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Della necessità della bellezza: ovvero una città funziona

solo se è bella

Buongiorno, desidererei ricollegarmi a quanto scritto recentemente


sulle ragioni della bellezza nel “fare” la nostra città.
Inizierei con il chiedere alcune cose:
Chi compra un vestito, solo perché funzionale a coprirne il corpo,
senza pensare se la propria figura se ne avvantaggerà in gradimento
estetico?
Chi sceglie la propria amata o amato, se ai propri occhi non suscita un
sentimento di bellezza?
Chi non cerca di rendere la propria vita migliore, quindi più bella?
Io credo che molte delle scelte della nostra vita siano mosse dalla
ricerca di maggior bellezza.. (la bellezza ci salverà..?). Bellezza intesa
come armonia, essenzialità, equilibrio, eleganza.
Ma come mai siamo arrivati al punto di farci il nodo al fazzoletto per
ricordarci di mettere un cucchiaio di bellezza nelle nostre ricette
edilizio-urbanistiche? Non dovrebbe essere connesso con il nostro
pensare, il pensare di realizzare una qualsiasi cosa che funzioni e che
sia naturalmente nel contempo (necessariamente) anche bella?
Siamo gente di antiche origini e quanto questo pensiero sia (o meglio:
era) radicato in noi lo deduciamo dal nostro passato. Qualsiasi
palazzo, casa, edificio storico che si guardi nella nostra cittadina
contiene quell’ingrediente necessario ed indispensabile che è la
bellezza. Quando si costruiva, prima dell’avvento della “deregulation
contemporanea”, era comunque bello.
La bellezza veniva da sè: la misura di riferimento era l’individuo, tutto
veniva fatto in sua proporzione, una stanza.. non poteva essere voltata
con una chiave a 2.70 mt (..odierna asettica sterile e quanto mai
orrenda nonché terribile normativa per le altezze dei vani). Veniva
voltata in proporzione in modo da non far sentire “u ccupamentu” a
chi avrebbe vissuto quello spazio. La sapienza dei maestri d’arte,
d’altronde si stratificava nel tempo, con l’esperienza, il terzo occhio
“vedeva” la giusta misura.
Ora non più, qualcosa si è rotto.
La bellezza, inseparabile ombra di ogni oggetto tridimensionale
manifesto alla luce del sole, come l’ombra nella favola di Peter Pan, si
è staccata dal soggetto, ma ahimè ricucirla, oggi, sembra molto, molto
più difficile.
Voluttuosi fantasisti del disarticolato, del “famolo strano”, dello
“stondo su tela”, “pennellano” il nostro spazio urbano, costringendoci
“a voltar lo sguardo” così come si evita una merda secca in terra.
Ma quanto è difficile non curarsi di loro e passare oltre..
Il nostro senso civico ce lo impedisce, o meglio dovrebbe..
Ma sembra ormai scaduto in indifferenza, il virtuale interessa più del
reale.
Ma Galatina è la nostra casa.
Per la miseria, non possiamo perdere questa ultima sensibilità, non
possiamo lasciare che tutto ci scivoli addosso come se non ci
riguardasse.
Il nostro sentimento di partecipazione dovrebbe indignarsi, far sentire
le proprie ragioni, le ragioni di chi vive lo spazio urbano, la casa di
una comunità.
Ma siamo ancora una comunità?
Forse possiamo provare a capirlo cercando dentro di noi una risposta a
questa domanda:
Se si dibattesse oggi se costruire una discarica in Piazza Alighieri
quali ragioni prevarrebbero? Quelle di chi difende gli eventuali pochi
posti di lavoro creati dal flautolento invaso, o quelle dei pochi
”rompicoglioni-esteti” sicuramente accusati di frenare lo “sviluppo
economico” della città?
Ecco la chiave: ..lo sviluppo economico..
L’apparente ragione ultima del nostro tempo.
Tutti ne parlano, qualcuno lo teorizza, molti ci speculano.
E di conseguenza, ecco il lampo di genio: edilizia uguale volano
dell’economia.

(silenzio)

Defecare metri cubi sviluppa solo il portafoglio di pochi, non la


ricchezza di una città.
Vetusti slogan appiccicati di tanto in tanto per dare un po’ di colore a
noiose giornate elettorali. Testimonianze di una incapacità oramai
patologica di una lettura realistica della contemporaneità.

Personalmente non ho mai visto un turista aggirarsi per le


“decantate” periferie galatinesi ad ammirare le …famosissime
pensiline salentine con tetto soprastante…

Ma la questione forse, può essere spiegata anche antropologicamente:


sin da bambino ti insegnano a disegnare le case con i tetti, anche se il
nostro paesaggio (figlio di una sapienza antica che conosce le ragioni
di ogni tipo di copertura) parla di terrazze piane. L’emigrazione poi ci
ha fatto credere di essere “figli una cultura perdente”, ed allora ecco i
“tetti svizzeri”.
Credo nella assoluta necessità di “ricomporre l’infranto”, ricucire
l’ombra della bellezza al nostro fare, a cominciare dalla nostra
capacità di indignazione, dal nostro senso di partecipazione, dalla
nostra volontà di migliorare la qualità della vita.
Cercare la bellezza in ogni cosa. A cominciare dallo spazio urbano,
perché ci ricorda che siamo persone orgogliose e capaci, e che
sappiamo creare da noi le risorse per la nostra sopravvivenza, così
come lo hanno fatto per secoli i nostri trapassati.
Una città bella migliora a priori la qualità della vita. Qualità della vita
vuol dire funzionalità. Una città funziona solo se è bella, ma la bellezza
non si acquista a chili al mercato, viene dall’elevarsi e dallo
stratificarsi delle nostre capacità, forse più dal nostro saper essere, che
dal nostro saper avere. Dal nostro saper essere nel contempo comunità
ed individualità.
La bellezza di una città è la cartina al tornasole della sua funzionalità.

Distinti saluti
Sandro Cacciatore

Lettera inviata al quotidiano online Galatina.it il 4 luglio 2009, in risposta

alla lettera dell’Arch. Alfredo Masciullo pubblicata in data..12.06.09.

Pubblicata il 5 luglio 2009 alla pagina:

http://www.galatina.it/lettere/090705cacciatorebellezza.html

con la seguente risposta da parte del Direttore del giornale:

Gentile Sandro,

la bellezza salverà il mondo. Questo aforisma di Dostoevkij è una frase


pronunciata dal principe Myskin, il protagonista "buono" de "L'Idiota", uno dei
più famosi romanzi dello scrittore russo.

Da un paio di settimane la uso come saluto su msn. Il tentativo è quello di


spingere i miei interlocutori (che per la verità non ne avrebbero bisogno) a
riflettere proprio su questo principio che sembra banale ma che fa discutere e
meditare da oltre 2400 anni. Platone ci ha chiarito che cos'è il mondo "ideale",
quello che non raggiungeremo mai, e Cristo, quattrocento anni dopo, si è fatto
uomo per dirci che basta l'Amore per vivere "bene" in terra e avere il premio
eterno dopo la morte.

La mia risposta alla Sua domanda è, dunque, positiva e coincide, mi sembra, con
la Sua. Solo la bellezza può salvarci e può salvare i luoghi in cui viviamo.

Cari saluti.(d.v.)

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