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Bianciardi: che palle!

[il lavoro culturale 2]

Quelli che hanno apprezzato il primo frammento del mio viaggio privato allinterno della storia culturale grossetana avranno agio di ricredersi leggendo questo secondo (a cominciare dal titolo). Ce ne sar un terzo, ma poca cosa, poi pi niente

Che faccio? Lo dico? Non lo dico? Ma s, lo dico... Bene allora lo dico: Bianciardi, che noia! Ecco, lho detto, non si torna indietro: di Bianciardi non se ne pu pi. Ogni volta che si parla di Grosseto eccolo l. E come con i butteri, e i cinghiali, lottava rima o il rude e schietto popolo maremmano, tutta quella roba l: sono stereotipi che funzionano sempre, per carit, stanno l, ce n bisogno, cos pare, per qualche ragione, ma che palle! Non colpa sua, naturalmente. Lui si limitato a fare il suo lavoro, n pi n meno, e tutto avrebbe voluto, immagino, fuorch essere infilzato con uno spillone nella collezione delle farfalle autoctone della maremma, un santino stucchevole a cui intitolare piazze pubbliche e sussiegose istituzioni. Ma ormai andata cos, non c niente da fare. Eppure curioso, perch a grattare un po ci si accorge che parecchi, da queste parti, non sanno neanche chi sia, Bianciardi. Ho visto una cosa al cinema, un documentario, un paio di anni fa, con questa intervista a un vecchio minatore di Ribolla che cercava il radicchio ai piedi del vecchio pozzo della pirite: si ricorda di Bianciardi? Sa chi era? che cosa ha fatto? domanda lintervistatore. Questo lo guarda con locchio spento, si gratta la testa, si gira di qua, si gira di l, poi dice: Non so non ricordo forse era mica uno di quei direttori della Montecatini?. Per la gente comune, per i grossetani comuni, se si escludono i pochissimi ancora vivi che lhanno conosciuto al tempo (molti dei quali, per una ragione o per laltra, non ne conservano un buon ricordo), Bianciardi non mai esistito. C ovviamente, come si diceva, una via Bianciardi, a Grosseto, ci mancherebbe!, ma ormai le vie cittadine sono state intitolate a cani e porci; e c persino una (languente) Fondazione Bianciardi, tanto per testimoniare la riconoscenza imperitura della citt, ma di fatto lindifferenza che prevale. Ma se sei un intellettuale, se ti occupi di cultura, in qualche modo, in qualche modo devi anche fare i conti con lui. Il che significa che almeno bisogna avere letto il lavoro culturale, un librino cos, che abbastanza semplice, perch ha solo 112 pagine in corpo 12, ed scritto in modo che anche un grossetano possa capirlo. I pi arditi arrivano fino alla Vita Agra (che , va detto, un lavoro superbo, importante. Su questo non c discussione). Pi in l, dalle parti di Aprire il Fuoco, o la Battaglia Soda, si spingono solo i filologi, ma lo fanno pi che altro per lavoro, ed in genere gente senza sangue. Se hai fatto quel minimo, comunque, sei ufficialmente un bianciardiano, un cittadino a

tutti gli effetti della nostra Kansas City, e anche tu senza meno aperto al vento e ai forestieri qualunque cosa significhi questa bizzarra locuzione. E tanto basta a fare di Bianciardi, che a lui piaccia o meno, uno dei rappresentanti pi tipici dellidentit maremmana. Identit una parola che non vuole dire niente, ormai, ed per questo che la usano tutti. Ma vero che c sempre qualcosa che ti viene in mente, quando fai il nome di un posto qualsiasi: unidea, unimmagine, una persona, un racconto, un concetto, una canzone che ha a che fare con quel posto. Se quella, lidentit, e se vale anche per Grosseto, oggi come oggi Bianciardi c dentro fino agli occhi. Non successo subito, per, e c voluto del tempo, prima che Luciano perdesse la patina generica e transeunte di Grossetano che si fatto onore nel mondo, gloria locale, e roba del genere, prima insomma che finisse di essere soltanto un oggetto di pettegolezzi e invidie, pubbliche lodi e private perfidie. Non si va molto lontano, con cos poco: al mass imo potresti essere proposto per quel Grifone doro che ormai hanno avuto anche le maestre dasilo, e non saprei davvero se sarebbe da preferire loblio. Ma nel tempo, e ben dopo la morte, la figura di Bianciardi ha cominciato ad assumere per gradi laura pi duratura e addentabile del vero e proprio mito maremmano, per diventare alla fine anche lui, a tutti gli effetti e con tutti gli onori, una ennesima incarnazione del (presunto) spirito ribelle e indipendente di questa terra. Lo splendido perdente. Eccoci al dunque: la sconfitta la cifra morale di questa terra di bassure. Sconfitti furono gli etruschi, fiero popolo di maremmani ante litteram, una civilt superiore che partendo da qui arriv persino a governare Roma, per esserne di poi cacciato e disintegrato. E poi il buttero, ovviamente, fiero e indomito pur esso, e presto domato dal progresso e dalla riforma agraria, ridotto alle comparsate domenicali come un qualsiasi capo Apache. E ancora: il rude cacciatore dalla pelle cuoiosa, notte dopo notte a far la posta agli uccelli di passo dentro una botte immersa nellacqua gelida del padule, cancellato dalla bonifica e dai regolamenti venatori provinciali. E mettiamoci anche il vecchio Lazzeretti, il Davide, il Cristo dellAmiata, inventore di un bizzarro comunismo spirituale, onorato addirittura da un paio di pagine di Gramsci, che fu tolto di mezzo senza tanti complimenti con un solo colpo di fucile. Una galleria di battaglie perse, con onore, con orgoglio, certo, ma perse, perse davvero, eccome, irrimediabilmente. La sconfitta di Bianciardi riempiva un vuoto e rispondeva ad una esigenza: ora anche la gente di cultura, gli intellettuali della maremma redenta avevano il loro perdente, uno splendido, irraggiungibile perdente che si era arrampicato l dove nessun intellettuale grossetano aveva mai sognato di arrivare: la gloria letteraria, il successo mondano, un bel po di soldi, il cinema, persino, con Ugo Tognazzi, addirittura, che gli faceva il verso. E a seguire la Geenna dellalcol, le sbandate, gli insuccessi, il ritorno silenzioso, la terribile parabola discendente. A Milano era diverso, certo, ma anche l era questa aura identitaria che funzionava: Luciano era lincarnazione del toscanaccio cos come se lo rappresentavano i milanesi, gente non abbastanza sofisticata da saper distinguere tra livornesi, fiorentini, maremmani o pisani (e s che si vedono bene, le differenze), ma tutti incantati dallo stereotipo delluomo diretto, schietto, scanzonato (esiste una parola pi idiota?), senza peli sulla lingua, ma anche un po grullo, e lavoratore cos e cos, che da quelle parti un po come un peccato mortale. Uno che si fa licenziare per scarso rendimento, e ha il fegato di sbattere la porta in

faccia a Montanelli e al Corrierone (ma non ai redattori delle rivistine scollacciate). Forse ne era dispiaciuto, forse, in parte, ne era compiaciuto. E forse era un prezzo che si doveva pagare, alla fama, al successo, allinteresse peloso di quella gente strana contro cui pensava di battersi, e che aveva fatto la sua fortuna, invece. Ma alla fine, col passare del tempo, Bianciardi si ritrov a fare il verso a Tognazzi che faceva il verso a Bianciardi, e forse era anche questo che non lo faceva stare bene. Vedere Bianciardi Due volte, lho visto, Bianciardi. La seconda fu ai margini di una manifestazione politica, un corteo lungo il Corso Carducci. Era con il figlio, che conoscevo perch si scambiava romanzi di fantascienza con mio fratello, e anche per via di un soprannome bizzarro che qui non riporto. Lui passava di l, e alz il pugno, ma non per solidariet, figuriamoci, piuttosto per fare una specie di sberleffo. Non mi piacque, proprio per niente. Al tempo ero commissario del popolo, e questa storia del pugno alzato per me rappresentava n pi n meno che una provocazione. Rideva, lo sciagurato, ed era unaltra aggravante. Ma si sa, i commissari del popolo non sono particolarmente sensibili allironia. Anzi. La prima invece fu per una conferenza che qualcuno organizz al liceo, e alla quale si present insieme alla figlia. La sede era quella che era, una sede provvisoria, e la conferenza si tenne praticamente nel sottoscala, tutti seduti sulle panche. Bianciardi si era portato una lunga catena, e la tese attraverso la stanza reggendola per un capo, con la figlia che la teneva dallaltra parte. Poi la allent un poco, e gli fece tracciare una specie di arco sospeso a mezzaria. Vedete, ragazzi?.... questa una catenaria una curva di quelle che vi fanno studiare in matematica un coseno iperbolico. Non scrisse la formula alla lavagna oppure s, non ne sono sicuro. Difficile capire dove volesse andare a parare, nella circostanza. Impossibile ora, che appena ricordo lepisodio. Mi feci lidea per che volesse provocare le nostre anime imberbi, ma allora mi consideravo troppo sveglio per farmi incantare da questi giochetti. Nel dibattito Bubba, un democristianone di quinta, gli rimprover quel passo della Vita Agra dove si fa riferimento allodore del bagno di casa dopo che cera passato il genitore. Le pare letteratura, questa? gli disse senza mezzi termini, con quel coraggio bacchettone che i baciapile pi giovani ostentavano per farsi coraggio. Non ricordo la risposta, e s che mi farebbe comodo ricordarmela, ora; ma la letteratura non mi interessava particolarmente, al tempo; almeno non quanto la giovane Emilia, che mi sedeva accanto in quella occasione, con la sua erre blesa e il suo vestitino intero a quadrettini rossi e bianchi. Quello s che me lo ricordo, e pure tutto il resto che la riguarda, e che mi tenne occupato (mentalmente, per lo pi) per tutta quellestate. Di Bianciardi, quella mattina, mi rimasta se non altro limpressione della faccia un po gonfia, e un certo senso palpabile di stanchezza, di dissipazione, quasi, come se in qualche modo si domandasse cosa ci stava a fare in quel sottoscala, insieme ad un branco di ragazzini indifferenti e distratti, che non capivano niente di letteratura, e poco di tutto il resto. Insomma Bianciardi passava e strisciava, come si dice nel linguaggio del tresette: una capatina, senza impegno, senza farsi troppo notare. Pu darsi davvero che in questo ci fosse anche lo strazio di una vita che gi gli era sfuggita di mano, il tentativo disperato e

inutile di recuperare qualcosa della sua breve giovinezza felice in quel buco di citt, linquietudine e la frustrazione di un carattere ferocemente ribelle troppo presto e troppo amaramente domato dalle tentazioni, dalla debolezza, dalle invidie, dallincomprensione della sua gente e dai rancori di chi doveva volergli bene. Ma gi il fatto che potesse essere invitato a parlare in un liceo, ancorch scientifico, e ancorch nel sottoscala, testimoniava di una certa evoluzione nel modo di girare delle cose culturali da queste parti. Certo la gente di qui preferiva leggersi, di nascosto magari, roba come Giorgina, un bestseller locale un po sporcaccione (dati i tempi) che aveva fatto parecchio scandalo, anche perch lautrice, molto giovane e disinvolta, era sposata con un decoroso insegnante abbastanza noto, in citt (segnalo, di passaggio, che lopera in questione risulta definitivamente scomparsa dalle biblioteche pubbliche e private, ed un peccato, perch si tratta di un curioso documento di costume provinciale, oltre che di una lettura tutto sommato gradevole, per quel che ne ricordo). Il libro fu sequestrato in tutte le librerie del regno, neanche fosse lUlisse di Joyce, e divenne un caso di cronaca nazionale. Ma Bianciardi era unaltra cosa, ovviamente: a Grosseto non solo poteva entrare e uscire a piacimento dai licei con le sue catene iperboliche, ma la citt ormai gli tributava, seppure a denti stretti, gli onori che gli erano dovuti. A denti stretti, perch lui era antipatico, e non andava del tutto bene per nessuno. Non per i comunisti, per i quali era poco meno che un corpo estraneo, una specie di cavallo pazzo; non per la famiglia, che pure aveva le sue buone ragioni per lamentarsi di lui, n certo per i borghesucci locali che alimentavano la stenta vita culturale della citt, gente come il giovane e gi vecchio Bubba, o i suoi genitori, che non sarebbero riusciti a capirlo, Bianciardi, o apprezzarlo, neppure se ci avessero provato nei secoli dei secoli. E neanche per i vecchi amici, quelli delle quattro strade, sempre pi vecchi e sempre meno amici, salvo poche eccezioni. Forse Kansas City rimaneva aperta ai venti e ai forestieri, ma lui non era straniero, a rigore, e nemmeno pi un indigeno. Era soltanto Bianciardi, nel bene e nel male: un piede di qua e uno di l, e fuori luogo in ogni luogo. Antipatico: forse questo laggettivo pi affettuoso che si possa usare con lui. La citt era costretta a riverirlo, ma non lo faceva volentieri. Gli riservava quella disapprovazione invidiosa che accompagna sempre chi non si adatta allipocrisia, al sorriso facile, alla piaggeria, ai comodi conformismi, e che neanche ha il buon gusto di provarne disagio o vergogna. Una vita difficile, e scomoda, perch agli antipatici non si perdona, e devi stare sempre sul chi vive quando tutti non aspettano altro che tu faccia un passo falso per mangiartisi con i panni addosso. Soprattutto bisogna sempre fare attenzione a non scoprire il fianco, e in questo Bianciardi non era particolarmente versato. Certo antipatico mi sembra una definizione comunque pi significativa e calzante di quella di anarchico, che gli stata appiccicata addosso a piene mani, in vita e dopo, anche con il suo consenso. Difficile dire se la parola debba essere presa come una lode o come un insulto. Certo nessuno ha mai sostenuto che lui fosse un anarchico militante, ci mancherebbe. Uno di quelli che mettono le bombe, per intenderci, o che dicono di volerle mettere. Quello di mettere una bomba al Pirellone era per lappunto una delle invenzioni pi efficaci della Vita Agra, ma nessuno ci aveva mai creduto veramente, neanche Bianciardi, neanche il suo personaggio. E per questa storia dellanarchico ha funzionato da subito, perch alla gente piacciono queste definizioni spicce, sintetiche, che ti risparmiano la fatica di pensare. E cos Bianciardi diventato un anarchico, tra la soddisfazione generale.

Anarchico per i Milanesi, cio soggetto ostile e oscuro, socialmente neghittoso, renitente e non integrato. E anarchico anche per tutti gli altri, grossetani compresi, che era invece un modo per descriverlo come un romantico ribelle poco realista, insofferente delle regole e della disciplina, sognatore e un po pasticcione ma certo molto, molto benintenzionato. Detto cos, con questa affettuosa condiscendenza, a me pare qualcosa di molto vicino allinsulto. Insomma, Bianciardi visto da qui, dalla sua citt, non si vedeva bene. Forse non lo si sarebbe visto chiaramente neanche da un punto di osservazione migliore di questo. Forse la sua vita, il suo disagio, e poi il suo dolore, sono comunque troppo complicati per lasciarsi comprimere in una descrizione stenografica o, peggio, in un racconto di maniera, che pretenda di spremere il significato della sua storia umana e letteraria con il solo aiuto dei luoghi comuni e degli aggettivi ben temperati che piacciono ai lettori distratti dei supplementi domenicali. Per quello che mi riguarda, posso solo darne una immagine alquanto sfocata, cos sfocata che forse non lo si riconoscer nemmeno, mettendo insieme qualche frattaglia dei miei labili ricordi e delle mie impressioni del tempo. In fondo lho visto solo due volte, in tutto, e nemmeno ho letto la sua biografia (e s che ce n di buone, mi dicono). Ma questo soprattutto un racconto sentimentale, non pretende di rappresentare le persone e i fatti cos comerano davvero (ammesso che qualcuno lo possa fare). Solo impressioni, appunto: sensazioni, climi emotivi, roba cos: quello che pensavamo allora, quello che ci sembrava il mondo, quello che ci aspettavamo dal mondo. E l dentro, dentro quel piccolo mondo immaginato, cera anche lui, Bianciardi, le cose che scriveva, e quello che le cose che scriveva avevano fatto di lui, e limmagine che quelle cose rimandavano di questa citt, di questa gente da cui non si era mai del tutto separato, e di cui non aveva mai fatto parte del tutto. Non ho nessun titolo particolare, naturalmente, nessuna autorit o delega specifica per raccontare questa vicenda. O forse s, invece; a pensarci bene, forse c qualcosa che mi d almeno il diritto a dire la mia, per quello che pu valere, in questa storia che stata raccontata cos tante volte e in modi tanto diversi. Perch quel lavoro culturale a partire dal quale Bianciardi ha cominciato la propria avventura letteraria, quello l stato per molti anni proprio il mio lavoro, per lappunto, un lavoro vero, per cui venivo regolarmente pagato, lo stesso lavoro che prima di me avevano fatto il Bonora e il Simonetta, e il Minuti di cui racconta Bianciardi nel suo librino. Posso quindi parlare per fatto personale, come si dice quando si chiede la parola in una discussione in cui si parla daltro, e si vorrebbero per chiarire alcune cose che ci riguardano pi direttamente, che ci toccano da vicino. E lo posso fare perch in quella piccola storia di provincia avevo anchio una particina, e ci sono stato dentro fino agli occhi per tanto di quel tempo che a pensarci ora mi domando chi me labbia fatto fare. []

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