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ALBINIA CIRCE DIAZ ANDRIC THOREAU LONDON LANCHESTER WHARTON ITALIA: SCRITTORI PER LA CRISI MOSTRE: RINASCIMENTO A FIRENZE

di TOMMASO PINCIO

convinzione antica e mai tramontata, se non un fatto acclarato, che il pubblico di romanzi sia in maggioranza composto di donne. In virt di questa convinzione viene dato per assiomatico che un romanziere incapace di parlare allanimo femminile difficilmente conoscer il successo commerciale. Ricordo, al riguardo, la sicumera con cui un libraio preconizzava una carriera oscura a Cormac McCarthy, quando questi era ancora quel che si suol dire autore di nicchia. Non vender mai. Non piace alle donne diceva il cattivo profeta. Viste le scelte di buona parte delleditoria, chiaramente volte a attrarre principalmente un sesso, si deduce che le fortune conosciute in tarda et da McCarthy siano state ascritte dagli operatori del settore al novero delle eccezionalit che confermano la regola. Non meno evidente che, mercato a parte, ben altri dovrebbero essere i termini per stabilire il valore letterario di unopera. La questione sessuale resta tuttavia un nodo importante, dal quale sarebbe ipocrita prescindere. Pu inoltre servire a osservare da scorci imprevisti il profilo di autori pure studiatissimi e da tempo canonizzati. Joseph Conrad, per esempio. Il semplice nome evoca un universo allapparenza ben delimitato e molto maschile. Storie della parte equorea del pianeta dove le donne sono presenti al pi come un ricordo della vita di terra e dunque un qualcosa di antitetico alla vita instabile e raminga del marinaio di lungo corso. Dovendo screditare Conrad agli occhi di una signora desiderosa di conoscerlo, Henry James ebbe infatti buon gioco. Gli bast fare leva sulla fama di lupo di mare del polacco: Ma, mia cara, ha passato la vita in mare, senza mai conoscere donne acculturate. Linterlocutrice non prest ascolto. Si adoper per incontrare Conrad, ricavandone unimpressione non soddisfacente. Forse perch condizionata dallavviso di James, luomo le parve ipersensibile, esaurito, e per di pi incurante verso eventuali segni di intelligenza nella moglie poich in essa non cercava altro che un lenitivo alle ansie della vita. Gli stessi critici del tempo rimproverarono allo scrittore una scarsa considerazione per laltro sesso; memorabile una recensione di Il Negro del Narcissus, nella quale si osservava che lunica presenza femminile nel libro la nave. Limmagine di autore mascolino fu in buona parte incoraggiata dagli editori, e proprio per ragioni di mercato o, per meglio dire, di marketing. Nel 1904, sulle pagine della rivista che pubblic a puntate Nostromo, comparve una succinta biografia. Vi si sosteneva che per Conrad le cose dovevano sempre assumere la forma di una nave, tanto nella scrittura che nel navigare. Con gli anni, il diretto interessato cominci a patire il fatto di essere stato ingabbiato nel personaggio dellex marinaio che rievoca avventure per soli uomini in posti lontani. A un certo punto ammise apertamente di desiderare un po di requie per tutte queste mie navi. La svolta giunse nel 1913 con luscita di Chance. Sebbene appesantito da una struttura farraginosa, soprattutto nella parte iniziale, il romanzo gli regal il primo nonch unico vero successo commerciale, affrancandolo dalle ristrettezze. Si d il caso che sia il romanzo in cui una donna conquista per la prima volta il ruolo di protagonista e, stando al parere di alcuni critici, quello che segna la fine del Conrad migliore il che certamente opinabile ma non del tutto infondato. Qualsiasi giudizio si voglia dare su un libro comunque importante e di pregio notevolissimo, non si pu negare che lo stigma del marinaio scapolo ha resistito. Ancora oggi ricordiamo lautore pressoch soltanto per questo. Una conferma, quantunque soltanto locale, che, mentre non sono mai mancate nuove edizioni di Cuore di tenebra, Linea dombra e altre storie di navi, Chance ha conosciuto soltanto due traduzioni italiane. Disertava le nostre librerie da parecchio, segnatamente dagli anni novanta, quando usc ledizione curata da Francesco Binni per Newton & Compton. Riappare ora, dopo quasi un ventennio, presso Adelphi (Biblioteca, traduzione di Richard Ambrosini, pp. 400, 20,00) con un titolo alternativo a Destino, sempre adottato in passato.

Perch stavolta sia stato scelto Il caso evidente. E se mi domandi come, perch, per quale ragione, ti risponder: Suvvia, per caso! Per puro caso, cos come accadono le cose, fortunate o sfortunate. A parlare in questi termini Marlow, il principale (ve n infatti pi duno) narratore

di comodo del romanzo, e lo fa illustrando come leroina in questione, la giovane e esile Flora de Barral, si ritrovi priva di mezzi e praticamente orfana, dopo il crollo rovinoso dellimpero finanziario del padre, speculatore senza qualit. Non per via di un disegno coerente, di un

NEL 1913, CON IL ROMANZO IL CASO, JOSEPH CONRAD OTTENNE IL SUO SOLO VERO SUCCESSO COMMERCIALE. PER LA PRIMA VOLTA ASSEGNAVA IL RUOLO DI PROTAGONISTA A UNA FIGURA FEMMINILE. POI PER, SECONDOALCUNI, SI AVVI AL DECLINO

concatenarsi logico di eventi, e dunque di un destino, se la vita di Flora ha imboccato una determinata strada. Una filosofia forse un po spicciola, che pare troncare sul nascere qualsiasi interpretazione ulteriore; se le cose cpitano per caso, spiegarle non serve a niente. Peccato per che il nostro narratore razzoli al contrario di come predica. Anzich limitarsi a esporre i fatti nudi e crudi, ci gira attorno, li infarcisce di commenti e considerazioni sulla natura delle cose, al punto di prevaricarli. Si ha perci limpressione che raccontare le disgrazie di Flora de Barral sia poco pi di un pretesto, quasi che il vero intento di Marlow sia quello di offrire allinterlocutore e, indirettamente anche a noi lettori, la propria visione del mondo. Pi che un narratore inattendibile, un falso narratore, un filosofo mascherato, un impostore. Parimenti, la sventurata eroina del romanzo, pi che una protagonista un oggetto di disquisizione, quando non un mero termine di paragone. convinzione di Marlow che laspirazione a penetrare lessenza di tutte le cose, incluso linfinito stesso, sia una prerogativa maschile aliena alle donne, inclini invece allIr-

rilevante. A suo dire, le donne per prime si annoierebbero in un mondo governato da princip femminili, perch un simile mondo sarebbe sopportabile soltanto preservando certe illusioni fruste senza le quali la creatura media di sesso maschile non pu vivere. Per il lettore affezionato di Conrad, Marlow una vecchia conoscen-

za. Compare nelle vesti di narratore sia in Lord Jim che in Cuore di tenebra. Non mai un protagonista, ma un testimone. Avendo anchegli un passato di navigatore, la tentazione di vedervi un alter ego dello scrittore forte, e qualora lo fosse davvero, un alter ego, Marlow e Conrad sarebbero accomunati da un sessismo inqualificabile. Nei complicati rapporti che lo scrittore intratteneva con luniverso femminile, gli studiosi hanno ovviamente frugato parecchio e non vale la pena di tornarci. Lo stesso si pu dire di Marlow. Che egli non faccia le veci di Conrad ormai chiaro a chiunque, ma in quale misura e in quali modi il pensiero delluno rispecchi quello dellaltro questione sulla quale si pu ancora discutere. Qualcosa doggettivo tuttavia c. La presenza di Marlow costituisce un filtro, un velo che noi lettori non possiamo squarciare. Lord Jim, Kurtz, come pure Flora de Barral, non sono mai fisicamente presenti, il che significa che non li vediamo mai con gli occhi della nostra immaginazione bens attraverso il ricordo e le opinioni del narratore. Ne siamo tenuti a distanza, sicch per noi sono spesso poco pi che fantasmi, trasfigurazioni di tipi umani e non personaggi in senso stretto. Lassente un motivo che ricorre spesso in Conrad, assumendo forme diverse. Il ricorso a un narratore di comodo come Marlow soltanto la pi eclatante di esse. Sindrome del compagno segreto: potremmo definirla cos. In fin dei conti la carenza di personaggi femminili o la loro caratterizzazione apparentemente approssimativa non che leffetto estremo di questa sindrome. La donna mancante la massima manifestazione di unalterit impalbabile. Non se ne afferra la reale consistenza, nondimeno incombe e condiziona alla misteriosa maniera del caso. unalterit che prescinde e sovrasta la mera differenza sessuale e non va dunque ricondotta alle donne di carne e ossa. Non per nulla, nelle sue farneticanti disamine dellanimo femminile, Marlow parla di uomini medi, naturale complemento alle donne smosse soltanto dallIrrilevante; a questi uomini va la stessa misera considerazione riservata allaltro sesso. Si profila allora, implicita, lesistenza di una creatura umana dordine trascendente, un uomo che maschio soltanto in quanto figura letteraria, ovvero una creatura che si nutre solo di estremi (o anche solo damore come Flora), tutta tesa al sublime, alla comprensione dellincomprensibile. Ma un uomo (o una donna) simile, se mai esistesse, non potrebbe mai raccontare. Da qui lesigenza di ricorrere a un Marlow, a un intermediario, una caricatura di narratore che faccia quel che un narratore non dovrebbe mai fare: spiegare, dire lindicibile, dare un ordine al caso, come in Chance, chiave daccesso fondamentale alluniverso di Conrad, malgrado i limiti e le forzature.

LA DONNA MANCANTE

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ALIAS DOMENICA 26 MAGGIO 2013

IL VIAGGIO SOLITARIO DI UNA GIORNALISTA INGLESE LUNGO IL FIUME DEI FIUMI

ALBINIA
di ELENA SPANDRI

Alla ricerca degli Imperi dellIndo, fra testimonianze di antiche civilt e religioni antecedenti la partizione: i tremila chilometri di Alice Albinia

Andrea Pistolesi, Kashmir, 1998, foto tratta da: A. P., NAG, Non ancora global, Touring Editore, 2007

In una terra in cui piove di rado, un fiume prezioso come loro. Lacqua qualcosa di potente: penetra nei sogni degli uomini, ne permea le vite, governa lagricoltura, la religione, la Guerra. Dallintreccio di geografica fisica, geografia politica e geografia del desiderio, muove Imperi dellIndo, opera prima pluripremiata della giornalista londinese Alice Albinia, pubblicata da John Murray (Empires of the Indus. The Story of a River, London, 2008) e appena uscita presso Adelphi nella bella traduzione di Laura Noulian (pp. 493, 30.00). insieme un racconto davventura, la celebrazione di un rito di passaggio e un dotto trattato storicoculturale, che non scivola mai nella pedanteria. Soprattutto, una interessante operazione editoriale che, con ironica disinvoltura, rianima il genere del travelogue per il piacere, sottilmente antiquario, di un pubblico pi avvezzo a immaginare larea indo-pakistana attraverso i virtuosismi postmodernisti di Salman Rushdie, o gli scorci intimistici di Arundhati Roy e di Anita Desai. Commistione di resoconto etnoantropologico, paesaggismo e memoir, il travelogue anglo-indiano poggia, per tradizione, su un patto narrativo dal tratto inequivocabilmente imperialista: il diritto-dovere del viaggiatore di tradurre lalterit culturale in orizzonti di senso familiari ai lettori metropolitani, garantendo allInghilterra un senso di continuit col passato precoloniale dellIndia e una illusione di permanenza. E dellantico linguaggio dei colonizzatori, cui spetta la prerogativa di mappare il territorio e riscrivere la storia dei popoli sottomessi, Imperi dellIndo conserva la gustosa miscela di supponenza, erudizione, meraviglia e empatia, che rappresenta la quintessenza del genere. Al generale di Rawalpindi, che deve autorizzarla a valicare la frontiera a passo Nawa, Albinia spiega che vorrebbe seguire, a piedi, litinerario di Alessandro Magno dallAfghanistan, lungo lIndo, fino al Pirsar. Sconcertata, seppur non dissuasa, dal parallelo con Alexander Burnes (suggerito dal baffuto ufficiale), il quale con arroganza si paragon a Alessandro Magno (ma il paragone in fondo era calzante, giacch entrambi erano impegnati in missioni imperialistiche), la storica ventinovenne entra in Afghanistan in corrispondenza con lannuale ondata di terrorismo transnazionale, rifiutandosi categoricamente di percorrere in jeep i quattrocento chilometri percorsi da Alessandro nel 327 a.C. Dellantico conquistatore non le basta rievocare le gesta, storiograficamente assai contestate, come lei stessa sottolinea: intende calcare fisicamente le orme. Tuttavia, dal momento che il travelogue vanta anche un pedigree femminile di tutto rispetto, nel solco di illustri antesignane sensibili ai danni del colonialsmo e interessate

Pellegrinaggio indiano sulle orme di Alessandro Magno


alle prospettive marginali (Fanny Parks, Maria Graham, Harriet Taylor, Emma Robertson, per citare soltanto le pi note), Albinia seleziona litinerario a ritroso nel tempo e nello spazio secondo una logica solidaristica che suona, insieme, pre e postcoloniale: nessuno amava il Pakistan a quei tempi e penso che questa sia una delle ragioni per cui sono voluta venire qui. Nel 1999, in coda a un decennio caratterizzato dalla recrudescenza di violenza etnica e dal riduzionismo teorico del clash of civilizations, limperativo della viaggiatrice, in marcia sui sentieri del Grande Gioco che irret il Kim di Kipling, non pu essere altro se non un pellegrinaggio alla ricerca della ricchezza geoculturale e del pluralismo religioso antecedenti alle innumerevoli partizioni subite dalle civilt cresciute intorno alle sponde dellIndo. Fu lIndo a dare coerenza alle mie esplorazioni; il fiume al centro di questo libro perch scorre attraverso le vite delle sue genti come un incantesimo. La metafora esotica dellincantesimo che avrebbe senzaltro insospettito Edward Said non buttata l a caso. Se il mito del Padre del fiumi, alveo di coesistenze pacifiche tra civilt assetate, comincia a scricchiolare ben prima dellarrivo degli inglesi, oggi, dopo che alla semplificazione autoritaria del colonialismo si sovrapposta quella ancora pi brutale della Partizione, nonch quella indotta dalla globalizzazione e dalla lotta per il controllo delle rotte del narcotraffico, la sua conservazione esige nuovi sacrifici. Beffardamente, il rilancio dovr iniziare dalle fogne, per in-

frangersi, con karmica fatalit, contro il muro di una diga. Ecco allora, a mo di incipit, dalla buca di una strada di Karachi da cui spuntato un mulinello di acqua putrida e scura, affiorare la testa gocciolante di un bhangi, un fognaiolo rigorosamente non musulmano, giacch in Pakistan Terra dei Puri solo i cristiani o gli ind di bassa casta sono autorizzati a toccare i liquami. A riscontro, nelle ultime pagine, lapocalittica visione della diga gigantesca, nuova di zecca, che i cinesi hanno costruito nelle vicinanze della cittadina tibetana di Senge-Ali: Il suo massiccio arco di cemento si leva dal letto del fiume come unonda enorme pietrificata a mezzaria. La fisso incredula, cercando di ricacciare indietro le lacrime. La struttura in s completa, gli operai stanno installando gli elementi idroelettrici nellalveo. Da questo lato della diga, c qualche pozzanghera, ma nessun flusso dacqua. LIndo stato fermato. Tra labiezione del bhangi, protesi umana di un delta impoverito e melmoso, e la depressione dellesploratrice romantica, prostrata dallinattingibilit della sorgente e

IL MITO DI CIRCE

di PAOLO LAGO

Da Omero alla femminista Atwood: cos cadono gli stereotipi della maga

Ci sono due isole almeno, non si escludono a vicenda, cos afferma la Circe di Margaret Atwood (Circe / Fango, in You are happy, 1974), liberandosi degli stereotipi nati e cresciuti intorno a un mito: se nellisola canonica di Circe consacrata dallOdissea, Aiaie, tutto continuer ad avvenire regolarmente, secondo i dettami della tradizione, in unaltra (o in altre isole) la vicenda si svolger in modo diverso e la protagonista si liberer delle sue maschere di bella dama senza piet o di femmina domata dalla forza eroica. Quella che attua Atwood nella sua riproposizione del mito una lettura in chiave femminista che lascia spazio a una sorta di palingenesi nel rapporto uomo-donna, una nuova interrelazione basata su condivisione, reciprocit e scoperta; come ha scritto Adrienne Rich, abbiamo bisogno di conoscere la scrittura del passato, e di conoscerla in modo diverso da come labbiamo conosciuta finora; e non per tramandare una tradizione ma per spezzare la sua presa su di noi. La Circe di Atwood il punto di arrivo del bel volume curato da Cristiana Franco (che lo correda

di un ampio e rigoroso saggio iniziale) Circe. Variazioni sul mito Omero, Ovidio, Plutarco, Machiavelli, Webster, Atwood (Marsilio, pp. 209, 9,00). Gi autrice, insieme a Maurizio Bettini, del saggio Il mito di Circe, la studiosa ci offre la possibilit di osservare, appunto, le variazioni su Circe operate dai testi che ne attuano le riproposte principali. Lepisodio archetipale dellOdissea ci presenta, se leggiamo pi attentamente e ci lasciamo catturare dal fascino narrativo dellepisodio, una Circe pi complessa di quanto possiamo credere: ingannatrice, premurosa, distaccata; tale complessit, probabilmente, il frutto di un sostrato folclorico che si allarga anche al Vicino Oriente intorno al quale si innestano molteplici storie basate sulla figura di una maga o strega che accoglie gli incauti viaggiatori. Nelle Metamorfosi di Ovidio la vicenda viene rifocalizzata: non pi Odisseo a raccontare la storia ma uno dei suoi uomini finiti nel porcile e ci mostra una Circe innamorata vanamente del bellissimo Pico e da lei trasformato in uccello (picus, il picchio). Plutarco racconta, nel suo Le virt degli animali (altrimenti noto come Gryllus), un interessante rovesciamento

prospettico: Gryllos, un uomo trasformato in porco da Circe, controbatte con forza retorica e persuasiva a Odisseo affermando che la condizione animale preferibile a quella umana. Tesi, questultima, sostenuta anche da Machiavelli nel suo poemetto in terza rima intitolato LAsino, nel quale si possono udire echi parodistici della Commedia dantesca. Il protagonista, smarritosi allimbrunire in un luogo aspro quanto mai si vide, incontra una delle ancelle di Circe (che non compare direttamente) che gli fa da guida nel mondo magico della sua padrona; anche qui, un porco, esaltando la condizione animale, dice al protagonista: Noi a natura siam maggiori amici. Da Machiavelli, con uno scarto di secoli, incontriamo il monologo drammatico della poetessa inglese Julia Augusta Webster (1870); Circe, adesso, parla in prima persona: il centro dellattenzione non pi la seduzione del maschio, ma il punto di vista femminile di Circe come soggetto desiderante. Un avvicinamento progressivo alla rilettura in chiave femminista di Atwood: una Circe che prende la parola per liberarsi e liberarci dai codici imposti da una tradizione mitica.

dalla dissoluzione del mito dellorigine, Imperi dellIndo accompagna i lettori attraverso scenari degni dellenciclopedismo panottico dei viaggiatori sette e ottocenteschi. In un villaggio vicino Thatta, nel Sindhmeridionale, una festa nuziale sheeda, nella quale gli uomini ballano intorno a un tamburo di legno alto fino al petto, i piedi nudi pestano il terreno, mentre le mani del percussionista si muovono sempre pi veloci, evoca antiche connivenze afroasiatiche sopravvissute nella pi numerosa comunit di origini africane che si possa incontrare nellAsia del sud. Nel Punjab occidentale le vestigia dellepoca sikh ancora costellano il paesaggio, e nelle citt di Peshawar e Quetta, bench i santuari si sgretolino, il sikhismo violentemente sradicato allatto della Partizione persiste come religione di frontiera. Nella valle dello Swat (tributario dellIndo), considerata la Svizzera del Pakistan e abbandonata dal turismo straniero dopo l11 settembre, il paesaggio pittoresco, lisolamento e le profonde venature lasciate da un passato buddhista, concorrono a alimentare tra i suoi abitanti una plateale indifferenza. Dinanzi a un panorama bucolico, che sembra resuscitare obsolete teorie climatologiche sullinflusso dellambiente sul temperamento, lesploratrice alla ricerca di tracce antropiche non divisive vagheggia lidea che la tanto denigrata istituzione musulmana della madrasa potrebbe avere le sue origini nel monastero buddhista. Infinite sono le testimonianze storiche, religiose, artistiche, archeologiche che questo libro offre, attraversando luoghi e tempi dallo spessore culturale analogo a quello degli eoni cosmici, il cui calcolo sgoment i primi indologi. Storia congetturale? Contro-orientalismo autodiscolpante? Forse: Albinia sa bene che un residuo di etnocentrismo rimane anche nel bagaglio della viaggiatrice pi sorvegliata. Residuo che filtra nellimmaginazione del lettore non britannico come parte del gioco, da accettarsi senza eccessivi sensi di colpa.

ALIAS DOMENICA 26 MAGGIO 2013

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LULTIMO ROMANZO DEL DOMINICANO JUNOT DIAZ

GERENZA
te del permesso di soggiorno, dalle ragazze facili di pelle scura (la spazzatura marrone) a quelle di pelle chiara (la spazzatura bianca), dalle compagne di scuola alle single di mezza et, superstiti di catastrofi e naufragi. E tra le presenze femminili, la madre di Yunior, la donna che pregava Dio con orari da Mecca, magnifica figura di matriarca, cui il marito ha impedito di imparare linglese, perch una lingua difficile ... e poi di solito le donne non (lo) imparano. Se nel racconto Invierno la figura della madre, appena arrivata nel gelo del New Jersey dalla sua calda isola, si staglia contro il panorama di neve e ghiaccio in un finale epifanico indimenticabile, in Otravida, Otravez (lunica storia non raccontata da Yunior e, certo non per caso, anche lunico altro racconto dal titolo ispanico) a fornire un controcanto femminile allatteggiamento impunito dei maschi dominicani unaltra donna, addetta alla lavanderia di un ospedale. Nelle sue parole, accanto al ricordo di quei suoi primi tempi negli States in cui, dice, mi sentivo cos sola che ogni giorno mi sembrava di mangiarmi il cuore, c la consapevolezza della fragilit e, al tempo stesso, della forza del rapporto che la lega a un compatriota sposato, che ha lasciato moglie e figli nella Repubblica Dominicana. A chi le chiede del suo amore per questo uomo, Yasmin risponde ripensando alle luci tremolanti nella sua vecchia casa, sullisola, che sembravano sempre sul punto di spegnersi: Mettevi gi le cose e aspettavi, e non potevi fare niente finch le luci non decidevano. Ecco, mi sento cos. Mentre il ricordo di quel paese al quale non pensi mai finch non lo hai perduto, che non riesci ad amare finch non lo hai abbandonato, di quel mare come argento sminuzzato messo a confronto con un New Jersey cos freddo che la mente cambia direzione insieme al vento, unifica le storie di Yunior, larchitettura a mosaico del romanzo di racconti aiuta a creare un effetto contrappuntistico tra la sfrontatezza maschile e la passione e la tenerezza femminili, che difficilmente si sarebbe potuto raggiungere nella forma-romanzo, mettendo in scena una molteplicit di voci narranti, una frammentariet spazio-temporale e lassenza di un preciso ordine cronologico negli eventi. Se, da un lato il tempo del ricordo, incompleto e frammentato, a strutturare la narrazione, dallaltro il coagularsi di ogni racconto suggerisce il senso di continuit dellesistenza meglio del romanzo, com proprio delle narrazioni brevi, attorno a uno o pi dettagli rivelatori, per arrivare a uno scioglimento che non mai conclusivo, quanto piuttosto rivelatore, e proteso verso ulteriori possibilit. Non certo un caso se il personaggio di Yunior che in La breve favolosa vita di Oscar Wao chiudeva il suo racconto con le parole niente finisce mai ora riproposto in un romanzo di racconti, genere aperto per eccellenza, dove la continuit della narrazione, anche quando non garantita, come in questo caso, dalla forma circolare, comunque suggerita dalla chiusura non definitiva delle storie e dalla possibilit di riassestare limpianto della vicenda secondo lordine emotivo di chi legge. Di racconto in racconto, Yunior (che Diaz ammette essere una sorta di suo alter ego), a differenza di quanto accadeva nel romanzo, passa dallio al tu, dalla confessione in prima persona al dialogo ora con se stesso ora con una delle sue tante fidanzate, per arrivare a concludere il suo/i suoi racconti con un inizio, ovvero, metanarrativamente, a chiudere i racconti per iniziare la scrittura. Dimostrando prima di tutto a se stesso che comunque Il mondo non finir mai. E dimostrando, come recita lultima frase di cos che la perdi, che a volte un inizio tutto ci che abbiamo. Il manifesto direttore responsabile: Norma Rangeri redazione: via A. Bargoni, 8 00153 - Roma Info: tel. 0668719549 0668719545 email: redazione@ilmanifesto.it web: http://www.ilmanifesto.it impaginazione: il manifesto ricerca iconografica: il manifesto concessionaria di pubblicit: Poster Pubblicit s.r.l. sede legale: via A. Bargoni, 8 tel. 0668896911 fax 0658179764 e-mail: poster@poster-pr.it sede Milano viale Gran Sasso 2 20131 Milano tel. 02 4953339.2.3.4 fax 02 49533395 tariffe in euro delle inserzioni pubblicitarie: Pagina 30.450,00 (320 x 455) Mezza pagina 16.800,00 (319 x 198) Colonna 11.085,00 (104 x 452) Piede di pagina 7.058,00 (320 x 85) Quadrotto 2.578,00 (104 x 85) posizioni speciali: Finestra prima pagina 4.100,00 (65 x 88) IV copertina 46.437,00 (320 x 455) stampa: LITOSUD Srl via Carlo Pesenti 130, Roma LITOSUD Srl via Aldo Moro 4 20060 Pessano con Bornago (Mi) diffusione e contabilit, rivendite e abbonamenti: REDS Rete Europea distribuzione e servizi: viale Bastioni Michelangelo 5/a 00192 Roma tel. 0639745482 Fax. 0639762130

DIAZ A volte un inizio


Costruito su un mosaico di racconti, cos che la perdi gioca sulleffetto contrappuntistico fra sfrontatezza maschile e tenerezza femminile
di SILVIA ALBERTAZZI

Wolfgang Tillmans, Corinne, 1993, da: W.T., Taschen, 2002

ci che ci resta

Soprattutto nel mondo anglosassone sta conoscendo un notevole ritorno di fortuna il novel in stories, in altre parole il romanzo fatto di racconti, uniti da un comune denominatore, che pu essere topografico, oppure legato alla presenza di uno o pi personaggi ricorrenti di storia in storia, ma pi spesso nasce da un intreccio di tutti e due gli elementi. Generalmente, il romanzo fatto di racconti sembra essere una evoluzione della classica narrazione a cornice, in cui questultima diventa lo scenario unificante e le singole storie sono legate tra loro attraverso il recupero di caratteri e situazioni, fino a confezionare una sorta di canovaccio, pi che una trama vera e propria. Spesso mascherati da romanzo per motivi di mercato (il pregiudizio dellinvendibilit dei racconti duro a morire) i novel in stories che contano tra gli illustri precedenti opere come Winnesburg, Ohio di Sherwood Anderson e I racconti di Nick Adams di Ernest Hemingway sono stati riscoperti anche grazie a due recenti vincitori del Pulitzer: Elizabeth Strout, che con Olive Kitteridge ha vinto nel 2009 e Jennifer Egan che grazie a Il tempo un bastardo si aggiudicata il premio nel 2011: due libri che, proprio in virt della loro differenza, mostrano lestrema flessibilit di questa struttura narrativa. Del resto, che il genere si possa prestare alla sperimentazione anche pi audace lha dimostrato qualche anno fa lindiano Aravinder Adiga con Fra due omicidi, romanzo di racconti inserito nella cornice della fittizia guida turistica di una insignificante citt indiana, Kittur, la cui unica attrattiva sembra essere una endemica e onnipresente corruzione. Meno politico e polemico, ma sicuramente non meno ironico, seppure di unironia non altrettanto tragica, anche Julian Barnes ha utilizzato la stessa formula narrativa pi di una ventina danni or sono nella sua Storia del mondo in dieci capitoli e mezzo, compendio sarcastico di storia universale dallarca di No ai giorni nostri e oltre. Ultimo in ordine di tempo a cimentarsi con un romanzo di racconti ora, Junot Diaz, lo scrittore dominicano la cui fama dovuta al romanzo La breve favolosa vita di Oscar Wao, anchegli vincitore di un Pulitzer nel 2008, esempio paradigmatico dellibridismo tematico e linguistico che caratterizza la contemporanea World Literature. Il narratore di quel romanzo, il giovane Yunior, torna ora nel novel in stories appena uscito da Mondadori con il titolo cos che la perdi (traduzione di Silvia Pareschi, pp. 280, 16,00) , a raccontare, stavolta, la sua storia o, meglio, le sue storie. Nella Breve vita Yunior, coinquilino playboy del protagonista, era impegnato nel disperato tentativo di aiutarlo a uscire dal suo stato irrecu-

perabile di nerd goffo e sovrappeso. Atletico, sportivo e pieno di ragazze, Yunior non solo era lesatto opposto del povero Oscar, obeso, impacciato e vergine, ma rappresentava il tipico maschio dominicano, sessuomane e fedifrago. Sempre a caccia di avventure fugaci, si innamorava tuttavia a tal punto della sorella di Oscar, da dover affrontare dieci anni di autodistruzione prima di metabolizzare la fine della loro relazione. cos che la perdi sembra nascere da e in quel periodo di buio e trasgressione successivo alla morte di Oscar e allab-

bandono di Lola: chi racconta, in una sorta di Spanglish tradotto ottimamente da Silvia Pareschi, uno Yunior che, giunto al quinto anno di depressione per la perdita della fidanzata il cui abbandono dovuto alla scoperta nella sua posta elettronica dei messaggi di ben cinquanta ragazze con cui stata tradita comincia a scrivere una Guida allamore per infedeli: si direbbe dunque che Yunior si stia finalmente riprendendo dalla storia con Lola, pur non essendo ancora pronto per la quieta esistenza di Perth Amboy, nel New Jersey.

I racconti che strutturano il romanzo sono nove, come nella miglior tradizione americana, da Salinger in poi, e mentre raccontano i rapporti di Yunior con le donne al tempo stesso tracciano un ritratto del tipico uomo dominicano, infedele, maschilista e inaffidabile, e della non meno tipica famiglia dominicana immigrata negli Stati Uniti, alle prese con il freddo, duro lavoro, una lingua ostile e la cronica assenza o la mancata presa di responsabilit delle figure maschili. Incontriamo cos le tante fidanzate dalle studentesse universitarie alle parassi-

In copertina di Alias-D: Suzanne Valadon, Nudo su asciugamano, 1908, Parigi, Centre Pompidou; nella foto, Joseph Conrad

RACCONTI

di LUCA SCARLINI

Bambini e adeloscenti di Ivo Andric: la scoperta del mondo come trauma

Una nuova silloge di racconti di Ivo Andric dal titolo accattivante di Litigando con il mondo (traduzione di Alice Parmeggiani, cura e postfazione di Boidar Staniic, pp. 148, 15,00) proposta da Zandonai dopo la precedente La donna di pietra (2010). Il filo rosso di queste pagine composte tra anni trenta e anni sessanta quello della crescita come trauma, della scoperta del mondo come ferita, ferita inferta dalla lama di una realt che non risparmia nessuno. Bambini e adolescenti, spaesati in un mondo adulto che non rivela loro le parole-chiave per poter comprendere la loro posizione nel mondo, cercando disperatamente di trovare il senso di azioni sfuggenti. Nella prosa che d il titolo al libro, il protagonista viene attratto dai racconti allosteria che indicano in un concittadino, dal nome di Nikola, un sospetto, una persona non grata, da tenere lontana per quanto possibile dalla collettivit. In lui, che

pure quando compare alla sua vista una persona mite e comune, egli vede incarnato il proprio desiderio di rivolta, che trova il coraggio di verbalizzare con una frase pronunciata in pubblico senza alcun effetto di sorta, per, sul mondo circostante. In Sulla riva la bella Roza Kalina, figlia irregolare di un soldato sgradito ai superiori, turba gli sguardi di bambini che stanno per giungere alla pubert, ma chi tra loro avr il coraggio di alzare la gonna, avr in cambio un colpo di spada nel ventre. Ne Il libro la partita di un ragazzo di provincia spaesato in un severo ginnasio di stile austroungarico, si gioca intorno alla possibilit di restituzione di un volume preso in prestito in biblioteca. Una disattenzione, e la costola di una raccolta di avventure di viaggio a lungo desiderata si disfa. Allincidente seguono ansie, incubi, patemi, fino a un finale in cui leccesso di pathos si scioglie nel disinteresse della gestione burocratica. In Il panorama un ragazzo torna ossessivamente ogni domenica a vedere fugaci visioni di paesi lontani. Forte

limpatto della rapida prosa de La torre: in un rudere della dominazione turca un gruppo di bambini gioca alla guerra. Assume posizioni, disegna strategie, si contrappone verbalmente, finch non arrivano le botte, la violenza, il dolore, condiviso come tappa di una educazione. Quando la piccola zingara Smiljka entra in questo recinto maschile, sembra che stia per scattare una aggressione, un attacco, ma poi la madre di lei dissolve in un attimo il branco. Il titolo del libro efficace nel definire pagine assai acute che si incentrano sulla presa di coscienza di identit turbate. Gli ostacoli sono quelli che nel quotidiano si svelano sotto laspetto di una difficolt di padroneggiare luso del mondo, il cui senso ultimo sfugge. Andric magistralmente entra nel tessuto vischioso delle aspirazioni e dei desideri di identit che si cercano affannosamente. La scoperta del prisma del reale passa da una presa di coscienza difficile fino a un momento di finale in cui la sconfitta prende laspetto di una epifania.

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ALIAS DOMENICA 26 MAGGIO 2013

I BOSCHI DEL MAINE, UN REPORTAGE 1857 DEL POETA-NATURALISTA HENRY DAVID THOREAU

THOREAU
JACK LONDON VITE

IL FOTOGRAFO ALLA THOREAU Limmagine pubblicata a fianco tratta dal celebre libro di John Gossage The Pond, racconto in bianco e nero al cui centro c un laghetto senza nome tra Washington, DC, e Queenstown, Maryland. Gossage lo fotograf tra il 1981 e il 1985, in omaggio a Walden di Henry David Thoreau (sotto, nel ritratto)

Daniel Dyer pedina lo scrittore che ader alla propria biografia


di STEFANO GALLERANI

Avrebbe ben potuto essere declinato al plurale il sostantivo Biography che compare nel titolo originale del volume che Daniel Dyer ha dedicato a Jack London, tali e tante sono state le esperienze accumulate dallautore del Popolo dellabisso in un arco di tempo relativamente contenuto (nato a San Francisco nel 1876, London mor il 22 novembre del 1916 nel suo Beauty Ranch di Glen Ellen). Jack London Vita, opere e avventura recita, invece, la copertina delledizione italiana del lavoro di Dyer, appena pubblicata da Mattioli 1885 (pp. 173, 19,90), per le cure di Franca Brea e con uno scritto dello stesso London (Cos la vita per me) tratto dalla raccolta Rivoluzione (per i medesimi tipi nel 2007 e a cura di Davide Sapienza): con disperato ottimismo, nel 1905 London attende con ansia il tempo in cui luomo sapr conquistare un progresso che non sia solo materiale, il tempo in cui luomo agir guidato da un incentivo pi alto di quello odierno, che appunto lo stomaco. Continuo a creder nella nobilt e nelleccellenza delluomo. Opportunamente, Dyer (gi autore di una edizione annotata di The Call of the Wild) adotta un registro rapido e svelto come rapidi e svelti furono gli anni di vita dello scrittore statunitense per raccontare in undici capitoli gli snodi principali del breve apprendistato che nel giro di una manciata di lustri fece di John Griffith Chaney London (questo il vero nome) il narratore forse pi popolare del pianeta (dal 1903 Il Richiamo della foresta viene stampato ininterrottamente); pure, fin quando Maxwell Geismar non gli dedic, nel 1953, il terzo capitolo della sua ricostruzione del romanzo americano dal 1890 al 1915 (Ribelli e antenati), London ha faticato a imporsi oltre i limiti del proprio successo commerciale; a lungo, la sovrapposizione del suo personaggio allopera ha suscitato sentimenti di diffidenza, quando non di vera e propria ostilit (memorabile, nella bibliografia italiana, limpietoso giudizio che, ventanni prima di Geismar, gli riserva Emilio Cecchi), e per, come testimoniano le pagine di Dyer, illegittimo, prima ancora che inutile, separare luno dallaltra: la vita sulla strada, gli stenti, le letture, il mare e la corsa alloro, ogni singolo episodio risponde, in London, a unirresistibile forza interiore che non sarresta sulla carta, ma da questa si riversa in nuove sfide, nuovi eccessi di cui il romanziere il primo testimone, impietoso biografo di se stesso, come lasciano intendere Martin Eden e John Barleycorne: letture imprescindibili per chi saccosti a London e, soprattutto, per chiunque voglia perpetrarne la memoria. A questi testi, infatti, nonch alla ponderosa biografia di Charmian London e agli epistolari originali, Dyer si rif puntualmente, tratteggiando il profilo di uomo che fu tuttuno con la vita che si scelse (gli forse pari, in questo, e con le debite differenze, solo Oscar Wilde) in un modo che, oggi, appare irrealistico e ingenuo come un grandioso, anacronistico romanzo davventura.

di MASSIMO BACIGALUPO

Fa piacere viaggiare per i luoghi (tuttora) selvaggi del nordest Usa con Henry David Thoreau, grazie alledizione bilingue di I boschi del Maine (traduzione di Anna Banfi, La vita felice, pp. 362, 14,50). Molti non hanno mai sentito il nome di questo grande eccentrico dei dintorni di Boston (1817-62), i meglio informati sono al corrente della sua rilevanza politica per via del saggio Disobbedienza civile che fu letto e praticato nel Novecento dai padri della non violenza, gli happy few sanno persino del suo libro principe Walden, spesso tradotto in italiano, cronaca di un soggiorno in una casupola sullomonimo laghetto presso Concord: Sono andato nei boschi perch volevo vivere deliberatamente, confrontandomi solo con i fatti essenziali della vita e vedere se potevo imparare ci che essa aveva da insegnare e evitare di scoprire, morendo, di non aver vissuto. Non volevo vivere quella che non era vita, il vivere essendo cos caro; n volevo praticare la rassegnazione a meno che non fosse proprio necessario. C una filosofia, un entusiasmo asciutto, in questo romantico yankee, che guarda la natura con freddezza ma ne vive ogni palpito, laconicamente. Walden un breviario filosofico-naturalistico, soprattutto letterario, che tutti i ragazzi americani trovano (a brani) nelle loro antologie, e che ha qualcosa della straordinaria originalit dei coevi Moby-Dick e Foglie derba. Un po di romanticismo, un po di secentismo, un po di filosofia indiana (Thoreau, a differenza di Melville e

Laghi, insetti, alci, corteccia, e un pellerossa


Whitman, aveva studiato: a Harvard), ma soprattutto lesperienza personale del nuovo mondo, un continuo dialogo di interno e esterno. Un libro da portarsi in viaggio, dallinglese non facile, intricato, adatto a palati fini quanto ai saccopelisti. I boschi del Maine invece una cronaca fattuale di una spedizione compiuta dal poeta-naturalista con un amico dal 20 luglio al 3 agosto 1857. Il gusto del libro sta nel fatto che assai meno letterario e pro-

Questa cronaca dettagliata di una spedizione nel selvaggio Nord-Est Usa colpisce per la sua nettezza descrittiva, e la figura dellindiano che guid lautore
di LUCA BRIASCO

grammatico di Walden e saggi come Camminare. Si accontenta di descrivere minuziosamente gli eventi: un mondo di laghi, temporali, insetti (innumerevoli e fastidiosissimi), isolotti, uccelli, alci, scoiattoli, rapide, canoa, tenda, corteccia, tisane di erbe e tabacco improvvisato, qualche incontro con altri solitari. Si respira la libert dalla necessit di intrattenere e fantasticare. Tutto netto, da quando si parte in diligenza con il cane di un passeggero che vi corre accanto, al primo incontro con lindiano che far da guida ai due, Joe Polis. Lo trovano intento a trattare una pelle di daino e gli chiedono se conosce qualcuno disposto ad accompagnarli. Ci rispose, parlando da quella strana distanza in cui lindiano sempre abita per il bianco: Me piace venire io; volere prendere alce, e continu a raschiare la pelle. Purtroppo la volenterosa traduttrice qui come altrove non comprende il senso delloriginale e scrive Ci rispose senza quel curioso distacco con cui gli indiani sono soliti rivolgersi ai bianchi. Per fortuna la presenza del testo inglese in questo comodo libretto permetter al lettore di sorvegliare la traduzione dove necessario, e di scoprire ad esempio che i pini di cui si parla a pagina 250 non hanno un diametro difficilmente inferiore a ottanta o novanta piedi. Un pino con un diametro di trenta metri sarebbe davvero eccezionale. Peccato che la traduzione sia manchevole, per quanto meritoria nellaffrontare le difficolt di un resoconto in fondo naturalistico, dunque pieno di nomi scientifici e comuni di piante e animali. Ma sono incidenti non rari nella nostra editoria, e bisogna essere grati delloccasione di leggere queste pagine cos fresche di uno scrittore-osservatore che non lascia nulla nel vago. Joe Polis lindiano al centro della narrazione, che ne fornisce un ritratto cumulativo. Hanno denti forti, e notai che usava spesso i suoi dove noi useremmo una mano. Dopo aver ripreso i posti nella nostra canoa, sentii che lindiano asciugava la mia schiena, su cui aveva accidentalmente sputato. Disse che significava che mi sarei sposato (cosa che invece T. non fece mai). Thoreau si accorda con Joe che si insegneranno a vicenda tutto quel che sanno; in lui in effetti c qualcosa del pellerossa nella sua laconicit di autore di migliaia di pagine. E Joe rivela una certa ammirazione per i due escursionisti che condividono con lui le lunghe fatiche. La dimostra lesinando le parole: Agli indiani piace sbrigarsi col minimo possibile di comunicazione e trambusto. Ci stava in realt facendo un grande complimento, pensando che preferissimo un cenno a un calcio. Thinking that we preferred a hint to a kick il testo ricco di queste frasi memorabili e chi lo frequenter lo trover salutare nella sua assoluta nettezza.

JOHN LANCHESTER

Pepys Road, un microcosmo londinese al tempo della crisi

Cinquantanni, narratore, giornalista e saggista, collaboratore di riviste di fama, da Granta alla London Review of Books (di cui stato anche caporedattore), al New Yorker, John Lanchester si affermato da anni come uno degli scrittori inglesi di maggior talento per la finezza della lingua, leleganza e lacume con cui padroneggia i toni della commedia sociale, loriginalit delle trame. I suoi primi tre romanzi, tutti tradotti e pubblicati in Italia, avevano dimostrato unestrema variet di registri e di temi, spaziando dal lucido viaggio nella mente distorta quanto fascinosa di un mostro (Gola) a un ritratto delle ossessioni piccolo-borghesi e maschili attraverso gli occhi di un esodato che trascorre una giornata a passeggio per Londra (Luomo che sognava altre donne, forse il suo libro migliore), alle tre storie di immigrazione nella Hong Kong multietnica degli anni Ottanta nel Porto degli aromi. Il saggio Dalla bolla al crack, tradotto nel 2008, aveva aggiunto al quadro dei suoi talenti la

capacit di leggere i moti e gli effetti delleconomia globale e della crisi finanziaria con una lucidit e uneleganza espositiva da fare invidia ai migliori sociologi e economisti. Ora, con Pepys Road (Mondadori, pp. 495 pagine, 20, 00, traduzione meravigliosa di Norman Gobetti), Lanchester ha scritto la sua opera pi ambiziosa, sintesi del suo percorso di narratore e saggista, ritratto di una citt e di un momento storico vicino a noi e al contempo lontanissimo; romanzo sulla e della crisi, commedia sociale carica di empatia per lumanit che la popola. Il prologo del libro fulminante: lalba di un mattino di fine estate, e un uomo con felpa e cappuccio si aggira per unanonima via di Londra, riprendendo una dopo laltra, con una minuscola videocamera, le case che la fiancheggiano. La via Pepys Road, e in non pi di sei pagine che varrebbero da sole un romanzo Lanchester ce ne racconta la storia a partire proprio dalle case: costruite a fine ottocento e mirate a un mercato ben preciso (famiglie piccolo-borghesi disposte a abitare in una

zona poco prestigiosa in cambio di una casa a schiera abbastanza grande da poter alloggiare i domestici), ma poi divenute immobili di pregio a partire dagli anni del thatcherismo. questo il periodo nel quale Pepys Road emerge dalla scialba crisalide dei tardi anni settanta per trasformarsi in una farfalla dai colori squillanti: cambiano i proprietari delle case e cambiano le case stesse, sottoposte a un intenso lavoro di ristrutturazioni per essere allaltezza del nuovo status sociale che chi vi abita intende perseguire. Oscillando tra il saggio e il racconto disteso, tra la finezza del dato sociale e loriginalit di uno sguardo che, anzich soffermarsi sulle persone, si dedica a animare le cose immote, conferendo loro vita e personalit, Lanchester scrive, pi che un prologo, un prodigioso micro romanzo, che per si chiude su una nota diversa e apre su un altro libro, lungo, questultimo, non sei, ma quattrocentonovanta pagine. Questo, infatti, il paragrafo conclusivo del prologo: Avere una casa di propriet in Pepys Road era come essere in un casin dove la vittoria assicurata. Se gi ci abitavi,

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LA DECORAZIONE DELLA CASA (1897) DELLA FUTURA AUTRICE DELLET DELLINNOCENZA

WHARTON Contro lAmerica


del Chippendale
di CATERINA RICCIARDI

Nella decorazione degli interni, se non nellarchitettura esterna delle loro residenze, gli inglesi sono supremi. Al di l di marmi e colori, gli italiani hanno poca sensibilit. In Francia, meliora probant, deteriora sequuntur: cos decretava il gotico Edgar Allan Poe nella Filosofia dellarredamento, un saggio pionieristico nellAmerica del primo Ottocento, alla quale egli attribuiva non unaristocrazia del sangue ma meno ovvio unaristocrazia del dollaro, il display della ricchezza. Una verit sonante se proiettata nel corso dei decenni, perch fu proprio unamericana della danarosa borghesia della fine di quel secolo un tempo in cui il collezionismo e le sontuose dimore riplasmavano lanima di Manhattan a rilanciare il culto dellarredamento, distanziando i radicati stili Chippendale e coloniale (o georgiano). Edith Wharton aveva densa cultura artistica, acquisita anche con la frequentazione dei palazzi nobiliari europei, una competenza che ella mette al servizio pubblico in vari interventi sul pittoresco architettonico, le ville e i giardini italiani, le espressioni del gusto francese e, appunto, la cura degli interni, oggetto di La decorazione della casa (traduzione di Anna Maria Paci, Elliot, pp. 335, 30,00), opera scritta e illustrata (cinquantasei fotografie un po usurate) in collaborazione con larchitetto Ogden Codman Jr. e pubblicata nel 1897. Scrupolosamente documentato (bibliografia in francese, inglese, tedesco e italiano), corredato di un dettagliato indice analitico (alari, arazzi, armadi, bergre, camini, carta da parati, contenitore per la legna, e cos via), con questo alfabeto organizzato per ambienti Wharton si propone di indirizzare il gusto verso un contenimento di quel display (laccozzaglia di ornamenti eterogenei) notato da Poe sessantanni prima (sul gusto speciale di E.A.P. si rilegga, invece, per esempio, Ligeia) e la conciliazione di tradizione e nuove esigenze della modernit. La modernit incombente (si pensi solo ai nuovi sistemi di riscaldamento) una delle ragioni che muovono lintelligenza e la penna della futura autrice dellEt dellinnocenza il bel romanzo decorato su una New York in via di sparizione alla ricerca del confortevole e del solo necessario, confermando lo spirito pragmatico america-

no anche nella progettazione e nelluso della casa, o delle case se si distinguono la casa di citt e quella di campagna. Altrettanto pragmatico era, tuttavia, lo scopo architettonico-decorativo nei secoli passati: la predilezione per larazzo, per esempio, pi diffusa al Nord perch nasceva dallesigenza di una maggiore protezione dal freddo; cos pure il legno per pareti e soffitti assicurava pi calore dello stucco. In Italia si inizia a perdere luso del soffitto

a cassettoni a partire dal tardo Quattrocento quando si va affermando la volta affrescata, come nella Camera degli Sposi del Mantegna con quelleffetto aereo curiosamente balconato. Osservazioni simili valgono per le porte: nelle dimore nordiche dovevano essere pi piccole per ragioni di sicurezza, un fattore da cui erano esenti i portoni monumentali dei palazzi italiani protetti dalla cinta della citt-stato. Unaltra curiosit riguarda i mobili. Nel lessico medievale essi rimanda-

no a qualcosa che, ancora per ragioni di sicurezza, i signori feudali potevano spostare da una dimora a unaltra: Meubles sont apelez quon peut transporter. Di qui la scarsa variet di mobilia fino al XVII secolo e la sua inadeguatezza rispetto ai canoni della vita moderna. Sedie e armadi venivano caricati a dorso di mulo, per cui la forma si adeguava a uno stile rigido: Non esagerato affermare nota Wharton che prima della poltrona Luigi XIV non vi sia mai stata una se-

dia confortevole nel senso moderno del termine, e la bergre imbottita, antenata della nostra sedia a braccioli rivestita di tappezzeria, non pu essere fatta risalire oltre la Reggenza. Con linvito al comfort e al funzionale quali princip di rigore nei tempi nuovi, Wharton non trascura la conservazione, mettendo in guardia dalla tendenza, soprattutto femminile, a voler cose perch gli altri le hanno e, allestremo opposto, dalla rinuncia alle cose perch sono fuori moda. Il superfluo (la stanza moderna ha perso il suo equilibrio a causa della confusione tra ci che essenziale e ci che secondario nella decorazione) il frangente che Wharton maggiormente teme in unAmerica che va cambiando e si mostra presa da unateniese sete di novit non sempre temperata da un ateniese senso della misura, cedendo al richiamo dei mobili in serie in finto stile, o in princisbecco, pari agli esemplari che inondano i nostri negozi sino a straripare sui marciapiedi. A differenza di quello di Poe, il gusto di Wharton si ispira per lo pi allItalia rinascimentale (modelli preferiti sono i Palazzi Ducali di Mantova e Urbino e Palazzo Te), o settecentesca (Genova soprattutto: il Palazzo Reale e il Parodi) e alla Francia dei Luigi XV e XVI. In Inghilterra locchio si volge invece al revival palladiano, introdotto da Inigo Jones e proseguito da Christopher Wren e in Francia da Ange-Jacques Gabriel, destinato a cambiare il gusto nordico, e ad attecchire nellAmerica neoclassica di Jefferson, sostituendo lo stile Tudor. In effetti, quella moda fu cos diffusa da produrre un molto seguito Vitruvius Britannicus (1725), compilato da Colen Campbell, il fondatore, a sua volta, dello stile georgiano. Poca simpatia ella mostra per il Neogotico di Viollet-leDuc (e di Ruskin) e, tutto sommato, il suo cuore resta vincolato al calore italiano: Nella concezione anglosassone scrive la bellezza non scaturisce istintivamente dai desideri materiali come accade per i popoli latini. Noi dobbiamo rendere belle le cose: esse non sono tali in se stesse. A illustrazione della fusione di funzionalit e bellezza, persino in pezzi apparentemente banali, cita i cassoni nuziali dipinti da Botticelli: non c dubbio che avesse conoscenze raffinate. Quanto serve questo dotto excursus alla casa moderna? Molto, se si presta attenzione al rapporto coltivato nel passato fra decorazione e arredamento, risponderebbe Wharton, e fra

Unenciclopedia tutta da leggere divisa per ambienti: cos Edith Wharton indirizzava il gusto conciliando la tradizione (Italia, Francia, Inghilterra...) con la modernit
proporzione e decorazione, che analogo a quello fra anatomia e scultura: le leggi universali sono sotterranee. Di qui nasce lelogio del non-superfluo, una scelta difficile da imporre allambizione moderna e spendacciona: la suprema eccellenza la semplicit. A tale fine tende il percorso virtuale da lei tracciato nella Decorazione della casa, opera e dimora enciclopediche in cui entriamo seguendo la strada che dallesterno conduce via via verso gli interni: porte; finestre; camini; soffitti e pavimenti; ingresso e vestibolo; hall e scale; salotto, boudoir e morning-room; sale delle feste: salone, salone da ballo, sala da musica, galleria; biblioteca, fumoir e tana; sala da pranzo; stanze da letto; e, quindi, sala da studio e stanze dei bambini; infine: bric--brac. E la stanza da bagno? Anche qui non manca un buon consiglio: Il principale difetto della stanza da bagno americana che, per quanto splendidi siano i materiali impiegati, la decorazione non mai architettonica. Uno sguardo alla bellissima stanza da bagno di Palazzo Pitti a Firenze (decorata da Cacialli, fine Settecento, n.d.r.) riveler quale effetto possa essere prodotto da una composizione accurata in un piccolo spazio. Un semplice stanzino qui trasformato in una stanza sontuosa grazie a quel rispetto dellarmonia degli elementi che distingue larchitettura dinterni dalla semplice decorazione. Proviamo a imitarla? Ricostruzione di un salotto Luigi XVI, Parigi, Muse Nissim de Camondo

WHARTON UN RACCONTO DAL FRONTE

La Grande Guerra dellardita volontaria


di C. R.

eri ricco. Se ti ci volevi trasferire, eri ricco. Era la prima volta nella storia in cui si verificava una cosa del genere. La Gran Bretagna era diventata una nazione di vincitori e perdenti, e tutti coloro che abitavano in quella via, per il solo fatto di abitarci, avevano vinto. E in quel mattino destate il giovane si aggirava per la via, filmando quella strada piena di vincenti. Dai filmati, e dallattivit sospetta e incomprensibile del giovane incappucciato, prende le mosse la trama del romanzo. Molti dei residenti di Pepys Road trovano sopra lo zerbino o nella cassetta della posta una foto delle rispettive case con un messaggio scritto a macchina nel quale si dice: Vogliamo Quello Che Avete Voi. linizio di una campagna di minacce e provocazioni, che culmina in danneggiamenti alle auto parcheggiate di fronte alle case, rimanendo sempre sul confine sottile tra provocazione artistica e odio sociale. Ben presto, per, Lanchester abbandona questo spunto di partenza, preferendo trasformarlo in una sorta di rumore di fondo, e si immerge nelle storie,

variamente incrociate, dei residenti di Pepys Road o delle persone che vi lavorano. Ci sfila cos davanti una galleria di personaggi spesso memorabili e raccontati con un gusto, un affetto e una ricchezza di notazioni da grande romanzo ottocentesco: lanziana Petunia Howe, ultima sopravvissuta della vecchia Pepys Road, vedova, affezionatissima al nipote Smitty, artista concettuale e agent provocateur; Roger Yount, finanziere e speculatore, un ufficio ai piani alti della City, in attesa di un bonus da un milione di sterline per meriti sul lavoro che dovrebbe consentirgli di mantenere il tenore di vita dispendiosissimo imposto da una moglie annoiata e viziata; la famiglia Kamal, palestinese, che gestisce un negozio allangolo della strada, divisa tra adesione ai modelli inglesi e rigore islamico; lausiliaria del traffico Quentina, che multa inesorabilmente i residenti per riscattarsi dal suo incerto status di aspirante rifugiata; limmigrato polacco Zbigniew, che restaura le case di Pepys Road; il senegalese Freddy Kamo, nuova promessa diciassettenne del

calcio mondiale, appena acquistato da uno dei grandi club londinesi. Si tratta di un elenco incompleto, perch non c un solo personaggio che compaia in scena senza che Lanchester gli dedichi un ritratto dettagliato e ricco di intuizioni. Basta aprire il romanzo su una pagina a caso per imbattersi in osservazioni cariche di acume e umorismo come questa, riservata alla signora Kamal, appena giunta dal Pakistan in visita di famiglia: Era quello il problema pi grosso con la signora Kamal. Lei dedicava una tale straordinaria quantit di energia mentale a sentirsi irritata che era impossibile non sentirsi irritati a propria volta. Attraverso le vicende quotidiane di questa pletora di personaggi che si alternano nei centosette capitoli del romanzo, seguiti da uno sguardo autoriale al contempo onnisciente e amorevole, Lanchester ci racconta Londra, di cui Pepys Road microcosmo e corrispettivo metonimico, e lInghilterra intera negli anni della crisi. Il libro si apre, non a caso, nel dicembre del 2007 per chiudersi nel novembre dellanno successivo, quando la

La great generalissima a cavallo di un mulo (o alla guida di una macchina), cos Henry James defin Edith Wharton, ardita volontaria sul fronte francese della Grande Guerra. Lopera di assistenza le fu riconosciuta con la Lgion dhonneur, ma lesperienza le diede spunto per lasciare diverse testimonianze letterarie, fra cui Il ritorno a casa (traduzione di Nicola Manuppelli, Mattioli, pp. 77, 10,90), un racconto lungo originariamente pubblicato negli Stati Uniti nel 1915 e finora inedito in Italia. Il recupero va ad aggiungersi ad altre narrazioni americane, per lo pi maschili, su quella guerra (di Hemingway, Dos Passos, Cummings). La forma adottata non nuova. Wharton usa lespediente del racconto nel racconto, una visione di prima mano fornita al narratore da un americano del Corpo di Soccorso sulle Argonne, coperta delle speculazioni finanziarie si dove le prime offensive tedesche eraormai rivelata troppo corta, e leconomia no state violente con ricadute devacomincia a annaspare. La padronanza con stanti sulla popolazione civile, e le cui viene gestito landirivieni delle voci e donne in particolare. degli sguardi, la capacit di penetrazione proprio qui il punto su cui si avnelle psicologie, la cura estrema nei volge la suspense della storia che sepassaggi narrativi, fanno di Pepys Road gue i passi di un giovane francese e unopera godibile, moderna anche nel suo dellamico americano (il testimone essere deliberatamente antica e nel che racconta) alla ricerca del destino reclamare per il romanziere un ruolo da toccato alla propria famiglia e alla fideus ex machina che la lunga deriva danzata in una zona oltre le linee. La postmoderna sembrava aver cancellato per funesta ripetizione del nome di un sempre. Rimane un solo dubbio, alla fine brutale ufficiale von Scharlach della lettura: le mille delizie di cui il sulla strada verso il castello di Rromanzo cosparso non riescono a champ sembra bastare a concentrare cancellare dalla mente quello straordinario in quel nome uno slogan anti-tedeprologo, nel quale davvero erano le case a sco e a tradire un possibile intento parlare, a raccontare la vita di una classe propagandistico di Wharton (nel 1915 sociale e forse di una nazione intera gli USA erano ancora temporeggiatoattraverso le loro stesse trasformazioni e ri, con grande disappunto di Henry Jaristrutturazioni. E viene da chiedersi se mes). Due segreti danno vampata alla dentro quelle sei pagine, oltre al libro che vicenda: il secondo viene tacitamente abbiamo tra le mani, non ve ne fosse in svelato ma il primo, il pi piccante, renuce anche un altro, forse pi complesso e sta intrecciato nei silenzi della trama e arduo, ma carico del fascino che solo le nelle ossa rotte della Storia. grandi invenzioni letterarie possono avere.

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ALIAS DOMENICA 26 MAGGIO 2013

CINQUE TITOLI ITALIANI SOTTO IL SEGNO DELLA CRISI ECONOMICA E ESISTENZIALE

In Amianto Alberto Prunetti ha ricostruito un omicidio bianco, proiettandolo sullo sfondo della nostra cultura popolare: o di ci che ne resta

DALLITALIA

Nomadismo di un figlio dellacciaio


di GABRIELE FICHERA

Questa la storia di un uomo che si chiamava come me ed era nato nel giorno in cui io sono nato, eppure non sono io. Prescindendo dalla densa ouverture con questa sibillina sentenza che ha inizio Amianto di Alberto Prunetti (prefazione di Valerio Evangelisti, Agenzia X, pp. 141, 13). La storia operaia cos il sottotitolo del libro si mostra dunque fin da subito in tellurica contiguit col tema perturbante del doppio; tra unidentit negata e unalterit perigliosa tutta da verificare. Ancora un padre scomparso; e ancora un figlio che con cocciuta piet si mette sulle sue tracce, simile al Telemaco archetipico recentemente ripreso da Massimo Recalcati. LUlisse in questione Renato, tubista e saldatore, operaio sradicato e specializzato, costretto, e non da unumanistica curiositas, ma piuttosto dalle miopi esigenze del capitale, al duro nomadismo industriale del trasfertista. Nelle sue peregrinazioni lungo lItalia, al posto dei lotofagi e delle sirene, leroe operaio incrocer i nomi, altrettanto temibili e mostruosi, delle acciaierie in cui presta lavoro. E intanto la Circe industriale non smette di ammannire, a lui come a altri operai, devastanti cibi di polvere, farciti al veleno. Renato si ammaler di tumore per esposizione prolungata allamianto. E morir nel 2004, a soli cinquantanove anni, martoriato dal dolore e inebetito dalla morfina. Lautore ricostruisce controvoglia questa storia; ma non pu e non vuole sottrarsi e questo uno dei suoi primi meriti a quella che gli si para innanzi come una necessit oggettiva. Sono troppo eloquenti i segni che si affacciano alla sua coscienza. Prima riemerge dalloblio, in un quotidiano locale, una foto del padre da giovane, mentre posa a fianco della cantante Nada. Poco dopo arriva un avviso del patronato: stanno per scadere i termini per la domanda di riconoscimento dellesposizione allamianto. Infine il padre in persona a visitare il figlio in sogno, raccomandandogli la manutenzione dellAudi 80 che gli ha lasciato in eredit. Il fulmineo montaggio metaforico di questi eventi si impone con forza, e indica a Alberto la strada obbligata del racconto: probabilmente lunico modo di ereditare davvero le verit del padre. Amianto non si limita a ricostruire la storia di un omicidio bianco, ma ha il pregio di far riassaporare la centralit del mondo operaio nella storia italiana del secondo Novecento. Insieme al personaggio di Renato si disegna uno spaccato sociale molto ampio, in cui dominano i tratti di una cultura popolare ancora genuina, colta un attimo prima che il pasoliniano genocidio venisse consumato. Sulla pagina di Prunetti si affacciano i pi disparati personaggi, ricchi di unumanit commovente e stramba. E in questa rutilante Macondo, tirrenica e proletaria, trovano posto le storie di un mondo ancora rurale, bench gi alle prese con i primi assaggi di modernizzazione. Ne scaturisce un andamento narrativo rigorosamente divagante e sterniano, con movenze da racconto orale, che vive nellinterruzione continua e gioiosa della trama principale. Questo tenace ghirigoro di ricordi, racconti e proverbi si arresta dinanzi alla terribile morte di Renato. E a una agnizione improvvisa e spaventosa. Al lutto per la scomparsa del padre si aggiunge infatti un inquietante coup de thtre, che spinger il narratore a riconoscersi come figlio dellamianto. questo forse il momento in cui il concetto di eredit, centrale nel libro, accede a una zona di significati pi profonda, e pi scabrosa. I confini che passano fra biografia e autobiografia si sfaldano. Il giovane Alberto, asservito ai moderni rapporti di forza della societ post-fordista, non conduce affatto una vita migliore di quella, seppur faticosa e difficile, del padre. Ma il suo racconto un prezioso guadagno di coscienza collettiva. Si pu vivere in terza persona? Si pu traguardare la propria esistenza da un punto di vista oggettivo e dunque comportarsi storicamente? Per Brecht si trattava di imprescindibili doveri morali. Amianto, nel fare agire la delicata dialettica dei rapporti tra padre e figlio in un tracciato storico esattamente delineato, ci dimostra che s, ancora possibile. Ma ugualmente ci ricorda che ricevere in eredit dal padre, come accade allautore, i tre volumi della Storia del Partito Comunista di Spriano, insieme a due pipe magrittianamente simili e diverse e due pipe, In grande, Moderni operai, fotografia il caso di ribadirlo, non sono in al- di Carmelo Bongiorno tratta da Bagliori, cun modo una pipa non davvero Federico Motta Editore, 2001; qui a destra, performance artistica, foto Reuters facile per nessuno.

Una vicenda di precariato in epoca di crisi


di CLOTILDE BERTONI

Il precariato lo ha notato ultimamente Walter Siti nel Realismo limpossibile fra i drammi che pi alimentano la narrativa contemporanea. E si potrebbe aggiungere che ispira riprese di un filone di lungo corso, il romanzo dapprendistato; beninteso aggiornate ai tempi: vicende non pi di giovinezze drammatiche e confronti con il mondo decisivi, ma di giovinezze troppo protratte, di confronti tardivi o titubanti. Ne offre un interessante esempio Pronti a tutte le partenze di Marco Balzano (Sellerio, pp. 216, 15,00), storia del trentaduenne Giuseppe (lio narrante), che, dottorando in letteratura italiana e supplente in un liceo di Salerno, vive ancora con i genitori in un paesetto della zona. E proprio mentre inizia a consolida-

re la sua vita, se la ritrova di colpo sconvolta: la fidanzata lo lascia mentre stanno mettendo su casa, i tagli ministeriali gli sottraggono lincarico annuale. Colpi che lo spingono a unimprevista serie di esperienze: prima un trasferimento a Milano, dove passa da una supplenza in un istituto tecnico a una nel carcere di Opera, dalla coabitazione con una zia ottuagenaria a quella con alcuni coetanei, da una relazione effimera a un altrettanto effimero riavvio di quella precedente; poi, grazie a un assegno di ricerca, si avvia a un soggiorno a Lisbona, che si riveler deludente, ma che, in virt di un altro incontro sentimentale, segna il principio di una ripartenza; infine, il ritorno a Milano, tra nuove certezze affettive e incertezze pratiche costanti. Il romanzo ha il pregio di non enfatizzare una sola dimensione (geografica o generazionale) della crisi ma di inseguirne differenti volti: dallatmosfera asfittica del paesino (in cui il padre di Giuseppe per non pagare il pizzo costretto a vendere il suo autolavaggio) a quella malinconica di una Lisbona attanagliata dai problemi economici (diversissima dal mitizzato estero paradiso dei cervelli in fuga), a quella cupa di una Milano gremita di pensionati soli come la zia di Giuseppe, di immigrati vulnerabili come i suoi coinquilini (un insegnante proveniente dallAquila terremotata, un maghrebino sfruttato in un ristorante, un ingegnere informatico cinese trasferito da Londra suo malgrado), di disoccupati cronici come un suo maturo condomino, rassegnato a barcamenarsi tra mille lavoretti, ma unico a intraprendere una sia pur fugace azione di protesta. Il testo

sottolinea che peculiarit dei nostri giorni non lingiustizia in s, ma lincapacit di fronteggiarla, il diffuso senso di impotenza. E i giovani messi in scena appaiono privi, oltre che di vocazione alla lotta (come si sentono rimproverare dai pi anziani), di qualsiasi vero slancio: disponibili s alle partenze, come annunzia il titolo ricavato da Ungaretti, ma solo

ALIAS DOMENICA 26 MAGGIO 2013

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DE MONTICELLI SU GRILLO

Speranze comiche che agiscono come risvolto di paradossi tragici


di DONATELLA DI CESARE

INTERNI GADDIANI, FINO ALLULTIMO GIORNO


Nato dalla frequentazione con lautore della Cognizione, cui avrebbe dedicato una trasmissione televisva, il librino di Ludovica Ripa di Meana, La morte di Gadda penetra nei celebri interni di via Blumensthil, la casa di Monte Mario a Roma dove Gadda stava perlopi rintanato e coglie lo scrittore, ormai stanco della vita, al limite estremo delle forze, poi finalmente nel giorno della morte. La prima visita documentata in data 5 febbraio 1973, ma era stata preceduta da altri incontri, lultima del gennaio del 74; in mezzo osservazioni commosse e mano felice nelle descrizioni, che portano il segno della scrittrice: nel concentrarsi sugli occhi di Gadda li definisce, per esempio, annacquati da lacrime non cadute, e descrive la nobile fronte come non coinvolta nel processo di mortificazione.

per necessit, e in realt desiderosi di non muoversi, di assicurarsi una durevole stabilit lavorativa e familiare. Un effetto forse non del tutto voluto, legato anche allorchestrazione della trama, che chiama in causa passioni e ideali pi elevati ma senza dare loro gran rilievo: il trasporto per linsegnamento dichiarato dal narratore anima solo qualche scena circoscritta, e il suo investimento nella ricerca, bench indirizzato a traguardi ambiziosissimi (la tesi di dottorato sul Paradiso dantesco), resta ancora pi in ombra. Inoltre, la narrazione si impiglia ogni tanto nei clich spesso in agguato negli attuali ritorni al realismo: a volte figure e casi stereotipati come il docente universitario, barone ma non troppo, che rimpiange lamore mai vissuto, o lumiliazione riservata alla fidanzata fedifraga; a volte espressioni da feuilleton a forti tinte (sentii il sangue ghiacciarsi) o dialoghi poco verosimili (che due ragazzi parlino di donne in modo allegramente sessista plausibilissimo, che usino termini come viso dangelo e curve spericolate lo molto meno). Debolezze che per non spengono la verve del libro, la sua capacit tanto di restituire la drammaticit dellemergenza in corso quanto di sdrammatizzarla con lumorismo e la variet delle trovate. Secondo romanzo di Balzano, questa vicenda di apprendistato reca le tracce di un apprendistato letterario ancora in fieri: ma di quelli decisamente benvenuti in un panorama di debutti gonfiati e pseudocapolavori fabbricati a tavolino, di quelli che fanno venir voglia di scoprire cosa lautore ci riserver in futuro.

Muove dalle piazze italiane, attraversate dal movimento 5 Stelle, la riflessione che Roberta De Monticelli ha consegnato al suo nuovo libro, Sullidea di rinnovamento (Cortina, pp. 97, 9.00). Non peraltro il primo contributo, critico e tuttavia partecipe, allindagine di quellesigenza che, per quanto profondamente italiana, ha mire globali: trasformare la democrazia rappresentativa in democrazia diretta. Occorre ricordare infatti il volume di Roberto Caracci, Il ruggito del Grillo. Cronaca semiseria del comico tributo, pubblicato di recente da Moretti e Vitali, e quello di Edoardo Glebro, La filosofia di Beppe Grillo. Il Movimento 5 Stelle, uscito per Mimesis nel 2011. N antipolitica, n populismo. N tanto meno rischi totalitari. De Monticelli punta il dito contro chi ha evocato Hitler e quel suo movimento che voleva eliminare i partiti. Non indulgiamo ammonisce a infondate analogie fra lurlo del comico e quello dellimbianchino. Lurlo pu essere anche lultimo mezzo per spezzare latrofia della sensibilit che rende scettici e condanna allindifferenza. Che poi il bisogno di catarsi sia stato affidato a un comico non deve sorprendere. La comicit fa culturalmente parte gi della tradizione latina. E da Guicciardini a Leopardi sono in molti a sottolineare come gli italiani ridano della vanit della vita con quel distacco e quella freddezza rari altrove. Dunque nulla di male se, nellultimo ventennio, sono stati i comici a articolare la residua coscienza morale del paese. Purch si ricordi, per, che la speranza comica il risvolto del paradosso tragico. Il crinale sottile e dietro lattesa del nuovo si nasconde, in agguato, quel disincanto in cui De Monticelli vede il vero male che accomuna gli estremi dellitalianit, anzi la malattia cresciuta in luogo della maturit morale. Come pensare allora il rinnovamento? Che valore pu avere oggi una parola cos abusata e cos indefinita? Lindividuo non pu essere giusto in una societ ingiusta, la societ non pu essere giusta se gli individui non sono giusti. Da questo giudizio di Nicola Chiaromonte tratto da una recente riedizione degli scritti filosofici e politici De Monticelli muove per avvertire che occorre assecondare virtuosamente il circolo dove un segmento non pu essere dato senza laltro: non ci pu essere rinnovamento civile di una societ LUIGIA senza il rinnovamento morale di ciascuno. In questo senso il suo ultimo saggio vuole essere insieme un punto di raccordo dei due testi sulla questione morale e sulla questione civile pubblicati da Cortina nel 2010 e nel 2011. In una prospettiva liberale, legata alla stagione illuministica e alla fiducia rinnovata nella ragione, De Monticelli sviluppa una fenomenologia della banalit, una analisi di quella dispersione, incoerenza, discontinuit, a cui sembra condannata la vita di ciascuno che non cresce in consapevolezza e non trova perci la via e la legge della propria libert. Il noi collettivo, su cui si basa il consenso, appare minato dallo spazio asfittico concesso agli io. E la scomparsa dei volti, nel collettivo, porta con s la scomparsa dei fatti e della ricerca della verit. Il rapporto che dovrebbe legare ogni singolo individuo alla comunit non quello dellappartenenza, bens quello umano del faccia a faccia. Che si delinei nelle piazze o nella rete, in questo rapporto che De Monticelli scorge il rinnovamento della democrazia che dovrebbe scaturire dalla reciprocit dei rapporti personali. Solo a partire dal vincolo della reciprocit pu darsi un consenso politico saldo e consapevole. Non si pu per fare a meno di osservare che, se il rinnovamento deve essere personale, prima ancora che politico, a meno di non cadere in un volontarismo interiore, si pone la questione del margine effettivo di cui ciascuno dispone in una forma di vita frammentata e in un tessuto sociale sconnesso.

I confini della gelosia nellincendio di Luigi Trucillo


di GRAZIELLA PULCE

Con Quello che ti dice il fuoco (Mondadori Libellule, pp. 171, 10,00), Luigi Trucillo racconta una storia ambientata ai giorni nostri tra lItalia e la Grecia, ovvero tra Napoli e lisola di Samos. Il libro costruito secondo un progetto messo a punto con pazienza e accortezza, che centra una serie di bersagli racchiusi uno nellaltro. Raccontare una storia damore e esplorare lo spazio della gelosia: lo scopo ultimo quello di ricostruire la topografia di unossessione, che come il fuoco trova modo di alimentarsi e impadronirsi di ogni sorta di materiale per ridurlo alla forma desiderata, quella del vuoto nulla. La trama presenta un protagonista senza nome alle prese con un amore molto coinvolgente per una giovane sinologa e con i turbamenti che vengono a originarsi a causa di questo amore. La trama funziona da schermo per unavventura vissuta allinterno del s, in una prova della passione amorosa che Trucillo con ogni evidenza intende perlustrare e circoscrivere. Quello che ti dice il fuoco d voce allo sciame dei pensieri di un uomo colto e bene educato, separato e padre di una bambina teneramente amata; questuomo precipita da un momento allaltro in uno stato di cupa volont distruttiva. Del personaggio il lettore non viene a conoscere tutto ma certamente conosce tutto lessenziale, cio il diagramma tracciato nella metamorfosi che porta un individuo a percorrere rispettivamente la strada della lucidit, quella dellallucinazione, per approdare infine a uno stato di equilibrio pi consapevo-

SORRENTINO

Nel nome di Olimpia un inno allequilibrio


di SONIA GENTILI

In Olimpia, ultimo lavoro di Luigia Sorrentino (Intelinea edizioni, pp. 105, 14), la voce poetica si sottrae alla contingenza per risuonare con la forza testamentaria delloracolo classico. Ma non c in questa voce nessun invasamento, nessun eccesso visionario; al contrario, la lingua asciugata, quasi purificata in una direzione di semplicit e misura. La lingua serve infatti, in questo libro, a esprimere il segno misteriosamente doppio sotto cui si snoda la vita umana: la perdita di quanto trascorso e il persistere, pur in assenza, di ci che stato nella fibra dellIo. Questa perdita si dispiega nel tempo prima come assenza e poi come ritorno di forma: si struttura cos il libro, dalla prima sezione, quella della nascita dellIo e della dispersione, significativamente intitolata Lantro, fino a quelle successive della grande rivelazione del s come radicato in vite genitoriali e esistenze prece-

Lultimo pamphlet di Roberta De Monticelli, una fenomenologia della banalit in chiave politica. Sul versante narrativo, la topografia di una ossessione in Quello che ti dice il fuoco

le e maturo. In altre parole dalla passione pi incontrollata alla relazione responsabile. Le fasi di tale metamorfosi sono rappresentate con un linguaggio denso e altamente simbolico, che costeggia il sentimento damore fino ai suoi recessi pi devastanti. Il protagonista scruta attentamente la donna amata, ne studia i gesti, le prime rughe, i trasalimenti; ne aspira i profumi, sempre ricondotti a elementi naturali. Lei sa di salvia, di bacche, di caprifoglio. Tutto quello che lincanto amoroso nel suo stato iniziale si infrange istantaneamente di fronte a un sospetto, il sospetto che la donna possa avergli regolarmente mentito, che lo tradisca, che abbia una vita segreta di fatto inattingibile al protagonista. Tutto questo scaturisce da una foto che qualcuno mostra alluomo. A partire da quel momento lamante cede il posto allinvestigante. E quando lamante lascia cadere lenergia dinamica della passione e del sentimento e si ferma nella contemplazione di uno scatto fotografico, allora la storia di un amore diventa la storia di unossessione. Nella figura dellossessione contenuta la figura dellassedio, del nemico asserragliato in un luogo progettato per resistere in armi a unoffensiva. Anche se non pi che per cenni, il narratore lascia intravedere quali potrebbero esserne gli esiti estremi: la prigione doppia nella quale vengono a trovarsi tanto il geloso quanto loggetto di forme damore cos distorto pu diventare lantro di un assassinio. Trucillo poeta e ha una consolidata confidenza con le parole. Il suo linguaggio conosce la potenza dellaforisma, stringa verbale in cui lazione narrativa sosta nellintensit della rivelazione: scopri a tue spese che anche una rottura pu essere un legame. Trucildenti. Nel ricongiungersi al vissuto, lo sa che sono le parole a dare consilIo scopre la labilit dei suoi confi- stenza alle cose, illuminandole, cio ni individuali e ridisegna la propria traendole fuori dal buio, ma sa altretfisionomia: nelle sezioni successi- tanto bene che ogni fascio di luce getve spiccano titoli iniziatici e pitago- tato dal linguaggio sullindistinto che rici (Latrio, Lingresso alla monta- si offre allo sguardo, genera una zona gna, La citt nuova), immagini di dombra tanto pi consistente quannuovi ingressi, porte e elevazioni. to pi potente lenergia luminosa Lagnizione della morte e il cammi- messa in campo. Le cose si portano no di definizione e coscienza che a dietro uno strascico di buio potenzialessa conduce acquisizione di pie- mente infinito e quella stessa luce nezza, ridisegnarsi dei confini indi- che rende percepibile e dunque conoviduali nellacquisizione di un nuo- scibile la passione, ritaglia allinterno vo volto: il volto si profila?/ il volto dellindistinto una corposa porzione che siamo stati istintivo / incarna- di ignoto. to nel rito che si consuma qui / nelIl motivo saffico del fuoco viene qui la consolazione siamo venuti. piegato a rappresentare la fenomenoUna intuizione gi annunciata nel- logia della devastazione dellamore la prima sezione, dove il disegnarsi quando, voltate le spalle allamore, ci progressivo del nostro volto come si arrende alla pulsione incontrollata. ricongiungimento e ritorno dopo Il divampare del fuoco allegorizza cola perdita anche funzione vocale s lazione zelante, risolutiva e distrute poetica: ora come un tronco la trice della ragione. Gli incendi scopvoce? infilza i nostri cuori?e li accre- piano prima a Samos, alimentati dalsce, in tutto ci che siamo / in mez- larsura della terra, poi a Napoli tra i zo alle querce e agli ulivi / in tutto cumuli dimmondizia che assediano ci che siamo stati / nel vento, da la citt, e il romanzo disseminato di tralci di rose incarnate / chiama a tracce di fuoco covante. Il fuoco divens i suoi figli / si posa sulle foglie ta pertanto lelemento rivelatore, desidacanto / venendo a noi nel suo ri- gnato a dare corpo allabbandono a torno. un impeto, legoismo, che si fa scudo La voce poetica misura e equili- della sincerit e riduce in cenere ci brio, tono piano e come liberato su cui si posa. dalla tempesta delle passioni proSe il geloso colui che vuole una prio perch il percorso verso la sola cosa, capire chi veramente lalmorte e il ricongiungimento allal- tro, questo romanzo traccia il percortro allaltro che eravamo e agli al- so paradigmatico di un individuo tri che ci hanno generato il dise- che ha il coraggio di rinunciare alla gnarsi via via pi esatto di una for- pretesa di dominare e controllare lesma. Il volto della pienezza e della sere amato e di accettare una nuova morte anche forma finalmente li- condizione, quella di chi si ferma sulberata dalla lotta con la materia la soglia e si pone in ascolto. Due voche la imprigionava; , pur nel mi- ci femminili, una adulta e una bambistero iniziatico dellAtrio, un dise- na, gli raccontano storie dalle quali si gno. Per la sua fiducia nella forma lascia incantare. esatta che alla fine di noi ci attende, e che la poesia ci restituisce come voce, questo anche un libro radicalmente ottimista: la radicalit salvifica del nostro ricomporci in forma e voce conoscibile e perfetta lunico tratto smisurato, forse eccessivamente pacificato e rassicurante, di questo inno allequilibrio formale che la Olimpia di Luigia Sorrentino.

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ALIAS DOMENICA 26 MAGGIO 2013

LA PRIMAVERA DEL RINASCIMENTO A PALAZZO STROZZI


Sotto, Lorenzo Ghiberti, San Matteo, 1419-1422, Firenze, Orsanmichele, foto Lorenzo Mennonna

FIRENZE
Nella sala pi spettacolare il San Ludovico di Tolosa contrasta il San Matteo del Ghiberti; la sorpresa la Protome Carafa: bolide a forma di testa di cavallo
si poteva nonch la robotica Madonna del Louvre (1445). Sono salti nella cronologia di un artista che ha parlato prima il linguaggio degli affetti e poi quello del tormento. Una costola di Rinascimento pot anche dargli credito, ma edulcorando chi pi chi meno una poetica che praticava la disgregazione come unica fine possibile. Il dialogo fra lui, Nanni di Bartolo, Luca della Robbia e Filippo Lippi, in scena nel salone che avvia la mostra al suo epilogo, declinato secondo le dinamiche industriali, che spingevano i popolani a addobbare di madonne ogni cantone di strada o tabernacolo di casa. Di unaura tutta marmorea lultima sala, devoluta alla ritrattistica. Vedere Marietta Strozzi (Desiderio da Settignano, 1464, da Berlino) accanto a Giovanni di Cosimo (Mino da Fiesole, 1454 circa, dal Bargello) o a Giovanni Chellini (Antonio Rossellino, 1456, dal V&A) unesperienza irripetibile. Ma basta recarsi ogni giorno al secondo piano del Bargello, se lo si trova aperto, per avere emozioni comparabili. Donatello , Protome Carafa, 1455 ca., Napoli, Museo Archeologico Nazionale, foto Luciano Pedicini scultura del Rinascimento fiorentino con le antichit classiche. Un tema tanto inflazionato quanto difficile da trattare, se non si verifica puntualmente chi conosceva cosa. Il discorso ha un senso, per esempio, quando si parla di monumenti equestri, genere impensabile senza leccitazione che tanti provavano davanti al Marco Aurelio o leggendo le fonti. La Protome Carafa, unico resto di un monumento funebre per Alfonso dAragona, forse la sorpresa pi gradita della mostra: in libera uscita dal Museo Archeologico di Napoli, questo bolide donatelliano a forma di testa di cavallo nitrisce gonfiando ogni sua vena. A farle compagnia venuto (dal museo delluniversit di Padova) il Modello in gesso della testa del Gattamelata. Nelle sale a seguire si fatica molto a trovare una coerenza, titoli generici Pittura scolpita, La storia in prospettiva, La diffusione della bellezza sembrano suggerire che si accorpato il materiale senza voler riflettere sui nodi critici che pongono le opere e anche lappeal didattico sfuma. Nella Madonna Trivulzio di Filippo Lippi (1430-32), dallo Sforzesco, le integrazioni del nuovo restauro non si distinguono pi dalla superficie pittorica. Lopera di importanza capitale, il suo stato di conservazione davvero critico, e un intervento del genere, troppo svelto e insistito, non ci voleva. Del tutto superfluo ammucchiare un Paolo Uccello, un Masaccio e gli affreschi di Andrea del Castagno con le Madonne di Nanni di Bartolo e Donatello semplicemente per asserire che la scultura ha precorso la pittura nellimpostazione plastica della figura umana. Altrettanto dicasi della predella di Orsanmichele con San Giorgio e il drago che dovrebbe accendere una sala che non fa altro che accogliere opere dove la trattazione prospettica particolarmente curata. Siamo contenti di vedere il Banchetto di Erode di Donatello (1435) o il San Girolamo nel deserto di Desiderio da Settignano (1461), ma solo perch saremmo dovuti andare a Lille o a Washington per vederli, giacch la loro presenza non basta a far quadrare il cerchio. Sono opere in cui il marmo si increspa a dare sensazioni acquatiche, e tutta la chiarezza del geometra sembra dichiararsi sommersa. Altre imprese donatelliane valgono da sole il prezzo del biglietto: la Madonna Pazzi (1420-25, da Berlino), con la sua delicatezza orientale, il Tondo Chellini (dal Victoria and Albert, 1450 circa) che esporre e illuminare peggio non

di CLAUDIO GULLI
FIRENZE

Fino a poco tempo fa, a Firenze potevi formarti un gusto cinematografico: andavi alle retrospettive integrali del Gambrinus, su Malle o su Noiret, o allAlfieri Atelier, coi suoi prezzi popolari pomeridiani. Al posto del primo ora c un Hard Rock Caf, il secondo attende da anni la riapertura. Il disfacimento del Maggio, da febbraio commissariato per gli sperperi, rappresenta una sconfitta di portata nazionale ed epocale. Abbiamo seguito saltuariamente Fabbrica Europa, il festival di teatro internazionale che un tempo sprovincializzava la scena, portando compagnie dalla Societas Raffaello Sanzio in gi. Ora ci sembra che al di l di maestri di generazioni passate, come Ronconi o Brooks, non si sia andati. Certo, vessilli a cui aggrapparsi, in giro ancora se ne vedono: rispondono ai nomi di Sandro Lombardi, di Virgilio Sieni o di Elisa Biagini. Ma questa citt di un altro avviso, ha laria di giocare a dimenticarsi di s. Palazzo Strozzi un buon esempio di quanto andiamo dicendo. Un luogo che ha tutti i numeri per essere un Pompidou italiano patisce invece il sovraffollamento di istituzioni tutte di caratura, se prese singolarmente. Nel cortile, il Gabinetto Vieusseux, con la sua biblioteca ricchissima penalizzata da orari dapertura improponibili e unaltra biblioteca, quella dellIstituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, con altri orari, ha sede nel palazzo Alla Strozzina, aperta nel 2007 e parte della Fondazione, non mai approdata una mostra in grado di imporsi alla nostra distratta attenzione non unaltra scommessa perduta, quella di Firenze con larte contemporanea? Basterebbe coordinare sotto ununica egida tutto quel che vive nel palazzo per ottenere qualcosa di culturalmente pi vitale. Almeno lOdeon, lunico barlume di cinema dessai rimasto in citt, programma un ciclo di proiezioni in relazione alle mostre del secondo piano del palazzo michelozziano, e qui troviamo La primavera del Rinascimento La scultura e le arti a Firenze 1400-1460 (fino al 18 agosto, a cura di Beatrice Paolozzi Strozzi e Marc Bormand, catalogo Mandragora, pp. 347, 39,00). Mostra che andr al Louvre dal 26 settembre,

e forse per i parigini avr un senso vedere opere normalmente lontane, nonostante la taglia monumentale sconsiglierebbe il trasporto di molti pezzi. A un fiorentino che volesse vedere un po di Quattrocento, consiglieremmo invece di tornare al Carmine, o allOpera del Duomo per la Porta del Paradiso restaurata. La prima sala ha una struttura troppo schematica: due pareti dovrebbero spiegare lo svolgimento del gotico e del classicismo trecentesco, e il culmine visivo sono le formelle del concorso del 1401. Cos sembra che il nuovo si produca con la sommatoria dei fatti stilistici del passato. Leffetto spettacolare della seconda sala invece garantito dalle opere esposte: sulla parete di fondo spiccano, coi loro quasi tre metri di altezza, il San Matteo del Ghiberti (1419-22), da Orsanmichele, e il San Ludovico di Tolosa di Donatello (1422-25), da Santa Croce. Questimpassibile scultura si giova ora di un restauro accurato e leggero, ed lepicentro di una mostra che dopotutto presenta ben diciassette interventi conservativi si accenner solo di un altro. Funziona in sala il contrasto materico tra il bronzo nudo (ma ci sono tracce di doratura e ageminatura) dellevangelista e il luccicare spento del bestione francescano. Di fronte a lui troviamo il pisano Busto di San Rossore (1424-27), e il confronto, qui fra due bronzi dorati, riesce a mostrare bene quanto nervosamente naturalista sia stato da giovane Donatello. Ma i nostri sono anni in cui pi lecito innamorarsi di personalit di transizione, come il Ghiberti. Quellinterpretazione del classico tra il filologico e il favolistico che propone lui nellArca dei Santi Proto, Giacinto e Nemesio (1425-28), ben disposta accanto a un sarcofago romano, ci attrae di pi della vicinanza fra la donatelliana Testa di profeta e uno Pseudo-Seneca (da Napoli, del I secolo a. C.). Lungo tutta la mostra si vorrebbe raccontare il rapporto della

MUSEI INTERIORI

Il lessico famigliare di Cataluccio trasferito agli Uffizi


di ALESSANDRA SARCHI

LA SCULTURA E LE ARTI FINO AL 18 AGOSTO, POI DA SETTEMBRE AL LOUVRE

Donatello e il Quattrocento: restauri e dialoghi, non sempre convincenti

La storiografia artistica da Vasari in poi e la letteratura di viaggio, specie quella del Grand Tour, hanno abituato nei secoli i lettori a una prosa ricca di dettagli che vanno molto oltre la descrizione scientifica delle opere o le informazioni sui loro autori. A aneddoti, riflessioni di carattere estetico e filosofico, storie che riguardano il modo in cui chi narra ha avuto modo di conoscere i tesori darte custoditi in collezioni private e musei costituiscono, da sempre, il sale di testi che altrimenti rischierebbero di essere meri elenchi, dove ci si perderebbe o si finirebbe a sbadigliare anche davanti al pi pirotecnico sforzo verbale di restituire un capolavoro. Daltra parte, i moderni cataloghi dei musei quando disponibili e attendibili sotto il profilo filologico e di molti musei italiani si lamenta lassenza di cataloghi aggiornati o lassenza tout-court sono strumenti preziosi di conoscenza in senso positivista, ma difficilmente contengono il tipo di narrazione che lega memoria personale e memoria storica nello sforzo di presentarsi davanti alle opere con delle domande, pi che con delle informazioni. In questo senso , invece, molto riuscito lagile libro che Francesco Cataluccio dedica a uno dei musei pi visitati al mondo, nonch principale museo di Firenze, dove lautore nato e cresciuto. Non una guida, non un memoriale, ma luno e laltro insieme. Memoria degli Uffizi, (Sellerio, pp. 192, 14, 00), pur attenendosi con cura storica e ricchezza di riferimenti bibliografici alla progressione delle sale del museo, un intreccio di percorsi conoscitivi scalati nel tempo della vita dellautore e attraverso le intersezioni che la Storia ha avuto con la celebre raccolta. La prima pagina del libro si apre con la rievocazione della visita in et infantile al museo, insieme ai genitori. Era il rito laico della domenica al quale lautore si sottometteva volentieri insieme al fratello; il prolungamento di quel lessico famigliare fatto di giochi, indovinelli, osservazioni e ragionamenti verso i quali

erano stimolati in una forma di educazione permanente, solo che a fornirne la materia qui erano opere sontuose nei colori e nelle dimensioni, misteriose per il tipo di figure, capaci di sollecitare limmaginazione ben oltre il tempo della visita. Linquietudine per la mancanza di ombre nelle figure delle tavole del Duecento e del Trecento chi non ha ombra non ha materia, non esiste si prolungava nella testa dellautore bambino fino allo stadio dove andava per le partite notturne: anche i calciatori sotto le luci incrociate dei riflettori non proiettavano ombre, ma svolazzavano immateriali sul campo, come gli angeli e i santi dei dipinti medievali. E da adulto questa fantasia sulle ombre avrebbe incontrato il celebre libro di Gombrich dedicato al tema. Nelle sale del Tre e Quattrocento lautore, accompagnando il regista Andrej Tarkovskij, avrebbe voluto fargli osservare come la raffigurazione, sullo stesso dipinto, di episodi avvenuti in tempi diversi li rendeva straordinariamente simultanei allo spettatore, mentre il regista russo notava piuttosto laffievolirsi dello splendore delle aureole, prodromo di decadenza della fede. La perplessit di giudizio del padre sul Tondo Doni di Michelangelo movimenti innaturali, figure ambigue diventa per lautore adulto campo di prova per una possibile lettura psicoanalitica dellarte, ma anche la variante di una iconografia che risale a Luca Signorelli e alla sua Madonna con bambino tra gli Ignudi, pure agli Uffizi. Il libro anche ricco di notazioni sulle vicende materiali delledificio, sul valore simbolico e su quel valore di costume di cui oggi si parla cos poco, proprio perch numerosi luoghi urbani hanno perso la capacit di produrre rituali aggreganti. Dellingresso da dietro, da Piazza del Grano, apprendiamo ad esempio che ospitava, un tempo, un chiosco dove si vendevano panini al lampredotto caldo, e che l dovrebbe sorgere la nuova entrata, progettata fin dal 1998 dallarchitetto giapponese Arata Isozaki, e mai costruita fra mille polemiche. Del corridoio vasariano definito dal padre dellautore il cordone ombelicale che ci ha aiutato a liberare la citt, essendo lunico collegamento rimasto fra nord e sud, dopo il bombardamento dei ponti nella seconda guerra mondiale, ritroviamo unefficace quanto spaesante descrizione, nelle parole di un membro della delegazione giovanile del partito comunista di Leningrado alla quale Cataluccio, slavista, fece da interprete e da guida: sembra di stare dentro la carlinga di un aereo. Agli Uffizi, come in tutti i musei, il visitatore deve fare la fatica, ma anche gustare la ricchezza, di costruire un proprio percorso: Francesco Cataluccio ci ha proposto, esemplarmente, il suo.

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