LEVLUZIONE DEL CRIMINE ORGANIZZATO DI STAMPO MAFIOSO IN ITALIA PROF. PAOLO PEZZINO
5. IL DOPOGUERRA
74. 1943 - L'accordo Alleati-mafia: un falso mito. Si parlato di un presunto appoggio mafioso allo sbarco in Sicilia degli alleati del 10 luglio 1943, un vero e proprio pactum sceleris ottenuto con la mediazione delle famiglie americane e sancito in un codicillo segreto aggiunto allarmistizio firmato il 3 settembre a Cassibile fra alleati e Italia. In realt non sono stati trovati documenti che attestino l'esistenza di simili patteggiamenti: del resto improbabile che la mafia siciliana, in una situazione di oggettiva debolezza dopo la repressione fascista, potesse addirittura influire sugli esiti del conflitto. Gli alleati, poco consapevoli della situazione siciliana, espressero anzi forti preoccupazioni per la possibile ripresa del potere mafioso, anche se, su suggerimento dei maggiorenti locali, spesso misero mafiosi a capo dei comuni.
75. 1943. Il riemergere della mafia siciliana L'emergere di figure mafiose e la ripresa del potere politico della mafia in seguito allo sbarco degli alleati da imputare al fatto che gli americani, seguendo le indicazioni e i suggerimenti dei notabili locali, attribuirono incarichi municipali a personaggi mafiosi, che, per i provvedimenti restrittivi cui erano stati sottoposti durante il periodo fascista, si presentavano anche come perseguitati politici. Insomma, non furono tanto gli americani a servirsi della mafia, quanto questultima a sfruttare con intraprendenza la nuova situazione per riemergere. Quanto ai mafiosi italo-americani, arrivarono in Italia, a volte perch espulsi dagli Stati Uniti, alla spicciolata, e non tutti si stabilirono in Sicilia: Luciano giunse nel 1946, a seguito di presunti favori al servizio di controspionaggio della marina, si stabil a Napoli, Francesco Paolo Coppola, dopo un primo soggiorno nel 1948, definitivamente nel 1950, a Pomezia, vicino a Roma, Joe Adonis (Giuseppe Doto) nel 1953, a Milano, Frank Garofalo nel luglio 1957. Il loro ruolo in questi primissimi anni non appare di rilievo. Le affermazioni in senso contrario della Commissione parlamentare Antimafia aspettano ancora prove convincenti.
76. 1943-1946. Mafia e separatismo
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I mafiosi appoggiarono il movimento separatista, che auspicava l'indipendenza della Sicilia dall'Italia. Dall'inizio del 1945, dopo aver perso l'appoggio delle autorit militari alleate, il separatismo scelse la via della lotta armata e l'EVIS (Esercito Volontari per l'Indipendenza Siciliana) si rese responsabile di una serie di sanguinosi attentati contro caserme dei carabinieri e mezzi militari, assoldando tra le sue file anche banditi, come il celebre Salvatore Giuliano. L'appoggio al movimento separatista, che nella Sicilia occidentale era egemonizzato dai grandi proprietari terrieri, era comunque strumentale: forn alle cosche la possibilit di rientrare nel grande gioco politico. La mafia si preparava anche alternative politiche: esempio emblematico quello di Calogero Vizzini, sostenitore del separatismo, che tuttavia fece iscrivere il nipote Beniamino Farina alla Democrazia cristiana.
78. 1943-1950: I mafiosi e le lotte per la terra Nella Sicilia del dopoguerra la rinata pressione contadina verso la terra consent alla mafia da un lato di vendere ai latifondisti il proprio apparato repressivo, dallaltro di presentarsi come mediatori nella gestione dei trasferimenti di terre tra i latifondisti, i contadini e lo Stato. Emblematico il caso della cooperativa di Villalba costituita da circa settecento contadini e guidata da Calogero Vizzini, che riusc ad ottenere in gabella, e quindi in enfiteusi, il feudo Miccich.
79. 1946. La mafia di nuovo potente. Una relazione dei carabinieri della fine del 1946 mostra quanto la mafia avesse rafforzato la sua presenza nella realt dellisola nei tre anni successivi allo sbarco alleato. Le caratteristiche del fenomeno rimandano a tanti rapporti dellottocento: la protezione-estorsione nei confronti dei proprietari, lomert diffusa, gli ambigui rapporti col banditismo, i contatti col mondo politico, un certo livello di organizzazione interprovinciale. Ancora una volta la risposta individuata unicamente nel ricorso a mezzi di polizia eccezionali, mentre non si ha il coraggio di affrontare a fondo il nodo dei rapporti fra mondo mafioso e poteri legali.
77. 1946: la fine del separatismo L' approvazione dello Statuto della Regione autonoma siciliana, avvenuta il 15 maggio 1946 decret la fine del movimento separatista, cosa che divenne evidente in occasione delle prime elezioni dell'Assemblea regionale siciliana, il 20 aprile 1947, alle quali la Sinistra ottenne un clamoroso successo mentre i separatisti furono battuti iniziando un declino inarrestabile.
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Con la Regione autonoma si costitu un potente centro di gestione politica a livello regionale, in molti casi basato su forme di clientelismo che divenne per alcuni aspetti occasione di fertile terreno per le potenzialit eversive della mafia.
78. 1947- La strage di Portella della Ginestra Il primo maggio del 1947 Salvatore Giuliano, e la sua banda spararono sulla folla di contadini che si era radunata, come tutti gli anni, nella Localit di Portella della Ginestra per celebrare la ricorrenza della festa dei lavoratori. Undici le persone uccise. Il bandito, che durante lavventura armata del separatismo era stato trasformato in colonnello dell'EVIS, ed era protetto dai mafiosi, fu cos utilizzato in funzione anticomunista. La strage fu compiuta all'indomani delle prime elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana nelle quali la sinistra aveva ottenuto un clamoroso successo, ed ebbe probabilmente mandanti politici, anche se lepisodio non mai stato chiarito.
79. 1947- Strategia della tensione. Portella della Ginestra rappresenta linizio di una strategia della tensione in Italia. Nel 1952 a Viterbo, si tenne il processo per quei fatti, ma Giuliano era gi morto: il 5 luglio 1950 i carabinieri sostennero di averlo ucciso in un conflitto a fuoco, ma la ricostruzione fu smascherata da un giornalista che individu troppe contraddizioni nella versione ufficiale. Al processo risulter che era stato liquidato dal suo luogotenente, e cugino, Gaspare Pisciotta, contattato attraverso la mafia dai carabinieri del Comando forze repressione banditismo dirette dal colonnello Luca. Tuttavia anche questa versione lascia ragionevoli dubbi. Certo che, nel panorama politico siciliano, che stava trovando il suo nuovo equilibrio attorno alla Democrazia Cristiana, Giuliano era diventato un personaggio scomodo.
80. 1947-1950. Mafiosi, banditi, governanti. La vicenda di Portella e di Salvatore Giuliano mise in evidenza l'uso strumentale del banditismo sia da parte della mafia che da parte di istituzioni politiche: il bandito viene "protetto" da entrambi fino a quando fu utile, in chiave filoseparatista prima e anticomunista dopo. Al processo di Viterbo Pisciotta accus come mandanti della strage di Portella, l'onorevole democristiano Bernardo Mattarella, i deputati monarchici Tommaso Leone Marchesano e il principe Gianfranco Alliata, il deputato regionale Geloso Cusumano, anch'egli monarchico, quindi l'on democristiano Mario Scelba. La corte di Assise ritenne le sue rivelazioni infondate e pertanto Pisciotta fu condannato all'ergastolo. il 9 febbraio 1954, pochi giorni dopo aver espresso
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l'intenzione di rivelare tutti i retroscena, Gaspare Pisciotta venne avvelenato nel carcere dell'Ucciardone con una tazzina di caff alla stricnina.
81. 1947. Tentativi di infiltrazione mafiosa nel PCI. Giuseppe Montalbano, ex deputato comunista e membro del comitato centrale, mosse davanti alla Commissione antimafia delle accuse nei confronti di dirigenti comunisti: non avrebbero voluto approfondire le indagini sui mandanti di Portella della Ginestra e dellomicidio del segretario della Camera del lavoro di Sciacca Accursio Miraglia, ucciso il 4 gennaio 1947: in cambio, la mafia avrebbe appoggiato in alcuni comuni candidati del partito alle amministrative del 1952. Le affermazioni di Montalbano, non furono suffragate da nessuna prova e, a partire dal 1944, si assistette ad una vera e propria ecatombe di militanti comunisti e sindacalisti uccisi dalla mafia. E indubbio per che in questa fase di transizione, in cui non era chiaro l'esito dello scenario politico italiano, ci furono tentativi di offerta di "protezione" mafiosa al Partito comunista.
6. Lintreccio politico-affaristico-mafioso
82. 1950-: tradizione e innovazione. Gli anni Cinquanta sono caratterizzati da profonde trasformazioni economiche e sociali che investono anche il territorio siciliano: la ricostruzione e l'espansione delle citt, l'avvio di programmi di lavori pubblici (strade, scuole, ospedali), la assegnazione di una autonomia gestionale e amministrativa alle regioni a statuto speciale sempre pi incisiva, modificano radicalmente il contesto sociale creando proficue opportunit e possibilit di incremento del potere economico delle cosche mafiose. Fallita la legge di riforma agraria, ebbe inizio il massiccio spopolamento delle campagne, che risolse lannosa questione agraria: circostanze che spinsero la mafia ad abbandonare un terreno non pi fertile per le sue attivit di intimidazione e intermediazione.
83. 1954- . Citt e campagna. Senza rinunciare a strutture ed attivit tradizionali, la mafia fenomeno in continua evoluzione, e le cosche si mostrano pronte a percepire e comprendere i cambiamenti della realt sociale nella quale si muovono. Il contesto urbano offriva, anche in seguito all' espansione dell'intervento economico dello Stato, e delle prerogative della regione a statuto speciale, un ventaglio di opportunit inedite e particolarmente interessanti.
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A partire dalla seconda met degli anni Cinquanta ebbe inizio il fenomeno del trasferimento degli interessi mafiosi nelle zone urbane siciliane che si accentu poi nel corso degli anni Sessanta. La mafia tuttavia manteneva di tratti tipici della cultura prettamente agricola, e una rispettabilit sociale visibile e riconosciuta: la figura di Giuseppe Genco Russo, considerato capo della mafia alla morte di Vizzini nel 1954, da questo punto di vista esemplare.
84. 1954- . Il sistema di potere democristiano e la mafia. In occasione del V congresso nazionale della DC, nel giugno 1954, il partito di maggioranza relativa, sotto la direzione di Amintore Fanfani, diede inizio ad un nuovo corso. Fu rafforzata l'autonomia del partito dalla gerarchia ecclesiastica e dal capitale privato, ed il partito stesso divenne uno dei principali centri del potere economico, tramite il controllo della spesa pubblica e del parastato.. A partire da questi anni comincia l'ascesa nella Dc palermitana di alcuni uomini politici, collegati a Fanfani, il cui ruolo decisivo nelle vicende siciliane diventer evidente negli anni successivi: Salvo Lima, Giovanni Gioia, Vito Ciancimino.
85. 1954- . Mafia, politica, affari. E a partire da questi che si coagula un rapporto sempre pi stretto fra mafiosi, uomini politici, enti pubblici. I mafiosi diventano imprenditori, e spregiudicati imprenditori, come il costruttore Vassallo, si uniscono ad essi nella gestione di affari, protetti dai politici che altrettanto spregiudicatamente gestiscono le risorse pubbliche. dalledilizia ai mercati generali, si formano cordate politico-imprenditoriali di stampo mafioso, sia nel senso che ad esse partecipano noti mafiosi, sia nel senso che adottano metodi di intimidazione propri della mafia. le ripetute denunce delle opposizioni vengono liquidate con laccusa di essere di parte. Ma anni dopo esse si riveleranno fondamentalmente esatte.
86. 1957. Verso Cosa Nostra Mentre si vanno cementando i rapporti di tipo affaristico e clientelare fra mafiosi, politici, imprenditori, funzionari pubblici, la mafia procede ad una profonda riorganizzazione interna. Elemento decisivo, in questo periodo pi che in altri, furono i rapporti fra con mafiosi statunitensi. Sia attraverso contatti, sia con lattivit in Italia di personaggi come Frank Coppola, legato strettamente al mondo della politica, Lucky Luciano, Joe Adonis, Frank Garofalo, la mafia rinnova le proprie strutture, si dota di unorganizzazione pi articolata sul territorio, entra in relazioni daffari con le pi organizzate famiglie statunitensi per gestire il traffico di stupefacenti. Essenziale,
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in questa fase, la figura di Luciano, proteso ad evitare conflitti dirompenti tramite una programmazione manageriale delle attivit mafiose. Ci si avvia verso Cosa Nostra (cos i mafiosi chiameranno la loro organizzazione, sullesempio degli americani), una struttura di governo del territorio e coordinamento delle attivit mafiose.
87. 1957- : Il traffico degli stupefacenti Il coinvolgimento della mafia siciliana nel traffico degli stupefacenti, pur precedente alla seconda guerra mondiale ebbe un incremento significativo a partire dalla seconda met degli anni Cinquanta. Fu allora in seguito all'inasprimento negli Stati Uniti delle sanzioni contro i trafficanti di droga e la crisi politica di Cuba, (fino ad allora un importante centro di raccolta dei narcotici destinati al Nord-America) che i capimafia statunitensi guardarono alla Sicilia come territorio propizio per il passaggio della droga. Spett ad alcune famiglie del trapanese rinsaldare i rapporti con i gangsters italo-americani e assumersi il "compito" di costruire una rete efficiente di collegamenti per il trasporto della droga dal Medio Oriente ai mercati degli Stati Uniti e del Canada. Anche in questo settore la mafia svolge dunque il ruolo che gli compete per tradizione: quello dell'intermediario.
88. 1957. LHotel des Palmes di Palermo
Nell'ottobre 1957 si riunirono nell'Hotel des Palmes a Palermo alcuni dei pi importanti capimafia statunitensi e siciliani: furono prese decisioni importanti. Non soltanto il coinvolgimento del traffico di stupefacenti (in posizione subordinata agli statunitensi), ma strutture organizzative interne (secondo alcuni collaboranti di giustizia, su suggerimento degli americani nascono in questo periodo le commissioni provinciali e forse quella regionale) Quel convegno, che diede origine ad un sodalizio criminoso di carattere internazionale, mise in luce due interessanti aspetti: da un lato la riluttanza dei vecchi boss mafiosi (Genco Russo) ad entrare nel traffico degli stupefacenti, perch i collegamenti necessari non erano sotto il loro controllo, dall'altro, il disinteresse delle autorit italiane, in un periodo, invece, nel quale gli Stati uniti vedono efficaci attivit repressive e conoscitive (i rapporto Kefauver e McClellan).
89. 1957-1961: la " pace" fra le cosche E un periodo di pace tra le cosche mafiose. Eppure in questi anni si registr il contrasto tra la cosca di Vincenzo Maniscalco ed il gruppo mafioso dominata dai La Barbera, e la faida corleonese tra Luciano Liggio e Michele Navarra, che segn linizio dellascesa di Liggio.
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In questo periodo si crearono tuttavia le condizioni per quella che fu definita la prima guerra di mafia, le cui cause ultime stanno nel progressivo coinvolgimento delle cosche della parte occidentale e centrale di Palermo nel contrabbando e nel traffico di stupefacenti: i La Barbera (famiglia di Palermo centro), appoggiati da Luciano e collegati a mafiosi emergenti come Tommaso Buscetta, della famiglia di Porta Nuova, intervengono in settori nei quali era attiva la potente famiglia dei Greco di Ciaculli.
90. 1958. Corleone. Il 10 agosto 1958 si concluse il conflitto tra Michele Navarra, medico e capomafia di Corleone, e Luciano Liggio, suo ex luogotenente. L'uccisione di Michele Navarra e lo sterminio della sua cosca segnarono il passaggio dalle antiche forme speculative a modalit pi remunerative di gestione dei traffici illeciti. Liggio rappresenta il caso esemplare di scalata sociale basata sull'uso spregiudicato della violenza: gabelloto di umili origini si scontr con il vecchio capomafia per la costruzione di una diga nel Belice che avrebbe favorito la sua azienda di trasporto, ma che avrebbe determinato la scomparsa della speculazione sulla vendita dell'acqua per la cosca di Navarra. Dopo luccisione di questultimo, Liggio spost il centro dei suoi traffici verso Palermo ed i suoi mercati generali.
91. 1962: scoppia la prima guerra di mafia La morte di Luciano, per un attacco cardiaco, avvenuta nel gennaio 1962 segn la fine di quella sorta di intesa e di accordo tra le cosche mafiose siciliane. L'uccisione di Calcedonio di Pisa, stretto collaboratore di Salvatore Greco, il 26 dicembre 1962, la cui colpa venne fatta ricadere sui fratelli La Barbera, fu il segnale inequivocabile dell'inizio di un periodo di lotte sanguinose e turbolente. Di Pisa era stato sospettato di avere trattenuto parte dei proventi di un traffico di stupefacenti a cui avevano partecipato entrambe le famiglie: nonostante l'assoluzione dall'accusa da parte della "Commissione", fu ucciso, dai La barbera o, secondo Buscetta, da Michele Cavataio, rappresentante dellAcquasanta. Nei fatti gli interessi economici del traffico di stupefacenti ed i poteri che si arrogava la Commissione provinciale, non da tutti riconosciuti, stanno alla base della lotta.
92. 1962-1963. I protagonisti della guerra. La rapida ascesa di "uomini nuovi", come sono i La Barbera (e com'era Liggio), dimostra che Cosa Nostra una societ "aperta", nella quale le gerarchie tradizionali possono in ogni momento essere sovvertite; Ma anche in una famiglia come quella dei Greco tradizionali attivit,
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tipiche della vecchia mafia dei giardini, coesistono con una forte propensione all'innovazione, sia nella loro azienda agrumaria, una delle pi moderne della zona, sia nelle attivit illecite (saranno i grandi gestori del traffico di stupefacenti e del contrabbando in questi anni). In questi anni Cosa Nostra agisce pressoch indisturbata: le protezioni politiche di cui gode rappresentano un utile copertura rispetto ad indagini che per di pi sono quasi inesistenti.
93. 1962-1963. Tommaso Buscetta. Nel corso della guerra di mafia Buscetta, killer inizialmente legato ai La Barbera, schieratosi quindi contro i suoi capi, emerge come una delle figure pi spietate ed intraprendenti di Cosa Nostra, tanto che la Commissione antimafia nel 1971 gli dedicher una particolare attenzione, inserendolo nella Relazione sullindagine riguardante casi di singoli mafiosi. Buscetta emerge come uno dei mafiosi pi violenti e spregiudicati, molto lontano dall'immagine bonaria e paternalistica che egli ha voluto offrire di s dopo la sua decisione di collaborare con la giustizia.
94. 1962. La morte di Enrico Mattei. Il 27 ottobre 1962 muore in un incidente aereo, di ritorno da un viaggio in Sicilia, il presidente dell'ENI Enrico Mattei. Qualche anno dopo scompare il giornalista De Mauro, che stava collaborando alle ricerche per il film di Francesco Rosi su Mattei. Sulla morte di Mattei verranno avanzati sospetti che si fosse trattato di un attentato della mafia (laereo era decollato dallaeroporto di Catania). Recentemente Buscetta sosterr che effettivamente era stato ucciso da Cosa Nostra (se ne era occupato personalmente Salvatore Greco "Cicchiteddu") su richiesta di Cosa Nostra americana, alla quale probabilmente si erano rivolte le compagnie petrolifere statunitensi danneggiate dalla politica di Mattei nei confronti dei produttori mediorientali.
95. 1962. Costituzione della Commissione parlamentare antimafia Il 20 dicembre 1962 venne costituita con la legge n.1720 la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia che, pur tra alterne vicende, attiva ancora oggi. La Commissione antimafia raccolse una mole imponente di informazioni ed indagini sulla mafia, ma la sua produzione politica, cio la capacit di elaborare e tradurre in norme di legge efficaci misure, fu scarsa, a causa delle contraddizioni e resistenze soprattutto nei partiti politici di governo, intenti a coprire finch possibile le complicit e i legami con la mafia dei loro rappresentanti siciliani. La commissione, insediatasi il 14 febbraio 1963, inizi i suoi lavori solo nel luglio - in aprile vi erano state le elezioni politiche - in occasione della strage di Ciaculli.
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96. 1963. La risposta dello Stato alla mafia La guerra di mafia fu vinta dai Greco e dai loro alleati (i corleonesi di Liggio, Badalamenti di Cinisi, i Rimi di Alcamo, le famiglie di Partinico, San Giuseppe Jato, Carini, Castellammare del Golfo). Tuttavia la risposta dello Stato alla strage di Ciaculli si estrinsec attraverso un incremento dellattivit investigativa che sfoci in alcuni importanti rapporti del nucleo di polizia giudiziaria dei carabinieri e della Squadra Mobile. Anche se viziate da una visione troppo angusta, e non ancora in grado di affrontare il nodo dei rapporti con i poteri politici (erano gli anni in cui al comune di Palermo dominavano Lima e Ciancimino), questa attivit segn un importante momento di investigazione, e consent al giudice istruttore Cesare Terranova di emettere alcune storiche sentenze di rinvio a giudizio dei protagonisti della guerra di mafia.
97. 1965. Il mafioso non uomo donore.
Il giudice istruttore Cesare Terranova, si occup anche dei corleonesi ed anche in questo caso emise due sentenze di rinvio a giudizio a carico di Luciano Liggio ed altri, imputati di associazione a delinquere e vari omicidi commessi a Corleone tra il 1955 e il 1963. Nelle sentenze furono individuate esattamente la struttura della mafia, la divisione in famiglie, l'esistenza di una commissione, il coinvolgimento nel traffico di stupefacenti, nel contrabbando, i legami affaristici con imprenditori e amministratori pubblici (anche se questi ultimi restano fuori delle indagini). Terranova intacc anche, con lucide argomentazioni, il mito del mafioso come uomo donore e la distinzione tra vecchia e nuova mafia. Analogamente la Commissione antimafia individu bene il sottofondo comune alle varie biografie di mafiosi: non esisteva una mafia che mirava al rispetto ed una che mirava al denaro, la mafia sempre "imprenditrice", e cambiano solo i contesti nei quali i vari mafiosi organizzano le proprie attivit.
98. 1965: Il duro colpo a Cosa Nostra Il 31 maggio 1965 contro le cosche mafiose venne approvata dal Parlamento italiano la legge n. 575, "Disposizioni contro la mafia", che prevedeva per gli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose pi severe norme per l'applicazione di misure di prevenzione. Inoltre lintensa attivit svolta dagli inquirenti inferse un duro colpo alla mafia: le famiglie vengono decimate, la Commissione provinciale di Palermo fu sciolta ed il suo segretario, Tot Greco detto"Cicchiteddu",
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emigr in Venezuela, Gaetano Badalamenti, Francesco Sorci, Rosario Mancino e pochi altri si diedero alla latitanza, la maggior parte dei boss fin in carcere in attesa di giudizio, o al confino.
99. 1968: la Corte di Assise di Catanzaro Le istruttorie di Terranova furono unificate in un unico procedimento, rimesso alla corte di Assise di Catanzaro: questa valorizz al massimo prove ed indizi, ma i limiti oggettivi delle indagini impedirono loro di accogliere tutte le richieste: con la sentenza del 22 dicembre 1968 dei 117 imputati alcuni vennero condannati a pene maggiori, (Pietro Torretta a 27 anni, Angelo La Barbera a 22, Stefano Giaconia a 9, Salvatore Gnoffo a 14, Vincenzo Sorce a 10, ed i latitanti Tommaso Buscetta a Salvatore Greco a 10 anni), altri a pene minori, in parte condonate, 44 furono assolti per insufficienza di prove. Furono cos rimessi in libert mafiosi come Francesco Paolo Bontade, i Rimi, Rosario Mancino, Giuseppe Cal, Giovanni Di Peri, Michele Cavataio, Gerlando Alberti, Gaetano Badalamenti, Luciano Liggio.
99 bis. 1969. Una donna accusa la mafia: Serafina Battaglia Tra il 1958 ed il 1962 Serafina Battaglia vide uccisi, in una guerra di mafia, il convivente e il figlio adottivo. Da allora denunci i mandanti e gli esecutori di 24 omicidi in ripetute sedi (compreso il processo di Catanzaro), ma le persone da lei indicate furono sempre assolte (il primo processo si tenne a Palermo nel 1964, lultimo, il ventesimo, a Roma nel 1979). Il rapporto fra donne e mafia complesso: le donne dei mafiosi, anche se non fanno parte ufficialmente allorganizzazione, collaborano spesso alla gestione degli affari criminali con i parenti (mariti, figli), e contribuiscono a mantenere vivi quei codici culturali (un malinteso senso dellonore e della famiglia, la complicit con i loro uomini) senza i quali la mafia non potrebbe sussistere. Anche quando si ribellano, come la Battaglia, spesso lo fanno solo dopo che non hanno pi niente da perdere: cos la Battaglia aveva cercato, in un primo momento, di vendicare il convivente tramite il figlio, che girava costantemente armato.
100. 1968-1969. La restaurazione mafiosa ed i tribunali di Palermo e Bari. La sentenza del Tribunale di Palermo del 1968 per il processo contro il traffico di stupefacenti, istruito dal giudice istruttore Vigneri a seguito di forti pressioni americane, si concluse con una generale assoluzione dal reato di associazione per delinquere. Fra gli imputati personaggi quali Genco Russo, Francesco Paolo Coppola, Giuseppe Bonanno, Santo Sorge. Anche la Corte di Assise di Bari, il 10 giugno 1969, assolse, con motivazioni pretestuose e senza tener conto delle acquisizioni ed indicazioni di metodo del giudice Terranova, Luciano Liggio ed i corleonesi da tutte
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le imputazioni. Le due sentenze misero in evidenza un atteggiamento compiacente verso la mafia e rivelarono lisolamento di magistrati quali Terranova rispetto a colleghi che mettevano in dubbio lesistenza stessa della cosche mafiose.
101. 1969. La strage di Viale Lazio. Dopo le sentenze di Catanzaro, di Palermo e di Bari Cosa Nostra si rifond intorno a tre personaggi di spicco: Stefano Bontade, Gaetano Badelamenti e Luciano Liggio che presiedevano la ricostituita Commissione per la provincia di Palermo. Due erano allora i gruppi che contavano: il primo faceva capo a Bontade, Badalementi (luomo allora pi potente in Cosa nostra), Inzerillo, Spatola e Buscetta, laltro a Liggio e i corleonesi (tra i quali emergevano Riina e Provenzano) e ai Greco di Ciaculli. Il segnale della ripresa dellattivit di Cosa Nostra fu la strage di Viale Lazio, dove cinque killer uccisero, negli uffici della ditta Moncada, Michele Cavataio. gi protagonista della prima guerra di mafia, probabilmente per ordine di Salvatore Greco.
102. 1969-. La fuga di Luciano Liggio. Dopo lassoluzione al processo di Bari, Liggio fu sottoposto a provvedimento di sorveglianza speciale e di soggiorno obbligato. Ci nonostante, per una strana catena di fraintendimenti fra magistratura e polizia, pot muoversi a lungo indisturbato ed infine abbandonare la clinica romana nella quale era ricoverato, dandosi ad una latitanza che durer per cinque anni. Lepisodio, e quello successivo del distacco, presso la regione Lazio del figlio di un noto mafioso, rivel le relazioni eccellenti del boss italo americano Francesco Paolo Coppola, e complicit, che coinvolgevano uomini politici laziali, magistrati di importanti uffici romani, alti funzionari di polizia. La mafia gi un problema "nazionale", nel senso che le sue capacit corruttive arrivano fino a Roma.
103. 1969- . Non solo in Sicilia La fuga di Liggio evidenzi le complicit di cui la mafia poteva godere anche fuori dellisola. Liggio del resto visse durante la sua latitanza a Milano, dove fu arrestato il 16 maggio 1974. Qualche anno dopo un giudice istruttore avrebbe ricostruito lampiezza della penetrazione mafiosa in regioni come la Lombardia, il Lazio e la Campania. Ma ancora una volta lallarme rappresentato da questi episodi non fu raccolto dalla classe politica di governo.
7. Il dominio di Cosa Nostra
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104. 1970-1971. La mafia alza il tiro. Nel 1970 scomparve misteriosamente il giornalista palermitano de LOra Mauro De Mauro, e nel 1971, con luccisione del procuratore della repubblica di Palermo Pietro Scaglione, potente e chiacchierato giudice, la mafia colpiva per la prima volta un alto magistrato. Lomicidio di Mauro de Mauro e di Pietro Scaglione rappresentarono da un lato una sorta di strategia della tensione voluta da alcune cosche mafiose, dallaltro furono il segnale della maturit dellorganizzazione mafiosa che si contrapponeva con maggior vigore alle istituzioni statali. Una risposta a chi, ancora un anno prima, si ostinava a dichiarare che la mafia non esisteva: si trattava solo di normale delinquenza. Secondo le rivelazioni di Buscetta, il giornalista aveva scoperto, durante la collaborazione con il regista Francesco Rosi, notizie sulla morte di Enrico Mattei; secondo altre ipotesti, De Mauro fu ucciso perch venne a conoscenza del fatto che il principe Junio Valerio Borghese stava pianificando un colpo di stato, il cosiddetto Golpe Borghese. Secondo Di Cristina (uno dei primi mafiosi a collaborare) Leggio avrebbe fatto uccidere Scaglione per le iniziative e le attivit che il magistrato stava prendendo e che avrebbero potuto risolversi a favore dei Rimi, suoi antagonisti ed avversari, aderenti al partito di Badalamenti.
105. 1970. Un potere reale riconosciuto anche dai golpisti Agli inizi degli anni settanta, nonostante alcune momentanee difficolt economiche, risolte con una serie di clamorosi sequestri, la mafia di nuovo potente, e riceve conferma di ci da alcune entit esterne: secondo Antonino Calderone e Buscetta, il principe nero Iunio Valerio Borghese avrebbe proposto a Cosa Nostra, riconosciuta come struttura potente con cui confrontarsi e collaborare, di partecipare al progetto di golpe da lui elaborato, offrendo come contropartita la revisione di una serie di processi gi definiti, fra i quali quelli dei Rimi di Alcamo e di Leggio (condannato allergastolo per l'uccisione di Navarra). Il fatto che lorganica compenetrazione fra mafiosi, amministratori pubblici e politici rendeva la mafia un vero e proprio potere territoriale: lo ammetteva anche la relazione sui casi di singoli mafiosi della Commissione antimafia, che tuttavia non approfondiva il tema delle responsabilit, politiche e penali, della classe di governo.
106. 1970- Prosperit e contrasti.
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I sequestri di persona non servirono solo a rimpolpare le casse: essi minarono lautorit della famiglia di Palermo centro, quella dei Bontade, garanti degli equilibri tra le cosche mafiose, classe imprenditoriale e classe politica. (nel 1975 fu sequestrato addirittura Luigi Corleo, il suocero di Nino Salvo, potente esattore delle imposte e uomo donore della famiglia di Salemi, vicina al gruppo Badalamenti-Bontade). Anche lautonomina nel 1973 di Gaetano Badalamenti, che si era dato al traffico di stupefacenti senza informare le altre famiglie, come rappresentante della provincia di Palermo, non fu accettata dai corleonesi, che nel 1975 nominarono al suo posto Michele Greco. Nel corso degli anni Settanta oltre ai sequestri di persona la principale fonte di lucro, fu rappresentata dal contrabbando di sigarette, che assunse in quel periodo dimensioni internazionali. I siciliani viaggiavano, stringevano rapporti e relazioni (utilizzando paradossalmente anche il soggiorno obbligato, che li disperdeva fuori dell'isola), entravano in contatto con altri soggetti criminali, appartenenti alla camorra e alla 'ndrangheta. In quegli anni si realizz un vero e proprio tentativo di controllo di Cosa nostra sul contrabbando, attraverso l'affiliazione nella famiglia di Porta Nuova dei due principali contrabbandieri palermitani, Nunzio La Mattina e Tommaso Spadaro, e nella famiglia di San Giuseppe Iato del napoletano Michele Zaza.
107. 1971-1974. Ancora indagini fallite, ancora assoluzioni. Dopo lomicidio di Scaglione gli sforzi degli inquirenti si concretizzarono in una serie di rapporti allautorit giudiziaria dal giugno allottobre del 1971, che condussero allincriminazione per associazione a delinquere di 114 persone e al rinvio a giudizio di 76 (giudice istruttore Filippo Neri). Nonostante lingente mole della documentazione raccolta (ben otto volumi di intercettazioni telefoniche) e la convincente ricostruzione del giudice istruttore sulla struttura di Cosa Nostra (la sua fondamentale unitariet, il suo essere un corpo separato, il comune sentire mafioso che da ci deriva, la varia articolazione dei suoi interessi, il radicamento nella societ), restarono sullo sfondo le collusioni fra mafia e politica. Il grande processo, celebratosi a Palermo nel 1974, si concluse in modo deludente: 12 assoluzioni per non aver commesso il fatto, 31 per insufficienza di prove, lievi condanne (da due a tre anni) per quasi tutti gli altri. Era il fallimento di unintera stagione di inchieste: giudici ed inquirenti lasciati troppo soli, indagini troppo settoriali e disorganiche, il tab dei rapporti fra mafia e potere. La mafia potette cos godere di unassoluta impunit, dopo le clamorose inchieste del 1971: nel 1976 la prima commissione parlamentare antimafia, istituita nel 1963, concluse la sua attivit senza che le proposte legislative formulate fossero sfociate in nessuna azione parlamentare concreta.
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108. 1973. Le rivelazioni di Leonardo Vitale, il pazzo. Leonardo Vitale, arrestato nel 1972 ma rimesso in libert il 30 settembre per mancanza di indizi, si present spontaneamente, il 30 marzo 1973, alla squadra mobile di Palermo per rivelare informazioni importanti sulla struttura di Cosa Nostra, accusandosi fra l'altro di vari omicidi. Vitale forn notizie importanti anche sulle modalit di reclutamento dellorganizzazione, sulle attivit di intimidazione ed estorsione nei confronti di molti imprenditori, rivelando i nomi di alcuni personaggi che risultarono essere affiliati a Cosa Nostra. Il giudice istruttore dellinchiesta Aldo Rizzo cerc inutilmente di valorizzare quelle confessioni, ma al processo in corte d'Assise nel 1977 Vitale, pur riconosciuto colpevole e condannato a venticinque anni, fu ritenuto pazzo e non credibile nelle accuse verso terzi. Rinchiuso in manicomio giudiziario, fu scarcerato nel giugno 1984 ed assegnato al regime di libert vigilata. Qualche mese dopo la sua morte, in seguito ad un agguato nel 1984, l'ordinanza-sentenza dei giudici di Palermo contro Abbate Giovanni+706 (l'istruttoria del primo maxiprocesso) riconoscer la veridicit delle sue affermazioni.
108 bis. 1973- I pentiti. Gi nellOttocento tutti i grandi processi di mafia si basavano su dichiarazioni rese da confidenti appartenenti allorganizzazione, che tuttavia non venivano quasi mai presentate in giudizio. Con Vitale abbiamo il primo mafioso dellepoca repubblicana che decide di collaborare apertamente con le autorit. Non verr creduto, e bisogner aspettare le rivelazioni di Di Cristina e, soprattutto, quelle di Buscetta perch le conoscenze degli inquirenti su Cosa Nostra facessero un vero e proprio salto di qualit. Sui mafiosi che decidono di collaborare con la giustizia, in cambio di sconti di pena, libert, aiuti economici, vi sono molti equivoci: lo stesso termine di pentiti ambiguo, facendo riferimento ad una dimensione etica (la sincerit del rimorso) che non pu entrare nella valutazione del ruolo del singolo collaborante. In realt senza lapporto dei collaboranti le indagini di mafia sono impossibili: agli inquirenti resta da valutare non tanto la sincerit del pentimento, quanto la veridicit delle rivelazioni ed il loro peso. Se dal punto di vista etico pu ripugnare che plurimi assassini vengano premiati, dal punto di vista degli interessi generali della societ questo risulta conveniente, tanto che la legislazione premiale rappresenta un cardine di altri paesi alle prese con criminalit di stampo mafioso (ad es., gli USA).
109. 1975- . La struttura di Cosa nostra e la commissione interprovinciale, o regionale.
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Cosa nostra una struttura segreta, nella quale si entra per cooptazione dopo aver prestato un giuramento, diffusa sul territorio, che esercita un potere sovrano, con una ripartizione delle competenze fra famiglie, ed una serie di norme che ne regolano il funzionamento. Il mondo della mafia comunque sempre in equilibrio instabile: la costituzione di una Commissione regionale nel febbraio 1975 risult un tentativo di risolvere in modo pacifico il contrasto fra le famiglie dei Badalementi-Bontate ed i corleonesi. Si trattava di un comitato di sei persone, ciascuna in rappresentanza di una provincia mafiosa della Sicilia (escluse le province di Messina, Siracusa e Ragusa). Questo organismo si doveva riunire una volta al mese in una provincia diversa, per mostrare come tutte le province contassero alla stessa maniera.. Era naturalmente una finzione: Buscetta, nel 1992, alla domanda su chi comandasse veramente nella commissione interprovinciale, rispondeva: "facciamo da uno a dieci: Palermo 10, Agrigento 8, Trapani 8, Caltanissetta 6, Catania 4". A Palermo la commissione provinciale riuniva i capi mandamento, e doveva fra laltro approvare la soppressione di uomini donore. Ma i tentativi di mettere ordine nel mondo di Cosa Nostra erano destinati al fallimento.
109 bis. 1970- Il controllo del territorio Le cosche integrano attivit illegali (rapine, racket, estorsione, traffici di stupefacenti, ecc.) ad attivit in settori legali, nelle quali non solo investono capitali illeciti, ma usano intimidazione e violenza. La vendita di protezione agli imprenditori non sempre imposta con la forza: gli imprenditori ne ricavano, infatti, soprattutto quando siano grandi o contigui alla mafia, il vantaggio di scoraggiare la concorrenza e controllare gli appalti pubblici. Va solo rilevato che la differenza specifica della Sicilia, rispetto al resto d'Italia, la natura mafiosa della corruzione e del controllo degli appalti: il che attribuisce al sistema una carica ancor pi dirompente ed eversiva: qui chi sgarra muore. Si noti che teoricamente il sistema pu fare a meno della corruzione (cio di pagare tangenti), perch si fonda sulla coercizione mafiosa direttamente nei confronti delle imprese partecipanti alle gare: nei fatti per si realizza un ampio coinvolgimento nellaffare di settori della pubblica amministrazione. I mafiosi sono imprenditori della violenza, ma solo per gli intrecci con i poteri legali (economia, finanza, politica, amministrazione) che sono riusciti a realizzare un diffuso controllo territoriale.
109 tris. 1977. Lassassinio del colonnello Russo. Listituzione della commissione regionale non contribu alla soluzione dei contrasti tra le famiglie mafiose: gli omicidi del tenente colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, ex-
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collaboratore di Dalla Chiesa, e di Filippo Costa, suo amico, avvenuti il 20 agosto 1977 a Ficuzza furono il segnale che si stava preparando un duro scontro fra gruppi. La morte di Russo fu voluta dai corleonesi. Sembra infatti che Giuseppe Russo, per conto di Salvo, cercasse di recuperare il corpo del suocero Luigi Corleo, senza il quale non era possibile sbloccare i beni a lui intestati, mancando la dichiarazione di morte presunta. Il suo assassinio era un ulteriore segnale di guerra al gruppo di Badalamenti e Bontade. Per quellomicidio: furono condannati con due ergastoli e 27 anni reclusioni tre pastori, Rosario Mul, Salvatore Bonello e Casimiro Russo. La corte d'Assise d'appello di Palermo ha revocato il 15 dicembre 1994 quelle condanne, in seguito alle dichiarazioni dei collaboranti Tommaso Buscetta, Marino Mannoia e Salvatore Cancemi, i quali hanno accusato per quei delitti Leoluca Bagarella, Pino Greco e Vincenzo Puccio.
110. 1978. Le rivelazioni di Giuseppe di Cristina. Figlio e nipote di mafiosi, rappresentante della famiglia di Riesi, grande amico di Stefano Bontate e rappresentante della provincia di Caltanissetta nella commissione regionale, nellaprile del 1978 fece importanti rivelazioni ai carabinieri, accusando i corleonesi di Liggio e preannunciando con un anno di anticipo lomicidio di Terranova, avvenuto effettivamente nel settembre 1979. Di Cristina decise di parlare in quanto si sentiva minacciato dalla famiglia dei Madonia, sostenuti dai corleonesi, di cui aveva eliminato il capo, Francesco Madonia lanno precedente. Analogamente a quelle di Vitale, anche le sue rivelazioni non ebbero seguito, ma poco dopo, il 30 maggio 1978, egli venne eliminato a Palermo: era un messaggio dei corleonesi alla fazione di Stefano Bontade. Ai funerali di Di Cristina parteciparono settemila persone, tra le quali uomini politici, funzionari pubblici, sacerdoti. Il paese di Riesi fu totalmente paralizzato per loccasione: negozi chiusi, manifesti listati a lutto. Di Cristina era in ottimi rapporti col mondo della politica: era passato da fiancheggiatore della DC a sostenere lonorevole repubblicano Aristide Gunnella.
111. 1978. Lassassinio di Giuseppe Impastato. Giuseppe Impastato, militante di Nuova Sinistra di Cinisi, fu ritrovato morto il 9 maggio 1978 lungo la linea ferroviaria Palermo-Trapani, dilaniato da unesplosione. Trenta anni, proveniente da una famiglia mafioso, aveva rotto la regola dellomert, denunciando pubblicamente a varie riprese il potere di Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi ed uno dei mafiosi pi potenti. Nonostante ci, gli inquirenti sostennero in un primo tempo la tesi di un attentato terroristico fallito, e quindi quella del suicidio. Solo la mobilitazione dei suoi compagni riusc ad indirizzare le
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indagini verso la direzione giusta: linchiesta venne riaperta dal procuratore Costa (in seguito a sua volta ucciso dalla mafia) ma i suoi assassini non sono mai stati individuati. Tuttavia l8 giugno 1996 sono state riaperte le indagini sulla sua morte, a seguito delle richieste dei famigliari e dellazione svolta dal Centro a lui intitolato. Dopo la morte del figlio la madre, che veniva essa stessa da una famiglia mafiosa, ruppe la regola dellomert, e per difendere la memoria di Giuseppe raccont la sua vicenda: le violenze, le prevaricazioni della mafia fin dentro le mura domestiche. Un coraggioso gesto di denuncia, simile a quello di Serafina Battaglia, ma con una pi coerente presa di distanza dalla mafia e dai suoi codici culturali.
112. Fine anni 70-. Scoppia il traffico di stupefacenti. Alla fine degli anni settanta le famiglie siciliane dei cugini Rosario Spatola e Salvatore Inzerillo, dei Badalementi, dei Bontade insieme alla famiglia americana dei Gambino (Carlo Gambino era cugino di Inzerillo) sostituirono i marsigliesi sia nella raffinazione della morfina base proveniente dallAsia del Sud-ovest che nella vendita delleroina allingrosso per il mercato statunitense. Le famiglie mafiose garantivano le transazioni complesse e illegali. Truffe, inganni e sospetti erano comunque allordine del giorno. Segno visibile di questa nuova attivit furono i laboratori per la raffinazione costruiti nei dintorni di Palermo realizzati grazie ai proventi ottenuti da altre attivit (edilizia, intervento pubblico, esattorie). Il traffico degli stupefacenti port una ricchezza prima impensabile (ma non per tutte le famiglie nella stessa misura) e determin la rottura della rigida compartimentazione territoriale delle famiglie determinando alleanze tra mafiosi e uomini daffari: tale commistione fu, secondo Buscetta, una delle cause scatenanti della seconda guerra di mafia.
113. 1979. Lassassinio di Boris Giuliano. Nel 1979 la mafia intraprese un attacco diretto alle istituzioni: dopo luccisione di Mario Francese, cronista giudiziario del Giornale di Sicilia, e di Michele Reina, segretario provinciale della Dc Palermitana, il 21 luglio 1979 venne colpito da un killer Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, che stava collaborando con la Dea e lFBI in indagini sul traffico degli stupefacenti. Giuliano aveva intuito, in un vuoto di conoscenze sulla mafia, che il traffico internazionale dell'eroina si stava spostando verso la Sicilia. Grazie alla sua opera, nel giugno 1979 all'aeroporto di punta Raisi erano state trovate due valigie abbandonate contenenti cinquecentomila dollari (il prezzo di una partita venduta dai siciliani), e a quello di New York era stata sequestrata eroina per dieci miliardi, proveniente da Palermo. L'8 luglio 1979 riusc a individuare in un
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appartamento sul lungomare di Romagnolo, a Palermo, eroina pura per un valore di tre miliardi ed effetti personali di Leoluca Bagarella, cognato di Salvatore Riina. Era la prova che legava i corleonesi al grande traffico di stupefacenti: tre settimane dopo Giuliano sarebbe stato ucciso.
114. 1979- . La strage. Unimpressionante catena di delitti - di uomini politici, giudici, poliziotti - delinea una strategia stragista da parte di Cosa Nostra che proseguir per tutti gli anni ottanta e la prima met degli anni novanta. E il segnale di una rivendicazione assoluta di sovranit, che non accetta limiti, e rifiuta anche le tradizionali mediazioni. Con lascesa al potere dei corleonesi di Liggio e Riina, Cosa Nostra si pone come unico potere in Sicilia. Allespansione verso est (Catania diventa in questi anni, con la compiacenza del mondo imprenditoriale e politico, un grande snodo di mafia) corrisponde la rivendicazione di un potere assoluto sul territorio siciliano. Il tutto nel disinteresse del governo: solo dopo che sar stato ucciso Piersanti Mattarella, presidente della regione, il parlamento discusse le conclusioni della Commissione parlamentare dinchiesta sulla mafia (presentate nel febbraio 1976), e solo dopo altri clamorosi omicidi (il generale Dalla Chiesa, Pio la Torre) fu approvata la legge 13 settembre 1982, n. 646, che forniva nuovi strumenti agli inquirenti per combattere la mafia, e prevedeva fra laltro una nuova Commissione parlamentare (ma senza poteri dinchiesta).
115. 1980- La seconda guerra di mafia. Lascesa dei corleonesi al vertice di Cosa Nostra si fond su una vera e propria mattanza: mille casi di omicidi e scomparsi in due anni, 1981-1982. Non si tratt di una lotta tra famiglie, come in passato, per la contesa di unegemonia quanto dellannientamento da parte di uno schieramento vincente, che ruotava attorno ai corleonesi di Liggio-Riina, alleati con i Greco, dei capi dello schieramento opposto (il gruppo Badalamenti-Bontate-Inzerillo), senza la minima reazione delle loro famiglie. Le cause sono in parte ancora oscure: pi che la presunta aggressivit e violenza dei Corleonesi sono state indicate le modifiche della struttura di Cosa Nostra introdotte con traffico di stupefacenti, che mina il monopolio territoriale delle singole famiglie, o ad una reazione dei gregari allarricchimento vistoso dei capi pi coinvolti nel traffico. Dopo la guerra lorganizzazione si presenta pi centralizzata, pi segreta e pericolosa.
116. 1982. Omicidi politici? Nel 1982 vengono uccisi tra gli altri Pio la Torre, segretario regionale del PCI, ed il generale Carlo Alberto dalla Chiesa: sono omicidi di uomini politici o che, per gli incarichi ricoperti,
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avevano a che fare strettamente con lalta politica. Molti ritengono che, almeno in alcuni di tali omicidi, la mafia abbia agito per conto terzi, e chiamano in causa poteri esterni (Massoneria, servizi segreti, ambienti politici ed istituzionali, ecc.). Una tesi che stata recentemente ripresa dai dubbi sui veri mandanti delle stragi di Capaci e via DAmelio. I mafiosi hanno avuto spesso rapporti con la massoneria, e si parlato di coinvolgimento in trame eversive: il golpe Borghese, il rapimento di Moro, la vicenda Sindona, la strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984, per la quale stato condannato allergastolo, fra gli altri, Pippo Cal, importante mafioso da tempo trapiantato a Roma. Ma Cosa Nostra non ha autonomi progetti politici: in quanto potere reale, disponibile a rapporti con altre entit, come le ha genericamente definite Buscetta nel 1992, sostenendo che nel 1979 avrebbero chiesto di ammazzare il generale dalla Chiesa, allora con incarichi fuori dellisola. Tuttavia non vi sono ancora riscontri a tale ipotesi, e daltra parte Cosa Nostra nelle alleanze non accetta posizioni di subalternit. In tal senso, non probabile che esista un terzo livello sopra quello militare e della Cupola, bens nefandi intrecci tra i poteri legali e quello criminale: ma questultimo mantiene sempre la sua fondamentale autonomia.
117. 1982-1984. Ma la mafia non esiste, ovvero mafia e politica. Nonostante quanto stava succedendo, ancora uomini pubblici rilasciavano interviste che minimizzavano il rischio mafia. Cos dopo luccisione del prefetto di Palermo, generale Dalla Chiesa, il 3 settembre 1982, il sindaco Martellucci ed il presidente della regione DAcquisto rilasciarono interviste che minimizzavano la gravit della situazione: entrambi appartenevano alla corrente andreottiana, indicata tempo prima dal generale come la pi compromessa con la mafia. Analogamente a Catania, dopo luccisione di Giuseppe Fava, coraggioso direttore de I Siciliani che in un clima che negava lesistenza stessa della mafia a Catania, forniva con circostanziate denunce una chiave di lettura del fenomeno mafioso come establishment politico e finanziario, due giorni dopo il delitto, avvenuto la sera del 5 gennaio 1984 con cinque colpi di pistola, queste furono le parole di Angelo Munzone, sindaco di Catania La mafia? E ormai dovunque, nel mondo: ma qui a Catania, no. Lo escludo. Il coinvolgimento tra mafia e mondo politico aveva raggiunto livelli che sarebbero stati apertamente affrontati solo anni dopo.
117 bis. 1983. Le donne dei mafiosi non si processano Nel maggio 1983 il tribunale di Palermo decise non doversi applicare le misure di prevenzione richieste dalla procura della Repubblica nei confronti di Francesca Citarda, moglie del mafioso Giovanni Bontade (entrambi furono uccisi il 28 settembre 1988), sostenendo la
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fondamentale estraneit delle donne allattivit della mafia. Fu una sentenza discutibile: se vero che le donne non sono ammesse in Cosa Nostra, si deve aggiungere che ben difficilmente la moglie di un mafioso estranea sia alla vita che agli interessi della mafia. Sciascia, nel Giorno della civetta, scriveva che la famiglia lunico istituto veramente vivo nella coscienza del siciliano: ma vivo pi come drammatico nodo contrattuale, giuridico, che come aggregato naturale e sentimentale. La famiglia lo Stato del siciliano. E nella sfera delleconomia domestica la donna, esclusa dalla sfera pubblica di Cosa Nostra, gioca un ruolo fondamentale, difendendo gli interessi di questa cellula primaria. Essa non solo preserva i valori su cui si basa Cosa Nostra, ma spesso ha un ruolo attivo: Antonino Caponnetto, ex capo dellufficio istruzione di Palermo, sosteneva che operasse come anello di congiunzione della catena di parentele che poi tiene unita Cosa Nostra e ne costituisce uno degli aspetti fondamentali, cio lorganizzazione familistica. I matrimoni allinterno di Cosa nostra sono veri e propri accordi fra i vertici delle famiglie (I miei giorni a Palermo. Storie di mafia e di giustizia raccontate a Saverio Lodato, Milano, Garzanti, 1992, p. 136).
118. 1983. Lassassinio di Rocco Chinnici. Chinnici reggeva lufficio istruzione di Palermo nel quale confluivano le inchieste pi scottanti. Ebbe grandi meriti. quello di affrontare il rapporto fra mafia, politica ed economia, quello di intuire lunitariet del fenomeno mafioso, quello di valorizzare lopera di un giovane magistrato, al quale affid la scottante inchiesta sul clan Spatola-Inzerillo-Gambino ed il traffico di stupefacenti fra Sicilia e Stati uniti, ma di avere intuito fin dal 1980 che solo un lavoro collettivo, un pool di magistrati specializzati in inchieste sulla mafia, poteva consentire duraturi successi investigativi e giudiziari contro Cosa Nostra. Aveva quindi iniziato listruttoria che port quindi alla storica sentenza di rinvio a giudizio contro Abbate Giovanni + 706, alla base del primo grande processo contro Cosa Nostra fatto saltare in aria il 29 luglio 1983 davanti alla sua abitazione insieme a due agenti della scorta ed al portiere dello stabile con unautovettura carica di esplosivo. In alcuni appunti privati aveva steso le sue impressioni su molti colleghi, che gli apparivano collusi con la mafia, e sugli intrecci stretti fra mafia e politica. Documentazione allegata: 232.
119. 1984. Segnali di riscossa. Il 29 settembre 1984 il pool antimafia dellufficio istruzione di Palermo, retto da Antonino Caponnetto, emetteva 336 mandati di cattura, che colpivano la struttura territoriale di Cosa Nostra, facente ormai capo ai corleonesi. Il 3 novembre 1984 venne arrestato con laccusa di associazione
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mafiosa e esportazione di capitali Vito Ciancimino, che continuava ad esercitare grande influenza sul mondo politico palermitano. Qualche tempo dopo fu la volta di Nino e Ignazio Salvo, gi potenti esattori delle tasse e uomini donore della famiglia di Salemi, in stretti rapporti con Salvo Lima. Non lasciandosi intimidire dalla recrudescenza di attentati (il 2 dicembre 1984 fu ucciso il pentito pazzo Leonardo Vitale, agli inizi del 1985 alcuni imprenditori, il 2 aprile 1985 in un attentato contro il giudice Carlo Palermo una donna ed i suoi due figli) il pool prosegu la sua attivit depositando l8 novembre 18855 la famosa sentenza-ordinanza contro Abbate Giovanni+706, firmata dal consigliere istruttore Antonino Caponnetto, ma redatta da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. I magistrati sostennero che Cosa Nostra era unorganizzazione sostanzialmente unitaria, con una direzione rigidamente verticistica e piramidale.
120. 1985. Una tragica estate. Il 28 luglio 1985 la mafia uccise il commissario Giuseppe Montana, abile capo della sezione catturandi, che, in una situazione di scarsit di mezzi, aveva conseguito importanti successi nellassicurare alla giustizia pericolosi mafiosi. Il 2 agosto, durante un interrogatorio in Questura, muore per le sevizie cui era stato sottoposto Salvatore Marino, che pesanti indizi collegavano allomicidio di Montana: lesasperazione degli agenti di polizia davanti al disinteresse delle autorit per la mattanza che li colpiva si traduceva n comportamenti inaccettabili per un Stato democratico. La risposta del governo fu immediata: la decapitazione dei vertici della questura. La risposta della mafia fu altrettanto rapida: il 5 agosto veniva ucciso il vice capo della mobile, Ninni Cassar, e lagente di scorta Roberto Antiochia. Cassar era stato autore di indagini storiche sulla mafia, ed ultimo baluardo di un nucleo di abili e coraggiosi poliziotti decapitati dalla mafia perch lasciati soli dallo Stato. Un tragica estate, che tuttavia non imped agli uomini dellufficio istruzione di continuare a lavorare, chiusi per sicurezza nel supercarcere dellAsinara, alla stesura della monumentale ordinanza di rinvio a giudizio per i vertici della mafia.
121. 1985. Segnali di rinnovamento. Leoluca Orlando sindaco di Palermo. Anche dal mondo politico siciliano cominciarono ad arrivare segnali di rinnovamento, che accoglievano una crescente richiesta di pulizia da parte della societ civile: alla fine del 1984 migliaia di studenti manifestarono per le strade di Palermo a favore degli investigatori e contro la mafia, i parenti delle vittime avevano costituito un attivo Coordinamento antimafia, alcuni parroci operavano nei quartieri degradati ad alta intensit mafiosa con una coraggiosa testimonianza di onest e verit. Dopo le amministrative del maggio 1985, che avevano visto un pesante declino
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della DC, fu eletto sindaco il giovane professore universitario Leoluca Orlando, democristiano pupillo di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione assassinato nel 1980. Per la prima volta dopo tanti sindaci reticenti, collusi, complici o impotenti un sindaco palermitano proclamava, in giro per il mondo, che la mafia esisteva e come, e rappresentava il principale problema della sua citt. Il consenso crescente che laccompagn ovunque parlasse, dimostrava che Orlando riusciva ad interpretare la volont di cambiamento dei siciliani e degli italiani onesti. La lotta alla mafia rimasta un punto fermo dei suoi programmi politici ed amministrativi.
122. 1986-1987. Un grande successo: il primo maxiprocesso Il 10 febbraio 1986 i giudici della corte di Assise di Palermo presieduta da Alfonso Giordano iniziarono il processo contro i vertici di Cosa Nostra, imputati di reati gravissimi di stampo mafioso: alla sbarra figure come Picco Cal, Michele Greco, Luciano Liggio, Ignazio Salvo. Molti i latitanti giudicati in contumacia. Fu accettata la costituzione di parte civile da parte del Comune di Palermo. Quel processo, soprannominato maxi, costitu uno dei momenti pi importanti della repressione giudiziaria della mafia, e fu seguito dai media di tutto il mondo. Il processo rappresentava la conclusione di un indagine pluriennale e di un decennio di omicidi e attentati: durante la fase processuale, che termin nel 1987, Cosa Nostra, ad eccezione di due episodi, sospese la mattanza.. Il 16 dicembre 1987, dopo pi di un mese di camera di consiglio, il presidente lesse la sentenza: 19 ergastoli, oltre 2500 anni di reclusione, 114 assoluzioni: furono i numeri pronunciati dalla Corte di Assise di Palermo dopo ventidue mesi di udienze. Sembr, e fu in effetti, un importante momento di riscossa e di successo degli avversari della mafia: la prova che i mafiosi potevano essere portati in tribunale e condannati.
122 bis. 1987. Le polemiche di Sciascia. In un articolo pubblicato sul Corriere della Sera in data 10 gennaio 1987 lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia espresse discutibili valutazioni sui pericoli di strumentalizzazione politica della lotta alla mafia. Larticolo suscit molte polemiche in quanto le sue accuse erano rivolte a due personaggi simbolo dellimpegno delle istituzioni contro le cosche mafiose, Leoluca Orlando e Paolo Borsellino che, secondo Sciascia, utilizzavano la lotta alla mafia come strumento per fare carriera. Lintellettuale siciliano, in questa occasione, commise un grave errore di valutazione delle azioni di giudici e uomini politici impegnati con coerenza in una lotta difficile. Se per Borsellino egli riconobbe in seguito di avere avuto informazioni sbagliate, e se gli va riconosciuto, come ad
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ogni intellettuale, il diritto allanticonformismo, nel caso specifico egli prest il fianco a strumentalizzazioni da parte de difensori della mafia. In ci influ sia la sua scarsa comprensione della natura di Cosa Nostra, e la considerazione di una mafia tradizionale legata a regole donore, sia lantistatalismo ricorrente di tanti intellettuali italiani, non disposti a sporcarsi le mani per questo Stato, per il quale invece giudici e poliziotti onesti, in Sicilia, si stavano facendo ammazzare.
123. 1988. La reazione. Gli omicidi di Insalaco e di Natale Mondo. Alle elezioni politiche del 1987 socialisti e radicali in Sicilia ottennero voti dalla mafia, a seguito delle loro campagne garantiste per una giustizia pi giusta e contro i magistrati. In Sicilia, a Palermo si presentarono per il partito socialista Claudio Martelli, per quello radicale Marco Pannella. Il 12 gennaio 1988 veniva ucciso Giuseppe Insalaco, sindaco di Palermo per pochi mesi, che aveva apertamente denunciato i condizionamenti dei vari comitati daffari sul Comune. Il 14 gennaio 1988 la volta di Natale Mondo, agente di polizia sopravvissuto allattentato nel quale era stato ucciso Cassar: messo incredibilmente sotto accusa per tale motivo, riusc a provare la sua innocenza, ma in tal modo dovette rivelare i delicati servizi di intelligence che aveva svolto per conto del commissario. I mafiosi non dimenticano, e Mondo fu ucciso due anni e mezzo dopo il suo commissario. Nel marzo 1988 il parlamento istitu una nuova Commissione Antimafia, con poteri inquirenti, a dirigere la quale fu nominato il comunista Gerardo Chiaromonte, ma il governo (con Gava agli interni e Vassalli alla giustizia) si mostrava sordo alle richieste dei magistrati di pi incisivi strumenti legislativi. Il problema della lotta alla mafia, ammoniva Borsellino, era essenzialmente politico.
124. 1988. Lo smantellamento del pool. La reazione militare di Cosa Nostra al maxi-processo di Palermo si esplic nella usuale serie di attentati e omicidi. Inoltre si svilupp, a livello di istituzioni, unazione volta a delegittimare chi aveva indagato, con successo, su Cosa Nostra: dalla bocciatura di Falcone alla carica di consigliere istruttore lasciata vacante da Caponnetto (gennaio 1988), fino al successivo smantellamento del pool ad opera dei magistrati messi in quel posto, che provoc una clamorosa richiesta di Falcone di passare ad altro ufficio il 29 luglio 1988. Si trattava di una strategia eseguita dai magistrati del Tribunale di Palermo e dalle componenti maggioritarie del Consiglio superiore della magistratura, con la partecipazione di ampi
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settori del mondo politico, soprattutto quelli pi direttamente coinvolti dai sospetti di collusioni con la criminalit organizzata. Quando Borsellino, nel frattempo promosso procuratore della repubblica a Marsala, lancer l'allarme in un' intervista, il pool era nei fatti gi stato smantellato, e lo stesso Borsellino verr chiamato a giustificarsi delle sue affermazioni. Infine, nellagosto 1988, a Falcone venne preferito Domenico Sica quale nuovo Alto commissario antimafia, un ambiguo organismo di coordinamento e di indagine creato dopo lomicidio di dalla Chiesa, dipendente dalla Presidenza del Consiglio e dal Ministero dellInterno.
125. 1988-1989. Dallomicidio di Saetta allattentato a Falcone. La mafia, nel frattempo, continuava ad uccidere: il 25 settembre tocc al giudice Antonino Saetta ed al figlio: Saetta, che aveva condannato in appello i capimafia Michele e Salvatore Greco per lattentato a Chinnici ed i killers del capitano Basile (ucciso a Monreale nel 1980), gi scandalosamente assolti in primo grado (ma il processo era stato annullato dalla Cassazione), si apprestava a presiedere lappello del maxiprocesso. Ci nonostante continu lo smantellamento dellesperienza del pool: il 28 gennaio 1989 ne furono estromessi ufficialmente dal consigliere istruttore i giudici Di Lello e Conte, critici dello smembramento delle indagini su Cosa Nostra fra vari uffici giudiziari. La mafia manteneva tutto il suo potere di intimidazione: nel marzo 1989 un magistrato, Gianfranco Riggio, che aveva deciso di andare a lavorare nella struttura dellAlto commissariato, denunci minacce alla sua famiglia e rinunci allincarico. Il 19 giugno 1989 falliva un attentato dinamitardo al giudice simbolo dellimpegno alla mafia, che non aveva nessuna intenzione di rinunciare: Giovanni Falcone: Falcone parl, a tal proposito, di menti raffinatissime che stavano dietro loperazione, ma lavvenimento fu sottostimato dalle autorit e dallopinione pubblica: si parl di un semplice avvertimento, e vi fu anche chi insinu lipotesi di un falso attentato, per risollevare la popolarit del giudice, sottoposto a ripetuti pretestuosi attacchi pubblici.
126. 1989. Lestate dei veleni. Il 28 giugno Falcone fu nominato procuratore aggiunto di Palermo, ma non venne messo in grado di proseguire le sue inchieste, per lostilit dei colleghi. Invece di indagare sullattentato, si prefer perdere tempo dietro accuse di un anonimo corvo, che accusava Giovanni Falcone e altri giudici ed investigatori di oscure protezioni e manovre nei confronti dei pentiti, uno dei quali, Contorno, era stato inopinatamente trovato a Palermo e sospettato di avere saldato i conti con alcuni mafiosi della fazione dei corleonesi. Venne aperta unindagine per scoprire il cosiddetto corvo di Palermo e fu sospettato un magistrato del pool antimafia della procura, il giudice
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Alberto di Pisa, poi assolto in giudizio dallaccusa, che negher ogni addebito ma confermer la sostanza delle accuse contenute nelle lettere anonime.. La vicenda coinvolger anche lalto commissario Domenico Sica, per la sua gestione confusa e ambigua del caso. Il sindaco Orlando, riprendendo alcune oscure parole del capo della polizia, Vincenzo Parisi, parler di una mafia col volto delle istituzioni. La vicenda evidenzi lisolamento di Falcone e dei giudici nei confronti non solo del palazzo di giustizia (con l'eccezione di pochi colleghi ed amici), ma anche di significativi segmenti della societ civile (gli avvocati palermitani, "Il Giornale di Sicilia: un uomo che non era amato in vita e solo dopo morto stato "glorificato", spesso strumentalmente..
127. 1990. Lomicidio di Rosario Livatino e la mafia dellagrigentino Rosario Livatino, 38 anni, sostituto procuratore della repubblica presso il Tribunale di Agrigento, fu ucciso la mattina del 21 settembre 1990, sulla strada a scorrimento veloce Caltanissetta-Porto Empedocle. Ignoto al grande pubblico, Livatino aveva in realt alle spalle un decennio di duro impegno nella magistratura; come sostituto procuratore, aveva collaborato alle indagini che avevano portato, nel maggio 1986, il G.I. Fabio Salamone al deposito dell'ordinanza sentenza contro Ferro Antonio ed altri, il cosiddetto processo della mafia di Agrigento (un ruolo importante ebbero le rivelazioni della donna del capomafia Carmelo Colletti, fatte dopo lomicidio del suo uomo). Si tratta di una mafia importante ma spesso dimenticata, perch esterna alla struttura centralizzata di Cosa Nostra: collegamenti internazionali con gli USA ed il Canad, controllo delle attivit economiche, in collusione con potenti imprenditori, eccellenti coperture politiche, che arrivavano fino all'on. democristiano Calogero Mannino, nativo di Sciacca, allora ministro e potentissimo nell'agrigentino e in Sicilia (arrestato il 13 febbraio 1995 per concorso in associazione mafiosa). Livatino era magistrato atipico nel panorama italiano: pur essendo dotato di grandi capacit professionali, egli preferiva non apparire sulla scena pubblica, non tanto per il suo carattere schivo, quanto per una precisa scelta etico-professionale a favore della sobriet e della riservatezza.
128. 1990-1991. Anni bui Sono anni di riflusso delle indagini, sotto i colpi assestati al pool dalla reazione delle istituzioni (CSM, la prima sezione penale della Cassazione diretta da Carnevale, che non si perita di annullare, spesso sulla base di cavilli ed errori interpretativi, sentenze importanti) e dallisolamento delle figure simbolo, prima di tutte quella di Falcone. Si consuma anche una rottura fra Leoluca Orlando e Falcone: il primo, che dal gennaio 1990 non pi sindaco di Palermo per il ritiro dei
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democristiani, in una trasmissione televisiva del maggio 1990 denuncia che nei cassetti del palazzo di giustizia vi sono prove sufficienti per fare chiarezza sui delitti politici, il secondo replica duramente di fare i nomi degli insabbiatori. Si arriver ad un esposto di Orlando ed altri esponenti de La Rete al CSM, l11 settembre 1991, e ad unaudizione di Falcone, chiamato a discolparsi, il successivo 15 ottobre. In realt listruttoria su quei delitti si chiude in maniera deludente: Falcone la firmer per senso di responsabilit, pur nutrendo parecchie perplessit, e quindi lascer Palermo, dopo aver subito unennesima bocciatura come candidato al CSM. Il 13 marzo 1991 inizier lattivit di direttore generale degli affari penali del ministero di grazia e Giustizia, chiamatovi dal ministro Martelli. Unaltra scelta che far discutere, con accuse a Falcone di essersi venduto ai politici. Egli tuttavia, isolato, aveva capito di non poter pi operare efficacemente a Palermo.
129. 1991. La sentenza per scarcerare i mafiosi e la reazione dello Stato. Sotto la presidenza di Carnevale, la prima sezione della Cassazione, alla quale venivano assegnati tutti i processi per mafia, contraddicendo il principio della rotazione, aveva smantellato molte delle sentenze di condanna ai processi svolti in Sicilia, spesso in base a cavilli e pretestuose motivazioni. Il culmine di questa opera si raggiunse il 26 febbraio 1991 quando, a seguito di una discutibile interpretazione sui termini della carcerazione preventiva, venivano rimessi in libert 42 boss condannati al maxiprocesso, in attesa del processo dappello. Era troppo anche per un governo fino ad allora distratto: vedere al telegiornale Michele Greco, capo della commissione di Cosa Nostra, che lasciava lUcciardone indign lopinione pubblica, e Claudio Martelli, da poco nuovo ministro di Grazia e Giustizia, propose al governo un decreto, subito emanato, che modificava le norme della carcerazione preventiva, con valore retroattivo, rimandando in carcere i mafiosi liberati. Era indubbiamente una ferita ad un principio di civilt, che tuttavia si giustificava con la gravit della situazione provocata da quella che appariva una sistematica opera di demolizione da parte di unalta istituzioni dello Stato dei risultati faticosamente raggiunti nella lotta alla mafia. Il decreto era stato suggerito da Falcone, che cos ebbe modo di dimostrare quanto avrebbe potuto utilimente operare nella sua futura posizione di direttore degli Affari penali del ministero. Successivamente bast un semplice decreto del primo presidente della Cassazione del 7 novembre 1991, che dispose la rotazione bimestrale delle sezioni penali I, II, V e VI nellanalisi dei processi per mafia: da allora la Cassazione ha cessato di rappresentare uno spauracchio per i giudici di merito e una rassicurante entit per gli imputati di mafia.
130. 1991-1992. La Dia e la DNA
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La recrudescenza della mafia (il 9 agosto 1991 fu ucciso in Calabria il procuratore della Cassazione Antonio Scopelliti, che stava preparando la requisitoria per il maxiprocesso, il 29 agosto limprenditore palermitano Libero Grassi, che aveva pubblicamente denunciato la richiesta di pizzo) e le difficolt di un quadro politico logorato dalla corruzione, dalla crisi dei conti pubblici e dal crescente consenso della Lega (che alle elezioni dellaprile 1992 prese oltre l8%) spinsero il governo Andreotti ad una rinnovata attivit. Vennero cos emanate pi efficaci leggi antimafia in vari campi. Falcone dalla sua nuova posizione di direttore generale degli Affari penali del ministero si adoper per la creazione di una procura nazionale in grado di coordinare e promuovere le indagini su tutto il territorio nazionale. Tuttavia molti magistrati (e fra essi anche Paolo Borsellino) si opponevano ad un simile progetto, timorosi per lindipendenza della magistratura e per il pericolo dellintroduzione di una doppia legislazione. Tuttavia il governo approv il piano di Falcone nel settembre 1991, e fra ottobre e novembre furono istituite per decreto la DIA (Direzione investigativa antimafia) nellambito del Dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dellInterno e la DNA (Direzione nazionale antimafia) presso la corte di Cassazione. Tuttavia Falcone, ancora una volta, trov forti opposizioni, ed il CSM propose Agostino Cordova come nuovo procuratore nazionale antimafia.
131. 1992 Lomicidio di Salvo Lima Il 17 gennaio il tribunale di Palermo condannava a dieci anni di carcere per associazione mafiosa Vito Ciancimino. Il 31 gennaio la prima sezione della Cassazione, finalmente non pi presieduta da Carnevale, confermava le condanne del maxiprocesso. Era il segnale di un pi deciso e concorde impegno dello Stato contro la mafia, alla quale le tradizionali protezioni politiche ed istituzionali non riuscivano pi a garantire impunit. La risposta era significativa: il 12 marzo 1992 venne assassinato il potentissimo Salvo Lima, eurodeputato democristiano e uomo chiave della corrente andreottiana in Sicilia. Secondo alcuni pentiti Lima era figlio di un uomo donore ed egli affiliato alla mafia e venne eliminato perch non riusciva pi a garantire la protezione giudiziaria a Cosa Nostra. Il referente nazionale di Lima, Andreotti, sarebbe personalmente intervenuto in varie circostanze presso uomini di mafia per garantire quell'apporto di Cosa Nostra alla sua corrente politica che ha attraversato vari momenti di crisi..
132. 1992: La strage di Capaci. Il 23 maggio 1992 a Capaci, sullautostrada imbottita di esplosivo, Cosa Nostra regola definitivamente i conti col magistrato che pi aveva contribuito ad infliggerle gravi colpi: persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Antonio Montinari,
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Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Fu unazione terroristica che tuttavia segnalava un grave momento di debolezza di Cosa Nostra: se ancora i capi erano latitanti, il cerchio protettivo che aveva garantito per decenni la loro impunit stava per spezzarsi. Il 17 febbraio, 1992, con larresto di un oscuro burocrate milanese, il socialista Mario Chiesa, era cominciata Tangentopoli, alle elezioni politiche del 5 aprile i partiti governativi avevano avuto un clamoroso tracollo, e la Lega lombarda era diventata il primo partito del Nord, il presidente della repubblica Cossiga si era dimesso e lelezione del nuovo presidente divideva i partiti, il quadro politico era in movimento, nessuno poteva pi garantire vecchie alleanze e protezioni. Enorme fu limpatto emotivo: fu proclamata una giornata di lutto e lo sciopero generale in Sicilia, ai funerali decine di migliaia di cittadini manifestarono la loro indignazione contro la mafia ed i politici, accusati di corruzione e complicit. Il funzionario che nella sua vita recente aveva conosciuto grandi amarezze e ostilit, e ci nonostante aveva continuato a svolgere il suo dovere, venne improvvisamente esaltato anche da chi laveva fino ad allora ostacolato o calunniato.
133. 1992. Il movimento dei lenzuoli La mafia fonda il suo potere non solo sulla debolezza e sulla colpevole arrendevolezza delle istituzioni statali, o sui rapporti con la politica, ma anche sul consenso, esplicito e convinto, di una minoranza di siciliani, e sull'indifferenza di una quota ben pi consistente di loro. Dopo l'assassinio del commerciante palermitano Libero Grassi, il 29 agosto 1991, la famiglia chiam in causa la "mafiosit" della gente di siciliana, ricordando l'isolamento nel quale il loro congiunto era stato lasciato. Dopo il funerale di Falcone, le reazioni dei palermitani furono diverse: cos alle finestre e ai balconi di molte case furono esposte lenzuola con poche parole, di sdegno, di dolore, di rifiuto della mafia. Quellepisodio rappresent in qualche modo il simbolo di un movimento di resistenza civile: la Palermo che voleva lottare riscopr un impegno politico che tuttavia salta ormai la mediazione storica dei partiti e dei sindacati. Un'esperienza nuova, che scontava la crisi delle forme tradizionali di mobilitazione politica, ed era gi in qualche modo post-partitica. E' un'esperienza importante perch,la societ civile si mobilitava, al di fuori delle tradizionali logiche politiche, nella ricerca di forme di presenza e di lotta alla mafia che segnassero una rottura con il passato, nel quale troppo spesso avevano prevalso silenzio e omert.
134. 1992. La strage di via dAmelio. Sono mesi terribili, quelli dell'estate 1992: il 19 luglio va in onda la cronaca di una morte annunciata: il giudice Borsellino, dal dicembre 1991 tornato a Palermo come procuratore
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aggiunto, il predestinato perch lopinione pubblica, ma anche incaute affermazioni di uomini di governo, lo indicavano come l'erede di Falcone, viene ucciso davanti all'abitazione della madre in via D'Amelio da un'autobomba, con i cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi. Segu la scena tragica dei funerali degli agenti di scorta (la famiglia Borsellino rifiut i funerali di Stato), dai quali incredibilmente si tent di tenere lontani proprio i palermitani, per paura del ripetersi di quelle contestazioni alle autorit che si erano manifestate ai funerali di Falcone. Sembrava che Cosa Nostra avesse vinto: tutto finito, aveva commentato piangendo in un momento di scoramento (subito dopo superato) lanziano giudice Antonino Caponnetto, padre putativo di Falcone e Borsellino. Ma, in un soprassalto di attivismo, segu lo sbarco in Sicilia dei soldati inviati a presidiare militarmente un territorio occupato dalla mafia, lapprovazione del programma di protezione dei collaboranti di giustizia, linvio dei boss detenuti nelle carceri di massima sicurezza e la definizione di un regime carcerario particolare (art. 41 bis ordinamento penitenziario), la rimozione dei funzionari inetti (a dirigere la procura di Palermo fu mandato il magistrato torinese Caselli, mentre Gianni De Gennaro, gi collaboratore di falcone, and a dirigere la DIA), la cattura dei primi latitanti, a dimostrazione che,quando c' la volont politica, arrivano anche i successi dell'attivit investigativa.
8. Cosa Nostra verso la crisi?
135. 1992-1993. La riscossa. La frana del quadro politico (il 18 e 19 aprile passa il referendum che modifica in senso maggioritario il sistema elettorale, nel luglio si scioglie la Democrazia Cristiana, i socialisti sono travolti dagli scandali e le corruzioni) si ripercuote anche, in senso positivo, nella lotta alla mafia: i giudici lavorano alacremente, ed il 21 ottobre emettono 24 ordini di cattura contro boss per lomicidio Lima, che risulta essere stato organico a Cosa Nostra. Il 19 novembre vengono arrestati a Catania i grandi imprenditori Giuseppe e Pasquale Costanzo, collusi con la mafia catanese. Il 24 dicembre 1992 a Palermo, il funzionario del SISDE Bruno Contrada, per concorso in associazione mafiosa (il 5 aprile 1996 verr condannato in primo grado a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, in un processo che susciter dubbi e polemiche dalla parte pi garantista dellopinione pubblica). Cadute le coperture politiche e istituzionali, furono catturati, in una breve sequenza, latitanti che sembravano storicamente imprendibili: Salvatore Riina, capo di Cosa nostra, viene preso a Palermo il 16 gennaio 1993. Il 23 aprile il CSM sospende dalle funzioni
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e dallo stipendio il giudice Corrado Carnevale, per vicende collegate al crack della flotta Lauro. La commissione antimafia, diretta da Luciano Violante, svolge un importante lavoro di audizioni di collaboratori di giustizia, dibattiti, discussione di provvedimenti di legge, stimolo del Parlamento e dellopinione pubblica
136. 1993: Mafia e politica Dopo anni di silenzi e reticenze, il 6 aprile la Commissione parlamentare antimafia approva la relazione sul rapporto fra mafia siciliana e politica: dopo anni di reticenze e dinieghi, per la prima volta una relazione ha affrontato esplicitamente i rapporti tra mafia e politica ed stata approvata a grande maggioranza, con il parere favorevole anche dei commissari democristiani La mafia viene descritta come "una organizzazione formale, dotata di regole e di capi, di un esercito armato e di potenti circuiti finanziari": da qui "il carattere di "Stato nello Stato" che Cosa Nostra tende ad assumere", con una propria strategia politica, che consiste nella "naturale propensione dell'organizzazione a creare e sostenere condizioni politiche che la favoriscano". La relazione sottolinea che Cosa Nostra tende ad esercitare un "dominio" reale nei confronti dei politici che accettino i suoi favori, ma rileva anche che "il politico non costretto ad accettare i voti di Cosa Nostra e se li accetta non pu non sapere quali saranno le richieste e gli argomenti dei suoi partners". Non vi dubbio che gli elementi raccolti nella relazione implicano una netta condanna e presa di distanza da quel "metodo" che aveva portato ad un rapporto strettissimo fra mafia siciliana, uomini politici, poteri pubblici.
137. 1993-2004. Le accuse a Giulio Andreotti. Il 27 marzo 1993 la procura di Palermo ha trasmesso al Senato unautorizzazione a procedere contro il Senatore Andreotti, accusato di essere stato il principale referente politico nazionale di Cosa nostra, in qualit di capo della corrente della DC cui faceva riferimento Salvo Lima. Il Senato ha concesso lautorizzazione, e il 2 marzo 1995 il GIP di Palermo ha disposto il rinvio a giudizio di quello che stato uno degli uomini politici pi potenti e significativi della storia dellItalia repubblicana. Laccusa di concorso esterno in associazione mafiosa Il 26 settembre 1995 cominciato a Palermo il dibattimento. Si tratta di un processo indiziario, basato su un ampio lavoro di ricostruzione storica dei rapporti mafia-politica, sulle dichiarazioni di molti collaboranti, su riscontri che la procura sostiene di avere trovato. Il senatore Andreotti respinge tutti gli addebiti, e dalla sua parte si sono schierati anche uomini politici come lex deputato comunista Emanuele Macaluso. Nellagosto 1997 anche il presidente del consiglio
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Romano Prodi ha dichiarato di trovare difficile immaginare Andreotti come un mafioso, suscitando molte polemiche Mentre la sentenza di primo grado, emessa il 23 ottobre 1999, lo aveva assolto perch il fatto non sussiste, la sentenza di appello, emessa il 2 maggio 2003, distinguendo il giudizio tra i fatti fino al 1980 e quelli successivi, stabil che Andreotti aveva commesso il reato di partecipazione all'associazione per delinquere (Cosa Nostra), concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980, reato per estinto per prescrizione. Per i fatti successivi alla primavera del 1980 Andreotti stato invece assolto. Sia l'accusa sia la difesa presentarono ricorso in Cassazione, l'una contro la parte assolutiva, e l'altra per cercare di rifiutare la prescrizione e consentire di indagare a fondo (come pot fare solo il giudice di primo grado). Tuttavia la Corte di Cassazione il 15 ottobre 2004 rigett la richiesta di poter rifiutare la prescrizione (possibile solo nel processo civile) confermando la prescrizione per qualsiasi ipotesi di reato prima del 1980 e l'assoluzione per il resto.
138. 1993. La condanna della Chiesa Il rapporto fra Chiesa e mafia non sempre stata di aperta condanna: alti prelati come il cardinale Ruffini negavano lesistenza della mafia, e fin dallinizio vi furono stati sacerdoti coinvolti nelle attivit della mafia: si pensi, solo nel dopoguerra, alle vicende dei frati cappuccini di Mazzarino (processati nel 1962 e condannati per associazione a delinquere, estorsione ed omicidio colposo), alluccisione, il 6 settembre 1980, nel convento di S. Maria del Ges, a Palermo, di frate Giacinto (Stefano Castronovo), intimo dei Bontate, o a padre Agostino Coppola, cugino del gangster Frank Coppola, coinvolto nel sequestro di Rossi di Montelera, avvenuto nel 1973, e rinviato a giudizio nel 1995 come appartenente alla famiglia mafiosa di Partinico. Le ragioni di queste relazioni sono molteplici: da un lato i mafiosi utilizzano la religione come elemento di presa fra la gente (si pensi alle sponsorizzazioni da parte di noti boss delle processioni, o al recente caso della religiosit esibita dal mafioso Pietro Aglieri, catturato nel 1997), dallaltro la Chiesa ha sempre fatto parte in Sicilia del potere (ed i sacerdoti delle classi dirigenti) coinvolto in relazioni con la mafia. Tuttavia sempre pi sacerdoti danno lesempio, nelle comunit di base o in parrocchie in zone particolarmente disagiate, di un coerente impegno contro la mafia. Perci ha segnato un importante passo in avanti la condanna ferma pronunciata da papa Wojtyla il 9 maggio 1993, nella valle dei tempi di Agrigento. Una presa di posizioni della massima autorit ecclesiastica che, seppure tardiva, ha rappresentato un ulteriore fattore di isolamento di Cosa Nostra.
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139. 1993 . La reazione di Cosa Nostra: le bombe di Milano, Roma e Firenze. Cosa Nostra, in grave difficolt, reagisce ricorrendo ancora alla violenza: il 17 settembre 1992 vengono liquidati i conti anche con Ignazio Salvo, ex potente esattore delle imposte e cerniera fra le famiglie mafiose e Salvo Lima. Il 14 maggio 1993 esplode una bomba in via Ruggero Fauro, a Roma: secondo gli inquirenti, obiettivo era il presentatore televisivo Maurizio Costanzo, attivo nellinformazione contro la mafia. Il 27 maggio, a Firenze, in via dei Georgofili, dietro la Galleria degli Uffizi, esplode unautobomba, facendo 4 morti (unintera famiglia) e provocando gravi danni al patrimonio artistico. Il 27 luglio la volta di Milano (autobomba in via Palestro, con 5 morti) e di Roma (autobombe a S. Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro). Gli inquirenti sono convinti che dietro questi attentati stia Cosa Nostra: si tratterebbe di messaggi allo Stato per ammorbidire il regime carcerario duro inflitto ai boss mafiosi (art. 41 bis) e interrompere la riscossa delle istituzioni contro Cosa Nostra, basata su un crescente numero di collaboratori di giustizia. Gli stessi magistrati, tuttavia, ritengono che in tale circostanza (come in altri attentati, compresi gli omicidi di Falcone e Borsellino) Cosa Nostra non abbia agito autonomamente, ma su suggerimento, o mandato, di poteri esterni, localizzabili anche nelle istituzioni. Tuttavia finora non si riuscito ad individuare la natura di questi poteri, e gli uomini coinvolti: si tratta perci, allo stato dei fatti, di unipotesi investigativa e di un ragionamento indiziario, sul quale ancora non sono state prodotte allopinione pubblica prove convincenti. Le indagini sono tuttora aperte. Per quegli episodi sono stati rinviati a giudizio il 15 giugno 1996 davanti alla Corte dAssise di Firenze 30 imputati: fra essi Riina, Bagarella, Brusca, i fratelli Graviano, Giuseppe Ferro, Matteo Messina Denaro. La vicenda giudiziaria si conclusa il 6.5.2002 con la conferma, da parte della Cassazione, di 15 ergastoli, ma stata recentemente riaperta con indagini relative ai rapporti fra mafiosi e segmenti dello Stato e del mondo politico.
139 bis. 1993. Una trattativa con lo Stato? La stagione stragista della mafia le bombe che nel 1993 sconvolsero Firenze, Milano e Roma rappresenta un qualcosa di nuovo nella storia della criminalit organizzata siciliana: fino ad allora, infatti, Cosa nostra non aveva agito al di fuori dellisola in maniera cos massiccia, ed utilizzando uno strumento le bombe piazzate in luoghi aperti al pubblico che rimanda al terrorismo politico, piuttosto che ai metodi classicamente utilizzati dalla mafia. Per la verit non era la prima volta che la mafia siciliana veniva implicata in trame eversive: a partire dalla fine degli anni cinquanta, infatti, le collusioni fra esponenti siciliani dei partiti di governo e le organizzazioni mafiose furono inserite, tramite la moderna struttura nazionale dei
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partiti e il ruolo delle correnti al loro interno, in un circuito pi ampio, e Cosa nostra riusc ad accrescere la sua capacit di influenzare le istituzioni statali e la stessa attivit legislativa del Parlamento (ad esempio, riuscendo a bloccare a lungo il varo di una efficace legislazione antimafia). Analogamente, momenti di ammodernamento e democratizzazione della struttura istituzionale, come la creazione della Regione a statuto speciale, il crescente decentramento della spesa pubblica, il crescere e l'articolarsi dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno, hanno rappresentato per Cosa nostra altrettante occasioni di rafforzare la propria sovranit territoriale in Sicilia (espandendosi anche in province che originariamente erano interessate marginalmente alla sua attivit), e di conseguenza la propria dimensione nazionale di gruppo di pressione. E in questottica che vanno letti i passati rapporti di Cosa nostra con logge massoniche siciliane, in particolare con quelle che si richiamavano all'obbedienza della massoneria di Piazza del Ges, o il suo tentato coinvolgimento in trame eversive e golpiste a partire dagli anni settanta (il tentativo di golpe Borghese, il rapimento di Aldo Moro, la vicenda Sindona, la strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984, per la quale la corte d'Assise di Firenze ha condannato all'ergastolo, fra gli altri, Pippo Cal, capomafia della famiglia di Porta Nuova da tempo stabilitosi a Roma, dove intratteneva rapporti con la banda della Magliana e con terroristi di destra). Ci non dimostra, tuttavia, che Cosa Nostra in quanto tale avesse un proprio progetto politico, ma solo che essa, in quanto potere territorialmente fondato, poteva essere disponibile a rapporti con altre entit nazionali, quando ritenesse che queste potessero favorire i propri interessi. In ultima analisi, la sua partecipazione alla strategia della tensione era stata subalterna ad altri centri di potere occulto che si muovevano a livello nazionale. Un cambiamento in questa posizione sembra invece essersi realizzato proprio con le stragi del 1993, nelle quali lorganizzazione criminale appare coinvolta organicamente ed in prima persona, con una decisione che avrebbe coinvolto i propri membri pi significativi, e con un disegno politico che andava ben al di l dellisola. Su quegli episodi la magistratura fiorentina ha indagato, e vi sono alcune verit accertate in vari gradi di giudizio; e tuttavia rimangono ancora aperti interrogativi in particolare sullautonomia delliniziativa stragista di Cosa nostra, o sul suo carattere eterodiretto, tesi questa sostenuta con forza da alcune parti civili che lazione della magistratura non finora riuscita a chiarire, e che sono discusse in un procedimento oggi in corso davanti alla Corte dAssise di Firenze, unico imputato Francesco Tagliavia, boss di Brancaccio gi condannato allergastolo per lattentato a Borsellino.
140. 1993. Lomicidio di padre Puglisi.
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Il 15 settembre 1993 un killer solitario ha ucciso davanti alla sua abitazione padre Giuseppe Puglisi, parroco di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio. Svolgeva, come molti altri sacerdoti in parrocchie a rischio, un apostolato concreto a favore di giovani, tossicodipendenti, sbandati, e contro la violenza e la prepotenza mafiosa. Era una presenza scomoda per la mafia, soprattutto dopo le parole di condanna del Papa, e per la prima volta un sacerdote caduto combattendo dalla stessa parte delle barricate di Falcone e Borsellino. Una presenza tuttavia non isolata: dopo la sua morte, otto sacerdoti impegnati sullo stesso fronte hanno scritto una lettera aperta al pontefice, chiedendogli un forte segno della Sua presenza tra noi. La Chiesa appare ad un bivio: da una parte sacerdoti che donano la propria vita nellimpegno quotidiano contro la mafia, dallaltra ancora ambigui intrecci: nel 1993 viene messo sotto inchiesta con laccusa di avere percepito tangenti per i lavori di ristrutturazione del Duomo il vescovo di Monreale, monsignor Salvatore Cassisa. Il suo segretario, don Mario Campisi, stato accusato di avere favorito la latitanza del boss corleonese Leoluca Bagarella.
141. 1993. Mafia e intellettuali. Sebastiano Vassalli in unintervista del 6 luglio ha sostenuto che gli scrittori siciliani hanno chiuso gli occhi davanti alla realt della mafia, perch contaminati da una cultura omertosa che avrebbe loro impedito di scrivere di quel fenomeno criminale tipico della loro terra: ha portato ad esempio Pirandello e Sciascia, meno efficace del solito quando analizza il rapporto fra mafia e potere, ricevendo varie repliche risentite, e anche qualche insulto gratuito. La polemica, ripresa dopo qualche mese, a seguito della pubblicazione del romanzo di Vassalli Il Cigno, si concentrata soprattutto su Sciascia, e sulle sue ambiguit non solo come polemista (si ricordi larticolo sui professionisti dellantimafia), ma anche come scrittore. Il punto che la mafia per Sciascia non cessava di essere soprattutto un "modo d'essere" dei siciliani, la rivelazione di uno loro particolare stato d'animo, di un atteggiamento nei confronti del mondo, della vita e della morte, al quale egli, proprio in quanto siciliano, in qualche modo partecipava, verso il quale si sentiva oscuramente attratto, come verso tutte le manifestazione di quella Sicilia che gli appariva "metafora" di un universo pi ampio. E ci spiega la sua estraneit alloperato di coloro, giudici e politici,che cercavano di lottare non contro la mafia-metafora, ma contro la mafia- organizzazione, quella Cosa Nostra che Sciascia confessava di non comprendere.
142. 1994. La mafia nella seconda repubblica. Il 27 e 28 marzo lItalia entra nella cosiddetta seconda repubblica: Silvio Berlusconi, imprenditore milanese a capo di un impero economico fondato sulle televisioni, vince le elezioni
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alla testa di un raggruppamento, Forza Italia, presentato come alternativo ai tradizionali partiti. Il suo nuovo governo, tuttavia (unalleanza con la Lega di Umberto Bossi, Alleanza Nazionale, e partiti cattolici sorti dalle ceneri della DC), si pone ben presto in urto, a causa del coinvolgimento del suo presidente in inchieste sulla corruzione, con i magistrati, autori principali di quella rivoluzione che aveva portato alla fine del vecchio quadro politico, travolto dalle inchieste di Tangentopoli, ma anche dalla scoperta e denuncia dello stretto intreccio fra mafia e politica. Nella maggioranza e nel governo viene lasciato ampio spazio ad un garantismo spesso tendenzioso e provocatorio, con proposte di revisione in senso restrittivo della legislazione sui pentiti, con minimizzazioni sulla gravit del fenomeno mafioso (lo stesso on. Berlusconi sostenne che di mafia si parla troppo, ledendo il buon nome dellItalia), con proposte di sospensione del regime carcerario duro per i mafiosi (il famoso art. 41 bis) e d riforma della custodia cautelare. Il ministro di Grazia e Giustizia, il liberale Alfredo Biondi, ha improntato la sua azione di governo ad unastiosa polemica contro i magistrati, piuttosto che al sostegno delle loro inchieste in materia di corruzione e di criminalit organizzata. N la situazione cambier molto quando Berlusconi verr sostituito, nel dicembre, da Dini, alla guida di un ministero tecnico. La commissione antimafia, sotto la guida dellon. Tiziana Parenti, ex magistrato di Milano in forte polemica con i suoi ex colleghi, perde quellincisivit e quel ruolo che aveva avuto nella precedente legislatura.
143. 1995. Ancora polemiche. Il 5 marzo 1995 si suicida a Palermo il maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo, che per quindici anni aveva comandato la stazione di Terrasini, e dal giugno 1994 era passato al reparto operativo speciale del capoluogo. in tasca una lettera nella quale si accusava i suoi superiori di averlo lasciato solo. Era impegnato in delicate indagini sulla mafia, ma era stato sfiorato da sospetti su una presunta acquiescenza degli investigatori in quel comune ad alta intensit, manifestati da Leoluca Orlando (nel 1993 eletto direttamente sindaco di Palermo con una maggioranza del 75% dei voti) e dal sindaco di Terrasini, Manlio Mele. Il caso apr una serie di inquietanti interrogativi, di strascichi e polemiche, e non stato mai chiarito. Sembrava di essere tornati al clima dellestate dei veleni (1989). Il 16 febbraio 1995 venne finalmente approvata la legge che proroga il regime carcerario particolare per mafiosi (41 bis) fino al 31 dicembre 1999: era la normativa che molti politici garantisti volevano abrogare. Nonostante ci, ed i nuovi successi che nella lotta a Cosa Nostra (il 24 giugno 1995 fu arrestato Leoluca Bagarella, genero di Riina e uno dei principali capi di Cosa Nostra), attorno ai magistrati palermitani non vi era pi quel consenso (apparentemente) unanime
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che li aveva accompagnati nei due anni successivi alle morti di Falcone e Borsellino: in occasione di un convegno, lo denunci apertamente, nel maggio 1995, Giancarlo Caselli, procuratore capo di Palermo.
144. 1995. I mafiosi e la famiglia. Nel novembre del 1995 i giornali riportarono la notizia che Maria Concetta Riina, figlia diciannovenne di Tot Riina, indicato da tutti come il capo di Cosa Nostra, era stata eletta nel consiglio distituto del liceo di Corleone. La notizia suscit numerosi commenti. A chi sosteneva che i figli non dovevano essere ritenuti colpevoli delle colpe dei padri, e che ad una figlia non si poteva chiedere di rinnegare il genitore, rispose Ilda Boccassini, sostituto procuratore di Milano, reduce da un distacco di alcuni anni presso la procura di Caltanissetta, dove aveva indagato sulle stragi di Capaci e Via dAmelio. La Boccassini poneva una domanda precisa: in che misura la figlia avesse preso coscienza dei delitti del padre, e quante mogli, figli e madri di mafiosi che non si sono pentiti si sono dissociati dai loro congiunti: insomma, in che misura i legami naturali di sangue abbiano coperto, e coprano, le attivit criminali dei mafiosi. La risposta ampiamente negativa: ancora oggi pochi sono i casi di dissociazione che evidenzino una crisi delle regole dellonore declinate secondo i codici mafiosi (fra questi, il caso recente di Rosalia Basile, moglie del pentito Scarantino).
145. 1996-1997. Successi e incomprensioni Apparentemente sono anni di successi continui nella lotta a Cosa Nostra: cresce il numero di arresti eccellenti (il 20 maggio 1996 la volta di Giovanni Brusca, il 6 giugno 1997 di Pietro Aglieri), i giudici procedono nelle inchieste sui rapporti fra mafia e affari (nellestate del 1996 incriminato per concorso esterno in associazione mafioso Marcello DellUtri, alto manager della Finivest, e il 20 maggio 1997 rinviato a giudizio), si concludono i primi processi per le stragi del 1992, aumenta vertiginosamente il numero di collaboratori di giustizia, alla DNA viene nominato Pierluigi Vigna, procuratore capo di Firenze, responsabile fra laltro delle indagini sulle bombe del 1993. Ma fra magistrati e politici non sembra instaurarsi un rapporto sereno, nonostante il cambiamento del quadro politico dopo le elezioni del 21 marzo 1996, con un governo di centro sinistra presieduto da Romano Prodi): le polemiche sulleccessivo potere dei giudici, sulla separazione delle carriere fra magistratura inquirente e giudicante, investono anche la magistratura impegnata sul fronte antimafia, in particolare quella palermitana. Riesplodono le polemiche sui pentiti e la loro utilizzazione, sulle garanzie degli imputati nel processo penale, e le nuove norme
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emanate dal governo (revisione in senso restrittivo della legislazione sui collaboratori di giustizia, revisione dellart. 513 del codice di procedura penale) troveranno la ferma opposizione di una parte dei magistrati impegnati sul fronte della criminalit organizzata. La commissione antimafia mantiene, sotto la presidenza di Ottaviano del Turco, il basso profilo che laveva caratterizzata nella precedente legislatura.
146. 1997. Quesiti. Cosa Nostra in difficolt ma non sconfitta. I ripetuti ritrovamenti di arsenali, con armi da guerra di grande potenza, la crudelt che continua a dimostrare verso i parenti dei collaboratori di giustizia (il figlio undicenne di Santino Di Matteo, Giuseppe, stato sequestrato, tenuto prigioniero per pi di due anni per convincere il padre a ritrattare, infine strangolato e sciolto nellacido da Giovanni Brusca), i rapporti ancora stretti con imprenditori, le grandi disponibilit finanziarie accumulate negli anni passati, e toccate solo in minima parte, ne fanno ancora una realt potente. Ancora vanno chiariti i sospetti, da molte parti avanzati, sui presunti mandanti di stragi ed omicidi eccellenti, n sembra potersi affermare che il controllo del territorio le sia sfuggito di mano. Per di pi, si forse aggravata la situazione di regioni come la Campania, dove nellestate del 1997 stato inviato lesercito per contrastare il potere dei clan di camorra, e sono molte le situazioni del Nord (Milano ed il suo hinterland in primo luogo) dove si radicata una criminalit mafiosa, con collegamenti con le cosche di origine. Milano oggi la capitale europea del narcotraffico. Tuttavia indubbio che siamo in un momento cruciale nella lotta a Cosa Nostra: i ripetuti successi dei magistrati e degli investigatori sono arrivati a disarticolare la vecchia struttura dei corleonesi, lorganizzazione non occupa pi la centralit di prima nel traffico internazionale di stupefacenti, il consenso che riscuoteva in una parte della societ siciliana si indubbiamente abbassato. Non chiaro quale sia la strategia elaborata dai boss rimasti in libert, n se si stia verificando un ricambio ai vertici dellorganizzazione. Inoltre il potere di cosche mafiose non comprese nella struttura centralizzata di Cosa Nostra (come la Stidda dellagrigentino) rimane forte, nonostante anche esse siano state colpite da alcuni processi. I magistrati non si stancano di ripetere che la battaglia non ancora vinta: il vero nodo appare ora la confisca dei beni dei mafiosi e il mantenimento di un alto grado di autonomia ed efficienza investigativa, anche in presenza di una normativa che si sta evolvendo in senso garantista. Ma per ci necessario che i rapporti fra mafia, politica ed istituzioni vengano tagliati di netto: ed anche su questo, necessario ancora vigilare ed indagare.
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148. 2001-2011. Salvatore Cuffaro Salvatore Cuffaro detto Tot (Raffadali, 21 febbraio 1958) un politico e medico italiano, presidente della Regione siciliana dal 17 luglio 2001 al 18 gennaio 2008. stato condannato definitivamente a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio. Durante la sua prima presidenza alla Regione Siciliana Cuffaro entrato, insieme ad altri, nel registro degli indagati per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta sui rapporti tra il clan di Brancaccio e ambienti della politica locale. Con gli elementi raccolti, gli inquirenti ritengono che, attraverso Antonio Borzacchelli e Miceli (precedentemente assessore UDC al Comune di Palermo, legato a Cuffaro) e grazie alle talpe presenti nella Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, Cuffaro abbia informato Giuseppe Guttadauro, boss mafioso ma anche collega medico di Miceli all'Ospedale Civico di Palermo, e Michele Aiello, importante imprenditore siciliano nel settore della sanit, indagato per associazione mafiosa, di notizie riservate legate alle indagini in corso che li vede coinvolti. Nel settembre del 2005, Cuffaro per questi fatti, negati dall'interessato, stato rinviato a giudizio per favoreggiamento aggravato alla Mafia e rivelazione di notizie coperte da segreto istruttorio, mentre non stata accolta l'accusa di concorso esterno. Secondo il GUP accertato che abbia fornito all'imprenditore Aiello informazioni fondamentali per sviare le indagini, grazie a una fonte non ancora nota, incontrandolo da solo in circostanze sospette, riferendo che le due talpe che gli fornivano informazioni sulle indagini che lo riguardavano erano state scoperte. Nell'incontro, anche una discussione riguardante l'approvazione del tariffario regionale da applicarsi alle societ di diagnosi medica posseduta dall'imprenditore. Aiello ha ammesso entrambi i fatti, Cuffaro afferma soltanto che si sia discusso delle tariffe. Il GUP ipotizza inoltre che il mafioso Guttadauro sia venuto a conoscenza da Cuffaro delle microspie, in funzione del suo rapporto con Aiello, sempre per via del contatto con i due marescialli corrotti, in servizio ai nuclei di polizia giudiziaria della Procura di Palermo, uno dei quali stato l'autore del piazzamento delle microspie. Secondo una perizia ordinata dal tribunale nel corso del processo a Miceli, nei momenti in cui si scoperta a casa di Guttadauro la microspia, sarebbero state confermate le testimonianze secondo le quali la moglie del boss mafioso ha dato merito a Tot Cuffaro del ritrovamento. Nel dicembre 2006, Miceli stato condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, condanna confermata in appello il 16 ottobre 2008, con pena ridotta a sei anni e mezzo.
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Il 15 ottobre 2007 il procuratore aggiunto del processo a Cuffaro, Giuseppe Pignatone, ha chiesto 8 anni di reclusione per l'attuale Presidente della Regione Siciliana, per quanto riguarda i seguenti capi d'imputazione: favoreggiamento a Cosa Nostra rivelazione di segreto d'ufficio Il 18 gennaio 2008 Cuffaro viene dichiarato colpevole di favoreggiamento semplice nel processo di primo grado per le 'talpe' alla Dda di Palermo. La sentenza di primo grado condanna Cuffaro a 5 anni di reclusione nonch all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Cuffaro assiste alla lettura della sentenza nell'aula bunker di Pagliarelli e dichiara immediatamente di non essere intenzionato ad abbandonare il suo ruolo di presidente della Regione Siciliana. Il 24 gennaio 2008 l'Assemblea regionale siciliana respinge la mozione di sfiducia (53 voti contro 32) presentata dal centrosinistra. Nonostante il voto di fiducia del Parlamento siciliano, Cuffaro si dimette due giorni dopo, nel corso di una seduta straordinaria dell'Assemblea. Il processo d'appello iniziato il 15 maggio 2009 alla terza sezione della Corte d'appello di Palermo. inoltre accusato dal pentito di mafia Massimo Ciancimino (figlio dell'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino) di aver intascato tangenti. Per questo iscritto nel registro degli indagati della DDA di Palermo per concorso in corruzione aggravata dal favoreggiamento di Cosa Nostra assieme ai politici dell'Udc Saverio Romano e Salvatore Cintola e del Pdl Carlo Vizzini. La condanna all'interdizione perpetua dai pubblici uffici non gli impedisce di sedere in Parlamento come Senatore nelle file dell'UDC. Nell'ottobre del 2009 il pentito Gaspare Romano, imprenditore condannato per aver favoreggiato Giovanni Brusca, accusa Cuffaro di aver partecipato ad un pranzo con i mafiosi Santino Di Matteo, uno degli assassini di Giovanni Falcone, ed Emanuele Brusca, fratello di Giovanni[20]. Nello stesso periodo gli perviene un nuovo avviso di conclusione delle indagini per concorso esterno in associazione mafiosa, fatto che presuppone un nuovo rinvio a giudizio. La Magistratura presume che Cuffaro sia stato sostenuto elettoralmente dalla mafia sin dall'inizio degli anni novanta e che perci sia a disposizione delle cosche[21]. Il 23 gennaio 2010 la Corte d'Appello di Palermo condanna Cuffaro a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato nel processo 'talpe alla Dda'. Rispetto alla sentenza di primo grado la pena stata inasprita di ulteriori due anni, con l'aggravante di aver favorito Cosa Nostra. Dopo la sentenza Cuffaro ha annunciato di lasciare ogni incarico di partito e di voler ricorrere alla Corte di Cassazione.
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Nel giugno 2010 la Procura della Repubblica di Palermo dispone una indagine sul patrimonio di Cuffaro, per accertare una eventuale sproporzione tra il patrimonio dell'ex presidente e il reddito dichiarato. Il 28 giugno 2010 i pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene hanno chiesto la condanna a 10 anni di reclusione per Cuffaro, imputato con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa in un altro processo con rito abbreviato noto come Cuffaro bis. Tra le vicende al centro di questo ulteriore processo, quella delle candidature di Mimmo Miceli e Giuseppe Acanto, detto Piero, nelle liste del Cdu e del Biancofiore alle elezioni regionali del 2001. Entrambi, secondo l'accusa, furono sponsorizzati da Cosa nostra e Cuffaro per questo motivo li accett come candidati nelle liste a lui collegate. La richiesta di pena tiene conto dello sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato. Il 22 gennaio 2011 la Corte di Cassazione conferma in via definitiva la condanna 7 anni di reclusione inflittagli l'anno prima dalla Corte di Appello di Palermo, nonostante la richiesta di eliminazione dell'aggravante mafiosa da parte del procuratore generale. Il giorno stesso Cuffaro si costituisce e viene rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia. Il successivo 2 febbraio il Senato della Repubblica accoglie le sue dimissioni da parlamentare con 230 voti favorevoli, 25 contrari e 17 astenuti. Il 16 febbraio 2011 il giudice dell'udienza preliminare al termine del rito abbreviato del secondo processo di Cuffaro, emette il non luogo a procedere nei confronti dell'ex Presidente della Regione Siciliana perch per gli stessi reati gi stato condannato. Fonte: Wikipedia
149. 1996-2014. Marcello DellUtri Il 2 gennaio 1996 viene messo sotto accusa; nell'ottobre dello stesso anno il gip di Palermo lo rinvia a giudizio, e il processo inizia il 5 novembre 1997. In data 11 dicembre 2004, il tribunale di Palermo ha condannato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il senatore stato anche condannato a due anni di libert vigilata, oltre all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni (per un totale di 70.000 euro) alle parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo. Il processo di secondo grado si svolto alla Corte di Appello di Palermo. Il 16 aprile 2010 il procuratore generale di Palermo Nino Gatto ha chiesto la condanna a 11 anni di carcere per Dell'Utri. In vista del processo aveva affermato di essere entrato in politica e fare il parlamentare solo per difendersi dai processi, e di essere quindi pronto a lasciare l'incarico parlamentare qualora
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le accuse cadessero. La sentenza il 29 giugno 2010: la Corte d'appello di Palermo, presieduta da Claudio Dall'Acqua, condanna a sette anni di carcere l'imputato per concorso esterno in associazione mafiosa per i fatti accaduti sino al 1992. La Corte d'appello ha ritenuto che Dell'Utri intrattenne stretti rapporti con le vecchie organizzazioni mafiose di Stefano Bontade, Tot Riina e Bernardo Provenzano sino alla stagione delle stragi di Falcone e Borsellino facendo da intermediario fra le organizzazioni malavitose e Silvio Berlusconi. Una vicenda che accerterebbe la colpevolezza dell'imputato sarebbe la mediazione per l'assunzione del boss palermitano Vittorio Mangano come stalliere nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi; Mangano avrebbe assicurato protezione contro l'escalation dei sequestri a Milano. Marcello Dell'Utri avrebbe, sino al 1980, fatto da intermediario per gli investimenti a Milano di Stefano Bontade, che aveva bisogno di riciclare denaro sporco, frutto del traffico di droga, in aziende del nord Italia. La corte ha assolto Dell'Utri per i fatti contestati successivi al 1992 perch il fatto non sussiste portando la pena detentiva da 9 a 7 anni. Il 4 gennaio 2011 il Procuratore Generale di Palermo Antonino Gatto ha depositato ricorso in Cassazione in merito all'assoluzione per i fatti successivi al 1992. Rinvio in Cassazione (2012)[modifica | modifica sorgente] Il 9 marzo 2012 la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d'appello, accogliendo cos il ricorso della difesa avverso alla condanna a sette anni.[49][50] La Cassazione inoltre ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui la procura generale di Palermo chiedeva un aggravio di pena per il senatore del Pdl sostenendo che il reato proseguito anche dopo il 1992.[51] Il 24 aprile la Corte di Cassazione ha depositato le Motivazioni della sentenza di annullamento del processo d'appello. In esse la quinta sezione penale della Cassazione presieduta da Aldo Grassi scrive che probatoriamente dimostrato che Marcello DellUtri ha tenuto un comportamento di rafforzamento dellassociazione mafiosa fino a una certa data, favorendo i pagamenti a Cosa nostra di somme non dovute da parte di Fininvest.
Tuttavia va dimostrata laccusa di concorso esterno per il periodo in cui il senatore di Forza Italia lasci Fininvest per andare a lavorare per Filippo Alberto Rapisarda, tra il 1977 e il 1982.[52] Sul punto, la sentenza afferma in particolare che "i giudici dell'appello non hanno tenuto conto o comunque non hanno motivato sulle ragioni in base alle quali una prima fase di cessazione [della condotta illecita] non possa essere individuata nel periodo 1978-1982 durante il quale Dell'Utri non era rimasto pi alle dipendenze dell'imprenditore in favore del quale il patto di mafia era stato stipulato".
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La suprema Corte scrive che il giudice del rinvio dovr nuovamente esaminare e motivare se il concorso esterno contestato sia oggettivamente e soggettivamente configurabile a carico di DellUtri, anche nel periodo di assenza dellimputato dallarea imprenditoriale Fininvest e societ collegate". Il vuoto argomentativo", si legge ancora, "si traduce in un evidente vizio della motivazione che la difesa, sostenuta poi dal Procuratore Generale di udienza, ha denunciato fondatamente: un vuoto che necessita di essere colmato, ove ne ricorrano gli elementi, con specifiche indicazioni di quale sia stato il comportamento, nel periodo, da parte di Dell'Utri, non potendo darsi ingresso a presunzioni basate sulla bont dei rapporti di amicizia con Berlusconi: rapporti che da soli non provano il perdurare della intromissione di Dell'Utri in affari penetranti per la vita individuale dell'imprenditore dal quale si era allontanato, atteso che di ci non risultano esplicitate neppure la ragione e le modalit concrete del concorso nei versamenti che si dicono comunque avvenuti, materialmente dunque anche ad opera di terzi, a partire dal 1978" (pag. 118).[52]
Nelle motivazioni citato anche la presunta estorsione di DellUtri denunciata dallimprenditore trapanese Vincenzo Garraffa a proposito della sponsorizzazione di Publitalia alla sua squadra di pallacanestro. Una vicenda non ancora conclusa dopo un tortuoso iter giudiziario, e che dunque non pu essere utilizzata come prova al processo. Ma, secondo i giudici di Cassazione, vale come indicatore dei rapporti che DellUtri, ancora nei primi anni Novanta, intratteneva con personaggi di caratura mafiosa per risolvere, con o senza iniziative intimidatorie, questioni di interesse patrimoniale.[52]
La Cassazione ritiene pienamente confermato lincontro del 1974 tra Berlusconi, DellUtri e i capimafia Francesco Di Carlo, Stefano Bontate e Mimmo Teresi, raccontato tra laltro dallo stesso Di Carlo, collaboratore di giustizia. In uno degli uffici del futuro presidente del consiglio, in foro Bonaparte a Milano, fu presa la contestuale decisione di far seguire larrivo di Vittorio Mangano presso labitazione di Berlusconi in esecuzione dellaccordo sulla protezione ad Arcore. I giudici di merito hanno trovato un preciso riscontro nelle dichiarazioni di altro collaboratore, il Galliano, il quale aveva riferito di avere appreso i dettagli di quello stesso incontro e del suo scopo, forniti da Cin nel corso di un pranzo con altri esponenti mafiosi nel 1986.[52] La quinta sezione penale scrive che la motivazione della sentenza impugnata si giovata correttamente delle convergenti dichiarazioni di pi collaboratori a vario titolo gravitanti sul o nel sodalizio mafioso Cosa nostra
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tra i quali Di Carlo, Galliano e Cocuzza- approfonditamente e congruamente analizzate dal punto di vista dellattendebilit soggettiva.[52]
Pienamente riscontrato anche il tema dellassunzione -per il tramite di DellUtri- di Mangano ad Arcore come la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa nostra e il tema della non gratuit dellaccordo protettivo, in cambio del quale sono state versate cospicue somme da parte di Berlusconi in favore del sodalizio mafioso che aveva curato lesecuzione di quellaccordo, essendosi posto anche come garante del risultato.[52] Nelle 146 pagine di motivazioni, la suprema Corte parla senza possibilit di valide alternative di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di DellUtri che, di quella assunzione, stato lartefice grazie anche allimpegno specifico profuso da Cin.[52]
Conferma in Appello : 7 anni di carcere (2013) Facendo seguito al rinvio in Appello disposto dalla Cassazione, il 18 gennaio 2013 la procura generale di Palermo richiede sette anni di carcere per Dell'Utri. Secondo la Cassazione, che aveva annullato la precedente sentenza in appello rinviandola alla corte, sono provati i rapporti di DellUtri con Cosa nostra dal 1974 fino al 1977, invece secondo il pg i rapporti non si sarebbero mai interrotti.[53] Il 25 marzo la Corte d'Appello ha accolto la richiesta dell'accusa, confermando la condanna a sette anni di reclusione.[2] La Corte ha altres condannato l'ex senatore a risarcire le spese legali delle parti civili che si erano costituite contro di lui, il Comune con 7.800 euro e la Provincia di Palermo con 3.500 euro.[54]
Conferma definitiva in Cassazione : 7 anni di carcere (2014) Il 9 maggio 2014, dopo una lunga udienza (durata dalle 14:00 fino a sera) e dopo quattro ore di camera di consiglio, la I sezione penale della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso degli avvocati di Dell'Utri, confermando quindi in via definitiva la condanna inflitta il 25 marzo 2013 dalla Corte d'Appello di Palermo. A seguito della pronuncia della Cassazione, la Procura generale presso la Corte d'Appello di Palermo ha emesso un mandato di cattura a carico di Dell'Utri, che va ad unirsi agli altri documenti trasmessi al governo libanese ai fini dell'estradizione[55] [56]. Fonte: Wikipedia