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Dov' è finita la programmazione? - Repubblica.it » Ricerca http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/07/29/...
po' al di là delle eterne emergenze, una riforma della legge finanziaria ispirata a quella, da molti
anni introdotta in America, della programmazione strategica (strategic planning). Perché non
inviare una commissione a Washington (per carità, di dimensioni ridottissime e approfittando del
cambio favorevole) di esperti che studino, una buona volta, «il modello americano»? E vedano
se, per caso, possiamo imparare qualche cosa, non solo dalla CIA, ma anche dal Bureau of
Budget? Programmazione. Non è un po' strano che, almeno per quanto riguarda le tecniche,
non gli obiettivi, di politica economica, siano gli americani, come sembra, ad applicarla con
rigore? Succede. Noi tentammo, tanti anni fa, di introdurre questo concetto nel lessico italiano.
Ci riuscimmo anche troppo. Ma soltanto nel lessico. Quella che si chiama ancora
«programmazione» finanziaria non è niente altro che una brutale partita di rugby: una
ripartizione delle risorse fondata sui rapporti di forza politici nel Governo e burocratici nell'
Amministrazione, arbitrata con antica sapienza dalla Ragioneria dello Stato. Noi ci provammo a
cambiare. Dio sa se non abbiamo fatto delle sciocchezze, frutto di presunzione ideologica e di
avventatezza politica. Personalmente, non ho mancato di fare pubblicamente e ripetutamente la
mia personale autocritica. Pretendere di controllare i flussi finanziari e gli investimenti delle
imprese, figuriamoci!. Ma pretendere di programmare la spesa dello Stato non era giacobinismo,
era ragione e rigore finanziario e responsabilità democratica. Ne abbiamo fatti, di errori. Ma
abbiamo anche lanciato idee giuste che caddero vittima del cinico e sterile sarcasmo italico sul
«libro di sogni». Non solo quando proponemmo la programmazione della spesa pubblica «per
progetti». Anche quando, per esempio, disegnammo nel Progetto 80 una visione di
pianificazione territoriale nazionale che servisse da guida a una scelta razionale dei grandi
investimenti sul territorio (aree urbane, aree verdi, reti dei trasporti e delle comunicazioni) che
offriva al Paese uno strumento che gli avrebbe evitato tante ignobili devastazioni; e al Governo
criteri oggettivi e coerenti per giudicare i grandi investimenti infrastrutturali; invece di correre da
una emergenza all' altra, in una continua serie di stress emergenziali che si risolvono in una
deprimente paralisi. Se, magari seguendo il «modello americano» ci provassimo ad uscire dall'
emergenzialismo, per riprendere la strada di una programmazione aggiornata e moderna, che
utilizzi le esperienze del mondo e della storia? Che cosa ne pensa il Ministro dell' Economia?
Che cosa ne pensano il Ministro delle Infrastrutture e il Ministro dei Trasporti? - GIORGIO
RUFFOLO
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