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GIURISPRUDENZA1 CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I, SENTENZA N.

2374, 16 MARZO 1999


La ratio dell'art. 1283. L'art. 1283 norma di carattere imperativo. Le finalit della norma sono state identificate, da una parte, nella esigenza di prevenire il pericolo di fenomeni usurari, e, dall'altra, nell'intento di consentire al debitore di rendersi conto del rischio dei maggiori costi che comporta il protrarsi dell'inadempimento (onere della domanda giudiziale) e, comunque, di calcolare, al momento di sottoscrivere l'apposita convenzione, l'esatto ammontare del suo debito. Richiedendo che l'apposita convenzione sia successiva alla scadenza degli interessi, il legislatore mira anche ad evitare che l'accettazione della clausola anatocistica possa essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare per potere accedere al credito. L'orientamento precedente sulla sussistenza di usi contrari. Con un orientamento giurisprudenziale che ha avuto inizio con la sentenza n. 6631 del 1981 (secondo la quale "nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, in tutte le operazioni di dare e avere, l'anatocismo trova generale applicazione, in quanto sia le banche sia i clienti chiedono e riconoscono come legittima la pretesa degli interessi, da conteggiarsi alla scadenza non solo sull'originario importo della somma versata, ma sugli interessi da questo prodotti e ci anche a prescindere dai requisiti richiesti dall'art. 1283 c.c ."), questa Corte ha ripetutamente affermato l'esistenza di uso normativo che consente di derogare, nei rapporti tra banche e clienti, secondo la stessa volont del legislatore, ai limiti posti all'applicazione dell'anatocismo. Il nuovo orientamento. Gli usi normativi e gli usi negoziali. Ritiene la Corte che il tradizionale orientamento debba essere rivisto. Gli "usi contrari", ai quali il legislatore fa riferimento , sono i veri e propri usi normativi, di cui gli articoli 1, 4 e 8 delle disp. prel. al c.c che, secondo la consolidata nozione, consistono nella ripetizione generale, uniforme, costante, frequente di un determinato comportamento ( usus), accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, e cio conforme a una norma che gi esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento (opinio juris ac necessitatis). Agli usi normativi, che costituiscono fonte di diritto obbiettivo, si contrappongono gli usi negoziali, disciplinati dall'art. 1340 c.c., consistenti nella semplice reiterazione di comportamenti ad opera
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I contratti di conto corrente bancario sono stipulati dagli istituti bancari e dai clienti su moduli gi predisposti dalle banche. Questi moduli, a loro volta, sono compilati in base ad uno schema di contratto predisposto dallassociazione di categoria delle banche italiane, 1 ABI, nelle c.d. Norme Bancarie Uniformi. Una clausola contenuta in questi contratti prevede due distinti termini di chiusura del conto, condizionati allandamento del conto stesso: nel caso in cui il saldo sia passivo, la chiusura fissata alla scadenza del trimestre; nel caso in cui il saldo sia attivo, la chiusura fissata alla scadenza del semestre o dellanno.

Al momento della chiusura la banca opera la capitalizzazione degli interessi, cio imputa gli interessi gi maturati al saldo, sul quale inizieranno a decorrere i nuovi interessi. La capitalizzazione degli interessi, o anatocismo, legittima nel nostro ordinamento nei limiti di cui allart. 1283 c.c - D. MOSCUZZA, Giustizia Civile 1999.

delle parti di un rapporto contrattuale, indipendentemente non solo dall'elemento psicologico, ma anche dalla ricorrenza del requisito della generalit. L'efficacia di detti usi limitata alla creazione di un precetto del regolamento contrattuale, che si inserisce nel contratto, salvo diversa volont delle parti. Le norme bancarie uniformi. Consegue da quanto osservato che, in materia, non hanno, alcun rilievo, in quanto tali le cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall'associazione di categoria (Associazione bancaria italiana A.B.I.), che non hanno natura normativa, ma solo pattizia, nel senso che si tratta di proposte di condizioni generali di contratto indirizzate dall'associazione alle banche associate. Come tali, quindi, le c.d. norme bancarie uniformi assumono rilevanza nel singolo rapporto contrattuale con il cliente in quanto siano richiamate nel contratto stesso, secondo la disciplina dettata dagli articoli 1341 e 1342 c.c. Inesistenza di un uso normativo in materia di conto corrente bancario, prima del 1942. L'indagine alla quale la Corte chiamata l'esistenza o non di una consuetudine in base al quale nei rapporti tra banca e cliente, gli interessi a carico del cliente possano essere capitalizzati (e quindi possano produrre ulteriori interessi) ogni trimestre. Ora, dall'orientamento giurisprudenziale richiamato, non emerge che questa Corte abbia in precedenza affermato l'esistenza di una norma consuetudinaria di questa precisa portata, essendosi limitata ad affermare, sulla base di un dato di comune esperienza, che l'anatocismo trova generale applicazione nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti. Non v' alcun elemento che autorizzi a ritenere esistente, prima del 1942, un uso normativo che autorizzava la capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico del cliente di un istituto di credito. Inesistenza di un uso contrario, formatosi dopo il 1942. La capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti a debito del cliente stata prevista in realt per la prima volta dalle norme bancarie uniformi in materia di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi predisposti dall'ABI con effetto dal 1 gennaio 1952. La clausola n. 6, dopo avere affermato che in via normale i rapporti di dare e avere sono regolati annualmente, portando in conto (e cio capitalizzando) gli interessi al 31 dicembre di ogni anno, disponeva che i conti che risultino debitori dovevano essere regolati, invece, ogni trimestre e con la stessa cadenza gli interessi scaduti producevano ulteriori interessi. Non stata mai accertata, invece, dalla Commissione speciale permanente presso il Ministero dell'industria, l'esistenza di uso normativo generale contenuto corrispondente alla clausola di cui si detto. Per quanto riguarda l'accertamento di usi locali da parte di alcune Camere di commercio provinciali, deve rilevarsi che si tratta di accertamenti avvenuti tutti in epoca successiva al 1952 e ci esclude che, in concreto, possa essere attribuita alla indicata clausola delle c.d. norme bancarie uniformi in vigore dal 1952 una funzione probatoria di usi locali preesistenti. Peraltro, la presunzione derivante dall'inserimento nelle raccolte delle camere di commercio, di cui all'art. 9 delle disp. prel. al c.c. riguarda l'esistenza dell'uso e non anche la natura, normativa o negoziale. Anzi, in concreto, il rapporto temporale che intercorso tra la predisposizione delle c.d. norme bancarie uniformi in tema di conti correnti di corrispondenza e le deliberazioni camerali con le quali sono stati accertati usi locali di contenuto corrispondente, pu autorizzare la presunzione

che l'accertamento dell'uso locale, sia conseguenza del rilievo di prassi negoziali conformi alle condizioni generali predisposte dall'ABI, prassi alle quali mai potrebbe riconoscersi efficacia di fonti di diritto obbiettivo, se non altro per l'evidente difetto dell'elemento soggettivo della consuetudine, potendo al massimo ritenersi che si possa trarre di clausole d'uso ai sensi dell'art. 1340 c.c.. Difetto dell'elemento psicologico per la formazione di usi contrari. Infine, non appare irrilevante anche quanto pu desumersi dalla concreta esperienza giurisprudenziale e dalla dottrina pi volte richiamata, circa l'elemento psicologico che si accompagna al generalizzato inserimento nei concreti regolamenti contrattuali di clausole conformi alle condizioni generali predisposte dall'ABI, che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del cliente, mentre gli interessi a carico della banca sono capitalizzati annualmente. Dalla comune esperienza, infatti, emerge che l'inserimento di tali clausole acconsentito da parte dei clienti, non in quanto ritenute conformi a norme di diritto oggettivo, gi esistenti o che sarebbe auspicabile che fossero esistenti nell'ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformit con le direttive dell'associazione di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituisce al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. Atteggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico di cui, sostanzialmente, consiste l'opinio juris ac necessitatis, se non altro per l'evidente disparit di trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente. La nullit della clausola. Sulla base dei rilievi formulati si deve, quindi, ritenere che la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale, ma non su una vera e propria norma consuetudinaria nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi. Un ulteriore ragione di invalidit della clausola, quanto meno per i contratti bancari stipulati dopo l'entrata in vigore della legge, deriva inoltre dall'art. 4 della legge 17 febbraio 1992, n. 154, che vieta le clausole contrattuali di rinvio agli usi.

CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA N. 425


La tesi della validit dell'anatocismo, secondo le norme del c.c. sul conto corrente ordinario Sostengono all'incontro le banche costituite che l'anatocismo bancario si giustificherebbe non gi soltanto con il disposto dellart. 1283, ma pure con quello degli artt. 1823, secondo comma, 1825 e 1833 cod. civ., in base ai quali, alla chiusura (eventualmente trimestrale) convenzionalmente stabilita, il saldo del conto corrente, comprensivo degli interessi maturati ed in esso conglobati, va considerato quale prima rimessa del conto (rinnovato a tempo determinato) per il periodo successivo e produce nuovi interessi. L'esclusione, pertanto, di un uso normativo bancario sull'anatocismo, prospettata sulla scorta di recenti pronunce della Suprema Corte, non sarebbe sufficiente a negare validit - secondo la disciplina previgente - alla pattuita capitalizzazione trimestrale degli interessi (fondata, invece, sulla convenzionale chiusura trimestrale del conto).

Siffatta eccezione di inammissibilit presuppone, per, una delimitazione del thema decidendum diversa da quella prospettata dai rimettenti, i quali hanno chiaramente precisato che le controversie sottoposte alla loro cognizione riguardano la validit delle clausole anatocistiche bancarie alla stregua esclusivamente del disposto dellart. 1283 cod. civ., cio negli stessi ristretti termini in cui il problema stato esaminato dalla Corte di cassazione con le sentenze 16 marzo 1999, n. 2374 e 30 marzo 1999, n. 1096 (alle quali pu qui aggiungersi la pronuncia dell11 novembre 1999, n. 12507). Il quadro normativo in cui si inserisce la decisione. Il decreto legislativo n. 342 del 1999, costituisce attuazione della legge 24 aprile 1998, n. 128, che delega il Governo ad emanare disposizioni integrative e correttive del testo unico bancario, nel rispetto dei princpi e criteri direttivi e con losservanza della procedura indicati nellart. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142. Lart. 25 del decreto legislativo n. 342 del 1999 (nel quale ricompresa la disposizione oggetto delle sollevate questioni di legittimit costituzionale) prevede: - al comma 2, attribuisce al CICR il potere di stabilire modalit e criteri relativamente alla produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nellesercizio dellattivit bancaria, assicurando in ogni caso alla clientela, nelle operazioni in conto corrente, la stessa periodicit nel conteggio degli interessi, sia debitori che creditori. - al comma 3 (oggetto esclusivo del dubbio di costituzionalit dei rimettenti), stabilisce che le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della suddetta delibera del CICR - emessa il 9 febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile 2000 - sono valide ed efficaci sino a tale data, mentre, successivamente, debbono essere adeguate, a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente, al disposto della menzionata delibera, secondo modalit e tempi in essa previsti. L' eccesso di delega, con riferimento al comma 3. Fondata deve ritenersi la questione concernente l'eccesso di delega prospettato da quasi tutti i rimettenti. E' da escludersi che la delega legittimi una disciplina retroattiva e genericamente validante. La norma denunciata, difatti, senza distinguere fra contratti ed effetti contrattuali anteriori o posteriori alla data della propria entrata in vigore, stabilisce, con formula tipica delle norme di generale sanatoria (sono valide ed efficaci), una indiscriminata validit temporanea delle clausole anatocistiche bancarie contenute in contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore della prevista deliberazione del CICR, prescindendo dal tipo di vizio da cui sarebbero colpite. Non si tratta, evidentemente, di una norma interpretativa. Al contrario, con efficacia innovativa e (in parte anche) retroattiva, essa rende valide ed efficaci, sino alla data di entrata in vigore della deliberazione del CICR, tutte indistintamente le clausole anatocistiche previste nei contratti bancari gi prima della legge delegata o comunque stipulate anteriormente all'entrata in vigore della suddetta deliberazione. In altri termini, il legislatore delegato, da un lato sancisce, per qualsiasi tipo di vizio, una generale sanatoria delle clausole anatocistiche illegittime contenute nei contratti bancari anteriori al 19 ottobre 1999, con effetti temporalmente limitati sino al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera del CICR); dall'altro attribuisce (pro futuro), sia pure nell'identico limite temporale, la

stessa indiscriminata validit ed efficacia alle clausole poste in essere nel periodo tra il 19 ottobre 1999 ed il 21 aprile 2000. I princpi e criteri della legge di delegazione, non possono ragionevolmente interpretarsi come abilitanti all'emanazione d'una disciplina di sanatoria (per il passato) e di validazione anticipata (per il periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge delegata e quella della delibera del CICR) di clausole anatocistiche bancarie, del tutto avulsa da qualsiasi riferimento ai vizi ed alle cause di inefficacia da tenere per irrilevanti. Deve concludersi che la norma in esame vola l'art. 76 della Costituzione. Si dichiara l'illegittimit costituzionale dell'art. 25, comma 3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342.

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. III, SENTENZA N. 2593, 20 FEBBRAIO 2003


Premessa. In ipotesi di mutuo per il quale sia previsto un piano di restituzione differito nel tempo, mediante il pagamento di rate costanti comprensive di parte del capitale e degli interessi, questi ultimi conservano la loro natura e non si trasformano invece in capitale da restituire al mutuante, cosicch la convenzione, contestuale alla stipulazione del mutuo, la quale stabilisca che sulle rate scadute decorrono gli interessi sulla intera somma integra un fenomeno anatocistico, vietato dall'art. 1283 c.c. Il principio stato affermato da questa Corte a partire dalla sentenza n. 3479 del 1971 e n. 1724 del 1977. L'orientamento da seguire. A carico del mutuatario di somme di denaro sono poste due distinte obbligazioni: - restituire la somma ricevuta in prestito (art. 1813 c.c.); - corrispondere gli interessi al mutuante, salvo diversa pattuizione (art. 1815 c.c.). Sono due obbligazioni distinte ontologicamente e rispondenti a finalit diverse. Nei mutui c.d. ad ammortamento, la formazione delle varie rate, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene ad una modalit dell'adempimento delle due obbligazioni; nella rata concorrono, infatti, la graduale restituzione della somma ricevuta in prestito e la corresponsione degli interessi; trattandosi di una pattuizione che ha il solo scopo di scaglionare nel tempo le due distinte obbligazioni del mutuatario, essa non idonea a mutarne la natura n ad eliminarne l'autonomia. Ci premesso deve ora verificarsi se in materia di mutuo bancario esista un uso contrario che legittimi la decorrenza degli interessi moratori sugli interessi corrispettivi sin dal momento della loro scadenza; il che si risolve nell'accertare la legittimit della clausola, contestuale alla stipulazione del mutuo, la quale stabilisca che sulle rate scadute decorrono gli interessi sulla intera somma, a prescindere quindi dalle condizioni previste dall'art. 1283 c.c.. Precedenti in materia di anatocismo sul mutuo. E' opportuno prendere le mosse dalla sentenza n. 3479 del 1971, che ha escluso che gli interessi perdessero la loro natura per effetto della inclusione nei ratei di ammortamento ed ha statuito che "salvo eccezioni previste dalla legge o l'esistenza di usi contrari, anche nel caso di mutui ad ammortamento gli interessi di mora sulle rate di mutuo scadute e non pagate sono dovute soltanto a decorrere dalla domanda giudiziale, o per effetto di convenzioni posteriori alla loro scadenza e

sempre che siano decorsi almeno sei mesi". Analogo principio venne successivamente affermato da Cass. n. 1724 del 1977, pi sopra citata. Alle citate sentenze segue la sentenza n. 6631 del 15 dicembre 1981 di questa Corte che, sempre con riferimento ad un contratto di mutuo intercorso tra un istituto di credito ed un privato afferm il principio cos massimato: "Gli usi che consentono l'anatocismo, richiamati dall'art. 1283 c.c., sono usi normativi... pu fondatamente affermarsi che nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, in tutte le operazioni di dare e avere, l'anatocismo trova generale applicazione in quanto sia le banche sia i clienti chiedono e riconoscono come legittima la pretesa degli interessi da conteggiarsi alla scadenza non solo sull'originario importo della somma versata ma sugli interessi da questa prodotti e ci anche a prescindere dai requisiti richiesti dall'art. 1283 c.c.". Fatta questa premessa la Corte ha ritenuto che non era necessario accertare " un uso con specifico riferimento agli atti di mutuo, in quanto idonea a legittimare l'anatocismo nei confronti di questi, una consuetudine che riguardi tutti i rapporti di credito, in un determinato campo, dato che la regola generale trova applicazione nei casi particolari ad essa riconducibile " ed ha concluso affermando che "sussiste, dunque, un uso che rende lecito l'anatocismo nelle relazioni tra banche e clienti e, pertanto, deve concludersi, in conformit alle decisioni del giudice del merito, per la validit della clausola, contenuta nel mutuo in discussione, che prevede gli interessi moratori dell'8,50% sulle rate di ammortamento scadute e non pagate". Gli usi normativi. Della sentenza n. 6631 del 1981 da condividere l'affermazione secondo cui gli usi richiamati dall'art. 1283 c.c. sono soltanto i c.d. "usi normativi". Questo punto non discutibile ove si consideri che a detti usi consentito derogare alla disciplina dettata dalla citata norma. Nella fattispecie di cui all'art. 1283 c.c., per effetto del richiamo, l'uso acquista forza di legge, cos come venuto a formarsi in seno alla categoria di persone che vi ha dato vita, onde la norma che lo richiama regola attraverso esso la materia che ne costituisce l'oggetto. Una rimeditazione necessaria, invece, in ordine agli altri principi che si trovano affermati nella citata sentenza. Essa afferma che non necessario che si accerti un uso con specifico riferimento agli atti di mutuo, in quanto idonea a legittimare l'anatocismo nei confronti di questi, una consuetudine che riguardi tutti i rapporti di credito, in un determinato campo, dato che la regola generale trova applicazione nei casi particolari ad essa riconducibili. Peraltro ancora da osservare che allorquando l'uso richiamato dalla legge, nei termini in cui ci fatto dall'art. 1283 c.c., questa ne recepisce il contenuto, che viene cos ad essere incorporato nella norma scritta, di cui diventa parte integrante; in tale caso il contenuto della norma, nella parte in cui fa riferimento all'uso, costituito appunto dal contenuto di questo, che viene cos sussunto dalla norma negli stessi termini oggettivi e soggettivi in cui si formato attraverso l'uniforme e costante ripetizione di un determinato comportamento da parte di un certo gruppo di soggetti. Esigenza di un uso specifico. Ci comporta che l'uso non pu estendersi a soggetti diversi da quelli che lo hanno comunemente praticato (limite soggettivo) e non pu riguardare atti diversi da quelli in relazione ai quali stato posto in essere. Cos se un uso si formato in relazione ad un determinalo tipo di contratto bancario, non soltanto per ci pu essere esteso ad altri tipi di contratti pur se posti in essere da un istituto bancario. Cos come del resto un uso formatosi in relazione ad uno specifico contratto posto in essere tra determinate categorie di soggetti non pu estendersi anche ad altri soggetti ancorch porgano in essere lo stesso tipo di contratto.

Alla luce delle esposte considerazioni non appare sufficiente l'accertamento di un generico uso al quale ricondurre le varie fattispecie contrattuali, peraltro di natura, a volte, completamente diversa, ma necessario verificare se, con specifico riferimento al contratto di mutuo stipulato tra un istituto di credito ed un privato, esista un uso che deroghi alla disciplina dell'art. 1283 c.c. Usi contrari preesistenti o successivi al 1942. Prima di procedere a questa verifica occorre risolvere un problema pregiudiziale, che pu essere cos formulato: se gli usi contrari richiamati dall'art. 1283 c.c. sono solo quelli preesistenti all'entrata in vigore del codice civile ovvero se sia possibile la formazione di usi contrari successivi. Sul punto la dottrina divisa. I sostenitori della prima tesi (necessit che gli usi richiamati dall'art. 1283 c.c. siano preesistenti alla norma) basano la loro opinione, fondamentalmente, sulla natura imperativa della norma, la quale non consente comportamenti contra legem e quindi la formazione di nuovi usi, in deroga alla disposizione legislativa. I sostenitori della seconda tesi (ammissibilit della formazione di usi contrari successivi alla entrata in vigore della norma), fondano la loro opinione a) sulla considerazione che la gerarchia delle fonti non riguarda priorit temporali; b) sulla constatazione che l'uso contrario in quanto richiamato dalla norma non un uso contra legem, ma un uso secundum legem, con la conseguenza che esso sarebbe idoneo ad integrare la norma anche se formatosi successivamente; c) sulla osservazione che gli usi costituirebbero lex specialis, con la conseguenza di esseri idonei a derogare, anche se di rango inferiore, alla legge generale. La Corte ritiene che debba essere preferita la prima tesi. Sul piano della teoria generale pu convenirsi che le argomentazioni addotte dai sostenitori della seconda tesi non siano di per s infondate. Ci che non pu essere, invece, condivisa l'applicazione che dei principi generali viene fatta alla fattispecie di cui all'art. 1283 c.c. Uno scrutinio delle nome del codice civile, nelle quali fatto rinvio agli usi contrari, consente di dare sostegno positivo alla tesi che si ritiene corretta. Rinviano agli usi contrari, attribuendo ad essi funzione integrativa - derogatoria della disciplina prevista dalla legge, gli artt. 1283, 1457, 1510, 1528, 1665, 1739, 1756, 2148 del codice civile. Solo nell'art. 1283 c.c. usata la locuzione "in mancanza di usi contrari" senza alcun riferimento a pattuizioni contrarie ovvero a manifestazioni unilaterali di volont quali "consenso" ovvero "ordine diverso". Questa constatazione porta ad una prima conclusione: in base all'art. 1283 c.c. l'anatocismo ammesso nei limiti indicati positivamente nella stessa norma, sono fatti salvi gli usi contrari, non sono ammessi patti anteriori alla scadenza degli interessi. La salvezza degli usi contrari, contenuta nell'art. 1283 c.c., dovuta alla constatazione da parte del legislatore del 1942 della esistenza nella pratica commerciale di radicati usi che consentivano l'anatocismo ed alla evidente intenzione di non incidere su di essi riconoscendone il valore normativo ancorch fossero contrari alla disciplina positiva che si intendeva dettare. La mancata previsione della possibilit di porre in essere patti contrari (se non nei limiti dalla norma stessa indicati) trova, invece, la sua spiegazione nelle finalit che la norma di cui all'art. 1283 c.c. si prefigge, come ricordati in Cass. n. 2374 del 1999. L'analisi della genesi e delle finalit dell'art. 1283 c.c. ed il raffronto tra il detto articolo e gli altri articoli del codice civile sopra richiamati danno ragione dell'affermazione che non consente la formazione di usi contrari aventi forza di legge in epoca successiva alla data di entrata in vigore della norma. La disciplina dell'anatocismo, dopo l'entrata in vigore del codice civile del 1942,

dettata dalle disposizioni positive contenute nell'art. 1283 e dagli usi contrari (presupposti gi esistenti) dal detto articolo richiamati. A differenza delle altre norme del codice civile sopra richiamate l'art. 1283 c.c. non prevede la possibilit di patti contrari. Per comprendere appieno l'importanza che tale differenza comporta occorre avere presente che gli usi contrari, richiamati nelle norme del codice civile, si applicano ai rapporti da esse contemplati ancorch ad essi le parti non abbiano fatto riferimento ma solo per il fatto che esistono e sono accertati. In relazione agli artt. 1457, 1510, 1528, 1665, 1739, 1756 e 2148 c.c., le eventuali pattuizioni contrarie alla norma o non rispondenti ad usi contrari esistenti, trovano riconoscimento di legittimit nella stessa norma che le consente. Con riferimento a queste norme non si pu escludere che la reiterazione di identiche pattuizioni, possa portare alla creazione di un uso contrario fino allora non esistente; in questo caso la legittimit dell'uso contrario non troverebbe la sua giustificazione nel fatto che la norma fa salvi gli usi contrari, ma nel fatto che le pattuizioni contrarie consentite dalla norma sono idonee, eventualmente, a far nascere un nuovo uso che sarebbe in tal caso applicabile anche se non pi riprodotto in una pattuizione. Al contrario, in relazione all'art. 1283 c.c., una pattuizione relativa all'anatocismo, posta in essere successivamente all'entrata in vigore del codice, che non fosse stata conforme alla disciplina positiva dettata dall'art. 1283 ovvero agli usi gi esistenti (perch relativa ad un contratto diverso da quello con riferimento al quale l'uso si era formato ovvero relativa a soggetti diversi), sarebbe stata nulla perch contraria al divieto, sia pure limitato, contenuto nella legge. Detta pattuizione, ancorch ripetuta nel tempo, non sarebbe stata idonea a generare un uso normativo; essa avrebbe potuto al pi generare una prassi negoziale contra legem non idonea, in quanto tale, a modificarne la disciplina positiva esistente. , infatti, vero che l'uso contrario, se richiamalo dalla norme di legge, non contra legem ma secundum legem, ma anche vero che l'uso formatosi contro la legge esistente, in quanto frutto di patti posti in essere contro il divieto in essa contenuto, non pu mai divenire secundum legem. Ci che si fin qui detto in ordine alle pattuizioni vale anche in relazione ai comportamenti, ancorch non tradotti in patti (precisazione questa doverosa, atteso che gli usi nascono anche per la reiterazione nel tempo di un determinato comportamento). Invero se tali comportamenti (e si fa sempre esclusivo riferimento alla disciplina dell'art. 1283 c.c.) si fossero risolti nella spontanea reciproca accettazione di una disciplina relativa ad un determinato rapporto in nulla si sarebbero distinti dalle pattuizioni, se non per il fatto che con il comportamento la volont veniva solo tacitamente manifestata. Se tali comportamenti avessero invece costituito frutto di imposizione unilaterale, determinata ad esempio da situazioni di monopolio o altre situazioni di predominio contrattuale, sarebbe mancato quel consenso minimo necessario per la nascita dell'uso; e ci esime dall'affrontare il contestato (in dottrina) problema della necessit del requisito della opinio iuris ac necessitatis per l'esistenza dell'uso normativo. Deve pertanto affermarsi, con riferimento alla disciplina dell'art. 1283 c.c., che gli usi contrari cui la norma si riferisce sono quelli che esistevano anteriormente all'entrata in vigore del codice civile. Usi contrari non avrebbero potuto successivamente formarsi, perch la natura della norma stessa, di carattere imperativo, e quindi impeditiva del riconoscimento di pattuizioni e di comportamenti non conformi alla disciplina positiva esistente, impediva la realizzazione delle condizioni di fatto idonee a produrre la nascita di un uso avente le caratteristiche dell'uso normativo.

Inesistenza di usi contrari anteriori al 1942. A questo punto occorre, allora, verificare se anteriormente al 1942 esistevano o meno usi che nel campo specifico del mutuo bancario ordinario consentissero l'anatocismo oltre i limiti previsti dall'art. 1283 c.c. e, particolarmente, una pattuizione analoga a quella intercorsa tra le parti del presente giudizio. La risposta negativa. Fino al 1976 nelle raccolte degli usi a cura delle camere di commercio l'applicazione degli interessi sugli interessi veniva ammessa con riferimento a specifiche operazioni bancarie; tra i contratti non viene mai menzionato il contratto di mutuo. Soltanto a partire dal 1976 nella raccolta degli usi della provincia di Milano viene certificata l'esistenza di un uso concernente gli interessi di mora su rate scadute di mutui e finanziamenti. In particolare l'art. 12 della raccolta di Milano indica che "nel caso di mancato pagamento entro il quinto giorno successivo alla scadenza, anche se festivo, di rate di rimborso di mutui e finanziamenti estinguibili secondo piani di ammortamento, le banche percepiscono gli interessi di mora sull'intero importo delle rate scadute e non pagate". Analoga disposizione si trova poi al paragrafo 16 degli usi bancari accertati su base nazionale: " nel caso di mancato pagamento, nei termini previsti, di quanto dovuto dal debitore per capitale, interessi ed accessori, le banche percepiscono, su tutte le somme rimaste insolute, gli interessi di mora a decorrere dal giorno di scadenza fino al giorno della valuta del pagamento effettuato". Il fatto che l'esistenza dell'uso sia stata certificata solo trentaquattro anni dopo l'entrata in vigore del codice dimostra con sufficiente certezza che, almeno precedentemente al 1942, un uso siffatto non esisteva.

SEZIONI UNITE CIVILI, SENTENZA N. 21095, 4 NOVEMBRE 2004


I termini della questione. Incontestata la non attualit di un uso normativo di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario, bisogna stabilire se sia o non esatto escludere anche che un siffatto uso preesistesse al nuovo orientamento giurisprudenziale che lo ha negato. A partire da Cass. n. 2374 del 1999, l'enunciazione del principio di nullit delle clausole bancarie anatocistiche si pone come la conclusione di un ragionamento di tipo sillogistico: la cui premessa maggiore espressa dalla affermazione che gli "usi contrari" sono gli "usi normativi"; e la cui premessa minore rappresentata dalla constatazione che i clienti si sono adeguati all'inserimento della clausola anatocistica in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituiva al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari (atteggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l'opinio juris ac necessitatis). Ora di questo sillogismo, neppure la Banca ricorrente mette in discussione la premessa maggiore, mentre quanto alla sua premessa minore la contestazione che ad essa si muove, attiene al solo profilo della portata retroattiva che il nuovo indirizzo ha inteso attribuire alla rilevata inesistenza di un uso normativo in materia di capitalizzazione trimestrale degli interessi bancari. Si sostiene, cio, che la giurisprudenza del '99 abbia correttamente accertato l'inesistenza attuale, ma erroneamente escluso l'esistenza pregressa della consuetudine in parola. E si auspica per ci, che essa vada superata nel senso di constatare che " la convinzione degli utenti del servizio bancario della normativit dell'uso di capitalizzazione trimestrale degli interessi,

originariamente sussistente, venuta meno dopo lungo tempo" [id est: la consuetudine si estinta per desuetudine in relazione al venire meno della opinio iuris del comportamento sottostante] "proprio a seguito di quello stesso processo di mutamento di prospettiva che ha indotto la Cassazione medesima a mutare il proprio precedente orientamento". La posizione delle Sezioni Unite. L'evoluzione del quadro normativo - impressa dalla giurisprudenza e dalla legislazione degli anni '90, in direzione della valorizzazione della buona fede come clausola di protezione del contraente pi debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, della disciplina dell'usura - ha innegabilmente avuto il suo peso nel determinare la ribellione del cliente (che ha dato, a sua volta, occasione al revirement giurisprudenziale) relativamente a prassi negoziali, come quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alle banche, risolventesi in una non pi tollerabile sperequazione di trattamento imposta dal contraente forte in danno della controparte pi debole. Ma ci non vuole dire che, in precedenza, prassi siffatte fossero percepite come conformi a ius e che, sulla base di una tale convinzione (opinio iuris), venissero accettate dai clienti. Pi semplicemente, le pattuizioni anatocistiche, come clausole non negoziate e non negoziabili, perch gi predisposte dagli istituti di credito, in conformit a direttive delle associazioni di categoria, venivano sottoscritte dalla parte che aveva necessit di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare. Dal che la riconducibilit, ab initio, della prassi di inserimento, nei contratti bancari, delle clausole in questione, ad un uso negoziale e non gi normativo (per tal profilo in contrasto dunque con il precetto dell'articolo 1283 c.c.), come correttamente ritenuto dalle sentenze del 1999 e successive. N in contrario sostenibile che la "fondazione" di un uso normativo, relativo alla capitalizzazione degli interessi dovuti alla banca, sia in qualche modo riconducibile alla stessa giurisprudenza del ventennio antecedente al revirement del 1999. Anche in materia di usi normativi, la funzione assolta dalla giurisprudenza non pu essere altra che quella ricognitiva, dell'esistenza e dell'effettiva portata, e non dunque anche una funzione creativa, della regola stessa. Discende come logico ed obbligato corollario da questa incontestabile premessa che, in presenza di una ricognizione, pur reiterata nel tempo, che si dimostri poi per erronea nel presupporre l'esistenza di una regola in realt insussistente, la ricognizione correttiva debba avere una portata naturaliter retroattiva, conseguendone altrimenti la consolidazione medio tempore di una regola che troverebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero con ci stesso creata. Della insuperabile valenza retroattiva dell'accertamento di nullit delle clausole anatocistiche, contenuto nelle pronunzie del 1999, si mostrato subito, del resto, ben consapevole anche il legislatore. Il quale - nell'intento di evitare un prevedibile diffuso contenzioso nei confronti degli istituti di credito - ha dettato, nel comma 3 dell'art. 25 del gi citato d.lgs. n. 342/99, una norma ad hoc, volta appunto ad assicurare validit ed efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della materia, di cui ai precedenti commi primo e secondo del medesimo art. 25. Quella norma di sanatoria stata, per, come noto, dichiarata incostituzionale, con sentenza n. 425 del 2000. L'eliminazione ex tunc, per tal via, della eccezionale salvezza e conservazione degli effetti delle clausole gi stipulate lascia queste ultime, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali, per quanto si

detto, esse non possono che essere dichiarate nulle, perch stipulate in violazione dell'art. 1283 c.c. (cfr. Cass. n. 4490/02).

SEZIONI UNITE CIVILI, SENTENZA N. 9653, 17 LUGLIO 2001


Anatocismo e interessi moratori. L'obbligazione di pagamento di un debito di interessi non si configura come una obbligazione pecuniaria qualsiasi, ma presenta connotati specifici, sia per il carattere di accessoriet rispetto all'obbligazione relativa al capitale, sia per la funzione remuneratoria che gli interessi rivestono, sia per la disciplina prevista dalla legge proprio in relazione agli interessi scaduti. Le Sezioni Unite condividono lorientamento secondo il quale il debito per interessi (anche quando sia stata adempiuta l'obbligazione principale) non andrebbe configurato come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonch al risarcimento del maggior danno (ex art. 1224, comma 2, cod. civ.), ma resterebbe soggetto alla regola dell'anatocismo di cui all'art. 1283 cod. civ., derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro, sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura. Invero gli interessi scaduti, se equiparati in toto ad una qualsiasi obbligazione pecuniaria (credito liquido ed esigibile di una somma di denaro), sarebbero stati automaticamente produttivi d'interessi di pieno diritto, ai sensi dell'art. 1282 cod. civile. Tale effetto, invece, escluso dal successivo art. 1283 (dettato a tutela del debitore ed applicabile per ogni specie d'interessi, quindi anche per gli interessi moratori). La citata disposizione non comporta soltanto un limite al principio generale di cui all'art. 1282 cod. civ., ma vale anche a rimarcare la particolare natura che, nel quadro delle obbligazioni pecuniarie, la legge attribuisce al debito per interessi, con la previsione di una disciplina specifica, che si pone come derogatoria rispetto a quella generale in tema di danni nelle obbligazioni pecuniarie, stabilita dall'art. 1224 cod. civile, e che proprio per il suo carattere di specialit deve prevalere su quest'ultima norma.

CASSAZIONE CIVILE, SENTENZA N. 17813 DEL 2002


Anatocismo e clausola penale2. La critica che, se si ammettesse la possibilit di pattuire interessi moratori anatocistici in forma di clausola penale, il divieto dell'anatocismo risulterebbe sempre aggirabile. Per questa parte il motivo fondato. L'obbligazione di X aveva ad oggetto una somma di danaro (art. 1224 cod. civ.). Nelle obbligazioni pecuniarie, se prima della mora non sono dovuti interessi, le parti possono pattuire la misura degli interessi che saranno dovuti in caso di mora. L'art. 1283 cod. civ., che si applica anche agli interessi moratori, non consente che essi producano interessi se non in forza di convenzione posteriore alla loro scadenza, purch si tratti di interessi che siano maturati per almeno sei mesi.
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X sottoscriveva una dichiarazione di debito dove dichiarava di essere debitore di Y della somma di ricevuta a titolo di mutuo personale. La somma non era gravata da alcun interesse e avrebbe dovuto essere restituita entro ilIn caso di restituzione tardiva era riconosciuto un interesse del 24% annuo composto. Sulla base di tale prova scritta, Y chiedeva fosse ingiunto a X di pagare la somma, con gli interessi.

La nullit del patto anteriore alla scadenza comporta che gli interessi secondari, quelli derivanti da anatocismo, non possano essere dovuti che al tasso legale: l'art. 1284 cod. civ. si applica anche agli interessi secondari; solo con una convenzione successiva pu essere previsto un diverso tasso. Quelli chiesti, con la domanda giudiziale, in mancanza di una convenzione successiva che ne determini la misura in cifra superiore al tasso legale, non possono essere dovuti che al tasso legale. Orbene, il giudice di appello, nella sentenza impugnata, ha affermato che questa disciplina non si applica, perch l'interesse composto stato pattuito con una clausola penale. Se non che, quando l'art. 1224, secondo comma, cod. civ. prevede e disciplina gli effetti del patto con cui le parti predeterminano la misura degli interessi dovuti per il ritardo nell'adempimento di una obbligazione pecuniaria, altro non fa che configurare una clausola penale, con riferimento ad un tipo di obbligazione principale ed al contenuto della prestazione assunta ad oggetto della penale. Una clausola di questo contenuto non si pu perci sottrarre all'operare della regola dell'anatocismo. Questa regola si estende infatti ad ogni obbligazione di interessi dovuti per il ritardo nel pagamento di un'obbligazione pecuniaria (Sez. Un. 17 luglio 2001 n. 9653) e l'obbligazione che sorge da una clausola penale del tipo in discussione ha appunto ad oggetto quella di pagare interessi per il ritardato adempimento di un'obbligazione pecuniaria.

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