La pace è l’equilibro di forze a cui tutte le cose dovrebbero tendere.
È lo status perfetto: un miscuglio eterogeneo di forze opposte, prese in uguale misura. Dio, creando il mondo, lo ha pensato come un regno pacifico, di reciproco rispetto e amore, un regno in cui ogni creatura potesse avere un ruolo e una dignità. Tuttavia, oggi il mondo che conosciamo non ha nulla a che vedere con quella che a confronto sembra un’utopia. Non c’è quell’equilibrio che garantisce la pace, ci sono forze opposte che si scontrano, con il prevalere talvolta dell’una, talvolta dell’altra. Noi umani che popoliamo la terra siamo vittime di queste forze, che modificano la realtà, aprono possibilità o producono avversità. Il male, secondo la filosofia greca, sta nella disarmonia, nel prevalere di una forza rispetto ad un’altra. In un contesto “terreno”, questo male è la guerra, a cui l’uomo ha sempre assistito, fin dalla prima luce. Appurato che la guerra è per definizione negativa, occorre guardare il mondo e renderci conto di cosa abbiamo di fronte. Oggi il mondo è diverso dalla realtà biblica a cui siamo abituati leggere fin da bambini: è una realtà multi sfaccettata, un oceano in cui nuotano molte ragioni e molte idee, molte più che in passato. Questo è normale, e forse anche positivo, poiché ciò è dovuto all’evolversi della situazione dell’uomo e dell’intero universo che lo circonda. L’uomo del XXI secolo ha necessità diverse dall’uomo medioevale o greco. Perciò le cause che portano ad una guerra possono essere molte e diverse, come molte e diverse possono essere le ragioni che indicano, o meno, che quella guerra sia “giusta”, o meglio accettabile. San Tommaso scrive, infatti, che «perché una guerra sia giusta si richiedono tre cose: l’autorità del principe […] una causa giusta, […] e che l’intenzione di chi combatte sia retta: e cioè si miri a promuovere il bene ed a evitare il male». Nella storia dell’umanità ci sono stati effettivamente episodi in cui la guerra sembrava inevitabile al fine di giungere ad una situazione di equilibrio, come la guerra dei 30anni avvenuta in Europa, oppure le più moderne guerre che si combattono in Medio Oriente. Altri esempi di rivolta possono essere il caso di Martin Luther King e di Gandhi, i quali hanno lottato contro un nemico sordo, che non ascoltava le loro ragioni, hanno mosso una protesta non violenta per garantire uguali diritti per una parte del popolo. Perciò credo che sia legittimabile una guerra nel caso in cui le parole non vengono udite, anche Cicerone sostiene che «bisogna ricorrere alla forza solo quando non ci si può valere della ragione». Parallelamente a questi scontri che possono essere legittimi, ci sono invece guerre che non lo sono affatto. Mi riferisco allo sterminio di massa di più di sei milioni di ebrei, operato da Adolf Hitler. Solo la superbia e l’odio radicato di questo genio del male hanno condotto ad un tale scandalo, uno sterminio che supera l’immaginabile, provocato da un odio puro, tanto forte quanto pazzo e privo di fondamento. Ancora una volta lo stesso risultato: odio e malcontento, popolazione ridotta allo strenuo, fiumi di sangue e spreco di vite umane. Le stesse vite umane che nella seconda guerra mondiale sono morte per combattere per la nostra patria, quando Mussolini decise di entrare in guerra con un esercito inadeguato, debole e privo di armi sufficientemente potenti anche solo per la sopravvivenza. Al Duce non importava dei soldati, delle loro vite, delle loro famiglie, lui vedeva negli uomini statue armate di granate e baionetta, erano solo soldatini, non soldati. Non vedeva il lato umano nelle persone, sapeva solo ascoltare il suo grande ego, così grande da soffocare la ragione, che al contrario non avrebbe suggerito di entrare in guerra. Come riferisce Del Lago, «chiunque oggi approvi la guerra deve sapere che inevitabilmente approverà anche la diretta uccisione di migliaia di uomini che non combattono, di donne e di bambini». Oggigiorno la pace può essere garantita solo dai leader delle nazioni più forti e dalle organizzazioni internazionali. È loro il gravoso compito di decidere quando è opportuno entrare in guerra, quando il combattimento diviene inevitabile, quando la diplomazia ha definitivamente perso. La guerra può apparire giusta a quel popolo che necessita di riscattare la propria posizione, che cerca di emergere per rivendicare degli abusi subiti, come il popolo d’Isreale, che ha sempre rivendicato la mancanza di uno stato che possa definirsi “proprio”. Tuttavia i leader e le organizzazioni, dall’alto della loro autorità, sanno bene che una guerra produrrà un utilizzo ingente di risorse e una perdita enorme di vite umane. Come deve, quindi, comportarsi un leader? Deve dare ascolto al popolo, che lo ha eletto e che crede in lui, o dare ascolto alla propria ragione e scegliere di non affrontare una guerra? Deve acconsentire ad un massacro che porti conseguenze come fame e miseria, o deve tradire la fiducia del popolo che lo ha votato, non dichiarando guerra? Appare ora ovvio che la scelta di entrare o non entrare in guerra è puramente soggettiva, infatti, in quest’oceano in cui nuotano molte ragioni e molte idee, ognuno vede nella guerra lati positivi e negativi. Una cosa è certa, però: la guerra, sia che sia dichiarata da un violento dittatore o caldeggiata dal popolo, porterà sempre e senza alcuna eccezione ad una perdita incalcolabile di vite umane.