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Il Rosso e il Nero

Settimanale di Strategia

VITE PARALLELE 26 febbraio 2009

Storie lontane, improvvisamente vicine

Decidere se comprare o vendere


azioni in un clima come l’attuale non è
facile, ma verrà a un certo punto un
momento in cui sarà ancora più difficile.
Sarà quando la contrazione
dell’economia globale, che ora procede
a grande velocità, inizierà a rallentare.
Quel giorno potrebbe non essere
lontano. Attenzione, non stiamo
parlando di una ripresa, per la quale
bisogna aspettare nella migliore delle William Durant, fondatore di General
ipotesi il 2010, ma di un semplice Motors, con la seconda moglie. Uscì
dalla borsa prima del crash del 1929 ma
rallentamento della discesa. Mettiamo rientrò troppo presto e perse tutto.
che quello che oggi scende alla velocità
del 45 per cento anno su anno, come le
esportazioni giapponesi, inizi a scendere del 30. O che quello che scende del
35 per cento, come le vendite di camion in Europa, inizi a scendere del 20. O
che il Pil americano, che sta rimpicciolendo a una velocità annualizzata del 5-6
per cento, inizi a scendere solo del 2-3 per cento, un livello che, al punto in cui
siamo, ci scalderebbe i cuori.
Oggi, mentre tutto precipita, chi è ancora lungo da prima della crisi è ormai
sintonizzato sul futuro profondo in termini di prospettiva d’investimento. Tutti gli
altri, comprensibilmente, si guardano bene dall’entrare nel mercato se non per
rapide sortite. E’ abbastanza facile restare a guardare, così come è facile e per
adesso redditizio stare short.
Che sia fra due mesi, fra quattro o fra sei, verrà però il momento in cui
dovremo decidere se il rallentamento della discesa sarà l’inizio della fine della
crisi o se non sarà piuttosto una trappola per perdere altri soldi.
Lo strategist di JP Morgan Thomas Lee in una nota recente (First Do No
Harm, 23 febbraio) ricorda che durante la Grande Depressione vi furono figure
tragiche diverse da quella, facilmente immaginabile, di quanti entrarono lunghi
nella crisi e videro il loro patrimonio polverizzato.
Accanto a costoro (moltitudini) ci furono, come seconda figura tragica,
quelli che vendettero brillantemente prima del crash del 1929 ma non
resistettero alla tentazione di rientrare aggressivamente qualche mese dopo a
borsa dimezzata (più o meno come è adesso rispetto a un anno fa), convinti di
fare un grandissimo affare. Tra questi ci fu William Durant, fondatore di
General Motors e uno degli uomini più ricchi d’America. Durant comprò nel
1930, poi comprò ancora (a margine) man mano il mercato scendeva negli
anni successivi, fino a finire in bancarotta. Negli ultimi anni della sua vita
sopravvisse grazie a una pensione straordinaria che gli fu erogata da GM.
Una terza figura ancora più tragica fu, sorprendentemente, quella di Jesse
Livermore, uno dei più brillanti speculatori dell’epoca. Dopo avere guadagnato i
primi soldi da ribassista nel crash del 1907, Livermore entrò correttamente da
short nella Grande Depressione, arrivando ad accumulare il patrimonio
astronomico di 100 milioni di dollari dell’epoca. La depressione, che noi oggi
immaginiamo cone una discesa lineare verso l’abisso, fu data prematuramente
per terminata ben sette volte e produsse altrettanti bear market rally (scambiati
evidentemente sul momento per inversioni di tendenza). Il rally della primavera
del 1930 fu del 48 per cento, quello dell’estate del 1932 fu addirittura dell’80
per cento.
Uno di questi rally fu fatale a
Livermore, che perse quasi tutto e
cadde in una depressione profonda per
anni fino a togliersi la vita nel 1940. Non
morì sul lastrico e lasciò alla moglie
Nina 5 milioni, ma la sua autostima era
crollata.
Fra poco più di due mesi, in maggio,
il Tesoro americano avrà completato lo
stress test delle grandi banche. E’
impossibile prevedere l’esito, anche
perché a non essere chiara non è solo
la patrimonializzazione attuale effettiva
delle banche ma anche la volontà del
Tesoro di andare fino in fondo
Jesse Livermore. Short per quasi tutta nell’esigere tutto il capitale necessario.
la Grande Depressione, perse il 95 per
cento della sua enorme fortuna in un
Quello che è certo è che in maggio il
bear market rally. quadro apparirà più chiaro. Si sapranno
cioè i nomi dei destinati all’inferno della
ricapitalizzazione pubblica, di quelli assegnati al purgatorio della
ricapitalizzazione privata e di quanti potranno raggiungere il paradiso della
certificazione di solidità.
In maggio sarà un ricordo l’orrore del primo trimestre. I dati macro relativi li
avremo già avuti in aprile e lo stesso sarà per i risultati delle società. Può darsi
(è una pura ipotesi) che l’annuncio dei risultati dello stress test coincida con
qualche dato macro istantaneo che indichi un rallentamento nella velocità di
discesa dell’economia globale. In quel caso potremmo avere gli ingredienti per
un rally, la cui forza dipenderà dal grado di ipervenduto accumulato prima. Se
invece i dati macro continueranno a essere straordinariamente pesanti come
sono ora il rally non ci sarà, ma una stabilizzazione temporanea forse sì. Ben
difficilmente, infatti, il Tesoro reagirà allo stress test in un modo che nuocerà ai
mercati.
Qualunque decisione operativa si vorrà prendere da qui a maggio (maggio
incluso) sui portafogli dovrà essere tattica, non strategica. Chi vorrà cavalcare il
rally eventuale dovrà evitare di metterci troppi soldi. I venti contrari macro
continueranno a soffiare ancora per parecchi mesi. Chi vorrà mettersi short
approfittando di un rimbalzo dovrà usare altrettanta moderazione e tenersi
davanti il grafico di borsa del 1932 per ricordare di che cosa sono capaci i bear
market rally.
Per il breve termine torniamo alla nota di JP Morgan. Thomas Lee espone
una considerazione interessante su come distinguere un vero segnale di
inversione di tendenza del ciclo economico e di mercato da un falso segnale.
Per comprare strategicamente, afferma, è bene aspettare la conferma di un
indicatore, lo spread tra il rendimento dei bond AAA e quello dei bond BAA.
Nella Grande Depressione questo spread si allargò fino al luglio del 1932 e
l’inizio del suo restringimento anticipò la svolta positiva del mercato azionario.
Ora succede che da qualche settimana questo spread, che si era andato
allargando per tutti i mesi precedenti, ha
preso a restringersi, dando quindi un
segnale positivo.
E’ un ragionamento interessante in
linea teorica, a nostro avviso, ma ci sono
questa volta alcuni importanti elementi che
inducono a prudenza. I mercati sembrano
avere assimilato fin troppo bene la nozione
che in questo ciclo la volontà politica di
governi e regolatori è tutta sbilanciata
contro l’azionario e a favore dei crediti.
Non c’è solo la garanzia esplicita sul debito
delle banche, ma anche quella implicita,
che forse prima o poi verrà resa ufficiale,
del debito della grande industria. I
corporate bond verranno anche sostenuti,
John Maynard Keynes con la moglie
russa Lydia Lopokova nel 1925,
con ogni probabilità, da acquisti diretti da
prima di perdere quasi tutto nel parte delle banche centrali nell’ambito del
crash. Riaccumulò una grande quantitative easing. Sull’azionario, al
fortuna a partire dal 1933. contrario, si scaricano tutti i populismi di
destra e di sinistra sull’azzardo morale (da
cui sono evidentemente esenti i compratori di bond).
Al di là delle razionalizzazioni moralizzatrici concettualmente poco solide, la
scelta di privilegiare i bond è da una parte obbligata (per non mettere a rischio
il sistema nel suo complesso) e dall’altra razionale. Il mercato ha capito molto
bene come stanno funzionando le cose e si butta nell’azzardo morale
dell’acquisto di corporate bond di tutte le qualità (il retail le qualità alte e gli
istituzionali le altre). Non si tratta certo di un bull market strepitoso, ma è quel
tanto che basta a ridurre gli spread tra qualità alte e qualità basse.
Oltre a questo va considerato l’index bias, ovvero il fatto che le agenzie di
rating, declassando continuamente i debitori, producono una sorta di drag negli
indici. Se da una classe di rating si sfilano man mano i soggetti più deboli,
quelli che rimangono appaiono migliori.
In pratica, un recupero piccolo piccolo da ipervenduto e da effetto annuncio
(questa volta positivo) per i dettagli sul piano per le banche è legittimo, ma per
adesso non andremmo oltre.
Negli anni Trenta non tutti persero soldi. Alcuni, come Keynes, dopo avere
perso quasi tutto nel crash, riuscirono a rifarsi e a diventare perfino molto
ricchi. Keynes, a un certo punto, riprese a comprare. Mise tutto quello che gli
era rimasto in borsa con una leva di due a uno e piramidò (reinvestendo
sistematicamente gli utili realizzati). Andò bene perché seppe aspettare il
momento giusto, con Roosevelt già presidente.

Alessandro Fugnoli ++39 02 77426.1

Abaxbank SpA. Corso Monforte 34, Milano.


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