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Angelo terreno

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Introduzione.
"Angelo terreno" è stato il mio primo tentativo
di letteratura. La sua gestazione è stata
travagliata: dopo un lungo periodo di riflessioni
personali, per un paio di anni ho preso appunti
su varie considerazioni esistenziali, ma ogni
volta trovavo i miei scritti insopportabilmente
pesanti.
L'idea di scrivere un romanzo breve mi venne
nell'estate del 1992, mentre frequentavo
l'università di Modena, ma per timidezza ho
sempre rimandato i miei propositi. Amavo la
letteratura, ero un accanito lettore,
specialmente di romanzi storici e di
fantascienza: come potevo pensare di imitare i
grandi maestri come Wilbur Smith, Robert
Heinlein o Marion Zimmer Bradley?
Solo durante il gennaio del 1993, col mio primo
personal computer, mi sono adoperato alla
scrittura organica del racconto. In effetti, molto
del divertimento che ho provato durante la
scrittura consisteva proprio nel creare un
"collante" narrativo per collegare i miei
numerosi frammenti di filosofia spicciola.
Fu come aprire la diga di un torrente. Non
riuscivo a smettere di scrivere. Dopo due
settimane il racconto era concluso.
Lo rilessi parecchie volte, ma con un sorriso lo
accantonai, come se fosse stato il frutto di una
follia passeggera.

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In seguito scrissi altri romanzi brevi, per il puro
piacere di fissare le idee che mi frullavano in
testa, ma per molti anni tutta la mia produzione
rimase nascosta nei meandri delle cartelle di un
vecchio computer.
Finalmente nel 2007 (dopo più di 14 anni!) sono
entrato casualmente in contatto con il sito
www.lulu.com, che non ringrazierò mai
abbastanza. Non mi riferisco solo al fatto di
avere la soddisfazione di vedere realizzato un
mio antico sogno sulla carta, stampato in un
unica copia solo per il mio uso personale. Ciò
che mi ha attratto maggiormante verso la
pubblicazione su questo sito è la VITA che
l'opera assume. Un'opera dimenticata,
accantonata nei cassetti o nella memoria di un
computer, è come un embrione abortito. Triste.
Adesso so che la mia opera è VIVA, in attesa
che chiunque voglia possa leggerla, anche
gratis.
Questa soddisfazione vale più di qualunque
diritto d'autore.

Enrico Tassinari,
maggio 2007

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1. Un nuovo arrivo
Si era stabilita in paese già da parecchio tempo,
ormai.
Il suo nome era Silvana, ed abitava presso
l'antico forno del paese, insieme a suo fratello
Franco e alla coppia di anziani genitori.
Era d'aspetto gradevole, piuttosto alta, robusta
ma agile e aggraziata nei movimenti, capelli
lunghi e castani, occhi verdi con una sfumatura
nocciola.
Non era bella di quella bellezza che fan voltare i
ragazzi per strada, ma il suo fascino era
magnetico.
Di poche parole, semplice nel vestire, tranquilla,
occhi intelligenti sempre attenti a ciò che le
capitava intorno, Silvana emanava un alone di
serenità.
Ciò che più colpiva di lei era il portamento,
leggero e aggraziato in ogni movimento,
insieme all'espressione del suo viso: le sue
labbra erano spesso atteggiate ad un accenno
di sorriso, come se provasse divertimento
davanti a qualsiasi situazione ma fosse troppo
rispettosa per sorridere apertamente.
Come tutte le donne taciturne, sembrava fin
troppo intelligente, alla gioventù del paese.
In un piccolo paese di campagna come Corlo la
parrocchia gestiva ogni movimento giovanile:
quei ragazzi che non si adeguavano erano
considerati dei contestatori e venivano guardati
con una sorta di diffidenza dai benpensanti.
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Il "Gruppo Giovani" era l'associazione di tutti i
ragazzi maggiorenni che avevano mantenuto
buoni rapporti con la parrocchia. Nessuno si
stupì, quindi, quando Silvana si presentò al
gruppo: si pensò che volesse entrare in un
ambiente sano, stimolante, all'ombra protettrice
del parroco del paese.
La sera della presentazione, Silvana si fece
accompagnare da Carla, una assidua
frequentatrice del Gruppo. Si erano conosciute
all'università: frequentavano entrambe la
facoltà di psicologia.
Le prime apparizioni di Silvana non furono
particolarmente degne di nota: si limitava a
sorridere, ad assentire e a rispondere se
interrogata.
Non appariva affatto molto brillante.

2. Un uomo in cerca
Dopo alcuni mesi giunse giugno, e con esso le
attività formative del Gruppo Giovani.
Quell'anno si sarebbe andati in Sardegna per un
giro turistico a piedi lungo sentieri rurali: il
trekking era tra le passioni degli organizzatori
del gruppo.
Tutti furono contenti che anche Silvana
partecipasse: s'era fatta voler bene da
chiunque. Ma uno era più contento degli altri.
Era Filippo.
Era un ragazzo particolare: acutissimo sotto
certi aspetti ma molto impacciato sotto altri: in
generale era affascinato dalla purezza della
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teoria, mentre odiava i compromessi e le
incongruenze della pratica. Studiava ingegneria
e se la cavava molto bene in tutte le materie
che non richiedessero grossi sforzi di memoria:
lui voleva capire, non immagazzinare nozioni.
Aveva numerosi e vari interessi: sport, chitarra,
computer, cultura, fantascienza, scacchi... nulla
era privo di interesse per lui.
Alto, snello, un po' impacciato nei movimenti,
era di indole tranquilla e amava riflettere su
tutto: poteva passare ore sdraiato sul letto con
la testa fra le nuvole, impegnato nei problemi
più disparati e, spesso, irreali. Ma l'irrealtà non
era un ostacolo per lui: il suo motto era: "Non ti
limitare a pensare ciò che già è, pensa anche a
ciò che sarebbe se...".
Nessuna ipotesi era abbastanza assurda per lui,
qualsiasi novità era uno spunto di riflessione.
L'unica cosa che veramente odiava era
l'incoerenza: rispettava chi la pensava
diversamente da lui, a patto che non fosse
incoerente.
Aveva la stessa età di Silvana, 22 anni, e da
parecchi anni suonava la chitarra in chiesa per
animare la messa. Da ragazzino era stato un
fervente cristiano, ma dopo qualche anno di
riflessione aveva abbandonato la fede: era
troppo incoerente per lui. Tuttavia continuava a
suonare in chiesa, un po' per non perdere le
vecchie amicizie, un po' perché era orgoglioso
di prestare servizio in un'organizzazione che,
nonostante i vari difetti, ha fatto anche molto
bene all'umanità. Comunque non risparmiava
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critiche alla Chiesa Cattolica. La Bibbia, poi, era
il bersaglio preferito delle sue salaci battute: un
disordinato miscuglio di leggende e storia
condita con molta fantasia, tutto organizzato in
modo da poter legittimare qualsiasi cosa e il
suo contrario. Aveva studiato le Sacre Scritture
abbastanza in profondità, al solo scopo di poter
partecipare ad accese discussioni su di esse.
Filippo si sentiva molto solo, e non capiva
perché mai nessuno la pensasse come lui
nonostante l'evidenza.
Solo Silvana, con certi suoi sguardi, sembrava
comprenderlo.

3. Primo approccio
Si partì dunque per la Sardegna.
Arrivati a Piombino si imbarcarono su un
traghetto.
La traversata del Tirreno si presentava lunga:
quattro ore, da occupare osservando il mare, il
cielo, la nave.
Inizialmente Silvana non stava ferma un attimo:
gironzolava su e giù per il traghetto e lo
osservava con interesse, come se fosse
incuriosita dai criteri coi quali era stato
costruito.
Dopo qualche tempo si mise a sedere a poppa,
osservando la scia della nave.
I venti ragazzi del gruppo erano sparsi per tutta
la nave, per lo più sotto coperta, dove c'erano

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stretti tavolini che potevano essere usati per
giocare a carte, così Silvana era sola.
Passò circa un quarto d'ora e lei non si
muoveva, sembrava affascinata dal turbinio
delle acque.
Poi arrivò Filippo e si sedette accanto a lei.
"Stupendo il mare, no?".
Silvana rispose senza voltarsi. "Magnifico."
"Sembra vivo. Guarda come si agita. Sembra
quasi che sia stato disturbato un immenso
essere vivente."
"In un certo senso il mare è un essere vivente.
Nasce, cresce, si riproduce e muore. Ci mette
solo un po' più tempo di noi."
"Dev'essere proprio una vita noiosa."
Silvana si voltò lentamente e lo fissò sorridendo.
"Direi proprio di no. Cos'è la noia? Solo il fastidio
di sentirsi scorrere il tempo addosso. Il mare
non si annoia mai!"
Filippo restò gelato dallo stupore. Quella
ragazza taciturna gli aveva dato una risposta
che non si sarebbe mai aspettato. Gli sembrava
che gli fossero state rubate le parole di bocca.
D'un tratto si sentì imbarazzato: era lui che di
solito confutava le frasi altrui e ne dimostrava
l'assurdità. "Il mare forse no. Ma io al suo posto
forse sì."
"Tu al suo posto cosa preferiresti fare?"
Accidenti! Due a zero. Filippo sorrise. "Hai
ragione. Ho detto una stupidaggine. Forse

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volevo solo chiacchierare un po'." Si sentiva un
idiota.
"Nessuna stupidaggine. Semplice
antropocentrismo."
"Già. Ritenere l'uomo al centro dell'universo. So
che è razionalmente assurdo, ma viene
spontaneo."
"Non a tutti. E' una questione di allenamento.
Basterebbe semplicemente considerarsi un
minuscolo pezzetto di un immenso mosaico.
Invece spesso l'uomo preferisce considerare
l'universo come una immensa macchina al suo
servizio. O addirittura come un suo simile."
Accidenti, che lucidità! Filippo cominciò a
sentirsi più vicino a lei.
"Un suo simile? Ti riferisci a Dio?"
"Già. Cosa c'è di meglio di un grande stregone
dalla barba bianca per spiegare le stranezze di
un mondo spesso ostile?"
Filippo non credeva alle proprie orecchie.
"Scusa... Posso farti una domanda? Tu... ci credi,
in Dio?"
Silvana tornò a guardare il mare. "Dio? Un
grande burattinaio che fa di tutto per
nascondersi e poi butta all'inferno le marionette
che non credono in Lui? No. E' troppo facile
attribuire la propria impotenza al capriccio di un
Dio. Non serve ad altro che a legittimare la forza
dei forti, e a giustificare la debolezza dei
deboli."

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"Ma saresti capace di dimostrare che Dio non
esiste?"
Silvana sorrise e lo guardò di traverso,
mantenendo il viso diretto verso il mare. "No di
certo. Il Dio dei Cristiani è stato progettato in
modo che non si potesse dimostrare che non
esiste. Altrimenti il Cristianesimo sarebbe
sparito da secoli. Bella trovata: se tu non vedi
Dio è perché non hai osservato abbastanza. Se
non senti la Sua voce, non hai ascoltato
abbastanza. Se non riesci a smuovere le
montagne è perché non hai abbastanza fede. Se
godi è perché Lui ti ama, se soffri è perché Lui ti
mette alla prova. In ogni caso la colpa è tua, se
non credi finché non vedi. Il paradiso è di chi sa
credere senza vedere. Beh, mi pare che non
serva una grande potenza per fare il mestiere di
Dio, a queste condizioni."
"Ma molte persone hanno trovato la felicità, in
Dio."
"Già. La menzogna può essere più efficace della
verità, nel dare felicità."
Per tanti anni Filippo aveva messo sotto accusa
la religione. Non se la sentiva di prenderne le
difese proprio ora che aveva trovato una
persona che condivideva le sue idee. Sentiva
però in sé un certo desiderio di contraddire
Silvana, forse per metterla alla prova. "Ma tu
che ne sai di qual'è la verità?"
"Niente. Ognuno crede ciò che vuole credere. Se
sarà infelice, avrà sbagliato tutto."
Stupefacente!
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La voce di Silvana divenne dolce. "Deluso?"
Solo un filo di voce uscì dalla gola di Filippo.
"No... affascinato. Credevo di essere l'unico al
mondo a pensarla così."
Un'adorabile risata cristallina. "L'unico! Credi
che il mondo sia tanto piccolo?"
"No... io... non avevo mai sentito nessuno
parlare come te."
"O come te?"
"Già... come noi."
Guardarono insieme il mare per dieci minuti, in
silenzio.
Poi Silvana lo salutò e tornò a vagare per la
nave.

4. Sbarco in Sardegna
Nella tarda mattinata il traghetto arrivò al porto
di Olbia.
Qualcuno si incaricò di andare a fare la spesa
per il pranzo, altri andarono a chiedere
informazioni sui treni diretti verso l'interno
dell'isola.
Visto che il primo treno era previsto dopo l'ora
di pranzo, si mangiò in un parco vicino alla
stazione.
Nell'attesa del treno, Silvana e Filippo
passeggiarono.
Avevano iniziato a camminare da poco quando
videro in un vicolo un bidone di latta annerito
dal fuoco, che conteneva ancora braci calde. Si
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trovava in un luogo fuori mano: era
evidentemente ciò che restava di un bivacco
notturno di prostitute.
I due non si fermarono. Filippo indicò il bidone
col mento. "A quanto pare qualcuno ha fatto
festa stanotte."
"Festa? Non credo che si siano divertiti tutti."
"Beh, le donne sono professioniste, e gli uomini
probabilmente hanno trovato quello che
cercavano."
"Ho paura di no. Probabilmente le donne non
erano tutte professioniste: per lo più gente
disperata, che non sapeva come tirare avanti.
Gli uomini... non credo che sia tanto divertente
accoppiarsi come animali fuori dalla stalla.
Probabilmente avrebbero preferito qualcosa
d'altro."
Filippo rifletté qualche attimo, mentre entrambi
continuavano a camminare. "Forse cercavano
qualcos'altro. Ma dove avrebbero dovuto
andare?"
"Da nessuna parte. Purtroppo, oggi come oggi,
chi non è abbastanza bello o coraggioso per
sposarsi deve reprimere i propri istinti sessuali.
O diventare un'animale fuori stalla."
"Perché oggi come oggi?"
"Perché non è sempre andata così. Quando
l'ipocrisia della gente si fermava ai pettegolezzi,
uno poteva illudersi di trovare un po' d'amore,
di contrabbando, nella comodità di un qualche
albergo di seconda mano."

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Filippo continuò il discorso. "Ora invece,
l'ipocrisia è diventata legge. Chi vuole sesso
clandestino deve correrne i rischi. Malattie,
delinquenza, polizia..."
"E non è tutto: una donna affamata, che già si
sentisse mortificata per ciò che è stata costretta
a fare, deve correre gli stessi rischi. E magari
affidarsi a un protettore che le tolga parte del
guadagno."
"Beh, come visione è molto romantica. Ma non
credo che molta di quella gente là fosse uno
stinco di santo."
"Quella gente là? Ti credi tanto diverso? Tu cosa
faresti se fossi afflitto da anni e anni di un
matrimonio fallito, con una moglie che non ti
capisce e che ti disprezza, ti considera un porco
solo perché qualche volta ti masturbi?
Continueresti a sopportare, tutta la vita? Cosa
penseresti di me, se io fossi una giovane vedova
con due bambini, se fossi povera, lontana da
casa, disperata, e preferissi prostituirmi
piuttosto che fare la lavapiatti e non riuscire
neppure a pagarmi l'affitto?"
Filippo sorrise. "Sai... penso che non siano poi
tante le persone che tu hai descritto. Almeno,
ho sempre pensato che le prostitute fossero
troppo attaccate alla bella vita, e che i... clienti
fossero troppo... lussuriosi."
"Questo è ciò che ti si è sempre lasciato
pensare. Ma che ne sai? Tu sei un benestante.
Probabilmente ti sposerai felicemente. Perché
vuoi giudicare?"

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"Giudicare... Alcune cose si giudicano da sole.
Basta leggere i giornali. Quanta delinquenza è
legata alla prostituzione?"
"Molta, certo. Tanta quanta quella legata alla
droga o al contrabbando. O al traffico di alcolici
nell'America proibizionista del 1930. Filly, tutto
ciò che è proibito alimenta la delinquenza. Qui
in Italia gli alcolici non sono un problema: finisci
in galera solo se guidi ubriaco, ma ti puoi
ubriacare quando vuoi. Quale giro di
delinquenza è collegato all'alcol? Nessuno.
Perché ai boss non conviene trafficare in alcolici.
Cosa sarebbe della prostituzione se fosse legale
e regolamentata?"
"Beh... si farebbero visite mediche, ci sarebbero
meno malattie..."
"...i prezzi sarebbero sottoposti alla concorrenza
legale e non ci sarebbe criminalità. Le prostitute
si specializzerebbero, diverrebbero vere
professioniste, pagate per quello che valgono
sul mercato, esattamente come i cantanti o gli
idraulici. Anche i clienti ne sarebbero più
contenti: continuerebbero a nascondersi, ma
avrebbero un servizio migliore e correrebbero
rischi solo nella reputazione. La quale dipende
solo dall'ipocrisia della gente."
"Credo che le mogli dei clienti non sarebbero
soddisfatte."
"Solo le più ipocrita. Una prostituta, se la moglie
del cliente ne avesse fiducia, potrebbe
insegnare tante cose. E contribuire a risolvere
problemi matrimoniali, più di un consulente. O
di un confessore."
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"Strano che una donna difenda la prostituzione."
"La prostituzione legalizzata. E non lo trovo
tanto strano. Io non mi sento minacciata dalla
concorrenza di alcune professioniste. Se volessi
un uomo, cercherei di tenermelo stretto, ma non
per il collo."
"Poi la prostituzione potrebbe essere anche
maschile."
"Già. Se arrivassi ad essere una vecchia zitella,
potrei desiderare il sesso esattamente come le
mie amiche sposate."
"Ma se tu fossi sposata, non ti disturberebbe
sapere che tuo marito potrebbe andare da una
prostituta?"
"Mi disturberebbe tantissimo, se lo facesse
senza il mio permesso. Io non mi accontenterei
di una donna qualunque per mio marito. E se
mio marito si accontentasse di una donna
qualunque, ci sarebbe in me qualcosa di
sbagliato."
"O in lui."
"In ogni caso, io avrei sbagliato a sposarlo."
Filippo rise. "Se mai tu diventassi un
personaggio politico, ti voterei subito."
Mentre i due tornavano alla stazione, un
anziano barbone venne a cuocere una salsiccia
sulle braci dentro al bidone di latta.

5. Un amore
Tutto il gruppo s'era ormai accorto che tra
Filippo e Silvana c'era del tenero.
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Passavano ore intere, quando ne avevano la
possibilità, a passeggiare chiacchierando. E
nessuno se ne stupiva: cominciavano a
conoscere Silvana.
Luigi, l'animatore del gruppo, conduceva
periodiche riunioni in cui si dibatteva dei temi
più vari: morte, amore, matrimonio,
nonviolenza, morale cattolica... In ogni riunione
i due "Filly e Silly" si alleavano e tenevano testa
da soli a vari interlocutori.
Molti ormai sorridevano, pensando che erano
proprio fatti l'uno per l'altra.
Normalmente non c'era a disposizione molto
tempo per socializzare: le necessità della
sopravvivenza e le ore di marcia toglievano
molte delle ore di luce a disposizione.
Ma dopo otto giorni dalla partenza il Gruppo si
concesse una giornata di riposo. La mattinata
era libera, poiché la riunione si sarebbe tenuta
nel pomeriggio.
Nessuno si stupì quando Filly e Silly andarono a
fare una passeggiata, risalendo il ruscello che
scorreva nei pressi dell'accampamento.
Dopo quasi tre quarti d'ora di cammino,
trovarono una quercia in un anfratto roccioso,
circondata da un boschetto, al centro di una
radura di pochi metri di diametro.
Silvana si sedette ai piedi dell'albero, prese una
margherita e se ne infilò lo stelo in bocca.
Filippo si sedette accanto a lei. "Romantico
questo posto, no?"

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"Molto."
"Di' un po': sei un tipo romantico, tu?"
"Molto, ma a modo mio."
"Ma... Quanti modi conosci?"
"Diversi. Alcuni pensano di essere romantici solo
perché dicono qualche assurdità su ciò che li
circonda. Io credo che il romanticismo sia nei
concetti, non nelle parole."
"Concetti? E cosa devono riguardare?"
"L'amore, in generale."
Filippo le si avvicinò. "Cos'è per te l'amore?"
Silvana esitò qualche istante. "L'amore è il figlio
del piacere. Si ama una persona quando la sua
presenza ci provoca piacere. Ma non è tutto:
l'amore è una forza che cambia due persone:
quando ami, dai il meglio di te traendo il meglio
di un'altra persona. L'amore è importantissimo,
perché rende migliori due persone per volta. Se
qualcuno non è disposto a migliorarsi, quello
che prova non è amore, ma semplice desiderio
di possesso."
"Come definizione non è molto romantica, ma
non riesco a trovarci degli errori..."
"Non ne troverai. Molti odiano ammetterlo, ma
l'amore non è altro che un istinto innato al
servizio della riproduzione. Si è affermato solo
perché in due si possono allevare meglio i figli
di entrambi. E' una questione di selezione
naturale."
"Ma a volte l'amore fa soffrire. Perché hai detto
che è figlio del piacere?"
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"Quando sopporti una sofferenza per amore è
solo perché continui a sperare nel piacere che
proverai in futuro. Se perdi la speranza nel
piacere, allora perdi anche l'amore. Potrà essere
gratitudine o nostalgia, ma non amore. Non
esiste amore, senza piacere."
"Ma cosa intendi per piacere?"
"Qualsiasi sensazione piacevole: una calda e
suadente voce che ti dia la buonanotte, un
pasto caldo che ti aspetta a casa la sera, la
dolcezza di una lacrima sul viso, una carezza,
un incoraggiamento... tutto. Dai piaceri più
semplici a quelli più intensi, come il sesso."
"Quindi il sesso è fondamentale per l'amore?"
"Il sesso è un piacere. E' solo una delle fonti
dell'amore. Ma è la fonte principale, perché è il
piacere più intenso. Molte coppie falliscono, se
non si intendono sull'argomento del sesso."
"Però non a tutti il sesso piace molto."
"Per godere appieno il sesso, come per tutti i
piaceri, occorre venire educati ad apprezzarlo.
Come può una povera ragazza godere il sesso
fino in fondo, se fin da bambina le si ripete in
continuazione che è una cosa sporca,
animalesca, indegna di una persona per bene?"
"Ma se quella ragazza avesse provato il sesso
troppo presto, forse lo avrebbe banalizzato."
"Non credo. Non lo avrebbe banalizzato, se lo
avesse vissuto con consapevolezza e rispetto. Il
vero problema è che molti adolescenti provano
il sesso quando vogliono trasgredire, o
autoaffermarsi. Così il sesso diventa lo
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strumento di una ribellione, e alla fine
l'adolescente dirà: tutto qui? Ma se lo si
considerasse per quello che è, per una fonte di
piacere e non di peccato, allora il sesso sarebbe
al servizio dell'amore, anche al di fuori del
matrimonio."
"Si, ho sentito alla riunione cosa ne pensi dei
rapporti prematrimoniali, e sai che sono
d'accordo con te. Sposarsi, senza aver provato il
sesso col partner, è un salto nel buio, e molti
matrimoni possono fallire per incompatibilità
sessuale."
"Già. Sposarsi significa legalizzare il proprio
amore per una persona, ma se sei per bene devi
rinunciare alla principale fonte d'amore per
poterti sposare."
Filippo, impercettibilmente, si era avvicinato a
lei. Abbassò il tono della voce. "E tu? Tu sei per
bene?"
Silvana si sdraiò lentamente ai piedi dell'albero,
incrociò le dita dietro alla nuca e chiuse gli
occhi. "Diciamo... che non mi piace rinunciare a
una fonte di piacere."
Filippo accostò dolcemente le labbra a quelle di
lei. Ne uscì un goffo bacio: i due nasi si
scontrarono. Silvana non poté trattenere una
piccola risata. Poi si ricompose. "Scusami, non
volevo mortificarti. Tu sei un po' inibito nei
confronti del sesso, vero?"
Filippo arrossì. "No... Beh, forse... un po'...
diciamo... inesperto."

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Lei sussurrò. "Non è necessario essere esperti.
Non frenarti: cosa vorresti fare?"
"Baciarti."
"E poi?"
Filippo arrossì violentemente e calò gli occhi.
"Penso... toccarti... accarezzarti..."
Silvana portò una mano dietro la nuca di lui e lo
avvicinò alle proprie labbra. "Non avere paura di
offendermi."
Stavolta le labbra di lei erano morbide, calde,
accoglienti. Schiudendosi, lasciarono passare la
punta della lingua. Senza rendersene
pienamente conto, Filippo le aveva appoggiato
la mano sinistra sullo stomaco. Lei gonfiò il
torace con un sospiro e, continuando a baciarlo,
gli prese la mano e la condusse dentro alla
camicetta, sotto al reggiseno. Furono attimi di
passione, ma vissuti con serenità: nessuno dei
due perse mai il controllo. Filippo, in particolare,
provò le più eccitanti sensazioni della sua
giovane vita. Le mani di lei lo accarezzavano
nelle parti più intime, con delicatezza, trovando
sempre il giusto tocco per ogni zona di pelle
esplorata; quelle dita erano capaci di
accarezzare, sfiorare, insinuarsi, persino
grattare, con la stessa maestria che un
musicista userebbe col suo strumento. Nello
stesso tempo, la ragazza riusciva a guidare le
mani impacciate di lui alla scoperta del caldo
velluto della propria pelle: Filippo, senza
rendersene conto, si faceva guidare nel più
esotico dei viaggi, sentiva sotto i propri
polpastrelli le varie sensazioni che una donna
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può dare: il fremito, il respiro, il calore, la
morbidezza, il movimento dei muscoli e dei
tendini sotto quella pelle perfetta. Nel silenzio,
Filippo sentì alcune contrazioni muscolari
scaturirgli dalle viscere, poi depose nelle calde
mani di lei il proprio seme.
Dal ritmo del respiro di lui, Silvana capì quando
l'orgasmo era cessato. Gradatamente guidò le
proprie mani a carezze sempre più lievi. Poi
risollevò gli slip, lentamente. Riallacciò prima i
vestiti di lui, poi i propri. Concluse tutto con un
bacio sulla guancia. "E' ora di tornare.
Andiamo."
Tornando al campo, Filippo sentì che sarebbe
stato pronto a morire per lei.

6. Una piccola rivelazione


La riunione di quel pomeriggio fu interessante.
L'argomento era "il valore della verginità".
Come tutti si aspettavano, Filly e Silly si erano
coalizzati contro l'opinione comune. I più non li
trovavano oltraggiosi o troppo audaci per i loro
interventi: li consideravano solo due sinceri
rompiscatole. Nell'atmosfera di statico
conformismo che regnava incontrastata, molti si
scambiavano sguardi allusivi e sorrisetti ironici:
"Eccoli, i soliti!"
Fino a poco tempo prima Filippo, per amore di
quieto vivere, avrebbe tenuto i suoi pareri per
sé, rassegnato ad essere solo nella sua
opinione. Ma ora li difendeva a spada tratta,
forte dell'appoggio di un'avvocatessa
eccezionale.
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Spesso Silvana gli diceva: "Non ti curar troppo
di ciò che dice la gente: se vogliono pensar
male di te, lo faranno, anche se cerchi di non
darne loro motivo."
Quella sera, dopo cena, i due passeggiarono,
mentre il resto del gruppo recitava i vespri
serali.
Avevano già ricevuto delle critiche per questo
loro atteggiamento nei confronti della preghiera
comunitaria, ma le osservazioni erano servite
solo a iniziare una nuova discussione a sfondo
teologico. Come sempre, davanti alle
argomentazioni di Filippo, gli altri si ritiravano
dalla discussione senza dare risposte o trarre
conclusioni, ma restando del proprio parere.
Quando i ragazzi per bene videro Filly e Silly
allontanarsi dall'accampamento, si limitarono a
sbuffare o a far finta di niente.
Filippo teneva una mano sulla spalla dell'amica.
"Scusami sai... Posso farti una domanda
imbarazzante?"
"Sono qui per questo."
"Tu sei mai stata... in passato... una...
professionista?"
Passò qualche istante di stupito silenzio.
"Intendi dire una prostituta?"
"Sì."
"No."
"Scusami, non volevo offenderti."

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"Nessuna offesa. Io non disprezzo le prostitute.
Ma non ho mai pensato di far l'amore per soldi.
Te ne ho dato l'impressione?"
"No... ma... beh, veramente ho notato che sei...
piuttosto abile."
"Ho imparato molte cose. E con questo?"
"Sei vergine?"
"No. E con questo?"
"Con chi lo hai già fatto?"
"Aaaaaa... Sei geloso!"
"Certo! Senti, Silvana, io non ho mai conosciuto
nessuno come te, non conosco molto del tuo
passato, ma so che ti amo come non ho mai
amato nessuno prima. Potrò essere geloso no?
O hai solo scherzato, con me?"
"Io non scherzo mai coi sentimenti. Solo, mi
sembra che sia troppo presto per dire ti amo. Tu
neppure mi conosci bene. Ammettilo: se io
avessi risposto alla tua domanda e avessi fatto
un elenco dei miei amanti, tu avresti sofferto
immensamente. E' questo che vuoi? Poter
criticare il mio passato?"
Filippo assunse un tono di voce più pacato. "No.
Non è questo. Ma vorrei sentirti dire che io sarò
l'ultimo della lista, per sempre."
"Filippo, io sono sempre stata sincera con te.
Non ti ho mai illuso. Non voglio farlo ora. Io mi
trovo bene con te. Tu mi piaci molto. Anche io ti
voglio bene, ma vorrei conoscerti meglio prima
di prometterti eterna fedeltà."

23
"D'accordo. Te lo chiedo come amico, allora.
Solo per conoscerti meglio. Dove hai imparato a
far l'amore?"
Silvana abbassò gli occhi e attese qualche
secondo, prima di rispondere. "Ho preso
lezioni."
"Dai, siamo già nel 2060 dopo Cristo! Ho le
spalle abbastanza robuste per sopportare la
verità, senza antichi pudori. Non mi prendere in
giro!"
"Evidentemente non le hai abbastanza robuste,
perché è la verità. Ho preso lezioni da
professionisti."
"Da prostitute?"
"Donne e uomini. Ma preferiamo chiamarli
operatori sessuali o sessualizzatori."
"Ma sono dei fuorilegge!"
"Qui in Italia sì. Te l'avevo detto che vengo da
lontano."
"Ma non mi hai mai detto da quanto lontano."
"Ho paura che tu non sia abbastanza preparato
per capirmi: ti prego, aspetta ancora un po'. Ti
prometto che un giorno ti dirò tutto quello che
vuoi sapere."
"Aspettare!"
"Cerca di ragionare, ti prego. Tu sei innamorato,
ma non sei preparato ad esserlo. Hai paura di
perdermi, senza motivo. Non hai neppure
fiducia in me: come puoi dire di amarmi? Pensa
questo: e se lei avesse ragione? La capirò,
prima o poi. La amo, qui, adesso."
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Filippo abbassò lo sguardo. S'era sempre
vantato di essere oggettivo, ma mai prima d'ora
aveva avuto validi motivi per non esserlo.
"D'accordo. Solo, ti chiedo questo: ricordati che
io, quando non capisco, soffro. Cerca di
abbreviare il più possibile questa sofferenza."
"Farò del mio meglio."
A conclusione del discorso, un caldo bacio tolse
la parola a entrambi.

7. Stranezze
Arrivò la fine del giro turistico, e il Gruppo tornò
nella civiltà. Giunti sulla costa, presero una
corriera per Cagliari, da dove si sarebbero poi
imbarcati per il continente. Il traghetto era
previsto per le 23.15, così la sera fu libera per
gironzolare attraverso la cittadina. Fissato
l'appuntamento al molo alle 22.45, Filly e Silly
andarono a visitare le strade dei sobborghi,
dove si vedeva la vera vita degli abitanti locali.
Cenarono in una pizzeria fuori mano, loro due
soli. Filippo si rendeva conto che si comportava
da asociale, ma, preso dal risentimento per
quegli pseudo-amici, si costrinse a non badarci.
Quando uscirono dal locale era già buio.
Osservando gli scuri vicoli che percorrevano,
notarono di trovarsi in una zona disagiata. Di
notte, l'ambiente in cui si trovavano rivelava in
pieno l'abbandono e la povertà. Non potevano
fare a meno di provare un brivido di paura ad
ogni piccolo rumore proveniente dall'oscurità
intorno a loro.

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Istintivamente accelerarono il passo.
In lontananza si scorgevano dei punti luminosi,
rosso acceso.
Avvicinandosi si accorsero che si trattava di un
gruppetto di tossicodipendenti, impegnati a
fumare marijuana e a bere alcolici.
Fecero per cambiare strada, ma erano stati
notati: prima uno, poi altri due, poi quasi tutti gli
altri si alzarono e si diressero verso di loro a
passo deciso.
Filippo si bloccò e strinse a sé la compagna. Non
pensò a fuggire, forse perché l'unica strada che
conosceva era quella che portava al porto, o
forse perché non aveva dubbi che si potesse
evitare uno scontro violento.
Il primo del gruppetto di drogati, un ragazzo con
la barba di una settimana, capelli lunghi fino
alle spalle, snello, con lo spinello che gli
pendeva tra le labbra, si mise le mani in tasca e
si fermò a un metro di distanza. "Che dici,
amico, hai qualche soldo da prestarci?"
"Non ho soldi."
"Ma senti! Con quei vestitini alla moda, non hai
neppure i soldi per un panino?". Dietro di lui,
alcuni risero sommessamente. "Io dico che, se li
cerchi bene, li trovi, i soldi," -si voltò verso i
propri compagni- "vero?"
Un coro disordinato di parolacce, per lo più
sconosciute ai due, si mischiò con la risata della
banda. Filippo cominciò ad avere molta paura:
aveva davanti quasi una decina di

26
malintenzionati, ma i suoi unici pensieri erano
per Silvana.
"Quanto volete?"
"Quanto ci puoi dare?"
Filippo, ostentando una falsa sicurezza di sé,
sospirò ed estrasse il portafoglio. Fece per
aprirlo, ma il capo banda glielo strappò di mano.
"Dà qua!"
Filippo tentò una reazione, ma un pugno lo
raggiunse allo zigomo e lo scaraventò a terra.
Stordito, tenne gli occhi chiusi per qualche
istante, poi riacquistò lucidità e notò rumori di
lotta intorno a sé. Aprì gli occhi, cercando di
scorgere qualcosa nell'oscurità. Una figura
snella, dai capelli lunghi, che gli ricordava
Silvana, stava seminando il panico. Non stava
mai ferma, in modo da dover affrontare solo un
avversario per volta. Ma ciò che più era
impressionante era la rapidità dei suoi
movimenti: le sue braccia colpivano fulminee
come un cobra, mentre le sue gambe saltavano,
correvano e piroettavano, forti e agili. Capriole,
balzi, corse ed arresti improvvisi, calci, pugni:
non sembrava una reazione disperata, ma una
logica sequenza di movimenti perfettamente
programmati. Si udivano urla, lamenti e
bestemmie, ma solo da parte degli assalitori: la
voce di Silvana non si sentiva.
Quella furia scatenata non dovette affrontare
tutta la banda: due elementi, terrorizzati,
fuggirono.

27
Filippo si sentì sollevare da braccia
impressionantemente forti. Era in grado di
camminare da solo, e lo disse. Finalmente udì la
voce della ragazza. "Svelto, allora! Muoviti!".
Ripresero a camminare in fretta, ma stavolta
era Silvana che stringeva l'altro a sé.
Quando arrivarono alla luce dei primi lampioni,
Filippo vide il viso della compagna, spettinato,
sporco, arrossato, ma non sudato, né ferito. Non
aveva neppure il fiatone.
La fretta, le continue sollecitazioni di lei, la
coscienza del pericolo scampato confondevano
Filippo. Restò in silenzio finché non arrivarono al
luogo dell'appuntamento col resto del Gruppo.
Ma camminando pensava. E gli si presentarono
alla mente tutte quelle occasioni in cui Silvana
involontariamente lo aveva stupito per le sue
doti fisiche. In due settimane di marce, a volte
anche dure, non si era mai lamentata, non era
mai stata vista stanca, sudata o affannata. Non
aveva mai avuto vesciche nei piedi, abrasioni o
piccole ferite. Non era esibizionista: camminava
sempre in mezzo al gruppo, ma non era mai
rimasta indietro, e il suo zaino non era mai stato
alleggerito, neppure nei passaggi più difficili.
Intanto i due erano arrivati al molo, il luogo
dell'appuntamento. Silly spiegò quello che era
successo: non mentì, ma omise la parte
riguardante la sua incredibile azione. Disse solo
che erano riusciti a scappare.
Per molto tempo, nonostante i tentativi di Silly
di minimizzare la cosa, il brutto incontro dei due
fu l'argomento preferito delle discussioni del
28
Gruppo. Ma Filly non sapeva cosa raccontare, e i
suoi resoconti erano vaghi, confusi. Per tutta la
durata del ritorno i suoi amici non capivano se si
rifiutasse o non potesse chiarire gli avvenimenti
di quella sera.

8. Una scoperta sconvolgente


Era passato molto tempo, ormai, dal ritorno a
casa.
Le voci sulla misteriosa rissa in cui erano stati
coinvolti Filly e Silly si erano già spente. Ma
Filippo continuava ad essere roso da un tarlo:
chi era Silly in realtà?
Un pomeriggio di settembre trovò il tempo e il
coraggio di andare a trovare l'amica. Non c'era
mai andato prima. Sapeva appena il suo
indirizzo.
Silvana lo accolse calorosamente, lo fece
accomodare e si comportò da perfetta padrona
di casa. Suo fratello Franco non c'era: lavorava
in banca.
Dopo i primi convenevoli di rito, Filippo arrivò al
nocciolo del discorso.
"Silly... a proposito di quella sera... cos'è
successo esattamente?"
"C'eri anche tu, ricordi?"
"Non fingere di non aver capito. Cos'hai fatto a
quei drogati?"
Silly abbassò lo sguardo e calò il tono di voce.
"Ne ho tramortiti tre, a due ho rotto qualche

29
costola, a uno il setto nasale, a un altro un
femore. Uno... purtroppo... credo che sia morto."
Silenzio.
Lacrime sul viso della ragazza.
Non era mai sembrata tanto dolce e indifesa.
Continuò a fatica. "Filly... avevo paura...
pensavo che volessero... ucciderti... e solo per
pochi soldi..."
Uccidere lui!
Per sé stessa non si era mai preoccupata!
Filippo accolse la testa della ragazza sulla
propria spalla. Ci volle tempo perché si
decidesse a parlare. "Silly... Chi sei tu,
veramente?"
Passarono lunghi attimi, prima che Silvana si
decidesse a rispondere.
"Sopporteresti la verità?"
"Non sopporterei il dubbio."
"Allora ascolta. Devo iniziare il discorso da
lontano.
Ovviamente tu conosci la teoria della selezione
naturale, no?"
"Quella di Darwin? Certo!"
"Bene. Allora saprai anche che da quasi due
secoli la selezione naturale sugli esseri umani
non agisce più. In tutte le altre specie viventi,
solo i migliori, i più adatti al loro ambiente,
possono procreare. E tra i loro figli solo i migliori
possono sopravvivere. Ma per gli esseri umani,
la medicina, l'alto tenore di vita, lo sviluppo
30
della scienza hanno rotto questo equilibrio: tra
gli uomini sopravvivono tutti, anche coloro che
sono portatori di difetti genetici. E questi li
trasmetteranno ai loro figli. Una persona
geneticamente perfetta, sposandone una
geneticamente tarata, avrà dei figli difettosi.
Già da tempo la specie umana è in declino."
A Filippo vennero in mente i luoghi comuni dei
discorsi tra anziani: non ci sono più gli uomini di
una volta! Oggi basta un malanno per fermarsi:
mio nonno lavorava in campagna anche con
38° di febbre! Quelli erano uomini! Non le
mammolette che si vedono in giro oggi!
Che quei vecchi rincitrulliti avessero ragione?
Silvana continuò. "Certo, non si possono
eliminare i più deboli. La medicina deve andare
avanti, e così anche il benessere dell'uomo. Ma
occorreva trovare un rimedio, prima che ogni
essere umano fosse geneticamente rovinato. Il
rimedio era semplice: bastava impiantare
nell'utero delle future madri embrioni
geneticamente selezionati. Il figlio sarebbe
cresciuto nel grembo della mamma, sarebbe
stato allevato dalla famiglia come un bimbo
qualunque, avrebbe avuto una vita normale, ma
con un vantaggio: un patrimonio genetico
perfetto."
"Ma chi avrebbe dovuto donare gli zigoti,
avrebbe dovuto essere perfetto. Qual'è il metro
della perfezione, Silly? Chi decide se io posso o
no far sviluppare i miei spermatozoi?"
"Questo era un gravissimo problema giuridico,
fino al 2015. Allora si mise a punto un modo per
31
intervenire direttamente sul DNA delle cellule
germinali. Da allora, una commissione
specializzata, di cui possono far parte anche i
futuri genitori, decide quali sono le
caratteristiche da eliminare nell'embrione, e
quali quelle da inserire. Tuo figlio avrebbe lo
stesso tuo colore di occhi o di capelli, ma non
avrebbe quelli che sono definiti difetti genetici
dalla commissione. Ovviamente, i genitori
possono decidere di non accettare il responso
della commissione, ma non sarebbero
autorizzati ad avere figli. Possono rivolgersi ad
una commissione diversa. Quando avranno
l'autorizzazione legale, potranno impiantare
nell'utero materno l'embrione, e la gravidanza
sarà normale. I bambini nati in questo modo
sono detti geneticamente razionalizzati."
"Avevo sentito di questo progetto, ma non
sapevo che fosse stato realizzato. Risale al
dottor Gray, giusto?"
"Esatto. Ovviamente Carl Gray trovò una
strenua opposizione dalle associazioni religiose,
secondo il cui parere solo Dio può decidere le
caratteristiche di un nascituro. Incurante delle
minacce, Gray continuò le sue ricerche e mise al
mondo i primi bambini geneticamente
razionalizzati. Morì nel 2019, in un attentato.
Comunque aveva molti seguaci, e, grazie
all'attività dei suoi uomini, il progetto continuò.
La centrale operativa fu costruita in pieno
deserto di Atacama, in Cile. La disastrosa
situazione economica cilena fu un grosso
vantaggio: in cambio di una grossa somma di

32
denaro, il governo si impegnava a rinunciare
alla propria giurisdizione su metà del territorio
desertico. Grazie a numerosi sponsor, fu
costruita una città-stato, autosufficiente dal
punto di vista alimentare. Oggi quasi tutti gli
abitanti di Atacam sono geneticamente
razionalizzati, abbreviato in G.R. Tutti gli
individui N.E., naturalmente evoluti, sono ormai
estinti, tranne quelli che sono immigrati. Molte
donne locali, per denaro, si offrono come
gestanti. In questo modo, la popolazione
atacamiana diventa sempre più salda,
geneticamente parlando."
Atacam. Cosa c'entrava con Silvana?
Filippo, naturalmente, conosceva quella città,
così come la conoscevano tutti gli uomini di una
certa cultura. A giudicare dai telegiornali, si
trattava di un covo di ricchi fascistoidi, dissoluti
e sfrenati nei divertimenti. Gente spietata, che
non ammetteva immigrazione per non dover
dividere la propria ricchezza con altri, ma
accoglieva i ricchi turisti, attratti dal gioco
d'azzardo e dal sesso libero. Atacam era
perennemente in contrasto con le autorità degli
Stati vicini, e si sapeva che i suoi agenti segreti
erano i migliori al mondo. Correva voce che
laggiù si sviluppassero mostruose ricerche
genetiche sugli esseri umani. Ma Filippo non
sapeva che la maggioranza della popolazione di
quella città fosse già geneticamente
razionalizzata. Quasi tutti gli stati
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite avevano
proibito la generazione di individui G.R., per

33
tutelare il futuro della gente naturalmente
evoluta.
Filippo prese la parola: "Non sono sorti problemi
di razzismo? I G.R. non si sentono superiori agli
N.E.?"
"L'educazione scolastica è collegiale, e si dà una
grande importanza all'ideologia. Ogni forma di
violenza viene subito punita severamente,
anche allo stato latente. Del resto, la
popolazione di Atacam non è razzista, perché
non esiste la razza atacamiana: i G.R. possono
essere bianchi, gialli, neri, amerindi... la razza
non ha importanza."
"E tutto questo è rimasto segreto, finora?"
"Ovviamente no. Non tutto. Ma gli Atacamiani
sono considerati pacifici, forse eccentrici
isolazionisti: non hanno veri nemici. Le notizie
più importanti o compromettenti non vengono
date a chiunque, neppure tra gli abitanti locali."
"E tu... sei atacamiana?"
"Si, per nascita. Ma sono italiana per adozione e
per cultura: ad Atacam esiste anche la scuola
italiana."
"Ma come hai fatto, per il passaporto? Perché
sei in Italia?"
"Una domanda per volta. Per il passaporto non
c'è stato alcun problema: sono stata adottata,
come sai, da una coppia di italiani. Per il mio
ruolo in Italia... diciamo che sono
un'osservatrice."
"Una spia?"
34
Silvana rise. "Si, una specie. Ma niente a che
vedere coi vecchi romanzi di 007. Sono
un'osservatrice della situazione italiana: devo
riferirne gli sviluppi al governo di Atacam,
esprimendo il punto di vista di una comune
popolana."
"Perché?"
"Per avere un quadro completo. Siamo in molti,
qui in Italia. Abbiamo iniziato ad arrivare
qualche anno fa, dopo il disastro ecologico di
Amalfi, che, come saprai, fu dovuto a
speculazioni, incuria, disinteresse e
incompetenza. Gli Italo-atacamiani, grazie alle
loro caratteristiche, hanno potuto infiltrarsi in
posizioni di rilievo, per impedire che simili
disastri si ripetano. Esistono infiltrati in tutti gli
Stati del mondo, per evitare che alcuni governi
sconsiderati prendano decisioni che mettano in
pericolo tutto l'ecosistema terrestre. Da tempo,
però, gli infiltrati nella politica italiana hanno
avuto notevole resistenza da parte di un folto
gruppo di aderenti alla mafia. Come forse
saprai, la mafia ha grandi appoggi nel mondo
politico: ciò che non sai è che buona parte dei
politici è ormai mafiosa. La cosa curiosa è che
nessuno di loro conosce la verità sugli
Atacamiani: vi si oppongono solo per la loro
opera di riforma politica. Avrai sentito parlare
del Nuovo Corso Riformista."
"Certo."
"Beh, sappi che sarebbe attivo già da tempo, se
la mafia non si fosse opposta. L' N.C.R. è ancora

35
un progetto, portato avanti insistentemente
dagli Italo-Atacamiani."
"Quindi gli Atacamiani hanno fondato una
specie di setta massonica?"
"Sì, hanno molte cose in comune con i Massoni.
Ovviamente sono fuorilegge, come ogni
organizzazione segreta. Ma non si può fare
altrimenti: gli Atacamiani sono già poco
popolari, qui in Italia: se il pubblico sapesse la
verità, gli infiltrati sarebbero guardati con
diffidenza e ogni loro azione sarebbe ostacolata
non solo dalla mafia, ma anche dai cattolici più
reazionari, dai puritani, o dai nazionalisti. Il mio
compito è appunto osservare il popolo italiano,
quello più comune, la maggioranza silenziosa,
per sapere cosa pensa della propria situazione e
di un eventuale sconvolgimento politico."
"E cosa hai notato nel popolo italiano?"
"Per quanto riguarda la mia area di
osservazione, è gente stanca della politica. La
concepisce come un male necessario, da
affidare a chi ha lo stomaco abbastanza robusto
per sopportarla. I politici non sono considerati
tutti ladri, ma per lo più pigri, fannulloni, alla
ricerca di facili guadagni. Lo Stato è un nemico,
da ingannare o raggirare. La coscienza civile è
poco diffusa: la legge non coincide con la
giustizia. Si vorrebbe che le cose cambiassero,
ma non si sa dove si andrebbe a finire. L'Italiano
è sempre meno patriota, sempre meno
orgoglioso di essere tale. La situazione sta
maturando bene, per un'azione diretta contro la
mafia. O, se preferisci, contro lo Stato."
36
"Volete un colpo di Stato?"
"Senza spargimento di sangue, per quanto
possibile. Ma abbiamo intenzione di difenderci
contro la violenza che ci verrà mossa contro.
Non vogliamo finire come Matteotti, Moro,
Falcone, Di Pietro, Arletti, Boselli... Gente che ha
cercato di migliorare l'Italia dall'interno del
sistema politico, e che è stata eliminata, da
quello stesso sistema politico, troppo corrotto
per accoglierne l'operato. Comunque non devi
spaventarti: dove sarà possibile, gli infiltrati
agiranno nelle regole del sistema democratico.
Hanno le doti per imporsi, in ogni campo."
"Quali doti? In cosa un G.R. è diverso da me?"
"In molte cose. I nostri sensi sono più affinati:
vediamo o udiamo meglio e più di voi. Il nostro
fisico è più forte e resistente, più adatto a
sopportare ogni tipo di sforzo. Il nostro sistema
immunitario è più efficiente e ci permette
guarigioni più veloci. Il nostro intestino è più
efficiente nello sfruttare le sostanze nutritive e
ci permette di mangiare molto meno di un N.E. .
I nostri cromosomi sono meno soggetti a errori
di duplicazione, così siamo più resistenti a virus,
tumori e vecchiaia. Ma la differenza
fondamentale rispetto agli N.E. sta nel nostro
cervello. Ha la stessa struttura del tuo, ma ne
differisce per il meccanismo della
concentrazione. Per un G.R. è molto facile
concentrarsi, e ciò migliora moltissimo la
memoria e l'intelligenza. Inoltre, con la
concentrazione si può alterare la propria
percezione del tempo. E' quello che ho fatto io,
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davanti alla banda di drogati. Io non sono
particolarmente forte, né una guerriera: per
poterli sconfiggere ho accelerato la mia attività
cerebrale. Il mio cervello girava più in fretta: dal
mio punto di vista, il mondo girava più lento.
Potevo osservare ogni mossa di ogni avversario
e riflettere sulle mie possibili contromosse,
senza fare gesti inconsulti o disperati. Poiché il
loro cervello era più lento del mio, è stato facile
batterli. Ma non è tutto: con la concentrazione
possiamo regolare le attività automatiche del
nostro corpo, più di un esperto maestro yoga.
Possiamo regolare il nostro flusso sanguigno,
variare la nostra temperatura, sospendere la
nostra digestione, isolarci dal dolore..."
"Insomma, siete dei superuomini."
"No! La cultura atacamiana è contraria al
concetto di superuomo. Siamo vostri fratelli
minori, più adatti di voi all'ambiente futuro. Vi
chiederemo solo di accettarci, di non eliminarci:
noi non abbiamo interesse a farvi del male, il
tempo ci sostituirà a voi. Non dovete
considerarci immorali: siamo figli vostri, derivati
da voi. D'altra parte, voi avete fatto lo stesso, in
passato: tu sei un Homo Sapiens, discendente
diretto dell'Uomo di Cro-Magnon, il quale è stato
contemporaneo dell'Uomo di Neandertal, e lo ha
soppiantato perché era geneticamente migliore
di lui. Non è questione di crudeltà, ma di
adattamento all'ambiente. E' una legge di
natura.
Hai capito, ora, perché non potevo dirti la verità
immediatamente? Ho avuto bisogno di parlare
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con te, di dialogare e prepararti a questa
rivelazione. Tu sai che ho ragione, che non ho
cattive intenzioni, e, quando avrai riflettuto un
po', mi accetterai. Ma altri cercherebbero di
eliminarmi, vedrebbero in me una minaccia,
invece che la garanzia di un futuro migliore."
Filippo tacque per alcuni, lunghi secondi, con gli
occhi bassi. Quando li rialzò erano bagnati di
lacrime. "E quando hai fatto... l'amore con me...
mi consideravi... una scimmia?"
Silvana sbiancò in viso. Poi si riprese e lo fissò
negli occhi. Parlò lentamente, amorevolmente.
"Filippo, io ti amo. E spero di non perderti. Se
questo ti può consolare, neppure io posso avere
figli, senza il permesso della commissione.
Anche le donne atacamiane vengono
inseminate artificialmente: tra qualche anno
anch'io sarò... un modello superato, e lascerò
spazio a chi sarà più evoluto di me. Ma sarò
felice se tu accetterai di condividere la tua vita
con me. Non mi devi considerare una minaccia.
Pensaci. Sii oggettivo."
Gli diede un bacio sulla guancia, dolce, leggero.
Mentre Filippo tornava a casa, sapeva che Silly
poteva aver ragione. Ancora qualche giorno, e si
sarebbe abituato all'idea. Probabilmente
avrebbe anche potuto amarla. Chissà.

9. Amarla ancora?
Filippo ebbe tutto il tempo per riflettere.
Passò ore, sdraiato sul letto, ad osservare il
soffitto. E a pensare. Sapere di essere
39
geneticamente inferiore alla sua ragazza gli
bruciava. S'era arrabbiato molto, si sentiva
tradito ma... aveva ragione lei. L'umanità aveva
selezionato le migliori razze di cavalli, cani,
mucche, pecore... ma non aveva mai
selezionato sé stessa. Ciò avrebbe potuto
portarla all'estinzione, alla lunga. Ma l'uomo non
poteva sostituirsi alla funzione selettrice così
come faceva la natura: uccidere i più deboli era
immorale. Non c'era via d'uscita: la soluzione
del dottor Gray era l'unica alternativa
umanamente accettabile.
E poi... cosa c'era di così inaccettabile in
Silvana? Ogni essere umano è geneticamente
diverso dagli altri: la diversità non deve essere
causa d'odio. Odiare Silvana avrebbe voluto dire
essere razzista, e del razzismo peggiore, perché
lei era stata accettata nel Gruppo già da tempo:
culturalmente era una ragazza come tante altre.
Anzi, migliore di tante altre... L'unica che lo
comprendesse, che capisse le sue speranze, le
sue indignazioni, i suoi sentimenti. L'unica
ragazza veramente coerente con sé stessa: da
quando la conosceva, non si era mai
contraddetta. E non lo aveva mai tradito, mai
illuso. Era sempre stata sincera.
Per quanto riguardava il suo impegno politico...
non poteva che far del bene all'Italia. Filippo
aveva ironizzato spesso sulla saggezza e
lungimiranza del governo italiano: non avrebbe
iniziato a difenderlo proprio adesso. Soprattutto
se Silly aveva ragione.

40
Dopo qualche giorno, Filippo sentì che il suo
cuore batteva più forte al solo pensiero di
incontrare Silvana. Ne era certo: la amava
ancora, come e più di prima.
Da allora, Filly e Silly iniziarono a frequentarsi
regolarmente.
Su insistenza di Silvana, Filippo fece il
passaporto e si impegnò ad andare ad Atacam
con lei. La lingua non era un problema: avrebbe
dovuto solo ripassare il suo inglese. Aveva
svolto alcuni lavori estivi, negli anni precedenti,
così poté pagarsi il biglietto senza chiedere
nulla ai genitori. Era molto orgoglioso, ma i suoi
insistettero per contribuire alle spese.
Così, il 31 agosto 2060, Filippo fece il primo
viaggio all'estero della sua vita.
Prima e durante il viaggio, Silvana lo istruì sugli
usi di Atacam.
"Per prima cosa, tieni presente che le leggi sono
simili, ma hanno importanti differenze
concettuali. La giustizia, per esempio, è affidata
ai magistrati e alle giurie, come in America, ma
non ci sono più i lunghissimi tempi burocratici di
una volta: il processo si tiene televisivamente:
ogni partecipante è ripreso da una piccola
telecamera e vede in un grande schermo tutti
gli altri. Questo è il metodo generale con cui si
tengono le assemblee ad Atacam: essendo nel
deserto, le uscite di casa per lavoro sono ridotte
al minimo.
I bambini sono abituati sin da piccoli alla vita di
collegio: la loro giornata inizia alle 8.00 e finisce
41
alle 18.00, con due ore di intervallo per il
pranzo. Di sera tornano a casa, dalla famiglia.
Crescendo, passeranno sempre più notti al
mese nel dormitorio del collegio. Il sabato
pomeriggio e la domenica sono liberi.
L'età della scuola dell'obbligo va dai 4 agli 11
anni, dopodiché possono iniziare le scuole di
specializzazione. Le nostre università vengono
terminate al 21° anno d'età, per chi è in corso."
"Una bella differenza rispetto ai 27 anni di chi
esce da un'università italiana!"
"Già. Nella scuola dell'obbligo i ragazzi vengono
istruiti in tutte le discipline di base. Alcune
opere di valore educativo sono obbligatorie, e la
loro lettura é necessaria per la cittadinanza
atacamiana.
Nessuno è atacamiano per diritto di nascita:
occorre sostenere un esame, dopodiché si
presta giuramento sulla Tavola dei Dodici
Princìpi: una versione riveduta del Decalogo di
Mosè.
Sin da bambini, gli studenti praticano quasi tutti
gli sport, soprattutto quelli relativi
all'autodifesa: lotta, judo, karate, aikido..."
"Ora capisco perché lottavi tanto bene."
"Le mie erano solo nozioni scolastiche: un
guerriero specializzato sarebbe terrificante,
confronto a me. Il potenziale distruttivo di ogni
individuo atacamiano è altissimo: per questo
vengono addestrati alla disciplina e alla giustizia
sin da piccoli. Un litigio tra bimbi atacamiani
non è considerato finito finché non si è stabilito
42
chi aveva torto e chi ragione. Una cosa
interessante è che non esiste il corpo di polizia:
solo gli ufficiali sono professionisti, mentre gli
agenti vengono arruolati periodicamente con un
servizio di leva, anche tra le donne."
"E chi è in maternità?"
"Sarebbe nella categoria dei temporaneamente
non richiamabili. A proposito di maternità, gli
uomini sono tenuti a cessare il lavoro per
paternità, per tutto il periodo in cui il figlio ha 1
anno di età. Così ogni discriminazione sul lavoro
è inutile. Comunque, tornando alla polizia, un
cittadino atacamiano abile e incensurato si deve
sempre ritenere in servizio: anche quando è in
borghese può dare multe o eseguire arresti. Ma
deve stare attento, perché l'abuso di potere è
un reato piuttosto grave. Non vige il principio
per cui non ci si può far giustizia da soli: chi
uccide un assassino deve solo sostenere un
processo per dimostrare che non avrebbe
potuto fare altro per arrestarlo. Questo vale per
ogni criminale, anche per un ladro: se qualcuno
ti arresta, anche per sbaglio, tu non opporre mai
resistenza: potresti farti uccidere! Tieni presente
che gli errori di arresto sono reati molto gravi, e
vige il principio che chi è stato arrestato
ingiustamente deve essere indennizzato per
qualsiasi danno subìto, più 300 dollari
atacamiani per i danni morali."
"Quanto vale 1 A$ ?"
"Dipende da cosa comperi: per darti un'idea,
con 1000 A$ ci si può comprare una discreta
autovettura."
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"Però! Può essere un affare per chi si fa
arrestare!"
"Non sarebbe un affare per chi esegue l'arresto:
gli verrebbe segnata la fedina penale e sarebbe
multato. Comunque un arresto è un'evenienza
abbastanza rara: il popolo è molto disciplinato.
La crudeltà è considerata gravissima, in ogni
sua forma. Le vendette personali devono essere
ben ponderate, perché se sono troppo crudeli
comportano pene superiori a quelle previste per
il misfatto che le ha causate.
Le prigioni ad Atacam sono costruite secondo il
principio che un condannato deve continuare ad
essere utile per la comunità. Perfino i resti dei
rari condannati a morte sono riciclati come
concime."
"Avete ancora la pena di morte!"
"Sì, ma solo per reati gravissimi e nella certezza
della colpevolezza. Un assassino, per meritare
la pena di morte, deve essere stato molto
crudele e non avere avuto gravi provocazioni da
parte della vittima. E' una pena piuttosto rara.
Si preferisce sfruttare il lavoro forzato di un
condannato vivo, piuttosto che uccidere un
malvivente."
"Ma come si può essere certi di una
colpevolezza?"
"Di solito si ricorre alle Head Belt Memory: si
tratta di fasce elastiche, da portare intorno alla
testa, con un congegno che registra suoni e
immagini dalla fronte di chi lo indossa. Le
pattuglie di polizia civile le indossano sempre, di
44
colore giallo e nero, poiché fanno parte
dell'uniforme. La memoria dell'H.B.M. copre le
ultime 6 ore di accensione dello strumento. Se il
portatore della fascia muore, il calo di
temperatura della fronte spegne
automaticamente l'H.B.M. Così, se arriva nelle
mani degli inquirenti, ci sarà sempre una prova
oggettiva dei fatti accaduti prima del decesso."
"Interessante. Ma chissà che spese! Come si
regge l'economia di Atacam?"
"Dal punto di vista alimentare, è autosufficiente:
nel deserto il sole non manca mai alle serre,
mentre l'acqua è assicurata dai desalinizzatori
marini. Atacam è una città costiera. Il suo porto
è uno dei meglio attrezzati, anche se non è
grandissimo. Le esportazioni si basano sul
settore della tecnologia: gli strumenti
atacamiani non hanno rivali nel rapporto
qualità-prezzo.
E' interessante il fatto che la cartamoneta è
poco diffusa: ogni cittadino ha delle piastre che
fungono da carte di credito: ad ogni acquisto
uno speciale apparecchio aggiorna il conto in
banca di chi compera e di chi vende,
registrando tutto sulle piastre di entrambi. Ogni
piastra ha in memoria tutti i dati anagrafici del
possessore, oltre che il suo denaro, e può essere
utilizzata anche come chiave. I dati di ogni
possessore di piastre sono affidati a una rete di
computer dislocati in cinque centri di calcolo,
per evitare che un guasto qualsiasi possa avere
gravi conseguenze. Appena saremo arrivati in
città compreremo qualche piastra: se te ne
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rubano una, puoi invalidarla con una
telefonata."
Man mano che sentiva parlare di Atacam, Filippo
diventava più impaziente di visitarla di persona.
Come avrebbe organizzato una città, se fosse
stato lui stesso il legislatore? Avrebbe fatto di
meglio? Filippo si sentiva già atacamiano per
metà.

10. Atacam
Già all'aeroporto si respirava un'aria diversa da
quella comune alle grandi città di tutto il
mondo.
I due cambiarono il proprio denaro e si
procurarono tre piastre a testa. Noleggiarono
un'automobile elettrica e iniziarono la loro
visita.
"Vedi, Filly, quello laggiù è il parlamento. Viene
eletto ogni quattro anni con un sistema
originale: la scheda per votare deve essere
perforata, in modo che un semplice lettore
ottico possa poi eseguire lo scrutinio. Al nome di
ogni candidato si può attribuire un giudizio,
positivo, negativo o neutro. In questo modo é
possibile esprimere anche il proprio biasimo per
il candidato: in passato, alcuni candidati hanno
avuto dei risultati sotto lo zero. Ognuna delle 10
circoscrizioni manda in parlamento i 10
candidati dai risultati migliori. Poi, in aula
parlamentare, i 100 membri hanno la possibilità
di votare elettronicamente le proposte di legge,
con il solito sistema dei tre giudizi. Nota che
l'assenteismo dei deputati non è un reato, ma
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viene reso pubblico in ogni bacheca statale e
viene stampato, ad ogni nuova elezione, sul
bollettino governativo in cui i candidati devono
esprimere succintamente i loro programmi.
Il presidente viene eletto direttamente dalla
popolazione ed è il capo del governo.
La libertà di stampa è assicurata, ma chi
diffonde notizie false viene processato e punito
duramente: la menzogna in pubblico è
considerata molto grave. Ai giornali non
conviene la diffamazione: per legge devono
dare posto in prima pagina alle scuse e alle
correzioni.
Sulla destra, laggiù, c'è il campo polisportivo. Lo
sport più popolare è l'antico football australiano:
è molto violento, ma forse proprio per questo
conserva un certo fascino."
"E il tifo, è violento?"
"Scherzi? Il servizio d'ordine è tale che se
qualcuno commette un qualsiasi atto vandalico
viene fermato immediatamente. La maggior
parte degli spettatori sono da considerare come
agenti in borghese: chi si abbandonasse alla
violenza gratuita verrebbe presto sopraffatto.
Ma gli atacamiani sono degli spettatori,
piuttosto che dei tifosi: applaudono
indistintamente le due squadre, quando queste
se lo meritano."
"Quali altri sport ci sono?"
"Quasi tutti: ogni anno si tiene un campionato di
quegli sport che hanno abbastanza praticanti da
poter organizzare un tabellone. Tra gli sport
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individuali, oltre alle arti marziali, è molto
diffuso lo squash; tra gli sport di squadra, oltre
al football australiano, il basket, il calcio e il
parabol."
"Il parabol? Quello sport il cui campo è un
grande tappeto elastico sorretto da colonne
appese al soffitto?"
"Proprio quello. Non ti devi stupire se gli sport
che hanno più successo sono violenti: è uno
degli sfoghi consentiti dalla legge. Del resto, è
raro che qualcuno si faccia male, se è bene
allenato."
Degli spari si udirono in lontananza.
"Svelto, Filly, seguimi!"
Uscirono dalla vettura ed entrarono in fretta in
un hotel.
Correndo si diressero ai piani superiori. Filippo
stentava a tenere il passo di Silvana, che
dovette rallentare l'andatura per non perderlo di
vista. Arrivati al quinto ed ultimo piano, si
affacciarono da una terrazza. Qualche
chilometro più a sud si vedevano distintamente
schiere di uomini in un attacco disperato
all'esercito atacamiano. La scena era patetica:
gli assalitori, ben riconoscibili per gli abiti
stracciati, nonostante la loro grande superiorità
numerica, avrebbero senza dubbio avuto la
peggio contro la forza, la velocità e
l'organizzazione degli uomini dell'esercito. I
pochi aggressori armati venivano falciati senza
pietà dai tiratori scelti, gli altri si gettavano
avanti alla rinfusa, in una lotta senza speranza.
48
"Guarda! Sono i desperados. Ogni tanto provano
a rubare qualcosa dalle piantagioni o dagli
allevamenti. Sono gente affamata, povera,
disperata. Non hanno nulla da perdere."
"E voi li massacrate così?"
"Solo i più fortunati. Chi non è pericoloso
tornerà alla sua baracca, se ne ha una, dopo
avere preso un sacco di botte. Molti moriranno
di fame. E' brutto, ma non c'è alternativa:
purtroppo sembra che i meno abbienti cerchino
consolazione alla propria povertà nella ricchezza
di figli. Non pensano che questi dovranno poi
mangiare, per vivere. Le scorte alimentari della
città non sono certo sufficienti per tutti, e,
d'altra parte, non possiamo prosciugare i nostri
depositi. Può sembrare crudele, ma in effetti è
solo legittima difesa. Il governo cileno manda al
confine di Atacam tutti i poveracci, e ci addita
come degli affamatori. E' naturale che
periodicamente quella folla di diseredati si
inferocisca, e ci assalga. E' triste, ma non ci si
può far niente."
"E loro restano fuori dai confini di Atacam? Nel
deserto?"
"Già. Ne muoiono migliaia ogni giorno. La zona
neutra di confine è un immenso cimitero."
Atacam: un paradiso circondato da un inferno.
A Filippo si strinse il cuore. "E' terribile!"
"Già. Come è terribile un leone quando divora
una gazzella. Non ci si può far nulla: è una legge
di natura."

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Una legge di natura. Se il leone si fosse fatto
sopraffare dalla compassione, sarebbe morto di
fame. Non c'era alternativa. Ora Filippo capiva
perché gli sport di successo erano i più violenti:
riflettevano un clima psicologico di enorme
tensione. Ogni cittadino era forte, sano,
benestante, ma forse viveva nella paura.

11. Strane usanze


Il resto della visita fu piacevole.
Filippo imparò ad apprezzare la cultura locale: di
primo acchito le usanze atacamiane gli
sembrarono strane, perché tanto diverse dalle
sue, ma un esame più approfondito gli rivelò
tutta la semplicità e l'autenticità di quel modo di
vivere. Anzi, iniziava a chiedersi il perché delle
stranezze delle proprie abitudini e convenzioni.
Inizialmente, ciò che maggiormente stupì Filippo
fu la mancanza di agenti professionisti di polizia.
Com'era possibile evitare le vendette personali
e i rancori, se chiunque poteva arrestarti? Ma
poi comprese di non avere a che fare con la
propria gente, il popolo cui era abituato e che
spesso criticava. In Italia si ammetteva
tranquillamente che la giustizia non aveva nulla
a che vedere con la legge, e che, se uno voleva
giustizia, spesso doveva provvedere da sé. In
apparenza, chiunque era garantista e disposto a
lasciare allo Stato la gestione dell'ordine
pubblico. Ma poi, se veniva toccato nei propri
interessi, nessuno esitava a tornare alla legge
della giungla. Un giorno Silvana aveva detto: "Tu
sei tanto perplesso sul fatto che un popolo
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evoluto possa ammettere la pena di morte, ma
prova a riflettere! Se un maniaco ti rapisse la
figlia sedicenne, la violentasse ripetutamente, la
torturasse e la lasciasse morire in agonia, se tu
sapessi con certezza chi è il colpevole, cosa
faresti? Lo andresti a denunciare a funzionari
pubblici, svogliati, senza interesse nella tua
vicenda, a volte corrotti? O non faresti tutto ciò
che puoi per uccidere quel criminale? Se tu lo
uccidessi senza abbandonarti a inutili crudeltà,
non saresti forse nel giusto? La legge dice di no.
Ma il tuo cuore direbbe di sì. E' dunque più
evoluto del nostro, un popolo che si fa
governare con leggi contrarie ai propri princìpi?
Qui, ad Atacam, un malvivente sa che, se lo
prenderanno, avrà di fronte le persone che avrà
danneggiato, avrà a che fare con gente in carne
ed ossa, non deve rendere conto delle proprie
azioni soltanto ad uno Stato teorico,
impersonale, quasi assente. Ad Atacam, ogni
cittadino è un funzionario statale, conosce i
propri diritti e doveri. Chi scippa la borsetta ad
una vecchia, sa che un qualsiasi passante può
far di tutto per fermarlo: anche ucciderlo, se
necessario. La polizia non è mai assente, perché
è dappertutto."
"Ma uccidere uno scippatore non è forse una
vendetta crudele, rispetto al reato commesso?"
"No, se lo scippatore sa ciò che rischia. I patti
sono chiari: tu hai danneggiato la società,
derubando una vecchietta: o ti arrendi, e
affronti la legge, o cerchi di sfuggire alla pena,
ma rischi la morte. A te la scelta."

51
"Non vorrei mai essere tanto povero da dover
essere costretto a rubare su Atacam!"
"Se tu fossi povero, non saresti mai costretto a
rubare. Se fossi Atacamiano verresti ospitato nei
centri di assistenza e ti si troverebbe un
mestiere, umile ma onesto, in attesa che tu
trovi qualcosa di meglio. Ti si pagherebbe
pochissimo, ma avresti vitto e alloggio
assicurato. Se tu non fossi Atacamiano, verresti
espulso dalla città, e spedito in un luogo di tua
scelta a spese dello Stato."
"E se uno cerca di rientrare?"
"Se è abbastanza ricco, è il benvenuto.
Altrimenti viene fermato alla frontiera."
"Ed abbandonato nell'inferno del deserto,
insieme ai desperados. Il vostro regime è molto
discriminatorio: accetta i ricchi e rifiuta i
poveri."
"Già. La povertà genera disperazione, la
disperazione genera criminalità, la criminalità è
un pericolo per i cittadini, i cittadini sono lo
Stato. E' naturale che lo Stato si rifiuti di
importare povertà dall'esterno."
Naturale. Forse egoista. Ma logico e naturale.

Un'altra inusuale caratteristica di quel popolo


era la estrema libertà in campo sessuale:
l'adulterio non era considerato un tradimento,
se il consorte approvava la scelta del proprio
sostituto. Il matrimonio era considerato
semplicemente uno strumento per la tutela dei
figli, e, a parte le feste e i riti, dal punto di vista
52
giuridico veniva trattato come un qualsiasi
contratto commerciale, con tanto di firme di
entrambi i coniugi. Le donne erano tenute, per
legge, ad evitare gravidanze naturali: solo gli
embrioni razionalizzati potevano essere
ammessi alla gravidanza. I divorzi erano
rarissimi, perché nessuno concepiva il
matrimonio come una limitazione della propria
libertà. Era comune che, se un uomo sposato
desiderava un'altra donna, chiedesse il
permesso alla moglie per un rapporto
extraconiugale. Se la moglie rifiutava, e il
marito non cedeva, si poteva arrivare a
chiamare un giudice di pace che valutasse i
diritti e i doveri di entrambi i coniugi,
considerando come preminenti gli interessi dei
figli. Ma l'intervento di un giudice non era
frequente, perché i coniugi non erano mai del
tutto intransigenti. Anzi, spesso era la moglie
che, nei periodi di gravidanza o di malattia,
chiedeva ad un'amica di concedersi al proprio
marito. Era però considerato gravissimo
l'inganno: un marito traditore poteva anche
essere gettato sul lastrico dalla moglie. Come
tutti i contratti, anche quello matrimoniale
aveva le sue penali, in caso di inadempienza.
Sesso e amore ad Atacam non erano considerati
necessariamente uniti. Le sex house erano
piuttosto diffuse, e non erano squallide come ci
si aspetterebbe da un qualunque bordello
europeo o americano. Le prostitute erano
professioniste diplomate, dette sessualizzatrici,
ed avevano un regolare sindacato. L'unica cosa
severamente proibita in una casa di sesso era la
53
violenza: tutti i partecipanti ad un amplesso
(non necessariamente due) dovevano essere
liberi e consenzienti. Le case di sesso non erano
necessariamente il luogo in cui ricercare una
avventura sessuale: periodicamente
organizzavano dei corsi, presenziati da molte
coppie sposate, i cui relatori erano i più
apprezzati professionisti del settore, maschi o
femmine.
L'omosessualità non era incoraggiata, poiché
non la si considerava naturale, ma era molto
tollerata.
La gioventù veniva informata molto presto sulle
questioni di sesso e amore, ma la pratica del
sesso era permessa solo a chi avesse
dimostrato la propria maturità, sostenendo
l'esame di candidato cittadino, di solito intorno
ai 14-15 anni.

La vita di ogni Atacamiano era idealmente


divisa in quattro fasi. Appena nato egli era
considerato virgulto. Attorno ai 10-11 anni
sosteneva un esame per divenire allievo
cittadino e potere così possedere una piastra
personale. Doveva dimostrare di possedere le
elementari nozioni necessarie alla vita
quotidiana: aritmetica, geometria, geografia,
storia, grammatica, lingua.
Terminata la pubertà, poteva sostenere il
secondo esame: quello di candidato cittadino,
per uscire dalla patria potestá. Doveva
dimostrare di avere approfondito le nozioni in
suo possesso e di avere letto le principali opere
54
letterarie obbligatorie, scelte appositamente tra
le più didascaliche: quelle che dimostravano la
necessità di obbedire a buone leggi per una
buona vita in comunità. Doveva inoltre aver
studiato educazione sessuale e dimostrare, con
un esame medico, di aver oltrepassato la
pubertà.
Verso i 18 anni poteva affrontare il terzo esame:
cittadino ordinario, in cui doveva dimostrare di
conoscere i suoi diritti e doveri, la costituzione,
la funzione e la struttura degli organi statali.
Doveva poi commentare alcune opere letterarie
obbligatorie, trattanti per lo più questioni di
coscienza, e presentare un'opera di suo
gradimento, giustificandone la scelta. L'esame
terminava col giuramento sulla Tavola dei
Dodici Princìpi, in cui erano riassunti i criteri che
avrebbero dovuto governare la vita del
cittadino, enumerati in ordine di importanza:

1) Non odiare, né disprezzare, cerca di capire.


2) Sii degno di fiducia.
3) Sii mite coi miti, paziente con gli ignoranti,
duro coi soverchiatori.
4) Non danneggiare chi non ti danneggerà.
5) Combatti solo chi ti combatte, e in modo
tale da non doverlo poi temere.
6) Non danneggiare chi ti ama.
7) Rispetta chi ospiti e colui che ti ospita.
8) Non essere ingrato.
9) Non negare il tuo aiuto a chi soffre.
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10) Non rendere nulla peggiore di come lo hai
trovato.
11) Mantieniti sempre pronto ad apprendere.
12) Diffondi la tua saggezza e la tua sapienza.

Un Cittadino Ordinario assumeva la pienezza dei


diritti di Atacam: poteva votare ed essere
votato, combattere, prendere la patente di
guida. Aveva poi l'obbligo di prestare servizio
periodicamente, nella polizia civile o in un ruolo
più idoneo alle proprie caratteristiche.
Questi tre esami erano detti esami civici, perché
ogni cittadino doveva sostenerli. A questi, uno
studente avrebbe ovviamente dovuto
aggiungere gli esami scolastici e universitari.
L'esame da Cittadino Ordinario doveva essere
ripetuto ogni venti anni, fino al 60° anno d'età,
dopodiché veniva sostituito con una prova più
semplice, per stabilire le buone condizioni
mentali dell'anziano ogni quattro anni. Quando
un vecchio non risultava mentalmente
autosufficiente, diventava senescente: perdeva
il diritto di voto ed entrava sotto la tutela dello
Stato. In pratica, lo si ospitava in una casa di
riposo e gli si affidavano semplici lavoretti.
L'eutanasia era ammessa, ma doveva esserci la
certezza che la richiesta di morte non fosse il
frutto di una depressione passeggera: occorreva
ripetere la domanda di eutanasia ogni giorno,
per quindici giorni consecutivi. Al sedicesimo
giorno, il vecchio sarebbe stato fatto spirare in
modo indolore, di solito durante il sonno.
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Filippo non ci aveva mai pensato, ma, in una
società in cui la scienza medica era tanto
sviluppata, un individuo, prima di morire di
vecchiaia, ne sarebbe stato completamente
distrutto: impedirgli di lasciare il mondo avrebbe
voluto dire negargli il diritto di preservare la
propria dignità.
Quelle che Filippo aveva imparato potevano
sembrare usanze strane, barbare, a volte
crudeli, ma c'era un'alternativa migliore?
Filippo non lo sapeva. Non la trovava. Forse fu
proprio per questo che decise di studiare per
diventare atacamiano. O forse fu per l'insistenza
di un angelo. Un angelo che non si nascondeva
nell'alto dei cieli, ma lo accompagnava nella sua
vita, con tutta la sua concretezza di donna.
Un angelo terreno.

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Finito di scrivere in gennaio 1993.

Pubblicato in maggio 2007 presso il sito


www.lulu.com

Enrico Tassinari

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