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Leopardi Teorico Della Traduzione Author(s): Bruno Nacci Source: MLN, Vol. 114, No. 1, Italian Issue (Jan.

, 1999), pp. 58-82 Published by: The Johns Hopkins University Press Stable URL: http://www.jstor.org/stable/3251293 . Accessed: 29/11/2013 17:49
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Leopardi Teorico Della Traduzione


Bruno Nacci

Sul numero d'ottobre 1826 dell'?Antologia>>,Pietro Giordani dedica all'amico Vincenzo Monti la traduzione della Lettera CXIV di Seneca a Lucilio, premettendo al testo una lunga e articolata riflessione sulla storia delle traduzioni senechiane e, soprattutto, sui problemi e sul senso della traduzione in generale. In ordine ai problemi, Giordani mette a fuoco con grande acume quello che potremmo definire il tema della responsabilita oggettiva del traduttore. In altri termini, si chiede come sia possibile conservare le eventuali imperfezioni del testo originario senza che ci6 sia imputato al traduttore, invece di riconoscergli il merito di questa particolare fedelta: <Ma quanti sono i lettori di sottil giudizio a vedere nella copia la fatica e il pregio di chi ritrasse per arte i difetti dello innanzi?>>.Riferendosi poi al significato intrinseco del tradurre, Giordani lo riconduce integralmente a un esercizio di scrittura orientato sul valore del modello: a) i giovani e le nazioni giovani ricorrono istintivamente a un modello; b) cosi come nelle arti figurative, la copia dal maestro mette l'allievo in condizione di apprendere e sviluppare ogni dettaglio dell'arte. Per concludere, Giordani invita a non indulgere nell'esercizio delle traduzioni, opportune nella fase di formazione di una lingua e di una nazione, ma
Si potrebbe osservare, incidentalmente, la ben diversa concezione leopardiana della perfezione dei classici: ?Classici ottimamente imitati, belle immagini, belle similitudini, insomma proprieta di parole [...] ma che non son quelle, non sono quelle cose secolari e mondiali, insomma non c'e pii Omero Dante l'Ariosto, insomma il Parini il Monti sono bellissimima non hanno nessun difetto,,,Zibaldone10. D'ora in poi lo Zibaldone(abbreviato in Zib.) verra citato nell'edizione a cura di Giuseppe Pacella, Milano, Garzanti, 1991, 3 voll., secondo la numerazione autografa. Ogni corsivo nel testo delle citazioni e mio, salvo diversa indicazione. MLN 114 (1999): 58-82 ? 1999 by The Johns Hopkins University Press

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a creare direttamente opere originali, anche perch6 la traduzione dei classici e difficilissima riguardo allo stile e inutile per i contenuti, gia noti e assimilati, mentre quella dei moderni e impossibile, in quanto si dovrebbe trasportare nella cultura italiana una sensibilita del tutto estranea alla nostra. Pochi mesi dopo, nel Discorsoin propositodi una
orazione greca di Giorgio Gemisto Pletone e volgarizzamento della medesima,

Leopardi riprende le affermazioni dell'amico contestandone, non senza una certa forzatura, le premesse.2 In sostanza L. osserva che: 1) dalla difficolta di realizzare buone traduzioni non si pu6 argomentare la non opportunita della traduzione in quanto tale; 2) la diffusione dei contenuti della tradizione classica riguarda un esiguo numero di persone colte e dunque il suo ampliamento e auspicabile; 3) le traduzioni come ogni opera dello spirito hanno un valore non riconducibile alla pura utilita o meglio: <servono esse a dilettare lo spirito: effetto che io non ho mai saputo intendere come non sia utilita. Quasi che l'uomo cercasse o potesse cercare in sua vita altro che il diletto [...] io per me leggo con piacere uguale la Rettorica di Aristotele nella propria scrittura greca, e nella nostrale del Caro>3.
2 Sono consapevole che uno studio approfondito e meditato sulla teoria della traduzione in L. dovrebbe comprendere le numerose implicazioni di tipo linguistico, storico, filosofico e filologico che ad essa sono strettamente connesse. Questa breve ricerca, occasionata da un seminario tenuto da me nel novembre del 1997 sulla teoria e la pratica della traduzione presso la Johns Hopkins University, non si pone obbiettivi cosi complessi. In assenza pressoche totale di studi sistematici sull'argomento, ho voluto sollecitare l'attenzione dei leopardisti su un tema di fondamentale importanza, a mio parere, per comprendere l'evoluzione intellettuale di L. ma anche per accostarsi a una lezione di formidabile valore concettuale. La bibliografia riguardante L. teorico della traduzione, come ho ricordato, e, almeno per quanto a mia conoscenza, molto limitata. Voglio ricordare solo: La corrispondenza Leoparditradottoe traduttore, imperfetta. Atti del Convegno (Trento 9-10 dicembre 1988), a cura di Anna Dolfi e Adriana Mitescu, Roma, Bulzoni, 1990. L'attenzione degli studiosi di questo convegno, come di molti altri studi e convegni, e per6 concentrata sull'aspetto testuale delle traduzioni leopardiane. L'unico saggio in cui si accenna proficuamente all'argomento teorico e quello iniziale di Anna Dolfi (pp. 7-18). Illuminante per lo sfondo su cui si ritaglia il Fondamenti pensiero leopardiano e la ricerca di Stefano Gensini, Linguisticaleopardiana. teoricie prospettive Bologna, I1 Mulino, 1984; cosi come ancora valido, politico-culturali, credo, e il saggio di Sofia Ravasi, Leopardiet Mme de Stal, Milano, Tipografia Sociale, 1910, che ricostruisce i rapporti e le suggestioni tra i due grandi intellettuali, soprattutto in relazione alla centralita delle traduzioni nella cultura europea. Recentemente e uscito di Antonio Prete, Finitudinee Infinito, Milano, Feltrinelli, 1998, la cui ultima sezione (pp. 143-70) e dedicata al tema della teoria della traduzione in L. e costituisce la piu compiuta riflessione sul tema. Nuovo Ricoglitore,,, febbraio 1827, pp. 1088-89. Questo e gli altri testi leopardiani, "3 ad eccezione dello Zibaldone, di G. Leopardi, vengono citati dal I vol. delle Opere complete Tuttele poesiee tutte le prose,edizione diretta da L. Felici, Roma, Newton & Compton, 1997, 2 voll. Si osservi come L. sia rimasto fedele, quasi alla lettera, alle parole di Mme de Stael (che riportiamo in originale), apparse in traduzione sulla ,Biblioteca Italiana,

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L. non entra nel merito delle traduzioni da lingue moderne, n6 in quello sulla realizzabilita di una buona traduzione, ma difende con traduzione, a cui riconosce una evidente pari dignita passione il genere e autonomia letteraria rispetto alle altre forme espressive. D'altra parte queste osservazioni s'inseriscono nella premessa alla traduzione di un'orazione greca di quel Gemisto Pletone (lodatissimo da L.) che, in pieno Quattrocento, imitava i grandi retori greci con accenti retorici e passionali allo stesso tempo. Qui l'umanesimo illuminista dei due amici, Giordani e L., rivela un punto di rottura che &indice prezioso dell'evoluzione leopardiana dalla filologia pura alla letteratura, attraverso una spericolata e profondissima meditazione filosofica: tutto ci6 che appartiene all'ambito letterario ha un suo valore irriducibile a qualsivoglia criterio esterno ad esso in quanto espressione di esigenze naturali (illusioni, immaginazione, ecc.) fondamentali. Ma ci6 che piui conta & constatare come nel 1827, quando la prodigiosa stagione delle traduzioni leopardiane & quasi completamente terminata, il poeta, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non solo contesta il deprezzamento della traduzione fatto (almeno parzialmente) da Giordani, ma attenua le sue originarie idee sulla traduzione come mezzoper maturare una scrittura propria e originale, idee che proprio Giordani, dieci anni prima, gli aveva istillato.4 I1 fatto in s6 appare significativo di quella tendenza a una rigorosa definizione concettuale (estetica, filosofica e linguistica) e a una non meno rigorosa deduzione, che se non fa di L. un pensatore sistematico, lo colloca certamente tra i piui organici della nostra cultura non solo ottocentesca. All'altezza del 1826 L. ha morali:chi piui di gia scritto la maggior parte dei Canti e delle Operette lui avrebbe potuto convenire con Giordani sul carattere di mero esercizio preparatorio delle traduzioni? Ma, a partire dal 1815, egli non solo si era dedicato con entusiasmo e bravura all'attivita di traduttore, avevaanche accompagnato la sua attivitacon una incessante

nell'aprile 1816: ?lors meme qu'on entendrait bien les langues etrangeres, on pourrait gofter encore, par une traduction bien faite dans sa propre langue, un plaisir plus familier et plus intime>. 4 Cfr. le lettere di L. a Giordani di dieci anni prima: ?Ella dice da maestro che il tradurre e utilissimo nella eta mia, cosa certa e che la pratica a me rende manifestissima?, 21 marzo 1817, p. 1137; ?E in oltre mi pare d'essermi accorto che il tradurre cosi per esercizio vada veramente fatto innanzi al comporre, e o bisogni o giovi assai per divenire insigne scrittore, ma che per divenire insigne traduttore convenga prima aver composto ed essere bravo scrittore-, 29 dicembre 1817, p. 1158. La distinzione tra > e gia una forma di ripensamento originale della traduttore e ?insigne traduttore lezione giordaniana.

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riflessione di straordinaria sottigliezza e profondita,5 arrivando a una visione storico-teorica del genere tale da non poter accettare la sua liquidazione neppure mosso da comprensibile orgoglio (ed &notevole la sua considerazione del tradurre nel 1827 rispetto alla sufficienza di Giordani, che parla della propria lettera senechiana come di una <<traduzioncella>, per non dire poi che i Canti stessi si concludono con delle traduzioni). Indizi notevoli di questo interesse (spesso sviluppato contemporaneamente con maggior vigore e audacia nello Zibaldone),sia pure in ordine sparso e legati a circostanze occasionali, sono le note introduttive che L. accumula nei suoi primi lavori pubblicati o, per la maggior parte, destinati alla pubblicazione. Un primo accenno al tema della traduzione nell'opera di L. e
presente nel Discorso sopra la Batracomiomachia dove, dopo una

puntigliosa rievocazione delle precedenti traduzioni del testo, si sofferma su quella dell'abate Antonio Lavagnoli (1744) definita ?fredda e quasi letterale interpretazione>, di cui <Leggendone il primo verso senza saper nulla del titolo, si conosce tosto che esso appartiene ad una traduzione, tanto questa e lontana dall'aver l'aria di un componimento originale>6. Alla traduzione dell'abate, il giova5 Ne fanno fede, oltre i brani di opere pubblicate o progettate che citeremo, i numerosissimi passi dell'Epistolario,specialmente tra il 1816 e il 1820, da cui emerge anche una costante preoccupazione di etica "professionale"e orgoglio: ?Sono impaziente di veder l'esito di quella mia traduzione, sopra la quale le confido cosi a quattr'occhi che io fondo molte speranze>, Ad Antonio Fortunato Stella, 6 dicembre 1816, p. 1132; ,Se mi e lecito parlarle della mia traduzione, le dir6 che la ho fatta con tutto il possibile studio, non avanzando una parola senza averla maturamente ponderata, e con tutta la cognizione delle due lingue di cui io sono capace>, Ad Antonio Fortunato Stella, 24 gennaio 1817, p. 1135; ?Io non trovo altro che faccia al caso, eccetto una mia traduzione italiana dei nuovi frammenti di Dionigi d'Alicarnasso scoperti dal Mai, scritta pero con tale affettazione che ambedue ci faremmo ridicoli divulgandola; tanto che quantunque da principio avessi in animo di pubblicarla, consideratala meglio la misi da parte e fo conto d'averla scritta per mero esercizio ne m'indurrei per cosa del mondo a mostrarla a chicchessia>, A Giambattista Sonzogno, 27 luglio 1818, p. 1164; ?,Di quello che mi dite in favore della traduzione, non penso altro che ringraziarvi, e non convenire; benche, parlando sinceramente, convengo che le altre che ho vedute son peggiori>, A Pietro Brighenti, 1 marzo 1822, p. 1220; <Quanto al tradurre, se io fossi simile a molti altri, le prometterei l'opera mia senza difficolta. Ma avendo il vizio e la debolezza di non voler pubblicare sotto mio nome se non cose che mi soddisfacciano pienamente, e di mirar sempre a una certa perfezione nello scrivere, e dall'altra parte non essendomi mai provato a tradurre diligentemente prose latine, massime di Cicerone; diffido assai assai di me stesso-, Ad Antonio Fortunato Stella, 18 maggio 1825, p. 1277; ecc. 6 ?Lo Spettatore?, 31 ottobre 1816, p. 398. Non e privo d'importanza il fatto che L. abbia lavorato a questa traduzione in un lungo arco di tempo, accanendosi perfino sul titolo, diverso nelle tre stesure (La guerradei topi e dellerane, 1815; Guerrade' topi e delle rane, 1821-1822; Guerradei topi e dellerane, 1826), e da questo lavoro abbia tratto poi della Batracomiomachia, a cui quel ?libro terribile- (V. Gioberti) che sono i Paralipomeni mise mano fino alle ultime ore della sua vita.

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nissimo L. contrappone la propria, dimostrando chiarezza d'intenzioni sull'esecuzione e consapevolezza di un gia saldo mestiere: <Tradussi non letteralmente, come il Lavagnoli, ma pur tradussi [...] Cercai d'investirmi dei pensieri del poeta greco, di rendermeli propri, e di dar cosi una traduzione che avesse qualche aspetto di opera originale [...] Volli che le espressioni del mio autore, prima di passare dall'originale nelle mie carte, si fermasseroalquanto nella mia mente,e conservando tutto il sapor greco, ricevessero l'andamento italiano,7. Anche se questo appunto giovanile contiene piuttosto una descrizione del lavoro traduttorio che un'indagine metodologica, pure in esso compare gia uno degli elementi costanti e nodali della successiva riflessione leopardiana: l'analisi e la discussione del processo di trasformazione di un testo in un altro, la necessita di oggettivare (per il momento di sottolineare) la centralita storico-culturale del mediatore (quella che piui tardi diventera la metafora della cameraoscura8). Gli anni 1816-1819, occupati da un'intensa attivita di traduttore, sono quelli che maggiormente risentono, anche a livello teorico, di queste preoccupazioni. Nel DiscorsosopraMoscodi nuovo l'excursus storico, sempre puntuale e documentato, sulle diverse traduzioni del poeta greco precedenti la sua, porta L. alla riaffermata necessita di rispettare l'autore tradotto, rivelando una salda etica letteraria: ?Io tradussi il primo di questi Idilli moderandone qualche espressione troppo pastorale, ma confesso che volendo tradurre l'altro, e avendo messo le mani all'opera, mi perdei di coraggio, e per non essere obbligato a mutilarlo, come ha fatto il P.Pagnini, risolsi di desistere affatto dall'impresa>9. Piu avanti affrontando la traduzione francese di Anacreonte ad opera di Poinsinet de Sivry,commenta: <Una parafrasi di Anacreonte e un mostro in letteratura [...] Questo nella sua traduzione e [...] un Greco vestito alla parigina, o piuttosto un Parigino vestito mostruosamente alla greca?'0. Pur rimanendo sempre su un terreno storico, di analisi delle diverse possibilita (ed errori) della traduzione, L. ha gia ben presente alcuni elementi decisivi nella sua riflessione futura: la responsabilita del traduttore, le distinzioni rifacimento/traduzione, parafrasi/traduzione, e, sia pure per il momento solo brillantemente accennato, il problema capitale del
7 Ibidem,p. 399. 8 ?<Di maniera che l'effetto di una scrittura in lingua straniera sull'animo nostro, e

come l'effetto delle prospettive reali, quanto la camera oscura e adatta a renderle con esattezza; sicche tutto l'effetto dipende dalla camera oscura piuttosto che dall'oggetto reale>, Zib. 963. 9 <<Lo Spettatore?, 31 Luglio 1816, p. 412. 10Ibidem, 414. p.

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reciproco snaturamento culturale e linguistico del testo d'origine e di quello d'arrivo. Sempre nel 1816, anno d'intenso lavoro (che accosta il precocissimo filologo ed erudito alla sensibilita poetica, o meglio la risveglia e l'affina, segnandone anche l'esordio pubblico), torna sul tema della traduzione nel Saggiodi traduzione dell'Odissea ribadendo la necessita per i traduttori di classici di una solida preparazione linguistica: <<?mestieri dottrina> (ma vedremo in seguito come il concetto di lingua si amplifica e si integra con un piu vasto reticolo di nozioni); e ostentando una certa ironica distanza dalle giustificazioni teoriche del proprio operare: <perch6 ne parla pii a lungo chi traduce men bene>>1.Nel Parere ebraico la recensione di soprail Salterio una traduzione (di Giuseppe Venturi) e della successiva versificazione (di Giovambattista Gazola) del Salteriosi presta a una lezione severa che solo in parte riguarda contestazioni di fatto (gia di per s6 stupefacenti per la conoscenza dimostrata della lingua ebraica e della scarsa considerazione di ogni canone in materia). L., pur consapevole, e lo sara sempre, della specifica intenzione ermeneutica di ogni traduzione, con gli inevitabili margini di soggettivita, e pur riconoscendo a Venturi una lodevole fedelta al testo ebraico, osserva: <ma fra perch6 la [il riferimento e alla traduzione] non fosse anzi barbara che italiana, tra per dilucidare luoghi oscuri, l'autore ha soventi volte aggiunto alcuna cosa, o cangiato alcuna frase del testo; e per vero dire molti di questi aggiungimenti o cangiamenti non m'appaiono necessari>?2.Se al traduttore L. rimprovera l'eccessiva disinvoltura interpretativo-didascalica (qui tanto pii severamente in quanto si trattadel testo sacro?), al versificatore impartisce un'autentica lezione di stile, che gia contiene, come negli interventi precedenti, spunti per la successiva teorizzazione: <Gran freddo e ci6 che io ho sentito [...] Poco importa al lettore che il metro della traduzione somigli quello che si pretende scorgere nel testo; pochissimo, che la versione serbi la distinzion de' versetti che e nell'originale; niente che i salmi, alfabetici o acrostici nel testo, il siano altresi nella traslazione; ma molto cheil traduttore si veggaacceso,avvampatodalfuoco dell'originale, moltissimo che la traduzione conservi la semplicita, la forza, la rapidita, il calore della fantasia orientale e profetica [...] sommamente che la versioneil commuova quasi come il commuoverebbe l'originale, e come forse il commuove alcuna interpretazione in prosa che non

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1 <Lo Spettatore,,, 30 giugno; 15 luglio 1816, 423. p. ?Lo Spettatore>, 31 ottobre; 15 novembre 1816, p. 947.

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ha altro pregio che la fedelta, e la stessa Vulgata?l3.Si noti che L. non affronta minimamente lo pseudoproblema della traduzione bella/ infedele brutta/fedele (che anzi vedremo vanificato dalla lucida mediocre? analisi del poeta), ci6 che attira la sua critica &quel ?terribile che affiora dall'opera di un traduttore che non &stato in grado di dar vita a un nuovo testo (<una copia languida e smorta>), n6 di replicare gli effetti del primo. Ma l'interesse di questa recensione consiste anche nel netto rifiuto da parte sua di qualsiasi normativita: le leggi severissime di cui si era vantato il Gazola per L. diventano con scherno empieleggi. La fedelta, valore a cui il giovane e spietato filologo non rinuncia certo, non si misura con l'ossequio grottesco a un paradigma inflessibile; insomma traspare, per niente in contraddizione con il quadro teorico, un pragmatismo dettato dall'esperienza e dal gusto. Altri scritti del 1816, anche se non pubblicati, contengono utili indicazioni sull'avio della riflessione leopardiana in merito alla traduzione. Come nelle considerazioni sul Salterio, anche nella L. stigmatizza la alla traduzione delle IscrizionigrecheTriopee, Prefazione precedente versione di Ennio Quirino Visconti (1794) per la rigidita con la quale aveva voluto (?stretto com'era a noverare i versi>>'4) italiani di versi in numero l'originale greco. La sua riprodurre egual della acribia metodologica si rivela appieno nella Letteraai compilatori BibliotecaItaliana dove la sola notizia, apparsa sulla Biblioteca,che Bernardo Bellini avrebbe tradotto tutti i poeti classici greci, scatena il sarcasmo del recensore, ben lieto di affrontare, sia pure indirettamente e in modo un po' capzioso, un altro dei capisaldi di quella che sara la sua teoria: <E primieramente ricordami avere inteso dire che per ben tradurre sia mestieri averein certaguisa l'animadello scrittore che &da voltare in altra lingua. Or sara possibile che il Sig. Bellini abbia le anime di tutti i poeti classici greci?>15.La traduzione dunque, ben lungi dall'essere un'attivita meccanica, si fonda su una sostanziale affinita tra i due scrittori. In seguito l'accento cade ancora sulla "dottrina"e sullo "stile",che ne &l'essenza, cosi che quando L. passa ad esaminare il saggio di traduzione del primo libro dell'Iliade del Bellini, ribadendo la necessita di una traduzione fedele (<Sa ogni buon letterato che a tradurre Omero vuolsi piena fedelta, e che ogni

13Ibidem, 948. p. 14 Op. cit. p. 428. Prefazione e testo furono inviati nel 1816 a Giuseppe Acerbi, direttore della ,Biblioteca Italiana>, ma non vennero pubblicati. 15 Op. cit. p. 939. Scritta il 7 maggio 1816, non fu pubblicata.

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parola del testo trascurata e una gemma perduta?>6),impartisce una lezione di greco che, fin dai primissimi versi, anticipa la memorabile stroncatura, che nello Zibaldoneavra per oggetto nientemeno che Foscolo e Monti.'7Di nuovo respinge la meccanicita della trasposizione metrica: <Ed e possibile che il Sig. Bellini quando vuol tradurre un poeta si metta a noverare i piedi dei suoi versi e stabilisca con le dita il metro che avra ad usare??18. I1 1817, l'anno d'inizio dello Zibaldone, vede la pubblicazione della Traduzionedel LibroSecondodella Eneide, che vale al giovane L. l'ammirazione di Monti e Giordani. La nota introduttiva e la piui compiuta esplicitazione di tutti i motivi e le sfumature del lavoro traduttorio fin qui compiuto, ma anche un rispecchiamento (non a caso qui L. si intuisce poeta in proprio), un mezzo di conoscenza e di consapevolezza raro, sottile e imprescindibile per le piui mature riflessioni successive: <<Percioccheletta la Eneide [...] io andava di continuo spasimando,e cercando maniera di far mie, ove si potesse in alcuna guisa, quelle divine bellezze; ne mai ebbi pace infinche non ebbi patteggiato con me medesimo e non mi fui avventatoal secondo Libro del sommo poema, il quale piui degli altri mi avea tocco, si che in leggerlo, senza awedermene, lo recitava, cangiando tuono quando si convenia, e infocandomie forse talvolta mandando fuori alcuna lagrima. Messomi all'impresa, so ben dirti avere io conosciuto per prova che senza essere poeta non si puo tradurre un vero poeta, e meno Virgilio, e meno il secondo Libro della Eneide, caldo tutto quasi ad un modo dal principio alla fine;
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Ibidem,p. 940.

commento alla prova di traduzione dell'Iliade del Foscolo (edizione 1807 con la traduzione di Monti in calce) e alla stessa traduzione di Monti, dove contesta un grave errore di lessico: <E molte forti a Pluto almed'eroi Spinse anzi tempo, abbandonando i corpiPreda a sbranarsi a' cani ed agli augelli. Foscolo. Molte anzi tempo all'Orco Generose travolse almed'eroi, E di cani e d'augelli orrido pasto Lor salmeabbandono. Monti. E cosi gli altri. Ma Omero dice le anime (vuX%a)ed essi (a(-uzoi;), cioe gli eroi, non i loro corpi. Differenza non piccola [...] Questa infedelta, non di stile e di voci solo, ma di sostanza e di senso, nata dall'applicare alle parole d'Omero le opinioni contemporanee a' traduttori; questa infedelta, dico, commessa nel primo principio del poema, anche da' traduttori piu fedeli, dotti ed accurati, e in un caso in cui le parole son chiare e note, mostra quanto sia ancora imperfetta l'esegesi omerica>, Zib. 430506. L. coglie in effetti un errore fondamentale: il termine VxuXI non indica affatto l'anima, come i traduttori leggono, arrivando a violare l'evidente concordanza di acm)TO;con eroi pur di contrapporre all'anima i corpi, ma il soffio vitale, il respiro. Per la cultura omerica, a differenza di quella platonico-cristiana, l'anima non e un'entita distinta dal corpo, capace di una vita autonoma. Foscolo e Monti travisano il testo omerico, come dice benissimo L., per difetto di esegesi, cioe di senso storico. 18 Op. cit., 941.

17Che L. teorico nasca da L. traduttore e documentato, tra l'altro, proprio dal

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talch6 qualvolta io cominciava a mancare di ardoree di lena, tosto avvisavami che il pennello di Virgilio divenia stilo in mia mano. E si ho tenuto sempre dietro al testo motto a motto (perch6, quanto alla fedelta [...] non temo paragone); ma la scelta dei sinonimi, il collocamento delle parole, la forza del dire, l'armonia espressiva del verso, tutto mancava, o era cattivo, come, dileguatosi il poeta, restava solo il traduttore?19. Non e eccessivo, credo, affermare che L. stabilisce con questo scritto, e piu ancora evidentemente con l'esperienza che lo ha causato, una linea di demarcazione netta rispetto alle traduzioni precedenti o almeno alla lucidita del sua riflessione sul tradurre. La dove in precedenza l'accento cade sempre sulla "dottrina", pur non dimenticando mai le esigenze stilistiche riconducibili per6 alla "dottrina"stessa, qui compaiono inconfondibili i segni di un altro universo espressivo. Al traduttore si affianca (ma forse e meglio dire si sostituisce) il poeta. II vero traduttore e il vero poeta (in negativo: ?dileguatosi il poeta, restava solo il traduttore>). I1 traduttore senza il poeta non e traduttore. E il campo semantico dispiegato in questo brano non lascia dubbi: spasimando,far mie, avventato, infocandomi, caldo, ardore;al filologo e allo storico, mai rinnegati, subentra inverandoli il creatore, il ricreatore (vedremo in seguito le modalita di questo particolare creatore in seconda battuta). Per il momento non ci sono dubbi sul fatto che L. esclude ogni possibilita di un lavoro artigianale, codificato, programmabile. Gia in precedenza, come abbiamo visto, ha escluso l'applicazione meccanica di schemi traduttori (soprattutto in relazione ai metri), ma qui il discorso non verte piuisui mezzi, bensi sull'ispirazione, sulla possibilita stessa di tradurre in mancanza di una ragione creativa. Nell'introduzione alla Titanomachiadi Esiodo,L. abbozza l'idea, a lui cara come abbiamo osservato anticipando la critica al Giordani del 1827, dell'utilita non strumentale delle traduzioni: <Per6 le traduzioni poetiche dal greco spesso non pur son utili, ma necessarie anche ai dotti>20,esaltando i modelli di Monti e Caro come glorie nazionali, esempi di veri scrittori-traduttori. Ma, fedele al suo presupposto storico-filologico, avanza anche dubbi, ripresi nello Zibaldone e nell'Epistolario,sulla traduzione virgiliana di Caro: <Iotrovo vizioso il maggior pregio della traduzione del Caro. Il quale sta in quella scioltezza, o volete disinvoltura, che fa parere l'opera non traduzione

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20 ?Lo

Op. cit., p. 434. La pubblicazione awenne presso 1'editore Pirrotta, Milano, 1817. Spettatore?, 1 giugno 1817, p. 444.

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ma originale>21.Caro ha addomesticato Virgilio, lo ha reso famigliare al lettore, riducendo quell'altezza di stile che invece e la sua caratteristica principale: <Oras'egli e obbligo stretto del traduttore il conservare anche i minutissimi lineamenti del testo, l'averne tramutato il distintivo e la proprieta principale, certo sara gran peccato>22.E nel contrapporre la traduzione di Monti, fedele allo stile omerico, a quella di Caro, opera sublime ma insufficiente come traduzione, L. propone una letturapariniana di Virgilio: <Dovrebbe un traduttore di Virgilio studiare assaissimo il Parini>, arrivando a correggere almeno in parte uno dei requisiti del traduttore che l'anno prima gli erano sembrati essenziali, l'essere poeta a sua volta, o meglio a ricondurlo sotto una solida disciplina: <Ma perche a tradurre si vogliono qualita non necessarie a produrre, ne sempre un valentissimo autore pu6 riuscir buon traduttore>23.La prefazione, importante, conclude con una riaffermazione di stima nei confronti di Caro scrittore e del suo lavoro su Virgilio, ma la critica alla traduzione e non solo coraggiosa, bensi indicativa dell'equilibrio raggiunto a livello speculativo. In uno scritto del 1818, la Lettera al Ch. Pietro Giordanisoprail Frontone del Mai, L. affronta le differenze di stile degli autori antichi e, pii ancora, il problema della possibilita per i moderni di coglierle nel loro significato originale. In queste pagine non si discute di traduzione in senso stretto, ma di quella "traduzione" prima che e la lettura di un testo in una lingua lontana. L. sostiene che degli autori di lingue morte ?non e possibile presentemente di sentire il sapore fuorch'oltremodo svanito>24. L'argomentazione, che vedremo tornare a proposito della traduzione in senso specifico, consiste nell'oggettiva impossibilita per noi di awertire le diverse stratificazioni linguistiche a cui appartengono le parole. Lo scarto
21 Ibidem, 445. Nella lettera a Cesare Arici, 8 marzo 1819: ,Concorro totalmente p. nell'opinione di V.S. che il poema del Caro, com'e bellissimo per se stesso, cosi non passi il mediocre in quanto e traduzione>, p. 1176. Anche nella premessa e in una serissima nota al coevo apocrifo Inno a Nettuno,apparso sullo ?Spettatore> il 1 maggio 1817, L. insiste sulla fedelta al testo di Anacreonte inteso come insieme di fatti linguistici: ,la quale [traduzione] se non e piu che fedelissima, se non serba un suono, un ordine di parole esattissimamente rispondente a quello del testo, e piombo per oro forbito puro lucidissimo?, p. 287. E a proposito dell'Inno a NettunoA.Prete ha molto opportunamente parlato di ?Mimesi di una traduzione [...] una messa in scena ironica del sogno di ogni traduzione: che e quello di abolire la propria natura di arte derivata, rompere insomma il nesso che la costringe nel recinto di un mimetismo servile>, op. cit., p. 153. 22 Ibidem,p. 445. 23 Ibidem,p. 445.
24

Op. cit., p. 1001.

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temporale e l'artificiosita dell'apprendimento di una lingua morta ci la pagina antica come i suoi lettori contemimpediscono di ascoltare poranei: ?e leggendo, non ci possono dar troppo nell'occhio le rarita dove tutto e in certo modo raro; ne ci pu6 far meraviglia, per una strada che non siamo usati di frequentare pil che tanto, l'abbatterci in qualche oggetto, cioe in qualche vocabolo o modo, nuovo o poco noto, ne questi vocaboli o modi ci sanno punto d'aspro, perch6 quell'asprezza di cui parliamo non e mica ingenita e nativa a quelle tali parole o frasi ma sta solamente nell'esser queste o vecchie o comunque inusitate, ora dell'inusitato accorgendoci noi poco o In occasione delle nuove scoperte del Mai, L. scrive nel niente .. .>25. delMai (dedicata a Bartolomeo Borghesi), 1819 una lettera, Sull'Eusebio in cui il complesso problema filologico del passaggio greco-armenolatino di un testo, offre lo spunto per ribadire il nesso profondo, per lui inscindibile, tra interprete e traduttore, che ha come scopo la restituzione integrale del testo originario: ?non e piui fatica indegna ma utile e conveniente l'adoperarsi d'astergere cosi queste sozzure>26, dove emendare, in senso filologico, un testo, non e separabile dalla sua corretta traduzione, che e poi il risultato di una corretta interattribuitoa Innocenzo pretazione. Un ultimo scritto del 1819, Dell'errore la col violino con che aver lira, dedicato a uno dipintoApollopiuttosto per dei tre Discorsi di Pietro Giordani sul pittore Innocenzo Francucci, tratta espressamente il tema della traducibilita(<I1porre il violino per di temi antichi la lira e come una traduzione della lira col violino>>27) in vesti moderne nell'ambito della pittura. Anche qui L. accosta l'antico allo straniero (l'antico, pare di capire, non e che uno straniero in ordine al tempo) e risolve l'equivalenza tra le due serie di segni, quella di origine e quella di arrivo, in base a un codice interpretativo funzionale: <Orail pittore dipinge pel popolo [...] Tal quale come quelle cariche antiche, vesti ec. che dei bravi traduttori rendono con nomi di altre cariche vesti oggetti pesi, misure, distanze a quelli [...] noti presentemente, e anticamente no, ma corrispondenti Riprendendo idee per altro gia formuquanto basta, benchediversi>>28. late nel Discorsodi un italiano intorno alla poesia romantica,L. insiste sullo specifico lavoro dell'artista, che non si limita alla riproduzione

25

26
27

Ibidem,pp. 1001-02.
Op.cit.,
Op.

scritto probabilmente nel marzo del 1819. 28 Ibidem, p. 1009.

p. 1008. cit., p. 1009. Concepito per il <Giornale arcadico- e non pubblicato, venne

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della realta, ma deve tendere alla verosimiglianza, dove l'accento, per quanto riguarda l'effetto estetico ma anche il compito della traduzione, cade su un risultato complessivo in cui la somma delle parti non necessariamente coincide con la totalita: ?vedendo la verita del tutto Nell'ultima tra le opere non ci accorgiamo dell'errore delle parti>29. ma non alla destinate pubblicate, Operette pubblicazione giovanile L. aggiunge alla difficolta del volgarizzatore, Preambolo moralid'Isocrate. di tradurre gli autori antichi un argomento tratto dalla sua polemica antiromantica sulla mancanza di stile nei moderni: <Per6,non che bastino ai volgarizzamenti delle opere dei Classici antichi la fedelta e la chiarezza, ma esse opere non si possono dir veramente volgarizzate se nella traslazione non si e posto arte e cura somma circa la eccellenza dello stile, e se questa non vi risplende in ogni lato. Ed essendo tra i moderni generalmente la sottile ed intima arte dello stile pochissimo nota, e la squisita cura di esso oltremodo rara, non e maraviglia che per lo piu in tutte o in quasi tutte le lingue, i volgarizzamenti che si hanno o che si crede avere dei libri classici antichi, sieno poco meno che intollerabili e impossibili a leggere
interi>30.

Se negli scritti "pubblici" L. va raccogliendo le sue esperienze di traduttore secondo criteri e intendimenti che rivelano gia una chiara visione teorica della traduzione come genere e prassi letteraria, e solo nello Zibaldoneche, lontano da preoccupazioni dettate dalle circostanze, dispiega pienamente il suo pensiero, articolandolo in una delle concezioni piu originali e motivate dell'Ottocento.31 I primo riferimento a problemi che riguardano la traduzione & del 1817 e concerne, all'interno delle nota polemica contro la lingua francese, l'insufficienza della parola nausee rispetto all'analoga latino-italiana nausea, in relazione all'onomatopea del vocabolo greco vaxoxia,
29 Ibidem,p. 1010. Cfr. quanto L. afferma nel Discorso,scritto tra il gennaio e l'agosto del 1818: ,il poeta ha cura del dilettoso, e del dilettoso alla immaginazione, e questo raccoglie cosi dal vero come dal falso, anzi per lo pii mente e si studia di fare inganno, e l'ingannatore non cerca il vero ma la sembianza del vero?, p. 972. E si osservi come L. ha perfettamente colto l'altro aspetto del lavoro artistico, quello che riguarda il fruitore, il quale opera a sua volta con la fantasia per colmare la forma che l'artista predispone. 30 fu scritto a Bologna nel febbraio del 1826. Op. cit., p. 1053. I1 Preambolo 31 Per quanto sia curioso, nessuna delle storie della traduzione da me consultate menziona L., quasi che la storia e la destinazione privata dello Zibaldonevenissero intese alla lettera come una fondata ammissione di marginalita. Eppure basterebbe la straordinaria assonanza tra le idee di Leopardi e quelle di Friedrich Schleiermacher Methoden des Ubersetzens, 1813) per metterne in risalto l'eccezionale (Uberdie verchiedenen valore.

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derivato da voci;, che ripeterebbe nel suono il malessere provocato appunto dall'ondeggiamento dell'imbarcazione: <ma nose non imita niente, ed e come quelle cose che spogliate degli spiriti e dei sali, Si noti che l'appunto, umori, grasso ec. restano tanti capimorti>?32. riferito in realta all'espressivita fonetica del vocabolo, sembra a prima vista suggerire l'impossibilita di qualsiasi traduzione, stante l'evidente impossibilita di un'omofonia totale tra due lingue e l'evidente aura espressiva di ogni fonema. Nella seconda parte della riflessione, L. va oltre la difficolta segnalata e osserva come la possibilita di tradurre33 sia condizionata dalla conoscenza di quella che potremmo chiamare la ricettivita del lettore per cui un certo testo & stato concepito. L'esempio riportato e quello di un hapax di Luciano, il vocabolo iavav6pov, rispetto al quale & indispensabile, oltre al semplice accertamento semantico, definire il grado di novita e/o unicita per determinarne l'impatto con i lettori dell'epoca: <Ma spessissimo quel tal composto o parola comeche sia, non solamente era ardita, ma l'autore la formava allora a bella posta, e per6 nei lettori greci faceva quell'impressione e risaltava nello scritto come fanno le parole nuove di zecca>. La constatazione, vedremo, & importante perch6 pone il problema degli strumenti storici necessari per tradurre (la traduzione non &e non pu6 essere uno scambio di segni, una traslitterazione), ma anche perch6, di nuovo, pone l'accento su una intricata catena di paradossi. In altri luoghi dello Zibaldonetorna il problema della comunicabilita intralinguistica effettiva tramite elementi linguistici legati a un uso individuale (l'idioletto): <Cosi che si pu6 dire che il linguaggio di ciascun uomo differisce in qualche parte da quello degli altri. Anzi il linguaggio di un medesimo uomo differisce bene spesso da se medesimo?34, oppure a un uso famigliare, il e di quella interlinguistica, dove non si devono ?<vocabolarietto,>35; infinite le trascurare particolarita dei singoli autori: <Dico che il delle parole o frasi in ciascuno autore &diverso: ora piu significato ora meno, secondo i termini della comparazione, e secondo la qualita d'esse parole; e per lo pii la differenza e tale che i poco accorti ed esercitati non la veggono, ma ella pur v'e, bench& picciolissima>36.Fin
32 Zib.

secondo il modello umanistico da cui non si dalle lingue classiche, quasi sempre tradurre discosta. 34Zib. 1302. 35 Zib. 1756. 36 Zib. 2867.

33Osserviamo per inciso che in L. tradurre(recare,traslare,rivolgere, voltare)significa

12, ma per la derivazione greca cfr. Zib. 95.

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qui la riflessione tocca l'aspetto puramente lessicale e semantico, ma la maggior parte delle analisi leopardiane sulla traducibilita si concentra (tra il 1817 e il 1823) sull'aspetto stilistico, che abbiamo gia incontrato negli altri scritti come preoccupazione costante di L. traduttore. Convinto assertore che la superiorita dei classici risieda nel loro stare a diretto contatto con la realta naturale, L. ritiene che
la lorosemplicita non sia traducibile nella nostra semplicita (segnatamente

quella francese, in cui L. vede il trionfo dell'elemento storico, per lui decadente, su quello naturale), perche, e in ci6 si allontana dalle analoghe riflessioni della Stael, la semplicita classica risiede nelle cose, quella moderna (francese) nei mezzi.3Ancora un problema storico dunque, l'irreversibilita dell'esperienza comporta l'estrema difficolta se non l'intraducibilita delle lingue in cui s'incarnano le diverse e lontane culture, confermata dalla irriducibilita delle scelte retoriche: l'arbitrarieta della versificazione (<Se esistesse un'assoluta armonia [...] E se quest'assoluta armonia e questi versi assolutamente armonici fossero assoluta e natural cagione di diletto per se stessi, lo sarebbero universalmente, e non pif all'italiano che allo straniero e al fanciullo>38);la normativita del grado stilistico (la diversita stilistica e riscontrabile anche la dove c'e non equivalenza, ma addirittura identita: <<Moltissime parole si trovano, comuni a piui lingue [...] le in una lingua sono eleganti, in un'altra no>39); lo quali parole i tra generi (<<anchenella lingua italiana [...] un ardire squilibrio della prosa latina non riesce comportabile se non in verso, un ardire proprio dell'epica latina, non si puo tollerare se non nella nostra la vaghezza possibile nelle lingue classiche ma non in quelle lirica>40); e la lingua moderna, che abbia o possa ricevere non moderne (<<Qual dico molte, ma qualche frasi ec. di significato indefinibile, e per sua la propria natura vago, senz'alcuna offesa ec. della grammatica?>41). Complessivamente L. ritiene impresa destinata al fallimento quella di poter riprodurre lo stile di un testo in un'altra lingua, per gli stessi

37 <<non conoscono [i francesi] quella semplicita cosi intrinseca come estrinseca dello stile che non ha niente di comune coll'eleganza la politezza la tournure la raffinatezza il limato il ricercato della conversazione, ma sta tutta nella natura, nella pura espressione de' sentimenti che e presentata dalla cosa stessa, e che riceve novita e Zib.93e dal lavorodelloscrittore?, grazia piuttostodalla cosa,se ne ha, che da se medesima 94, corsivo dell'A. 38 Zib. 1208-09. Cfr. Zib. 1233-34. 39Zib. 1845. 40 Zib. 2172. 41 Zib. 2289.

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motivi, oltre a quelli specifici gia indicati, per cui gli stranieri ?non sono assolutamente in grado n& di valutare n& di gustare nessuna opera di un perfetto scrittore?42. Senza voler entrare nell'arduo campo della definizione leopardiana di cosa sia lo stile,43 da cui discende la condanna inesorabile delle lingue moderne, tra cui quella francese assume il ruolo di paradigma negativ o anticipazione di un corso storico ineluttabile, condannate a una spiritualizzazione o concettualizzazione progressiva, e conseguente il corollario: <E' cosa osservata che le antiche opere classiche, non solo perdono moltissimo, tradotte che sieno, ma non vaglion nulla, non paiono avere sostanza alcuna, non vi si trova pregio che l'abbia potute fare pur mediocremente stimabili, restano come stoppa e cenere. II che non solo non accade alle opere classiche moderne, ma molte di esse nulla perdono per la traduzione, e in qualunque lingua si voglia, sono sempre le medesime, e tanto vagliono quanto nella originale?44. Lo stile dunque non e traducibile non perche la traduzione operi misteriosi travisamenti o per impossibilita logica, ma perche lo stile e prima di tutto il genio di una lingua e le lingue moderne hanno perso questo genio, riducendosi a un mero commercio di segni universali, rispetto al quale non c'e neppure pii bisogno di tradurre (solo in questo senso, mi sembra, si deve intendere il reiterato odio di L. per il francese moderno, lingua universale, e il rifiuto, non meno veemente, del romanticismo in quanto aspirazione a una verita ideale o eidetica). E in molti passi dello Zibaldonericorre il rifiuto di ogni ricerca che voglia imporre o perseguire una lingua universale. L'idea stessa di lingua universale implica una sostanziale neutralita, il rifiuto di ogni spessore o ambiguita: <L'universalita di una lingua deriva principalmente dalla regolarita geometrica e facilita della sua struttura, dall'esattezza, chiarezza materiale, precisione, certezza de' suoi significati ec., cose che si fanno apprezzare da tutti [...] ma non hanno che far niente colla bellezza (anzi la ricchezza confonde, difficulta, e pregiudica), dignita, varieta, armonia, grazia, forza, evidenza>45. Da qui, nuovamente, la polemica nei confronti del francese, lingua egemone e con pretese universali, in quanto la traducibilita del francese (dal e in) sta a indicare solo una allarmante

Zib. 2798 ,l'idea dello stile abbraccia cosi quello che spetta ai sentimenti come ci6 che appartiene ai vocaboli?, Zib. 2907. 44 Zib. 3475. 45 Zib. 243.
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poverta: ?I1fatto sta che i francesi vantandosi dell'universalita della loro lingua si vantano della sua poca bellezza>46.L'awersione per ogni esperanto (tale L. sembra ritenere il francese moderno) si radica nella convinzione dell'originaria molteplicita delle lingue, dovuta alla originalita con cui ogni popolo, in un contesto storico la realta. Qualora si realizzasse e quindi esprime determinato, percepisce un modello linguistico universale, e facile prevedere il suo rapido ritorno a un frazionamento che obbedirebbe alle stesse cause di quello originario.47E si noti che quando L. attacca il francese come prototipo di una lingua universale, pensa sempre in termini di traduzione, cioe di rapporto concreto tra le lingue, o meglio pensa a partire dalla pretesa capacita del francese di tradurre piu e meglio delle altre lingue: <Risulta da quello che in pii luoghi si e detto circa la natura di una lingua atta [...] veramente alla universalita, che ella delle altre lingue capace di traduzioni, di non solo non pu6 esser piCu assumer l'abito dell'altre lingue [...] di piegarvisi piu d'ogni altra, di rappresentare in qualunque modo le altre lingue; ma anzi ella dev'essere per sua natura l'estremo contrario, cioe sommamente unica d'indole [...] sommamente incapace d'ogni altra che di se stessa, ed in se stessa minimamente varia [...] Non bisogna dunque figurarsi che una lingua universale ne debba ne possa portare questa utilita di supplire alla cognizione di tutte le altre lingue, di esser come lo specchio di tutte l'altre, di raccoglierle, p. cosi dir, tutte in se stessa, col poterne assumer l'indole ec.; ma solo di servire in vecedi tutte le La guerra contro 1'egemonia altre lingue, e di esser loro sostituta,>48. diversa da coeva tra classicisti e romantici di ben quella linguistica, carattere pifi schiettamente nazionalistico, ha in L. un riflesso nella ripresa di un'argomentazione di Cesare Beccaria49sulla distinzione tra quelli che L. definisce, distinguendoli, terminie parole.Distinzione importante perche in essa si condensano molti aspetti del pensiero leopardiano, anche non strettamente linguistici: <Le parole [...] non presentano la sola idea dell'oggetto significato, ma quando pifi Le voci scientifiche presentano la quando meno immagini accessorie. nuda e circoscritta idea di quel tale oggetto, e perci6 si chiamano termini perche determinano e definiscono la cosa da tutte le parti>50.
46Zib. 323. Cfr. Zib. 1013-14, dove viene formulato il paragone tra il latino (lingua composita e dunque non universale) e il francese, duttile ma non vario. 47Zib. 1065-66; 1707-10. 48Zib.3972, corsivo dell'A. 49C. Beccaria, Ricerche intornoalla natura dellostile, Milano, 1770.
50 Zib. 109-10.

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Parole e termini non stanno in una netta contrapposizione (niente vieta che sull'asse diacronico mutino il loro statuto scambiandosi le parti), ci6 che li individua e l'uso linguistico, cio& ancora una volta la storia.51 Termine e qualsiasi segno linguistico che non abbia (per sua destinazione, come le nomenclature scientifiche), o abbia perso (per limite di chi lo impiega, come le parole straniere) un rapporto diretto, espressivo con la realta nominata. L'aspetto piu rilevante della distinzione non consiste nell'ovia riproduzione del teorema: lingua francese (lingua di termini)-lingua universale-impoverimento linguistico; ma nella consapevolezza che la precisione di un termine (identificato con le parole straniere o no entrate nell'uso definitorio), cio& la sua capacita di indicare oggettivamente un aspetto della realta, non & la stessa cosa della chiarezza. Non essendo per noi ricavati (o dall'assuefazione dall'esperienza linguistica), essi non parlano all'immaginazione, ma solo alla ragione,52 sono cioe parole dimezzate, funzioni piu che parole (L. distingue per6 poi ulteriormente i termini, pure inserzioni di lessico straniero o nazionale a fine definitorio, dalle parole universali che esprimono idee universali e in quanto tali sono necessarie e non sostituibili, da qualsiasi lingua provengano, nella scienza e nella filosofia53). La complessa argomentazione leopardiana, con uno di quegli scarti che costituiscono il suo genio peculiare, non solo non si oppone all'introduzione dei termini (da qui lo scontro con i puristi, accusati di uccidere le lingue bloccandone ma & il segno preciso del corso della storia: la ogni contaminazione) scienza eliminera la poesia, dopo aver impoverito la lingua.54 Affine al
51 Giusta l'osservazione di Gensini: ?Gia Locke aveva insistito sul condizionamento che questa perenne condizione pratica del parlare ha sulla configurazione semantica delle parole, ma lo aveva fatto soprattutto per sostenere la necessita di un raffinamento convenzionale dei valori semantici, si da decontestualizzarli per il possibile, e da renderli cosi utilizzabili in un iscorso che miri alla conoscenza della verita. In Leopardi [...] la fase dell'indeterminatezza individuale e sociale dei significati linguistici gode invece di uno status autonomo: e osservata, per dir cosi, in se stessa, senza anteporle un limitativo "malgrado",e senza immediatamente direzionarla alle esigenze della filosofia e della scienza?, op. cit., p. 114. L'esigenza di una lingua ricondotta alla sua nuda capacita funzionale e gia presente in altri filosofi, tra cui Bacone e Cartesio. 52 Zib.951-52. Altrove L. contrappone al termine la metafora: <essa e cosi piacevole perche rappresenta pif idee in un tempo stesso (al contrario dei termini),, Zib. 2468, corsivo dell'A.. 53Zib. 1213-14. 54 <Quindi la secchezza che risulta dall'uso de' termini, i quali ci destano un'idea quanto pii si possa scompagnata, solitaria e circoscritta; laddove la bellezza del discorso e della poesia consiste nel destarci gruppi d'idee, e nel far errare la nostra mente nella moltitudine delle concezioni, e nel loro vago, confuso, indeterminato, incircoscritto. Il che si ottiene colle parole proprie, ch'esprimono un'idea composta di

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discorso sui termini e quello sulla sinonimia interlinguistica: non Ancora una volta l'espressivita esistono tra due lingue parole sinonime.55 della parola, frutto di una peculiare e irrepetibile storia, la rende unica e intraducibile (mentre al contrario i termini, che non richiedono inutilizzabili sono traduzione, per la letteratura). Accanto al problema del ?gustare> (lo stile) c'e anche quello dell' <intendere> (il significato). Superando ogni sterile contrapposizione dovuta a qualche forma di convenzionalismo, L. coglie il nesso indissolubile tra parola e pensiero, nella fondata concezione di una sintesi operante nel fatto linguistico, sintesi storica, reversibile certo, ma dove ogni separazione conduce ai facili paradossi di una ingiustificata assolutezza: <Nelle parole si chiudono e quasi si legano le idee, come negli anelli le gemme, anzi s'incarnano come l'anima nel corpo, facendo seco loro come una persona, in modo che le idee sono inseparabili dalle parole, e divise non sono piu quelle, sfuggono all'intelletto e alla concezione, e non si ravvisano, come accadrebbe all'animo nostro disgiunto dal corpo>56. Sempre sullo sfondo del tema della traduzione, L. affronta il tema semantico e quello semiotico (certo tenendo conto della lezione empirista e degli ideologues)con una lucidita definitiva. L'argomentazione e complessa e vale la pena di seguirla nei suoi momenti decisivi: <Le idee, i pensieri per se stessi non si fanno vedere ne conoscere, non si potrebbero vedere ne conoscere per se stessi. A far ci6 non c'e altro mezzo che i segni di convenzione. Ma se i segni di convenzione son diversi, e lo stesso che non ci fosse convenzione, e che quelli non fossero segni, e cosi in una lingua non conosciuta, le idee e pensieri che esprime non s'intendono. Per intendere dunque questi segni come vorreste fare? [...] Bisogna che lo intendiate per mezzo di altri segni, della cui convenzione siete partecipe, cioe per mezzo di un'altra lingua da voi conosciuta?57.

molte parti, e legata con molte idee concomitanti; ma non si ottiene colle parole precise o co' termini [...] i quali esprimono un'idea piu semplice e nuda che si possa. Nudita e secchezza distruttrice e incompatibile colla poesia, e proporzionatamente, Zib. 1234-38. colla bella letteratura>>, 55<Non si troveranno in 2 diverse lingue, 2 parole sinonime che minutam. considerate esprimano un'idea precisam. ed interam. identica. Alcune parole perfettamente considerate bastano talvolta a dipingere il carattere della vita, del pensiero, dell'intelletto, dell'immaginazione, delle opinioni ec. del popolo che le adopera>, Zib. 1520. In questo passo l'irripetibilita della parola discende dal suo rispecchiare la lingua nella sua interezza, con l'ovvia implicazione che un'altra lingua per definizione non pu6 riprodurla. 56 Zib. 2584. 57 Zib. 967-68.

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Ogni sistema di segni linguistico rende visibili le operazioni del pensiero, ma il problema della comunicazione tra due sistemi implica necessariamente un terzo sistema di raffronto, che espliciti il nesso segno-significato dell'altro, in una moltiplicazione tendenzialmente esponenziale.58 Inoltre, la complessita di una lingua e tale che non esiste mai una perfetta corrispondenza tra lingua e lingua in grado di se il numero dei segni coprire interamente l'area dei significati: <<<<Ma da voi conosciuti e limitato, come farete a intendere quei segni sconosciuti che non avranno gli equivalenti fra i noti a voi? [...] Nessuna lingua dunque & uno strumento cosi perfetto che possa servire bastantemente per concepire con perfezione le proprieta tutte e ciascuna di ciascun'altra lingua [...] Che se ci6 vale quanto al perfetto intendere, molto pii quanto al perfetto gustare>59. L'inadeguatezza di ogni forma di traducibilita &iscritta nella natura stessa delle lingue. La loro molteplicita ben lungi dall'essere accidentale & sostanziale, non solo ci sono molte lingue ma ogni lingua & plurale. N6 vale l'ipotesi di una lingua madre capace di riflettere in toto la virtualita del pensiero, una lingua rispetto alla quale, una sorta di metalinguaggio teorico, perche se & vero che noi ?pensiamo parlando>, allora: ?nessuna lingua ha forse tante parole e modi da corrispondere ed esprimere tutti gl'infiniti particolari del pensiero>60.La pluralita linguistica assume cosi un valore decisamente gnoseologico, che trascende perfino quello storico, finora considerato come orizzonte ultimativo dell'indagine leopardiana. L'esistenza e la padronanza delle lingue diventa lo strumento per meglio definire il nostro pensiero in una tensione approssimativa necessaria e mai compiuta: <Perche un'idea senza parola o modo di esprimerla, ci sfugge, o ci erra nel pensiero come indefinita e mal nota a noi medesimi che l'abbiamo concepita. Colla parola prende corpo, e quasi forma visibile, e sensibile, e circoscritta>>6.Tutto si risolve dunque nell'esperienza storica delle lingue intesa, potremmo dire, come elemento trascendentale dell'espressione del pensiero. E come i termini risultano alla fine nocivi perch6 mere convenzioni, estranee al reale progresso (politico, scientifico) di acquisizione della lingua, cosi (ipotesi purista) &un gioco vano il rinchiudersi nelle circonlo58 I1sistema x per decifrare il sistema y ha bisogno del sistema n gia noto e capace di decifrare y. Ma la decifrazione di n importa nl ecc. 59Zib.968-70.
60

Zib. 94-95.

61 Zib.

95.

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cuzioni, misero surrogato di una poverta lessicale che ha le sue origini altrove.62 L'elenco quasi interminabile di obiezioni che L. pone a una qualsiasi traducibilita inter e intralinguistica raggiunge il suo culmine quando, nell'ennesima ripresa dell'opposizione termini/parole e nel tentativo di meglio definire la specificita delle parole, che noi chiameremmo connotativa, nei confronti dei termini, all'aspetto metaforico dell'origine storica di ogni parola aggiunge la risonanza, il colore affettivo, dovuto alla prima infanzia e quello generato dell'uso letterario. La conclusione porta di nuovo, o sembra portare, a una sorta di solipsismo linguistico: ?e quindi non c'e forse un uomo a cui una parola medesima [...] produca una concezione precisamente identica a quella di un altro: come non c'e nazione le cui parole esprimenti il piui identico oggetto, non abbiano qualche menoma diversita di significato da quelle delle altre nazioni>63. Nelle considerazioni fin qui svolte il tema della traduzione affiora di quando in quando e si scompone in una molteplicita di indagini, linguistiche, filosofiche e storiche, generando nel lettore l'impressione che tradurre sia per L. un atto teoricamente impossibile e realisticamente inutile. Ma fin dall'inizio abbiamo sottolineato, al contrario, il suo forte interesse per la traduzione, l'alta stima che il poeta nutriva nei confronti di questo genere e il valore estetico da lui attribuito alle traduzioni migliori indipendentemente dalla loro utilita. Come e possibile o meglio come si concilia con quanto finora ricordato? Senza voler forzare le numerose indicazioni sparse nello Zibaldone, credo che la risposta sia pienamente iscritta nella teoria della traduzione come imitazione.Questa teoria ha per6 bisogno di alcune precisazioni preliminari. L. loda a piui riprese la lingua italiana (e quella greca) come lingua capace di una sostanziale fedelta nelle traduzioni, a differenza del tedesco, magnificato dalla Stael in quanto in grado di adattarsi perfettamente a qualsiasi lingua straniera. L'argomentazione leopardiana e la seguente: <Ci6 vuol dir solo che una tal lingua pu6 senza incomodo e pregiudizio delle sue regole grammaticali adattarsi alle costruzioni e all'andamento di qualsivoglia altra lingua con somma esattezza. Ma l'esattezza non importa la
62<Ma una circollocuzione, un corpo grosso e disadattato, che se non ha tanto di luogo, non pu6 entrare o giacere, come trovera sito, dir6 cosi, in quelle pieghe, in quei cantoni, in quegli spicoli, in quegli spazietti, in quei passaggetti, in quelle rivolte [...] in quelle giratine, in quelle tortuosita, in quelle angustie e stretture del discorso o del periodo, cosi frequenti, dove spessissimo vorra e dovra entrare quella tale idea, ed entrerebbe la parola, la circollocuzione non gia??, Zib.639-40. 63 Zib. 1705-06.

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fedelta ec. ed un'altra lingua perde il suo carattere e muore nella vostra, quando la vostra nel riceverla, perde il carattere suo proprio, benche non violi le sue regole grammaticali [...] laddove la lingua italiana, che in ci6 chiamo unica tra le vive, pu6 nel tradurre, conservare il carattere di ciascun autore in modo ch'egli sia tutto insieme forestiero e italiano. Nel che consiste la perfezione ideale di una traduzione e dell'arte di tradurre>64.Si osservi intanto la distinzione esattezza/fedelta che ricorda quella gia incontrata intendere/ gustare: una traduzione non e fedele quando riproduce solo il significato. Ma, ancora piu importante, l'osservazione sulla necessita che lingua d'arrivo e lingua d'origine conservino ciascuna, nella traduzione, le loro specifiche caratteristiche, cosi che l'autore partecipi di entrambe rimanendo se stesso. Ora, prescindendo dalle motivazioni storiche sulle quali L. poggia la supremazia della lingua italiana, e evidente la sua preoccupazione di considerare la traduzione letteraria come un testo molto particolare (L., come abbiamo ricordato, non stimava la traduzione dell'Eneide del Caro in quanto traduzione,ma in quanto testo autonomo), che partecipa di uno statuto letterario non riducibile a quello meramente estetico che regola, almeno in teoria, gli altri testi. Anzi, proprio L. capisce, a ben altro livello del Giordani, che nella traduzione non e in gioco il valore estetico della bellezza (non va dimenticato il rifiuto di questo valore inteso come categoria assoluta65)se non in quanto la traduzione e ancheun testo. In effetti, dati almeno i presupposti leopardiani che riguardano il suo concetto stesso di letteratura, parlare di bellezza in una traduzione, di bellezza come valore autonomo, e una contraddizione in termini: <E certo ogni bellezza principale nelle arti e nello scrivere deriva dalla natura e non dall'affettazione o ricerca. Ora il traduttore necessariamente affetta, cio& si sforza di esprimere il carattere e lo stile altrui, e ripetere il detto di un altro alla maniera e gusto del medesimo.
64 Zib. 1949-50. Cfr.: ?La perfezione della traduzione consiste in questo, che l'autore tradotto, non sia p. e. greco in italiano, greco o francese in tedesco, ma tale in italiano o in tedesco, quale egli e in greco o in francese In francese e impossibile, tanto il tradurre in modo che p. e. un autore italiano resti italiano in francese, quanto in modo che Egli sia tale in francese qual e in italiano. In tedesco e facile tradurre in modo che l'autore sia greco, lat. ital. franc. in tedesco, ma non in modo ch'egli sia tale in tedesco qual e nella sua lingua. Egli non pu6 esser mai tale nella lingua della traduzione, s'egli resta greco, francese ec. Ed allora la traduzione per esatta che sia, non e traduzione, perche l'autore non e quello, cioe non pare p. e. ai tedeschi quale ne piu ne meno parve ai greci, o pare ai francesi, e non produce di gran lunga nei lettori tedeschi quel medesimo effetto che produce l'originale nei lettori francesi ec.?, Zib.2134-35. 65 Cfr. almeno Zib. 1212-13.

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Quindi osservate quanto sia difficile una buona traduzione in genere di bella letteratura, opera che dev'esser composta di proprieta che paiono discordanti e incompatibili e contraddittorie. E similmente l'anima e lo spirito e l'ingegno del traduttore. Massime quando il principale o uno de' principali pregi dell'originale consiste appunto nell'inaffettato, naturale e spontaneo, laddove il traduttore per natura sua non pu6 essere spontaneo. Ma d'altra parte quest'affettazione che ho detto e cosi necessaria al traduttore, che quando i pregi dello stile non sieno il forte dell'originale, la traduzione inaffettata in quello che ho detto, si pu6 chiamare un dimezzamento del testo, e quando essi pregi formino il principale interesse dell'opera [...] la traduzione non e traduzione, ma come un'imitazione sofistica, una compilazione, un capo morto, o se non altro un'opera nuova?66.Ma se il valore letterario di un testo non pu6 passare in un altro testo, e se, d'altra parte, il testo-traduzione deve conservare tutti i tratti della lingua d'arrivo e di quella d'origine, allora e evidente che, sotto il profilo teorico, il rapporto tra i due testi va ripensato integralmente. Nell'ampia riflessione che L. dedica al concetto di imitazione, di cui abbiamo trovato traccia anche negli scritti pubblici, risalta il carattere peculiare dell'imitazione intesa non come registrazione esteriore e passiva, ma atto ermeneutico, consapevole e finalizzato: <L'imitare non e copiare, ne ragionevolmente s'imita se non quando l'imitazione e adattata e conformata alle circostanze del luogo, del tempo, delle persone ec. in cui e fra cui si trova l'imitatore, e per li quali imita, e a' quali e destinata e indirizzata l'imitazione,,67.E proprio da questo concetto d'imitazione, in cui il terreno storico rimane l'unico e possibile fondamento rispetto al quale si orientano sia
66 Zib.319-20.

67Zib. 3463. A. Prete ha colto molto bene l'importanza del tradurre in L. e il suo nesso con l'imitazione, anche se con una sfumatura a prima vista un po' fuorviante quando afferma: <Si tratta certo dell'imitazione intesa nel senso della classica imitatio, che da ars rethorica si e trasformata in un genere di scrittura. Le sue forme [...] mettono in scena un amore e insieme un conflitto nei confronti del modello, si muovono all'ombra dell'originale ma vanificano l'influenza dell'originale: trasmutazione di un testo in un altro testo, ma anche sostituzione e cancellazione del primo testo?,, op. cit., pp. 143-44. Non che L., filologo classico, ignorasse la valenza dell'imitatio, ma mi pare che egli operi una salutare distorsione del concetto secondo i canoni dell'ermeneutica umanistica (e Prete riconosce il senso ermeneutico del tradurre leopardiano), allontanandosi dal rifacimentoin quanto tale. Del resto, proprio uno degli ultimi ed e uno splendido esempio di traduzione componimenti dei Cantis'intitola Imitazione, (l'originale e La feuille, di Antoine-Vincent Arnault) secondo i canoni della poetica traduttoria di L., dove rispetto per l'originale, immaginazione linguistica e riappropriazione interiore si accordano in un saggio di rara bravura.

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l'imitatore che l'imitazione, discende l'ammonimento, particolarmente utile per definire limiti e specificita del tradurre, a rispettare la peculiarita del mezzo con cui si realizza l'imitazione: <Quanto piu qualsivoglia imitazione trapassa i limiti dello strumento che 1'F destinato, e che la caratterizza e qualifica, tanto pii esce della sua natura e proprieta, e tanto pii si scema la maraviglia, come se nella scultura che imita col marmo s'introducessero gli occhi di vetro, o le parrucche invece delle chiome scolpite. E cosi appunto si deve dire in ordine alla scrittura, la quale imita colle parole, e non deve uscire del suo strumento>68. L. non pone limiti alla materia per mezzo della quale si realizza l'imitazione, purch6 non vengano traditi i caratteri di questo mezzo, la sua coerenza interna, dando luogo a quella che chiama <imitazione barbara>69.La poesia, in quanto particolare forma d'imitazione, e imitazione della natura allo scopo di <dilettare?, ma la natura &la sorgente prima delle illusioni, dunque la poesia in quanto imitazione deve necessariamente illudere, di pii, deve ingannare, come L. ricorda nel Discorsodi un italiano intornoalla poesia romantica: <<ilpoeta ha cura del dilettoso, e del dilettoso alla immaginazione, e questo raccoglie cosi dal vero come dal falso, anzi per lo piu mente e si studia di fare inganno, e l'ingannatore non cerca il vero ma la sembianza del vero7>0.La poesia non & che il tentativo da parte del poeta (<padrone delle fantasie>) di ricondurci alla natura mediante l'immaginazione. Imitare la natura non & dunque per L. un fatto riconducibile all'estetica (&singolare la sua indifferenza per l'ambito estetico, motivo per il quale la sua veemente polemica contro il romanticismo pare piu un alzare la voce tra programmi di scuola e sottili distinguo che una contestazione sistematica e fondata) ma all'essenza stessa dell'uomo, al suo riconoscersi elemento della natura, in un ricongiungimento pacificatore. A questo punto dire che la traduzione per sua natura e un'imitazione: <La piena e perfetta imitazione &ci6 che costituisce l'essenza della perfetta traduzione>71, significa riportare alla prassi
68 Zib.

dubbi sul caso specifico: <poich'egli lo dice per difender l'Opera, bisogna notare che gli elementi della materia non debbon esser discordanti, che allora la imitazione e barbara: come forse si puo dir dell'Opera dove da una parte e l'uomo vero e reale per imitar l'uomo, cioe la persona rappresentata, dall'altra e il canto in bocca dell'uomo, per imitare non il canto ma il discorso della stessa persona?, Zib. 32. 70 Op. cit., 972. 71 Zib. 1988.

69In riferimento a un'analoga affermazione di Metastasio, L. commenta, avanzando

977, corsivo dell'A..

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traduttoria quanto e presente come concetto fondante di quella imitativa. In una lunga riflessione del 1823, L. mette a punto il suo schema teorico traduzione/imitazione tornando sul giudizio della Stael che considera la lingua tedesca la piu adatta a tradurre perch6 capace, per la sua natura mimetica, di fornire un calco del testo tradotto. Egli osserva che se le traduzioni tedesche non solo imitano lo stile e il carattere dell'autore, ma ?rispondono verso per verso, parola per parola, sillaba per sillaba, ai versi, alle costruzioni, all'ordine preciso delle parole, al numero delle medesime, al metro, al numero e al ritmo di ciascun verso, o membro o periodo, all'armonia imitativa, alle cadenze, a tutte le possibili qualita estrinseche come intrinseche [...] elle non sono imitazioni, ma copie>72. Il vantato eclettismo o camaleontismo della lingua tedesca e la prova pii certa della sua incapacita di tradurre, la dove tradurre vuol dire imitare. E poi, come abbiamo gia ricordato, ogni lingua ha un suo carattere a immagine del carattere della nazione, dunque non e possibile un'adattabilita senza limiti (che vorrebbe dire non avere quel carattere): <Parlando dell'adattabilita o pieghevolezza, e della varieta e liberta di una lingua, bisogna distinguere l'imitare dall'agguagliare, o rifare, le cose dalle parole>73.Il greco e l'italiano, lingue unitarie ma composte, aggregati di lingue, proprio per questo sanno tradurre, in quanto predisposte a una, sia pure limitata, possibilita di ricezione culturale: <Questo e imitare, come chi ritrae dal naturale nel marmo, non mutando la natura del marmo in quella dell'oggetto imitato; non e copiare ne rifare, come chi da una figura di cera ne ritrae un'altra tutta compagna, pur di cera. Quella e operazione pregevole, anche per la difficolta d'assimulare [latinismo: riprodurre] un oggetto in una materia di tutt'altra natura; questa e bassa e triviale per la molta facilita, che toglie la maraviglia [...] Imitando in quel modo s'imitano le cose, cioe lo spirito ec. delle lingue, degli autori, dei generi di scrittura; imitando alla tedesca s'imitano le parole, cioe le forme materiali, le costruzioni, l'ordine de' vocaboli di un'altra lingua [...] e probabilmente s'imitano queste, e non le cose>74.I1 cuore dell'argomentazione leopardiana e appunto questo: le lingue sono diverse,

Altrove L. diffida delle imitazioni troppo fedeli perche esse ci fanno <quasi dubitare della ragionevolezza della nostra ammirazione per quei grandi originali?, Zib. 101. La serialita toglie la capacita di stupire, vero motore dell'azione poetica.
72 Zib.2845-46.

73 Zib. 2849-50. 74 Zib. 2850-51.

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inassimilabili, espressione di processi storici non omogenei; tradurre dunque non puo voler dire eseguire il calco di questi percorsi estranei (e in precedenza abbiamo visto come, per gli stessi motivi non abbia senso imporre al testo tradotto i caratteri della lingua e della cultura d'arrivo). Tradurre significa imitare rispettando ci6 che si imita (contenuti e forme) ma anche il mezzo con il quale si imita: <ne il pregio dell'imitazione consiste nell'uguaglianza, ma nella simiglianza, ne tanto e maggiore quanto l'imitante piu s'accosta all'imitato, ma quanto piu vi s'accosta secondo la qualita della materia in cui s'imita, quanto questa materia e piu degna>75. Le traduzioni tedesche sono simili a quella dei Settanta della Bibbia, che il incapace di ricreare nei contemporanei e in noi <lo stessoeffetto>> Testo Sacro gener6 negli ebrei. Ecco il punto: il testo che traduce/ imita un altro testo ha come suo scopo di riprodurre nel lettore le stesse emozioni e gli stessi pensieri che il testooriginaleha prodottonel lettore originalein un tentativo di trapianto sempre delicato e dagli esiti incerti. A L., che certo avrebbe apprezzato il PierreMenardtraduttore delDon Chisciotte di Borges, in cui la traduzione/ricreazione del testo aviene per semplice trascrizione, ma una trascrizione ricca di umori assurdamente diversi dall'originale, la soluzione teorica del problema del tradurre sembra possibile solo grazie a una mimesi che quasi per incanto e per forza propria susciti emozioni simili. Per questo L. non si stanca di mettere in guardia dal confondere l'equipotenza delle lingue con la loro interscambiabilita o equivalenza: <Una lingua perfetta che sia pienamente libera ec. colle altre qualita dette di sopra, contiene in se stessa, per dir cosi, tutte le lingue virtualmente, ma non mica pu6 mai contenerne neppur una sostanzialmente. Ella ha quello che equivale a ci6 che le altre hanno, ma non gia quello stesso precisamente che le altre hanno. Ella pu6 dunque colle sue forme rappresentare e imitare l'andamento dell'altre, restando per6 sempre la stessa, sempre una>76.Il miracolo della traduzione, come quello della transustanziazione, consiste nell'essere altro rimanendo se stesso.

75 Zib. 2857.
76

Zib. 2853.

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