
y
2
_
N
, per N , y ssato. (11.49)
Il coincidere degli ultimi due andamenti `e da considerarsi una casualit`a.
Data la (11.43) la valutazione degli integrali nella (11.42) `e ora immediata,

D
N
=
eR
2
_
J
N
(
0
) + J
N
(
0
),
1
i
(J
N
(
0
) J
N
(
0
)), 0
_
.
Per la potenza irradiata sulla frequenza Nesima otteniamo allora, in denitiva,
W
N
=
(N
0
)
4
3
|

D
N
|
2
=
e
2
R
2
(N
0
)
4
3
J
2
N
(
0
),
e il teorema di Parseval assicura poi che,
W =

N=1
W
N
.
314
Cerchiamo ora di capire quali sono i W
N
che contribuiscono maggiormente a questa som-
matoria. Per fare questo sfruttiamo gli andamenti asintotici delle funzioni di Bessel di cui
sopra. Ricordando la formula di Stirling N! N
N
, per N grandi otteniamo landamento
leading,
W
N
W
=
N
4
J
2
N
(
0
)
1
4

2
0
+
3
16

4
0

1
N
2N
, (11.50)
sicche le armoniche superiori sono comunque fortemente soppresse.
Possiamo considerare, inoltre, il caso di elongazioni
0
piccole, e di elongazioni del-
lordine dellunit`a. Per
0
piccoli possiamo rapportare la potenza emessa sullarmonica
fondamentale, alla potenza totale,
W
1
W
=
J
2
1
(
0
)
1
4

2
0
+
3
16

4
0
= 1
2
0
+ o
_

4
0
_
,
dove abbiamo utilizzato lo sviluppo
J
1
(x) =
x
2

x
3
16
+ o(x
5
). (11.51)
Per elongazioni piccole quasi tutta la potenza viene, quindi, emessa sullarmonica fon-
damentale. Ma anche scegliendo elongazioni dellordine dellunit`a, la situazione resta
qualitativamente la stessa. Per
0
= 1, che corrisponde a unelongazione di circa 60
o
, la
(11.50) d`a infatti,
W
N
W
=
16
7
N
4
J
2
N
(1).
Usando per J
N
(1) i valori tabulati si ottiene,
W
1
W
= 0.43,
W
1
+W
2
W
= 0.91,
W
1
+W
2
+W
3
W
= 0.98.
Si vede, quindi, che praticamente tutta lenergia viene emessa sulle prime armoniche pi` u
basse, a verica della (11.36) con k = 1.
11.4 Analisi spettrale relativistica
In questa sezione studiamo lo spettro di una generica particella relativistica. Nel paragra-
fo 11.4.1 deriviamo formule esatte per lo spettro di emissione di una particella generica,
vedi (11.60), (11.64), formule che nel paragrafo 11.4.2 applicheremo per determinare le
315
frequenze caratteristiche della radiazione di una generica particella ultrarelativistica, men-
tre nel capitolo 12 le sfrutteremo per eseguire lanalisi spettrale della radiazione di una
particella in un ciclotrone relativistico.
11.4.1 Spettro di emissione di una particella singola
Consideriamo una particella carica in moto arbitrario, e riprendiamo il suo campo elettrico
asintotico (10.2),

E(t, x) =
e
4r
n [(n v) a]
(1 v n)
3
. (11.52)
Per determinare la distribuzione in frequenza della radiazione emessa dobbiamo inserire
questa espressione rispettivamente nelle (11.4) e (11.7), e usare poi formule generali (11.10)
e (11.12). Di nuovo trattiamo separatamente moti periodici e aperiodici.
Moto periodico. Per un moto periodico si tratta di valutare, per ogni x ssato, il
coeciente di Fourier,

E
N
=
1
T
_
T
0
e
iN
0
t

E(t, x) dt. (11.53)
Prima di procedere dobbiamo ricordarci che le variabili v e a che compaiono nella (11.52)
non sono valutate allistante t, ma allistante ritardato t

tale che,
t = t

+ r n y(t

). (11.54)
Nellintegrale (11.53) conviene allora passare dalla variabile di integrazione t alla variabile
t

. Siccome x `e tenuto sso, la misura di integrazione cambia secondo la (10.4),


dt = (1 n v(t

)) dt

. (11.55)
Usando queste relazioni la (11.53) si scrive allora come un integrale lungo la traiettoria,

E
N
=
e
4r
e
iN
0
r
1
T
_
T
0
e
iN
0
(t

n y(t

))

n [(n v(t

)) a(t

)]
(1 v(t

) n)
2
dt

. (11.56)
Si noti che, poiche la legge oraria y(t

) `e periodica, la (11.54) assicura che, se t corre lungo


un periodo, anche t

corre lungo un periodo. Lintegrale nella (11.56) `e quindi di nuovo


tra 0 e T. Dora in poi indicheremo la variabile di integrazione t

di nuovo con t. La
(11.56) pu`o essere ulteriormente semplicata usando le relazioni,
n [(n v) a]
(1 v n)
2
=
d
dt
_
n (n v)
(1 v n)
_
, (11.57)
d
dt
e
i N
0
(tn y)
= iN
0
(1 v n) e
i N
0
(tn y)
. (11.58)
316
Con unintegrazione per parti si ottiene allora,

E
N
=
ieN
0
4r
e
iN
0
r
n
_
n
1
T
_
T
0
e
iN
0
(tn y)
v dt
_
. (11.59)
La (11.12) fornisce allora per la distribuzione angolare della potenza emessa sulla frequenza

N
= N
0
, in denitiva,
dW
N
d
= 2r
2
|

E
N
|
2
=
e
2
(N
0
)
2
8
2

n
1
T
_
T
0
e
i N
0
(tn y)
v dt

2
, (11.60)
dove abbiamo usato lidentit`a |n (n

V )| = |n

V |, valida per qualsiasi vettore



V .
Limite non relativistico. La (11.60) fornisce la distribuzione in frequenza della radia-
zione emessa da una particella con velocit`a arbitraria, nota la sua legge oraria y(t).
`
E
immediato vericare che nel limite non relativistico questa formule si riduce alla (11.33),
ricavata in sezione 11.3. In questo limite il termine n y nellesponente della (11.60) `e
infatti trascurabile, e scrivendo v =
dy
dt
, unintegrazione per parti muta allora la (11.60)
in,
dW
N
d

e
2
(N
0
)
4
8
2

n
1
T
_
T
0
e
i N
0
t
y dt

2
.
Questa espressione coincide con la (11.33), poiche per una particella singola si ha,

D
N
=
1
T
_
T
0
e
i N
0
t

D(t) dt =
e
T
_
T
0
e
iN
0
t
y dt.
Moto aperiodico. Per un moto aperiodico si procede in modo del tutto analogo. Inse-
rendo la (11.52) nella (11.4) in questo caso risulta,

E() =
e
4r
e
i r
1

2
_

e
i(tn y)

n [(n v) a]
(1 v n)
2
dt (11.61)
=
ie
4r
e
i r
n
_
n
1

2
_

e
i(tn y)
v dt
_
. (11.62)
La (11.10) d`a allora i pesi spettrali,
d
2

d d
= 2r
2
|

E()|
2
=
e
2
8
2

2
_

e
i(tn y)

n [(n v) a]
(1 v n)
2
dt

2
(11.63)
=
e
2

2
8
2

n
1

2
_

e
i (tn y)
v dt

2
. (11.64)
317
Occorre, tuttavia, fare una precisazione sullinterpretazione dellintegrale pi` u semplice
che compare nella (11.64). Lintegrazione per parti basata sulle (11.57), (11.58), che ha
permesso di passare dalla (11.61) alla (11.62), non pu`o, infatti, essere eseguita in modo
naiv. Il motivo `e che il termine al bordo dellintegrazione per parti, al contrario del
caso periodico, ora `e situato allinnito temporale, e lintegrando non ammette limite per
t , per la presenza dei fattori oscillanti e
i(tn y)
. Per ovviare a questa dicolt`a,
prima di eseguire lintegrazione per parti conviene regolarizzare lintegrale nella (11.61),
introducendo ad esempio un cuto temporale L,
_

dt
_
L
L
dt,
ed eseguire lintegrazione per parti con L nito. Per L il termine al bordo an-
cora non ammette limite, ma esso va a zero se questo limite viene eseguito nel senso
delle distribuzioni nella variabile . Questa procedura `e quindi lecita, purche lintegrale
improprio nella (11.62) vada considerato come limite nel senso delle distribuzioni.
Per illustrare come la (11.62) sia ben denita solo nel senso delle distribuzioni, veri-
chiamo che per una particella in moto rettilineo uniforme, per cui y(t) = v t, si ottiene

E() = 0 , in accordo con il fatto che una particella non accelerata non emette radiazione.
Si noti che in questo caso la (11.61), che `e comunque ben denita, d`a il risultato corretto,
poiche a(t) = 0. Volendo usare la (11.62) si tratta, invece, di valutare lintegrale,
_

e
i t(1n v)
v dt S

lim
L
_
L
L
e
i t(1n v)
v dt.
Ricordando la rappresentazione della di Dirac,
S

lim
L
_
L
L
e
ik x
dk = 2 (x),
risulta lespressione ben denita nello spazio delle distribuzioni,
_

e
i t(1nv)
v dt =
2v
1 n v
().
Tuttavia, nella (11.62) questo integrale appare moltiplicato per , e dato che () = 0,
risulta in eetti

E() = 0.
Inne, `e immediato vedere che nel limite non relativistico la (11.64) si riduce alla
(11.28). In realt`a, anche questultima risulta ben denita solo se la trasformata di Fourier
(11.27) viene eseguita nel senso delle distribuzioni.
318
11.4.2 Frequenze caratteristiche nel limite ultrarelativistico
Eseguiamo ora unanalisi qualitativa dello spettro emesso da una generica particella ultra-
relativistica, in moto aperiodico. In particolare vogliamo individuare le frequenze su cui
una particella ultrarelativistica emette la maggior parte della radiazione. A questo propo-
sito ricordiamo, come abbiamo fatto vedere in sezione 11.3, che nel limite non relativistico
le frequenze dominanti arrivano no a,

1
T
, (11.65)
se T `e la scala temporale caratteristica della forza.
Lorbita di una particella che viaggia con velocit`a elevata v 1, localmente si discosta
poco da una traiettoria rettilinea. Langolo di scattering , che `e langolo tra la direzione
incidente e quella uscente, sar`a quindi molto piccolo, cos` come `e molto piccola lapertura
angolare del cono entro il quale viene emessa la maggior parte della radiazione. Dalla se-
zione 10.3 sappiamo, infatti, che vale

1 v
2
. Nellanalisi spettrale ultrarelativistica
occorre distinguere i casi , e .
Langolo di scattering . Per dare una stima dellangolo di scattering supponiamo che
la particella sia soggetta alla forza di Lorentz,
d p
dt
= e(

E +v

B),
d
dt
= ev

E,
e che i campi esterni siano sensibilmente diversi da zero solo in una regione spaziale
limitata, di dimensioni lineari L. Ne segue che una particella ultrarelativistica percepisce
questi campi per una durata caratteristica T L. Per le variazioni della quantit`a di moto
e dellenergia tra lo stato iniziale e quello nale otteniamo allora,
| p| = e

E +v

B) dt

eF T, = e
_

v

E dt eF T, (11.66)
dove abbiamo posto v 1, e indicato con F un valore caratteristico dei campi elettrico
e magnetico. Dato che la particella viene deessa poco, langolo di scattering `e uguale al
modulo della dierenza tra le direzioni uscente ed entrante,
=

v
f
v
f

v
i
v
i

,
319
dove v
i
e v
f
sono le velocit`a iniziale e nale. Poiche v = p/ si ottiene,
=

_
v
v
_

_
p
| p|
_

.
Da | p| =

2
m
2
segue che | p| =

| p|
, e quindi,

_
p
| p|
_

p
| p|

p
| p|
2

1
| p|
( p v )

1 v
2
m
( p v ) .
Usando le (11.66) risulta quindi la stima,

1 v
2
m
eF T. (11.67)
Si ottiene allora,


eF T
m
, (11.68)
rapporto che `e indipendente dalla velocit`a della particella, ma dipende solo dalle carat-
teristiche del campo esterno. La (11.68) pu`o essere interpretata come il rapporto tra la
frequenza di ciclotrone non relativistica
eF
m
, vedi (10.24), e la frequenza
1
T
di un moto
aperiodico non relativistico,


_
eF
m
_
_
1
T
_ . (11.69)
Frequenze caratteristiche per . Consideriamo ora il caso in cui . In questa
situazione la maggior parte della radiazione viene emessa allinterno del cono centrato in
v
i
v
f
v, di apertura , il cui asse durante il moto praticamente non cambia. Pertanto
`e suciente analizzare la radiazione emessa nellimmediata vicinanza della direzione di v,
sicche nella formula generale (11.63) possiamo porre,
n
v
v
, n v (1 v) n, y(t) v t.
Si ottiene cos`,
d
2

d d

e
2
8
2

n
1 v

1

2
_

e
i t(1v)
a(t) dt

e
2
8
2
(1 v)
2
|n a((1 v))|
2
,
dove a((1 v)) `e la trasformata di Fourier di a(t), calcolata in (1 v). Dato che la
particella percepisce la forza esterna per un tempo limitato T, a(t) varia sensibilmente
320
sulla scala temporale T. In base al teorema di Fourier la funzione a((1 v)) `e allora
apprezzabilmente diversa da zero per valori di per cui (1 v) (1 v
2
) <
1
T
. In
termini dellenergia della particella la maggior parte della radiazione viene quindi emessa
entro le frequenze caratteristiche,

1
T
1
1 v
2
=
1
T
_

m
_
2
, (11.70)
da confrontare con la (11.65).
Per lo spettro della radiazione di una particella ultrarelativistica `e quindi
spostato molto verso le frequenze alte. Da un punto di vista quantistico questo vuol dire
che la particella emette principalmente fotoni duri, cio`e, molto energetici, mentre nel
caso non relativistico la particella emette fotoni molto pi` u soci, cio`e, poco energetici.
Si noti, comunque, che per velocit`a arbitrarie si ha 1/T v/L, sicche a parit`a di campi
esterni, e quindi di L, rispetto alla (11.70) la (11.65) presenta in realt`a un ulteriore fattore
di depressione v/c.
Frequenze caratteristiche per . Se langolo di scattering `e grande rispetto ad ,
la direzione di emissione cambia sensibilmente durante il moto, e la radiazione emessa in
una data direzione n proviene solo da quel piccolo arco della traiettoria, lungo il quale
la velocit`a della particella forma con n un angolo inferiore a

1 v
2
. Chiamando
x la lunghezza di questo arco, e ricordando che durante lintero percorso di lunghezza
L T la direzione della traiettoria cambia di un angolo , avremo che lungo questo arco
la direzione della velocit`a cambia di un angolo,
x
T
.
Poiche questo angolo `e uguale ad , otteniamo per la lunghezza dellarco in questione la
stima,
x

T T.
Dato che x `e, dunque, molto minore di T, lungo questo arco i campi possono essere
assunti costanti, e dato che larco `e piccolo, esso potr`a inoltre essere approssimato con
un arco di circonferenza. Siccome, per di pi` u, abbiamo che v 1, su questo arco il
moto sar`a pressoche circolare uniforme. Possiamo allora anticipare il risultato (12.21)
321
del capitolo 12, che fornisce le frequenze caratteristiche della radiazione emessa da una
particella ultrarelativistica in moto circolare uniforme in quel caso in presenza di un
campo magnetico costante e uniforme B. Previa la sostituzione B F la (12.21) d`a
allora le frequenze caratteristiche,

eF
m
_

m
_
2
. (11.71)
Queste frequenze mostrano la stessa dipendenza dallenergia della (11.70), ma il coe-
ciente di proporzionalit`a corrisponde ora alla frequenza di ciclotrone non relativistica
eF
m
, al posto di
1
T
.
In base alla (11.69) possiamo riassumere i risultati di questo paragrafo aermando che
una particella ultrarelativistica emette radiazione con frequenze caratteristiche,

_

m
_
2
, (11.72)
dove

`e la pi` u grande tra le frequenze fondamentali


eF
m
e
1
T
.
11.5 Spettro di emissione di una corrente generica
In questa sezione determiniamo la distribuzione spettrale della radiazione prodotta da
una corrente j

generica, non composta necessariamente da particelle puntiformi. Distin-


gueremo di nuovo quadricorrenti periodiche, e quadricorrenti aperiodiche.
11.5.1 Corrente periodica
Una corrente periodica con periodo T =
2

0
ammette uno sviluppo in serie di Fourier nella
coordinata temporale, e una rappresentazione in trasformata di Fourier nelle coordinate
spaziali,
j

(x) =
1
(2)
3/2

N=
_
d
3
p e
i(N
0
t p x)
J

N
( p). (11.73)
Eseguendo le antitrasformate si ottengono i coeciente di Fourier,
J

N
( p) =
1
T
_
T
0
dt
1
(2)
3/2
_
d
3
xe
i(N
0
t p x)
j

(x). (11.74)
Utilizziamo lo sviluppo (11.73) per valutare il potenziale (8.9) e il campo elettrico (8.11)
nella zona delle onde. I pesi spettrali possono poi essere determinati con le formule generali
322
(11.7), (11.12). Inserendo la (11.73) nella (8.9) si ottiene,

A =
1
4r (2)
3/2

N=
_
d
3
p
_
d
3
y e
i N
0
(tr+n y)
e
i p y

J
N
( p)
=
1
4r (2)
3/2

N=
_
d
3
p
_
d
3
y e
i N
0
(tr)
e
i( pN
0
n) y

J
N
( p).
Lintegrale in d
3
y d`a luogo alla di Dirac tridimensionale,
_
d
3
y e
i( pN
0
n) y
= (2)
3

3
( p N
0
n),
la quale permette a sua volta di eseguire lintegrale in p,

A =

2
2r

N=
_
d
3
p e
iN
0
(tr)

3
( p N
0
n)

J
N
( p)
=

2
2r

N=
e
iN
0
(tr)

J
N
(N
0
n).
Dalla (8.11) si ottiene allora il campo elettrico,

E(t) =
i

2
2r
n
_
n

N=
N
0
e
iN
0
(tr)

J
N
(

k)
_
,
dove abbiamo posto

k = N
0
n. Confrontando questa espressione con la (11.6) si vede
che i coecienti di Fourier del campo elettrico sono dati da,

E
N
=
i

2
2r
N
0
e
iN
0
r
n (n

J
N
(

k)).
Inserendoli nella (11.12) si trova, inne, una semplice formula per i pesi spettrali,
dW
N
d
= (N
0
)
2

n

J
N
(

k)

2
. (11.75)
Questa formula viene presentata spesso in modo leggermente diverso, sfruttando la con-
servazione della quadricorrente. Usando la rappresentazione (11.73) si ottiene, infatti,

(x) =
i
(2)
3/2

N=
_
d
3
p
_
N
0
J
0
N
( p) p

J
N
( p)
_
e
i(N
0
t p x)
= 0,
da cui segue lidentit`a,
J
0
N
( p) =
p

J
N
( p)
N
0
.
323
Ponendo p =

k = N
0
n si ottiene allora,
J
0
N
(

k) = n

J
N
(

k),
e quindi,

n

J
N
(

k)

2
= |

J
N
(

k)|
2
|n

J
N
(

k)|
2
= J

N
(

k)J
N
(

k). (11.76)
La (11.75) pu`o allora essere posta nella forma alternativa,
dW
N
d
= (N
0
)
2
J

N
(

k)J
N
(

k). (11.77)
Lantenna lineare. Esemplichiamo luso della (11.75), riderivando la formula (8.24)
per la distribuzione angolare della radiazione emessa da unantenna lineare. Riprendiamo
la corrente (8.20) dellantenna,

j(t, x) = I (x) (y) sen


_

_
L
2
|z|
__
cos(t) u, I =
I
0
sen
_
L
2
_, (11.78)
dove u `e il versore lungo lasse z. Questa corrente `e monocromatica, con frequenza
0

e periodo T = 2/, e pertanto i coecienti J

N
( p) in (11.74) con N = 1 sono tutti nulli.
Lantenna emette infatti solo sullarmonica fondamentale, e dalla (11.75) per N = 1 si
ottiene,
dW
d
=
dW
1
d
=
2

n

J
1
(

k)

2
. (11.79)
Per valutare

J
1
(

k) dobbiamo inserire la (11.78) nella (11.74), e porre p =



k = n. Si
ottiene,

J
1
(

k) =
I u
T(2)
3/2
_
T
0
dt e
it
cos(t)
_
d
3
xe
i n x
(x) (y) sen
_

_
L
2
|z|
__
=
I u
2(2)
3/2
_
L/2
L/2
dz e
i cosz
sen
_

_
L
2
|z|
__
=
I u
(2)
3/2
_
L/2
0
dz cos ( cosz) sen
_

_
L
2
z
__
,
dove `e langolo tra lasse z e n. Lintegrale in z `e elementare e porta a,

J
1
(

k) =
I u
(2)
3/2
sen
2

_
cos
_
L
2
cos
_
cos
L
2
_
.
Inserendo questa espressione nella (11.79), e notando che |n u| = sen, si riottiene la
(8.24).
324
Particella singola. Nel caso di una particella singola la (11.75) si deve ridurre alla
(11.60). Per vericarlo dobbiamo determinare i coecienti di Fourier (11.74) della corrente
spaziale,

j(x) = ev(t)
3
(x y(t)). (11.80)
Inserendola nella (11.74) ed eseguendo lintegrale su x, si ottiene,

J
N
( p) =
e
T
_
T
0
dt
(2)
3/2
_
d
3
xe
i(N
0
t p x)
v
3
(x y) =
e
T
_
T
0
dt
(2)
3/2
e
i(N
0
t p y)
v.
Ponendo p =

k = N
0
n risulta allora,

J
N
(

k) =
e
(2)
3/2
T
_
T
0
dt e
i N
0
(tn y)
v.
Sostituendo questa espressione nella (11.75) si riottiene in eetti la (11.60).
11.5.2 Corrente aperiodica
Nel caso di un sistema carico aperiodico la corrente ammette una rappresentazione in
trasformata di Fourier in tutte e quattro le variabili, e possiamo scrivere,
j

(x) =
1
(2)
2
_
d
_
d
3
p e
i( t p x)
J

(, p), (11.81)
dove,
J

(, p) =
1
(2)
2
_
d
4
xe
i( t p x)
j

(x). (11.82)
Procediamo come sopra, inserendo la (11.81) nella (8.9). Come prima, lintegrale su y d`a
luogo alla di Dirac (2)
3

3
( p n), che permette poi di eseguire lintegrale su p. Si
ottiene cos`,

A =
1
4r (2)
2
_
d
3
y
_
d
_
d
3
p e
i (tr+n y)
e
i p y

J(, p)
=
1
2r
_
d
_
d
3
p e
i (tr)

3
( p n)

J(, p)
=
1
2r
_
d e
i (tr)

J(, n).
Dalla (8.11) si ottiene allora il campo elettrico,

E(t) =
i
2r
n
_
n
_
d e
i (tr)

J(k)
_
,
325
dove largomento k

di

J `e denito da k
0
= ,

k = n. Confrontando questa formula
con la (11.3) si trova per la trasformata di Fourier temporale del campo elettrico,

E() =
i

2
2r
e
i r
n (n

J(k)).
Sostituendo questa espressione nella (11.10) si ottiene la distribuzione spettrale,
d
2

d d
=
2

n

J(k)

2
. (11.83)
Sfruttando ancora la conservazione della corrente

= 0, dalla (11.81) si ricava lidentit`a


J
0
(, p) = p

J(, p), che per p =

k = n d`a,
J
0
(k) = n

J(k).
La (11.83) pu`o allora essere scritta anche come, vedi (11.76),
d
2

d d
=
2
J

(k)J

(k). (11.84)
`
E immediato fare vedere che nel caso di una particella singola la (11.83) si riduce alla
(11.64). Inserendo la (11.80) nella (11.82), ed eseguendo gli stessi passaggi di cui sopra,
si arriva infatti a,

J(k) =
e
(2)
2
_

dt e
i (tn y)
v. (11.85)
Sostituendo questa espressione nella (11.83) si riottiene la (11.64). Tuttavia, come gi`a no-
tato nel paragrafo 11.4.1, lintegrale presente nella (11.85) in generale non converge. Nella
procedura qu` adottata lorigine di questa divergenza `e evidente: la (11.85) rappresenta
la trasformata di Fourier della distribuzione

j(x), e come tale doveva essere eseguita nel
senso delle distribuzioni. Un modo per farlo a posteriori consiste nellintrodurre nella
(11.85) unopportuna regolarizzazione, ad esempio restringendo lintegrale in t tra L ed
L come illustrato nel paragrafo 11.4.1, e nelleseguire poi il limite per L nel senso
delle distribuzioni.
11.6 Problemi
11.1 Si consideri una carica relativistica che passa accanto a un nucleo statico a grandi
distanze, come nel problema 10.1.
326
a) Si determinino le frequenze caratteristiche emesse dalla particella nel limite non rela-
tivistico, v
0
1.
b) Quali sono le frequenze caratteristiche emesse in una data direzione n, se la velocit`a
v
0
`e arbitraria? [Sugg.: si usi la (11.63).]
327
12 La radiazione di ciclotrone
La radiazione emessa da una carica in moto circolare uniforme viene chiamata radiazione
di ciclotrone. Tale radiazione si genera, in particolare, ogniqualvolta una carica si trovi in
presenza di un campo magnetico statico, che vari poco nell spazio. Radiazione di ciclotrone
viene dunque emessa negli acceleratori circolari ultrarelativistici, ma si produce anche nel
campo magnetico terreste e nel campo magnetico che avvolge il pianeta Giove. Alcune
delle sorgenti ultrarelativistiche pi` u spettacolari di questa radiazione sono extraterrestri,
e fra queste la pi` u nota `e la Nebulosa del Granchio. In questo capitolo analizziamo le
propriet`a principali della radiazione di ciclotrone, tra cui la distribuzione in frequenza,
la distribuzione angolare, e le propriet`a di polarizzazione, e vedremo che essa possiede
caratteristiche molto peculiari soprattutto nel limite ultrarelativistico tali da renderla
facilmente riconoscibile sperimentalmente.
In un moto circolare uniforme con raggio R, velocit`a angolare
0
e velocit`a v =
0
R,
la particella compie un moto periodico con periodo T = 2/
0
. Sappiamo allora che essa
emette radiazione con frequenze,

N
= N
0
, N = 1, 2, 3, .
Conosciamo anche lespressione della potenza totale emessa (10.25),
W =
e
2
6
v
2

2
0
(1 v
2
)
2
. (12.1)
Se il moto circolare `e causato da un campo magnetico, dal paragrafo 10.2.2 sappiamo
inoltre che la velocit`a angolare la frequenza di ciclotrone `e data da,

0
=
eB

, =
m

1 v
2
. (12.2)
In seguito considereremo, tuttavia, un generico moto circolare uniforme, indipendente-
mente dalle cause che lo generano.
12.1 Ciclotrone non relativistico
Prima di arontare il caso generale stabiliamo le caratteristiche della radiazione nel limite
non relativistico v 1, in modo da avere un termine di paragone. Dato che il moto `e
328
armonico semplice, dalla sezione 11.3 sappiamo che in questo limite la particella emette
radiazione solo con la frequenza fondamentale
0
, corrispondente ad N = 1. Dalla (8.98)
del problema 8.1 ricaviamo allora che i pesi spettrali (11.60) sono dati da,
dW
d
=
dW
1
d
=
e
2
v
2

2
0
32
2
(1 + cos
2
),
dW
N
d
= 0, N 2, (12.3)
dove denota langolo tra la direzione di emissione n, e lasse del ciclotrone. Per non
appesantire la notazione in questo capitolo omettiamo il simbolo della media temporale,
scrivendo dW/d al posto di dW/d. Il rapporto tra lintensit`a della radiazione emessa
nel piano dellorbita, a = /2, e lintensit`a emessa lungo lasse, a = 0, risulta allora,
dW
d
_

2
_
dW
d
(0)
=
1
2
. (12.4)
Integrando la (12.3) sugli angoli si ottiene la potenza totale,
W =
e
2
6
v
2

2
0
, (12.5)
da confrontare con la (12.1).
12.2 Analisi spettrale
Da ora in poi consideriamo una particella con velocit`a arbitraria. Cominciamo lanalisi
della radiazione valutando esplicitamente i pesi spettrali (11.60),
dW
N
d
=
e
2
(N
0
)
2
8
2

n
1
T
_
T
0
e
i N
0
(tn y)
v dt

2
. (12.6)
Prendendo come asse z lasse dellorbita, traiettoria, velocit`a e accelerazione istantanea
della particella sono date da,
y(t) = R(cos, sen, 0) (12.7)
v(t) = v (sen, cos, 0), (12.8)
a(t) =
2
0
y(t), (12.9)
dove,
=
0
t. (12.10)
329
Per linvarianza per rotazioni attorno allasse z, per quanto riguarda la valutazione della
(12.6) non `e restrittivo scegliere la direzione di emissione n nel piano (y, z). Poniamo
dunque,
n = (0, sen, cos), (12.11)
dove `e langolo tra n e lasse z. Notando che,

0
n y = v sensen,
possiamo allora riscrivere lintegrale che compare nella (12.6) come,
1
T
_
T
0
e
i N
0
(tn y)
v dt =
v
2
_
2
0
e
i N(v sensen)
(sen, cos, 0) d, (12.12)
dove dallintegrale in t siamo passati a un integrale in . Utilizzando le propriet`a (11.45)
e (11.46) delle funzioni di Bessel risulta poi,
1
T
_
T
0
e
i N
0
(tn y)
v dt = v
_
i J

N
(vNsen),
1
vsen
J
N
(v Nsen), 0
_
. (12.13)
Considerando il prodotto esterno tra la (12.11) e la (12.13), e prendendone il quadrato,
la (12.6) d`a in denitiva,
dW
N
d
=
e
2
(N
0
)
2
8
2
_
ctg
2
J
2
N
(vNsen) + v
2
J
2
N
(vNsen)
_
. (12.14)
Limite non relativistico. Nel limite non relativistico per le funzioni di Bessel si possono
usare le espansioni a N ssato (11.48), che per v 1 forniscono gli andamenti leading,
dW
N
d

e
2
(N
0
)
2
8
2
_
N
N
2
N
N!
_
2
_
sen
2

_
N1
(1 + cos
2
) v
2N
. (12.15)
Poiche
dW
N
d
v
2N
, in questo limite le armoniche con N 2 sono quindi fortemente
soppresse rispetto allarmonica fondamentale N = 1. Confermiamo dunque che nel limite
non relativistico la particella emette radiazione solo sullarmonica fondamentale. Daltra
parte, per N = 1 la (12.15) si riduce proprio alla (12.3).
Radiazione lungo lasse. Per analizzare la radiazione emessa lungo lasse dellorbita,
= 0, si possono di nuovo usare le espansioni (11.48),
dW
1
d
(0) =
e
2
v
2

2
0
16
2
,
dW
N
d
(0) = 0, N 2. (12.16)
330
Per qualsiasi velocit`a, lungo lasse viene quindi emessa solo larmonica fondamentale.
Questo fatto `e anche evidente se si considera il campo elettrico asintotico (11.52), che per
n = (0, 0, 1) assume la forma molto semplice,

E(t, r) =
e
4r
a (t

) =
e
4r
a (tr) =
e v
0
4r
(cos(
0
(tr)), sen(
0
(tr)), 0). (12.17)
Lungo lasse z il campo elettrico costituisce quindi proprio unonda monocromatica di
frequenza
0
, polarizzata circolarmente.
12.2.1 Lo spettro nel limite ultrarelativistico
Come abbiamo visto in sezione 10.3, la radiazione di una particella ultrarelativistica `e
molto direzionale, essendo concentrata attorno alla sua direzione di volo. Per eettuare
unanalisi qualitativa dello spettro di una tale particella conviene allora considerare la
radiazione emessa in tutte le direzioni. I relativi pesi spettrali si ottengono integrando la
(12.14) sullangolo solido,
W
N
=
_
dW
N
d
d =
e
2
N
2
0
4v
_
2v
2
J

2N
(2Nv) (1 v
2
)
_
2Nv
0
J
2N
(y) dy
_
. (12.18)
Per i dettagli dei calcoli rimandiamo, ad esempio, al testo di J. Schwinger et. al.
39
.
Un argomento qualitativo. Prima di procedere allanalisi quantitativa della (12.18) nel
limite v 1, diamo un argomento qualitativo per stabilire lordine di grandezza delle
frequenze entro le quali la particella emette maggiormente. Ricordiamo dalla sezione 10.3
che per v 1 la particella emette principalmente in un cono attorno alla direzione di
volo, di apertura angolare

1 v
2
. Di conseguenza, dato che la particella compie un
moto circolare di periodo T = 2/
0
, la radiazione in una data direzione di osservazione
proviene solo da una piccola porzione dellorbita, che viene percorsa dalla particella nel
tempo,
t


2
T

1 v
2

0
.
Una tipica frequenza di emissione `e allora data,

=
1
t

1 v
2
.
39
J. Schwinger, L.L. DeRaad, K.A. Milton e W. Tsai, Classical Electrodynamics, Perseus Books,
Reading (MA), 1998.
331
Daltra parte, al tempo di emissione t

corrisponde il tempo di osservazione, vedi (11.55),


t = (1 n v)t

(1 v)t

(1 v
2
)t

,
a cui corrisponde dunque la frequenza osservata,
=
1
t

1 v
2
.
Le frequenze caratteristiche della radiazione del ciclotrone ultrarelativistico sono quindi
date da,


0
(1 v
2
)
3/2
. (12.19)
In realt`a in questo caso lo spettro `e discreto, le frequenze possibili essendo date da
N
=
N
0
. Dalla (12.19) concludiamo allora che la radiazione contiene armoniche superiori no
allordine, molto elevato,
N
1
(1 v
2
)
3/2
. (12.20)
Se il moto circolare viene causato da un campo magnetico,
0
`e dato dalla (12.2). In
questo caso le frequenze dominanti (12.19) sono date da

eB
m
_

m
_
2
. (12.21)
Analisi quantitativa. Torniamo ora alle espressioni quantitative (12.18). Per quello che
abbiamo appena visto dobbiamo aspettarci che per velocit`a vicine alla velocit`a della luce,
sono dominanti i pesi spettrali W
N
con N molto grande. Si pu`o vedere che landamento
per grandi N della successione (12.18) dipende sensibilmente dal valore, grande anches-
so, del numero 1/

1 v
2
. Attraverso unanalisi asintotica delle funzioni di Bessel che
compaiono nella (12.18), si trova infatti che per v 1, a parte fattori numerici si hanno
gli andamenti
40
,
W
N

_

_
e
2

2
0
N
1/3
, per 1 N
1
(1 v
2
)
3/2
,
e
2

2
0

N (1 v
2
)
1/4
e

2
3
N(1v
2
)
3/2
, per N
1
(1 v
2
)
3/2
.
(12.22)
Per valori di N grandi ma inferiori a 1/(1 v
2
)
3/2
, i pesi spettrali crescono dunque come
N
1/3
, mentre per N maggiore di 1/(1v
2
)
3/2
essi sono esponenzialmente soppressi. Nella
40
Si veda J. Schwinger et. al., op. cit.
332
radiazione compaiono dunque le armoniche superiori no allordine,
N
1
(1 v
2
)
3/2
=
_

m
_
3
, (12.23)
a conferma della (12.20).
Lunghezze donda caratteristiche negli acceleratori ad alte energie. Nel limite ultrare-
lativistico si ha
0
= v/R 1/R. Per le lunghezze donda caratteristiche emesse in un
acceleratore circolare ad alta energia, dalla (12.23) si ricava allora,
=
2
N
0
R
_
m

_
3
.
In base a questa formula la radiazione emessa da LEP conteneva lunghezze donda mol-
to corte, dellordine di 10
3
nm, corrispondenti a raggi , mentre la radiazione
di LHC sar`a piccata su lunghezze donda molto pi` u lunghe, dellordine di 10 nm,
corrispondenti a raggi X molli.
12.3 Distribuzione angolare
Invece di analizzare la distribuzione angolare delle singole frequenze (12.14), di seguito
analizziamo la distribuzione angolare totale. A questo scopo si dovrebbe risommare la
serie,
dW
d
=
N

N=1
dW
N
d
,
operazione che risulta dicile da eseguire analiticamente. In questo caso `e pi` u conveniente
ricorrere alla formula base (11.11),
dW
d
=
r
2
T
_
T
0
|

E|
2
dt. (12.24)
Dobbiamo dunque valutare |

E|
2
, con

E dato come al solito dalla (11.52). Inserendo le
(12.7)(12.9) e la (12.11), con un semplice conto si ottiene,
|

E|
2
=
e
2
v
2

2
0
16
2
r
2

(1 v
2
) cos
2
+ (v sencos)
2
(1 v sencos)
6
, =
0
t

(t, x). (12.25)


Nonostante la forma apparentemente complicata di questa espressione, lintegrale (12.24)
pu`o essere eseguito analiticamente e lo calcoleremo nel paragrafo 12.4.2. Anticipiamo il
risultato,
dW
d
=
e
2
v
2

2
0
32
2

1 + cos
2

v
2
4
(1 + 3v
2
) sen
4

(1 v
2
sen
2
)
7/2
. (12.26)
333
Per velocit`a piccole riotteniamo la distribuzione continua (12.3), che ha un massimo in
= 0 e un minimo in = /2. Al contrario, per v 1 dalla forma del denominatore della
(12.26) si vede che
dW
d
ha un massimo pronunciato nelle vicinanze di = /2, cio`e, nel
piano dellorbita. Determiniamo allora le direzioni vicine al piano dellorbita, in cui viene
emessa la maggior parte della radiazione. In queste direzioni il fattore 1/(1 v
2
sen
2
)
7/2
della (12.26) deve restare dello stesso ordine di grandezza del suo massimo 1/(1 v
2
)
7/2
.
Gli angoli corrispondenti devono allora essere tali che,
1 v
2
sen
2
1 v
2
.
Posto = /2 , questa condizione si traduce in,
1 v
2
cos
2
1 v
2
_
1

2
2
_
1 v
2
+

2
2
1 v
2

1 v
2
.
La maggior parte della radiazione viene quindi emessa lungo le direzioni n, che formano
con il piano dellorbita angoli inferiori a,

1 v
2
=
m

.
Si noti come queste conclusioni siano in accordo con i risultati generali della sezione 10.3.
Inne calcoliamo il rapporto tra lintensit`a emessa nel piano dellorbita, a = /2, e
quella emessa lungo il suo asse, a = 0. Dalla (12.26) si trova,
dW
d
_

2
_
dW
d
(0)
=
1
8
4 + 3v
2
(1 v
2
)
5/2
.
Nel limite non relativistico si riottiene la (12.4), mentre per velocit`a ultrarelativistiche si
ottiene il rapporto molto grande,
dW
d
_

2
_
dW
d
(0)

7
8
_

m
_
5
.
12.4 Polarizzazione
Passiamo ora allanalisi della polarizzazione della radiazione. Introduciamo per la dire-
zione n = (0, sen, cos) di (12.11) il versore e
1
e

, parallelo al piano dellorbita, e il


334
versore e
2
e

, perpendicolare al primo,
e

= (1, 0, 0), e

= (0, cos, sen), e

n = 0 = e

n.
Vogliamo determinare lintensit`a della radiazione con polarizzazione rispettivamente lungo
e

e e

. Dato che conosciamo gi`a lintensit`a totale, in linea di principio `e suciente


determinare solo uno di questi due contributi.
12.4.1 Polarizzazione a frequenza ssata
I pesi della radiazione con frequenza
N
= N
0
e polarizzazione lungo e
p
si calcolano
usando le (11.18). Per una particella singola possiamo usare la (11.59), e sfruttare il fatto
che, dato che gli e
p
sono ortogonali ad n, vale,
e
p

_
n (n

V )
_
= e
p

V , per ogni

V .
Si ottiene allora,
dW
p
N
d
= 2r
2

e
p


E
N

2
=
e
2
N
2

2
0
8
2

e
p

1
T
_
T
0
e
iN
0
(tn y)
v dt

2
. (12.27)
Lintegrale che compare in questa espressione `e stato valutato nella (12.13), e per le due
polarizzazioni scelte si ottiene rispettivamente,
dW

N
d
= 2r
2


E
N

2
=
e
2
(N
0
)
2
8
2
ctg
2
J
2
N
(vNsen), (12.28)
dW

N
d
= 2r
2


E
N

2
=
e
2
(N
0
)
2
8
2
v
2
J
2
N
(vNsen). (12.29)
Come si vede, i due termini della (12.14) corrispondono proprio alle polarizzazioni e
. Lungo lasse dellorbita, a = 0, usando le (11.48) si vede di nuovo che i pesi (12.28),
(12.29) per N 2 si annullano, mentre i pesi con N = 1 si riducono a,
dW

1
d
(0) =
dW

1
d
(0) =
e
2
v
2

2
0
32
2
. (12.30)
Essendo soddisfatta la (11.25), la radiazione lungo lasse `e quindi polarizzata circolar-
mente, come si vede anche dalla (12.17). Per la radiazione emessa nel piano dellorbita,
corrispondente a = /2, le (12.28), (12.29) danno invece,
dW

N
d
_

2
_
=
e
2
(N
0
)
2
8
2
v
2
J
2
N
(vN),
dW

N
d
_

2
_
= 0. (12.31)
335
Nel piano dellorbita la radiazione `e quindi polarizzata linearmente lungo e

, vedi (11.21),
per tutte le frequenze. Per un angolo intermedio, 0 < < /2, la radiazione `e invece
polarizzata ellitticamente: per motivi di simmetria i semiassi dellellisse descritto dal
campo elettrico sono diretti rispettivamente lungo e

e e

.
Limite non relativistico. Eseguendo il limite non relativistico delle (12.28), (12.29), si
trova che dominano di nuovo i pesi relativi allarmonica fondamentale N = 1, e risulta,
dW

d

dW

1
d

e
2
v
2

2
0
32
2
cos
2
,
dW

d

dW

1
d

e
2
v
2

2
0
32
2
, (12.32)
da confrontare con le (12.3). Integrando le (12.32) sullangolo solido si ottiene per la
radiazione totale rispettivamente con polarizzazione perpendicolare e parallela,
W

=
1
4
W, W

=
3
4
W,
dove abbiamo rapportato le potenze parziali alla potenza totale non relativistica W =
e
2
v
2

2
0
/6. Vale ovviamente la regola di somma W = W

+W

, e si ha il rapporto,
W

= 3. (12.33)
Nel limite non relativistico la polarizzazione della radiazione totale `e quindi leggermen-
te sbilanciata verso e

. Vedremo che nel limite ultrarelativistico questo eetto sar`a


ulteriormente accentuato.
12.4.2 Polarizzazione complessiva
Esaminiamo ora il grado di polarizzazione della radiazione complessiva, indipendentemen-
te dalla frequenza. A questo scopo dobbiamo sommare le (12.28), (12.29) su N, oppure,
alternativamente, eseguire la media temporale delle (11.16),
dW
p
d
=
r
2
T
_
T
0
(e
p


E)
2
dt. (12.34)
Seguiamo questa seconda strada, che risulta pi` u semplice.
Polarizzazione perpendicolare. Per determinare la radiazione con polarizzazione per-
pendicolare dobbiamo calcolare il prodotto scalare tra la (11.52) ed e

= (0, cos, sen).


Inserendo le (12.7)(12.9) e la (12.11) si trova,
e


E =
e v
0
4r
cossen
(1 v sencos)
3
,
336
dove occorre tenere presente che dipende da t attraverso =
0
t

(t, x). Per questo


motivo `e conveniente cambiare variabile di integrazione e passare da t a , utilizzando le
(11.54), (11.55). In particolare,
dt = (1 n v(t

)) dt

=
1 v sencos

0
d. (12.35)
La (12.34) diventa allora,
dW

d
=
r
2
T
_
T
0
(e


E)
2
dt =
e
2
v
2

2
0
cos
2

32
3
_
2
0
sen
2
d
(1 v sencos)
5
=
e
2
v
2

2
0
cos
2

32
3
I().
(12.36)
Abbiamo posto,
=
1
vsen
, I() =
5
_
2
0
sen
2
d
( cos)
5
.
Per valutare I() eseguiamo prima unintegrazione per parti,
I() =

5
4
_
2
0
d
d
_
1
( cos)
4
_
send =

5
4
_
2
0
cosd
( cos)
4
.
Lintegrale ottenuto pu`o essere riscritto, a sua volta, come,
I() =

5
4
_
2
0
_

( cos)
4

1
( cos)
3
_
d
=

5
4
_

6
_
d
d
_
3
+
1
2
_
d
d
_
2
_
_
2
0
d
cos
. (12.37)
In questo modo abbiamo ricondotto il calcolo di I() al calcolo di qualche derivata, e alla
valutazione di un integrale elementare. Con il metodo dei residui, ad esempio, si trova
infatti facilmente,
_
2
0
d
cos
=
2
_

2
1
. (12.38)
Il calcolo delle derivate nella (12.37) porta allora a,
I() =

5
_

2
+
1
4
_
(
2
1)
7/2
=
1 +
1
4
v
2
sen
2

(1 v
2
sen
2
)
7/2
,
sicche la (12.36) diventa,
dW

d
=
e
2
v
2

2
0
32
2

_
1 +
1
4
v
2
sen
2

_
cos
2

(1 v
2
sen
2
)
7/2
. (12.39)
337
Polarizzazione parallela. Analogamente per la radiazione con polarizzazione lungo e

=
(1, 0, 0) si trova,
dW

d
=
r
2
T
_
T
0
(e


E)
2
dt =
e
2
v
2

2
0
32
3
_
2
0
(cos v sen)
2
(1 v sencos)
5
d =
e
2
v
2

2
0
32
3
H(),
dove = 1/vsen e,
H() =
3
_
2
0
( cos 1)
2
( cos)
5
d.
Questo integrale pu`o essere valutato in modo simile a I(), scomponendo lintegrando in
fratti semplici,
H() =
3
_
2
0
_
(
2
1)
2
( cos)
5

2(
2
1)
( cos)
4
+

2
( cos)
3
_
d,
=
3
_
1
24
(
2
1)
2
_
d
d
_
4
+

3
(
2
1)
_
d
d
_
3
+

2
2
_
d
d
_
2
_
_
2
0
d
cos
.
Ci siamo ricondotti di nuovo allintegrale (12.38), e valutando le derivate si trova,
H() =

3
_

2
+
3
4
_
(
2
1)
5/2
=
1 +
3
4
v
2
sen
2

(1 v
2
sen
2
)
5/2
.
Per la potenza con polarizzazione parallela si ottiene allora,
dW

d
=
e
2
v
2

2
0
32
2

1 +
3
4
v
2
sen
2

(1 v
2
sen
2
)
5/2
. (12.40)
Sommando la (12.39) e la (12.40) si ottiene la (12.26), come anticipato. Valutandole,
invece, lungo lasse dellorbita e nel piano dellorbita si ottengono le relazioni,
dW

d
(0) =
e
2
v
2

2
0
32
2
=
dW

d
(0),
dW

d
_

2
_
=
e
2
v
2

2
0
32
2
1 +
3
4
v
2
(1 v
2
)
5/2
,
dW

d
_

2
_
= 0.
Per la radiazione complessiva si confermano dunque le relazioni (12.30), (12.31) per le
frequenze individuali: lungo lasse dellorbita la radiazione `e polarizzata circolarmente, e
nel piano dellorbita essa `e polarizzata linearmente lungo e

.
Polarizzazione della radiazione totale. Abbiamo visto che nel limite ultrarelativistico
la maggior parte della radiazione viene emessa nelle immediate vicinanze del piano del-
lorbita. Dato che in questo piano la radiazione `e polarizzata linearmente lungo e

, ci
aspettiamo che in questo limite la radiazione totale sia polarizzata prevalentemente lungo
338
e

. Per vericare questa previsione, e per valutare il grado di polarizzazione della radia-
zione totale, integriamo le (12.39), (12.40) sullangolo solido d = sendd. Per la
polarizzazione perpendicolare dalla (12.39) si trova, ponendo cos = y,
W

=
_
dW

d
d =
e
2
v
2

2
0
32
_
/2
0
(4 + v
2
sen
2
) cos
2
sen
(1 v
2
sen
2
)
7/2
d
=
e
2
v
2

2
0
32
_
1
0
(4 + v
2
)y
2
v
2
y
4
(v
2
y
2
+ 1 v
2
)
7/2
dy.
Lultimo integrale si valuta facilmente attraverso la sostituzione y =

1 v
2
v
tg x, e il
risultato `e,
W

=
e
2
v
2

2
0
(2 v
2
)
48(1 v
2
)
2
=
2 v
2
8
W, (12.41)
dove abbiamo rapportato W

alla potenza totale (12.1). Analogamente per la radiazione


con polarizzazione parallela si trova,
W

=
_
dW

d
d =
e
2
v
2

2
0
32
_
/2
0
(4 + 3v
2
sen
2
) sen
(1 v
2
sen
2
)
5/2
d
=
e
2
v
2

2
0
32
_
1
0
4 + 3v
2
3v
2
y
2
(v
2
y
2
+ 1 v
2
)
5/2
dy
=
e
2
v
2

2
0
(6 + v
2
)
48(1 v
2
)
2
=
6 + v
2
8
W. (12.42)
Le potenze parziali (12.41) e (12.42) soddisfano ovviamente la regola di somma W

+W

=
W, mentre il loro rapporto vale,
W

=
6 + v
2
2 v
2
. (12.43)
Nel limite non relativistico la (12.43) si riduce alla (12.33), mentre nel limite ultrarelati-
vistico si ottiene,
W

= 7, per v 1. (12.44)
Se la velocit`a della carica `e prossima alla velocit`a della luce, essa emette quindi radiazione
che `e polarizzata prevalentemente nel piano dellorbita. Dal punto di vista sperimentale
questa caratteristica facilita di molto lidenticazione della radiazione come radiazione
di ciclotrone.
12.5 Luce di sincrotrone
La radiazione emessa da un ciclotrone ultrarelativistico un sincrotrone viene chiamata
radiazione (o luce) di sincrotrone. Fu osservata per la prima volta in un sincrotrone di
339
elettroni presso la General Electric Company di Schenectady, a New York, nel 1947. Da
allora le previsioni quantitative (12.14) e (12.26) sono state vericate sperimentalmente in
diversi ciclotroni, e le distribuzioni angolari e in frequenza misurate sono in ottimo accordo
con queste formule. Mentre negli acceleratori ad alte energie la radiazione di sincrotrone
rappresenta un eetto dissipativo, nei sincrotroni dedicati essa viene prodotta ad arte
ed utilizzata per le ricerche nei campi della materia condensata, della biologia e della
medicina, che necessitano di fotoni molto energetici. Uno dei pregi di questa radiazione
consiste nel fatto che il suo spettro `e in generale molto ampio, vedi (12.21), potendo
coprire le regioni del visibile, dellultravioletto e dei raggi X. Con laiuto di particolari
dispositivi sperimentali, i wigglers o gli ondulatori, `e infatti possibile selezionare dallo
spettro la banda di frequenze richiesta per le speciche ricerche che si intendono svolgere.
Luce di sincrotrone viene prodotta anche in ambito astronomico, ad esempio dal pia-
neta Giove e dalla Nebulosa del Granchio. La radiazione proveniente da Giove, che `e
avvolto da un campo magnetico intenso di B 1gauss
41
, viene prodotta da elettroni
con energie comprese tra 3MeV < < 50MeV , per cui v 0.99. Per un valore tipico di
5MeV la (12.21) d`a le frequenze caratteristiche 2 10
9
/s, che corrispondono ad
onde radio. Inoltre, secondo la (12.20) la radiazione comprende armoniche no allordine
N (5MeV/0.5MeV )
3
= 1.000. Queste previsioni sono in buon accordo con losserva-
zione. Si noti che il raggio delle orbite di ciclotrone di questi elettroni `e dellordine di
R = v/
0
1/
0
= /eB 200m.
La radiazione proveniente dalla Nebulosa del Granchio viene, invece, emessa da elet-
troni che raggiungono anche energie dellordine di 10
4
GeV , ma in presenza di un
campo magnetico molto pi` u debole, dellordine di B 10
4
gauss, sicche il raggio delle
orbite `e R = /eB 4 10
9
km. Secondo la (12.21) gli elettroni pi` u energetici emet-
tono allora radiazione con le frequenze caratteristiche molto elevate 10
18
/s, che
appartengono allestremo ultravioletto. In questo caso sono presenti le armoniche no
allordine N (10
4
GeV/0.5MeV )
3
10
22
. Dal punto di vista sperimentale, invece, nel
riconoscimento della radiazione emessa dalla Nebulosa del Granchio come radiazione di
41
Un gauss corrisponde a 10
4
Tesla = 10
4
V s/m
2
. Secondo la nostra denizione di

B questo valore
deve essere moltiplicato ancora per la velocit`a della luce.
340
sincrotrone fu determinante il suo alto grado di polarizzazione parallela, vedi (12.44).
341
13 Eetto Cerenkov
Nel 1934 il sico russo P.A. Cerenkov studi`o il fenomeno della luminescenza emessa da
certe soluzioni liquide, se irradiate con raggi provenienti da sorgenti radioattive. Nel
corso degli esperimenti, durati no al 1938, si accorse che i raggi causano una radia-
zione molto debole anche in solventi puri, come lacqua e il benzolo, dando luogo a una
luce blu, vale a dire radiazione nello spettro visibile. Da unanalisi approfondita delle
caratteristiche della luce emessa si rese conto che questo eetto non poteva essere un fe-
nomeno di luminescenza, come assunto inizialmente. La radiazione osservata era infatti
caratterizzata da una polarizzazione lineare ben denita, e veniva emessa solo in avanti,
lungo un cono di direzioni che formavano un ben determinato angolo con la direzione dei
raggi , entrambe propriet`a non possedute dalla luminescenza. La radiazione osservata
aveva inoltre carattere universale, nel senso che le sue caratteristiche erano indipendenti
dalle speciche propriet`a delle soluzioni usate, come la temperatura e la loro particolare
composizione. Ci si aspettava allora che anche la spiegazione teorica delleetto dovesse
avere carattere universale.
Questa spiegazione fu data dai sici russi I.E. Frank e I.M. Tamm nel 1937, i quali
assumevano che la radiazione osservata da Cerenkov non fosse causata direttamente dai
raggi , ma da elettroni ad alta velocit`a, prodotti dai raggi attraverso leetto Compton.
Secondo la loro teoria questa radiazione viene generata da elettroni che si trovano in moto
rettilineo uniforme in un mezzo dielettrico, con una velocit`a superiore alla velocit`a della
luce nel mezzo. Ricordiamo che un mezzo con costante dielettrica reale ha indice di
rifrazione n =

, e che la velocit`a della luce nel mezzo vale
c
n
. Per n > 1 essa risulta
dunque minore di c.
In questa sezione analizzeremo in dettaglio i campi prodotti da una particella in moto
rettilineo uniforme in un mezzo, sia per velocit`a minori che per velocit`a maggiori della
velocit`a della luce nel mezzo, e spiegheremo cos` lorigine e le propriet`a della radiazione
Cerenkov.
Aspetti macroscopici e microscopici. La spiegazione delleetto Cerenkov data da Frank
e Tamm si basa sulle equazioni di Maxwell in un mezzo dielettrico, che forniscono una
342
descrizione macroscopica della dinamica del campo elettromagetico. Come `e noto, queste
equazioni rappresentano un metodo semplice per tenere conto delle cariche di polarizza-
zione che si creano in un mezzo, a causa delle cariche libere. Il campo elettromagnetico
totale risulta, infatti, dalla sovrapposizione del campo prodotto dalla particella nel vuoto,
e da quello prodotto dalle cariche di polarizzazione. Siccome una particella in moto rettili-
neo uniforme nel vuoto non d`a luogo a nessun campo di radiazione, a livello microscopico
la radiazione di Cerenkov deve dunque originare dalle cariche di polarizzazione. In eetti,
quello che succede a livello microscopico `e che lelettrone durante il suo passaggio nel mez-
zo deforma le molecole facendo loro acquistare un momento di dipolo elettrico, il quale
scompare immediatamente dopo il passaggio dellelettrone. Le cariche che compongono i
momenti di dipolo sono cos` sottoposti a unaccelerazione quasiistantanea, e diventano
quindi sorgenti impulsive di onde elettromagnetiche elementari, che si manifestano come
radiazione Cerenkov.
Tuttavia, non `e immediato determinare il campo macroscopico, valutando esplicita-
mente la sovrapposizione coerente di queste innite onde elementari microscopiche.
Viceversa, le equazioni di Maxwell in un mezzo costituiscono uno strumento molto eca-
ce per valutare il campo elettromagnetico prodotto a livello macroscopico dalla particella,
e dalle cariche di polarizzazione da essa indotte. Per semplicit`a parleremo comunque di
campo prodotto dalla particella nel mezzo, e di energia irradiata dalla particella.
13.1 Campo di una particella in moto rettilineo uniforme in un
mezzo
Equazioni di Maxwell in un mezzo dielettrico. Consideriamo un mezzo isotropo e omoge-
neo, con permeabilit`a magnetica uguale a quella del vuoto, = 1, e con costante dielettrica
> 1 e reale. In questo modo trascuriamo lassorbimento del mezzo, ipotesi giusticata
per frequenze lontane dalle frequenze di risonanza. Per il momento assumiamo anche
che non vi sia dispersione, ovvero, che sia indipendente dalla frequenza, rinviando la
trattazione del caso realistico di un mezzo dispersivo alla sezione 13.4. Anche lindice di
rifrazione,
n =

, (13.1)
343
risulta allora indipendente dalla frequenza.
In un mezzo dielettrico con queste caratteristiche le equazioni di Maxwell (2.31)(2.34)
diventano,

n
2
c


E
t
+


B =

j
c
, (13.2)
1
c


B
t
+


E = 0, (13.3)


E =

n
2
, (13.4)


B = 0, (13.5)
dove indica la densit`a di carica, e abbiamo momentaneamente ripristinato la velocit`a
della luce. Si noti che queste equazioni si possono ottenere dalle (2.31)(2.34) eettuando
le sostituzioni,

E n

E,

B

B c
c
n
,

n
,

j

j
n
. (13.6)
Le identit`a di Bianchi (13.3) e (13.5) sono rimaste immutate, e quindi possiamo risolverle
nel modo standard,

E =

A
0

1
c


A
t
, (13.7)

B =


A, (13.8)
e i potenziali A
0
e

A sono ancora deniti modulo le trasformazioni di gauge A

.
In questo caso `e conveniente eettuare il gaugexing di Lorentz adattato,
n
2
c
A
0
t
+


A = 0.
`
E allora immediato vedere che le (13.2), (13.4) si riducono a,
2
n
A

_
n
2
c
2

2
t
2

2
_
A

=
_

n
2
,

j
c
_
. (13.9)
In assenza di cariche libere, j

= 0, nel mezzo il campo elettromagnetico si propaga quindi


con la velocit`a
c
n
.
Consideriamo ora una particella che si muove di moto rettilineo uniforme, quindi con
velocit`a v e quadrivelocit`a u

= (c, v)/
_
1 v
2
/c
2
costanti. Allora da (6.70) segue,
= e u
0
_

4
(x us) ds = e
3
(x v t),

j = v, (13.10)
344
ed `e suciente risolvere le (13.9) per = 0,
2
n
A
0
=

n
2
. (13.11)
La parte spaziale del quadripotenziale `e, infatti, data semplicemente da,

A =
n
2
v
c
A
0
. (13.12)
In seguito supporremo che la particella si muova lungo lasse delle z, quindi con
traiettoria,
y(t) = (0, 0, vt).
In questo caso `e conveniente introdurre coordinate cilindriche, x (z, r, ), dove r e
sono coordinate polari bidimensionali, nel piano ortogonale alla traiettoria della particella.
In particolare r indica allora la distanza di x dallasse z. Corrispondentemente useremo i
versori u
z
, u
r
e u

.
13.2 Il campo per v <
c
n
Supponiamo ora che la velocit`a della particella sia minore della velocit`a della luce nel
mezzo, v <
c
n
. In questo caso la (13.11) pu`o essere risolta con lo stesso metodo usato nel
paragrafo 6.3.1 per risolvere lanaloga equazione nel vuoto,
2A
0
= . (13.13)
In quel caso si aveva n = 1 e v < c. Per ottenere la soluzione della (13.11) `e suciente
eseguire nella soluzione (6.75) della (13.13) le sostituzioni e
e
n
2
, c
c
n
. La componente
0 della (6.75) si scrive,
A
0
=
e
4
u
0
_
(ux)
2
x
2
=
e
4
1
_
(z vt)
2
+
_
1
v
2
c
2
_
r
2
,
e la soluzione della (13.11) risulta allora,
A
0
=
e
4n
2
1
_
(z vt)
2
+ (1 v
2
n
2
)r
2
, (13.14)
345
dove abbiamo posto di nuovo c = 1. Per i campi elettrico e magnetico le (13.7), (13.8)
danno allora,

E =
e
4n
2
(1 v
2
n
2
)(x v t)
((z vt)
2
+ (1 v
2
n
2
)r
2
)
3/2
,

B =
e
4
(1 v
2
n
2
) v r u

((z vt)
2
+ (1 v
2
n
2
)r
2
)
3/2
,
(13.15)
e il vettore di Poynting diventa,

S =

E

B =
_
e
4n
_
2

(1 v
2
n
2
)
2
v r [r u
z
(z vt) u
r
]
((z vt)
2
+ (1 v
2
n
2
)r
2
)
3
= S
z
u
z
+ S
r
u
r
. (13.16)
Vediamo ora quali sono le propriet`a del campo ottenuto. Come nel vuoto, il campo
elettromagnetico non presenta singolarit`a al di fuori della traiettoria, perche per v < 1/n
il denominatore nelle (13.15) si annulla solo per x = v t. Inoltre, dalla (13.16) si vede che
non c`e usso radiale netto di energia, perche dietro la particella per z < vt esiste
un usso radiale uscente, S
r
> 0, mentre davanti per z > v t esiste un usso radiale
entrante, S
r
< 0, e i due si compensano. In particolare, se calcoliamo il usso di energia
totale attraverso un cilindro concentrico con la traiettoria, di raggio r e basi situate in z
1
e z
2
, troviamo,
= 2r
_
z
2
z
1
dz
_

S
r
dt =
2r
v
_
z
2
z
1
dz
_

S
r
dl = 0, (13.17)
perche S
r
`e una funzione antisimmetrica della variabile l = z vt.
13.2.1 Analisi in frequenza
In vista del confronto con il caso v > 1/n `e utile eseguire anche una analisi spettrale
del campo. In realt`a questa analisi ha senso se siamo in presenza di campi di radiazione,
mentre il campo di una particella con velocit`a costante minore di quella della luce, a
grandi distanze decade come
1
|x|
2
, vedi (13.15), e non costituisce quindi un campo di
radiazione. Eseguiamo comunque la trasformata di Fourier temporale della (13.14),
A
0
() =
e

2 4n
2
_

e
it
_
(z vt)
2
+ (1 v
2
n
2
)r
2
dt. (13.18)
Con semplici passaggi si ottiene,
A
0
() =
e
(2)
3/2
n
2
v
e
i z/v
K
_

1 v
2
n
2
v
r
_
, (13.19)
346
dove K(x) `e la funzione di Bessel modicata del secondo tipo di ordine 0, indicata
comunemente con K
0
(x),
K(x) =
1
2
_

e
i xs

s
2
+ 1
ds =
_

0
cos(xsenh) d.
La seconda rappresentazione si ottiene con il cambiamento di variabile, s = senh.
La funzione K(x). Per quello che segue `e utile dare unaltra rappresentazione ancora
di K, che si ottiene usando lanalisi complessa. Si noti che K(x) = K(x), per cui di
seguito supporremo x > 0. Consideriamo la funzione di variabile complessa,
f(z) =
e
i xz

z
2
+ 1
,
che `e analitica nel semipiano superiore, esclusa la semiretta z = i u con u [1, ] dove
possiede un taglio. Allora si annulla lintegrale di linea,
_

f(z) dz = 0, (13.20)
in cui `e una curva chiusa composta 1) dallasse reale, 2) da due quarti di circonferenza
giacenti nel semipiano superiore e centrati nellorigine, con raggio R e aperture angolari
rispettivamente 0 < < /2 e /2 < < , 3) dalle due semirette z = + i u, con
u [1, ], e inne, 4) da una semicirconferenza centrata in z = i e di raggio , rivolta
verso il basso. Nel limite per R e per 0, gli integrali sui tre archi di circonferenza
vanno a zero se x > 0, e nella (13.20) sopravvivono allora solo gli integrali lungo lasse
reale e lungo le due semirette. Risulta allora,
_

e
i xs

s
2
+ 1
ds 2
_

1
e
xu

u
2
1
du = 0.
Si conclude quindi che per x > 0 la funzione K pu`o essere scritta anche come,
K(x) =
_

1
e
xu

u
2
1
du =
_

0
e
xcosh
d, (13.21)
dove abbiamo posto u = cosh.
Andamenti asintotici di K(x). La rappresentazione (13.21) `e in particolare convenien-
te per determinare gli andamenti asintotici di K, per x grandi e piccoli. Per grandi x
usiamo il metodo del punto sella. Per x , nellintegrando in (13.21) contano i valori
di per cui cosh `e minimo, cio`e, i valori di vicino allo zero. Espandendo,
cosh = 1 +
1
2

2
+ o(
4
),
347
si trova allora,
K(x) = e
x
_

0
e
[
x
2

2
+xo(
4
)]
d.
Riscalando /

x, risulta cos`,
K(x) =
e
x

x
_

0
e
[
1
2

2
+o(
4
)/x]
d =
_

2x
e
x
_
1 + o
_
1
x
__
. (13.22)
Per x 0 la funzione K(x) diverge invece. Per determinare il tipo di divergenza, sepa-
riamo dallintegrale (13.21) la parte convergente. Per fare questo riscaliamo la variabile
dintegrazione, u u/x, e riscriviamo lintegrale come,
K(x) =
_

x
e
u

u
2
x
2
du =
_
1
x
e
u

u
2
x
2
du +
_

1
e
u

u
2
x
2
du. (13.23)
Lultimo integrale converge per x 0, ed `e suciente valutare il penultimo,
_
1
x
e
u

u
2
x
2
du =
_
1
x
1

u
2
x
2
du +
_
1
x
e
u
1

u
2
x
2
du.
Di nuovo, per x 0 lultimo integrale converge, perche la funzione (e
u
1)/u `e regolare
nellintervallo [0, 1], ed `e suciente calcolare,
_
1
x
1

u
2
x
2
du = arccosh
_
1
x
_
= ln
_
x
2
_
+ o(x).
Per x che va a zero K diverge quindi logaritmicamente,
K(x) = ln x + C + o(x), (13.24)
dove C `e una costante.
Unequazione dierenziale per K(x). Le funzioni speciali vengono spesso anche denite
attraverso le equazioni dierenziali che esse soddisfano. Lequazione denente per K `e,
per x = 0,
K

+
1
x
K

K = 0. (13.25)
Verichiamo che essa `e soddisfatta dalla (13.21),
K

+
1
x
K

=
_

1
_
u
2

u
2
1

1
x
u

u
2
1
_
e
ux
du
=
_

1
_
u
2

u
2
1

1
x
d

u
2
1
du
_
e
ux
du.
Con unintegrazione per parti si ottiene allora di nuovo lintegrale (13.21).
348
In realt`a lequazione dierenziale lineare (13.25), essendo del secondo ordine ha due
soluzioni indipendenti. Una `e K(x), e laltra `e data dalla funzione,

K(x) =
_
1
1
e
xu

1 u
2
du =
_

0
e
xcos
d, (13.26)
che `e legata alla funzione di Bessel modicata del primo tipo di ordine 0, I
0
(x), dalla
relazione

K(x) = I
0
(x). Anchessa `e pari,

K(x) =

K(x), e i suoi andamenti asintotici
per x > 0 sono,

K(x) =
_

2x
e
x
_
1 + o
_
1
x
__
,

K(x) = + o(x), (13.27)
da confrontare con le (13.22), (13.24). Si noti in particolare che, al contrario di K(x), la
funzione

K(x), divergendo esponenzialmente per |x| , non costituisce una distribu-
zione temperata.
Unonda evanescente. Torniamo ora alla (13.19). Vediamo che A
0
() dipende da z
attraverso il termine di onda piana e
ikzz
, con vettore donda,
k
z
=

v
.
Questo termine descrive quindi unonda che si propaga in direzione z con la velocit`a della
particella, in quanto v
z


k
z
= v. Tuttavia, a grandi distanze dalla traiettoria, ovvero
per grandi r, a causa dellandamento asintotico (13.22), A
0
() si comporta come,
A
0
()
C

r
e
ik
z
z

v

1 v
2
n
2
r
, (13.28)
dove C `e una costante indipendente da x. Vediamo che A
0
() esibisce un fattore
1

r
,
tipico per unonda cilindrica
42
, che in questo caso viene per`o soppiantato dal fattore di
decrescita esponenziale exp
_

1 v
2
n
2
r
_
, che rappresenta una onda evanescente.
Per rappresentare una vera onda questo esponenziale dovrebbe essere sostituito da un
fattore oscillante del tipo exp (ik
r
r). Ritroviamo cos` che una particella in moto rettilineo
uniforme, con velocit`a costante minore di
c
n
, non irradia onde elettromagnetiche.
42
Come spiegheremo in sezione 13.5, per le onde a simmetria cilindrica la presenza del fattore 1/

r
`e richiesta dalla conservazione dellenergia. Per le onde sferiche landamento analogo, implicato sempre
dalla conservazione dellenergia, `e invece 1/r.
349
13.3 Il campo per v >
c
n
Se v >
c
n
, la soluzione della (13.11) non pu`o essere ottenuta con semplici sostituzioni dalla
(6.75), ma possiamo comunque applicare il metodo usato nel paragrafo 6.3.1. In seguito
porremo di nuovo c = 1.
Introduciamo una funzione di Green adattata G
n
soddisfacente,
2
n
G
n
=
4
(x) = (t)
3
(x).
La soluzione di questa equazione pu`o essere ottenuta dalla funzione di Green (6.51),
soddisfacente 2G =
4
(x), attraverso la sostituzione t
t
n
. Ricordando che
_
t
n
_
=
n(t), si ottiene cos`,
G
n
=
1
2n
H(t) (x
2
n
), x
2
n

t
2
n
2
|x|
2
.
In seguito useremo anche la notazione,
(a b)
n

a
0
b
0
n
2
a

b.
La soluzione della (13.11) `e allora data da,
A
0
=
1
n
2
G
n
=
1
n
2
_
G
n
(x y)(y) d
4
y.
Sostituendo la (13.10), con passaggi standard si ottiene,
A
0
=
e u
0
2n
3
_
H(t u
0
s) (f(s)) ds =
e u
0
2n
3
_
H(t u
0
s
+
)
|f

(s
+
)|
+
H(t u
0
s

)
|f

(s

)|
_
, (13.29)
purch`e la forma quadratica,
f(s) u
2
n
s
2
2s(ux)
n
+ x
2
n
,
abbia due zeri reali s

. In caso contrario A
0
`e zero. Il valore dellintegrale nella (13.29)
dipende quindi 1) dalla presenza di zeri reali di f(s), e 2) dal segno di t u
0
s

. Gli zeri
sono dati da,
s

=
(ux)
n

_
(ux)
2
n
u
2
n
x
2
n
u
2
n
, u
2
n
=
1 v
2
n
2
(1 v
2
)n
2
< 0,
e,
|f

(s

)| = 2
_
(ux)
2
n
u
2
n
x
2
n
= 2
u
0
n
_
(z vt)
2
(v
2
n
2
1)r
2
.
350
Vediamo che esistono zeri reali solo nella regione,
(z vt)
2
> (v
2
n
2
1)r
2

r
2
(z vt)
2
+ r
2
<
1
v
2
n
2
, (13.30)
che corrisponde a un cono doppio centrato nella posizione della particella, e con asse la
sua traiettoria, di apertura angolare,
sen =
1
v n
. (13.31)
Al di fuori di questo cono doppio il campo `e quindi nullo. Stando allinterno del cono
studiamo ora il segno di t u
0
s

. Da un semplice calcolo risulta,


t u
0
s

=
n
v
2
n
2
1
_
v n(z vt)
_
(z vt)
2
(v
2
n
2
1)r
2
_
.
Siccome il termine (v
2
n
2
1) `e positivo, per z vt > 0 si ha t u
0
s

< 0, e il campo `e
nullo, mentre per,
z vt < 0, (13.32)
si ha t u
0
s

> 0, e nella (13.29) contribuiscono tutti e due i termini. Concludiamo


quindi che ad ogni istante il campo `e diverso da zero solo allinterno del cono centrato
nella particella, coassiale con la traiettoria e rivolto in direzione opposta al moto, di
apertura angolare = arcsen
_
1
v n
_
.
Singolarit`a del campo. Tenendo conto delle (13.30) e (13.32), dalla (13.29) risulta il
potenziale,
A
0
=
e
4n
2
2 H
_
(z vt) r

v
2
n
2
1

_
(z vt)
2
(v
2
n
2
1)r
2
. (13.33)
Confrontando con il potenziale (13.14) del caso v <
c
n
, si vede che le due espressioni
esibiscono formalmente le stesse dipendenze funzionali da x e t. Nella (13.33) compare in
pi` u un fattore due, ma in compenso il campo `e nullo allesterno del cono allindietro di
apertura . Inoltre, sul bordo di questo cono, ovvero per,
z = vt r

v
2
n
2
1, (13.34)
A
0
diverge. Vedremo tra poco che questa singolarit`a non `e sica, in quanto dovuta alla
nostra schematizzazione di un mezzo non dispersivo. Siccome le (13.14) e (13.33) hanno la
stessa dipendenza funzionale, a parte il fattore due i campi

E e

B e il vettore di Poynting
351
sono ancora dati dalle (13.15) e (13.16). Ma questa volta la componente radiale di

S `e
diversa da zero e positiva solo per z < vt (allinterno del cono), mentre `e nulla per
z > vt. Ci aspettiamo dunque un usso radiale uscente netto di energia elettromagnetica.
Si noti come la forma del potenziale (13.33) sia analoga al fronte donda sonoro conico,
che si crea quando un aereo viaggia con velocit`a supersonica, il cosiddetto cono di Mach.
13.3.1 Il campo nella zona delle onde e langolo di Cerenkov
Per indagare la presenza di radiazione elettromagnetica, eseguiamo di nuovo la trasformata
di Fourier temporale di A
0
. Per via della presenza della funzione di Heaviside in (13.33),
ora abbiamo,
A
0
() =
e

2 2n
2
_

1
v
(z+r

v
2
n
2
1)
e
it
_
(z vt)
2
(v
2
n
2
1)r
2
dt.
Traslando e riscalando la variabile t si arriva a,
A
0
() =
e
(2)
3/2
n
2
v
e
i z/v
L
_

v
2
n
2
1
v
r
_
, (13.35)
dove la funzione complessa L(x) `e data da,
L(x) =
_

1
e
i xu

u
2
1
du =
_

0
e
i xcosh
d, (13.36)
ed `e legata alla funzione di Haenkel di ordine zero H
(2)
0
(x), dalla relazione L(x) =

2i
H
(2)
0
(x). La seconda espressione nella (13.36) `e stata ottenuta attraverso il cambia-
mento di variabile, u = cosh. Confrontando la (13.35) con la (13.19) vediamo che le due
espressioni di A
0
() costituiscono una la continuazione analitica dellaltra, dalla regione
v <
1
n
, alla regione v >
1
n
. Formalmente vale infatti, vedi (13.21),
L(x) = K(i x).
Propriet`a della funzione L(x). A partire dalla (13.36), con le stesse tecniche del pa-
ragrafo 13.2.1 si possono derivare le propriet`a principali della funzione L(x). Notiamo
che vale L

(x) = L(x), condizione imposta dalla realt`a di A


0
(t, x), sicche `e suciente
limitarsi al semiasse x > 0. In questo caso si ottengono gli andamenti asintotici,
L(x) =
_

2x
e
i(x+/4)
_
1 + o
_
1
x
__
, L(x) = ln x + C + o(x), (13.37)
352
da confrontare con le (13.22), (13.24). Separando L in parte reale e parte immaginaria,
L(x) = L
1
(x) + iL
2
(x), L
1
(x) = L
1
(x), L
2
(x) = L
2
(x), (13.38)
si vede quindi che per x entrambe queste funzioni hanno un andamento oscillatorio,
mentre per x 0 solo L
1
(x) esibisce una divergenza logaritmica, e L
2
(x) `e regolare.
Lequazione dierenziale soddisfatta da L `e, invece,
L

+
1
x
L

+ L = 0, (13.39)
da confrontare con la (13.25). Siccome anche questa equazione `e reale, L
1
ed L
2
la
soddisfano separatamente, e costituiscono quindi un insieme completo di soluzioni. La
particolare combinazione delle due soluzioni che compare nella (13.35) rappresenta unon-
da uscente in direzione radiale, vedi (13.40), la presenza della quale `e dettata dalla
causalit`a. Laltra combinazione indipendente, la complessa coniugata L

= L
1
iL
2
,
corrisponderebbe invece a unonda entrante.
Langolo di Cerenkov. Con laiuto della (13.37), nella zona delle onde, ovvero, per
grandi r, la (13.35) assume la forma,
A
0
() =
e
4n
2

e
i/4
(v
2
n
2
1)
1/4

v r
e
i

v
_
z +

v
2
n
2
1 r
_
(13.40)
=
C

r
e
i (k
z
z + k
r
r)
, (13.41)
dove C `e una costante indipendente dalle coordinate, e abbiamo trascurato termini di ordi-
ne o(1/r
3/2
). Al contrario della (13.28) questa espressione rappresenta unonda (cilindrica)
vera e propria, con vettore donda

k dato da,
k
z
=

v
, k
r
=

v

v
2
n
2
1, k

= 0.
La sua velocit`a di propagazione `e allora data da,

k|
=

_
k
2
r
+ k
2
z
=
1
n
,
che `e la velocit`a della luce nel mezzo. La direzione di propagazione dellonda `e invece
individuata dallangolo
C
che

k forma con la direzione del moto della particella, langolo
353
di Cerenkov,
cos
C
=
k
z
|

k|
=
1
v n
. (13.42)
Tale angolo `e ben denito no a quando risulta soddisfatta la condizione di Cerenkov
v >
1
n
. Le direzioni di emissione giacciono quindi su un cono in avanti, coassiale con
la traiettoria della particella e di apertura
C
, che viene chiamato cono di Cerenkov.
Langolo di Cerenkov `e legato allangolo di (13.31) dalla relazione di complementari`a,

C
=

2
.
La direzione della radiazione coincide, inoltre, con la direzione del vettore di Poynting sul
bordo del cono in cui il campo `e diverso da zero. Valutando il numeratore della (13.16)
per z = vt r

v
2
n
2
1, si vede infatti che risulta

S

k. In realt`a, come anticipato
sopra, sul bordo di questo cono il modulo di

S diverge, vedi sezione 13.4.
Nellacqua, che alle frequenze visibili ha un indice di rifrazione n =
4
3
, si ha emissione
di radiazione Cerenkov se v >
3
4
, e quando v varia tra
3
4
e 1, langolo di emissione varia
tra
C
= 0 e
C
= arccos
3
4
= 41.4
o
.
13.4 Mezzi dispersivi
Molti mezzi dielettrici hanno un indice di rifrazione che nello spettro visibile `e pratica-
mente costante, ma nei mezzi reali esso `e in generale una funzione della frequenza, n().
Si dice che il mezzo `e dispersivo. Landamento della funzione n() dipende molto dalle
propriet`a atomiche del mezzo, in particolare dalla presenza di frequenze di risonanza. Le
sue caratteristiche generali sono comunque,
_
_
_
n() < 1, per >
m
,
lim

n() = 1,
(13.43)
dove
m
`e un valore limite, che `e vicino alla frequenza di risonanza pi` u elevata. Per grandi
si ha in particolare landamento asintotico n() 1
2
p
/
2
, dove
p
`e la frequenza
di plasma del mezzo. La banda di frequenze in cui n() < 1 `e quindi limitata.
Equazioni di Maxwell in un mezzo dispersivo. In un mezzo dispersivo la dinamica del
campo elettromagnetico non `e pi` u descritta dalle (13.2)(13.5), ovvero, dalle (13.9), ma
354
dalle trasformate di Fourier temporali di queste ultime,

_
n
2
()
2
+
2
_
A

() =
_
()
n
2
()
,

j()
_
, (13.44)
dove () e

j() indicano rispettivamente le trasformate di Fourier temporali di (x) e

j(x). In caso di dispersione il potenziale vettore `e allora denito come lantitrasformata,


A

(x)
1

2
_

e
it
A

() dt, (13.45)
dove le A

() risolvono, per denizione, le (13.47). In particolare A

(x) non soddisfa


quindi pi` u unequazione dierenziale locale, come la (13.9).
Il campo per un moto rettilineo uniforme. Per il moto rettilineo uniforme `e di nuovo
suciente determinare la componente = 0 del quadripotenziale, perche dalla (13.10)
segue che

j() = () v, e la (13.44) implica allora che,

A() = n
2
()A
0
() v. (13.46)
Eseguendo la trasformata di Fourier della (13.10) si ottiene,
() =
e

2
_

e
it
(z vt)
2
(r) dt =
e

2 v
e
iz/v

2
(r),
e la componente = 0 della (13.44) diventa allora,
_
n
2
()
2
+
2
_
A
0
() =
e

2 v n
2
()
e
iz/v

2
(r). (13.47)
Ci siamo quindi ricondotti alla soluzione di questa equazione dierenziale alle derivate
parziali. In realt`a, ripercorrendo la procedura della sezione precedente, in particolare
considerando la trasformata di Fourier temporale della (13.11), non `e dicile rendersi
conto che la (13.47) `e risolta dalle (13.19), (13.35), rispettivamente per i valori di per
cui n() <
1
v
e n() >
1
v
, purche si eettui nelle (13.19), (13.35) la sostituzione n n().
Per vericarlo esplicitamente ricordiamo che in coordinate cilindriche il laplaciano si scrive,

2
=
2
z
+
2
r
,
2
r

2
r
+
1
r

r
+
1
r
2

2

,
e poniamo,
A
0
() =
e
(2)
3/2
v n
2
()
e
i z/v
I(, r), (13.48)
355
dove assumiamo che I(, r) non dipenda da z e . La (13.47) si riduce allora a,
_

2
r
+
1
r

r
+

2
v
2
_
n
2
()v
2
1
_
_
I(, r) = 2
2
(r). (13.49)
Notando che per x = 0 le funzioni K e L soddisfano le equazioni dierenziali (13.25),
(13.39), vediamo che per r = 0 la (13.49) `e soddisfatta se poniamo, rispettivamente per
n() <
1
v
e n() >
1
v
,
I(, r) = K
_
_
1 v
2
n
2
()
v
r
_
, I(, r) = L
_
_
v
2
n
2
() 1
v
r
_
, (13.50)
in accordo con le (13.19), (13.35). Per rivelare, invece, la presenza della
2
(r) nella (13.49),
occorre ricordare che in x = 0 le funzioni L e K esibiscono le singolarit`a logaritmiche
(13.24) e (13.37), sicche nelle vicinanze di r = 0 I(, r) si comporta come,
I(, r) = ln r + a + o(r),
dove a `e una costante indipendente da r. Siccome la funzione di Green del laplaciano
bidimensionale `e il logaritmo, vedi problema 6.4,

2
r
(ln r) = 2
2
(r),
la parte singolare in r = 0 di
2
r
I(, r) risulta proprio,
_

2
r
I(, r)
_
sing
=
2
r
(ln r) = 2
2
(r).
Si conclude quindi che la I(, r) data in (13.50) soddisfa la (13.49) nel senso delle
distribuzioni.
Unicit`a della soluzione. Discutiamo brevemente lunicit`a della soluzione (13.50), fa-
cendo vedere che lequazione omogenea associata alla (13.49) non ammette soluzioni si-
che. Per n() <
1
v
questa equazione coincide con la (13.25), che ha come unica soluzione

K, in quanto solo essa in x = 0 `e regolare, vedi (13.27).


43
Tuttavia, questa funzione
diverge esponenzialmente per x , e quindi non `e accettabile come soluzione sica.
Per n() <
1
v
la soluzione `e quindi unica. Per n() >
1
v
invece, lequazione omogenea
43
In realt`a la funzione

K non costituisce una distribuzione temperata, ovvero un elemento di S

, per
via della divergenza esponenziale per x . Essa rappresenta, tuttavia, una distribuzione, ovvero un
elemento di D

, e come tale soddisfa la (13.25).


356
associata alla (13.49) `e data dalla (13.39), e lunica soluzione di questa equazione `e la
funzione L
2
, che `e regolare in x = 0 e costituisce in eetti una distribuzione temperata,
vedi (13.37), (13.38). Dato che A
0
(t, x) `e reale, la (13.48) impone che I

(, r) = I(, r).
Siccome si ha L
2
(x) = L
2
(x), per n() >
1
v
la soluzione generale della (13.49) `e allora
data da, tralasciando gli argomenti,
I = L + a i L
2
=
_
1 +
a
2
_
L
a
2
L

,
dove a `e una costante reale arbitraria. Tuttavia, dallandamento asintotico (13.37) si vede
che L rappresenta unonda uscente radialmente, mentre L

rappresenta unonda entrante


radialmente dallinnito. La causalit`a impone allora la scelta a = 0, e la soluzione sica
`e di nuovo unica.
Dispersione, fronti donda e singolarit`a. Riassumendo possiamo dire che in presenza
di un mezzo dispersivo, il potenziale scalare di una particella in moto rettilineo uniforme
`e dato da, vedi (13.45), (13.48) e (13.50),
A
0
(t, x) =
e
(2)
2
v
_

e
i

v
(z v t)
I(, r)
n
2
()
d, (13.51)
dove,
I(, r) =
_

_
K
_

1v
2
n
2
()
v
r
_
, per n() <
1
v
,
L
_

v
2
n
2
()1
v
r
_
, per n() >
1
v
.
(13.52)
In modo analogo si determina lespressione per

A, usando la (13.46),

A(t, x) =
e u
z
(2)
2
_

e
i

v
(z v t)
I(, r) d.
Per velocit`a piccole, ovvero, per v <
1
n()
, la (13.51) si riduce alla (13.14), che
costituisce un potenziale regolare per qualsiasi x = v t. Per un mezzo non dispersivo (n
costante), e v >
1
n
, la (13.51) si riduce invece alla (13.33), e si crea un fronte donda
singolare per z vt = r

v
2
n
2
1. Illustriamo brevemente come questa singolarit`a
emerge dalla rappresentazione integrale (13.51). In questo caso si ha I = L per ogni , e
per grandi valori di la (13.37) fornisce landamento asintotico oscillante,
I(, r)
1
_
||
e
i
r
v

v
2
n
2
1
. (13.53)
357
Si vede allora che per z vt = r

v
2
n
2
1, nella (13.51) per grandi i due fattori
oscillanti si compensano tra di loro, e lintegrale in diverge: sul fronte donda A
0
(t, x)
`e quindi innito.
Viceversa, se v >
1
n()
solo per un insieme limitato di frequenze come succede in un
qualsiasi mezzo reale, vedi le (13.43) allora per sucientemente grande si ha I = K.
In questo caso landamento asintotico (13.53) `e sostituito da, vedi (13.22),
I(, r)
1
_
||
e

|| r
v

1 v
2
n
2
,
e lintegrale nella (13.51) converge allora per ogni x = v t. In un mezzo reale A
0
(t, x) `e
dunque una funzione regolare in tutto lo spazio, qualsiasi sia la velocit`a della particella, e
non compare nessun fronte donda singolare. Risultati identici si ottengono per

A(t, x).
Per quello che segue sar`a comunque suciente conoscere esplicitamente le funzioni
spettrali A
0
(), date in (13.48).
13.5 Perdita di energia ed emissione di fotoni
Stabilita la presenza di radiazione, in questa sezione quantichiamo lenergia irradiata dal-
la particella durante il suo passaggio nel mezzo. Per il carattere stazionario del fenomeno
cercheremo lenergia emessa per unit`a di frequenza e per unit`a di spazio percorso,
d
2

dz d
.
Prima di passare alla valutazione esplicita di questa grandezza a partire dai campi derivati
nella sezione precedente, presentiamo una derivazione euristica.
13.5.1 Un argomento euristico
Partiamo dalla formula generale dellanalisi spettrale della radiazione emessa da una
particella in moto aperiodico (11.64),
d
2

d d
=
e
2

2
16
3

n
_

e
i (tny)
v dt

2
. (13.54)
Ricordiamo che questa formula `e valida nel vuoto, con indice di rifrazione uguale a 1, e
per v < 1. Se la particella non `e accelerata risulta ovviamento
d
2

d d
= 0.
358
Lespressione (13.54) si riferisce allenergia emessa nellunit`a di frequenza, lungo tutta
la traiettoria. Se un moto `e illimitato e laccelerazione ha una durata innita, allora questa
grandezza in generale `e divergente. Per ottenere un valore nito eventualmente nullo
consideriamo lenergia emessa durante un tempo nito, diciamo tra gli istanti T e T.
Per fare questo dobbiamo limitare lintegrale temporale che compare nella (13.54) tra gli
estremi T e T. Per determinare lenergia media emessa nellunit`a di tempo dobbiamo
successivamente dividere per 2T, e prendere il limite per T . Inne, dividendo il
risultato cos` ottenuto per v, otteniamo unespressione per lenergia emessa nellunit`a di
spazio percorso,
d
3

dz d d
=
e
2

2
16
3
v
lim
T
1
2T

n
_
T
T
e
i (tny)
v dt

2
. (13.55)
Se v `e costante abbiamo y = v t, e svolgendo i calcoli si ottiene,
1
2T

n
_
T
T
e
i (tny)
v dt

2
= 2
_
v
2
(n v)
2
_

sen
2
((1 n v) T)
(1 n v)
2

2
T
. (13.56)
Per eseguire il limite per T `e suciente notare che si ha il limite in S

,
lim
T
sen
2
(Tx)
Tx
2
= (x),
limite che si verica facilmente applicando ambo i membri a una funzione di test. Usando
questa relazione il limite della (13.56) diventa,
lim
T
1
2T

n
_
T
T
e
i (tny)
v dt

2
= 2
_
v
2
(n v)
2
_
((1 n v) )
=
2

_
v
2
1
_
(1 n v) . (13.57)
Ripristinando la velocit`a della luce e introducendo langolo tra v e la direzione di
emissione n, la (13.55) diventa allora,
d
3

dz d d
=
e
2

8
2
v c
_
v
2
c
2
1
_

_
1
v
c
cos
_
. (13.58)
Per v < c largomento della non si annulla per nessun valore di e quindi non si
ha emissione di energia, come conviene a una particella che si muove di moto rettilineo
uniforme nel vuoto.
359
Continuazione analitica. La formula appena scritta, valida nel vuoto, ammette una
continuazione analitica naturale quando si `e in presenza di un mezzo.
`
E, infatti, suciente
eettuare nella (13.58) le sostituzioni (13.6), per ottenere (n n())
44
,
d
3

dz d d
=
e
2

8
2
v nc
_
v
2
n
2
c
2
1
_

_
1
v n
c
cos
_
. (13.59)
Si vede che per v >
c
n
esiste ora un cono di direzioni di emissione, formanti con la velocit`a
della particella unangolo determinato da,
cos =
c
vn
,
angolo che coincide in eetti con langolo di Cerenkov (13.42). Grazie alla presenza della
`e immediato eettuare lintegrale sugli angoli della (13.59). Siccome abbiamo,
_

_
1
v n
c
cos
_
d = 2
_
1
1

_
1
v n
c
cos
_
dcos =
2 c
v n
H(v n c),
si ottiene,
d
2

dz d
=
e
2

4c
2
_
1
c
2
v
2
n
2
_
, se v >
c
n
, (13.60)
e
d
2

dz d
= 0, se v <
c
n
. La formula (13.60) `e stata derivata da Frank e Tamm nel 1937, in
spiegazione delleetto Cerenkov. Torneremo al suo signicato nel prossimo paragrafo.
13.5.2 La formula di Frank e Tamm
Largomento del paragrafo precedente ha evidentemente carattere euristico e pu`o risultare
pi u o meno convincente; esso `e comunque interessante per via degli strumenti che abbiamo
utilizzato. In questo paragrafo daremo, invece, una derivazione della formula di Frank e
Tamm a partire dai principi primi, ovvero a partire dallanalisi asintotica dei campi,
svolta nella sezione precedente.
Consideriamo allora lenergia totale che la particella emette attraverso un cilindro
coassiale con la traiettoria, di raggio r e lunghezza z = z
2
z
1
, durante lintero percorso.
Dai risultati della sezione precedente sappiamo che i campi dipendono da t e z solo
attraverso la combinazione z vt, vedi (13.51), e `e quindi indipendente da z
1
e z
2
, e
dipende solo da z. Risulta allora,
= (2r z)
_

E

B
_
u
r
dt = (2r z)
_

()

B()
_
u
r
d,
44
Non si confonda lindice di rifrazione n con il modulo del versore n, che vale 1.
360
dove abbiamo usato il teorema di Parseval. Come vedremo tra poco, frequenze positive
e negative contribuiscono in ugual maniera, e quindi lenergia emessa per unit`a di spazio
percorso e per unit`a di frequenza `e data da,
d
2

dz d
= 4r
_

()

B()
_
u
r
. (13.61)
Per calcolare lenergia emessa dobbiamo prendere il limite per r . Vediamo quindi
che per avere emissione di radiazione in simmetria cilindrica, a frequenza ssata i campi
devono decrescere allinnito come
1

r
, come onde cilindriche.
La valutazione esplicita della (13.61) `e facilitata dai risultati della sezione precedente.
Per v <
1
n()
i campi decadono esponenzialmente, vedi (13.28), e non c`e emissione di
energia. Per v >
1
n()
landamento del potenziale per grandi r `e stato determinato in
(13.40),
A
0
() =
e
4n
2

e
i/4
(v
2
n
2
1)
1/4

v r
e
i

v
_
z +

v
2
n
2
1 r
_
. (13.62)
Il campi

E() e

B() si determinano facilmente eseguendo la trasformata di Fourier delle
denizioni (13.7), (13.8), e ricordando la (13.46),

E() =

A
0
() i

A() =
_

+ i n
2
v
_
A
0
(),

B() =


A() = n
2
v

A
0
= n
2
v

E().
`
E quindi suciente calcolare

E(), limitandosi ai termini di ordine
1

r
. Nella valutazione
di

A
0
`e suciente derivare lesponenziale in (13.62), perche la derivata di
1

r
porta a
termini di ordine
1
r
3/2
. Si ottiene cos`,

A
0
() =
i
v
_
u
z
+

v
2
n
2
1 u
r
_
A
0
(),

E() =
i
v

v
2
n
2
1
_
u
r

v
2
n
2
1 u
z
_
A
0
(), (13.63)

B() = i n
2

v
2
n
2
1 A
0
() u

. (13.64)
Polarizzazione. Dalle espressioni di

E() e

B() vediamo in particolare che i vettori di
polarizzazione sono reali, a parte una fase overall. Concludiamo quindi che la radiazione
361
Cerenkov `e linearmente polarizzata, e che la polarizzazione di

E appartiene al piano
contenente la direzione della particella e la direzione di propagazione della radiazione
in accordo con le osservazioni fatte da Cerenkov.
Inne, inserendo le (13.63), (13.64) nella (13.61) si ottiene,
d
2

dz d
=
4r n
2

2
v
_
n
2
v
2
1
_
3/2
|A
0
()|
2
.
Calcolando dalla (13.62),
|A
0
()|
2
=
_
e
4n
2
_
2
1
v r

v
2
n
2
1
,
si ottiene il risultato di Frank e Tamm,
d
2

dz d
=
e
2

4c
2
_
1
c
2
v
2
n
2
()
_
, (13.65)
dove abbiamo ripristinato la velocit`a della luce e la dipendenza dellindice di rifrazione da
. Per determinare lenergia totale emessa per unit`a di spazio percorso, occorre integrare
la (13.65) sulle frequenze,
d
dz
=
e
2
4c
2
_

_
1
c
2
v
2
n
2
()
_
d,
dove per una velocit`a ssata lintegrale si estende su tutte le frequenze per cui v >
c
n()
.
Siccome linsieme di queste frequenze `e un insieme limitato, lenergia emessa `e sempre
nita.
Numero di fotoni emessi. Ricordando che radiazione di frequenza `e composta da
fotoni di energia , possiamo anche determinare il numero N di fotoni che viene emesso
per unit`a di spazio percorso, nellintervallo unitario di frequenze. Dividendo la (13.65)
per lenergia di un fotone risulta,
d
2
N
dz d
=
e
2
4c
2

_
1
c
2
v
2
n
2
()
_
,
mentre il numero totale di fotoni emessi per unit`a di spazio percorso `e dato da,
dN
dz
=

c
_ _
1
c
2
v
2
n
2
()
_
d, (13.66)
dove abbiamo introdotto la costante di struttura ne =
e
2
4c
=
1
137
. Anche questo
numero `e quindi nito.
362
A titolo di esempio stimiamo il numero di fotoni emessi nello spettro visibile, da una
particella che viaggia con velocit`a prossima a quella della luce in acqua pura. Siccome
nellottico lacqua ha un indice di rifrazione praticamente costante, n() =
4
3
, in questo
caso abbiamo,
1
c
2
v
2
n
2
()
= 1
9
16
=
7
16
.
Ponendo
1
= 400nm,
2
= 800nm, e
1,2
= 2c/
1,2
, la (13.66) d`a allora,
dN
dz
=

c
_

1

2
_
1
c
2
v
2
n
2
()
_
d =
7
8
_
1

2
_
250/cm. (13.67)
Mentre la particella attraversa un centimetro di acqua, essa emette dunque circa 250
fotoni con frequenze nello spettro visibile. Si noti che la (13.67) permette di dare la stima
qualitativa generale,
dN
dz

=
1
137
,
che indica che su una distanza di 137 volte la lunghezza donda, la particella emette circa
un fotone.
13.6 Rivelatori Cerenkov
Un dispositivo sperimentale che si avvale delleetto Cerenkov per rivelare particelle ele-
mentari, viene chiamato rivelatore Cerenkov. In genere `e costituito da un contenitore
riempito da un mezzo trasparente il cosiddetto radiatore per esempio acqua purissima,
che funge da dielettrico polarizzabile. La luce provocata dal passaggio di una particella
carica con velocit`a elevata viene raccolta da fotorivelatori. Dallangolo di emissione, e dal
numero di fotoni emessi in un intervallo di lunghezze donda, vedi (13.42) e (13.67), si
determina la velocit`a della particella. Siccome la radiazione viene emessa su coni concen-
trici, si pu`o risalire inoltre alla direzione del moto della particella. Benche le potenzialit`a
delleetto Cerenkov come base per un rivelatore fossero chiare sin dai primordi, `e solo
lavvento dei fotomoltiplicatori, capaci di rivelare con unalta ecienza ed una risposta
veloce anche piccole intensit`a di luce, che permise a John Valentine Jelley nel 1951 di
sviluppare il primo dispositivo impiegato in un esperimento.
SuperKamiokande. In tempi recenti rivelatori Cerenkov sono stati impiegati nelle
ricerche sulla sica dei neutrini, eettuate dagli esperimenti Kamiokande e Super
363
Kamiokande nelle miniere di Kamioka in Giappone. I neutrini interagiscono debolmente
con la materia, ma `e possibile che un neutrino molto energetico interagisca con un atomo,
e trasferisca buona parte della sua energia ad una particella carica, tipicamente un elet-
trone o un muone, che irradia a sua volta luce Cerenkov. SuperKamiokande si avvale di
un recipiente cilindrico di 40m di altezza e di diametro, contenente come radiatore 50.000
tonnellate di acqua purissima, la cui supercie `e disseminata di circa 11.000 fotomolti-
plicatori. Gli esperimenti di Kamioka hanno conseguito scoperte importanti nel campo
della sica dei neutrini. Cos` nel 1987 Kamiokande rivel`o per la prima volta un usso
di neutrini proveniente dallesplosione di una supernova, nella Grande Nube di Magel-
lano, mentre nel 1988 osserv`o neutrini provenienti dal Sole. Nel 1998 gli esperimenti di
SuperKamiokande hanno invece fornito la prima evidenza sperimentale delloscillazione
dei neutrini, fenomeno che `e possibile solo se i neutrini hanno una massa diversa da zero.
I rivelatori Cerenkov hanno giocato un ruolo altrettanto essenziale nella scoperta del-
lantiprotone con il Bevatrone di Berkeley nel 1955, e in quella del quark charm nei
laboratori di Brookhaven nel 1974.
364
14 La reazione di radiazione
Riprendiamo le equazioni dellElettrodinamica per una particella singola,

= j

, (14.1)
dp

ds
= e F

(y)u

, (14.2)
con le denizioni consuete,
F

, j

= e
_
u

4
(x y) ds.
Dalle analisi svolte nei capitoli precedenti appare evidente che, escluso casi banali, questo
sistema di equazioni accoppiate non pu`o essere risolto analiticamente, e difatti nora ab-
biamo arontato la sua soluzione adottando implicitamente un approccio riduzionistico.
Riassumiamolo brevemente.
Come primo passo abbiamo determinato la soluzione esatta dellequazione di Maxwell
(14.1), assumendo nota la traiettoria y

(s) della particella. Abbiamo trovato che il campo


elettromagnetico risultante `e dato dalla somma del campo di LienardWiechert (7.23),
che dora in poi indicheremo con F

, e di un arbitrario campo esterno libero F

in
,
F

= F

+ F

in
. (14.3)
Se la particella si trovava in presenza di campi esterni noti, come i campi elettromagne-
tici negli acceleratori di particelle, oppure quello dellonda piana che incide sullelettrone
nelleetto Thomson, abbiamo determinato preliminarmente la traiettoria della particella
risolvendo lequazione di Lorentz (14.2), ponendo ivi F

= F

in
: cos` facendo abbiamo,
dunque, trascurato lazione del campo di LienardWiechert sulla particella stessa, ovvero,
abbiamo trascurato lautocampo.
Avendo determinato la traiettoria della particella in questo modo, abbiamo calcolato
il campo da essa creato risolvendo la (14.1), e lo abbiamo poi valutato a grandi distanze
dalla stessa, per analizzare il quadrimomento trasportato dalla radiazione emessa. In al-
cuni casi siamo inoltre stati in grado di quanticare leetto dellemissione di radiazione
sul moto della particella, invocando la conservazione del quadrimomento. Abbiamo visto
365
che in generale questo eetto `e costituito da una diminuzione dellenergia della particel-
la, e da una variazione della sua quantit`a di moto. Ricordiamo come esempi la forza di
reazione nella diusione Thomson, la diminuzione della velocit`a di una particella carica
in un ciclotrone, e il collasso dellatomo di idrogeno classico. Questo eetto secondario,
chiamato reazione di radiazione, forza di frenamento o anche forza di autointera-
zione, scaturisce dallazione del campo elettromagnetico F

(x) creato dalla particella,


sulla particella stessa. Per ragioni di localit`a questa azione pu`o avvenire solo nel punto
x = y(s) y dove la particella si trova, e quindi deve coinvolgere il valore del campo
F

(y) in quel punto. Corrispondentemente, dalle (14.2) e (14.3) si vede che la forza di
frenamento `e rappresentata proprio dal termine,
e F

(y) u

. (14.4)
Tuttavia, come abbiamo anticipato varie volte, la grandezza F

(y) lautocampo
`e sempre innita! Pi` u precisamente, per x y(t) si ha che listante ritardato t

si
approssima a t, vedi (7.13), e segue che
45
,
R = |x y(t

)| |x y(t)| r.
Dalle (7.24)(7.26) si vede allora che nelle vicinanze della traiettoria domina il campo
coulombiano, e che per x y(t), ovvero, per x

, il campo di LienardWiechert
(7.23) diverge come,
F

(x)
1
r
2
. (14.5)
Questa `e la ragione per cui abbiamo rinviato la trattazione sistematica della reazione di
radiazione no a questo capitolo.
45
In realt`a, quando x y(t), la distanza R = |x y(t

)| si identicata con la distanza sica


r = |x y(t)|, solo modulo una costante moltiplicativa. Risolvendo la condizione del ritardo (7.13) al
primo ordine in r, si trova infatti,
t

(t, x) = t
_
v m +
_
1 v
2
+ (v m)
2
1 v
2
_
r + o(r
2
), m
x y(t)
r
.
Dato che R = |x y(t

)| = t t

(t, x), si ottiene allora,


R =
_
v m +
_
1 v
2
+ (v m)
2
1 v
2
_
r + o(r
2
).
Vicino alla linea di universo R dierisce quindi da r per una costante moltiplicativa, di origine relativistica,
che per`o non si annulla mai.
366
A parte la dicolt`a concettuale appena menzionata, appare chiaro che lapproccio
riduzionistico adottato nora non pu`o che avere validit`a limitata, perche il moto della
particella `e determinato non solo dalle forze esterne, ma anche dalla forza di frenamento,
e in generale queste due forze devono essere prese in considerazione contemporaneamen-
te. Nelle prossime sezioni aronteremo il problema della reazione di radiazione in modo
sistematico, a partire dai principi primi, cio`e, dalle equazioni (14.1) e (14.2).
Particelle puntiformi e divergenze ultraviolette. Le divergenze appena evidenziate si
riettono anche nella denizione dellenergia totale del campo elettromagnetico, come
discusso nel caso della particella statica nel paragrafo 2.3.4. Nel caso generale, a causa
della (14.5), vicino alla particella il tensore energiaimpulso del campo elettromagnetico
(2.78) diverge come,
T

em

1
r
4
,
che rappresenta una singolarit`a non integrabile in R
3
. Per ogni t ssato gli integrali del
quadrimomento totale, P

em
=
_
T
0
em
d
3
x, sono quindi divergenti. Questo problema verr`a
arontato e risolto nel capitolo 15, dove faremo vedere come si pu`o costruire un nuovo
tensore energiaimpulso, ben denito nello spazio delle distribuzioni, conservato e con
quadrimomento totale nito.
`
E chiaro che lorigine di entrambe le patologie qu` descritte forza di frenamento
divergente, e energia del campo elettromagnetico innita risiede nella struttura punti-
forme della particella carica.
`
E infatti proprio la distribuzione puntiforme della carica
a dare luogo a un campo, che nelle immediate vicinanze della particella diverge come
1/r
2
. In teoria quantistica, a causa del principio di indeterminazione, lanalisi di regioni
molto piccole richiede energie molto elevate, ovvero, fotoni con frequenze molto grandi.
Per questo motivo divergenze che occorrono a piccole scale spaziali vengono comunemen-
te chiamate divergenze ultraviolette anche nellambito della sica classica mentre
divergenze che emergono a distanze grandi vengono chiamate divergenze infrarosse. Le
divergenze presenti nella forza di frenamento e nellenergia del campo elettromagnetico
corrispondono quindi a divergenze ultraviolette, perche si percepiscono a distanze molto
piccole dalla particella. Daltra parte una particella carica puntiforme non d`a luogo a nes-
suna singolarit`a infrarossa, perch`e allinnito il campo decresce come 1/r
2
, e lintegrale
367
del quadrimomento
_
T
0
em
d
3
x converge quindi a grandi distanze
46
.
Viceversa, una particella con una distribuzione pi` u regolare di carica, per esempio
una distribuzione superciale su una sfera rigida, creerebbe un campo elettromagnetico
ovunque privo di singolarit`a. Tuttavia, una tale distribuzione sarebbe in conitto con i
principi della Relativit`a: il vincolo di rigidit`a richiederebbe forze interne a distanza,
che violerebbero la causalit`a, e la compensazione della repulsione elettrostatica della di-
stribuzione di carica, richiederebbe lintroduzione di nuove forze di legame, di origine non
elettromagnetica. Volendo preservare i postulati della Relativit`a e leconomia inerente alla
formulazione minimale dellElettrodinamica che non prevede altre forze fuorche quelle
di origine elettromagnetica preferiamo mantenere le particelle puntiformi, e modicare
invece lequazione di Lorentz sostituendola con lequazione di LorentzDirac (14.12).
14.1 Forze di frenamento: analisi preliminare
Prima di passare a unanalisi sistematica delle forze di frenamento facciamo qualche con-
siderazione di carattere generale. Ci sono, infatti, molti casi in cui localmente le forze di
frenamento possono essere trattate come una perturbazione, ed eventualmente trascura-
te. Con localmente trascurabile intendiamo il fatto che queste forze inuenzano poco il
moto instantaneo della particella. Questo succede, per esempio, se le forze di frenamento
sono piccole rispetto alle forze esterne primarie, oppure se esse vengono compensate da
opportune forze esterne aggiuntive come le cavit`a a radiofrequenza in un ciclotrone, o i
generatori di dierenza di pontenziale che mantengono gli elettroni in unantenna in stato
di oscillazione.
Forze di frenamento trascurabili. Analizziamo ora qualitativamente le condizioni si-
che in cui le forze di frenamento sono localmente trascurabili. Adottiamo il seguente
criterio: la reazione di radiazione pu`o essere trascurata, se lenergia persa dalla par-
ticella a causa dellirraggiamento durante un intervallo temporale, `e piccola rispetto al-
lenergia
0
fornita dalla forza esterna nello stesso intervallo temporale. Applichiamo
il criterio nel limite non relativistico. Indichiamo con T la scala temporale caratteristi-
46
Per ogni t ssato, a grandi distanze F

decresce come 1/r


2
, purch`e la particella sia accelerata per
un intervallo temporale nito. In caso contrario domina il campo di accelerazione, e F

decresce come
1/r.
368
ca della forza esterna, ovvero, il tempo durante il quale la velocit`a della particella varia
apprezzabilmente, v v. Se a `e laccelerazione della particella abbiamo dunque,
v a T v.
Allora possiamo usare la formula di Larmor per stimare,

e
2
a
2
6
T,
mentre lenergia comunicata dalla forza esterna alla particella nel tempo T `e,

0
=
_
1
2
mv
2
_
mv v ma
2
T
2
.
Si ottiene allora,

e
2
3m
1
T
.
La quantit`a,
=
e
2
6mc
3
, (14.6)
corrisponde a un tempo molto piccolo, che `e legato al raggio classico della particella dalla
relazione =
2r
0
3c
. Per lelettrone si ha, per esempio,
= 0.6 10
23
s.
Abbiamo quindi,


T
. (14.7)
Localmente la reazione di radiazione `e quindi trascurabile, no a quando la scala tempo-
rale T sulla quale la forza esterna varia sensibilmente `e grande rispetto a . Al contrario,
la reazione di radiazione non pu`o essere trascurata, se la forza varia molto violentemente,
ovvero, se durante lintervallo temporale piccolo essa subisce una variazione relati-
va apprezzabile. Torneremo sulleetto di forze di questo tipo nel paragrafo 14.2.5, in
connessione con il fenomeno della preaccelerazione.
Lanalisi appena svolta ha validit`a locale. Anche se le forze variano su scale tempo-
rali T , esse possono comunque dare luogo ad eetti cumulativi apprezzabili. Cos`
un elettrone in un ciclotrone non relativistico dopo un tempo sucientemente grande si
369
arresta. Daltra parte, come abbiamo visto nel paragrafo 10.2.2, nel ciclotrone ultrarela-
tivistico lirraggiamento ha eetti importanti anche localmente, e pu`o portare allarresto
della particella in una frazione piccolissima di secondo. In questi casi la reazione di radia-
zione certamente non pu`o essere trascurata, e in certe situazioni essa pu`o diventare anche
dominante rispetto alla stessa forza esterna.
14.1.1 Un argomento euristico per lequazione di LorentzDirac
Tornando allequazione di Lorentz (14.2) e sostituendo la soluzione generale dellequazione
di Maxwell (14.3), si arriva a,
dp

ds
= e F

(y) u

+ e F

in
(y) u

. (14.8)
Per rendere operativa questa equazione dovremmo valutare esplicitamente la forza di fre-
namento (14.4) divergente. La valutazione di questa forza `e in realt`a indispensabile, per
chiudere il sistema di equazioni che governano lElettrodinamica di una particella carica.
Sostituito al posto di F

il campo di LienardWiechert, la (14.8) corrisponderebbe ap-


punto a quattro equazioni del secondo ordine nelle incognite y

(s), di cui tre indipendenti.


Lintero problema dinamico dellElettrodinamica sarebbe cos` ricondotto alla soluzione di
queste tre equazioni del secondo ordine: per quanto complicate esse siano, la legge oraria
y(t) della particella sarebbe completamente determinata dai dati iniziali y(0) e v(0). In
realt`a vedremo che, una volta eliminate le divergenze attraverso unopportuna procedu-
ra di rinormalizzazione, in ultima analisi questa strategia non potr`a essere portata a
termine.
Prima di passare allanalisi esplicita della forza di frenamento (divergente), presentia-
mo un semplice argomento euristico per derivare una sua possibile espressione nita. A
questo scopo ricordiamo che il quadrimomento irradiato dalla particella al tempo proprio
s, e che raggiunge linnito, `e dato dalla formula relativistica di Larmor (10.7),
dP

rad
ds
=
e
2
6
w
2
u

. (14.9)
Se il quadrimomento totale si deve conservare, allora ci dobbiamo aspettare che la parti-
cella ceda questa quantit`a di quadrimomento, subendo la forza di frenamento,
dp

ds
=
e
2
6
w
2
u

+ + e F

in
(y) u

, (14.10)
370
dove abbiamo indicato la presenza di eventuali termini addizionali. Infatti, indipenden-
temente dalla presenza o meno del campo esterno, il termine di Larmor non pu`o essere
lunico termine presente al membro di destra di questa equazione. Per convincersi di
questo `e suciente contrarre lequazione con u

: il membro di sinistra si annulla allora,


perch`e u

= 0, mentre quello di destra resta diverso da zero. In realt`a abbiamo gi`a


anticipato la possibilit`a della presenza di termini addizionali, quando nel paragrafo 10.1.2
abbiamo discusso il signicato della (14.9). Lanalisi appena svolta dimostra che questi
contributi addizionali sono necessariamente presenti, e non `e dicile avanzare unipotesi
sulla loro forma.
`
E suciente notare lidentit`a,
u

dw

ds
= w
2
, (14.11)
che si ottiene derivando rispetto a s la relazione u

= 0,
w

+ u

dw

ds
= 0.
Allora `e immediato vedere che un completamento dellequazione (14.10) consistente con
il vincolo u

dp

ds
= 0 `e costituito dallequazione di LorentzDirac
47
,
dp

ds
=
e
2
6
_
dw

ds
+ w
2
u

_
+ e F

in
(y) u

. (14.12)
Insistiamo sul fatto che questa equazione non potr`a essere dedotta dalla (14.8), perche
questultima `e divergente.
La conclusione dellanalisi preliminare di questa sezione `e che non `e possibile derivare
unequazione chiusa per la dinamica di una particella carica, a partire dalle equazioni di
Maxwell e di Lorentz: la teoria deve quindi necessariamente essere modicata. Dallanalisi
svolta si capisce anche che, volendo mantenere le equazioni di Maxwell nella cui soluzione
tra laltro non abbiamo incontrato nessuna inconsistenza dovremo modicare lequazione
di Lorentz.
14.2 Lequazione di LorentzDirac
In questa sezione presenteremo una deduzione dellequazione di LorentzDirac, a partire
da unequazione di Lorentz modicata, in particolare regolarizzata, e analizzeremo le
47
Lorentz dedusse la versione non relativistica di questa equazione nel 1904, mentre Dirac ottenne la
versione covariante (14.12) nel 1938.
371
sue propriet`a pi` u salienti. Per semplicit`a considereremo prima una particella singola,
presentando la generalizzazione al caso di N particelle alla ne della sezione.
Per lequazione del moto consistente di una particella carica in sostituzione delle-
quazione di Lorentz poniamo le seguenti richieste minimali, di ovvio signicato:
1) Invarianza relativistica.
2) Assenza di termini divergenti nellequazione.
3) Consistenza dellequazione con lidentit`a u

dp

ds
= 0.
4) Compatibilit`a con la conservazione del quadrimomento totale.
In seguito ci occuperemo delle richieste 1) 3), mentre la richiesta 4), non meno
importante delle altre, verr`a arontata nel capitolo 15.
Incominciamo riprendendo lespressione per il campo di LienardWiechert (7.23),
F

(x) =
e
4(uL)
3
_
L

+ L

[(uL) w

(wL) u

] ( )
_
. (14.13)
Ricordiamo che,
L

(x) = x

(), (14.14)
e che le variabili cinematiche della particella, y(), u(), e w(), sono valutate al tempo
ritardato proprio (x), denito da,
(x y())
2
= 0, x
0
> y
0
(). (14.15)
Regolarizzazione e rinormalizzazione. La nostra strategia per ottenere unequazione di
Lorentz nita, a partire dallequazione di Lorentz singolare (14.8), segue una procedura
che viene applicata comunemente nelle teorie di campo quantistiche relativistiche, per
curare le divergenze ultraviolette. Questa procedura prevede due passaggi, il primo `e
costituito da una regolarizzazione, e il secondo da una rinormalizzazione. Vediamo
come essa si attua in concreto.
Come primo passo si introduce un regolarizzatore > 0, che nel presente caso avr`a le
dimensioni di una lunghezza. Si introduce poi un campo di LienardWiechert regolariz-
zato,
F

(x) F

(x), (14.16)
soggetto al limite puntuale,
lim
0
F

(x) = F

(x),
372
con la richiesta che esso sia regolare sulla traiettoria. Richiediamo, cio`e, che la grandezza,
F

(y(s)),
sia nita per ogni > 0, e per ogni s. Come secondo ingrediente della procedura sosti-
tuiamo la massa m della particella con il parametro m

, la cui forma verr`a specicata in


seguito
48
. Non necessariamente dovr`a essere, e non sar`a, lim
0
m

= m.
La nostra proposta per la nuova equazione di Lorentz, in sostituzione della (14.8), `e
allora,
lim
0
_
m

du

ds
e F

(y) u

e F

in
(y) u

_
= 0, (14.17)
purche si riesca a trovare un parametro m

, che elimini dallequazione eventuali termini


divergenti per 0. Si noti che questultima condizione `e molto restrittiva, perche per
qualsiasi scelta di m

si riescono ad eliminare solo termini divergenti che sono proporzionali


a w

=
du

ds
. Questo passaggio nale viene chiamato rinormalizzazione.
Formulata in questo modo, se un tale m

esiste la nostra proposta soddisfa automatica-


mente le richieste 2) e 3). La richiesta 3) `e soddisfatta semplicemente perche nella (14.17)
u

moltiplica sempre un tensore antisimmetrico. La richiesta 1) sar`a, invece, soddisfatta


se la regolarizzazione (14.16) preserva linvarianza di Lorentz. Con ci`o intendiamo che
il campo F

(x) si trasforma come un campo tensoriale sotto trasformazioni di Lorentz,


per ogni > 0.
14.2.1 Derivazione dellequazione
Implementeremo ora questo programma, scegliendo una specica regolarizzazione che
preserva linvarianza di Lorentz.
Una regolarizzazione Lorentzinvariante. Introduciamo un campo di LienardWiechert
regolarizzato mantenendo formalmente lespressione (14.13), ma sostituendo la funzione
(x) di (14.15), con lespressione regolarizzata

(x), denita da,


(x y(

))
2
=
2
, x
0
> y
0
(

). (14.18)
48
A priori si potrebbe anche introdurre una carica regolarizzata e

, ma nel caso in questione non `e


necessario.
373
Deniamo, cio`e
49
,
F

= F

. (14.19)
Questa regolarizzazione preserva linvarianza di Lorentz, perche le condizioni (14.18) sono
Lorentzinvarianti. Si ricordi, in particolare, che il cono luce futuro `e Lorentzinvariante.
`
E anche immediato vedere che F

(y), dove sottintendiamo y

(s), `e ben denito


per ogni > 0. Infatti, valutando la (14.18) per x

= y

(s) abbiamo,
(y(s) y(

))
2
=
2
,
che pone, al posto della soluzione = s del caso non regolarizzato,

= s + o(
2
).
Si ottiene cos`,
L

(y(s)) = y

(s) y

) = u

(s) + o(
2
) (uL)

= + o(
2
) = 0.
Il prefattore
1
[(uL)

]
3
della versione regolarizzata di (14.13) `e quindi nito lungo tutta la
traiettoria, e lautocampo F

(y) `e allora ben denito per ogni > 0 e per ogni s.


La regolarizzazione (14.19) ha lulteriore pregio di preservare la struttura causale del
campo non regolarizzato. Dalla (14.18) si vede infatti che F

(x) dipende dalle variabili


cinematiche y, u e w della particella nel punto y(

), che `e connesso a x attraverso un


segnale causale futuro, segnale che per > 0 si propaga con velocit`a strettamente minore
della velocit`a della luce. Inoltre, non `e dicile dimostrare che vale

(x) < (x), per ogni


> 0. In questo modo il campo regolarizzato F

(x) dipende dalle variabili cinematiche


della particella a un istante ritardato precedente allistante ritardato sico t

(x), ma non
dalle variabili cinematiche ad istanti successivi a t

(x).
49
Non `e dicile convincersi che questa regolarizzazione equivale a tutti gli eetti a sostituire la funzione
di Green ritardata G, con la funzione di Green regolarizzata, ma ancora Lorentz invariante, G

, data da,
G =
1
2
H(x
0
)(x
2
) G

=
1
2
H(x
0
)(x
2

2
).
Denendo A

= G

, `e infatti immediato dimostrare che vale,


F

.
374
Il campo regolarizzato del moto rettilineo uniforeme. Prima di applicare questa rego-
larizzazione a un moto generico, la illustriamo nel caso di una particella in moto rettilineo
uniforme, con linea di universo,
y

(s) = u

s, w

(s) = 0.
In questo caso possiamo determinare il campo di LienardWiechert regolarizzato esatta-
mente. Come primo passo determiniamo

(x), risolvendo il vincolo (14.18),


(x u)
2
=
2

(x) = (ux)
_
(ux)
2
x
2
+
2
.
Secondo la (14.19) dobbiamo allora valutare la (14.13), sostituendo (x)

(x). Ab-
biamo,
L

= x

(x) (uL)

= (ux)

(x) =
_
(ux)
2
x
2
+
2
.
Siccome w

= 0, la (14.13) d`a allora,


F

(x) =
e
4
x

[(ux)
2
x
2
+
2
)]
3/2
, (14.20)
espressione manifestamente Lorentzinvariante. Per 0 si riottiene evidentemente il
campo creato da una particella in moto rettilineo uniforme, vedi (6.78). Ma il campo
(14.20) `e ora ben denito anche sulla traiettora della particella, cio`e, per x

= y

(s) =
u

s. Il denominatore si riduce infatti a 4


3
, mentre il numeratore va a zero, e quindi,
F

(y) = 0.
Anche il limite lim
0
F

(y) `e allora nullo. Questo signica che una particella che si


muove di moto rettilineo uniforme, quindi con F

in
= 0, non esercita nessuna autointe-
razione. Questo risultato `e evidentemente in accordo con il fatto che una particella che
non `e accelerata non emette radiazione. Dallanalisi appena svolta traiamo anche unal-
tra conclusione importante: per un moto arbitrario il limite (divergente) lim
0
F

(y)
deve necessariamente dipendere dalla quadriaccelerazione w

e/o eventualmente dalle sue


derivate, perche per un moto rettilineo uniforme esso `e zero.
Rinormalizzazione della massa. Torniamo ora al caso generale. Per analizzare il limite
in (14.17) dobbiamo determinare landamento dellautocampo F

(y), nel limite per


375
0. Nel paragrafo 14.2.2 faremo vedere che per un moto generale questo limite non esiste,
e che F

(y) ammette invece lo sviluppo in serie di Laurent attorno a = 0,


F

(y) =
e
8
(u

)
e
6
_
u

dw

ds
u

dw

ds
_
+ o(). (14.21)
Utilizzando questo risultato `e facile valutare la forza di frenamento regolarizzata, che
compare in (14.17). Usando lidentit`a (14.11) si ottiene,
e F

(y) u

=
e
2
6
_
dw

ds
+ w
2
u

e
2
8
w

+ o().
Come si vede, la forza di frenamento contiene un termine divergente per 0, che `e
per`o proporzionale a
du

ds
. Grazie a questa circostanza, a meno di termini di ordine la
(14.17) si scrive dunque,
_
m

+
e
2
8
_
du

ds
=
e
2
6
_
dw

ds
+ w
2
u

_
+ e F

in
u

. (14.22)
Il termine divergente pu`o allora essere eliminato se si sceglie per la massa regolarizzata il
valore, tendente a ,
m

= m
e
2
8
,
dove identichiamo m con la massa sica nita della particella. Questa ridenizione
(innita) della massa della particella rappresenta la rinormalizzazione. Dopo questa
operazione la (14.22) si riduce in eetti allequazione di DiracLorentz (14.12). Questa
equazione pu`o essere scritta anche come,
w

=
_
dw

ds
+ w
2
u

_
+
e
m
F

in
u

, (14.23)
dove il parametro , con le dimensioni di un tempo, `e lo stesso che compare nella (14.6),
=
e
2
6mc
3
. Si vede che questo tempo `e massimo per la particella carica pi` u leggera,
ovvero, per lelettrone.
Equazioni di LorentzDirac per un sistema di N particelle.
`
E immediato generalizza-
re lequazione (14.12) a un sistema di N particelle cariche. In questo caso nellequazione
della particella resima bisogna tenere conto anche dei campi di LienardWiechert F

s
,
creati dalle altre particelle. Si ottiene cos`,
dp

r
ds
r
=
e
2
r
6
_
dw

r
ds
r
+ w
2
r
u

r
_
+ e
r
F

r
(y
r
) u
r
, (14.24)
376
dove il campo esterno agente sulla particella resima `e dato da,
F

r
= F

in
+

s=r
F

s
. (14.25)
`
E chiaro che il campo F

r
(x) non presenta nessuna singolarit`a in x = y
r
.
Analizzeremo le caratteristiche principali dellequazione di LorentzDirac nel paragrafo
14.2.3.
14.2.2 Determinazione dellautocampo regolarizzato
In questo paragrafo dimostriamo la formula (14.21). La valutazione di F

(y(s)) richiede
intanto di determinare per ogni s ssato il parametro

, tale che, vedi (14.18),


(y(s) y(

))
2
=
2
. (14.26)
Siccome per 0 abbiamo che

s, `e conveniente porre,

= s , (14.27)
dove `e un parametro positivo che per 0 va a zero. Pi` u precisamente, inserendo la
(14.27) nella (14.26) e sviluppando in serie si ottiene,
_
y(s)
_
y(s) u(s) +
1
2

2
w(s)
_
+ o(
3
)
_
2
=
2
+ o(
4
) =
2
,
e quindi,
= + o(
3
). (14.28)
Invece di analizzare il limite di F

(y(s)) per 0, possiamo allora usare la (14.27) e


analizzarne il limite per 0. Per quello che segue sar`a suciente sapere che ugaglia
, modulo termini cubici.
In denitiva si tratta quindi di sviluppare lespressione,
F

(y(s)) =
e
4
_
1
(uL)
3
_
L

+ L

[u

] ( )
_
_
=s
, (14.29)
in serie di Laurant attorno a = 0, dove in questa formula `e sottointeso che,
L

= y

(s) y

().
377
Siccome nella (14.29) a denominatore compare il termine (uL)
3
, ed L

`e di ordine ,
`e necessario espandere il numeratore no al terzo ordine in . Denendo u

(s),
w

(s) e
dw

ds

dw

ds
(s) otteniamo gli sviluppi,
L

= y

(s) y

() = u

1
2

2
w

+
1
6

3
dw

ds
+ o(
4
),
u

() = u

+
1
2

2
dw

ds
+ o(
3
),
w

() = w

dw

ds
+ o(
2
),
usando i quali `e facile espandere i vari termini che compaiono nella (14.29) no allordine
desiderato,
(uL) = u

()L

= + o(
3
),
L

() L

() =
1
2

2
(u

) +
1
3

3
_
u

dw

ds
u

dw

ds
_
,
[u

] () = u

_
u

dw

ds
u

dw

ds
_
,
L

[u

] () ( ) =
2
(u

)
3
_
u

dw

ds
u

dw

ds
_
.
Inserendo queste espressioni nella (14.29) si ottiene in denitiva,
F

(y(s)) =
e
8
(u

)
e
6
_
u

dw

ds
u

dw

ds
_
+ o(), (14.30)
dove, data la (14.28), pu`o essere sostituito di nuovo con . Il risultato `e quindi la
(14.21).
14.2.3 Caratteristiche dellequazione di LorentzDirac
Il ruolo dellequazione. Insistiamo sul fatto che lequazione di LorentzDirac non `e stata
dedotta dalle equazioni dellElettrodinamica, ma che ne abbiamo data una deduzione
euristica: in ultima analisi essa deve venire postulata. La sua giusticazione ultima di-
scende, invece, dal fatto che, come spiegheremo nel capitolo 15, essa viene imposta dalla
conservazione del quadrimomento totale del sistema particelle + campi. Non per niente
Dirac bas`o la sua deduzione dellequazione su argomenti di conservazione.
Finora abbiamo determinato il moto di una particella carica, tenendo conto solo della
forza esterna e/o della forza di interazione con le altre particelle cariche, vedi il termine
378
F

r
(y
r
) nella (14.24). In base al moto cos` derivato abbiamo determinato la radiazione
emessa e, inne, tramite la formula di Larmor abbiamo analizzato gli eetti della forza
di frenamento, trattandola come una perturbazione. Questa procedura approssimata
deve essere ora sostituita, in linea di principio, dalla soluzione del sistema di equazioni
accoppiate dato in (14.24) autointerazioni comprese.
Forza di frenamento e termine di Schott. Il vettore,

=
e
2
6
_
dw

ds
+ w
2
u

_
, (14.31)
in (14.12) rappresenta la quadriforza di frenamento, ed `e composto da due termini. Il
secondo termine `e il termine di Larmor, la cui presenza `e stata ipotizzata in sezione
14.1, sfruttando la conservazione del quadrimomento. Il primo termine, detto termine
dellenergia di Schott, `e invece necessario per assicurare la consistenza della forza di
frenamento con lidentit`a u

(dp

/ds) = 0, cio`e, la nostra richiesta 3). Ricordiamo, infatti,


che la (14.11) assicura che vale identicamente,
u

= 0.
Bilancio del quadrimomento. Abbiamo appena visto che il termine di Schott non ori-
gina da una legge di conservazione, ma da una richiesta di consistenza algebrica. Cor-
rispondentemente facciamo notare che questo termine non contribuisce al bilancio del
quadrimomento totale, 1) in un processo di scattering, per cui w

0 per s e, 2)
durante un moto quasiperiodico. In entrambi i casi si ha, infatti,
P

Schott
=
e
2
6
_
f
i
dw

ds
ds =
e
2
6
_
w

f
w

i
_
= 0.
La variazione totale del quadrimomento della particella `e quindi dovuta soltanto al termine
di Larmor come supposto in tutte le nostre analisi precedenti e evidentemente al campo
esterno F

in
, ovvero, in presenza di pi` u particelle, a F

r
in (14.25).
Conitto con il determinismo e condizioni supplementari. Pur non contribuendo al bi-
lancio del quadrimomento totale, il termine di Schott ha eetti locali sul moto della parti-
cella, che in generale non possono essere trascurati. Per di pi` u questo termine `e in conitto
con il determinismo newtoniano, perche contiene la derivata terza delle coordinate y(t)
379
rispetto al tempo: dunque il moto non `e pi` u univocamente determinato, note y(0) e v(0).
Date queste condizioni iniziali sarebbero, infatti, possibili inniti moti diversi, a seconda
dellaccelerazione iniziale a(0). Questa circostanza, oltre a essere in contrasto con los-
servazione, svuoterebbe lequazione del moto del suo potere predittivo. Concludiamo,
quindi, che non tutte le soluzioni dellequazione di LorentzDirac possono corrispondere a
moti realizzati in natura, ed occorre allora imporre opportune condizioni supplementari,
atte a selezionare i moti sicamente ammessi, senza inciare linvarianza di Lorentz.
Se supponiamo che i campi esterni vanno a zero allinnito spaziale con suciente
rapiditi`a, allora esistono delle condizioni supplementari che si orono in modo naturale.
Se allinnito i campi svaniscono `e, infatti, naturale aspettarsi che per tempi grandi lac-
celerazione tenda a zero, e che la velocit`a tenda a un valore limite, diverso dalla velocit`a
della luce. Imponiamo dunque le seguenti condizioni supplementari
50
,
lim
s+
w

(s) = 0, lim
s+
u

(s) = u

. (14.32)
Non imponiamo condizioni analoghe per s , per un motivo che sar`a chiaro tra
poco. Si noti che nel linguaggio tridimensionale queste condizioni equivalgono a,
lim
t+
a(t) = 0, lim
t+
v(t) = v

, |v

| < 1. (14.33)
Sotto opportune condizioni di regolarit`a, la richiesta dellannullamento asintotico del-
laccelerazione implica la costanza asintotica della velocit`a, sicche la seconda condizione
in (14.32) risulta ridondante. Esploreremo le conseguenze siche di queste condizioni
supplementari nelle soluzioni esplicite dei prossimi paragra.
Un determinismo alternativo del terzo ordine? Una strategia alternativa allimposizio-
ne delle (14.32) pi` u pragmatica e sperimentale, ma anche pi` u rinunciataria potrebbe
essere la seguente. Supponiamo di misurare allistante iniziale non solo posizione e velo-
cit`a, ma anche laccelerezione della particella. Con questi tre dati iniziali lequazione di
LorentzDirac determinerebbe il moto della particella allora univocamente, e si potrebbe
cos` predire la sua posizione ad ogni istante successivo. Oltre a essere in conitto con il
50
Difatti queste condizioni sono soddisfatte anche per i moti limitati. In un acceleratore, per esempio,
una particella non pu`o essere alimentata da un campo elettrico per un tempo innito, e irraggiando perde
quindi energia no a quando non raggiunge una velocit`a nulla o costante.
380
determinismo newtoniano, questo determinismo del terzo ordine fallisce, tuttavia, per
motivi sperimentali. Illustriamolo nellesempio della particella libera. Per accertare se
essa si muove di moto rettilineo unifome, losservatore misura la velocit`a della particella
in vari istanti, ma alla ne potr`a solo fornire un valore massimo, seppur molto piccolo,
per laccelerazione. Tuttavia, dalla soluzione generale dellequazione di LorentzDirac
per la particella libera, vedi (14.40), si vede che per una qualsiasi accelerazione iniziale
diversa da zero, la particella accelera violentemente, e la sua velocit`a tende a quella della
luce. Losservatore concluderebbe, quindi, che teoria ed esperimento sono in disaccordo.
Lunico modo per vericare la teoria consisterebbe nelleseguire misure con errori nulli,
ottenendo per laccelerazione il valore zero, ma questo non `e possibile.
Rottura dellinvarianza per inversione temporale. Come illustrato nel paragrafo 5.4.3,
le equazioni originali dellElettrodinamica sono invarianti sotto inversione temporale.
Nel caso di una particella singola questa invarianza assicura che, se la congurazione,

+
= {y(t),

E(t, x), B(t, x)},
`e una soluzione di tali equazioni, allora `e soluzione anche la congurazione,

= {y(t),

E(t, x), B(t, x)}.
Successivamente abbiamo visto che questa simmetria subisce una rottura spontanea, nel
senso che solo una delle congurazioni

`e realizzata in natura, ovvero, quella che pro-


paga la radiazione dalla carica verso il punto di osservazione, e non il contrario. Ora che
abbiamo sostituito lequazione di Lorentz divergente con lequazione di LorentzDirac,
la situazione cambia drasticamente. Infatti, contenendo un termine lineare nella derivata
terza di y(t) il termine di Schott questa equazione rompe esplicitamente linvarianza
per inversione temporale. Se
+
`e, dunque, una soluzione della (14.12),

in generale
non lo `e. Come vedremo nel paragrafo 14.2.4, questa asimmetria caratterizza la stessa
dinamica della particella libera.
Lequazione di LorentzDirac e il principio variazionale. Una volta sostituita lequa-
zione di Lorentz che sappiamo discendere attraverso il principio variazionale dallazione
(4.8) con lequazione di LorentzDirac, resta la domanda se anche questultima possa
essere dedotta da unopportuna azione. La questione `e rilevante in quanto lesistenza di
381
unazione assicurerebbe, grazie al teorema di Nother, lesistenza di un tensore energia
impulso conservato e simmetrico. Il fatto che non esiste nessuna azione canonica da cui
lequazione di LorentzDirac possa essere dedotta il motivo essendo essenzialmente la
comparsa della derivata terza delle coordinate mette cos` in dubbio la conservazione del
quadrimomento e del momento angolare totali in Elettrodinamica classica. Per illustrare il
problema consideriamo una particella singola in un campo esterno F

in
=

in

in
,
nel qual caso si tratterebbe di trovare unazione che riproduce lequazione (14.12). In
assenza della forza di frenamento lazione sarebbe data dalla (4.8). Daltra parte, per
riprodurre la forza di frenamento (14.31), che contiene un termine lineare nella deri-
vata terza delle y

, nellazione devono comparire termini quadratici nelle y

, con com-
plessivamente tre derivate. Imponendo anche linvarianza relativistica e linvarianza per
riparametrizzazione della linea duniverso, la forma pi` u generale dellazione sarebbe allora,
I = m
_
ds e
_
A

in
dy

+ e
2
_ _
a
dy

ds
d
2
y

ds
2
+ b y

d
3
y

ds
3
_
ds, (14.34)
dove a e b sono costanti adimensionali. A questo punto notiamo, per`o, che il primo termine
nella parentesi uguaglia a u

, che `e zero identicamente, mentre il secondo termine pu`o


essere ricondotto al primo attraverso unintegrazione per parti,
y

d
3
y

ds
3
=
d
ds
(y

)
dy

ds
d
2
y

ds
2
=
d
ds
(y

) .
Nellazione questo termine d`a quindi luogo a un termine al bordo, che non contribuisce
alle equazioni del moto. Lazione (14.34) fornisce dunque lequazione del moto dp

/ds =
eF

in
u

, e non lequazione di LorentzDirac.


Lassenza di unazione da cui lequazione di LorentzDirac possa essere dedotta com-
porta, in particolare, che un eventuale tensore energiaimpulso conservato debba essere
costruito a mano, problema che verr`a arontato nel capitolo 15.
14.2.4 La particella carica libera: soluzione esatta
In alcuni casi semplici lequazione di LorentzDirac pu`o essere risolta esattamente, un
esempio essendo quello della particella libera. In questo caso si tratta di risolvere la
(14.23) con F

in
= 0,
w

=
_
dw

ds
+ w
2
u

_
. (14.35)
382
Limite non relativistico e soluzioni runaway. Prima di arontare la soluzione ge-
nerale di questa equazione, la risolviamo nel limite non relativistico. Per fare questo
dobbiamo sviluppare la (14.35) in serie di potenze di 1/c, ed arrestarci allordine pi` u bas-
so.
`
E suciente considerare le tre equazioni funzionalmente indipendenti, ovvero, quelle
spaziali, che possono essere scritte come,
w =

1 v
2
_
d w
dt
+ w
2
v
_
, (14.36)
dove,
w =
1

1 v
2
d
dt
v

1 v
2
=
a
1 v
2
+
v a
(1 v
2
)
2
v, w
2
=
a
2
(a v)
2
(1 v
2
)
3
,
vedi problema 2.1. Moltiplicando lespressione di w scalarmente per v si ottiene,
v w =
v a
(1 v
2
)
2
,
e cos` possiamo esprimere a in termini di w,
a = (1 v
2
) ( w (v w) v) .
Sostituendo per w la (14.36) e ricordando che =
e
2
6mc
3
, si ottiene lequazione di Newton,
ma =
e
2
_
1
v
2
c
2
6c
3
_
d w
dt

1
c
2
_
v
d w
dt
_
v +
1
c
2
_
1
v
2
c
2
_
w
2
v
_
, (14.37)
dove abbiamo ripristinato la velocit`a della luce. Come si vede, nellespansione non re-
lativistica il contributo dominante proviene dal termine di Schott, che `e di ordine 1/c
3
,
mentre il termine di Larmor d`a luogo a contributi di ordine 1/c
5
. Tenendo nella (14.37)
solo il termine dominante e ricordando che w = a + o(1/c
2
), concludiamo che nel limite
non relativistico la (14.35) si riduce semplicemente a ma =
e
2
6c
3
da
dt
, ovvero,
a =
da
dt
. (14.38)
La soluzione generale di questa equazione `e,
a(t) =

C e
t/
v(t) =

C
_
e
t/
1
_
+v
0
,
dove

C `e un arbitrario vettore costante. Si noti che il moto ottenuto per inversione
temporale v

(t) = v(t), non soddisfa la (14.38), poiche questultima rompe, appunto,


383
tale simmetria. Si riscontra, dunque, un fenomeno anomalo: pur trovandosi in assenza
di forze esterne, la particella accelera, e per t + la sua velocit`a tende a pi` u innito,
mentre non si riscontra nessuna anomalia per t . Queste soluzioni, chiamate
runaway solutions, non sono quindi sicamente accettabili e devono essere eliminate.
Se si impongono le condizioni supplementari (14.33), si vede che le uniche soluzioni che
le soddisfano corrispondono a

C = 0. Si ottiene quindi,
v(t) = v
0
,
che descrive un moto rettilineo uniforme, appropriato ad una particella libera.
La situazione appena vista `e prototipica: il ruolo delle condizioni supplementari
sar`a, infatti, sempre quello di eliminare le soluzioni che sicamente non sono accetta-
bili. Nei prossimi paragra vedremo, tuttavia, che in presenza di interazione le soluzioni
dellequazione di LorentzDirac che soddisfano anche le (14.32), pur non esibendo un
comportamento anomalo di tipo runaway, sono in conitto con la causalit`a.
Soluzione relativistica esatta. Abbiamo appena visto che in approssimazione non rela-
tivistica lequazione di LorentzDirac comporta moti per cui la velocit`a della particella
aumenta indenitamente, comportamento che di per s`e invalida lapprossimazione stessa.
Cerchiamo allora di risolvere lequazione (14.35) esattamente. Per trovare la sua soluzione
generale `e conveniente eseguire il cambiamento di variabile,
s (s) = e
s/
,
d
ds
=

d
d
.
Indicando la derivata
d
d
con un primo

, si ha,
w

,
dw

ds
=
1

2
_

2
u

+ u

_
,
e la (14.35) si riduce allora a,
u

+ (u

) u

= 0, (u

) u

. (14.39)
Per risolvere questa equazione notiamo che lidentit`a u
2
= 1, implica che (uu

) = 0.
Contraendo la (14.39) con u

si ottiene allora,
0 = (u

) =
1
2
(u

(u

) = K
2
,
384
con K costante positiva. Risostituendo questo risultato nella (14.39) si ottiene lequazione
del repulsore armonico, con soluzione generale,
u

= A

e
K
+ B

e
K
, w

=
K

_
A

e
K
B

e
K
_
, (14.40)
dove A

e B

sono vettori costanti. Inne, per soddisfare il vincolo u


2
= 1, questi vettori
devono essere vincolati dalle relazioni,
A
2
= 0 = B
2
, A

=
1
2
. (14.41)
Come si vede, le soluzioni (14.40) esibiscono di nuovo un comportamento di tipo runa-
way, in quanto per s +, che corrisponde a +, tutte le componenti della
quadrivelocit`a divergono. Per grandi s lenergia, per esempio, cresce come,
(s) = mu
0
(s) mA
0
exp
_
K exp
_
s

__
.
Allo stesso modo divergono tutte le componenti di u

e w

. Corrispondentemente per
s + la velocit`a della particella tende alla velocit`a della luce, la velocit`a asintotica
essendo data da,
v

= lim
s+
v = lim
s+
u
u
0
=

A
|

A|
, |v

| = 1.
Di nuovo vediamo che per s , che corrisponde a 0, la quadrivelocit`a ammette
invece limite nito,
lim
s
u

(s) = A

+ B

,
sicche per s la velocit`a tende a un valore minore della velocit`a della luce. Si noti
che le scelte

A = 0 e/o

B = 0 sono proibite dalle (14.41).
Imponiamo allora di nuovo le condizioni supplementari (14.32). Dalle (14.40) si vede
che le uniche soluzioni per cui w

(s) tende a zero per s +, sono quelle corrispondenti


a,
K = 0 w

(s) = 0, s,
che comporta u

(s) = A

+ B

= costante.
Concludiamo che le uniche soluzioni dellequazione di LorentzDirac per la particella
libera, compatibili con le (14.32), corrispondono a moti rettilini uniformi, in accordo con
lesperienza. Nel prossimo paragrafo vedremo, invece, che in presenza di forze esterne la
situazione sar`a alquanto pi` u problematica.
385
14.2.5 Moto in campo costante: preaccelerazione
Analizzeremo ora il moto di una particella soggetta a un campo elettrico indipendente
dal tempo e unidirezionale, esteso a una regione spaziale limitata. Considereremo soli
moti che avvengono lungo la stessa direzione del campo. Questo esempio, per quanto
semplice possa sembrare, esibisce tutti gli aspetti problematici inerenti allequazione di
LorentzDirac in presenza di una generica forza esterna.
In questo caso il campo esterno F

in
consiste di un campo elettrico, diciamo in direzione
z,

E = (0, 0, E), e di un campo magnetico nullo. Per il momento non facciamo nessuna
ipotesi sulla dipendenza di E da z, a parte la solita condizione asintotica,
lim
z
E(z) = 0.
`
E allora consistente assumere che il moto avvenga lungo lasse delle z. Denendo,
u u
3
,
e indicando la derivata
d
ds
con un primo

, abbiamo allora,
u

= (u
0
, 0, 0, u), (u
0
)
2
u
2
= 1, w

= (u
0
, 0, 0, u

).
Riferendoci alla (14.23) la quadriforza esterna diventa allora,
e F

in
u

=
_
eEu, 0, 0, eEu
0
_
.
Siccome la variabile u
0
`e una funzione di u che diventa lunica incognita del sistema `e
suciente scrivere la componente z dellequazione di LorentzDirac, come unica equazione
funzionalmente indipendente. Dato che si ha,
u
0
=
d
ds

1 + u
2
=
uu

1 + u
2
,
segue,
w
2
= u
02
u
2
=
u
2
1 + u
2
,
e la componente z della (14.23) si scrive allora,
u

=
_
u

uu
2
1 + u
2
_
+
F
m
u
0
, F e E, (14.42)
386
dove F `e la forza esterna.
`
E conveniente cambiare incognita u(s) (s), secondo,
u = sinh , u
0
= cosh ,
che dopo semplici passaggi riduce la (14.42) a,

+
F
m
. (14.43)
Per quello che segue `e utile riscrivere

come,

=
du
ds
du
d
=
1
u
0
du
ds
,
che equivale quindi a,

=
du
dt
=
w
3
u
0
. (14.44)
Aanalizzamo ora le caratteristiche della soluzione generale della (14.43). Siccome
allinnito spaziale il campo esterno va a zero, per s + lequazione si riduce sempli-
cemente a,

= Ce
s/
= C e
s/
+ B. (14.45)
La quadrivelocit`a u(s) = sinh (s) diverge quindi di nuovo violentemente per s +,
anche se la forza allinnito va zero, e le (14.32) impongono di nuovo C = 0. Per
E(z) = 0 identicamente, riotteniamo in particolare le soluzioni della particella libera
(14.40). Tuttavia, per E = 0 non `e pi` u cos` ovvio in che modo possiamo imporre le
condizioni supplementari (14.32), e che eetto tali condizioni avranno sulle soluzioni che
le soddisfano.
Campo esterno uniforme. Per fare un esempio concreto supponiamo che il campo elet-
trico sia diverso da zero solo in un intervallo dellasse z, e che sia ivi costante. Sar`a
allora,
F(s) = e E
[a,b]
(s),
dove abbiamo introdotto la funzione caratteristica dellintervallo [a, b], ed E `e costante.
Per una forza esterna siatta `e facile scrivere la soluzione generale (integrale primo)
della (14.43),

=
F
m
+
eE
m
_
H(a s) e
(sa)/
H(b s) e
(sb)/
_
+ C e
s/
, (14.46)
387
con C costante arbitraria. Per s + si conferma landamento asintotico (14.45), in
quanto per s > b le funzioni di Heaviside si annullano entrambe.
`
E ora facile imporre le (14.32), che in questo caso si riducono a,
lim
s+
w
3
= 0, lim
s+
u
0
= u
0

.
Per via della (14.44) questo signica che deve essere,
lim
s+

= 0,
e lunico valore di C per cui ci`o succede risulta essere ancora C = 0. Usando la (14.44) e
introducendo la quantit`a di moto p = mu, la (14.46) si riduce allora a,
dp
dt
= F + F
fr
, (14.47)
dove,
F
fr
= eE
_
H(a s) e
(sa)/
H(b s) e
(sb)/
_
,
rappresenta la forza di frenamento. La (14.47) `e da interpretarsi a tutti gli eetti come
lequazione di Newton della particella, che tiene conto anche della reazione di radiazione.
Si vede che la forza di frenamento `e diversa da zero s < a, e la particella subisce quindi
una preaccelerazione lungo un intero tratto dellasse z, in cui la forza esterna `e nulla.
Questo fenomeno `e chiaramente in conitto con la causalit`a in quanto leetto, cio`e,
laccelerazione, precederebbe la causa, cio`e, la forza esterna. Daltra parte la forza di
frenamento F
fr
responsabile della preaccelerazione `e sensibilmente diversa da zero
solo negli intervalli [a, a ] e [b, b ]. Questa forza distorce quindi apprezzabilmente la
forza esterna solo se b a , cio`e, se il campo esterno varia apprezzabilmente su scale
temporali piccolissime, dellordine di .
Da questa soluzione esatta dellequazione di LorentzDirac vediamo che (linevitabile)
riduzione dellequazione dal terzo al secondo ordine, comporta una violazione della cau-
salit`a sotto forma di una preaccelerazione su una scala temporale dellordine di .
Nella prossima sezione faremo vedere che questa conclusione ha carattere completamente
generale, e discuteremo in particolare la possibilit`a di osservare questa rottura di causalit`a
sperimentalmente.
388
14.3 Lequazione integrodierenziale di Rohrlich
In questa sezione vogliamo analizzare le propriet`a generali del sottoinsieme di soluzioni
dellequazione di LorentzDirac, che soddisfano anche le condizioni supplementari (14.32).
Abbiamo visto che queste ultime sono necessarie per eliminare le soluzioni runaway, e
per rendere lequazione di LorentzDirac nuovamente compatibile con il determinismo
newtoniano. Con le condizioni iniziali
51
,
y

(0) = y

0
, u

(0) = u

0
, lim
s+
w

(s) = 0, (14.48)
lequazione (14.23) ammette, infatti, ununica soluzione.
Vediamo allora quali sono le caratteristiche delle soluzioni che soddisfano questi dati
iniziali, in particolare la condizione asintotica sullaccelerazione. Un metodo standard per
imporre concretamente una condizione iniziale su unequazione dierenziale di ordine n,
consiste nel trasformare lequazione dierenziale in unequazione integrodierenziale di
ordine n 1, che ingloba automaticamente la condizione iniziale. In generale ci sono vari
modi per operare questa riduzione; noi seguiremo qu` il metodo di F. Rohrlich
52
, che ha
il particolare pregio di preservare linvarianza di Lorentz a vista.
Riprendiamo dunque lequazione di LorentzDirac (14.23), riscrivendola nella forma,
m
_
w

dw

ds
_
=
e
2
6
w
2
u

+ e F

in
u

. (14.49)
Siccome e F

in
u

`e la forza esterna, e il termine di Larmor


e
2
6
w
2
u

`e responsabile delle-
missione del quadrimomento totale, interpretiamo F

come la quadriforza totale eettiva.


Un argomento qualitativo. Prima di procedere diamo un argomento qualitativo ma
generale per la presenza inevitabile di un eetto di preaccelerazione, in una generica
soluzione dellequazione di LorentzDirac. Siccome `e piccolo possiamo, infatti, riscrivere
la (14.49) come,
mw

(s ) F

(s),
oppure,
mw

(s) F

(s + ). (14.50)
51
Lunicit`a della soluzione `e garantita sotto opportune ipotesi di regolarit`a della forza esterna. In
particolare in (14.48) abbiamo omesso la condizione dellesistenza della velocit`a asintotica vedi (14.32)
in quanto implicata, sotto opportune condizioni, dallannullamento della quadriaccelerazione asintotica.
52
F. Rohrlich, Classical charged particles, AddisonWesley, Massachusetts, 1965.
389
Laccelerazione allistante s sarebbe quindi determinata dalla forza eettiva allistante
avanzato s

s + , di nuovo in conitto con la causalit`a.


Riduciamo ora lequazione dierenziale del terzo ordine (14.49), a unequazione integro
dierenziale del secondo ordine, imponendo la condizione asintotica su w

in (14.48). A
questo scopo moltiplichiamo lequazione per e
s/
e la riscriviamo nella forma,
m
d
ds
_
e
s/
w

(s)
_
= e
s/
F

(s).
Integrando tra un generico istante s e un istante nale b otteniamo,
m
_
e
s/
w

(s) e
b/
w

(b)
_
=
1

_
b
s
e
/
F

() d. (14.51)
Per imporre la condizione,
lim
b+
w

(b) = 0,
eseguiamo nella (14.51) il limite per b +, ottenendo
53
,
me
s/
w

(s) =
1

_

s
e
/
F

() d.
Dopo il cambiamento di variabile = + s, si ottiene lequazione integrodierenziale
di Rohrlich,
mw

(s) =
_

0
e

(s + ) d. (14.52)
Questa equazione `e ora del secondo ordine nelle derivate di y

(s) altamente non lineare


in quanto F in generale `e una funzione complicata di y, u e della stessa w che ammette,
tuttavia, soluzione unica, note le condizioni iniziali y
0
e u
0
. Lequazione presuppone
implicitamente lesistenza dellintegrale a secondo membro nella (14.52).
Abbiamo gi`a anticipato che il pregio principale di questa equazione `e la sua Lorentz
invarianza manifesta. Uno dei suoi difetti, invece, sta nel fatto che dicilmente essa
pu`o essere usata per analizzare in concreto leetto della forza di frenamento sul moto
della particella. Per esempio, nel caso della particella libera la forza eettiva si riduce
53
Si noti che per una soluzione generica il termine e
b/
w

(b) diverge per b +, nonostante la


presenza del termine di smorzamento e
b/
, perche w

(b) diverge pi` u fortemente dellesponenziale. Si


veda in proposito la soluzione per la particella libera (14.40), nel qual caso,
w

(b) K exp(b/) exp[K(exp(b/))].


390
a F

=
e
2
6
w
2
u

, ma non `e immediato risolvere la (14.52) esplicitamente nemmeno in


questo caso semplice. Si pu`o, tuttavia, vericare che tra le soluzioni generali (14.40), le
uniche che soddisfano la (14.52) con F

in
= 0, sono quelle per cui K = 0.
14.3.1 Preaccelerazione e violazione della causalit`a
Eseguiamo ora unanalisi qualitativa delle soluzioni dellequazione di Rohrlich. Come
prima cosa osserviamo che laccelerazione nel punto s non dipende solo dal valore della
forza eettiva F

in s, ma anche dai suoi valori in tutti gli istanti successivi s

= s + .
Di nuovo riscontriamo, quindi, una violazione della causalit`a sotto forma di una preac-
celerazione. Tuttavia, grazie alla presenza del fattore di damping e

, che nellintegrale
sopprime i contributi provenienti dai valori di 1, gli istanti che contribuiscono mag-
giormente allaccelerazione in s, sono quelli dellordine di s

s + , in accordo con la
(14.50).
Per quanticare leetto della violazione della causalit`a riscriviamo la (14.52) nel modo
seguente,
mw

(s) = F

(s) + F

(s), (14.53)
F

(s)
_

0
e

[F

(s + ) F

(s)] d. (14.54)
Abbiamo cos` diviso la forza risultante in due contributi: il primo, F

(s), rappresenta la
forza nominale e dipende solo da s. Il secondo invece, F

(s), codica la violazione


della causalit`a. In particolare, confrontando la (14.53) con la (14.49) vediamo che questo
ultimo eguaglia proprio il termine di Schott,
F

(s) = m
dw

ds
.
La violazione della causalit`a sar`a quindi riscontrabile sperimentalmente, se F

`e ap-
prezzabile rispetto a F

. Per stimare F

notiamo che, come visto sopra, nellinte-


grale (14.54) i valori di rilevanti sono dellordine dellunit`a. Possiamo quindi porre
F

(s + ) F

(s + ), e dare la stima,
F

(s)
_

0
e

[F

(s + ) F

(s)] d = F

(s + ) F

(s). (14.55)
391
F

eguaglia, quindi, la variazione di F

su una scala temporale dellordine di . Se


questa variazione `e piccola rispetto a F

, allora la violazione della causalit`a sar`a inosser-


vabile. Di nuovo vediamo che il fenomeno della preaccelerazione risulta osservabile solo se
i campi esterni variano in modo apprezzabile durante il tempo = 0.6 10
23
s. Si noti che
in questo tempo la luce percorre lo spazio c r
0
, pari al raggio classico della particella.
Violazione della causalit`a e Meccanica Quantistica. Analizziamo ora leetto di campi
variabili cos` rapidamente a livello quantistico
54
. Per campi che variano su una scala
temporale generica T, il principio di Heisenberg predice unindeterminazione in energia
dellordine di

T
. Daltra parte, la scala energetica alla quale si innesca la pro-
duzione di coppie virtuali particella/antiparticella `e data da 2m. Per raggiungere
questa soglia `e allora necessario che i campi varino su una scala temporale dellordine di,
T

2m

4
e
2
e
2
6m
137 .
Per poter osservare una violazione della causalit`a in Elettrodinamica classica servireb-
bero, invece, campi che variano su una scala temporale , scala che `e di un fattore 137
pi` u piccola di T! Campi siatti danno dunque luogo alla produzione di coppie, e si
trovano quindi gi`a in forte regime quantistico. Concludiamo che la rottura classica della
causalit`a `e schermata da eetti quantistici: nel regime in cui la violazione della causalit`a
si manifesterebbe, lElettrodinamica classica non `e pi` u valida, e la rottura della causalit`a
quindi inosservabile.
A una conclusione analoga si arriva considerando una particella che si muove sotto
leetto di una forza esterna, che le imprime una frequenza . In questo caso si ha, da
(14.55),
F

(s)
dF

(s)
ds
F

(s).
F

(s) `e quindi apprezzabile rispetto a F

(s) solo se la frequenza `e molto grande, del-


lordine di
1

, ovverosia, dato che =


2

, se la lunghezza donda della radiazione


emessa `e molto piccola, dellordine di r
0
. Daltra parte, lordine di grandezza del-
le lunghezze donda alle quali lElettrodinamica classica cessa di valere, `e rappresentato
54
Lanalisi quantistica che segue va pensata svolta nel sistema di riferimento in cui la particella `e istan-
taneamente a riposo, dove valgono le leggi della Meccanica Quantistica non relativistica. In particolare,
il tempo proprio s si identica allora con il tempo t.
392
dalla lunghezza donda Compton,

C
=

m
137 r
0
.
Per lunghezze donda di questo ordine di grandezza incomincia a manifestarsi la natura
quantistica del campo elettromagnetico, cio`e, la sua composizione in termini di fotoni.
Per poter osservare la violazione della causalit`a servirebbero, invece, lunghezze donda
dellordine di r
0
, che sono di un fattore 137 pi` u piccole di
C
. Per lunghezze donda
cos` corte il campo elettromagnetico si trova gi`a in pieno regime quantistico, ed eventuali
eetti acausali sono di nuovo inosservabili.
Riassumendo possiamo quindi aermare che lequazione di LorentzDirac, ovverosia,
la sua versione integrodierenziale di Rohrlich, d`a luogo a una violazione della causa-
lit`a, che rende lElettrodinamica classica inconsistente. Tuttavia, da un punto di vista
fenomenologico questa violazione avviene su scale di distanze, energie e tempi per cui lE-
lettrodinamica classica non `e pi` u valida, e deve essere sostituita dalla teoria quantistica
relativistica dei campi.
14.4 Il problema relativistico a due corpi
In questa sezione analizziamo il bilancio del quadrimomento nel problema a due corpi
relativistico. Ci limiteremo a considerare due particelle cariche che percorrono orbite
aperte, essendo sottoposte alla sola interazione elettromagnetica reciproca. Nel limite
non relativistico queste orbite sono allora iperboli.
Limite non relativistico. Riassumiamo prima la descrizione della dinamica di questo
sistema nel limite non relativistico, v
1,2
1. Indicando le leggi orarie con y
1,2
y
1,2
(t),
in questo caso le particelle obbediscono alle equazioni del moto e leggi della potenza,
d p
1
dt
= e
1

E
2
(y
1
),
d
1
dt
= e
1
v
1


E
2
(y
1
), (14.56)
d p
2
dt
= e
2

E
1
(y
2
),
d
2
dt
= e
2
v
2


E
1
(y
2
), (14.57)
dove i campi elettrici (di LienardWiechert) non relativistici sono dati da,

E
1
(x) =
e
1
4
x y
1
|x y
1
|
3
,

E
2
(x) =
e
2
4
x y
2
|x y
2
|
3
.
393
Vale il principio di azione e reazione, e
1

E
2
(y
1
) + e
2

E
1
(y
2
) = 0, e quindi si conserva la
quantit`a di moto totale p
1
+ p
2
. Per quanto riguarda lenergia risulta invece,
d(
1
+
2
)
dt
=
e
1
e
2
4
(v
1
v
2
) (y
1
y
2
)
|y
1
y
2
|
3
=
d
dt
_
e
1
e
2
4|y
1
y
2
|
_

d
p
dt
, (14.58)
e si conserva lenergia meccanica
1
+
2
+
p
. Siccome lenergia potenziale elettro-
magnetica
p
a t = si annulla, si conserva pure lenergia cinetica totale
1
+
2
, tra
t = e t = +. Indicando con la variazione tra questi due istanti asintotici
abbiamo quindi,
p

(p

1
+ p

2
) = 0. (14.59)
Diusione relativistica. Consideriamo ora lo stesso processo a livello relativistico. In
questo caso le (14.56), (14.57) devono essere sostituite dalle equazioni, vedi (14.24),
dp

1
ds
1
=
e
2
1
6
_
dw

1
ds
1
+ w
2
1
u

1
_
+ e
1
F

2
(y
1
) u
1
, (14.60)
dp

2
ds
2
=
e
2
2
6
_
dw

2
ds
2
+ w
2
2
u

2
_
+ e
2
F

1
(y
2
) u
2
, (14.61)
dove F

1,2
(x) sono i campi di LienardWiechert prodotti dalle due particelle. In questo
caso non vale pi` u il principio di azione e reazione, e di conseguenza la (14.59) risulta
violata. Come sappiamo, il quadrimomento totale delle due particelle non si conserva
durante il processo di diusione a causa dellemissione di radiazione che nel limite
non relativistico viene trascurata. In quanto segue vogliamo in particolare trovare la
generalizzazione relativistica della (14.59).
Per velocit`a arbitrarie le orbite delle particelle non sono pi` u iperboli, ma asintotica-
mente laccelerazione `e ancora nulla, perche a grandi distanze la forza di mutua interazione
svanisce
55
. Avremo quindi,
lim
s
w

(s) = 0, lim
s
u

(s) = u

, (14.62)
per entrambe le particelle. Integrando le (14.60), (14.61) tra s = e s = +, il
termine di Schott allora non contribuisce, e risulta,
p

1
=
e
2
1
6
_
w
2
1
u

1
ds
1
+ e
1
_
F

2
(y
1
) u
1
ds
1
, (14.63)
p

2
=
e
2
2
6
_
w
2
2
u

2
ds
2
+ e
2
_
F

1
(y
2
) u
2
ds
2
. (14.64)
55
`
E sottinteso che selezioniamo le soluzioni sche delle (14.60), (14.61), che soddisfano le condizioni
supplementari (14.32).
394
Occupiamoci ora degli integrali che coinvolgono la forza di interazione reciproca. Espri-
mendo il tensore di Maxwell in termini del potenziale vettore abbiamo,
e
1
_
F

2
(y
1
) u
1
ds
1
= e
1
_
[

2
(y
1
)

2
(y
1
)] u
1
ds
1
= e
1
_

2
(y
1
)u
1
ds
1
e
1
_
dA

(y
1
)
ds
1
ds
1
= e
1
_

2
(y
1
)u
1
ds
1
e
1
(A

() A

())
= e
1
_

2
(y
1
)u
1
ds
1
, (14.65)
dove abbiamo sfruttato il fatto che il potenziale vettore allinnito spaziale si annulla.
Per valutare il termine rimasto conviene usare lespressione per il potenziale di Lienard
Wiechert data in (7.6),
A

2
(x) =
e
2
2
_
u

2
H(x
0
y
0
2
) ((x y
2
)
2
) ds
2
.
Si ottiene,

2
(x) =
e
2

_
(x

2
) u

2
H(x
0
y
0
2
)

((x y
2
)
2
) ds
2
,
in quanto la derivata della funzione di Heaviside non contribuisce, e quindi,
e
1
_

2
(y
1
)u
1
ds
1
=
e
1
e
2

_
ds
1
_
ds
2
(y

1
y

2
) (u
2
u
1
) H(y
0
1
y
0
2
)

((y
1
y
2
)
2
).
Sommando le (14.63) e (14.64), per la variazione del quadrimomento totale delle due
particelle tra t = e t = + si ottiene allora,
p

=
e
2
1
6
_
w
2
1
u

1
ds
1
+
e
2
2
6
_
w
2
2
u

2
ds
2
+ (14.66)
e
1
e
2

_
ds
1
_
ds
2
(y

1
y

2
) (u
2
u
1
)
_
H(y
0
1
y
0
2
) H(y
0
2
y
0
1
)
_

((y
1
y
2
)
2
),
versione relativistica della (14.59). Al membro di destra abbiamo il contributo dei due ter-
mini di Larmor, che rappresentano la radiazione emessa dalle due particelle singolarmente.
Ma poi compare un ulteriore termine, proporzionale ad e
1
e
2
ed originante, quindi, dalle
forze di mutua interazione, che rappresenta il quadrimomento associato allinterferenza
tra i campi di radiazione delle due particelle.
Per analizzare la natura delle varie correzioni relativistiche contenute nella (14.66), `e
pi` u conveniente tornare alle equazioni di partenza (14.60) e (14.61), ed eseguirne unespan-
sione non relativistica. In questo modo saremo anche in grado di confrontarle direttamente
con le (14.56), (14.57).
395
14.4.1 Espansione non relativistica
Di seguito eseguiremo unespansione non relativistica in potenze di 1/c, delle equazioni
(14.60) e (14.61). Dalle espansioni del paragrafo 14.2.4 sappiamo che le forze di frenamento
cominciano con termini di ordine 1/c
3
, e conosciamo anche la loro forma, vedi (14.37).
Per sondare leetto di queste forze dobbiamo allora sviluppare le equazioni di cui sopra
no ai termini di ordine 1/c
3
. Arrestandoci a questo ordine le componenti spaziali delle
(14.60), (14.61) si scrivono, vedi (14.37),
d p
1
dt
=
e
2
1
6c
3
da
1
dt
+

F
21
, (14.67)
d p
2
dt
=
e
2
2
6c
3
da
2
dt
+

F
12
, (14.68)
dove abbiamo denito le forze di interazione reciproca,

F
21
= e
1
_

E
2
(y
1
) +
v
1
c


B
2
(y
1
)
_
,

F
12
= e
2
_

E
1
(y
2
) +
v
2
c


B
1
(y
2
)
_
. (14.69)
Per quanto riguarda invece le componenti temporali delle (14.60), (14.61), ovvero, le
leggi della potenza, occorre valutare la componente 0 della forza di frenamento

=
e
2
6
_
dw

ds
+ w
2
u

_
. In questo caso contribuiscono sia il termine di Larmor che quello di
Schott, e con laiuto della (7.31) si trova,

0
=
e
2
6c
3
1
_
1
v
2
c
2
_
dw
0
dt
+ w
2
_
=
e
2
6c
3
_
d
dt
(v a) |a|
2
_
+ o
_
1
c
5
_
=
e
2
6c
3
v
da
dt
+ o
_
1
c
5
_
.
Arrestandoci allordine 1/c
3
, e usando che e
1
v
1


E
2
(y
1
) = v
1


F
21
, e
2
v
2


E
1
(y
2
) = v
2


F
12
,
le componenti = 0 delle (14.60), (14.61) si riducono allora a,
d
1
dt
=
e
2
1
6c
3
v
1

da
1
dt
+v
1


F
21
, (14.70)
d
2
dt
=
e
2
2
6c
3
v
2

da
2
dt
+v
2


F
12
. (14.71)
Si verica facilmente che queste equazioni sono come sempre conseguenze delle equa-
zioni spaziali (14.67), (14.68), poiche la relazione
2
= c
2
p
2
+ m
2
c
4
comporta che,

d
dt
= c
2
p
d p
dt

d
dt
= v
d p
dt
.
396
Espansione non relativistica di

F
12
e

F
21
. Dalle formule scritte si vede che, per con-
sistenza dellapprossimazione, `e necessario espandere i campi elettrici no ai termini di
ordine 1/c
3
, e i campi magnetici no ai termini di ordine 1/c
2
. Possiamo allora ricorrere
alle espansioni dei campi di LienardWiechert di una particella singola (7.62) e (7.63),

E =
e
4
_

R
R
3

1
2c
2
R
_
a + (

R a)

R +
(3(

R v)
2
v
2
)

R
R
_
+
2
3c
3
da
dt
_
, (14.72)

B =
e
4c
v

R
R
3
., (14.73)
dove

R = x y,

R =

R/R, e y y(t) `e la legge oraria della particella che genera il
campo. Dovendo, per esempio, calcolare

E
1
(y
2
) e

B
1
(y
2
), nelle (14.72), (14.73) occorre
porre x = y
2
, y = y
1
, v = v
1
, a = a
1
. Inserendo le espressioni cos` ottenute nelle (14.69)
si ottengono le forze di interazione reciproca,

F
12
=
e
1
e
2
4
_
r
r
3
+
1
2c
2
r
2
_
[v
2
1
2(v
1
v
2
) 3( r v
1
)
2
] r + 2(v
2
r) v
1
_

1
2c
2
r
(a
1
+ ( r a
1
) r) +
2
3c
3
da
1
dt
_
, (14.74)

F
21
=
e
1
e
2
4
_

r
r
3

1
2c
2
r
2
_
[v
2
2
2(v
1
v
2
) 3( r v
2
)
2
] r + 2(v
1
r) v
2
_

1
2c
2
r
(a
2
+ ( r a
2
) r) +
2
3c
3
da
2
dt
_
. (14.75)
Abbiamo introdotto la posizione relativa r, assieme al suo versore r,
r = y
2
y
1
, r =
r
r
.
Bilancio della quantit`a di moto e determinazione di p. Date queste forze siamo ora
in grado di analizzare il trasferimento di quadrimomento dalle particelle al campo elet-
tromagnetico, durante il processo di diusione. Cominciamo con lanalisi della quantit`a
di moto. Considerando la forza esterna totale

F
12
+

F
21
, il campo coulombiano il
contributo di ordine zero in 1/c si cancella, ma restano i contributi di ordine 1/c
2
e
1/c
3
. Tuttavia, con un semplice conto si verica che la forza totale si pu`o scrivere come
una derivata totale,

F
12
+

F
21
=
e
1
e
2
4
d
dt
_

1
2rc
2
(v
1
+v
2
+ [ r (v
1
+v
2
)] r ) +
2
3c
3
(a
1
+a
2
)
_
. (14.76)
397
Sommando le (14.67) e (14.68) si ottiene allora lequazione del bilancio della quantit`a di
moto,
d
dt
_
p
1
+ p
2
+

P
em
_
= 0 p
1
+ p
2
+

P
em
= costante, (14.77)
dove la quantit`a di moto del campo elettromagnetico `e data da,

P
em
=
e
1
e
2
8c
2
r
(v
1
+v
2
+ [ r (v
1
+v
2
)] r )
e
1
+ e
2
6c
3
(e
1
a
1
+ e
2
a
2
) . (14.78)
Il fatto che questa espressione parta con termini di ordine 1/c
2
segue dalla denzione

P
em
=
1
c
_
(

E

B) d
3
x, e dalla circostanza che il campo magnetico parte con termini
di ordine 1/c. Nella (14.78) i termini di ordine 1/c
2
rappresentano i contributi cine-
matici alla quantit`a di moto del campo, mentre i termini di ordine 1/c
3
rappresenta-
no la radiazione istantanea, in quanto scompaiono appena le particelle non sono pi` u
accelerate.
Per essere precisi la (14.77) determina lespressione di

P
em
solo modulo un vettore co-
stante. Scrivendo la (14.78) questo vettore costante `e stato determinato sfruttando il fatto
che, come dimostreremo nel capitolo 15, il quadrimomento del campo elettromagnetico di
una particella libera `e zero. Per t le due particelle si muovono, infatti, di moto
rettilineo uniforme, e in questo limite il campo di ciascuna particella tende asintoticamen-
te a quello di una particella libera, in tutto lo spazio. Si noti che la stessa conclusione non
vale per t +, a causa del campo di radiazione. Inoltre, per t le due particelle
si trovano a una distanza spaziale innita luna dallaltra, e possiamo allora assumere che
il contributo a T

em
dovuto allinterferenza tra i due campi, cio`e, quello proporzionale a
F

1
F

2
, tenda pure a zero. Concludiamo cos` che,
lim
t
P

em
= 0. (14.79)
Si noti che la (14.78) soddisfa questa condizione, perch`e per t si ha a
1,2
0, e
1/r 0.
Siccome per t si ha

P
em
0, la (14.77) implica che nel processo di diusione
la quantit`a di moto totale delle due particelle si conserva,
p ( p
1
+ p
2
) = 0,
398
nonostante durante il moto si abbia d( p
1
+ p
2
)/dt = 0. Con ci`o abbiamo in particolare
dimostrato che il membro di destra della parte spaziale dellequazione (14.66) `e di ordine
1/c
4
. Questo risultato `e evidentemente in accordo con il fatto che in approssimazione non
relativistica, ovvero, in approssimazione di dipolo, la radiazione non trasporta quantit`a di
moto, vedi paragrafo 8.3.2.
Bilancio delleneriga e determinazione di . Passiamo ora allanalisi del trasferimen-
to di energia. In questo caso dobbiamo sommare le (14.70) e (14.71). Usando le (14.74),
(14.75) o pi` u semplicemente la (7.61) in questo caso si verica che la somma delle
potenze relative si pu`o scrivere come,
v
1


F
21
+v
2


F
12
=
d
p
dt
+
e
1
e
2
6c
3
_
v
1

da
2
dt
+v
2

da
1
dt
_
, (14.80)
dove abbiamo denito lenergia potenziale relativistica,

p
=
e
1
e
2
4r
_
1 +
1
2c
2
(v
1
v
2
+ ( r v
1
)( r v
2
))
_
.
Sommando le (14.70), (14.71) si ottiene allora lequazione del bilancio energetico,
d
dt
(
1
+
2
+
p
) =
1
6c
3
(e
1
v
1
+ e
2
v
2
)
d
dt
(e
1
a
1
+ e
2
a
2
). (14.81)
Volendo porre questa equazione di nuovo nella forma,
d
dt
(
1
+
2
+
em
) = 0
1
+
2
+
em
= costante, (14.82)
otteniamo per lenergia del campo elettromagnetico lespressione,

em
=
p

1
6c
3
(e
1
v
1
+ e
2
v
2
) (e
1
a
1
+ e
2
a
2
) +
1
6c
3
_
t

| e
1
a
1
+ e
2
a
2
|
2
dt. (14.83)
Come nel caso della quantit`a di moto, la (14.82) determina lenergia del campo elettroma-
gnetico solo modulo una costante additiva. Di nuovo questa costante `e stata determinata
sfruttando la (14.79), ovvero, lim
t

em
= 0. Nella (14.83)
p
`e il contributo cinema-
tico allenergia elettromagnetica, mentre il secondo termine rappresenta lenergia della
radiazione istantanea, che non raggiunge linnito. Il terzo termine rappresenta, invece,
la radiazone vera e propria: esso comprende le energie associate alle radiazioni emesse da
ciascuna particella singolarmente, proporzionali rispettivamente a e
2
1
e e
2
2
, e quella associa-
ta allinterferenza tra queste radiazioni, proporzionale a e
1
e
2
. Si noti che questo termine
399
a t = `e zero, in accordo con il fatto che allistante iniziale, prima che le particelle
vengano deviate a causa dellinterazione reciproca, non `e presente nessuna radiazione.
Per la variazione dellenergia totale delle due particelle durante lintero processo di
diusione, le (14.82), (14.83) danno,
(
1
+
2
) =
em
=
1
6c
3
_

dt |e
1
a
1
+ e
2
a
2
|
2
, (14.84)
in accordo con la formula (8.43), che d`a la potenza emessa da un generico sistema carico
in approssimazione di dipolo.
Confrontando, inne, la (14.84) con la componente 0 della (14.66), si vede che i ter-
mini di Larmor, proporzionali a e
2
1
e e
2
2
, nel limite non relativistico vengono riprodotti
correttamente, mentre il termine di interferenza la seconda riga nella (14.66) deve
essere uguale a,

e
1
e
2
3c
3
_
dt (a
1
a
2
),
modulo termini di ordine 1/c
4
. La verica di questo fatto `e lasciata come esercizio.
Lagrangiana al secondo ordine. Per concludere osserviamo che la dinamica di un siste-
ma di due particelle cariche vedi le equazioni del moto (14.67), (14.68), con le denizioni
(14.74), (14.75) tenendo conto delle correzioni relativistiche no allordine 1/c
2
, pu`o
essere dedotta dalla lagrangiana,
L =
1
2
m
1
v
2
1
+
1
2
m
2
v
2
2
+
1
8
m
1
v
4
1
c
2
+
1
8
m
2
v
4
2
c
2

e
1
e
2
4r
_
1
1
2c
2
(v
1
v
2
+ ( r v
1
)( r v
2
))
_
.
La verica `e lasciata per esercizio. Osserviamo, comunque, che i termini del tipo mv
4
/c
2
discendono dallo sviluppo dellazione di particella libera no allordine 1/c
2
,
mc
_
ds = mc
2
_
_
1
v
2
c
2
dt =
_ _
mc
2
+
1
2
mv
2
+
1
8
m
v
4
c
2
_
dt + o
_
1
c
4
_
.
I termini del tipo
e
1
e
2
v
2
c
2
r
riproducono, invece, i contributi di ordine 1/c
2
delle forze (14.74),
(14.75).
Inne facciamo notare che i termini di ordine 1/c
3
nelle equazioni del moto (14.67),
(14.68), non possono essere dedotti da una lagrangiana, il motivo essendo che questi
termini sono lineari nelle derivate terze delle coordinate. Infatti, considerando una singola
400
particella lequazione da riprodurre sarebbe,
ma =
e
2
6c
3
da
dt
+
Per motivi dimensionali la lagrangiana dovrebbe allora avere la forma,
L
0
=
1
2
mv
2
+
e
2
c
3
_
k
1
v a + k
2
y
da
dt
_
+ ,
dove k
1
e k
2
sono costanti adimensionali. Tuttavia, i termini tra parentesi corrispondono
a una derivata totale,
k
1
v a + k
2
y
da
dt
=
d
dt
_
k
2
y a +
k
1
k
2
2
v
2
_
,
ed L
0
d`a quindi luogo allequazione del moto della particella libera. Riscontriamo di
nuovo il fatto che lequazione di LorentzDirac non pu`o essere derivata da un principio
variazionale, vedi paragrafo 14.2.3.
14.5 Problemi
14.1 Si dimostri che nel limite non relativistico lequazione di LorentzDirac (14.23), e
la sua versione integrodierenziale (14.52), si riducono rispettivamente a,
ma = m
da
dt
+ e

E,
ma(t) = e
_

0
e

E(t + ) d, (14.85)
dove

E `e il campo elettrico esterno.
a) Si dimostri che la seconda `e soluzione implicita della prima.
b) Si supponga che

E sia diverso da zero solo in una regione limitata dello spazio, e che
sia ivi costante e uniforme. Si determini esplicitamente il membro di destra della (14.85),
e si discuta la violazione della causalit`a nellequazione di Newton che ne risulta.
401
15 Un tensore energiaimpulso privo di singolarit`a
Nel capitolo precedente abbiamo visto che il campo creato da una particella diverge nelle
vicinanze della stessa come,
F

1
r
2
, r = |x y(t)|,
e di conseguenza il tensore energiaimpulso,
T

em
= F

+
1
4

, (15.1)
diverge come,
T

em

1
r
4
. (15.2)
Nel caso particolare di una particella statica nellorigine, per cui y(t) = 0, si ha,

E =
e
4
x
r
3
,

B = 0, (15.3)
e, vedi (2.85)(2.87),
T
00
em
=
1
2
_
e
4
_
2
1
r
4
, (15.4)
T
0i
em
= 0, (15.5)
T
ij
em
=
1
2
_
e
4
_
2
1
r
4
_

ij
2
x
i
x
j
r
2
_
. (15.6)
Due problemi di T

em
. Landamento singolare (15.2) comporta due patologie, legate
tra di loro. La prima, gi`a menzionata nel capitolo 14, consiste nel fatto che gli integrali
del quadrimomento totale P

em
=
_
T
0
em
d
3
x, sono divergenti. Nel caso particolare della
particella statica si ha,

em
=
_
T
00
em
d
3
x =
1
2
_
e
4
_
2
_
1
r
4
d
3
x = , P
i
em
=
_
T
0i
em
d
3
x = 0, (15.7)
e diverge solo lenergia, ma per una particella in moto arbitrario diverge anche la quantit`a
di moto. Ovviamente divergono anche gli integrali del quadrimomento su un qualsiasi
volume nito V contenente la particella. Si noti, comunque, che nelle analisi dei bilanci
energetici svolte nei capitoli precedenti, il problema dellenergia innita non `e mai inter-
venuto direttamente. La potenza irradiata coinvolge, infatti, il campo elettromagnetico a
402
grandi distanze dalla particella, dove esso `e regolare. Daltra parte la potenza irradiata si
riferisce a dierenze di valori di energia, e si pu`o supporre che nelle dierenze le divergenze
si cancellino. In eetti, quello che risulta osservabile in natura sono le dierenze dei valori
dellenergia di un sistema sico, e non la sua energia stessa. Tuttavia, se si vuole dare
un signicato preciso allaermazione il quadrimomento si conserva, `e necessario che il
quadrimomento sia una grandezza nita.
Il secondo problema consiste nel fatto che le componenti del tensore T

em
non sono
distribuzioni temperate, ovvero, elementi di S

(R
4
): mentre le componenti di F

sono
distribuzioni, i loro prodotti, che compaiono nella (15.1), non lo sono. Ricordiamo che
in generale prodotti di distribuzioni non deniscono distribuzioni. Landamento (15.2)
rappresenta, infatti, una singolarit`a non integrabile in R
4
. Non essendo le componenti
di T

em
distribuzioni, le loro derivate non sono denite, e la domanda quanto valga la
quadridivergenza

em
`e quindi priva di senso, e la questione della conservazione del
quadrimomento dunque malposta. Si noti, in proposito, che lespressione formale derivata
per la quadridivergenza di T

em
in (2.81),

em
=

r
e
r
_
F

(y
r
)u
r

4
(x y
r
) ds
r
, (15.8)
`e, in realt`a, divergente. Il coeciente F

(y
r
) comprende, infatti, lautocampo di Lienard
Wiechert della particella resima, che sappiamo essere divergente. Vediamo cos` che la
dimostrazione della conservazione del tensoreenergia impulso totale T

em
+T

p
, presentata
nel paragrafo 2.4.3, aveva solo validit`a formale, essendo per di pi` u basata sullequazione
di Lorentz orginale che ora sappiamo pure divergere.
Scopo di questo capitolo `e la costruzione di un tensore energiaimpulso totale T

, le
cui componenti siano distribuzioni, che sia Lorentz covariante, a divergenza nulla e che
ammetta integrali di quadrimomento niti. La costruzione di per s`e risulter`a semplice,
ma la dimostrazione che il tensore cos` costruito abbia le propriet`a richieste `e un po
complicata, e verr`a riportata solo per il campo generato da una particella in moto rettilineo
uniforme.
Nella prossima sezione presentiamo la strategia che sta alla base della costruzione, e
diamo un argomento euristico per la costruzione esplicita. In sezione 15.2 dimostriamo la
403
validit`a dellapproccio nel caso di una particella in moto rettilineo uniforme, e in sezione
15.3 presentiamo la sua generalizzazione ad un sistema di N particelle.
15.1 Linee guida della costruzione
Per costruire un tensore energiaimpulso con le propriet`a desiderate a partire dalla (15.1),
seguiamo una procedura simile a quella del capitolo 14, consistente di una regolarizzazione
seguita da una rinormalizzazione. Consideriamo una particella singola, e mettiamo a zero
il campo esterno F

in
, supposto regolare, perche la sua presenza `e ininuente per quanto
riguarda le singolarit`a del tensore energiaimpulso. Il campo elettromagnetico totale `e
allora dato dal solo campo di LienardWiechert F

di (14.13).
Regolarizzazione. Dato che le singolarit`a di F

sono localizzate nei punti dove si


trovano le particelle, possiamo adottare ancora la regolarizzazione che abbiamo usato per
dedurre lequazione di LorentzDirac, che tra laltro preserva linvarianza relativistica.
Ripartiamo allora dal campo di LienardWiechert regolarizzato, vedi (14.19),
F

= F

(x)
,
che costituisce, in eetti, una distribuzione regolare. Pi` u precisamente, le componenti
di questo campo sono funzioni di classe C

(R
4
), per ogni > 0. Illustriamo questa
propriet`a per una particella statica nellorigine. Per il moto rettilineo uniforme il campo
regolarizzato `e stato valutato nella (14.20), che per u

= (1, 0, 0, 0) si riduce a,

=
e
4
x
(r
2
+
2
)
3/2
,

B

= 0. (15.9)
Questi campi sono eettivamente di classe C

(R
4
), e come tali sono regolari in tutto lo
spazio, compreso il punto x = 0, dove si trova la particella. In particolare, lenergia totale
del campo elettromagnetico regolarizzato `e nita. Al posto di (15.7) abbiamo, infatti,

em,
=
1
2
_
|

|
2
d
3
x =
1
2
_
e
4
_
2
_
r
2
(r
2
+ 1)
3
d
3
x =
_
e
4
_
2
3
2
8
. (15.10)
Per valutare lintegrale abbiamo eseguito il cambiamento di variabili x x e usato,
_
r
2
(r
2
+ 1)
3
d
3
x =
3
2
4
.
404
Si noti che per 0 lenergia regolarizzata diverge di nuovo, come 1/.
Tornando a un moto y

(s) arbitrario notiamo che, essendo F

una distribuzione
regolare di classe C

, risultano distribuzioni di Classe C

anche i suoi prodotti. Possiamo


allora denire un tensore energiaimpulso elettromagnetico regolarizzato, ponendo,
T

+
1
4

F

. (15.11)
Le componenti di questo tensore appartengono a S

per ogni > 0. Inoltre, per ogni


x

= y

(s) esiste il limite puntuale,


lim
0
T

(x) = T

em
(x).
Tuttavia, tale limite non esiste se eseguito nella topologia di S

, a causa delle singolarit`a


presenti per x

= y

(s), e infatti T

em
/ S

! Queste propriet`a sono molto evidenti nel caso


statico
56
.
Rinormalizzazione. Prima di poter eseguire il limite per 0 nella topologia di S

,
occorre quindi individuare e sottrarre la parte divergente di T

, che indichiamo con

. Questa sottrazione rappresenta la rinormalizzazione. Al tensore



T

, che viene
anche chiamato controtermine, richiediamo le seguenti propriet`a:
1) Deve essere un tensore sotto trasformazioni di Lorentz.
2) Deve essere supportato sulla traiettoria della particella, cio`e,

T

(x) = 0, se x

= y

(s).
3) Deve essere simmetrico e a traccia nulla, come lo `e il tensore regolarizzato T

, cio`e,

= 0.
4) Deve essere tale che esista il tensore limite,

em
S

lim
0
_
T

_
. (15.12)
Identichiamo

em
con il tensore energiaimpulso elettromagnetico rinormalizzato, che
sostituisce a tutti gli eetti il tensore originale, mal denito, T

em
.
56
Nel caso statico si ha,
T
00

=
1
2
|

|
2
=
1
2
_
e
4
_
2
r
2
(r
2
+
2
)
3
,
che per 0 converge, per ogni x = 0, puntualmente a,
T
00
em
=
1
2
_
e
4
_
2
1
r
4
.
Ma questa espressione non costituisce una distribuzione.
405
5)

T

deve essere tale che il tensore energiaimpulso totale del sistema campo + particella
sia conservato,
T

em
+ T

p
,

= 0,
dove per T

p
manteniamo la forma standard (2.79).
La richiesta 1) assicura che

em
`e un tensore sotto trasformazioni di Lorentz, dato che
anche T

lo `e. La richiesta 2) `e motivata dai seguenti due fatti. Primo, nel complemento
della traiettoria della particella il tensore energiaimpulso totale originale T

em
+ T

p
`e
regolare e conservato. Secondo, la forma di T

em
nel complemento della traiettoria `e
ben testata dal punto di vista fenomenologico, come abbiamo visto per esempio dalla
componente T
0i
em
= (

E

B)
i
, che `e responsabile dellirraggiamento. La procedura di
rinormalizzazione non deve, dunque, cambiare il valore di T

em
nel complemento della
traiettoria. Questo vuol dire che il supporto del controtermine deve essere la linea di
universo della particella, e

T

deve quindi essere una combinazione lineare della di


Dirac e delle sue derivate, supportate sulla traiettoria. La richiesta 3) segue dal fatto
che la parte divergente di un tensore simmetrico a traccia nulla, `e ancora un tensore
simmetrico a traccia nulla. Il signicato delle richieste 4) e 5) `e, invece, evidente. Si
pu`o, inne, vedere che le richieste 1)5) determinano il tensore

T

univocamente, moduli
termini di ordine o() nella topologia di S

. Ci`o assicura in particolare lunicit`a del tensore

em
, come denito in (15.12).
Costruzione esplicita: un argomento euristico. Cerchiamo ora di sfruttare queste ri-
chieste per determinare euristicamente la forma di

T

. Per la propriet`a 2) questo tensore


deve essere proporzionale a
3
(x y(t)), o meglio, alla grandezza Lorentzinvariante,
_

4
(x y(s)) ds =
_
1 v
2
(t)
3
(x y(t)).
Inoltre, dato che T

`e proporzionale alla carica al quadrato, tale dovr`a essere anche

. Per la richiesta 4) il controtermine deve poi cancellare le parti divergenti di T

,
e quindi deve divergere per 0. Visto lesempio (15.10), ci aspettiamo che queste
divergenze compaiano come poli in 1/. Includiamo allora in

T

un fattore 1/. Queste


considerazioni ci portano quindi a ipotizzare la forma,

=
1

_
e
4
_
2
_
H

4
(x y(s)) ds,
406
dove H

`e un tensore simmetrico e a traccia nulla. Essendo denito lungo la linea di


universo, questo tensore deve dipendere dalle quantit`a cinematiche y

(s), u

(s), w

(s)
etc., e pu`o coinvolgere eventualmente le derivate spaziotemporali

. Inoltre,

T

deve
avere le stesse dimensioni di T

, e dato che ha le dimensioni di una lunghezza, H

deve
essere adimensionale. Siccome u

`e lunica quantit`a cinematica adimensionale, H

deve
allora essere necessariamente della forma a u

+ b

, con a e b costanti. Ma dovendo


essere anche a traccia nulla, si conclude che,
H

= C
_
u

1
4

_
,
per qualche costante numerica C. Si noti che contributi ad H

del tipo y

+ y

1
2

, oppure y

+ y

1
2

, che sarebbero pure adimensionali, simmetrici


e a traccia nulla, sono esclusi perche non invarianti sotto traslazioni, y

+ a

.
Le nostre richieste porterebbero allora alla seguente proposta per il tensore energia
impulso rinormalizzato,

em
= S

lim
0
_
T

_
e
4
_
2
_ _
u

1
4

4
(x y(s)) ds
_
, (15.13)
dove lunica quantit`a indeterminata `e la costante C. Questa costante dovrebbe essere
ssata imponendo la richiesta 4), cio`e, che

T

cancelli le parti divergenti di T

, e la
richiesta 5), cio`e, che il tensore energiaimpulso totale risultante sia conservato. In eetti
si pu`o dimostrare il risultato non banale che con la scelta,
C =

2
2
,
si riescono a soddisfare entrambe queste richieste. Siccome la dimostrazione di questo
fatto per una particella in moto arbitrario `e abbastanza complicata
57
, ci limitiamo a
svolgerla nel caso di una particella libera.
15.2 Costruzione di

em
per la particella libera
Una particella libera si muove di moto rettilineo uniforme e genera i campi determinati
in sezione 6.3. Data la Lorentzinvarianza della procedura appena congetturata, se essa
57
Si veda, K. Lechner, P.A. Marchetti, Variational principle and energymomentum tensor for
relativistic Electrodynamics of point charges, Ann. Phys. 322 (2007) 1162-1190, (hep-th/0602224).
407
ha successo in un sistema di riferimento particolare, allora ha automaticamente successo
in qualsiasi sistema di riferimento.
`
E allora suciente considerare una particella statica
nellorigine, con y(t) = 0.
Conosciamo gi`a i campi regolarizzati di una particella statica, vedi (15.9), e usando
le (2.85)(2.87) `e allora immediato scrivere le componenti del tensore energiaimpulso
regolarizzato (15.11),
T
00

=
1
2
_
e
4
_
2
r
2
(r
2
+
2
)
3
, (15.14)
T
0i

= 0, (15.15)
T
ij

=
1
2
_
e
4
_
2

ij
r
2
2 x
i
x
j
(r
2
+
2
)
3
. (15.16)
Si noti che

= 0. Anche il controtermine in (15.13) `e facile da valutare, perche si


ha u

= (1, 0, 0, 0), e
_

4
(xy(s)) ds =
3
(x). Inserendo le (15.14)(15.16) nella (15.13),
dovremmo allora, prima di tutto, stabilire lesistenza dei limiti,

00
em
=
1
2
_
e
4
_
2
S

lim
0
_
r
2
(r
2
+
2
)
3

3 C
2

3
(x)
_
, (15.17)

0i
em
= 0, (15.18)

ij
em
=
1
2
_
e
4
_
2
S

lim
0
_

ij
r
2
2 x
i
x
j
(r
2
+
2
)
3

C
2

ij

3
(x)
_
, (15.19)
per unopportuna costante C.
15.2.1 Esistenza di

em
Nella valutazione dei limiti che seguono risulter`a spesso necessario portare il limite sotto
il segno di integrale, operazione non sempre lecita. A questo proposito `e utile il teorema
della convergenza dominata, che enunciamo senza dimostrazione.
Teorema della convergenza dominata. Sia data una successione di funzioni {f
n
}
L
1
L
1
[R
D
] tale che, a) esista il limite puntuale (quasi ovunque rispetto alla misura
di Lebesgue in R
D
),
lim
n
f
n
(x) = f(x),
e, b) esista una funzione positiva g L
1
, tale che (quasi ovunque rispetto alla misura di
Lebesgue in R
D
),
|f
n
(x)| g(x), n.
408
Allora f L
1
, e le f
n
convergono ad f nella topologia di L
1
,
L
1
lim
n
f
n
= f.
Corollario. Il teorema assicura che la successione {f
n
} converge nella topologia di L
1
.
Ci`o `e suciente per poter portare il limite sotto il segno di integrale. Abbiamo, infatti,
la maggiorazione,

_
f
n
d
D
x
_
f d
D
x

_
(f
n
f) d
D
x

_
|f
n
f| d
D
x = ||f
n
f
L
1
.
Siccome per n si ha che f
n
f in L
1
, lultimo membro della maggiorazione converge
a zero, e quindi converge a zero anche il primo. Abbiamo allora,
lim
n
_
f
n
d
D
x =
_
f d
D
x =
_
lim
n
f
n
d
D
x,
dove abbiamo usato la denizione di f. Concludiamo che, se le f
n
soddisfano le ipotesi
del teorema della convergenza dominata, allora possiamo scambiare i segni di limite e di
integrazione. Nei casi di nostro interesse al posto dellindice discreto n avremo lindice
continuo . Inoltre, siccome il limite puntuale ipotesi a) esister`a sempre banalmente,
per assicurare la validit`a del teorema si tratter`a di trovare una maggiorante g uniforme,
ovvero, indipendente da , come richiesto dallipotesi b).
Esistenza di
00
em
. Cominciamo la dimostrazione dellesistenza di

em
, dimostrando
lesistenza del limite che denisce la componente
00
em
, cio`e, la densit`a di energia. In
particolare vorremo ottenere una denizione operativa per questa distribuzione, ovverosia,
una denizione che ci permetta di determinare esplicitamente lenergia contenuta in un
volume qualsiasi. Secondo la denizione del limite nel senso delle distribuzioni, dobbiamo
dimostrare che per unopportuna costante C esiste il limite ordinario,

00
em
()
1
2
_
e
4
_
2
lim
0
__
r
2
(x)
(r
2
+
2
)
3
d
3
x
3 C
2
(0)
_
,
per ogni funzione di test S(R
3
)
58
. Sottraendo e aggiungendo (0) nel numeratore
dellintegrando, e notando che si ha lintegrale,
_
r
2
(r
2
+
2
)
3
d
3
x =
3
2
4
,
58
Lo spazio delle funzioni di test da usare sarebbe S(R
4
), ma nel caso statico la dipendenza dal tempo
`e banale e pu`o essere omessa.
409
otteniamo,

00
em
() =
1
2
_
e
4
_
2
lim
0
__
r
2
((x) (0))
(r
2
+
2
)
3
d
3
x +
3
2
_

2
2
C
_
(0)
_
. (15.20)
Il limite per 0 dellintegrale a secondo membro `e ora nito. Per farlo vedere separiamo
nella regione dintegrazione gli r piccoli da quelli grandi,
_
r
2
((x) (0))
(r
2
+
2
)
3
d
3
x =
_
r<1
r
2
((x) (0) x
i

i
(0))
(r
2
+
2
)
3
d
3
x+
_
r>1
r
2
((x) (0))
(r
2
+
2
)
3
d
3
x.
(15.21)
Nel primo integrale abbiamo sottratto un termine che `e nullo, in quanto si annulla lin-
tegrale sugli angoli
_
n
i
d, dove n
i
= x
i
/r. Nel primo integrale possiamo ora portare il
limite sotto il segno di integrale, usando il teorema della convergenza dominata. Abbiamo
infatti la maggiorazione uniforme,

r
2
((x) (0) x
i

i
(0))
(r
2
+
2
)
3

|(x) (0) x
i

i
(0))|
r
4
g(x) L
1
(R
3
),
dove `e sottointeso che per r > 1 poniamo g = 0. La maggiorante g sta in L
1
(R
3
), perche
il numeratore (x) (0) x
i

i
(0) si annulla come r
2
, per r 0. In questo caso
particolare la maggiorante coincide con il modulo della funzione limite. Per portare il
limite sotto il segno di integrale nel secondo integrale della (15.21), `e suciente usare la
maggiorazione,

r
2
((x) (0))
(r
2
+
2
)
3

2 ||||
r
4
g(x) L
1
(R
3
),
dove con |||| intendiamo lestremo superiore del modulo di in R
3
, ed `e sottinteso che
g = 0 per r < 1.
Portando nella (15.21) i limiti sotto i segni di integrale, otteniamo allora il limite nito,
lim
0
_
r
2
((x) (0))
(r
2
+
2
)
3
d
3
x =
_
r<1
(x) (0) x
i

i
(0)
r
4
d
3
x +
_
r>1
(x) (0)
r
4
d
3
x.
(15.22)
Concludiamo che per ottenere un limite nito nella (15.20), `e necessario e suciente
scegliere,
C =

2
2
.
Se nel primo integrale della (15.22) facciamo precedere lintegrazione su r dallintegrazione
sugli angoli, il terzo termine non contribuisce, e la somma dei due integrali si pu`o scrivere
410
di nuovo come un integrale unico su tutto R
3
. La densit`a di energia rinormalizzata si pu`o
allora scrivere semplicemente come,

00
em
() =
1
2
_
e
4
_
2
_
(x) (0)
r
4
d
3
x, (15.23)
dove, per costruzione, lintegrazione sugli angoli deve precedere lintegrazione su r (con-
vergenza condizionata).
In modo completamente analogo si dimostra che, per lo stesso valore di C, esiste anche
il limite (15.19), e che risulta,

ij
em
() =
1
2
_
e
4
_
2
_
(x) (0)
r
6
_

ij
r
2
2 x
i
x
j
_
d
3
x. (15.24)
Nella dimostrazione conviene fare uso degli integrali invarianti del problema 2.6, scrivendo
x
i
x
j
= n
i
n
j
r
2
. Abbiamo quindi concluso la dimostrazione dellesistenza del limite (15.13),
secondo la richiesta 4).
15.2.2 Conservazione di

em
Arontiamo ora la richiesta 5), cio`e, la conservazione del tensore energiaimpulso. Per
una particella in moto rettilineo uniforme, il quadrimomento del campo elettromagnetico
si deve conservare separatamente, perche il quadrimomento della particella `e costante.
Dobbiamo quindi dimostrare che vale,

em
= 0.
La componente = 0 di questa equazione `e banalmente soddisfatta, perche
i0
em
= 0,
e
00
em
non dipende dal tempo. Resta quindi da vericare la componente = j, che si
riduce a,

ij
em
= 0, (15.25)
equazione non ovvia. Si vede, quindi, che anche per la particella libera la conservazione
del tensore energiaimpulso rinormalizzato non `e garantita a priori. Per dimostrare che

ij
em
soddisfa la (15.25), invece di usare direttamente la (15.24) `e pi` u conveniente usare la
denizione originale (15.19), e sfruttare il fatto che la derivata `e unoperazione continua in
S

. Ci`o ci permette di scambiare i limiti con le derivate. Ponendo C =


2
/2 e prendendo
411
la divergenza della (15.19), si ottiene allora,

ij
em
=
1
2
_
e
4
_
2
S

lim
0
_

i
_

ij
r
2
2 x
i
x
j
(r
2
+
2
)
3
_


2
4

j

3
(x)
_
. (15.26)
Siccome il primo termine `e una distribuzione regolare, le sue derivate possono essere
calcolate nel senso delle funzioni,

i
_

ij
r
2
2 x
i
x
j
(r
2
+
2
)
3
_
= 6
x
j

2
(r
2
+
2
)
4
=
j
_

2
(r
2
+
2
)
3
_
.
La (15.26) pu`o allora essere riscritta come,

ij
em
=
1
2
_
e
4
_
2

j
_
S

lim
0
_

2
(r
2
+
2
)
3


2
4

3
(x)
__
.
Abbiamo di nuovo scambiato le derivate con il limite. Questo passaggio `e lecito, purche
il limite della distribuzione tra parentesi quadre esista. In realt`a questo limite `e zero.
Per dimostrarlo occorre fare vedere che per ogni S, `e zero il limite per 0 della
quantit`a,

2
_
d
3
x
(x)
(r
2
+
2
)
3


2
4
(0) =
2
_
d
3
x
(x) (0)
(r
2
+
2
)
3
=
_
d
3
x
(x) (0)
(r
2
+ 1)
3
, (15.27)
dove abbiamo usato lintegrale,
_
d
3
x
(r
2
+
2
)
3
=

2
4
3
.
Nellultimo integrale della (15.27) possiamo ora portare il limite sotto il segno di inte-
grale, sfruttando il teorema della convergenza dominata. In questo caso la successione
integranda,
f

(x)
(x) (0)
(r
2
+ 1)
3
,
pu`o essere maggiorata usando la stima,
(x) (0) = x
_
1
0

( x) d |(x) (0)| 3 r ||||,


dove con |||| intendiamo lestremo superiore dei moduli delle derivate parziali di in
R
3
. Abbiamo allora la maggiorazione uniforme, ipotesi b),
|f

(x)|
3r||||
(r
2
+ 1)
3
g(x) L
1
[R
3
].
412
Daltra parte la successione f

ammette il limite puntuale x, ipotesi a),


lim
0
f

(x) =
x
i

i
(0)
(r
2
+ 1)
3
f(x).
Portando dunque nella (15.27) il limite sotto il segno di integrale risulta,
lim
0
_

2
_
d
3
x
(x)
(r
2
+
2
)
3


2
4
(0)
_
=
_
d
3
x lim
0
( x) (0)
(r
2
+ 1)
3
=
_
d
3
x
x
i

i
(0)
(r
2
+ 1)
3
= 0,
(15.28)
dove la conclusione deriva dal fatto che, scrivendo x
i
= n
i
r, lintegrazione sugli angoli d`a
_
dn
i
= 0. Segue la (15.25).
Concludiamo che il tensore energiaimpulso denito dalle (15.17)(15.19) soddisfa,

em
= 0. (15.29)
15.2.3 Una denizione operativa dellenergia elettromagnetica
La costruzione del paragrafo 15.2.1 ha fornito in particolare una denizione operativa per
la densit`a di energia
00
em
la (15.23) che permette di determinare esplicitamente lener-
gia contenuta in un arbitrario volume V . Indichando con
V
(x) la funzione caratteristica
del volume V , la (15.23) ci dice, infatti, come calcolare lenergia contenuta in V ,

em,V
=
_
V

00
em
d
3
x =
00
em
(
V
) =
1
2
_
e
4
_
2
_

V
(x)
V
(0)
r
4
d
3
x.
Da questa formula, ma equivalentemente anche dalla (15.17), vediamo che lenergia cos`
denita ha le seguenti propriet`a:
1)
V
`e nita V , il cui bordo non contenga lorigine, cio`e, la particella.
2) Se V non contiene lorigine, allora
V
=
_
V
T
00
em
d
3
x, dove T
00
em
=
1
2
_
e
4
_
2
1
r
4
.
3) Se V
R
`e una palla di raggio R centrata nellorigine, allora
em,V
R
=
e
2
8R
.
4) Se

V
R
indica il complemento di V
R
in R
3
, allora
em,
e
V
R
=
e
2
8R
.
5)
em,R
3 = 0, cio`e, lenergia totale del campo elettromagnetico di una particella statica
`e zero, cos` come `e zero pure la sua quantit`a di moto totale, vedi la (15.18). Abbiamo
quindi,
P

em

_

0
em
d
3
x = 0. (15.30)
6) Lenergia cos` denita riproduce, in particolare, la sottrazione che si opera di solito a
mano nel caso di un sistema di cariche non relativistiche, vedi problema 2.8.
413
Moto rettilineo uniforme generico. Grazie allinvarianza di Lorentz della nostra proce-
dura, tutti questi risultati si estendono automaticamente a un moto rettilineo uniforme
generico. Possiamo allora riassumere le conclusioni di questo paragrafo come segue.
Per un moto rettilineo uniforme il tensore energiaimpulso

em
dato in (15.13), con
C =
2
/2, denisce una distribuzione Lorentzcovariante, simmetrica, e conservata,

em
= 0,

em
=

em
.
Gli integrali a tempo ssato,
P

em,V
=
_
V

0
em
d
3
x,
esistono niti per ogni V , e rappresentano il quadrimomento del campo elettromagnetico
contenuto nel volume V . Se in un dato istante la particella non `e contenuta in V allora
si ha,
P

em,V
=
_
V
T
0
em
d
3
x,
coincidente con il quadrimomento fornito dal tensore energiaimpulso originale. Il qua-
drimomento totale del campo della particella `e zero,
P

em
=
_

0
em
d
3
x = 0.
15.3 Costruzione generale
In questa sezione presentiamo, senza dimostrazione, la generalizzazione dei risultati delle
sezioni precedenti al caso di un sistema di N particelle in moto arbitrario.
Consideriamo N particelle puntiformi che interagiscono tra di loro, e con un campo
esterno F

in
. Ciascuna di queste particelle produce allora un campo di LienardWiechert,
che indichiamo con F

r
, r = 1, , N. Il campo elettromagnetico totale del sistema `e
dunque dato da,
F

= F

in
+

r
F

r
. (15.31)
Ciascuno dei campi di LienardWiechert pu`o essere regolarizzato secondo la (14.19), dan-
do luogo al campo F

r
. Come campo elettromagnetico totale regolarizzato del sistema
414
deniamo allora,
F

= F

in
+

r
F

r
.
Deniamo poi il tensore energiaimpulso regolarizzato come,
T

= F

+
1
4

F

.
Il tensore energiaimpulso rinormalizzato segue allora dalla ricetta (15.13),

em
= S

lim
0
_
T



2
2

r
_
e
r
4
_
2
_ _
u

r
u

r

1
4

4
(x y
r
) ds
r
_
. (15.32)
Si noti che il controtermine `e dato semplicemente dalla somma dei controtermini delle
singole particelle. Questa scelta discende dal fatto che le mutue interazioni tra le particelle,
corrispondenti ai prodotti dei campi di LienardWiechert di particelle dierenti, danno
luogo in T

a singolarit`a integrabili di tipo 1/r


2
, che sono ben denite nel senso delle
distribuzioni. In particolare si dimostrano i seguenti due teoremi, si veda la nota 57.
Teorema A. Il limite distribuzionale in (15.32) esiste, qualsiasi siano le traiettorie delle
particelle. Inoltre, il quadrimomento totale del campo elettromagnetico,
P

em

_

0
em
d
3
x,
`e nito, purche laccelerazione delle particelle svanisca con suciente rapidit`a per t
.
Teorema B. Per traiettorie arbitrarie delle particelle non soggette a nessuna equazione
del moto la divergenza di

em
, come denito in (15.32), `e data da,

em
=

r
_ _
e
2
r
6
_
dw

r
ds
r
+ w
2
r
u

r
_
+ e
r
F

r
(y
r
)u
r
_

4
(x y
r
) ds
r
, (15.33)
dove abbiamo denito,
F

r
= F

in
+

s=r
F

s
.
Questa relazione `e la controparte ben denita della relazione formale (15.8). Confron-
tando le due relazioni, e tenendo conto della (15.31), si vede che `e come se nella (15.8) la
forza di frenamento divergente e
r
F

r
(y
r
)u
r
, fosse stata sostituita con la forza di frena-
mento ben denita
e
2
r
6
_
dw

r
ds
r
+ w
2
r
u

r
_
. In particolare, per una particella singola in moto
rettilineo uniforme, e quindi in assenza di forze esterne, la (15.33) si riduce alla (15.29).
415
Mantenendo per il tensore energiaimpulso delle particelle lespressione (2.79),
T

p
=

r
m
r
_
u

r
u

r

4
(x y
r
) ds
r
,
si ha ancora, vedi paragrafo 2.4.3,

p
=

r
_
dp

r
ds
r

4
(x y
r
) ds
r
.
Considerando come tensore energiaimpulso totale del sistema la somma,
T

em
+ T

p
,
si ottiene dunque,

r
_ _
dp

r
ds
r

e
2
r
6
_
dw

r
ds
r
+ w
2
r
u

r
_
e
r
F

r
(y
r
)u
r
_

4
(x y
r
) ds
r
.
Se si vuole, inne, che il quadrimomento totale sia conservato localmente,

= 0,
allora occorre dunque che le cariche soddisno le equazioni di LorentzDirac (14.24),
dp

r
ds
r
=
e
2
r
6
_
dw

r
ds
r
+ w
2
r
u

r
_
+ e
r
F

r
(y
r
) u
r
.
Vediamo che, in ultima analisi, `e la richiesta della conservazione del quadrimomento
ad imporre che le particelle soddisno queste equazioni del moto del terzo ordine. Questa
richiesta va, quindi, considerata come la causa ultima di tutti gli aspetti problematici che
queste equazioni comportano.
416
16 LElettrodinamica delle pbrane e le forme die-
renziali
Dal punto di vista teorico le equazioni di Maxwell ammettono diverse generalizzazioni
concettualmente consistenti. Ne elenchiamo tre: 1) lidentit`a di Bianchi pu`o essere modi-
cata per tenere conto dellesistenza di cariche magnetiche; 2) le equazioni possono essere
formulate in uno spaziotempo a dimensione arbitraria; 3) le cariche che generano il
campo elettromagnetico possono anche non essere puntiformi, ma costituire oggetti spa-
zialmente estesi, come stringhe o, pi` u genericamente, brane. La prima generalizzazione
riguarda la questione fondamentale della compatibilit`a dei principi dellElettrodinamica
con lesistenza di monopoli magnetici in natura e verr`a trattata in dettaglio nel capitolo
17, in quanto dal punto di vista fenomenologico attualmente la pi` u interessante. Le altre
due pi` u speculative e legate in particolar modo alla teoria delle Superstringhe sono
invece largomento principale di questo capitolo.
Tutte e tre le generalizzazioni emergono in modo molto naturale, se le equazioni di
Maxwell vengono riscritte nel linguaggio pi` u geometrico delle forme dierenziali. Que-
sto linguaggio matematico proviene dalla Geometria Dierenziale e ha vaste applicazioni
sia in Matematica che in Fisica Teorica. In Matematica pura esso sta, per esempio, alla
base della Coomologia di de Rham, che costituisce uno strumento importante per la
classicazione topologica degli spazi astratti, nellambito della cosiddetta Topologia Alge-
brica. In ambito sico questo formalismo permette, in particolare, di scrivere le equazioni
del moto in una notazione intrinseca compatta, che non fa uso esplicito degli indici, e
conferisce uninterpretazione geometricotopologica alle leggi di conservazione. Per questi
motivi nella sezione che segue forniremo unintroduzione pragmatica al formalismo delle
forme dierenziali, atta alle generalizzazioni di cui sopra, senza addentrarci nel signicato
pi` u profondo che questo formalismo acquisisce allinterno della Matematica pura. Nel
paragrafo 16.1.1 riscriveremo poi le equazioni di Maxwell in questo nuovo formalismo.
Inne, nelle sezioni 16.2 e 16.3 formuleremo lElettrodinamica di una generica brana ca-
rica, in uno spaziotempo di dimensione arbitraria. Lo strumento pi` u ecace per questa
costruzione si riveler`a essere, ancora una volta, il metodo variazionale.
417
Il presente capitolo non `e essenziale per la comprensione dei capitoli successivi, ad
esclusione di una parte della sezione ??.
16.1 Unintroduzione operativa alle forme dierenziali
In questa sezione introdurremo sinteticamente il formalismo delle forme dierenziali met-
tendo in evidenza pi` u le sue propriet`a operative, a cui siamo maggiormente interessati, che
non il suo signicato matematico intrinseco
59
. Per denitezza presenteremo il formalismo
in uno spaziotempo a D dimensioni, con metrica di Minkowski

= diag(1, 1, , 1),
= 0, 1, , D1. Avremo quindi una dimensione temporale e D1 dimensioni spaziali.
pforme dierenziali. Una pforma dierenziale, o anche pi` u semplicemente una p
forma, corrisponde a un campo tensoriale di rango p completamente antisimmetrico. Le
sue componenti sono quindi identicate da un tensore

1
p
(x), per cui,

2
p
=

1
p
, etc. (16.1)
Per il momento assumeremo che queste componenti siano funzioni su R
D
di classe C

.
Lintero p viene anche chiamato grado della forma. Una 0forma equivale dunque a
un campo scalare, una 1forma a un campo vettoriale, e una dueforma a un tensore
doppio antisimmetrico. Siccome, per via della (16.1), le componenti

1
p
si annullano
non appena due indici sono uguali, in uno spaziotempo a D dimensioni il grado massimo
di una forma `e D. Abbiamo quindi la limitazione,
0 p D.
Dalla (16.1) segue, inoltre, che il numero di componenti indipendenti di una pforma `e
dato dal coeciente binomiale,
_
D
p
_
=
D!
p!(D p)!
.
Base. Gli elementi della base canonica dello spazio vettoriale lineare delle pforme
vengono indicati con,
{dx
p
dx

p1
dx

1
}

i
=0,1,,D1
, (16.2)
59
Un testo che espone la Geometria Dierenziale con particolare riferimento alle sue applicazioni in
Fisica, compreso il linguaggio delle forme dierenziali, `e Analysis, Manifolds and Physics, delle au-
trici Yvonne ChoquetBruhat, Cecile DeWittMorette e Margaret DillardBleick, ed. NorthHolland,
Amsterdam, 1982.
418
e per denizione sono soggetti alle identicazioni,
dx
p
dx

p1
dx

1
= dx

p1
dx
p
dx

1
, etc. (16.3)
In notazione intrinseca una pforma si scrive allora, con unopportuna convenzione sulla
normalizzazione,

p
=
1
p!
dx
p
dx

1
p
. (16.4)
Si noti che, a causa delle identicazioni (16.3), gli elementi linearmente indipendenti della
base (16.2) sono
_
D
p
_
tante quante sono le componenti indipendenti di

1
p
. Risulta
pertanto evidente che linsieme delle pforme costituisce uno spazio vettoriale lineare di
dimensione a ssato x
_
D
p
_
.
Prodotto esterno tra forme. Il prodotto esterno A
p
B
q
tra una pforma A
p
e una
qforma B
q
, con p + q D, corrisponde alla (p + q)forma,
A
p
B
q
=
_
1
p!
dx
p
dx

1
A

1
p
_

_
1
q!
dx
q
dx

1
B

1
q
_

1
p!
1
q!
dx
p
dx

1
dx
q
dx

1
A
[
1
p
B

1
q]
.
In termini di componenti il prodotto tra forme corrisponde quindi al prodotto tensoriale
completamente antisimmetrizzato delle componenti. Usando la (16.3) si verica facilmente
che vale la propriet`a di (anti)commutazione,
A
p
B
q
= ()
p q
B
q
A
p
. (16.5)
In particolare il quadrato di una forma di grado dispari
2p+1
`e quindi sempre zero,

2p+1

2p+1
= 0.
Si usa il simbolo per il prodotto esterno in inglese wedge product perche, come
si verica facilmente, in tre dimensioni spaziali il prodotto esterno tra le 1forme dx
i
a
i
e dx
i
b
i
(i = 1, 2, 3), equivale proprio al (duale di Hodge del) prodotto esterno dei due
vettori tridimensionali associati, ovvero, a

b.
Una volta introdotto il prodotto esterno tra forme, le identicazioni (16.3) suggeriscono
di interpretare gli elementi della base (16.2) come prodotti esterni multipli degli elementi
della base per le 1forme {dx

}, invocando la propriet`a di anticommutazione,


dx

dx

= dx

dx

. (16.6)
419
Questa propriet`a algebrica segue, infatti, dalla (16.5), se si pone A
1
= dx

, B
1
= dx

,
p = q = 1.
Dualit`a di Hodge. Dallidentit`a binomiale
_
D
p
_
=
_
D
Dp
_
si desume che gli spazi vet-
toriali lineari delle pforme e delle (Dp)forme hanno la stessa dimensione. La dualit`a
di Hodge, denotata con il simbolo , `e una mappa che realizza un isomorsmo tra questi
due spazi, associando alla pforma , vedi (16.4), la (D p)forma,

1
(D p)!
dx

Dp
dx

Dp
, (16.7)
le cui componenti sono date da,

Dp

1
p!

Dp

1
p

1
p
. (16.8)
Abbiamo denito il tensore di LeviCivita in D dimensioni,

D
=
_

_
1 se
1
, ,
D
`e una permutazione pari di 0, 1, , D 1,
1 se
1
, ,
D
`e una permutazione dispari di 0, 1, , D 1,
0 se almeno due indici sono uguali.
(16.9)
La dualit`a di Hodge pu`o essere iterata, e applicata due volte associa a una pforma di
nuovo una pforma, in quanto D (D p) = p. Per linvarianza di Lorentz deve allora
essere,

2
,
ovvero, il quadrato delloperatore `e proporzionale alloperatore identit`a. Con la norma-
lizzazione scelta in (16.8) si trova che quando
2
opera su una pforma si ha,

2
= ()
(D+1)(p+1)
, (16.10)
relazione che sta a signicare che
2
= 1, a seconda dei valori di D e p. Da ci`o segue che
loperatore inverso della dualit`a di Hodge coincide con pi` u o meno se stesso. Lidentit`a
(16.10) si dimostra facilmente usando la (1.13), e le formule per le contrazioni multiple
tra due tensori di LeviCivita,

1
p
1

Dp

1
p
1

Dp
= ()
D+1
p ! (D p)!

1
[
1

p
p]
, (16.11)
che generalizzano le (1.17), (1.18).
420
Forme autoduali. In uno spaziotempo a dimensione pari, D = 2n, il duale di una
nforma `e di nuovo una nforma. Ha quindi senso chiedersi se esistono nforme
n
(anti)autoduali, ovvero, forme per cui,

n
=
n
. (16.12)
Una condizione necessaria per lesistenza di forme siatte si deriva applicando loperatore
alla (16.12), e usando di nuovo la (16.12),

n
=
n
=
n
. (16.13)
Daltra parte lidentit`a (16.10) per D = 2n e p = n si riduce a,

2
= ()
n+1
. (16.14)
Confrontando con la (16.13) si vede che una condizione necessaria per lesistenza di n
forme (anti)autoduali in uno spaziotempo a dimensione D = 2n, `e che n sia dispari. Si
pu`o poi vedere che questa condizione `e anche suciente. Concludiamo pertanto che forme
(anti)autoduali esistono solo in spazitempo con dimensioni,
D = 2, 6, 10, (16.15)
In particolare tali forme non esistono, dunque, in D = 4. Si pu`o vedere che lesistenza
di forme (anti)autoduali permette lidenticazione tra cariche elettriche e cariche ma-
gnetiche circostanza che non avviene quindi in D = 4, dove queste cariche restano
necessariamente distinte. Questo nesso verr`a chiaricato nel capitolo 17.
Loperatore dierenziale esterno. Il dierenziale esterno d, o pi` u semplicemente il
dierenziale, `e loperatore che mappa una pforma nella (p + 1)forma d, denita
da,
d = d
_
1
p!
dx
p
dx

1
p
_

1
p!
dx
p
dx

1
dx

1
p]
. (16.16)
Come si vede, formalmente si ha d = dx

. Sul prodotto esterno tra forme il dierenziale


gode della propriet`a distributiva graduata,
d (A
p
B
q
) = A
p
dB
q
+ ()
q
dA
p
B
q
. (16.17)
421
La dimostrazione `e lasciata per esercizio. Una propriet`a fondamentale del dierenziale `e
quella di essere un operatore nihilpotente, ovvero,
d
2
= 0.
Infatti, dalla (16.16) si ottiene,
dd =
1
p!
dx
p
dx

1
dx

dx

1
p]
= 0,
la conclusione seguendo dal fatto che le derivate parziali su funzioni di classe C

com-
mutano.
Forme chiuse, forme esatte, e lemma di Poincare. Una forma
p
si dice chiusa se,
d
p
= 0, (16.18)
e si dice esatta se esiste una (p 1)forma
p1
, tale che,

p
= d
p1
. (16.19)
Grazie al fatto che d
2
= 0, ogni forma esatta `e chiusa, ma non tutte le forme chiuse
sono esatte, come viene segnalato dal fondamentale lemma di Poincar`e. Prima di poterlo
enunciare `e necessario ricordare cosa si intende per un insieme contraibile.
Denizione: un sottoinsieme C di uno spazio topologico si dice contraibile al punto y C,
se esiste una mappa continua F dallo spazio prodotto [0, 1] C in C,
F : (, x) F(, x) C, con 0 1, x C,
tale che,
F(0, x) = x, x C
F(1, x) = y, x C.
La mappa iniziale F(0, ) `e quindi la mappa identica su C, mentre la mappa nale
F(1, ) `e la mappa costante su C, che mappa qualsiasi punto x in y. Si noti che F deve
essere continua rispetto ad entrambi gli spazi del prodotto [0, 1]C. Detto in altri termini,
un insieme C `e contraibile se pu`o essere deformato con continuit`a no a contrarsi al suo
422
punto y, senza incontrare ostacoli di tipo topologico. Cos` in R
2
un cerchio o una corona
circolare non possono essere contratti a nessuno dei loro punti, mentre un disco pu`o essere
contratto al suo centro, o a uno qualsiasi dei suoi punti. Analogamente la sfera S
2
in R
3
non `e contraibile, mentre la palla tridimensionale lo `e. Un altro esempio di un insieme
non contraibile in R
3
`e linsieme R
3
\O, dove O `e un arbitrario punto di R
3
esempio che
verr`a ripreso nel paragrafo ??. Qualitativamente si pu`o dire che risulta contraibile ogni
insieme privo di complicazioni topologiche e di difetti.
Lemma di Poincare: Ogni forma chiusa in un aperto contraibile di R
D
`e ivi esatta.
Spesso il lemma di Poincare viene anche enunciato dicendo che ogni forma chiusa `e lo-
calmente esatta, intendendo con ci`o che, se ci si limita a una regione sucientemente
piccola da risultare contraibile, ristretta a questa regione la forma `e esatta. La classica-
zione sistematica delle forme chiuse ma non esatte in un dato spazio, `e lo scopo principale
della cosiddetta Coomologia di de Rham, menzionata nellintroduzione a questo capitolo.
Dagli esempi di spazi non contraibili elencati sopra si intuisce che lanalisi delle forme
chiuse ma non esatte esistenti in uno spazio astratto, `e intimamente legata con le pro-
priet`a topologiche dello spazio stesso. Forme chiuse ma non esatte esistono, infatti, solo
in spazi topologicamente non banali. Lo studio sistematico di questo legame viene svolto
da un ramo particolare della Geometria Dierenziale, che va sotto il nome di Dualit`a di
Poincare.
Menzoniamo, inne, che il lemma di Poincar`e costituisce una generalizzazione di un
noto teorema dellAnalisi Matematica, secondo cui la 1forma dxf(x, y) + dy g(x, y) `e
chiusa in un aperto semplicemente connesso di R
2
, se e solo se essa `e ivi esatta. In
realt`a, siccome in uno spazio topologico ogni aperto contraibile `e semplicemente connesso,
lipotesi di questo teorema `e leggermente pi` u debole di quella del lemma di Poincare.
Per concludere facciamo notare che, se una forma `e chiusa in tutto lo spaziotempo,
essa `e necessariamente esatta, perche R
D
`e contraibile.
Forme dierenziali a valori nelle distribuzioni. Una generalizzazione del concetto di
forma dierenziale `e costituito dalle pforme dierenziali a valori nelle distribuzioni, chia-
mate talvolta anche pcorrenti. Per denizione le componenti

1
p
di una pforma a
423
valori nelle distribuzioni sono elementi di S

(R
D
). Si continua ad usare la notazione,

p
=
1
p!
dx
p
dx

1
p
.
In questo spazio pi` u ampio valgono ancora le propriet`a algebriche lineari discusse sopra,
mentre in generale non `e pi` u denito il prodotto esterno tra forme, A
p
B
q
.
Resta invece ancora denito il dierenziale d, perch`e le distribuzioni sono sempre
derivabili, e loperatore d `e ancora nihilpotente,
d
2
= 0,
perche le derivate parziali nel senso delle distribuzioni commutano sempre. Le forme
chiuse e esatte si deniscono esattamente come nel caso delle forme regolari, vedi (16.18)
e (16.19), e grazie alla nihilpotenza delloperatore d ogni forma esatta `e chiusa. Per loro
natura le distribuzioni sono denite in tutto R
D
. Non stupisce allora che si dimostra il
seguente fondamentale lemma, che identica le forme chiuse con quelle esatte.
Lemma di Poincare per le forme dierenziali a valori nelle distribuzioni: Una
forma dierenziale a valori nelle distribuzioni `e chiusa, se e solo se `e esatta.
La forza di questo lemma sta nel fatto che le forme dierenziali in questione in generale non
sono di Classe C

, ma possono esibire anche singolarit`a molto pronunciate, di carattere


distribuzionale. Possono, per esempio, esibire discontinuit`a nite o del tipo di Dirac,
oppure divergere lungo linee, o superci, purche in modo integrabile. Inoltre, in generale
esse non sono derivabili nel senso delle funzioni.
16.1.1 Le equazioni di Maxwell nel formalismo delle forme dierenziali
In questa sezione riscriviamo lequazione di Maxwell e lidentit`a di Bianchi nel linguaggio
geometrico fornito dalle forme dierenziali. Per quanto detto in precedenza sulla na-
tura distribuzionale di queste equazioni, ci serviremo, pi` u precisamente, dellambito delle
forme dierenziali a valori nelle distribuzioni. In questo nuovo ambito rianalizzeremo in
particolare la soluzione generale dellidentit`a di Bianchi, e la conservazione della corrente.
Nel linguaggio delle forme dierenziali al tensore antisimmetrico F

si associa la
2forma,
F =
1
2
dx

dx

, (16.20)
424
e alla quadricorrente j

la 1forma,
j = dx

. (16.21)
Faremo ora vedere che in termini di queste forme le equazioni (2.13), (2.14) si scrivono
rispettivamente come,
dF = 0, (16.22)
d F = j. (16.23)
Identit`a di Bianchi e invarianza di gauge. Verichiamo prima di tutto che la (16.22)
`e equivalente alla (2.13). Per fare questo sfruttiamo il fatto che lultima `e, a sua volta,
equivalente alla (2.28), ovvero, alla condizione
[
F
]
= 0. Per vericare lequivalenza `e
suciente esplicitare la 3forma dF,
dF = d
_
1
2
dx

dx

_
=
1
2
dx

dx

dx

[
F
]
.
Ne segue che,
dF = 0
[
F
]
= 0,
come volevamo dimostrare.
Arontiamo ora il problema delle soluzioni dellidentit`a di Bianchi (16.22). Questulti-
ma `e equivalente alla richiesta che F sia una forma chiusa. Secondo il lemma di Poincare
per le forme a valori nelle distribuzioni, F `e quindi anche esatta. Esiste quindi una 1forma
A = dx

a valori nelle distribuzioni un potenziale vettore tale che,


F = dA. (16.24)
Esplicitando il dierenziale si ottiene,
F =
1
2
dx

dx

= d(dx

) = dx

dx

[
A
]
,
e quindi,
F

= 2
[
A
]
=

, (16.25)
che corrisponde alla (2.22). Daltra parte `e immediato rendersi conto che esistono innite
1forme A tali che F = dA. Presi due arbitrari potenziali vettore A e A

, si ha infatti,
F = dA = dA

d(A

A) = 0.
425
La 1forma A

A `e quindi chiusa, e dunque per il lemma di Poincare esatta. Esiste


allora una 0forma, ovverosia, un campo scalare, tale che A

A = d, ovvero
A

= A + d. (16.26)
Esplicitando il dierenziale si ottiene,
dx

= dx

+ dx

= A

.
Vediamo che due soluzioni A

ed A dellidentit`a di Bianchi dieriscono per una trasforma-


zione di gauge. Viceversa, `e ovvio che se A soddisfa la (16.24), anche A+d la soddisfa.
Abbiamo cos` ritrovato i risultati del paragrafo 2.2.2. In particolare, nel linguaggio delle
forme dierenziali le relazioni (2.25) si scrivono semplicemente,
dF = 0 F = dA, con A A + d. (16.27)
Equazione di Maxwell. Passiamo ora alla verica dellequivalenza tra la (2.14) e la
(16.23). Cominciamo notando che lultima `e unequazione tra 3forme. Infatti, j `e il
duale di una 1forma ed `e quindi una 3forma, mentre F il duale di una 2forma `e
di nuovo una 2forma, e quindi anche d F `e una 3forma. Possiamo allora sfruttare la
dualit`a di Hodge una mappa invertibile per riscrivere la (16.23) come equazione tra
1forme. Applicando loperatore a questa equazione e notando che la (16.10) per D = 4
e p = 3 d`a
2
= 1, si ottiene lequazione equivalente tra 1forme,
d F =
2
j = j. (16.28)
Valutiamo ora esplicitamente il membro di sinistra usando gli strumenti introdotti nel
paragrafo precedente,
d F = d
_
1
2
dx

dx

_
=
_
1
2
dx

dx

dx

[

F
]
_
=
_
1
3!
dx

dx

dx

_
3
[

F
]
_
_
= dx

_
1
3!

3
_
3

1
F

3
_
_
= dx

_
1
3!

3
3

1
1
2!

2
F

2
_
= dx

_
1
4

1
F

2
_
= dx

_
1
4
()2! 2!

1
F

2
_
= dx

, (16.29)
426
dove nella seconda riga abbiamo usato la (1.13), e nellultima la (16.11) con D = 4 e
p = 2. La (16.28) si scrive quindi,
dx

= dx

,
che equivale allequazione di Maxwell.
Conservazione della corrente. Tornando alla (16.23) vediamo che il membro di sinistra
di questa equazione `e una 3forma esatta. Per consistenza anche il membro di destra j
deve dunque essere una 3forma esatta, e quindi anche una 3forma chiusa,
d j = 0. (16.30)
Per indagare il signicato di questo vincolo, che impone lannullamento di una 4forma,
conviene sfruttare di nuovo la dualit`a di Hodge e valutare lequazione duale, che richiede
pertanto lannullamento della 0forma, ovvero, dello scalare, dj. Con passaggi analoghi
a quelli che hanno portato alla (16.29) si trova,
d j = d
_
1
3!
dx

dx

dx

_
=
_
1
3!
dx

dx

dx

dx

j
]
_
=
_
1
4!
dx

dx

dx

dx

_
4
[

j
]
_
_
=
1
4!

4
_
4

4
_
=
1
4!

4
4

=
1
3!

1
j

=
1
3!
1! 3!

1
j

. (16.31)
Applicando a questa identit`a di nuovo loperatore di Hodge, e notando che la (16.10) per
D = 4, p = 4 d`a
2
= 1, si trova in denitiva,
d j =
1
4!
dx

1
dx

2
dx

3
dx

.
La condizione di consistenza (16.30) `e pertanto equivalente alla conservazione della qua-
dricorrente,
d j = 0

= 0.
Come si vede applicando d alla (16.23), nel linguaggio geometrico la conservazione della
corrente appare come una condizione di consistenza imposta dal fatto che d `e un operatore
nihilpotente.
427
Si vede, dunque, che da un lato il linguaggio delle forme dierenziali `e utile, perche
fornisce una notazione compatta che evita di indicare esplicitamente gli indici. Daltro
canto, nellambito della teoria delle distribuzioni questo formalismo permette di denire
le componenti delle pforme globalmente, vale a dire in tutto R
4
, anche in presenza di
singolarit`a. E in questo ambito allargato il lemma di Poincare generalizzato garantisce,
per di pi` u, lidenticazione tra forme chiuse e forme esatte. Si noti, tuttavia, che il
linguaggio delle forme non si applica a teorie siche che necessitano di tensori che non
sono completamente antisimmetrici, come la Relativit`a Generale.
16.2 Equazioni di Maxwell per le pbrane
In questa sezione e in quella successiva discuteremo brevemente due possibili generalizza-
zioni, teoricamente consistenti, delle equazioni di Maxwell. La prima concerne il passaggio
in uno spaziotempo a dimensione arbitraria D, e la seconda riguarda la sostituzione delle
cariche puntiformi con cariche estese le cosiddette pbrane.
La pi` u semplice carica estesa `e rappresentata da una corda, o stringa, una 1brana
che noi assumeremo chiusa. Mentre una particella puntiforme durante la sua evoluzione
temporale descrive una linea di universo priva di bordo, una corda che si propaga nello
spazio subisce deformazioni arbitrarie e descrive cos` una generica supercie bidimensiona-
le, anchessa priva di bordo se si considera un intervallo temporale innito, < t < .
Analogamente una 2brana `e costituita da una supercie bidimensionale chiusa, che du-
rante la sua evoluzione temporale descrive un volume tridimensionale. In generale una
pbrana un oggetto esteso con p dimensioni interne traccia durante il suo moto, defor-
mandosi, un volume di universo (p + 1)dimensionale, privo di bordo. In questo scenario
una particella puntiforme corrisponde, dunque, a una 0brana.
Senza addentrarci nellinterpretazione e nellutilizzo degli oggetti estesi in sica, osser-
viamo che le pbrane giocano una ruolo fondamentale nella moderna teoria delle Super-
stringhe teoria che vive in uno spaziotempo a dieci dimensioni ed `e candidata a unicare
la Relativit`a Generale con la Meccanica Quantistica e con le altre interazioni fondamen-
tali. Per maggior generalit`a ambienteremo dunque le pbrane in uno spaziotempo a
dimensione D arbitraria. In questo modo lintero p potr`a assumere anche valori superiori
428
a due, essendo limitato solo dal vincolo, 0 p D 2. Prima di passare allo studio
degli oggetti estesi sar`a allora utile presentare la generalizzazione dellElettrodinamica di
particelle puntiformi a uno spaziotempo a dimensione arbitraria.
16.2.1 LElettrodinamica di una carica puntiforme in D dimensioni
In analogia con il caso quadridimensionale dotiamo lo spaziotempo R
D
della metrica
di Minkowski Ddimensionale

= (1, 1, , 1), e indichiamo le sue coordinate con


x

= (x
0
, x
i
), i = 1, , D1, che scriveremo anche come x

= (x
0
, x). Assumeremo che
le leggi della sica siano invarianti sotto il gruppo di Lorentz Ddimensionale,
O(1, D 1) {, matrici reali D D/
T
= },
sottintendendo che i tensori trasformino formalmente esattamente come nel caso qua-
dridimensionale. In particolare, in notazione tensoriale le matrici di Lorentz soddisfano
ancora la relazione

, e sotto una trasformazione di Poincare le coordinate


trasformano come x

+ a

.
In questo spaziotempo il tensore di Maxwell `e ancora un tensore doppio antisimmetri-
co F

, e lidentit`a di Bianchi e lequazione di Maxwell si scrivono rispettivamente ancora


come,

[
F
]
= 0,

= j

.
Introducendo rispettivamente la 2forma e la 1forma,
F =
1
2
dx

dx

, j = dx

,
ed eseguendo gli stessi passaggi del paragrafo 16.1.1, si trova che nel linguaggio delle
forme dierenziali queste equazioni mantengono la forma (16.22), (16.23) a parte un
segno, assente se D `e pari,
dF = 0, d F = ()
D
j. (16.32)
In particolare, la soluzione generale dellidentit`a di Bianchi dF = 0 `e data ancora dalla
(16.27), ovvero, dalla (2.25).
Lunica dierenza sostanziale rispetto al caso quadridimensionale, per altro ovvia,
risiede nellespressione della corrente j

della particella. Indicando la sua linea di universo


429
con y

() = (y
0
(), y()), linvarianza di Lorentz in D dimensioni impone ora la scelta,
j

(x) = e
_
dy

d

D
(x y()) d = e
_
1,
dy
dt
_

D1
(x y(t)). (16.33)
Inne, lequazione di Lorentz `e data ancora dalla (2.15),
m
du

ds
= eF

(y) u

, u

=
dy

ds
,
con il tempo proprio Ddimensionale,
ds =
_
dy

d
dy

d =

1 v
2
dt, v =
dy
dt
.
16.2.2 Volume di universo di una pbrana e invarianza sotto riparametrizza-
zioni
In questo paragrafo forniremo una descrizione manifestamente invariante della cinematica
di un oggetto pesteso in D dimensioni. Come nel caso della particella le invarianze da
realizzare sono a) linvarianza di Lorentz di facile implementazione se si usa il formalismo
Dtensoriale e b) linvarianza sotto riparametrizzazioni.
Una particella puntiforme non ha estensione spaziale, ed in uno spaziotempo D
dimensionale a un istante dato la sua congurazione `e descritta dalla posizione spaziale
y = (y
1
, , y
D1
). Viceversa, il prolo di un oggetto pesteso a un dato istante `e
descritto in forma parametrica da D 1 funzioni di p parametri

= (
1
, ,
p
),
y(

) = (y
1
(

), , y
D1
(

)). (16.34)
Si noti che y denota un vettore spaziale a D1 componenti, mentre

denota un vettore
a p componenti.
Un esempio. A titolo di esempio consideriamo in D = 4 una sfera di raggio unitario,
che costituisce una 2brana. In questo caso possiamo prendere come parametri gli angoli
polari,

= (
1
= ,
2
= ), e lequazione parametrica (16.34) assume la nota forma,
y
1
(

) = sen
1
sen
2
, (16.35)
y
2
(

) = sen
1
cos
2
, (16.36)
y
3
(

) = cos
1
. (16.37)
430
Tuttavia, `e chiaro che il prolo della brana pu`o essere parametrizzato in inniti modi
diversi, a seconda della scelta dei parametri. Usando per esempio come parametri le
coordinate cartesiane del piano (x, y), ovvero,

= (
1
= x,
2
= y), si ottiene una
rappresentazione alternativa y

) della sfera, data da,


y
1
(

) =
1
, (16.38)
y
2
(

) =
2
, (16.39)
y
3
(

) =
_
1 (
1
)
2
(
2
)
2
, (16.40)
e vale y

) = y(

). Come si vede, le due rappresentazioni sono legate dalle trasformazioni


invertibili dei parametri, ovvero, dalla riparametrizzazione,

1
(

) = sen
1
sen
2
,
2
(

) = sen
1
cos
2
. (16.41)
In generale vanno identicati due proli y(

) e y

), se esistono p funzioni invertibili

) dei p parametri

, tali che,
y

) = y

)) = y(

). (16.42)
Lidenticazione (16.42) si esprime dicendo che la forma dei proli y(

) `e invariante
sotto riparametrizzazioni. Siccome qualsiasi osservabile sica associata alla pbrana
deve essere indipendente dalla particolare scelta dei parametri, essa dovr`a dunque essere
invariante sotto riparametrizzazioni. Linvarianza per riparametrizzazione sar`a pertanto
uno dei principi guida nella generalizzazione delle equazioni di Maxwell per le pbrane.
Dinamica e volume di universo. Specicata la congurazione di una pbrana a un dato
istante, consideriamo ora una pbrana in movimento. Siccome ad ogni istante temporale
t la brana assumer`a una posizione e un prolo diversi, la sua dinamica sar`a descritta dalle
D 1 funzioni di p + 1 variabili,
y
t
(

) y(t,

) (16.43)
Queste funzioni generalizzazione la legge oraria y(t) di una particella puntiforme. Come in
quel caso, vedi sezione 2.1, per rendere la legge oraria (16.43) compatibile con linvarianza
di Lorentz, `e conveniente descrivere levoluzione temporale non attraverso il tempo t, ma
431
attraverso un parametro
0
(t) generico, oppure, dato che
0
pu`o essere scelto in modo
diverso in ogni punto della brana, attraverso un parametro,

0
(t,

) t(
0
,

). (16.44)
Levoluzione temporale del prolo spaziale (16.43) pu`o quindi essere scritta equivalente-
mente come,
y(
0
,

). (16.45)
Inne questo prolo pu`o essere reso Lorentz covariante aggiungendo la coordinata tem-
porale y
0
(
0
,

) t(
0
,

), e ottenendo cos` il prolo spaziotemporale,


y

() = (y
0
(), y()), (
0
,

). (16.46)
Levoluzione temporale della brana `e quindi rappresentata in modo invariante dalle D fun-
zioni y

() dei p+1 parametri , che descrivono il volume di universo (p+1)dimensionale


da essa tracciato generalizzazione della linea di universo di una particella puntiforme.
Supporremo che queste funzioni siano regolari, in particolare derivabili due volte.
Come anticipato sopra indichiamo i p + 1 parametri
0
e

complessivamente con
(
0
,

), mentre useremo gli indici a, b, etc. per denotare i singoli parametri {


a
},
a = 0, 1, , p. In seguito indicheremo la dimensione del volume di universo con,
d p + 1.
Nonostante la notazione, nello spazio interno ddimensionale della brana non introdu-
ciamo una metrica di Minkowski, pur mantenendo la convenzione della somma sugli indici
ripetuti. Gli indici a, b etc. non verranno, infatti, mai abbassati o alzati.
Per costruzione il volume di universo (16.46) `e ora soggetto allinvarianza per ri-
parametrizzazione di tutti i d parametri , sicche due volumi di universo che possono
essere ottenuti luno dallaltro attraverso una trasformazione invertibile e regolare dei d
parametri,

(), (16.47)
sono da considerarsi sicamente indistinguibili.
432
Inne `e immediato riottenere dalla descrizione covariante (16.46) la descrizione spaziale
(16.43).
`
E suciente usare la componente temporale del volume di universo y
0
(), per
esprimere
0
in funzione del tempo,
y
0
(
0
,

) = t
0
(t,

).
Inserendo questa espressione nella componente spaziale del volume di universo si ottiene
allora la rappresentazione (16.43),
y(
0
,

) y(
0
(t,

),

) y(t,

).
16.2.3 La corrente
Per accoppiare una pbrana a un campo elettromagnetico `e innanzitutto necessario asso-
ciarle una corrente, opportuna generalizzazione della (16.33). Questultima, tuttavia,
non ammette una generalizzazione immediata, perche la velocit`a dy

/d `e ora sostituita
da un insieme di vettori tangenti,
U

a

y

a
, (16.48)
mentre, per motivi di invarianza per riparametrizzazione, la corrente non pu`o portare un
indice interno a. Per individuare la forma della corrente poniamo le seguenti richieste,
di signicato immediato:
1) La corrente deve essere un campo tensoriale in D dimensioni, j

(x).
2) j

(x) deve essere diverso da zero solo sul volume di universo della brana.
3) j

(x) deve essere invariante sotto riparametrizzazioni.


4) La corrente deve soddisfare identicamente la legge di conservazione,

= 0. (16.49)
La richiesta 2), insieme alla richiesta di Lorentzinvarianza sottintesa in 1), comporta
che la corrente coinvolga la di Dirac
D
(x y()). Lintegrale in d che compare nella
(16.33) deve allora essere sostituito con lintegrale sul volume di universo
_
d
d
. Sempre
in analogia con la (16.33), lintegrando deve dipendere anche dalle velocit`a generalizzate
U

a
, vedi (16.48). Linvarianza sotto riparametrizzazioni richiesta 3) impone allora,
433
come condizione necessaria, che queste velocit`a compaiano nellintegrando attraverso un
polinomio P(U) in U

a
, di grado d. Assumeremo dunque che la corrente abbia la forma,
_
P(U)
D
(x y()) d
d
. (16.50)
Per rendersi conto della necessit`a di un polinomio di grado d, `e suciente considerare una
riparametrizzazione particolare, che riscala tutti i parametri di una costante positiva k,

a

a
() = k
a
.
In questo caso si hanno le trasformazioni,
d
d

= k
d
d
d
, U

a
=
y

a
=
1
k
y

a
=
1
k
U

a
P(U

) =
1
k
d
P(U).
Pertanto nella (16.50) il polinomio P(U) `e necessario per compensare la trasformazione
della misura d
d
. Tuttavia, per un generico polinomio P(U) di grado d, la corrente (16.50)
non `e invariante sotto una riparametrizzazione (16.47) arbitraria. Come faremo vedere
sotto, lunico polinomio che assicura questa invarianza corrisponde alla corrente tensoriale
di rango d, completamente antisimmetrica,
j

d
(x) = e
_
U
[
1
0
U

d
]
p

D
(x y()) d
d

=
e
d !
_
U

1
a
1
U

d
a
d

a
1
a
d

D
(x y()) d
d
, (16.51)
dove
a
1
a
d
indica il tensore di LevitaCivita, vedi (16.9). La costante e ha qu` il signi-
cato di carica per unit`a di volume della brana. Il secondo modo di scrivere la corrente
si ricava usando lidentit`a,
U

1
a
1
U

d
a
d

a
1
a
d
= U
[
1
a
1
U

d
]
a
d

a
1
a
d
,
assieme alla denizione del tensore di LeviCivita. Si noti che la (16.51) costituisce non
una funzione, ma di nuovo una distribuzione in S

(R
D
), e che per la particella, ovvero,
per d = 1, essa si riduce alla (16.33).
Invarianza sotto riparametrizzazioni. Per costruzione lespressione (16.51) soddisfa le
richieste 1) e 2), e resta da fare vedere che soddisfa anche le richieste 3) e 4). Per vericare
la 3) eseguiamo nella (16.51) una generica riparametrizzazione

(), ottenendo,
j

d
(x) =
e
d !
_
U

1
a
1
U

d
a
d

a
1
a
d

D
(x y

)) d
d

, U

a
=
y

a
. (16.52)
434
Introducendo la matrice jacobiana J
a
b
=

b

a
, abbiamo le trasformazioni
60
,
y

) = y

(), U

a
=

b

a
y

()

b
= J
a
b
U

b
, d
d

= (detJ)
1
d
d
. (16.53)
Inserendole nella (16.52) risulta,
j

d
(x) =
e
d !
_
(detJ)
1
U

1
b
1
U

d
b
d
J
a
1
b
1
J
a
d
b
d

a
1
a
d

D
(x y()) d
d
. (16.54)
A questo punto `e suciente ricordare la identit`a del determinante, valida per unarbitraria
matrice J
a
b
quadrata, vedi (1.15),
J
a
1
b
1
J
a
d
b
d

a
1
a
d
= detJ
b
1
b
d
. (16.55)
La (16.54) si riduce allora a j

d
(x) = j

d
(x), come volevamo dimostrare. Dalla
dimostrazione svolta risulta anche chiaro che il polinomio P(U) scelto nella (16.51) `e
lunico ad assicurare linvarianza sotto riparametrizzazione della corrente.
Conservazione. Per vericare la richiesta 4) occorre valutare la divergenza spazio
temporale della (16.51), nel senso delle distribuzioni. Procediamo in completa analogia
con (2.49), (2.51), applicando la Ddivergenza della corrente a una generica funzione di
test (x) S(R
D
). Dato che,
j

d
() =
e
d !
_
U

1
a
1
U

d
a
d

a
1
a
d
(y()) d
d
,
si ottiene,
(

1
j

d
)() = j

d
(

1
) =
e
d !
_
U

1
a
1
U

d
a
d

a
1
a
d

1
(y()) d
d

=
e
d !
_
U

2
a
2
U

d
a
d

a
1
a
d
(y())

a
1
d
d
, (16.56)
dove per U

1
a
1
abbiamo usato la denizione (16.48). Nella (16.56) eseguiamo ora uninte-
grazione per parti,

1
j

d
() =
e
d !
_

a
1
_
U

2
a
2
U

d
a
d

a
1
a
d
(y())

d
d

+
e
d !
_ _
U

2
a
2

a
1
U

d
a
d
+ + U

2
a
2

U

d
a
d

a
1
_

a
1
a
d
(y()) d
d
.
60
Stiamo supponendo che la riparametrizzazione

() preservi lorientamento della brana, nel


qual caso detJ > 0. In generale si avrebbe, infatti, d
d

= |detJ|
1
d
d
.
435
I termini nella seconda riga si annullano perche i fattori,
U

b
=

2
y

b
,
sono simmetrici in a e b, mentre il tensore di LeviCivita `e antisimmetrico. Il termine
nella prima riga corrisponde, invece, a una ddivergenza, e si annulla per via del teorema
di Gauss in d dimensioni. Ricordiamo, infatti, che il volume spaziale di universo `e privo
di bordo, e che lungo la direzione di evoluzione
0
, che `e lunica a non essere compatta, la
funzione di test va comunque a zero, perche per
0
si ha y
0
. Segue quindi
la (16.49).
16.2.4 Equazioni di Maxwell
Nota la forma della corrente un tensore completamente antisimmetrico cerchiamo
ora di individuare il campo elettromagnetico da essa creata, ovvero, le equazioni a cui
questo campo deve obbedire: in altre parole, le equazioni di Maxwell generalizzate per
una pbrana.
Cominciamo generalizzando la 1forma della corrente di una particella puntiforme,
(16.21). Dato che la (16.51) denisce un tensore completamente antisimmetrico, `e naturale
introdurre la dforma,
j
d
=
1
d!
dx

d
dx

1
j

d
. (16.57)
Eseguendo gli stessi passaggi che hanno portato alla (16.31), si verica poi facilmente che
lequazione di continuit`a (16.49) si tramuta ancora nel fatto che j
d
`e una forma chiusa,

1
j

d
d j
d
= 0. (16.58)
In realt`a non `e necessario fare questa verica esplicitamente, perche lequivalenza (16.58)
segue essenzialmente dallinvarianza di Lorentz. Vale, infatti, la doppia implicazione,
d j
d
= 0 d j
d
= 0.
Daltra parte d j
d
`e una (d 1)forma, ovvero, un tensore con d 1 indici comple-
tamente antisimmetrico, lineare in

e j

d
. Questo tensore `e quindi necessariamente
proporzionale a

1
j

d
, e segue la (16.58).
436
Identit`a di Bianchi ed equazione di Maxwell generalizzate. Avendo costruito una cor-
rente chiusa che `e una dforma, ed insistendo nella struttura delle equazioni di Max-
well date in (16.22), (16.23), vediamo che il campo elettromagnetico creato da una
pbrana deve essere rappresentato da un tensore di rango d + 1 = p + 2, completamente
antisimmetrico,
F

d+1
,
a cui resta associata la (d + 1)forma,
F
d+1
=
1
(d + 1)!
dx

d+1
dx

1
F

d+1
. (16.59)
In questo modo `e, infatti, consistente imporre lidentit`a di Bianchi e lequazione di Max-
well generalizzate,
dF
d+1
= 0, (16.60)
d F
d+1
= ()
D+d+1
j
d
. (16.61)
Si noti, per lappunto, che F
d+1
`e una (D d 1)forma, e che quindi d F
d+1
`e una
(D d)forma, come lo `e j
d
. Inoltre, grazie alla (16.58) la (16.61) eguaglia una forma
chiusa a una forma chiusa, come richiesto per consistenza. Conformemente a quanto
fatto per la particella, ambientiamo anche le equazioni appena scritte nello spazio delle
distribuzioni S

(R
D
).
Le (16.60), (16.61) possono essere tradotte nel linguaggio tensoriale, attraverso gli
stessi passaggi del paragrafo 16.1.1. Le equazioni che ne risultano sono determinate es-
senzialmente dallinvarianza di Lorentz, a parte i coecienti moltiplicativi. Svolgendo i
calcoli, con il segno scelto nella (16.61) si trova che le (16.60), (16.61) sono equivalenti
rispettivamente alle equazioni, vedi problema 16.2,

[
1
F

d+2
]
= 0, (16.62)

d
= j

d
. (16.63)
Per d = 1 le equazioni ottenute si riducono naturalmente a quelle della particella punti-
forme.
La dforma di potenziale e linvarianza di gauge. Arontiamo ora il problema della
soluzione generale dellidenti`a di Bianchi (16.60). Questa equazione stabilisce che F
d+1
`e
437
una forma chiusa in S

(R
D
), e il lemma di Poincare assicura allora che essa esatta. Esiste
dunque una dforma di potenziale,
A
d
=
1
d!
dx

d
dx

1
A

d
, (16.64)
tale che,
F
d+1
= dA
d
. (16.65)
Una pbrana genera dunque non un potenziale vettore, ma un potenziale completamente
antisimmetrico con p + 1 = d indici. Date due dforme di potenziale A

d
e A
d
, abbiamo,
F
d+1
= dA
d
= dA

d
d(A

d
A
d
) = 0.
Esiste pertanto una (d 1)forma di gauge
d1
,

d1
=
1
(d 1)!
dx

d1
dx

d1
,
tale che A

d
A
d
= d
d1
, ovvero,
A

d
= A
d
+ d
d1
. (16.66)
Questultima relazione esprime il fatto che la forma di potenziale `e determinata modulo
una trasformazione di gauge, mentre il campo F
d+1
`e gaugeinvariante. La soluzione
generale dellidentit`a di Bianchi generalizzata pu`o dunque essere schematizzata come,
dF
d+1
= 0 F
d+1
= dA
d
, con A
d
A
d
+ d
d1
, (16.67)
ed `e perfettamente analoga alla (16.27).
Per rendere pi` u esplicite le relazioni di cui sopra le riscriviamo in notazione tensoriale.
Inserendo la (16.64) nella (16.65) e confrontando questultima con la (16.59), si trova la
relazione tra il campo elettromagnetico e il potenziale,
F

d+1
= (d + 1)
[
1
A

d+1
]
, (16.68)
che generalizza la (16.25). Per una stringa, corrispondente a d = 2, abbiamo per esempio,
F

= 3
[
A
]
=

.
438
La trasformazione di gauge (16.66) diventa, invece,
A

d
= A

d
+ d
[
1

d
]
, (16.69)
che nel caso della stringa d`a,
A

= A

.
Si noti come sotto la trasformazione (16.69) il campo elettromagnetico (16.68) `e invariante.
16.3 Equazione di Lorentz per le pbrane e metodo variazionale
Il problema dellinvarianza per riparametrizzazione. Per completare la descrizione della
dinamica del sistema accoppiato pbrana + campo elettromagnetico, resta da individua-
re lequazione che descrive la dinamica della pbrana stessa, ovvero, la sua equazione
di Lorentz. Questultima deve costituire unopportuna generalizzazione dellequazione
di Lorentz della particella (2.15). Tuttavia, tentativi ingenui di generalizzare tale equa-
zione a mano, falliscono per le dicolt`a legate allimplementazione dellinvarianza per
riparametrizzazione.
Per illustrare il problema ripartiamo dal caso pi` u semplice della particella libera, ricor-
dando la derivata invariante sotto trasformazioni di Lorentz e sotto riparametrizzazioni,
vedi (2.3),
d
ds
=
_
dy

d
dy

d
_
1/2
d
d
,
0
,
che compare nellequazione di Lorentz libera, m
d
2
y

ds
2
= 0. Nel caso della pbrana il ruolo
della derivata d/d `e giocato dalle d derivate parziali /
a
, sicche si dovrebbe eettuare
la sostituzione,
d
ds


s
a

_
y

b
y

b
_
1/2

a
.
Lequazione per le coordinate della brana libera assumerebbe allora la forma,
m

s
a

s
a
y

= 0, (16.70)
dove le somme sugli indici a e b da 0 a p sono sottintese. Tuttavia, `e immediato rendersi
conto che lequazione appena scritta viola linvarianza per riparametrizzazione, e non `e
pertanto sicamente accettabile!
439
16.3.1 Lazione per il campo elettromagnetico
Invece di proseguire lungo questa linea conviene usare un approccio alternativo, che si
`e rivelato anche molto ecace nello studio dellElettrodinamica di particelle puntiformi,
ovvero, il metodo variazionale. Come vedremo, risulter`a enormemente pi` u semplice la
ricerca di unazione invariante sotto riparametrizzazioni, che non la costruzione a mano
di equazioni del moto invarianti sotto questa simmetria.
Come prototipo di unazione per una pbrana interagente con il campo elettromagne-
tico, partiamo proprio dallazione completa dellElettrodinamica di una particella (4.6).
Questultima suggerisce per lazione che descrive la propagazione libera del campo elet-
tromagnetico e la sua interazione con la brana, il seguente funzionale di A

d
(x) e
y

(),

I[A, y] = ()
d
_ _
1
2 (d + 1)
F

d+1
F

d+1
+ A

d
j

d
_
d
D
x I
1
+ I
2
. (16.71)
Il coeciente relativo tra i due termini `e stato ssato in modo tale da ottenere come
equazione del moto proprio la (16.63), vedi sotto, mentre il segno globale ()
d
garantisce la
positivit`a dellenergia. Lazione (16.71) `e Lorentzinvariante, e rispetta anche linvarianza
di gauge (16.69). Infatti, sotto la trasformazione (16.69) I
1
non cambia, perche F
d+1
`e
gauge invariante, mentre I
2
trasforma come,
I

2
I
2
= ()
d
_
_
A

d
A

d
_
j

d
d
D
x = ()
d
d
_

d
j

d
d
D
x
= ()
d
d
_
_

1
(

d
j

d
)

1
j

d
_
d
D
x.
Il primo termine nella seconda riga `e una Ddivergenza ed `e quindi irrilevante, mentre
il secondo si annulla, perche la corrente `e conservata. Lazione (16.71) `e quindi gauge
invariante.
Facciamo, inne, vedere che la (16.71) d`a luogo allequazione di Maxwell (16.63),
in giusticazione denitiva di questa azione. Per fare questo eseguiamo una variazione
innitesima arbitraria A

d
, purche nulla ai bordi, ovvero, per t = t
1
e t = t
2
, e
calcoliamo la variazione dellazione sotto questa variazione. Abbiamo,
I
2
= ()
d
_
A

d
j

d
d
D
x,
440
mentre, usando la (16.68),
I
1
= ()
d
_
1
(d + 1)
F

d+1
F

d+1
d
D
x = ()
d
_
F

d+1

1
A

d+1
d
D
x
= ()
d
_
_

1
_
F

d+1
A

d+1
_

1
F

d+1
A

d+1
_
d
D
x.
Il primo termine tra parentesi `e una Ddivergenza, che si annulla perche allinnito spa-
ziale i campi svaniscono, mentre ai bordi temporali si annullano le variazioni A

d
.
Risulta quindi,
I
1
+ I
2
= ()
d+1
_
_

1
F

d+1
j

d+1
_
A

d+1
d
D
x.
Questa variazione `e dunque nulla per unarbitraria variazione del potenziale, se e solo se
valgono le (16.63).
Allo stesso risultato si giunge, ovviamente, se si scrivono le equazioni di Eulero
Lagrange,

L
(

d
)

L
A

d
= 0,
associate alla lagrangiana,
L = ()
d
_
1
2 (d + 1)
F

d+1
F

d+1
+ A

d
j

d
_
.
16.3.2 Lazione per la pbrana libera
Per completare la descrizione dellElettrodinamica della brana occorre ora trovare la gene-
ralizzazione dellazione della particella libera m
_
ds. Da un punto di vista geometrico
lintegrale
_
ds rappresenta la lunghezza della linea di universo della particella.
`
E dun-
que naturale pensare che nel caso della brana esso debba essere sostituito con il volume
ddimensionale
_
dV , tracciato dalla brana durante la sua evoluzione temporale. Questa
scelta `e supportata anche dal fatto che questo volume, per denizione, `e invariante sotto
riparametrizzazioni.
Per individuare la forma esplicita di dV ci avvaliamo di un noto risultato di Geometria,
secondo cui il volume innitesimo di un solido descritto parametricamente dalle coordinate
y

(), pu`o essere espresso in termini della metrica indotta,


g
ab
() U

a
() U

b
()

, (16.72)
441
che coinvolge di nuovo i vettori tangenti (16.48),
U

a
() =
y

a
.
La (16.72) costituisce una matrice simmetrica d d. Supporremo che questa matrice sia
invertibile, e indicheremo la sua inversa, anche essa simmetrica, con g
ab
,
g
ab
g
bc
=
a
c
. (16.73)
Si dimostra allora che in uno spazio euclideo, con metrica

, il volume innitesimo
dV del solido si esprime in termini del determinante g della metrica indotta, attraverso
la semplice formula,
dV =

g d
d
, g det g
ab
. (16.74)
A titolo di esempio calcoliamo il volume, o meglio, larea innitesima dS della sfera data
in (16.35)(16.37). Per i vettori tangenti otteniamo,

U
1
=
y

1
=
_
cos
1
sen
2
, cos
1
cos
2
, sen
1
_
,

U
2
=
y

2
=
_
sen
1
cos
2
, sen
1
sen
2
, 0
_
,
sicche la metrica indotta diventa,
g
ab
=
_

U
1


U
1

U
2


U
1

U
1


U
2

U
2


U
2
_
=
_
1
0
0
sen
2

1
_
. (16.75)
che comporta

g = sen
1
. Ricordando le identicazioni
1
= ,
2
= , la (16.74) d`a
allora il consueto elemento di supercie della sfera unitaria,
dS =

g d
1
d
2
= sendd,
con larea totale,
S =
_
dS =
_
2
0
d
_

0
dsen = 4.
Analogamente, la parametrizzazione (16.38)(16.40) porta alla metrica indotta,
g

ab
=
1
1 (
1
)
2
(
2
)
2
_
1 (
2
)
2

2
1 (
1
)
2
_
,
_
g

=
1
_
1 (
1
)
2
(
2
)
2
,
con il conseguente elemento di supercie,
dS

=
_
g

d
1
d
2
=
d
1
d
2
_
1 (
1
)
2
(
2
)
2
.
442
Ovviamente i due elementi di supercie devono coincidere, e usando le regole di trasfor-
mazione (16.41) si verica infatti facilmente che vale,
dS

= dS,
conseguenza del fatto che lelemento di supercie `e invariante sotto riparametrizzazione.
Invarianza di dV sotto riparametrizzazioni. In eetti non `e dicile dimostrare che le-
lemento di volume (16.74) `e invariante sotto unarbitraria riparametrizzazione,

().
Usando le trasformazioni (16.53) si trova, infatti,
g

ab
= U

a
U

= J
a
c
U

c
J
b
d
U

= J
a
c
J
b
d
g
cd
.
Indicando la matrice associata a g
ab
con G, in notazione matriciale questa relazione si
scrive,
G

= J G J
T
,
e prendendo il determinante di ambo i membri si ottiene,
g

= (detJ) g (detJ
T
) = (detJ)
2
g
_
g

= detJ

g.
Considerando la trasformazione della misura in (16.53), d
d

= (detJ)
1
d
d
, si ottiene
pertanto,
_
g

d
d

=

g d
d
,
come volevamo dimostrare.
Lequazione del moto per la pbrana libera. In uno spaziotempo con metrica di Min-
kowski, la positivit`a del radicando richiede di denire lelemento di volume come,
dV =

g d
d
, g = ()
d+1
det g
ab
, (16.76)
ed esso risulta ancora invariante per trasformazioni di Lorentz e sotto riparametrizzazioni.
Indicando con m la massa per unit`a di volume della brana, poniamo allora per lazione
della brana libera,
I
3
[y] = m
_
dV = m
_

g d
d
,
che generalizza lazione m
_
ds della particella, e si riduce ad essa per d = 1.
443
Per derivare lequazione del moto associata ad I
3
dobbiamo valutare la risposta di
I
3
ad unarbitraria variazione y

() delle coordinate, purche nulla al bordo del volume


di integrazione. Per fare questo dobbiamo prima determinare la variazione del determi-
nante di una generica matrice M, sotto unarbitraria variazione innitesima M dei suoi
elementi,
detM = det(M + M) detM = det
_
M
_
1 + M
1
M
_
detM
= detM det
_
1 + M
1
M
_
detM = detM
_
1 + tr
_
M
1
M
__
detM
= detM tr
_
M
1
M
_
.
Ponendo M
ab
= g
ab
, e ricordando la denizione della metrica indotta (16.72) e della sua
inversa (16.73), otteniamo allora,

g =
1
2

g
g =
()
d+1
2

g
det g
ab
=
()
d+1
2

g
det g
ab
_
g
cd
g
cd
_
=
1
2

g g
cd
g
cd
=
1
2

g g
cd
(U

c
U

) =

g g
cd
U

c
U
d
=

g g
cd
y

c
y

d
.
Ne segue,
I
3
= m
_

g d
d
= m
_

g g
ab
y

a
y

b
d
d

= m
_ _

b
_

g g
ab
y

a
y

b
_

g g
ab
y

a
_
y

_
d
d

= m
_

b
_

g g
ab
y

a
_
y

d
d
. (16.77)
Il primo termine nella seconda riga, che `e una ddivergenza, si annulla perche al bordo
del volume di integrazione le y

() sono zero. Richiedendo che I


3
sia zero per variazioni
y

arbitrarie, otteniamo, in denitiva, lequazione del moto della brana libera,


m

b
_

g g
ab
y

a
_
= 0. (16.78)
Questa equazione `e automaticamente invariante sotto riparametrizzazioni dato che lo `e
lazione da cui discende al contrario della (16.70).
16.3.3 Azione completa ed equazione di Lorentz
Lazione completa per lElettrodinamica di una singola brana si scrive, in completa
analogia con il caso della particella, come,
I[A, y] = ()
d
_ _
1
2 (d + 1)
F

d+1
F

d+1
+ A

d
j

d
_
d
D
x m
_

g d
d

444
= I
1
+ I
2
+ I
3
. (16.79)
Questa azione `e invariante per trasformazioni di Lorentz in D dimensioni, per trasfor-
mazioni di gauge, e sotto riparametrizzazioni del volume di universo esattamente come
lazione (4.6) per lElettrodinamica di particelle puntiformi. Come abbiamo visto, richie-
dendo che essa sia stazionaria per variazioni arbitrarie di A
d
, si ottiene lequazione di
Maxwell (16.63). Richiedendo, invece, stazionariet`a sotto variazioni arbitrarie delle y

()
si ottiene lequazione del moto della brana, ovvero, lequazione di Lorentz,
m

b
_

g g
ab
y

a
_
= ()
d+1
e
d!
F

d
U

1
a
1
U

d
a
d

a
1
a
d
(16.80)
= ()
d+1
e F

d
U

1
0
U

d
p
.
la dimostrazione essendo lasciata per esercizio, vedi problema 16.3. Si noti che la comparsa
in questa equazione del campo elettromagnetico gaugeinvariante F
d+1
al posto di A
d

`e conseguenza dellinvarianza di gauge dellazione I[A, y].
Riepilogo. Concludiamo questa breve introduzione alla teoria delle brane classiche,
presentando il sistema delle equazioni fondamentali che governano lElettrodinamica di
una pbrana, e che generalizzano le (2.12)(2.14).
1) Equazione di Lorentz:
m

b
_

g g
ab
y

a
_
= ()
d+1
e
d!
F

d
U

1
a
1
U

d
a
d

a
1
a
d
. (16.81)
2) Identit`a di Bianchi:

[
1
F

d+2
]
= 0. (16.82)
3) Equazione di Maxwell:

d
= j

d
. (16.83)
La corrente, i vettori tangenti e la metrica indotta sono dati da,
j

d
(x) =
e
d !
_
U

1
a
1
U

d
a
d

a
1
a
d

D
(x y()) d
d
, U

a
=
y

a
, g
ab
U

a
U

.
La generalizzazione di questo schema a un sistema di un numero arbitrario di pbrane `e
immediata.
445
Le pbrane nella teoria delle Superstringhe. Mentre, come menzionato precedentemen-
te, le pbrane non hanno ancora trovato uninterpretazione sica nella realt`a quadridi-
mensionale, esse costituiscono le eccitazioni elementari della teoria delle Superstringhe,
che vive in dieci dimensioni. In questo caso abbiamo quindi D = 10, e si `e trovato che
risultano eettivamente realizzate tutte le pbrane, con p = 0, 1, , 9. Si `e inoltre trovato
che nellambito di questa teoria la dinamica delle pbrane `e descritta proprio dal sistema
di equazioni appena riportato, ovvero, equivalentemente, dallazione (16.79). In partico-
lare, la teoria delle Superstringhe prevede proprio che per ogni pbrana, con 0 p 9,
esiste un potenziale tensore completamente antisimmetrico A
d
di grado d = p + 1, a cui
la brana si accoppia secondo lequazione di Maxwell (16.83).
Daltra parte noi siamo riusciti a costruire la dinamica delle pbrane descritta dalle
equazioni (16.81)(16.83) in modo indipendente, usando invece principi molto generali
come linvarianza di Lorentz, linvarianza di gauge, linvarianza per riparametrizzazione,
la conservazione della corrente, e lesistenza di unazione. Questultima circostanza ga-
rantisce come sappiamo la conservazione dellenergia, della quantit`a di moto e del
momento angolare. La teoria delle Superstringhe conferma quindi, in particolare, che
questi principi hanno una validit`a molto generale che va ben oltre lElettrodinamica
delle particelle cariche in quattro dimensioni!
16.4 Problemi
16.1 Si dimostri la regola di Leibnitz graduata per le forme dierenziali (16.17).
16.2 Si dimostri che le (16.60), (16.61) sono equivalenti alle (16.62), (16.63). [Sugg.: pu`o
essere utile eseguire il duale di Hodge della (16.61), per scriverla nella forma equivalente
d F
d+1
= ()
d D
j
d
, e seguire poi il procedimento che ha portato alla (16.29).]
16.3 Si derivi lequazione di Lorentz (16.80) a partire dallazione (16.79). [Sugg.: sotto
variazioni delle coordinate I
1
non varia, mentre la variazione di I
3
`e stata calcolata in
(16.77). La variazione di I
2
si calcola invece agevolmente, notando che questo contributo
446
si pu`o riscrivere come, vedi (16.51),
I
2
= ()
d
_
d
D
xA

d
(x) j

d
(x)
= ()
d
e
d !
_
d
D
x
_
d
d
A

d
(x) U

1
a
1
U

d
a
d

a
1
a
d

D
(x y())
= ()
d
e
d !
_
d
d
A

d
(y()) U

1
a
1
U

d
a
d

a
1
a
d
. (16.84)
Calcolando I
2
occorre variare sia le coordinate y

che compaiono in A

d
(y()), che
quelle contenute nei vettori tangenti U

a
= y

/
a
.]
447
17 Monopoli magnetici
Nelle equazioni dellElettrodinamica i campi elettrico e magnetico giocano sotto certi
aspetti ruoli molto simili, ma sotto altri hanno funzioni completamente diverse. In assenza
di sorgenti le similitudini tra questi campi sono evidenti, se si considerano le equazioni di
Maxwell in notazione tridimensionale, vedi (2.31)(2.34): in questo caso le equazioni per

E e

B sono, difatti, identiche, a parte un segno. Daltro canto, nellequazione di Lorentz,
d p
dt
= e
_

E +
v
c


B
_
,
questi campi giocano ruoli molto diversi. Il campo magnetico `e, in particolare, soppresso
di un fattore v/c rispetto al campo elettrico. Ma la dierenza pi` u signicativa tra questi
campi emerge in presenza di sorgenti non nulle. Infatti, dovendo valere,


E = j
0
,


B = 0,
una carica statica genera un campo elettrico, ma nessun campo magnetico. In altre parole,
lElettrodinamica usuale non prevede cariche magnetiche, ma solo cariche elettriche.
In questo capitolo esploreremo la possibilit`a di introdurre in Elettrodinamica particel-
le dotate di carica magnetica, i cosiddetti monopoli magnetici, oppure, pi` u in generale,
particelle dotate sia di carica elettrica che di carica magnetica, i cosiddetti dioni. A priori
questa impresa sembra avere poche possibilit`a di successo, perche la struttura interna di
questa teoria appare molto rigida, essendo sorretta da diversi requisiti di consistenza che
sono in delicato equilibrio tra di loro, come linvarianza relativistica, la conservazione della
carica elettrica, e la conservazione del quadrimomento e del momento angolare. Sappiamo
poi che queste propriet`a sono intimamente legate tra di loro. Qualsiasi modica ad hoc
delle equazioni di Maxwell e dellequazione di Lorentz rischia, quindi, di compromettere
la consistenza interna della teoria. Alla luce di questo fatto il risultato principale del pre-
sente capitolo, cio`e, che lElettrodinamica classica resta perfettamente consistente anche
in presenza di monopoli magnetici, deve essere considerato un risultato altamente non ba-
nale. Lipotesi dellesistenza dei monopoli magnetici fu, in eetti, presa in considerazione
448
gi`a allinizio del secolo scorso da Poincare e Thomson
61
, e riesaminata a livello quantistico
da Dirac
62
, pochissimi anni dopo lavvento della Meccanica Quantistica.
Una volta accertato che i monopoli magnetici sono compatibili con la struttura gene-
rale dellElettrodinamica, lipotesi di questo nuovo tipo di particelle assume una rilevanza
concreta anche da un punto di vista sperimentale. Il dato sperimentale in questione `e la
quantizzazione della carica elettrica, cio`e, il fatto che tutte le cariche elettriche presenti
in natura sono multipli interi di una carica fondamentale fenomeno che tuttora atten-
de una spiegazione teorica. Ebbene, come dimostrato da Dirac nel suo lavoro del 1931,
se in natura esiste anche un solo monopolo magnetico, allora la richiesta di consisten-
za interna dellElettrodinamica quantistica, comporta necessariamente la quantizzazione
della carica elettrica. Presenteremo una deduzione semiclassica di questa condizione di
quantizzazione di Dirac in sezione 17.4.
17.1 La dualit`a elettromagnetica
Riprendiamo le equazioni di Maxwell nel vuoto,

E
t
+


B = 0, (17.1)


E = 0, (17.2)

B
t
+


E = 0, (17.3)


B = 0. (17.4)
Come si vede, questo insieme di equazioni resta invariato se si eseguono le sostituzioni,

E

B,

B

E. (17.5)
Queste trasformazioni realizzano quindi una simmetria discreta delle equazioni di Ma-
xwell, che viene chiamata dualit`a elettromagnetica, o semplicemente dualit`a. In
presenza di cariche elettriche questa simmetria `e evidentemente violata per via della
presenza di sorgenti solo nella coppia di equazioni (17.1), (17.2).
61
H. Poincare, Compt. Rendus 123 (1896) 530; J.J. Thomson, Electricity and Matter, Scribners, New
York, 1904, p. 26.
62
P.A.M. Dirac, Proc. Roy. Soc. (London), A133, 60 (1931).
449
Per dare valenza relativistica alla dualit`a elettromagnetica introduciamo il duale
elettromagnetico del tensore di Maxwell,

F

, tensore antisimmetrico di rango due


anchesso,

1
2

. (17.6)
Eseguendo loperazione di dualit` a due volte, e ricordando lidentit`a,

= 4

]
,
si ottiene,

=
1
2

= F

. (17.7)
In termini del tensore di Maxwell duale, le trasformazioni di dualit` a (17.5) corrispondono
semplicemente alle sostituzioni,
F

,

F

. (17.8)
Per convincersene `e suciente determinare i campi elettrico e magnetico duali. Appli-
cando la denzione (17.6) si trova,

E
i


F
i 0
=
1
2

i0jk
F
jk
=
1
2

ijk
F
jk
= B
i
, (17.9)

B
i

1
2

ijk

F
jk
=
1
2

ijk

jkl0
F
l0
=
1
2

ijk

ljk
E
l
= E
i
, (17.10)
in accordo con (17.5). Daltra parte, la trasformazione di

F

in (17.8) discende da quella


di F

, grazie alla (17.7).


La dualit`a nel linguaggio delle forme dierenziali. La dualit`a elettromagnetica ammet-
te uninterpretazione geometrica molto semplice, se la si traduce nel linguaggio delle
forme dierenziali, introdotto nel capitolo 16. Nel paragrafo 16.1.1 avevamo, infatti, de-
nito la dueforme F, insieme al suo duale di Hodge F vedi (16.7) anchesso una
dueforma,
F =
1
2
dx

dx

, F =
1
2
dx

dx

, (17.11)
dove

F

`e dato proprio dalla (17.6). Le trasformazioni (17.8) si traducono allora sempli-


cemente in,
F F, F F.
450
Vediamo quindi che, nellambito dellElettrodinamica, la dualit`a di Hodge si identica con
la dualit`a elettromagnetica. In questo ambito il segno nella seconda trasformazione
di (17.8), ovvero, nella trasformazione F F, `e conseguenza dellidentit` a (16.10), che
per p = 2 e D = 4 d` a,

2
= 1. (17.12)
Infatti, per consistenza algebrica questa trasformazione deve coincidere con il duale di
Hodge della trasformazione F F, cio`e, con F
2
F = F.
Inne, `e immediato vericare che, in presenza di sorgenti elettriche, le due coppie di
equazioni di Maxwell, precedentemente chiamate equazione di Maxwell e identit` a di
Bianchi, si possono scrivere nella forma equivalente,

= j

e
, (17.13)

= 0, (17.14)
dove abbiamo introdotto il pedice e per indicare che si tratta della quadricorrente
elettrica. Risulta allora chiaro che, se si vogliono mantenere le equazioni di Maxwell inva-
rianti sotto le trasformazioni di dualit` a (17.8) in presenza di sorgenti, allora `e necessario
introdurre anche delle sorgenti magnetiche al membro di destra dellidentit`a di Bianchi
(17.14).
Assenza di unazione. Lintroduzione di una quadricorrente magnetica nellidentit` a di
Bianchi comporta a priori vari aspetti problematici riguardo alla consistenza interna della
teoria. Esponiamo qu` di seguito laspetto che risulta il pi` u problematico di tutti. Sup-
poniamo pure di introdurre una quadricorrente magnetica nella (17.14), e di preservare
in questo modo linvarianza di Poincare delle equazioni del moto. Sussistendo tale in-
varianza sappiamo che `e garantita la conservazione del quadrimomento e del momento
angolare totali, se esiste unazione invariante sotto trasformazioni di Poincare, dalla quale
queste equazioni possano essere dedotte. Daltra parte abbiamo visto che, per poter scri-
vere unazione `e necessaria lintroduzione di un potenziale vettore A

. Ora, in assenza di
correnti magnetiche la stessa identit` a di Bianchi (17.14) `e equivalente allesistenza di un
potenziale vettore, ma in presenza di tali correnti questa identit` a `e violata, e non esiste
nessun modo naturale per introdurre un A

. In eetti si pu`o far vedere che in presenza


451
di correnti magnetiche non esiste nessuna azione canonica
63
. Le leggi di conservazione
del quadrimomento e del momento angolare non sono quindi pi` u garantite a priori.
Nonostante ci`o, come faremo vedere nella prossima sezione, esiste un modo consistente
per modicare le equazioni di Maxwell e di Lorentz in presenza di monopoli magnetici,
che preserva linvarianza di Poincare, e rispetta tutte le leggi di conservazione dellElet-
trodinamica con sole cariche un risultato altamente non banale alla luce del fatto che
non esiste nessuna azione canonica.
17.2 LElettrodinamica dei dioni
In questa sezione deriveremo un sistema di equazioni fondamentali per lElettrodinamica
di un insieme di particelle che posseggono sia carica elettrica che carica magnetica. Questo
nuovo sistema sostituir` a e generalizzer`a, dunque, le equazioni fondamentali (2.12)(2.14),
valide per un insieme di particelle con sole cariche elettriche. Nel paragrafo che segue
presentermo le modiche che occorre apportare alle equazioni di Maxwell per tenere conto
delle cariche magnetiche. Nel paragrafo 17.2.2 deriveremo, invece, le equazioni di Lorentz
generalizzate, imponendo che il quadrimomento totale continui a essere una quantit`a
conservata nonostante le modiche apportate alle equazioni di Maxwell.
17.2.1 Equazioni di Maxwell generalizzate
Consideriamo un sistema di N particelle puntiformi con masse m
r
e linee di universo
y

r
(s
r
), r = 1, , N, dotate oltre che di carica elettrica e
r
di carica magnetica g
r
. Se
per una particella si ha e
r
= 0, g
r
= 0 essa viene chiamata dione, se e
r
= 0, g
r
= 0 la si
chiama carica (elettrica), e se e
r
= 0, g
r
= 0 essa viene chiamata monopolo (magnetico).
A questo sistema di particelle possiamo associare le quadricorrenti elettriche e magnetiche,
j

e
=

r
e
r
_
u

r

4
(x y
r
) ds
r
, (17.15)
63
Per scrivere unazione si deve rinunciare ad almeno una delle propriet`a base che si richiedono di
solito a unazione, per esempio, la localit`a, oppure linvarianza di Lorentz manifesta. Ciononostante le
equazioni del moto che si ottengono da queste azioni sono locali e Lorentzinvarianti. Tuttavia, lassenza
di unazione manifestamente Lorentzinvariante crea gravi problemi, qualora si cerchi di quantizzare la
teoria. Questa dicolt`a ha ritardato di molto la dimostrazione della piena consistenza quantistica della
teoria dei monopoli magnetici, avvenuta solo nel 1979.
452
j

m
=

r
g
r
_
u

r

4
(x y
r
) ds
r
. (17.16)
Allo stesso modo in cui si `e dimostrato che la corrente elettrica `e conservata, si dimostra
che `e conservata anche quella magnetica. Abbiamo quindi,

e
= 0,

m
= 0, (17.17)
qualsiasi siano le cariche e
r
e g
r
. In particolare, la carica magnetica totale G =
_
j
0
m
d
3
x
risulta conservata.
Proponiamo allora le seguenti equazioni di Maxwell generalizzate,

= j

e
, (17.18)

= j

m
. (17.19)
Notiamo innanzitutto che queste equazioni sono consistenti con la conservazione delle
correnti (17.17), in quanto sia F

che

F

sono tensori antisimmetrici. Lasciamo poi


come esercizio la verica che, anche in presenza di dioni, lidentit`a di Bianchi modicata
(17.19) pu`o essere scritta in tre modi equivalenti, si veda (2.27)(2.29),

= j

m
. (17.20)

m
(17.21)

[
F
]
=
1
3

m
. (17.22)
Le equazioni di Maxwell generalizzate nel linguaggio delle forme dierenziali. Per cer-
ti aspetti la consistenza e le simmetrie delle equazioni di Maxwell generalizzate risultano
pi` u trasparenti, se le si riscrivono nel linguaggio delle forme dierenziali. Manteniamo
la denizione delle dueforme F e F ricordate in (17.11), e deniamo le unoforme di
corrente,
j
e
= dx

j
e
, j
m
= dx

j
m
.
Data la (17.22) `e allora immediato riconoscere che le (17.18), (17.19) si scrivono sempli-
cemente,
d F = j
e
, (17.23)
dF = j
m
, (17.24)
453
in generalizzazione delle (16.23), (16.22). Daltra parte, le equazioni di continuit` a (17.17)
per le correnti, si tramutano nelle identit`a dj
e
= 0 = dj
m
. Queste identit` a garantiscono,
a loro volta, la consistenza geometrica delle equazioni (17.23), (17.24), in quanto queste
ultime eguagliano allora forme chiuse a forme chiuse.
Cariche elettriche e cariche magnetiche possono essere identicate? Aggiungiamo un
commento sulla possibilit`a di identicare le cariche elettriche con le cariche magnetiche.
Dalla struttura delle equazioni di Maxwell generalizzate si vede che cariche elettriche e
cariche magnetiche hanno la stessa unit`a di misura, cos` come risultano tensori antisim-
metrici, della stessa unit`a di misura, sia F che F. Unidenticazione sistematica delle
correnti, e quindi delle cariche, avviene se si impone, in alternativa, uno dei due vincoli,
F = F. (17.25)
Attraverso le (17.23), (17.24) questi vincoli comporterebbero, infatti, lidenticazione j

e
=
j

m
. Tuttavia, applicando alle (17.25) il duale di Hodge, risulta,

2
F = F = F,
mentre nello spazio delle dueforme vale identicamente
2
= 1, vedi (17.12). Pertanto
il vincolo (17.25) impone F = 0. Alla stessa conclusione si arriva, ovviamente, se si
riscrivono le (17.25) in notazione tridimensionale. Scegliendo, per esempio, il segno +,
e usando le (17.9), (17.10), il vincolo F = F si traduce in,

B =

E,

E =

B,
che impone di nuovo

E = 0 =

B. Concludiamo, quindi, che in quattro dimensioni non
sussiste la possibilit`a di identicare le cariche elettriche con le cariche magnetiche, causa
lidentit` a
2
= 1.
Brane elettriche e brane magnetiche possono essere identicate?. Per confronto ana-
lizziamo brevemente il problema appena discusso, in uno spaziotempo di dimensione pari
generica, D = 2n. In un tale spaziotempo si incontra il primo ostacolo che il duale di una
particella carica non `e una particella magnetica, ma una (D 4)brana magnetica,
vedi sezione 16.2, il motivo essendo essenzialmente che in uno spaziotempo di dimensione
454
D, il duale di Hodge F della 2forma F non `e una 2forma, ma una (D 2)forma.
In particolare, lequazione (17.23) sarebbe ancora consistente, mentre lequazione (17.24),
uguagliando una 3forma a una (D1)forma, sarebbe inconsistente. Per poter imporre
un vincolo del tipo (17.25) in 2n dimensioni, `e necessario che F sia una nforma, in quan-
to allora anche F risulta essere una nforma. Daltra parte, come visto nel paragrafo
16.2.4, un campo elettromagnetico che sia una nforma pu`o essere generato solo da una
(n 2)brana. Detto in altri termini, mentre in quattro dimensioni il duale di una parti-
cella `e una particella, in 2n dimensioni `e il duale di una (n2)brana ad essere di nuovo
una (n2)brana. Come in quattro dimensioni, in 2n dimensioni sussista allora a priori
la possibilit`a di identicare le (n2)brane elettriche con le (n2)brane magnetiche.
Brane di questo tipo vengono anche chiamate brane (anti)autoduali. Lidenticazione
tra i due tipi di brana richiede ancora limposizione del vincolo F = F, e dallanalisi
di consistenza svolta dopo la (17.25) risulta evidente che per lesistenza di brane (an-
ti)autoduali occorre che il quadrato delloperatore di Hodge nello spazio delle nforme
in 2n dimensioni, sia uguale a +1. Daltra parte questo quadrato `e stato determinato in
(16.14),

2
= ()
n+1
.
Concludiamo che per n dispari, ovvero, in spazitempo di dimensione D = 2, 6, 10, ,
sussiste eettivamente la possibilit`a di identicare le cariche elettriche con le cariche
magnetiche, e in questi spazi esistono, dunque, brane (anti)autoduali.
Invarianza sotto dualit`a delle equazioni di Maxwell generalizzate. Possiamo ora ripri-
stinare linvarianza per dualit` a delle (17.18), (17.19), accompagnando le trasformazioni
dei campi (17.8) equivalenti alle (17.5) con le trasformazioni delle correnti,
j

e
j

m
, j

m
j

e
. (17.26)
Corrispondentemente le cariche si trasformano allora secondo,
e
r
g
r
, g
r
e
r
. (17.27)
Nel linguaggio delle forme dierenziali le trasformazioni di dualit` a diventano, invece,
F F, F F, j
e
j
m
, j
m
j
e
. (17.28)
455
In ultima analisi la forma dellequazione (17.24) `e dettata dallinvarianza per dualit` a.
Infatti, essa pu`o essere ottenuta dalla (17.23), eettuando in questultima le trasformazioni
(17.28).
Per gli sviluppi futuri `e anche utile scrivere le equazioni di Maxwell generalizzate
(17.18), (17.19) in notazione tridimensionale,


E = j
0
e
, (17.29)

E
t
=

j
e
, (17.30)


B = j
0
m
, (17.31)

B
t
=

j
m
. (17.32)
Si noti che anche in questa forma la simmetria di dualit` a `e manifesta. Come si vede,
il campo magnetico `e ora generato non solo da cariche elettriche in moto, ma anche da
monopoli magnetici statici, cos` come il campo elettrico `e ora generato non solo da cariche
elettriche statiche, ma anche da monopoli magnetici in moto.
Dualit`a SO(2) e dualit`a Z
4
. Ci si rende facilmente conto che linsieme delle trasfor-
mazioni che lasciano le equazioni (17.29)(17.32) invarianti `e, in realt`a, pi` u ampio della
semplice mappa discreta (17.5), (17.26). Si verica, infatti, immediatamente che queste
equazioni sono invarianti sotto lintera famiglia a un parametro di trasformazioni, con
[0, 2],

= cos

E + sen

B, (17.33)

= sen

E + cos

B, (17.34)
j

e
= cosj

e
+ senj

m
, (17.35)
j

m
= senj

e
+ cosj

m
, (17.36)
nel senso che, se esse sono sodisfatte dalla congurazione

E,

B, j

e
, j

m
, allora sono soddi-
sfatte anche dalla congurazione

E

,

B

, j

e
, j

m
. In realt`a, anche alle leggi di trasforma-
zione di

E e

B si pu`o conferire una valenza relativistica, osservando che le (17.33), (17.34)
si possono riscrivere come,
F

= cosF

+ sen

F

, (17.37)

F

= senF

+ cos

F

. (17.38)
456
Si noti la compatibilit`a tra queste due leggi di trasformazione, in quanto il duale della
(17.37) corrisponde proprio alla (17.38), vedi (17.6) e (17.7).
Linvarianza sotto queste trasformazioni delle equazioni di Maxwell generalizzate di-
venta manifesta, se si adotta una notazione vettoriale bidimensionale, introducendo i
vettori,
F

=
_
F

_
, J

=
_
j

e
j

m
_
, Q
r
=
_
e
r
g
r
_
.
In questa notazione le equazioni (17.18), (17.19) si scrivono, infatti, semplicemente,

= J

. (17.39)
Denendo la matrice 2 2,
R() =
_
cos
sen
sen
cos
_
,
le trasformazioni di dualit` a (17.35)(17.38) si scrivono allora,
F

= R() F

, J

= R() J

, Q

r
= R() Q
r
, (17.40)
e linvarianza delle (17.39) sotto queste trasformazioni `e ora manifesta.
Come si vede, la matrice R() corrisponde a una rotazione bidimensionale di un angolo
. Linsieme di queste matrici al variare di forma un gruppo continuo che viene
chiamato SO(2). Concludiamo, quindi, che le equazione di Maxwell in presenza di dioni
sono invarianti sotto il gruppo di dualit`a continuo SO(2).
Da questo punto di vista, la dualit` a elettromagnetica originale, (17.8) e (17.26), `e
rappresentata da un elemento particolare di SO(2), corrispondente allangolo =

2
,
R
_

2
_
=
_
0
1
1
0
_
. (17.41)
Dato che R(

2
)R(

2
) = 1, questo elemento genera un sottogruppo discreto di SO(2),
formato dai quattro elementi {1, 1, R(

2
), R(

2
)}, che viene chiamato Z
4
. La dualit`a
elettromagnetica originale corrisponde, quindi, al gruppo di dualit`a discreto Z
4
.
In conclusione, a livello classico le equazioni di Maxwell in presenza di dioni sono
invarianti sotto il gruppo di dualit` a SO(2), che generalizza il sottogruppo di invarianza
originale Z
4
. Si pu`o, tuttavia, vedere che in teoria quantistica relativistica di campo
457
la dinamica dei dioni pu`o essere formulata in due modi inequivalenti, a seconda che si
intenda realizzare il gruppo di dualit` a SO(2), o solo il suo sottogruppo Z
4
. Si pu`o,
inoltre, vedere che le due teorie non possono essere considerate una un caso particolare
dellaltra. Torneremo su questo punto nel paragrafo 17.4.2.
17.2.2 Leggi di conservazione ed equazione di Lorentz generalizzata
La consistenza delle equazioni di Maxwell generalizzate (17.18), (17.19), dipende in modo
cruciale dallesistenza di un tensore energiaimpulso, che soddis lequazione di continuit`a

= 0. Manteniamo la forma sia del contributo del campo elettromagnetico che di


quello delle particelle,
T

em
= F

+
1
4

, T

p
=

r
m
r
_
u

r
u

r

4
(x y
r
) ds
r
, (17.42)
e poniamo di nuovo T

= T

em
+ T

p
. Questa scelta `e motivata, in particolare, dal
fatto che entrambi i contributi sono invarianti per la dualit` a SO(2), vedi (17.33), (17.34).
Per quanto riguarda T

p
questo `e ovvio, mentre per quanto riguarda T

em
la verica `e
immediata, si vedano ad esempio le (2.85)(2.87).
Valutiamo ora separatamente la divergenza delluno e dellaltro. Cominciamo con il
contributo elettromagnetico
64
,

em
= j

e
F

+ F

+
1
2
F

= F

j
e
+
1
2
F

_
= F

j
e

1
2
F

j
m
= F

j
e

j
m
=

r
_
_
e
r
F

+ g
r

F

_
u
r

4
(x y
r
) ds
r
.
Nel primo passaggio al posto di

abbiamo sostituito j

e
, usando la (17.18). Il secondo
passaggio contiene rimaneggiamenti elementari degli indici. Nel terzo abbiamo usato
lidentit` a di Bianchi modicata, nella forma (17.21). Nel quarto abbiamo applicato la
denizione di

F

, e nellultimo la denizione delle correnti (17.15), (17.16).


64
Per semplicit`a trascuriamo qu` il problema delle divergenze dovute allautointerazione, risolubile
comunque con le tecniche sviluppate nel capitolo 15.
458
La divergenza del tensore energiaimpulso delle particelle `e stata calcolata in (2.82),

p
=

r
_
dp

r
ds
r

4
(x y
r
) ds
r
.
Sommando i due contributi si ottiene allora,

r
_ _
dp

r
ds
r

_
e
r
F

+ g
r

F

_
u
r
_

4
(x y
r
) ds
r
.
Vediamo, quindi, che se vogliamo mantenere il tensore energiaimpulso totale conservato,
allora dobbiamo necessariamente modicare anche lequazione di Lorentz, sostituendola
con lequazione generalizzata,
dp

r
ds
r
=
_
e
r
F

+ g
r

F

_
u
r
. (17.43)
Si verica immediatamente che questa formula `e invariante sotto la dualit` a SO(2), vedi
(17.40), in quanto si pu`o scrivere,
e
r
F

+ g
r

F

= Q
r
F

,
che `e un prodotto scalare invariante sotto SO(2). Usando le (17.9), (17.10) `e, inoltre,
immediato scrivere la (17.43) in notazione tridimensionale. Ripristinando la velocit`a della
luce si ottiene,
d
r
dt
= v
r

_
e
r

E + g
r

B
_
, (17.44)
d p
r
dt
= e
r
_

E +
v
r
c


B
_
+ g
r
_

B
v
r
c


E
_
. (17.45)
Un dione una particella dotata oltre che di carica elettrica e
r
anche di carica magnetica
g
r
`e quindi soggetta alla forza di Lorentz aggiuntiva g
r
_

B
v
r
c


E
_
. Dalle equazioni
(17.29)(17.32) e (17.45) si vede in particolare che, grazie alla dualit` a Z
4
, la dinamica
di un sistema di soli monopoli `e totalmente identica alla dinamica di un sistema di sole
cariche, cio`e, allElettrodinamica usuale.
Essendo il tensore energiaimpulso totale conservato e simmetrico, sappiamo che si
conserva automaticamente anche la corrente di densit`a di momento angolare,
M

= x

= 0. (17.46)
459
Inoltre, dato che il tensoreenergia impulso ha mantenuto la stessa forma, anche lespres-
sione del momento angolare conservato L

=
_
d
3
x M
0
in termini di

E e

B rimane
immutata. Ricordiamo in particolare lespressione per il momento angolare spaziale totale
L
i
=
1
2

ijk
L
jk
, vedi (2.98),

L =

r
(y
r
p
r
) +
1
c
_
x (

E

B) d
3
x

L
p
+

L
em
. (17.47)
Si noti che per un sistema statico di sole cariche, o soli monopoli, si ha

L
em
= 0, in
quanto nel primo caso si annulla

B, mentre nel secondo si annulla

E. Nella prossima
sezione vedremo che per un sistema statico costituito da cariche e monopoli, avremo
invece

L
em
= 0.
Autointerazione ed equazione di LorentzDirac. Come nel caso di sole cariche, il mem-
bro di destra della (17.43) `e divergente, perche coinvolge il campo creato dal dione r-
esimo. E come in quel caso questa divergenza pu`o riassorbita attraverso una rinormaliz-
zazione della massa, che d`a luogo a una forza di autointerazione nita. Lequazione di
LorentzDirac risultante `e ssata essenzialmente dallinvarianza sotto la dualit`a SO(2), e
si legge,
dp

r
ds
r
=
e
2
r
+ g
2
r
6
_
dw

r
ds
r
+ w
2
r
u

r
_
+
_
e
r
F

r
+ g
r

F

r
_
u
r
, (17.48)
dove F

r
`e il campo esterno totale agente sulla particella resima. Si noti che la
combinazione e
2
r
+ g
2
r
= Q
r
Q
r
`e invariante per dualit` a SO(2), vedi (17.40), mentre i
termini proporzionali al prodotto e
r
g
r
pure presenti a priori sono proibiti dal fatto
che questo prodotto non `e invariante per SO(2).
Anche nel caso dei dioni si pu`o dimostrare che, in ultima analisi, lequazione (17.48)
viene imposta dalla conservazione del tensore energiaimpulso totale rinormalizzato del
sistema campo + dioni
65
.
17.3 Il problema a due dioni
Dalla trattazione svolta nora risulta chiaro che aspetti fenomenologici nuovi possono
emergere solo se consideriamo un sistema in cui compaiono sia cariche che monopoli. La
65
K. Lechner, Radiation reaction and fourmomentum conservation for pointlike dyons, J. Phys. A:
Math. Gen. 39 (2006) 1164711655, (hepth/0606097).
460
situazione pi` u semplice corrisponde a una carica in compresenza con un monopolo, oppu-
re, pi` u in generale, un sistema formato da due dioni. In unespansione non relativistica
leetto principale nuovo nellinterazione tra due dioni, rispetto a quella tra due cari-
che, `e costituito dalla comparsa di termini di ordine 1/c nelle forze di mutua interazione.
Ricordiamo, infatti, che nelle (14.74), (14.75), che rappresentano le forze di mutua inte-
razione tra due cariche, oltre al termine coulombiano compaiono correzioni relativistiche
che cominciano con lordine 1/c
2
, mentre dalla (17.45) si vede che nelle forze di mutua
interazione tra dioni compaiono anche correzioni di ordine 1/c. Questo `e dovuto al fatto
che, in presenza di dioni il campo magnetico ha anche contributi coulombiani di ordine
zero in 1/c, e che il campo elettrico ha anche contributi del primo ordine 1/c in contrasto
con le (7.62), (7.63). In seguito studieremo in dettaglio gli eetti di questi nuovi termini
sulla dinamica di un sistema isolato di due dioni, ed eettueremo dunque tutta la nostra
analisi arrestandoci al primo ordine in 1/c.
17.3.1 Moto relativo e forza dionica
Per iniziare scriviamo, arrestandoci allordine 1/c, i campi elettrico e magnetico generati
da un dione con cariche (e, g). Questi campi si ottengono facilmente usando 1) le espan-
sioni (7.62), (7.63), 2) le regole della dualit` a Z
4
della sezione precedente e, 3) la linearit` a
delle equazioni di Maxwell generalizzate (17.18), (17.19). Risulta,

E =
e
4

R
R
3

g
4

V
c

R
R
3
(17.49)

B =
g
4

R
R
3
+
e
4

V
c

R
R
3
, (17.50)
dove

R = x y(t), y(t) `e la legge oraria del dione, e

V

V (t) `e la sua velocit`a.
Consideriamo ora due dioni, uno con cariche (e
1
, g
1
) e massa m
1
, e laltro con cariche
(e
2
, g
2
) e massa m
2
, e indichiamo le loro posizioni, velocit`a e accelerazioni come di consueto
con y
i
, v
i
, e a
i
, per i = 1, 2. Con laiuto delle (17.49), (17.50) `e allora immediato scrivere
i campi totali prodotti dai due dioni,

E =

E
1
+

E
2
=
_
e
1
4
r
1
r
3
1

g
1
4
v
1
c

r
1
r
3
1
_
+
_
e
2
4
r
2
r
3
2

g
2
4
v
2
c

r
2
r
3
2
_
, (17.51)

B =

B
1
+

B
2
=
_
g
1
4
r
1
r
3
1
+
e
1
4
v
1
c

r
1
r
3
1
_
+
_
g
2
4
r
2
r
3
2
+
e
2
4
v
2
c

r
2
r
3
2
_
, (17.52)
461
dove abbiamo posto,
r
i
= x y
i
, (i = 1, 2).
Vogliamo ora esplicitare le equazioni del moto (17.45) per le due particelle. Per scrivere
lequazione della particella 2, nella (17.45) dobbiamo porre

E =

E
1
,

B =

B
1
, e valutare
questi campi in x = y
2
, mentri i campi di autointerazione

E
2
e

B
2
formalmente inniti
danno luogo a contributi di ordine 1/c
3
, vedi (17.48), e vanno quindi omessi. Introducendo
la coordinata relativa,
r y
2
y
1
,
e ricordando che al primo ordine in 1/c si ha p
i
= mv
i
, la (17.45) per la particella 2 si
scrive allora,
m
2
a
2
= e
2
_

E
1
(y
2
) +
v
2
c


B
1
(y
2
)
_
+ g
2
_

B
1
(y
2
)
v
2
c


E
1
(y
2
)
_
= e
2
__
e
1
4
r
r
3

g
1
4
v
1
c

r
r
3
_
+
v
2
c

_
g
1
4
r
r
3
__
+
g
2
__
g
1
4
r
r
3
+
e
1
4
v
1
c

r
r
3
_

v
2
c

_
e
1
4
r
r
3
__
, (17.53)
dove abbiamo trascurato i termini di ordine 1/c
2
. Raccogliendo i termini, e scambiando
il ruolo dei due dioni per derivare anche lequazione per la particella 1, si ottengono cos`
le equazioni di Newton,
m
1
a
1
=
e
1
e
2
+ g
1
g
2
4
r
r
3
+
e
1
g
2
e
2
g
1
4
v
c

r
r
3
(17.54)
m
2
a
2
=
e
1
e
2
+ g
1
g
2
4
r
r
3

e
1
g
2
e
2
g
1
4
v
c

r
r
3
, (17.55)
dove abbiamo introdotto la velocit`a relativa,
v = v
2
v
1
.
Come si vede, al primo ordine in 1/c il sistema a due dioni soddisfa il principio di azione
e reazione, per cui,
m
1
a
1
+ m
2
a
2
= 0. (17.56)
Il centro di massa si muove quindi di moto rettilineo uniforme. Ricordiamo le solite
posizioni,
y
1
= r
CM
+
m
2
m
1
+ m
2
r, y
2
= r
CM

m
1
m
1
+ m
2
r.
462
Dividendo poi, al solito modo, la (17.54) per m
1
e la (17.55) per m
2
, e sottraendo membro
a membro, si deduce lequazione del moto relativo,
m
dv
dt
=
e
1
e
2
+ g
1
g
2
4
r
r
3

e
1
g
2
e
2
g
1
4
v
c

r
r
3
, (17.57)
dove abbiamo introdotto la massa ridotta,
m =
m
1
m
2
m
1
+ m
2
.
La (17.57) costituisce il risultato principale di questo paragrafo. Rispetto a un sistema
non relativistico di due cariche vediamo che la forza coulombiana ha subito una modica
della sua intensit`a, e
1
e
2
e
1
e
2
+ g
1
g
2
, pur continuando a essere una forza centrale a
simmetria sferica. Ma `e apparsa una forza nuova di ordine 1/c, la forza dionica,

e
1
g
2
e
2
g
1
4
v
c

r
r
3
,
la cui intensit`a `e proporzionale a e
1
g
2
e
2
g
1
, e che ha la peculiarit`a di non essere una forza
centrale, ovvero, di non essere diretta lungo la congiungente i due dioni. Nel prossimo
paragrafo vedremo che leetto principale di questa forza, pur non modicando lenergia
meccanica totale delle due particelle, `e quello di torcere la traiettoria relativa che di
conseguenza non sar`a pi` u piana.
Si noti, inne, che le costanti di accoppiamento che compaiono nella (17.57), e
1
e
2
+
g
1
g
2
, ed e
1
g
2
e
2
g
1
, sono entrambe invarianti per dualit` a SO(2). Dal punto di vista
bidimensionale la prima corrisponde al prodotto scalare Q
1
Q
2
dei vettori di carica
Q
1
=
_
e
1
g
1
_
, Q
2
=
_
e
2
g
2
_
, mentre la seconda corrisponde al loro prodotto esterno Q
1
Q
2
,
entrambe quantit` a che in due dimensioni sono invarianti per rotazioni.
17.3.2 Quantit`a conservate
Nel paragrafo 17.2.2 abbiamo visto che le modiche apportate alle equazioni di Maxwell e
Lorentz in presenza di dioni, assicurano ancora le principali leggi di conservazione dellE-
lettrodinamica. In questo paragrafo esploriamo il modo in cui queste leggi si realizzano nel
problema a due dioni. Analizzeremo separatamente il contributo alle quantit`a conservate
dovuto ai dioni, e quello proveniente dai campi (17.51), (17.52).
463
Energia. Moltiplicando la (17.57) scalarmente con v si vede che la forza dionica non
contribuisce, e si ottiene,
d
dt
_
1
2
mv
2
_
=
e
1
e
2
+ g
1
g
2
4
v r
r
3
=
d
dt
_
e
1
e
2
+ g
1
g
2
4r
_
.
Dato che allordine 1/c lenergia delle due particelle `e data da
1
+
2
= m
1
c
2
+ m
2
c
2
+
1
2
mv
2
+
1
2
(m
1
+m
2
)V
2
CM
, lenergia del campo elettromagnetico dovrebbe allora essere data
semplicemente da,

em
=
e
1
e
2
+ g
1
g
2
4r
, (17.58)
senza correzioni di ordine 1/c. Per vericare questa ipotesi dobbiamo ripartire dalla
denizione,

em
=
1
2
_
_
E
2
+ B
2
_
d
3
x. (17.59)
Considerando prima il contributo del campo elettrico, la (17.51) allordine 1/c d` a,
E
2
=
_
e
1
4
r
1
r
3
1
+
e
2
4
r
2
r
3
2
_
2
+
e
1
g
2
v
2
e
2
g
1
v
1
(4)
2
c

r
1
r
2
r
3
1
r
3
2
, (17.60)
dove si `e sfruttata la propriet`a ciclica del triplo prodotto misto. Secondo la nostra ipotesi,
quando questa espressione si inserisce nellintegrale (17.59) i contributi di ordine 1/c
dovrebbero cancellarsi. Per fare vedere che ci`o `e quello che succede, `e suciente dimostrare
che si annulla lintegrale,
_
r
1
r
2
r
3
1
r
3
2
d
3
x =
_
x (x r)
|x|
3
|x r|
3
d
3
x = r
_
x
|x|
3
|x r|
3
d
3
x = 0, (17.61)
dove abbiamo eseguito lo shift della variabile di integrazione x x +y
1
. Lannullamento
dellultima espressione segue dal fatto che, per motivi di invarianza per rotazioni, lin-
tegrale
_
x
|x|
3
|x r|
3
d
3
x `e proporzionale a r. Nella (17.60) contribuisce quindi solo il
primo termine, che corrisponde a un sistema di sole cariche. Per questo caso un argomento
standard porta a, vedi problema 2.8,
1
2
_
E
2
d
3
x =
1
2
_ _
e
1
4
r
1
r
3
1
+
e
2
4
r
2
r
3
2
_
2
d
3
x
e
1
e
2
4r
,
dove si `e eettuata la rinormalizzazione dellenergia (innta) di autointerazione, secondo
la procedura della sezione 15. Per dualit`a si ottiene poi,
1
2
_
B
2
d
3
x =
g
1
g
2
4r
,
464
e concludiamo che lespressione ipotizzata per
em
in (17.58) risulta corretta.
Quantit`a di moto. Modulo termini di ordine 1/c la quantit`a di moto dei due dioni `e
data da p = m
1
v
1
+m
2
v
2
, ed `e conservata grazie alla (17.56). Allora anche la quantit` a di
moto del campo elettromagnetico,

P
em
=
1
c
_

E

B d
3
x, (17.62)
si dovrebbe conservare separatamente, modulo termini di ordine 1/c
2
. Per vericarlo
osserviamo che, grazie al prefattore
1
c
nella (17.62), nel prodotto

E

B i campi (17.51),
(17.52) possono essere troncati allordine zero. Si ottiene cos`,

E

B =
e
1
g
2
e
2
g
1
(4)
2
r
1
r
2
r
3
1
r
3
2
+ o
_
1
c
_
. (17.63)
Grazie alla (17.61), lintegrale di questo vettore `e zero.

P
em
`e allora zero, e quindi
conservato, modulo termini di ordine 1/c
2
.
Momento angolare. Modulo termini di ordine 1/c
2
il momento angolare dei due dioni
pu`o essere scritto come,

L
p
= y
1
m
1
v
1
+y
2
m
2
v
2
= r mv +r
CM
(m
1
+ m
2
)v
CM
. (17.64)
Dato che il momento angolare del centro di massa si conserva, la (17.57) implica allora,
d

L
p
dt
= r m
dv
dt
=
e
1
g
2
e
2
g
1
4c
_
(v r) r
r
3

v
r
_
. (17.65)
La forza dionica comporta quindi la nonconservazione del momento angolare delle parti-
celle, e di conseguenza il momento angolare

L
em
del campo elettromagnetico `e necessaria-
mente diverso da zero. Lo possiamo valutare sostituendo la (17.63) nella sua denizione
(17.47). Arrestandoci allordine 1/c otteniamo,

L
em
=
1
c
_
x (

E

B) d
3
x =
e
1
g
2
e
2
g
1
(4)
2
c
_
x
_
r
1
r
2
r
3
1
r
3
2
_
d
3
x
=
e
1
g
2
e
2
g
1
(4)
2
c
_
r
1

_
r
1
r
2
r
3
1
r
3
2
_
d
3
x =
e
1
g
2
e
2
g
1
(4)
2
c
_
(x +r)
_
(x +r) x
|x +r|
3
|x|
3
_
d
3
x.
(17.66)
La prima espressione nella seconda riga dierisce dalla prima riga per un termine propor-
zionale allintegrale nullo (17.61); si ricordi che r
i
= x y
i
, e che le y
i
sono indipendenti
465
dalla variabile di integrazione x. Per scrivere lultima espressione abbiamo, invece, ef-
fettuato lo shift x x + y
2
. Per valutare lintegrale ottenuto riscriviamo lintegrando
svolgendo il triplo prodotto vettore,
(x +r)
_
(x +r) x
|x +r|
3
|x|
3
_
=
[(x +r) x] (x +r)
|x +r|
3
|x|
3

x
|x +r| |x|
3
=
x
i
|x|
3

i
_
x +r
|x +r|
_
.
Introducendo per la variabile x le coordinate polari (R, ), con R = |x|, lintegrando si
scrive in denitiva,
(x +r)
_
(x +r) x
|x +r|
3
|x|
3
_
=
1
R
2

R
_
x +r
|x +r|
_
.
La (17.66) si riduce allora a unespressione molto semplice (n = x/R),

L
em
=
e
1
g
2
e
2
g
1
(4)
2
c
_
d
_

0
R
2
dR
1
R
2

R
_
x +r
|x +r|
_
=
e
1
g
2
e
2
g
1
(4)
2
c
_
d
_
n
r
r
_
=
e
1
g
2
e
2
g
1
4c
r
r
, (17.67)
dove abbiamo sfruttato il fatto che lintegrale invariante
_
dn `e nullo. Si noti che
lespressione ottenuta `e invariante per dualit` a SO(2), nonche simmetrica sotto lo scambio
dei due dioni, 1 2.
`
E immediato vedere che anche

L
em
non `e conservato,
d

L
em
dt
=
e
1
g
2
e
2
g
1
4c
d
dt
_
r
r
_
=
e
1
g
2
e
2
g
1
4c
_
v
r

(v r) r
r
3
_
.
Dalla (17.65) si vede, tuttavia, che il momento angolare totale,

L =

L
p
+

L
em
= y
1
m
1
v
1
+y
2
m
2
v
2
+
e
1
g
2
e
2
g
1
4c
r
r
, (17.68)
`e eettivamente conservato.
17.4 La condizione di quantizzazione di Dirac
Abbiamo visto che lElettrodinamica classica di un sistema di dioni, basata sulle equa-
zioni (17.18), (17.19) e (17.43), `e perfettamente consistente, qualsiasi siano le cariche
(e
r
, g
r
) delle particelle. In questa sezione daremo un argomento semiclassico, per cui la
dinamica quantistica di un tale sistema risulta consistente solo se queste cariche sono
opportunamente vincolate tra di loro dalla condizione di quantizzazione di Dirac.
466
17.4.1 Scattering asintotico tra due dioni
Largomento si basa sul sistema a due dioni analizzato nella sezione precedente, in par-
ticolare sulle propriet`a del suo momento angolare. Il fatto che il momento angolare del
sistema a due corpi da solo non si conserva ha, infatti, due conseguenze importanti. La
prima `e che il moto relativo non `e piano, come succede invece per due corpi che intera-
giscono attraverso una forza centrale. La seconda `e che in un esperimento di scattering
asintotico, in cui la distanza minima tra i dioni e quindi anche il parametro di impatto
b tende a innito, il loro momento angolare cambia comunque di una quantit`a nita,
sottraendola al campo elettromagnetico. La variazione del momento angolare dei dioni
tra lo stato iniziale e quello nale pu`o, infatti, essere letta dalla (17.68),

L
p
=

L
em
=
e
1
g
2
e
2
g
1
4c
_
_
r
r
_
f

_
r
r
_
i
_
.
Se le particelle passano a una distanza molto grande luna dallaltra, i loro moti sono
pressoche rettilinei uniformi, perche la forza di interazione si annulla a grandi distanze
come 1/r
2
, vedi (17.54), (17.55). Anche la particella relativa compie allora un moto
pressoche rettilineo uniforme. Indicando con z il versore della velocit`a relativa a pi` u e
meno innito, che `e dunque la stessa, abbiamo allora,
_
r
r
_
i
= z,
_
r
r
_
f
= z,
e quindi,

L
p
=
e
1
g
2
e
2
g
1
2c
z. (17.69)
Calcolo esplicito di

L
p
. Per capire meglio il meccanismo che produce anche per
b una variazione non nulla del momento angolare, mentre nello stesso limite
le velocit`a relative iniziale e nale coincidono, determiniamo prima la variazione della
velocit`a relativa v durante il processo di scattering. In base a quanto detto sopra ci
aspettiamo che si abbia v 0 per b .
`
E quindi suciente determinare v con
un calcolo perturbativo attorno alla traiettoria rettilinea imperturbata, con parametro di
espansione 1/b. Supponendo che la traiettoria imperturbata giaccia nel piano (x, z) e che
sia diretta lungo lasse z, per la cinematica imperturbata abbiamo,
r(t) = b x + vt z, r
2
(t) = b
2
+ v
2
t
2
, v(t) = v z. (17.70)
467
Possiamo allora determinare v integrando la (17.57) lungo questa traiettoria,
v =
e
1
e
2
+ g
1
g
2
4m
_

b x + vt z
(b
2
+ v
2
t
2
)
3/2
dt
e
1
g
2
e
2
g
1
4mc
_

v z (b x + vt z)
(b
2
+ v
2
t
2
)
3/2
dt
=
b
4m
_
(e
1
e
2
+ g
1
g
2
) x
v
c
(e
1
g
2
e
2
g
1
) y
_
_

dt
(b
2
+ v
2
t
2
)
3/2
=
1
2mv b
_
(e
1
e
2
+ g
1
g
2
) x
v
c
(e
1
g
2
e
2
g
1
) y
_
v
x
x + v
y
y. (17.71)
Abbiamo sfruttato il fatto che i termini vt nei numeratori degli integrandi non contribui-
scono per integrazione simmetrica e che,
_

dt
(b
2
+ v
2
t
2
)
3/2
=
1
b
2
v
_

dt
(1 + t
2
)
3/2
=
2
b
2
v
.
Come si vede, la velocit`a acquista due componenti ortogonali alla direzione di incidenza
z. La componente v
x
giace nel piano di incidenza, ed origina dalla consueta deessione
iperbolica in un campo coulombiano, causando langolo di scattering,

v
x
v
=
e
1
e
2
+ g
1
g
2
2mv
2
b
. (17.72)
Ricordiamo, infatti, che una carica unitaria non relativistica nel potenziale coulombiano
V (r) =

r
subisce langolo di scattering esatto,
= 2 arctg
_

mv
2
b
_
.
Per =
e
1
e
2
+ g
1
g
2
4
, nel limite b si riottiene in eetti la (17.72).
Laltra componente che la velocit`a acquista `e in direzione y,
v
y
=
e
1
g
2
e
2
g
1
2mb c
,
che comporta luscita della traiettoria dal piano di incidenza (x, z). Il moto, quindi, non
`e pi` u piano, e di conseguenza il momento angolare non si pu`o conservare. Per valutare

L
p
nel limite b , integriamo la relazione
d

L
p
dt
= r m
dv
dt
tra t = e t = ,
usando per r la traiettoria imperturbata e sfruttando la (17.71),

L
p
=
_

r mdv = m
_

(b x + vt z) dv = mb x
_

dv
= mb x v = mb v
y
z =
e
1
g
2
e
2
g
1
2c
z, (17.73)
468
in accordo con la (17.69). Abbiamo trascurato il termine vt, perche per b non
d` a contributo. Come si vede, la forza coulombiana, che causa v
x
, non contribuisce a

L
p
, mentre nel contributo dovuto alla forza dionica, il fattore 1/b presente in v
y
`e
compensato dal braccio b.
17.4.2 Quantizzazione delle cariche
Cerchiamo ora di interpretare il risultato di questo esperimento nel contesto della Mec-
canica Quantistica. In questo ambito, dato che abbiamo considerato il limite b , sia
nello stato iniziale che in quello nale i dioni possono essere considerati come particelle
libere che si muovono di moto rettilineo uniforme lungo lasse z. Inoltre, le componenti z
della velocit`a e del momento angolare sono variabili compatibili, perch`e da,
[L
i
p
, p
j
] = i
ijk
p
k
,
segue,
[L
z
p
, p
z
] = 0.
Possiamo quindi misurare losservabile L
z
p
sia nello stato iniziale che in quello nale,
senza modicare la velocit`a lungo z. Secondo il paradigma della misura della Meccanica
Quantistica i valori che otteniamo per L
z
p
nei due stati appartengono allo spettro del
corrispondente operatore quantistico, cio`e, sono multipli interi di . Ma allora deve essere
quantizzata anche la loro dierenza, ovvero,
L
z
p
= n,
con n intero positivo o negativo. Data la (17.69) si trova dunque la condizione di
quantizzazione di Dirac
66
,
e
1
g
2
e
2
g
1
= 2nc, (n = 0, 1, 2, ). (17.74)
Concludiamo che, a livello semiclassico, una condizione necessaria per la coesistenza quan-
tistica di monopoli e cariche, e pi` u in generale di dioni, `e che qualsiasi coppia di particelle
66
P.A.M. Dirac, Proc. Roy. Soc. (London), A133, 60 (1931). In realt`a nel suo lavoro Dirac considera
un sistema formato da una particella con solo carica elettrica e, e da un monopolo con solo carica
magnetica g, derivando la condizione di quantizzazione eg = 2nc. La generalizzazione (17.74) al caso
di due dioni fu presentata da Julian Schwinger in, J. Schwinger, Phys. Rev. 173 (1968) 1536.
469
soddis la condizione di quantizzazione di Dirac. Solo di recente `e stato dimostrato che
la validit`a della (17.74), o meglio, di una sua versione leggermente pi` u stringente, vedi
sotto, `e in realt`a anche suciente per la costruzione di una consistente teoria quantistica
relativistica di campo per dioni
67
.
Nonostante questi risultati teorici confortanti, la ricerca sperimentale di monopoli ma-
gnetici tuttora in atto ha dato nora esiti negativi. Tuttavia, per linteresse sia teorico
che sperimentale che queste particelle continuano a suscitare, elenchiamo qu` di seguito
alcune conseguenze che deriverebbero dallesistenza di monopoli magnetici in natura.
Quantizzazione della carica elettrica. Supponendo che in natura esista anche un solo
dione o un solo monopolo con carica magnetica g
0
, la carica elettrica e
r
di una qualsiasi
particella carica a noi nota, non possedendo carica magnetica dovrebbe soddisfare la
relazione e
r
g
0
= 2n
r
c, e quindi,
e
r
= e
0
n
r
, e
0

2c
g
0
.
Si dimostrerebbe cos` che tutte le cariche elettriche presenti in natura sono necessaria-
mente multiple intere di una carica fondamentale e
0
, fenomeno che va sotto il nome di
quantizzazione della carica elettrica, e che `e confermato dagli esperimenti con estrema
precisione. Basta ricordare che sperimentalmente la dierenza relativa tra i moduli delle
cariche dellelettrone e del protone `e minore di 10
20
. Lesistenza dei monopoli fornirebbe,
quindi, una spiegazione teorica per questo dato sperimentale estremamente preciso, che
attualmente deve essere considerato come una pura coincidenza.
Aggiungiamo che lipotesi dellesistenza dei dioni resta consistente anche se si annove-
rano i quark deconnati, con cariche elettriche e/3, 2e/3, tra le particelle fondamen-
tali. In questo caso `e, infatti, suciente scegliere come carica fondamentale e
0
= e/3,
dove e `e la carica dellelettrone.
Dualit`a di accoppiamento debole/forte. Consideriamo un sistema formato da una ca-
rica con carica elettrica e, e da un monopolo con carica magnetica g. La condizione di
Dirac,
eg = 2nc, (17.75)
67
R.A. Brandt et al., Phys. Rev. D19 4 1153 (1979).
470
stabilisce allora anche una relazione tra le costanti di struttura ne elettrica e magnetica,

e

e
2
4c
,
m

g
2
4c
,
che in teoria quantistica di campo giocano il ruolo di costanti di accoppiamento adimen-
sionali. La (17.75) d` a infatti,

m
=
n
2
4
.
Per un dato sistema di particelle abbiamo quindi che se
e
`e piccola, allora
m
`e grande,
e viceversa. Daltra parte sotto una trasformazione di dualit` a e e g si scambiano tra di
loro secondo e g, g e, che per le costanti di accoppiamento equivale allo scambio,

e

m
. (17.76)
La dualit` a elettromagnetica scambia quindi regimi di accoppiamento debole con regimi di
accoppiamento forte. Per questo motivo la dualit` a elettromagnetica viene anche chiamata
dualit` a di accoppiamento debole/forte. Si intuisce facilmente che una relazione di dua-
lit` a pu`o essere molto utile per analizzare una teoria a livello non perturbativo, cio`e, in un
regime in cui la costante di accoppiamento `e grande, per cui non avrebbe senso eettuare
uno sviluppo perturbativo.
I monopoli in teorie di Grande Unicazione. Lo studio dei monopoli introdotti da
noi ad hoc nellambito dellElettrodinamica classica `e motivato anche dal fatto che nelle
teorie di Grande Unicazione, come per esempio quella basata sul gruppo di gauge SU(5),
la presenza di monopoli `e una previsione inevitabile delle teorie stesse. Il fatto che que-
ste particelle non abbiano ancora avuto uno riscontro sperimentalmente non contraddice
aatto queste teorie, il motivo essendo che le masse previste per esse sono troppo elevate
da poterle produrre negli acceleratori oggi in uso.
I dioni in teoria quantistica relativistica di campo. La condizione di quantizzazione di
Dirac (17.74) `e stata ottenuta come una condizione di consistenza necessaria per lesistenza
dei dioni, attraverso un argomento semiclassico e non relativistico. Tuttavia, la piena
consistenza della dinamica quantistica relativistica dei dioni pu`o essere realizzata solo
nellambito delle teorie quantistiche relativistiche di campo. In realt`a, come dimostrato
da Brandt et. al., vedi la nota
67
, si possono costruire due teorie di campo inequivalenti
di questo tipo, caratterizzate da gruppi di dualit` a distinti.
471
1) Teoria di campo con dualit`a SO(2). Dato un sistema di dioni con cariche
_
e
r
g
r
_
si
pu`o formulare una teoria di campo consistente, se per ogni coppia (r, s) di dioni le cariche
soddisfano le condizioni di quantizzazione di Schwinger, vedi la nota
66
,
e
r
g
s
e
s
g
r
= 4n
rs
c, (17.77)
dove gli n
rs
sono interi positivi o negativi. Questa teoria `e invariante sotto il gruppo di
dualit` a continua SO(2), come lo sono le condizioni di Schwinger. Come si vede, nessuna
condizione di quantizzazione `e richiesta tra le cariche e
r
e g
r
dello stesso dione. Si noti
che la (17.77) dierisce dalla (17.74) per un fattore 2, e costituisce quindi una condizione
pi` u stringente.
2) Teoria di campo con dualit`a Z
4
. Si pu`o formulare una teoria di campo consisten-
te per un sistema di dioni, anche se le loro cariche soddisfano le condizioni di Dirac
originali,
e
r
g
s
= 2n
rs
c, r, s, (17.78)
dove gli n
rs
sono interi positivi o negativi. La teoria corrispondente `e invariante solo sotto
il gruppo di dualit`a discreto Z
4
. Sotto lazione del generatore (17.41) di questo gruppo,
il prodotto e
r
g
s
che compare nella (17.78) non `e invariante, ma il suo trasformato, g
r
e
s
,
continua ad essere un multiplo intero di 2c. Si pu`o vedere che questa propriet`a `e
suciente per assicurare linvarianza sotto la dualit` a Z
4
della teoria di campo.
Si noti che sia le (17.77), sia le (17.78) implicano la condizione non relativistica
(17.74): la comparsa di queste condizioni pi` u stringenti in teoria di campo `e, quindi,
da interpretarsi come un eetto relativistico.
Trasmutazione spinstatistica. Una dierenza importante tra le condizioni (17.77) e
(17.78) `e rappresentata dal fatto che, per r = s, la seconda impone anche un vincolo tra
le cariche e
r
e g
r
dello stesso dione,
e
r
g
r
= 2n
rr
c. (17.79)
Questa relazione segnala la presenza di unautointerazione non banale del dione resimo
nella teoria Z
4
, che si dimostra invece essere assente nella teoria SO(2). Una conseguen-
za interessante di questa autointerazione `e un fenomeno peculiare, che viene chiamato
trasmutazione spinstatistica. Spieghiamo brevemente in cosa consiste.
472
Supponiamo di privare tutti i dioni di entrambe le loro cariche trasformandoli in dio-
ni neutri, operazione che equivale allo spegnimento del campo elettromagnetico. I dioni
risultanti sono allora particelle libere, prive di interazione, che si muovono di moto retti-
lineo uniforme. Il teorema spinstatistica prevede allora che ciascun dione neutro `e o un
bosono (con spin intero e statistica di commutazione, ovvero, con funzione donda simme-
trica), oppure un fermione (con spin semiintero e statistica di anticommutazione, ovvero,
con funzione donda antisimmetrica). Riaccendendo le cariche si dimostra allora che nella
teoria Z
4
lo spin S
r
del dione carico resimo `e legato allo spin S
0
r
del corrispondente
dione neutro, dalla relazione,
S
r
= S
0
r
+
e
r
g
r
4c
mod Z. (17.80)
Si noti che, grazie al fatto che il numero n
rr
che compare nella (17.79) `e intero, questa
relazione mantiene lo spin sempre un multiplo intero o semiintero di . Tuttavia, se n
rr
`e
pari, si ha che S
r
= S
0
r
mod Z, mentre se n
rr
`e dispari, si ha che S
r
= S
0
r
+

2
mod Z. In
corrispondenza si dimostra anche che, se il dione resimo neutro obbedisce alla statistica
di commutazione (anticommutazione) e n
rr
`e pari, allora anche quello carico obbedisce
alla statistica di commutazione (anticommutazione). Viceversa, se il dione resimo neutro
obbedisce alla statistica di commutazione (anticommutazione) e n
rr
`e dispari, allora quello
carico obbedisce, invece, alla statistica di anticommutazione (commutazione)
68
.
In conclusione, nella teoria Z
4
avviene che, se n
rr
`e dispari, lautointerazione fa s` che il
dione resimo subisce la trasmutazione di spin e statistica da bosone a fermione e vicever-
sa, mentre se n
rr
`e pari esso non subisce nessuna trasmutazione. Nessuna trasmutazione
avviene invece nella teoria SO(2).
La trasmutazione spinstatistica ha un eetto peculiare in teoria di campo, perche
cambia le carte in tavola. Infatti, in teoria di campo qualsiasi particella, carica o
neutra, viene descritta da un campo con un carattere tensoriale ben denito, come i
campi scalari, i campi vettoriali, i tensori doppi, e anche i campi spinoriali di Dirac
(si veda un testo di teoria dei campi), e spin e statistica della particella descritta sono
legati in modo univoco al carattere tensoriale del campo. Cos` i campi scalari e vettoriali
68
K. Lechner, P.A. Marchetti, Spinstatistics transmutation in relativistic quantum eld theory of
dyons, JHEP 12 (2000) 028, 1-35, (hep-th/0010291).
473
e i tensori doppi simmetrici corrispondono a bosoni con spin rispettivamente 0, e 2, si
veda il paragrafo 5.3.2, mentre i campi spinoriali corrispondono a fermioni, con spin semi
intero. In base a quanto detto sopra succede, invece, che se un dione con n
rr
dispari viene
descritto, per esempio, da un campo scalare, allora nella teoria Z
4
la particella risultante
non `e un bosone, bens` un fermione. Concludiamo osservando che, mentre in una e due
dimensioni spaziali la trasmutazione spinstatistica `e un fenomeno pi` u comune in
queste dimensioni in particolare lo spin non `e quantizzato in multipli interi o semiinteri
di , ma pu`o assumere qualsiasi valore in tre dimensioni spaziali lunico esempio noto
di questo fenomeno `e quello legato ai dioni, come descritto sopra.
474

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