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1990, Sidney Tarrow Traduzione di Salvatore Maddaloni Prima edizione 1990

Questo volume stato pubblicato con il contributo del Hull Memorial Publication Fund of Cornell University

Sidney Tarrow DEMOCRAZIA E DISORDINE


M ovim enti di protesta e politica in Italia 1965-1975

Editori Laterza

Propriet letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel gennaio 1990 nello stabilimento d arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari C L 20-3538-3 IS B N 88-420-3538-6

PREFAZIONE ALLEDIZIONE ITALIANA

Questo un libro sui movimenti, sullazione collettiva e sulla politica in Italia dal 1965 al 1975. Dopo il declino, alla met degli anni Settanta, della protesta di massa, in questo paese comparsa una vastissima letteratura sul ciclo di protesta appena conclusosi. Alcuni di questi libri erano narrazioni delle vicende degli anni precedenti; altri si fondavano sulla ricca produzione ideologica dei movimenti; altri ancora erano ideologia tout court. Molti autori denunciavano il ruolo svolto in questo ciclo dai par titi e dalle istituzioni, e le loro opere erano caratterizzate da una reazione contro i disordini degli anni precedenti, secondo una tendenza esacerbata dal crescere del terrorismo organizzato, che ha contribuito a portare tutta una generazione di italiani ad av versare la politica di massa. Malgrado gran parte della letteratura sulla protesta si debba alla sinistra, sono pochi gli autori di quella tendenza che hanno esaminato a fondo in che modo la popolazione stessa ha vissuto quegli anni. Ci sono state delle analisi sui tassi di sciopero e sul loro rapporto coi trend economici, sugli atteggiamenti del pub blico verso forme non convenzionali di partecipazione, sulle vi cissitudini dei gruppi rivoluzionari nati in quegli anni; ma pochi di questi studiosi si sono dati la pena di seguire in che modo si sviluppata lazione collettiva popolare, mentre molti si sono ac contentati di difendere gli itinerari politici seguiti da loro stessi o dalle loro organizzazioni. Una delle conseguenze di tutto questo che sappiamo ben poco circa le origini, le dinamiche o gli esiti dellondata di pro testa pi ampia mai avutasi nella storia del paese dopo il fasci smo. U naltra conseguenza stata la sorpresa, la disillusione o le accuse di tradimento da parte di questa o quella organizzazione o partito di sinistra quando com avvenuto molto prima di v

quanto chiunque prevedesse le masse sono scomparse dalla scena pubblica. E davvero sorprendente che coloro che credono nella classe lavoratrice come fonte di saggezza e di iniziativa ri voluzionarie abbiano prestato pi attenzione alla produzione ideologica delle lites intellettuali che allattuazione di unazione collettiva da parte della classe lavoratrice. Questo vale ancor pi per lItalia di oggi, in un periodo di generale riflusso ideologico. Se questo libro ha un contributo originale da proporre agli italiani, il fatto di prendere sul serio lidea che la storia di una societ si rispecchi nelle azioni collettive della sua popolazione. Con Edward P. Thompson e Charles Tilly le cui opere sono spesso citate ma raramente imitate io credo che le ondate di protesta scuotono una societ non perch gli intellettuali agitino le acque dello scontento, ma quando la gente osa esigere diritti e benefici che ritiene le appartengano. Queste ondate si placano quando la gente soddisfatta, o la sua militanza si esaurisce, o ridotta al silenzio dalla polizia o dal terrorismo, o quando infine presente una combinazione di tutte e tre le cose, come, a mio avviso, avvenuto nel caso italiano alla fine del periodo qui studiato. Chi alla guida dei movimenti rivoluzionari non pu far sol levare un popolo, cos come i partiti conservatori o revisionisti non possono fermare un sollevamento popolare una volta avvia to. Quando inizia la mobilitazione di massa appare sulla scena della storia un nuovo attore, e sia i rivoluzionari che i moderati vengono sopraffatti. In suo nome alcuni possono salire sulla ri balta pubblica, ma non possono imporre le proprie direttive. E quando malgrado i loro sforzi o per via di essi londata di mobilitazione cala, questi gruppi possono rallentare il processo, ma non arrestarlo. Essi scelgono il loro ruolo entro una gamma limitata: lagitatore trasformatosi in giornalista, il burocrate di un gruppo di interesse, il politico accolto per cooptazione; pi raramente, e pi tragicamente, il fautore della lotta armata. In altri termini un ciclo di protesta ha una dinamica propria, una dinamica inscritta nella curva dellandamento della mobili tazione popolare. Esso articolato da alcuni leader di movimen to che cogliendo la rabbia e la disponibilit della popolazione a unazione collettiva silludono talvolta di esserne i protago nisti e cercano di indirizzarla verso i propri obiettivi. nostro compito cercare di capire questi obiettivi, perch ci aiutano a spiegare dove si diffondono i cicli di protesta e quali sono i temi suscettibili di scatenare un incendio. Se per scambiamo la regi strazione delle proposte degli intellettuali per la storia dei movi vi

menti di massa confondiamo le espressioni esterne del ciclo con la sua dinamica interna. Queste sono le ipotesi guida di questo libro. Esso si basato non sulle esperienze personali dellautore o su un modello dedut tivo dei movimenti collettivi, ma su ben otto anni di lavoro con sistente nella raccolta di materiale, in colloqui sia con gli ex-par tecipanti sia con gli osservatori dei movimenti studiati, nella lettura dei loro documenti e nellesame delle forme e degli obiet tivi delle loro azioni collettive. E solo mia la responsabilit se ho impiegato tanto tempo a ultimare un libro che avrebbe goduto di un pubblico pi vasto se fosse stato pi breve, o se fosse uscito nella ricorrenza del ventesimo anniversario del 1968. D altra parte devo ringraziare molte persone per aver alleviato quello che altrimenti sarebbe stato, senza il loro contributo, un ben pe sante fardello. E stata la stimolante atmosfera del Center for Advanced Study in th Behavioral Sciences a Stanford (California) a convin cermi che un tale studio avrebbe potuto essere compiuto. Il Cor nell Center for International Studies ha fornito una copertu ra amministrativa al progetto. Il Cornell Government Depart ment e il Cornell Institute for Social and Economie Research sono stati altrettanto prodighi di assistenza tecnica e finanziaria. La fase di raccolta dei dati stata la parte pi collettiva del progetto. A livello concettuale, esso ha tratto profitto dallispi razione di Charles Tilly, che desidero ringraziare calorosamente. A livello pratico, quattro giovani hanno compensato la mia igno ranza riguardo alle pi moderne tecniche di gestione e d analisi dei dati. Enrico Ercole stato il principale operatore del progetto. Martha Moorehouse ha portato a termine lopera da lui iniziata. Bonny Sweeney ha elaborato gran parte dei dati originari in forma leggibile per il computer, mentre Lisa King ha documentato e razionalizzato un complesso insieme di dati che ha reso disponi bile allanalisi. Senza laiuto di questi giovani, impegnati a pieno nella ricerca, questo libro non avrebbe mai visto la luce. Nel corso degli anni molti studiosi e collaboratori sono en trati e usciti dal progetto. Tra essi desidero ringraziare in parti colare Margherita Perretti, Rossella Ronchi, Jeffrey Ruoff, M i chele Zaccheo e Tom Zamora per i loro contributi essenziali. Donatella Della Porta ha gentilmente condiviso con me la sua profonda conoscenza del terrorismo ed stata coautrice di un articolo, parte delle conclusioni del quale sono riferite nel capi tolo X (Della Porta e Tarrow 1986). La prima e pi impegnativa parte del libro stata redatta

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mentre ero Visiting Fellow presso PEuropean University Institute di Fiesole. I miei ringraziamenti vanno allistituto, a Phi lippe Schmitter e Birgitta Nedelmann, e a Sieglinde LinfordSchreiner per il suo aiuto nelle ricerche, nonch a Henrietta Grant Peterkin per laiuto e i consigli mai venuti a mancare. Mentre ero in Italia ho avuto anche il vantaggio della testi monianza insostituibile di osservatori ed ex-partecipanti ai mo vimenti e ai conflitti esaminati in questo libro. Posso citare solo i nomi di Aris Accornero, Giovanni Arrighi, Ernesto Balducci, Bianca Beccalli, Luigi Bobbio, Paolo Ceccarelli, Rita di Leo, Bruno Dente, Yasmine Ergas, Sergio Gomito, Luigi Manconi, Ida Regalia, Marino Regini, Gloria Regonini, Michele Salvati, Adriano Sofri, Guido Viale e Danilo Zolo. Nessuno di essi in alcun modo responsabile delle mie interpretazioni, ma li ringra zio tutti per essere stati disponibili a esaminare un momento de licato del loro passato a beneficio di un osservatore esterno. Durante il mio soggiorno in Italia ho anche avuto accesso alla raccolta d archivio della Organizzazione dei lavoratori comuni sti, attualmente conservata presso listituto Gramsci di Roma, allarchivio dellistituto Feltrinelli di Milano, nonch allarchi vio della Camera del lavoro di Milano. Stefano Draghi, Renato Mannheimer e Guido Martinotti mi hanno messo a disposizione sia i loro consigli che le risorse dellistituto superiore di Socio logia di Milano. Desidero ringraziare in particolare Adriano So fri per la sua disponibilit a riflettere su un decennio di militan za, dapprima in Potere operaio toscano e poi in Lotta continua. Diversi amici e colleghi hanno letto e commentato tante di quelle stesure successive che li considero praticamente dei coau tori. Sono Luigi Bobbio, Donatella Della Porta, Bruno Dente, Miriam Golden, Stephen Hellman, Mary Katzenstein, Peter Lange, Liborio Mattina, Alberto Melucci, Gianfranco Pasquino e Carlo Trigilia. Sono grato per tutto laiuto e i consigli ricevuti da questi amici e colleghi, che naturalmente non hanno colpa alcuna di qualsiasi errore d informazione o d interpretazione. Il manoscritto stato ultimato a Cornell nel 1986-87 con limpareggiabile aiuto di Sonia Stefanizzi, che ha iniziato come assistente ed divenuta una collaboratrice (Stefanizzi e Tarrow 1988). Spero che il suo lavoro abbia tratto profitto da questa esperienza. Susan e Christopher Tarrow si sono sacrificati pas sando un anno fra le colline di Firenze, e soprattutto la prima mi sembrata ascoltare attentamente le disquisizioni senza fine sul lavoro che stavo compiendo. Ithaca, New York, maggio 1989

DEMOCRAZIA E DISORDINE

INTRODUZIONE

A partire dalla met degli anni Sessanta unondata interna zionale di protesta inizi a spazzare lEuropa occidentale, come pochi anni prima aveva fatto negli Stati Uniti. Usando mezzi d azione collettiva diretti, perturbativi, talvolta violenti, dei mo vimenti si riversarono nelle strade, nelle universit e ai cancelli delle fabbriche, invocando nuovi diritti, laccesso alle risorse e talvolta la rivoluzione. Mescolando una seria minaccia al ridicolo essi sconvolsero le istituzioni, si opposero alle lites, attaccarono le autorit in unondata di proteste che segn linizio di un nuo vo ciclo di mobilitazione. In un primo momento le proteste furono accolte con sorrisi e incomprensione. Ma via via che la spontaneit giovanile cedeva il passo alla protesta organizzata e che le dimostrazioni pacifiche sfociavano in scontri con la polizia, gli intellettuali furono pronti a riesumare diagnosi del passato: Anarchismo! sentenziava lu no; U topia! rispondevano gli altri. Via via che i movimenti cre scevano i critici vi vedevano nientaltro che violenza o utopia, e persino i simpatizzanti cominciarono a essere imbarazzati dai lo ro eccessi. Post coitum omne animai triste. Considerato dal punto di vista di ventanni dopo, il decennio che va dalla met degli anni Sessanta alla met degli anni Set tanta appare in una luce pi sfumata. Ci furono s eccessi, vio lenza e cosa peggiore di tutte terrorismo armato: ma comera avvenuto in periodi passati della politica di massa, una volta quietatosi il polverone divenne chiaro che i confini della comunit politica erano stati ampliati, un fatto questo che viene spesso dimenticato nel riflusso ideologico degli anni Ottanta. Ci furono dei cambiamenti nelle politiche pubbliche e nelle istitu zioni; nuovi quadri di riferimento furono introdotti in quello che Gramsci chiamava il senso comune delle democrazie capitali3

ste; e, cosa pi importante di tutte, un numero maggiore di cit tadini prendeva ora parte alle decisioni che influenzavano la loro vita e nuove forme venivano aggiunte alla gamma di possibilit della partecipazione politica. Sullonda degli anni Sessanta gli studiosi di scienze sociali, cos come i politici, tentarono di capire cosa stava succedendo. Erano discordi nelle loro valutazioni. Un primo gruppo provava repulsione per il disordine e la violenza, considerava questo pe riodo come una pazza aberrazione della tendenza postbellica del capitalismo moderno (Crozier, Huntington e Watanuki 1975). Nei conflitti degli anni Sessanta alcuni vedevano una riproposi zione del modo in cui, tra le due guerre, la democrazia era stata minata, dimenticando per, come ci ricorda Przeworski (1986), che la democrazia sempre un esito contingente del conflitto e non mai progredita senza lotta. Un secondo gruppo di studiosi si interess degli attori sociali coinvolti nei nuovi movimenti. Essi videro una generazione di giovani, sicuri della loro prosperit e sicurezza personale, che si ribellavano contro il materialismo dei loro genitori e letica dello sviluppo tipica del mondo postbellico (Feuer 1969). Ma questi osservatori studiarono gli atteggiamenti degli individui, non le loro azioni collettive e i loro fini (Inglehart 1971; 1977). Sepa rare latteggiamento personale dallazione collettiva e dal suo obiettivo rende impossibile comprendere perch il ciclo della protesta sia iniziato proprio allora, e perch non sia continuato indefinitamente. Un terzo gruppo i fautori della teoria cosiddetta dei nuovi movimenti sociali1 sosteneva che quello proposto dai nuovi movimenti era niente di meno che un nuovo paradigma politico (Offe 1985). Erano nel giusto, ma sottolinearono tal mente la novit dei movimenti da non accorgersi di quanto stretta fosse la loro simbiosi con la politica tradizionale. I nuovi movimenti la rifiutavano basandosi su motivazioni ideologiche, ma, alla fine del ciclo, si sarebbero dimostrati radicati in essa ancor pi profondamente di quanto loro stessi e i loro futuri in terpreti spesso le medesime persone avessero capito. L ondata di protesta iniziata alla met degli anni Sessanta era un breve momento di scompenso dellequilibrio politico postbel lico, come speravano i conservatori? Se cos era i movimenti po
1 C i sono troppi teorici dei nuovi movimenti sociali per poterli citare col posto e lo spazio che meritano. Per una loro rassegna vedi lintroduzione di B. Klandermans e S. Tarrow a Klandermans, Kriesi e Tarrow (a cura di), 1988.

tevano essere tranquillamente considerati una ribellione giova nile e studiati come una manifestazione di alienazione o di anomia. Era essa il prodotto di atteggiamenti individuali post-materialisti? In questo caso perch allora si prolungata fino agli anni Ottanta? Costituiva forse una rottura permanente col pas sato, come credevano i teorici del nuovo movimento sociale? In questo caso ne sarebbe seguito un drammatico sconvolgimen to dellassetto politico-economico postbellico ma cos non stato. Oppure il ciclo non era tanto importante in se stesso quan to per i cambiamenti che indicava nelle societ occidentali e nelle loro forme acquisite di partecipazione? Se cos era, si dovrebbe analizzare lintera struttura del conflitto, e non solo i suoi aspetti pi perturbativi, le sue componenti attitudinali o le sue caratte ristiche nuove pi evidenti. Q uestultima posizione lipotesiguida di questo libro. Se non inseriamo i movimenti della fine degli anni Sessanta e degli inizi degli anni Settanta nei loro con testi sociali e politici nazionali non siamo in grado di giudicare n la loro novit n la loro ampiezza, e nemmeno il loro impatto sulla democrazia. Se non li studiamo nel loro insieme, evitando la tentazione di privilegiare questa o quella grande lotta, rischia mo di esagerare sia la loro peculiarit che la loro violenza. Per finire, se non li studiamo dal loro punto di vista dinamico cor riamo il pericolo di dimenticare che sono stati parte di un ciclo ricorrente di mobilitazione e smobilitazione che si ripete prati camente in ogni generazione. Come osserva Alessandro Pizzorno, se non prestiamo attenzione alla ciclicit della protesta, ad ogni nuovo insorgere di unondata di conflitto saremo indotti a ritenere d essere alle soglie di una rivoluzione, e quando londata inizia a calare predirremo la fine del conflitto di classe (Pizzorno 1978, p. 291). Ci che successo in Europa occidentale e negli Stati Uniti negli anni Sessanta e Settanta non stata che la pi recente di una sequenza di cicli di protesta che periodicamente nata da conflitti strutturali politici di base nella societ capitalista. Ben ch il contenuto del ciclo fosse nuovo cos come lo erano in qualche misura i suoi attori e forme d azione esso ha seguito una parabola simile a quella delle precedenti ondate di mobilita zione. I conservatori forse lo considerarono pericoloso, ma se seguiva la logica della maggior parte dei cicli passati dalla rot tura allistituzionalizzazione, dalla lotta alla riforma avrebbe potuto avere solo un effetto di crescita su quella democrazia che essi affermavano di voler difendere. C era molto di nuovo nei movimenti di quegli anni; ma la 5

carica esplosiva del ciclo non proveniva n dal suo essere nuovo n dal suo essere vecchio, quanto da combinazioni di nuovo e vecchio, di movimento e di istituzione. Nei paesi in cui la situa zione politica era instabile e vi erano alleati disponibili per i mo vimenti come lItalia londata di mobilitazione si prolun gata; mentre l dove le coalizioni erano stabili o le lites repres sive, le opportunit di protesta sono rapidamente svanite e ne seguita una smobilitazione. Il disordine nacque s dalla struttura fondamentale di conflitto della societ capitalista, ma fu attra verso la politica di ciascun paese ch eja forma e le dimensioni del ciclo di protesta si determinarono. E su queste premesse che si basa questo lavoro.

1. Il ciclo della protesta in Italia


Date queste ipotesi, avremmo potuto procedere in svariati modi: risalendo nella storia per individuare un certo numero di diversi cicli di protesta, confrontando la forma e il contenuto del ciclo pi recente in diversi paesi, o incentrandoci su un singolo paese che fosse allinterno del contesto internazionale ma mani festasse effetti peculiari della sua storia e della sua politica. Io ho scelto di soffermarmi sul ciclo di protesta in Italia tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta. In quegli anni nacque e si esaur nella societ italiana una lunga ondata di azione collettiva. Essa irruppe per la prima volta con violenza in Alto Adige e poi comparve in scioperi organizzati e nella contestazione universitaria per finire col diffondersi agli operai e agli studenti liceali, a Nord e a Sud, a medici e pazienti, a ferrovieri e viaggiatori, a preti e parrocchiani, a regioni e citt rivali. Sfoci, nel decennio successivo, in una combinazione di violenza e istituzionalizzazione, ma solo dopo che si era raggiun to un culmine di mobilitazione di massa quale mai il paese aveva vissuto dai tragici anni del 1919-222. Quando i ricercatori hanno voluto assumere una data e un paese a emblema dellEuropa della fine degli anni Sessanta, si
2 II periodo 1943-48, quando il fascism o era stato sconfitto ma lassetto po litico postbellico non era ancora stato attuato, rivaleggia col nostro come inten sit del conflitto. Tuttavia gran parte del conflitto di questo primo periodo era limitata alle fabbriche.

sono rivolti alla Francia del maggio 19683, ma se gli eventi fran cesi furono spettacolari, la loro durata fu per breve e i loro ef fetti sociali rapidamente mutati di segno (Salvati 1981). Il ciclo italiano inizi prima, dur pi a lungo e influenz la societ e la politica pi profondamente di quello francese. Questi fatti gi da soli esigono che gli si presti molta pi attenzione di quanta ne abbia sinora ricevuta4. Un tale esame dimostrer che per capire la democrazia italiana contemporanea dobbiamo trascendere la visione secondo cui il periodo che va dal 1945 ad oggi non sa rebbe altro che un lungo spettacolo allitaliana5. G li studiosi della democrazia sono rimasti sempre colpiti dal lapparente mancanza di stabilit della politica italiana. Ma se gli effetti del disordine sulla democrazia possono essere negativi, non dobbiamo commettere lerrore di concludere che la stabilit sia laspetto pi importante della democrazia o che come so stengono alcuni studiosi della teoria della democrazia essa stessa sia la democrazia tout court. D altra parte sarebbe errato concludere pi disordine uguale pi democrazia, anche se una democrazia in cui il disordine fosse impossibile non sarebbe af fatto una democrazia. In netto contrasto con una tradizione interpretativa consolidata, io sosterr che nel periodo tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta la democrazia italiana non solo so pravvissuta alle sue crisi, ma emersa come una democrazia ca-l pitalista matura bench altamente conflittuale. Il ciclo di prote sta ha lasciato il paese con amarezze e divisioni, ma anche con un certo numero di importanti acquisizioni: alcune riforme-chiave, una gamma pi ampia di strumenti di partecipazione democra- ! tica, e alcuni elementi di una nuova cultura politica. I disordini
3 In realt, molti autori inconsciamente fanno rientrare il Sessantotto italiano negli eventi del M aggio francese. Per un esempio tipico vedi il trattamento tran salpino da parte di M artin Clark (1984, p. 374), il quale ha forse dimenticato che il movimento studentesco italiano aveva anticipato il M aggio francese di almeno un anno. 4 La maggior parte della letteratura esistente costituita da ricordi personali, apologie e resoconti ideologici e organizzativi, gran parte dei quali si incentra disordinatamente sul movimento studentesco. Per quanto ne sappia io, solo uno studioso ha tentato una ricostruzione di tutto il periodo, Bob Lumley nel suo eccellente Social Movements in Italy, 1968-78, tesi di dottorato, Centre fo r Contemporary Cultural Studies, Universit di Birmingham, Inghilterra, 1983. G li so no particolarmente grato per avermi permesso di leggerlo e di citarlo. Per una trattazione particolarmente valida del periodo pi breve del 1968, vedi Ortoleva 1988. 5 Cfr. LaPalom bara 1987, cap. II.

della fine degli anni Sessanta e degli inizi degli anni Settanta hanno generato un periodo di cambiamento politico che in ulti ma analisi stato fruttuoso per la democrazia italiana, e negli anni O ttanta le ha permesso di cominciare ad affrontare il pro blema della riforma istituzionale. In questo libro mi porr domande del tipo: qual stato il ruolo delle organizzazioni rivoluzionarie dei movimenti sociali di quel periodo nel far passare lItalia da un periodo di relativa pace sociale a uno di turbolenza generalizzata? Quali gruppi sociali hanno sostenuto i movimenti, e in che modo gli organizzatori di questi movimenti hanno cercato di attrarli a s? Che obiettivi avevano i movimenti, e cosa erano preparati a fare per ottenerli? In che modo le loro richieste si rapportavano ai programmi po litici dei principali partiti ed organizzazioni sindacali? Una volta lanciata una protesta, con quale combinazione di riforma e di repressione hanno risposto le lites e le forze dellordine? E per finire: in che modo terminato il ciclo? Nella violenza? N elli stituzionalizzazione? O in una combinazione simbiotica delle due? E perch i temi cruciali della riforma istituzionale non sono stati affrontati sino al decennio successivo?

2. Protesta, movimenti sociali e politica


Questa nostra attenzione per la protesta solleva immediata mente il problema di una sua definizione. Definir protesta lim piego dellazione collettiva disgregante, diretta contro le istitu zioni, le lites, le autorit pubbliche o altri gruppi a sostegno degli obiettivi collettivi dei suoi fautori o di coloro che essi af fermano di rappresentare. Ci sono in questa definizione cinque elementi principali. Innanzitutto le proteste sono azioni collettive dirette, non de legate, i cui autori rifiutano la mediazione istituzionale. Grazie al loro contenuto di audacia e al loro effetto-sorpresa , esse creano incertezza tra gli interlocutori riguardo ai limiti fin dove sono disposti ad arrivare coloro che protestano, e permettono loro di superare almeno temporaneamente la debolezza e la mancanza d organizzazione abituali. In secondo luogo le proteste mirano prevalentemente a per turbare, e non specificamente alla violenza. Bench la violenza sia la forma estrema di protesta, coloro che protestano cercano pi spesso di sconvolgere i processi economici, lattivit gover

nativa e il normale svolgimento della vita di ogni giorno che non a uccidere o a distruggere beni materiali (Eisinger 1973). In terzo luogo le proteste sono espressive. Con questo non intendo dire che non possano avanzare richieste strumentali, ma solo che per attirare lattenzione e ottenere solidariet le loro richieste sono spesso espresse in termini simbolicamente caricati e non negoziabili (Pizzorno 1978). In quarto luogo, per quanto siano espressive, le proteste com portano delle richieste che coinvolgono altri gruppi o alcune lites politiche o economiche. Queste richieste possono essere concrete 0 simboliche, ma trasmettono una domanda di cambiamento di status, e spesso il desiderio di guadagnarsi un posto nella comu nit politica. In quinto luogo, bench ricorrano ad azioni non convenzio nali secondo modalit espressive, coloro che protestano effettua no scelte strategiche riguardo ai tempi, agli obiettivi e ai fini. C o me nelle decisioni politiche ed economiche, anche la decisione di partecipare allazione collettiva il risultato di un intergioco di incentivi, probabili rischi e costi percepiti. In altri termini io considero la protesta non unazione di mas sa incontrollata, ma una forma di espressione politica che le sito di un calcolo dei rischi, dei costi e degli incentivi. I gruppi protestano o quando non sono disponibili altri modi di esprimere 1 loro interessi o i loro valori, o quando gli incentivi alla protesta sembrano pesare pi dei costi e dei rischi. Segue da questi pre supposti che la probabilit che i gruppi ricorrano a unazione col lettiva varia non solo in funzione di quanto sono avvertite le loro domande, ma anche a seguito della disponibilit di mezzi d e spressione alternativi, dei costi e dei rischi percepiti dellazione collettiva e della presenza o assenza di eventuali organizzatori. Di consenguenza la protesta pu crescere anche quando le do mande rimangono immutate.

Il settore dei movimenti sociali


Quali gruppi ricorrono alla protesta? Sono soltanto dei mo vimenti sociali organizzati? Sono gruppi anomici o ad hoc? Sono normali associazioni d interesse prese da una febbre tempora nea? O tutte e tre queste cose? Io sosterr che la caratteristica distintiva di un ciclo di protesta lallargamento del settore dei movimenti sociali cos da includervi quei gruppi che normalmente non ricorrerebbero a unazione collettiva al di fuori di un ambito convenzionale. 9

La protesta stata frequentemente associata solo alle azioni dei movimenti sociali, che sono state definite in molti modi, ma che noi con Tilly intenderemo come una sfida organizzata, con tinuata e consapevole alle autorit esistenti. Una classe speciale di questi movimenti, che Tilly chiama movimenti sociali nazio nali, quella in cui coloro che lanciano le sfide sono in conflitto con chi guida gli stati nazionali (1984, p. 304). Allinterno di questi movimenti si costituiscono delle organizzazioni che cer cano di rappresentare, guidare e dare nuova forma al movimen to, spesso in competizione reciproca per avere il suo sostegno. La protesta ha una funzione particolare per le organizzazioni di movimento, perch sopperisce alla loro mancanza di incentivi selettivi (Olson 1968). i movimenti mancano lorganizzazione e le risorse convenzionali con le quali attrarre e mantenere a s i sostenitori. Avanzando alle ltes o alle autorit delle richieste molto visibili, eclatanti e spesso irrealistiche, essi non solo at traggono e influenzano nuovi sostenitori, ma rafforzano anche la solidariet dei vecchi, conquistandosi lattenzione sia dei nemici sia degli alleati. Per i movimenti, lazione collettiva una risorsa utilizzabile in sostituzione degli incentivi accessibili a gruppi pi convenzionali (Lipsky 1968). Ne segue che quando perdono il sostegno, essi possono o cercare di protestare in modo pi radi cale o cercare di assumere il controllo di incentivi selettivi. Questa caratteristica delle organizzazioni dei movimenti ri guardo alla protesta comporta il fatto che per quanto la protesta si incentri sugli interessi e sui valori dei gruppi sociali, non ci si pu aspettare che sparisca in funzione diretta della soddisfazione dei loro interessi. Per una organizzazione di movimento in particolare nella sua fase di formazione le funzioni della pro testa vanno oltre lottenimento delle richieste dei sostenitori (Pizzorno 1978). Tali organizzazioni spesso continuano a prote stare molto tempo dopo che i temi politici originari sono scom parsi dal loro programma, perseguendo obiettivi che potrebbero essere considerati irrazionali se lunico scopo dei gruppi fosse il loro raggiungimento. Cos, dopo aver avuto avvio dagli interessi concreti degli attori sociali, un ciclo di protesta genera delle or ganizzazioni di movimento che lo sospingono avanti anche quan do questi interessi sono stati soddisfatti, eliminati, o sono dive nuti irrilevanti. Bench i movimenti spesso ricorrano alla protesta per otte nere dei vantaggi, questi vantaggi per le organizzazioni dei mo vimenti non vanno visti in termini strettamente economici, quanto strumentali ai loro pi ampi interessi, che sono quelli di

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consolidarsi, di mantenere la loro coesione interna e reputazione esterna, di distinguersi da nemici e concorrenti. Ecco perch non possiamo sperare di capire i movimenti sociali come semplici ag gregati dei desideri dei singoli di ottenere benefici economici razionali6. Un ciclo di protesta iniziato attraverso le richieste concrete degli attori sociali stimola la formazione e la trasforma zione di organizzazioni di movimento che lo portano avanti an che dopo che queste richieste sono state accettate, ignorate e rese irrilevanti.

Movimenti e altri gruppi


Malgrado siano gli attori pi centrali e visibili delle ondate di protesta, i movimenti organizzati non monopolizzano lazione collettiva durante queste fasi. Da una parte, infatti, nascono for me spontanee di azione collettiva che trovano una piattaforma per le proprie domande nellorganizzazione della vita quotidia na; dallaltra, in particolare quando il disordine generale, i gruppi d interesse, i partiti politici e le istituzioni utilizzano la protesta per ottenere il soddisfacimento delle richieste dei loro aderenti. Bench in periodi pi tranquilli operino allinterno del le istituzioni, durante le ondate di protesta questi gruppi com petono coi movimenti convenzionali adottando, sebbene in for ma pi convenzionale, tattiche non convenzionali. Sofferman dosi unicamente sulle azioni dei movimenti organizzati, molti studiosi non colgono il ruolo importante che ricopre, nel raffor zare un ciclo di protesta, lazione collettiva, sia spontanea sia istituzionalizzata.

Movimenti e competizione politica


Il fatto che abbiamo incluso nel nostro studio le assemblee ad hoc, i gruppi d interesse e i gruppi istituzionali fa capire che par leremo di un ciclo di protesta che , al tempo stesso, interiormen te differenziato e politicamente competitivo. Queste caratteristiche
6 Un buon esempio dei rischi di una concezione strettamente economica della partecipazione in Olson (1968), il quale ha sottolineato la difficolt di stimolare la partecipazione di gruppo proprio nel momento in cui il mondo occidentale stava vivendo unesplosione di partecipazione. Vedi la stimolante critica in Hirschman 1982.

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del settore dei movimenti sociali aiutano a spiegare le dinamiche del ciclo. Infatti la presenza di un pubblico di massa disponibile alla mobilitazione, la competizione per avere il suo sostegno en tro i movimenti organizzati e tra essi e i gruppi d interesse e i partiti costituiti, porta svariati gruppi e partiti ad adottare forme diverse di interazione con le lites e le autorit. Mentre alcuni adottano le strategie pi radicali, altri puntano a uno status pi istituzionale, allinterno del quale cercano di ottenere il controllo di risorse da mettere a disposizione dei loro sostenitori. Le lites possono incoraggiare e sfruttare queste diversit, nonch acuirle attraverso una repressione e una facilitazione d if ferenziali. La repressione costringe alcuni gruppi alla clandesti7 nit, dove lunica tattica che rimane la violenza, mentre altri sono indotti ad abbandonare lattivit del movimento sociale. Quando la strategia dello Stato intelligente e differenziata, le dinamiche del ciclo vengono disinnescate attraverso un equili brio tra lo Stato e il sempre pi conflittuale settore dei movi menti sociali.

Il repertorio di possibilit dellazione collettiva


Questa differenziazione interna e competizione allinterno del settore del movimento sociale pu essere vista nel modo mi gliore attraverso levoluzione delle forme di azione collettiva cui si ricorre in fasi diverse del ciclo. Scrive Charles Tilly (1978, p. 151):
In un qualsiasi momento il repertorio di possibilit delle azioni col lettive disponibili a una popolazione sorprendentemente limitato, se si considerano gli innumerevoli modi in cui la gente potrebbe, in teoria, utilizzare le proprie risorse nel perseguimento di obiettivi comuni, e dati i molti modi in cui in unepoca storica o in unaltra i gruppi hanno per seguito i loro scopi comuni.

Nel corso dei secoli il repertorio dellazione collettiva cambia molto lentamente, perch limitato sia dal ritmo del cambia mento strutturale (per esempio, capitalismo, sviluppo dello Sta to) sia dalle aspettative circa le forme legittime d azione. Questo repertorio rientra nel ben noto scenario d azione che conduce alla violenza e alla detenzione, ma le cui regole sono note a tutti. Una data forma d azione collettiva non solo ci che i gruppi fanno quando sono coinvolti nel conflitto: anche ci che una 12

societ giunta ad aspettarsi che facciano allinterno di un insie me di opzioni culturalmente sanzionato e limitato7. M a un ciclo di protesta costituisce uneccezione importante al ritmo lentissimo col quale evolve il repertorio di forme di azio ne collettiva. Allinterno di questi cicli nuove forme di azione collettiva si succedono con rapidit. I gruppi adottano nuove for me d azione e le combinano con le vecchie, forme espressive si mescolano a forme strumentali, nuovi attori entrano in scena e altri adottano le loro forme d azione pi suscettibili di successo. I cicli di protesta sono il crogiolo entro il quale si altera il reper torio delle possibilit dellazione collettiva. Nel corso di un ciclo le forme di azione collettiva cambiano via via che gruppi diversi, con risorse e tradizioni diverse, en trano nel gioco, e via via che la capacit di perturbazione delle forme ereditate di azione collettiva svanisce. Le forme di azione collettiva sono anche influenzate dalle dimensioni e dalla com petitivit allinterno del settore dei movimenti sociali. Via via che appaiono nuovi gruppi che esigono il sostegno delle masse, infatti, la competizione interna porta alcuni ad adottare forme di azione sempre pi radicali, mentre altri si dirigono verso le isti tuzioni per accedere alle risorse. Vedremo pi avanti in che mo do questa spirale di differenziazione tattica sia legata alla dina mica del ciclo. La competitivit allinterno del settore dei movimenti fra destra e sinistra, e fra partiti, sindacati e mo vimenti una ragione chiave dellintensit del ciclo in Italia.

3. I cicli di protesta
Osserva Peter Gourevitch (1986, p. 9) a proposito dei cicli economici:
Sette anni di vacche grasse, sette di vacche magre il racconto biblico esprime il concetto di ciclo economico [...] Il sogno del faraone pu essere inesatto riguardo alla lunghezza di ciascuna fase particolare, ma col concetto di ciclo esso coglie un aspetto importante della realt.

7 Come scrive Stinchcombe (1987, p. 1248), gli elementi del repertorio d a zione collettiva sono dati [...] simultaneamente dalle capacit dei membri della popolazione e dalle forme culturali della popolazione.

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I cicli economici sono di lunghezza irregolare, non sono pre vedibili nelle origini e sono variabili di forma. Ricorrono abba stanza spesso e hanno dato origine a una letteratura sufficentemente vasta da averli resi un tema centrale della teoria econo mica. Non altrettanto pu dirsi per i cicli politici. Lungo tutto larco della storia vi sono state delle variazioni regolari nei fenomeni politici: la nascita e la caduta di imperi, i cicli di riforma, le elezioni critiche, i cicli di impegno politico. Tuttavia lo studio dei cicli politici raramente andato oltre le classificazioni o le indagini pi generiche sulle loro cause. Ci che deve ancora essere spiegato non sono le cause che periodi camente spingono i cittadini ad avanzare richieste dandosi a scio peri, dimostrazioni, tumulti, saccheggi e incendi, quanto il per ch lo facciano in particolari momenti della storia, magari attenendosi a una qualche sequenza logica. La gente si riversa nelle strade e protesta in risposta a do mande e opportunit profondamente sentite, ma questo genera un ciclo solo quando i conflitti strutturali sono sia profondi che visibili, e quando il sistema politico lascia spazio alle possibilit di una protesta di massa. I cicli iniziano allinterno delle istitu zioni attraverso forme organizzate di azione collettiva. Da l pas sano a un momento di follia, o di rottura (Zolberg 1972). E questultimo, con il culmine di mobilitazione che esso genera, a fornire i modelli dellazione collettiva, le persone, i temi e le nuo ve strutture interpretative che danno nuova energia alle forme convenzionali di azione collettiva. Via via che nuovi gruppi si mobilitano e i movimenti organizzati cercano di attrarli a s, la competizione porta a una radicalizzazione dellazione collettiva. Essa fa in modo che a richieste pi specifiche si sostituiscano programmi pi generali, conducendo a una maggiore ideologizzazione e al ricorso alla violenza. Il risultato che molti partecipanti rifiutano lazione collettiva e tornano a rifugiarsi nel privato mentre altri cercano dei ruoli allinterno delle istituzioni, e una piccola minoranza elabora forme d azione violenta che accrescono il ricorso alla repressione da parte dello Stato e il rifiuto dellazione collettiva da parte del pubblico. Il ciclo termina dunque per via della sua dinamica politica interna, e non perch i problemi economici siano risolti, o perch il coinvolgimento privato sostituisca quello pubblico nelle preoccupazioni dei gruppi (Hirschman 1982). 14

La struttura delle possibilit politiche


Questo approccio porta la nostra attenzione sulle condizioni politiche nelle quali il ciclo inizia, si evolve e termina, perch a seguito di queste condizioni che la protesta diventa plausibile e pu diffondersi dalle sue sedi originarie ad altri settori della so ciet. Tra queste condizioni possono esservi: la divisione tra le lites, la parziale apertura allaccesso di gruppi prima marginali, la comparsa di nuovi gruppi sociali con nuove risorse e la diffu sione di nuove strutture interpretative allinterno della societ8. I cambiamenti nella struttura delle possibilit politiche for niscono ai gruppi delle risorse che accrescono lefficacia della lo ro protesta per esempio una stampa che li guardi con favore o dei partiti politici che cerchino un vantaggio elettorale oppure ancora i costituenti della coscienza (McCarthy e Zald 1977). Inoltre spingono a protestare alcuni gruppi non rappresentati, inducendoli a credere che i costi della protesta siano abbassati come quando un partito politico che li vede con favore entra in una coalizione governativa e afferma di non essere disposto a dare sostegno alla repressione. Per finire, questi cambiamenti aiutano i ceti popolari a individuare i punti di vulnerabilit del sistema, permettendo loro di superare la propria mancanza d u nit e d informazione. Una struttura aperta delle possibilit politiche contribuisce a dare il via a un periodo di protesta, ma non rimane immutata durante il suo svolgimento. Da una parte i primi arrivati del ciclo di protesta se hanno successo forniscono dei modelli d azione e una prova della vulnerabilit delle lites, tali da indur re dallaltra nuovi attori a entrare nel settore e alcuni apparte nenti allarena politica a offrirsi come alleati; ma dallaltra il suc cesso di chi protesta pu far scattare delle reazioni i cui effetti sbarrano la strada alle possibilit politiche. Si verifica una con tromobilitazione, vi una reazione di rigetto nellopinione pub blica, le forze dellordine si ricompattano adattandosi alle nuove sfide. In alcuni casi come in Italia nasce un movimento di segno opposto che sfida fisicamente il movimento, radicalizzando il conflitto e accelerando il calo della partecipazione di massa. Nel caso dellTtalia studiare la struttura delle opportunit po litiche significa esaminare il sistema dei partiti, in seno al quale
8 Per delle tipologie e analisi pi dettagliate della struttura delle possibilit politiche vedi Eisinger 1973, Mcdam 1982, Kitschelt 1985 e Tarrow 1983.

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sono maturate molte delle tendenze responsabili del ciclo, non ch il riallineamento politico confuso, contraddittorio e incerto della met degli anni Sessanta. E ormai di moda considerare un fallimento il centro-sinistra degli anni Sessanta; io sosterr inve ce che esso ha generato molti dei temi, alcuni dei leader e tutte le opportunit politiche allinterno delle quali sono maturati i movimenti di protesta. I nuovi movimenti degli anni Sessanta e Settanta sono dipesi per molti versi dalle opportunit politiche create dal periodo del centro-sinistra: dallo sconvolgimento del sistema dei partiti da esso prodotto, dagli alleati di percorso al linterno della classe politica, nonch dalla combinazione tra le nuove proposte politiche e la totale incapacit di elaborarle mo strata dai governi di centro-sinistra. Tuttavia non avvenuto solo che il sistema di partiti abbia fornito delle opportunit politiche ai movimenti di protesta, ma anche il contrario: i partiti e i gruppi d interesse hanno anche utilizzato le opportunit politiche presentate dal ciclo di prote sta. La presenza di una base di massa attiva e pronta a mobilitarsi per unazione collettiva perturbativa, infatti, costituendo per la classe politica una minaccia, le ha dato lincentivo a portare avanti delle riforme che altrimenti avrebbero potuto essere bloc cate, e pu aver contribuito a evitare quellinvoluzione reazio naria che alcuni allepoca ritenevano possibile. Le opportunit politiche create dai movimenti non si limita rono per ai partiti della sinistra e ai sindacati confederali; agli inizi degli anni Settanta vi furono sia un rafforzamento dei co siddetti sindacati autonomi che un rigurgito della destra. Il pri mo doveva molto alla conflittualit creata dai movimenti e il se condo dipendeva dal backlash generato dallapparente incontrol labilit del settore dei movimenti sociali. Questa minaccia a sua volta stata una delle ragioni del coagularsi della sinistra istitu zionale intorno a un progetto di solidariet nazionale. Fu pro prio il fatto che nel 1976 il principale partito d opposizione di sinistra si fosse inserito nel sistema ad aprire il periodo pi di sperato del terrorismo organizzato. Le opportunit politiche hanno contribuito anche a chiudere il ciclo: quando esso terminato, infatti, invece di portare a un nuovo paradigma politico, come alcuni teorici avevano pronosti cato, alcuni movimenti hanno generato sette e bande terroristiche, altri si sono evoluti in partiti o gruppi d interesse, e un gran numero di persone che erano state accolte nei movimenti sono passate nel sistema dei partiti esistente. Via via che la mobilita zione andata calando le lites hanno riaffermato la propria au 16

torit attraverso una combinazione di riallineamenti, repressione e riforme. Quello che era iniziato come un movimento contro la politica terminato dentro la politica: il ciclo di protesta ha for nito la materia prima di una nuova fase di sviluppo politico.

Le dinamiche del ciclo


Riassumendo quanto detto sinora, il ciclo di protesta pu es sere visto come una serie di decisioni, individuali e di gruppo, volte a intraprendere unazione collettiva nel contesto di alcuni fattori sistemici generali, bench non uniformemente vissuti, che danno il via al ciclo e contribuiscono a mantenerlo in vita. Come nel ciclo economico, in quello politico i fattori originari che danno vita alla protesta sono strutturali, ma non sono in gra do di spiegare direttamente tutte le azioni che si verificano du rante il suo corso. Una volta che il ciclo iniziato, le azioni di alcuni gruppi fanno scattare le reazioni degli ultimi arrivati, reazioni che possono essere indipendenti dai fattori strutturali che hanno spinto i primi arrivati. Consideriamo come esempio una depressione. I fattori gene rali che le danno inizio e la prolungano sono sia strutturali (per esempio iperproduzione, tassi e margini d interesse che induco no al rischio) che situazionali (per esempio il clima del mondo degli affari). E ssa inizia quando singoli gruppi spesso in ri sposta a un fattore di scontento improvvisamente comparso qua le un crollo della Borsa perdono fiducia nel mercato, poi ampliata dalle reazioni allimpatto di questi effetti per esem pio dallimitazione (quando inizia la corsa agli sportelli delle ban che) o dalla reazione (quando queste paure portano alla preclu sione del diritto di riscatto delle ipoteche) e ha termine quando il governo e altri gruppi di potere intraprendono una zione per invertire il ciclo, e i gruppi reagiscono tornando agli abituali comportamenti economici o inventandone di nuovi. La dinamica di un ciclo di protesta pu essere vista allo stesso modo, con leccezione che ci che fa progredire un ciclo di pro testa la decisione di alcuni gruppi eli intraprendere azioni col lettive contro le lites, altri gruppi o le autorit pubbliche. I cicli di protesta sono anche simili ai cicli economici nel senso che le organizzazioni crescono in risposta a un aumento delle richieste dei gruppi. Questi gruppi possono essere nuovi o vecchi. Essi competono per il sostegno dei gruppi con diverse combinazioni di programmi e forme d azione. 17

Se un aumento delle richieste a portare alla formazione di nuovi movimenti organizzati e a indurre i vecchi a entrare nel settore dei movimenti, cosa porta al progressivo esaurirsi del ci clo? Non possibile una risposta in astratto; tuttavia gli elementi sinora addotti ci forniscono le basi per una spiegazione. Proprio come stata la mobilitazione popolare ad aver inizialmente in dotto i gruppi a protestare e ad aver portato i movimenti orga nizzati a coagulare le loro richieste, allo stesso modo la smobi litazione prodotta dalla stanchezza, dalla repressione e dalla riforma a portare alla fine del ciclo. I gruppi cessano lazione collettiva perturbativa quando le loro richieste immediate sono soddisfatte, quando si stancano dei rischi e dei costi sostenuti e quando diventa troppo pericoloso riversarsi nelle strade. Le ragioni di questultimo aspetto sono lelemento pi con troverso del ciclo. Esso dipende in parte dal fatto che la polizia diventa pi aggressiva via via che le pressioni politiche le hanno addossato lonere di porre fine ai disordini, ma anche dal fatto che, cercando di ottenere sostegno, i movimenti organizzati si superano e attaccano reciprocamente con mezzi sempre pi ra dicali. Proprio come, al culmine di un ciclo economico, la gente continua a investire e a costituire nuove societ in un momento in cui la domanda in calo, allo stesso modo in una certa fase del ciclo di protesta continuano a costituirsi nuovi movimenti orga nizzati anche se la partecipazione in declino. Il risultato che vi un numero sempre maggiore di movimenti organizzati in competizione per ottenere ladesione di una base sempre pi ri stretta di sostenitori potenziali. Questa ricerca di adesione av viene ricorrendo a una retorica e a forme d azione collettiva sem pre pi radicali. L esito finale la violenza, che porta molti ad abbandonare lattivit del movimento, e di conseguenza al ter mine del ciclo.

4. Metodi e obiettivi
La strategia della ricerca or ora riferita sarebbe quella di stu diare empiricamente le azioni collettive di chi effettua una pro testa e le loro interazioni con altri soggetti e con le autorit pub bliche, lungo un certo arco di tempo, per vedere in che misura la forza e le forme osservate del conflitto sociale e politico coinci dano con questo modello basato sulla partecipazione, i movimen ti organizzati, la competizione, la violenza e il progressivo calo 18

del ciclo. Come far questo effettivamente tuttaltro problema. Alla fine degli anni Sessanta negli Stati Uniti un certo nu mero di studi quantitativi dellazione collettiva furono stimolati dalla guerra del Vietnam e dalle manifestazioni di violenza nei ghetti neri. Questi studi cessarono di apparire poco dopo la fine degli anni Sessanta, in parte perch gli americani, come gli ita liani un decennio pi tardi, ne avevano avuto abbastanza dei di sordini, ma anche perch la maggior parte delle ricerche studiava la violenza utilizzando statistiche governative che vedevano ben poco al di l di essa; si prestava cos poca attenzione a gran parte delle proteste non-violente o ai processi di mobilitazione e smo bilitazione. Due importanti eccezioni furono la ricostruzione storica a lungo termine del conflitto sociale americano da parte di William Gamson (1975) e lopera di Charles Tilly e dei suoi collaboratori in Francia e Inghilterra9. Entrambi questi studiosi hanno elabo rato unampia concezione dellazione collettiva nella quale la vio lenza rappresentava una variabile e gli interessi di gruppo erano centrali: intorno allo studio dei gruppi sfidanti nel caso di Gamson e del contendere nel lessico di Tilly. Attraverso la nalisi dei giornali e delle fonti documentarie entrambi sono riu sciti a collegare i resoconti dellazione collettiva dei movimenti alle reazioni delle lites, degli oppositori e dei gruppi alleati lungo un certo arco di tempo. Quali che fossero i vantaggi e gli svantaggi di questi approcci, in Italia essi sono penetrati lentamente nelle scienze sociali, men tre i movimenti continuano a essere ampiamente studiati attra verso i loro documenti, le loro affermazioni ideologiche e le de cisioni strategiche dei loro leader (per delle eccezioni importanti si vedano le opere di Alberoni, Della Porta, e soprattutto di Melucci citate nella bibliografia). Questo libro cercher di correg gere questo squilibrio incentrandosi prevalentemente sulla nasci ta e sulla caduta, sulla diffusione e la composizione della mobi
9 Voglio segnalare il mio debito a Tilly, il cui contributo a questo studio stato personale oltre che professionale. Tra i suoi contributi alla teoria e allana lisi dellazione collettiva i pi importanti sono probabilmente il suo lavoro sulla Vandea (1964), il suo commento sul contributo dello studio dellazione collettiva europea allo studio della violenza americana (1969), lanalisi sua e di Edward Shorter degli scioperi francesi (Shorter e Tilly 1974), il quadro teorico che egli ha elaborato per lo studio dellazione collettiva (1978) e la sua recente ricostruzione della storia dellazione collettiva in Francia (1986a). La sua opera sullInghilterra tuttora in corso (ma vedi Tilly 1978 e 1986, per delle anticipazioni della sua ricerca).

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litazione di massa, collegandola alle strategie dei movimenti e delle organizzazioni che affermano di guidarli. A questo fine operer in molti modi. Utilizzando alcune fonti giornalistiche, come fa Tilly, studier sia gli aspetti qualitativi che quantitativi di un gran numero di proteste lungo un certo arco di tempo. Come Gamson mi soffermer sugli esiti della pro testa, ma nel quadro di un periodo storico molto pi breve. I dati provenienti dai giornali saranno integrati da informazioni tratte da resoconti ufficiali, da fonti documentarie e da colloqui per sonali su movimenti particolari. Ci sono molte cose che uno studio della protesta effettuato in questo modo non in grado di mettere in luce. Per esempio, esso pu solo permettere delle inferenze a distanza sulle ideologie e gli obiettivi profondamente sentiti dei leader e dei loro seguaci, ma non pu analizzare quelle azioni che hanno luogo nel privato, lontano dalla pubblica attenzione, bench il loro effetto sul lungo periodo possa essere im portante10. N questo approccio in gra do di penetrare nei calcoli strategici, nei processi intergruppo o nelle strutture delle organizzazioni o delle reti del movimento sociale11. Queste obiezioni dovrebbero fungere da caveat importanti, ma non vanno sopravvalutate. Il compito di studiare i movimenti sociali attraverso la registrazione pubblica delle loro azioni dif ficile ma non impossibile, se non altro perch sia le organizza zioni che le ideologie dei movimenti possono essere colte attra verso le azioni di persone che agiscono collettivamente nel perseguimento dei loro interessi. Individueremo gli attori attra verso i resoconti delle loro azioni e richieste; utilizzando fonti complementari possiamo sia individuare le organizzazioni coin volte, sia scoprire qualcosa sui loro rapporti; collegando tra loro gli episodi di protesta nello spazio e nel tempo possiamo ipotiz zare la loro dinamica di fondo e il modo in cui si rapportano sia ai fattori strutturali che a quelli congiunturali. Poich quello che ci interessa lazione collettiva svolta pub
10 Viene da pensare, per esempio, al movimento femminile, per il quale il personale politico. 11 Melucci (1988) ha criticato questa metodologia sulla base che ci che vie ne osservato (utilizzando queste tecniche) in realt il prodotto dei rapporti e significati che costituiscono la struttura dellazione. L episodio di protesta il risultato oggettivato [...] di un intreccio di significati e rapporti, di un processo costruzionale che la base dellazione. Melucci forse sottovaluta limportanza dei risultati oggettivati per i rapporti di potere tra gruppi e nellinfluenzare le reazioni dello Stato.

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blicamente, i resoconti dei giornali sono una fonte di dati quasi obbligata. Agli scettici questo pu far pensare aUimmagine di un meccanico conteggio di elementi d informazione privi di alcun significato. M a oggi lanalisi del contenuto dei documenti gior nalistici andata molto oltre le sue origini, oltre il semplice con teggio degli scioperi, dei disordini e delle dimostrazioni. Abbia mo fatto ricorso a nuove tecniche di registrazione e recupero interattivo dei dati, che ci rendono possibile lutilizzo del com puter per unanalisi non solo quantitativa ma anche testuale12. La tecnica fondamentale consiste nella registrazione nei files del computer delle descrizioni narrative accompagnate da indici numerici pi convenzionali, e nellutilizzare questi indici nume rici per recuperare delle registrazioni testuali dai vari files per unanalisi pi qualitativa. In una permutazione ulteriore, linfor mazione testuale pu essere poi codificata e riportata ai files in forma quantitativa per unanalisi statistica. In questo modo lo studioso non costretto a pre-codificare e pre-digerire delle in formazioni qualitative prima di saperne abbastanza per analiz zarle con le capacit di cui eventualmente dotato. In questo studio i dati giornalistici sono tratti prevalentemente dal giornale nazionale di maggiore circolazione di quellepoca, il Corriere della Sera, nel periodo dal 1 gennaio 1966 al 31 dicembre 1973. Ulteriori informazioni sono state raccolte da giornali locali quale La Nazione di Firenze, nonch da giornali dei movimen ti, quali Lotta continua. In questo modo sono state registrate dettagliate informazioni su 4.980 episodi di protesta. I critici lamenteranno che il Corriere della Sera un brac cio dellestablishment. Questa osservazione giusta, ma offre an che una spiegazione dellutilit di questo giornale. Dato infatti che noi ipotizziamo che la risposta alla protesta da parte delle lites e delle autorit pubbliche sia condizionata dalle proteste precedenti, quale strumento migliore potremmo desiderare del giornale che esse leggono? Altri studiosi che hanno utilizzato il Corriere come fonte di dati riferiscono che esso si occupato
12 Per una descrizione di come Tilly ha utilizzato la registrazione e il recupero interattivo dei dati utilizzati in questo modo, vedi Schweitzer e Simmons (1981), e Tilly (1986a e b). Per le procedure da me utilizzate per raccogliere i dati per questo studio vedi Social Protest and Policy Innovation Study, Project Manuals (Ithaca, New York, disponibile su richiesta). Un facsimile del protocollo e un riassunto dei metodi pu essere trovato in Sidney Tarrow, Democracy and Disorder, O xford University Press, O xford 1989, Appendici A e B. Per unattenta valutazione dei rischi e dei vantaggi di utilizzare dei files contenenti episodi tratti dai giornali vedi Franzosi 1987a e b.

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della stragrande maggioranza dei conflitti rinvenibili anche in un campione di altri giornali nazionali13. D altra parte, il Cor riere, come tutti gli altri giornali, molto meno adeguato come fonte d informazione sugli eventi locali, con leccezione della Lombardia, per la quale stato creato un subfile distinto relativo ai conflitti locali. Questo non significa che il Corriere della Sera dia un re soconto perfetto dellazione collettiva. Molte proteste sono pas sate inosservate, e limportanza di altre stata distorta. In par ticolare non possiamo aspettarci da esso un resoconto fedele di chi ha cominciato per primo nei frequenti scontri tra movi menti e forze dellordine, n cercheremo di farlo. Il Corriere stato scelto come nostra fonte giornalistica principale per quattro ragioni. Innanzitutto il pi vecchio giornale nazionale nel paese ed ha lambizione di essere un giornale che fa testo. In secondo luogo, bench sia politicamente moderato, non controllato da nessun singolo partito o movimento. In terzo luogo, dato che esce a Milano, era vicino al cuore della protesta, sia nellindustria che in generale. In quarto luogo, essendo letto nei circoli econo mici dellItalia settentrionale, contiene molte notizie sul conflit to nellindustria. Altri studiosi, quali Roberto Franzosi, stanno elaborando unanalisi pi sofisticata dal punto di vista metodologico della stampa italiana per studiare lazione collettiva, gli scioperi e la protesta14. Io mi propongo di utilizzare la stampa quotidiana non come fonte esaustiva di tutto ci che successo, ma come quadro enerale allinterno del quale analizzare le forme dellazione colettiva, i movimenti che ne sono emersi e i leader che li hanno utilizzati per organizzare i sostenitori e raggiungere i loro obiet tivi. I resoconti dei giornali sono il punto di partenza di questa analisi, pi che il suo culmine. Nel corso dello studio, essi saran no affiancati dai documenti dei movimenti, da dati statistici non ch da quanto emerso da colloqui con osservatori ed ex-parteci panti, che mostreranno come il ciclo di protesta si sia sviluppato

13 In una comunicazione personale allautore Alessandro Silj riferisce che in una verifica da lui effettuata su quattro principali giornali nazionali, oltre il 90 per cento degli episodi di violenza riportati in uno qualsiasi di essi era riportato anche nel Corriere. Sono grato a Silj per questa informazione. 14 Franzosi ha in corso una dettagliata ricostruzione delle ondate di scioperi del periodo postbellico in Italia tratta da fonti giornalistiche. Per delle descri zioni della sua metodologia, vedi Franzosi (1987a e b).

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a partire dalle richieste di gruppi allinterno delle istituzioni, co me abbia dato vita a movimenti organizzati e come attraverso un processo di differenziazione interna, di competizione e di al leanze vi sia ritornato.

5 Piano dellopera
Il libro parte dai livelli dellazione collettiva, dei movimenti sociali e delle organizzazioni di movimento generali, per arrivare a quelli pi specifici. Al livello pi generale tratta delle forme, degli attori e delle richieste nellazione collettiva in Italia in quel periodo. Allinterno di questa vasta area vengono analizzati tre dei principali movimenti sociali, e allinterno di questi movimen ti sono analizzati il ruolo e le strategie di svariate organizzazioni di movimento. Nei capitoli dal II al V analizzo lazione collettiva a livello pi ampio. Nel capitolo II mi soffermo sugli sviluppi economici e politici dei primi anni Sessanta e sulla struttura delle opportunit politiche da essi generata. Nel capitolo III mostro come lascesa e la caduta di forme diverse di azione collettiva si conformino al modello di un ciclo di protesta. Nel capitolo IV passo in rassegna sia la successione dei gruppi sociali che sono ricorsi allazione collettiva sia i loro principali oppositori. Nel capitolo V mi sof fermo su conflitti, richieste e ideologie di vario genere e metto in luce le due principali strutture interpretative che hanno contri buito a diffondere le proteste del periodo loperaismo e lidea dellautonomia. Nei capitoli VI-VIII esamino tre dei principali movimenti na ti durante quel periodo. Nel capitolo VI parlo degli studenti uni versitari e degli effetti della loro rivolta nel far scattare quello che chiamo il culmine intensivo della mobilitazione. Il capitolo VII si sofferma sui lavoratori dellindustria, in rapporto sia ai sindacati che alla nuova sinistra. Il capitolo V ili illustra quanto fosse diffusa la protesta sociale attraverso lanalisi della rivolta nellistituzione pi tradizionale del paese, la Chiesa cattolica. Nei capitoli IX -X I mi soffermo sulla creazione e sulle dina miche competitive delle organizzazioni dei movimenti sociali. Il capitolo IX sia una rassegna della nuova sinistra extraparla mentare sia un tentativo di illustrare il suo ruolo nel diffondere lazione collettiva. Nel capitolo X analizzo gli effetti del movi mento della classe operaia su una delle principali organizzazioni 23

extraparlamentari, Lotta continua, e come il declino della mobi litazione di massa labbia condotta dapprima alla violenza e poi verso listituzionalizzazione. Nel capitolo conclusivo esamino quelli che considero i tre esiti principali del ciclo italiano: vio lenza, istituzionalizzazione e crescita democratica. Esso mostra che alcuni gruppi hanno scelto la strada dellistituzionalizzazione mentre altri hanno scelto la violenza, ed esamina in che modo le due tendenze, allapparenza cos opposte, fossero in realt sim bioticamente collegate. Nella sezione conclusiva espongo gli ef fetti del ciclo per la democrazia, sostenendo che se, con tutta probabilit, di questo periodo gli italiani ricorderanno la violen za e il terrorismo, gli esiti pi duraturi sono invece stati la for mazione politica di una generazione attraverso nuove forme di azione collettiva, la diffusione di nuove strutture interpretative e lampliamento di forme autonome di partecipazione. Tesi cen trale del libro che la lotta di classe democratica ha generato un periodo di disordini, alla fine del quale proprio il disordine ha contribuito a un ampliamento della democrazia.

II
CONFLITTI, RICHIESTE, OPPORTUNIT

Un Capodanno a Livorno
A Livorno un tranquillo ultimo del lanno. Lo stato anche dal punto di vista politico. Per Natale lamministrazione locale ha fatto mettere dei festoni di luci in termittenti nelle strade del centro storico, mentre la F g c i e la F g s hanno organizzato una ordinata manifestazione di solidariet col popolo del Vietnam. L ultimo dellanno, i giovani livornesi vagano senza meta per il centro storico, mentre la portaerei americana Independence con a bordo svariate migliaia di marinai entra lentamente in porto tra la nebbia. Ad accoglierli ci sono solo pochi manifesti stracciati rimasti dopo la dimostrazione dei partiti: Livorno rossa vi ac coglie con lo stesso sdegno con cui il popolo vietnamita accoglie le vostre bombe (Il Telegrafo, 2 gennaio 1967).

Sabato 31 dicembre 1966.

Domenica 1 gennaio. Una manifestazione giovanile molto di versa organizzata per accogliere lanno nuovo e VIndependence. Per oltre due ore un lungo corteo di studenti, di operai e di altre persone sfila per le strade della citt vecchia innalzando cartelli che chiedono la fine dellintervento americano in Vietnam. Non vi alcuna presenza di partito, ma nel raduno in piazza Grande i militanti delle federazioni giovanili comunista e socialista si me scolano ai maoisti e agli spettatori, mentre dagli altoparlanti ven gono lanciati attacchi a non meglio specificati revisionisti col pevoli di non aver condannato con abbastanza vigore limperia lismo americano ( il periodo in cui i comunisti cinesi attaccano lUnione Sovietica attraverso la mediazione del Pei). In piazza Grande un gruppo di studenti appende ai fili del tram un fantoccio di paglia vestito da marine con un cartello
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che dice: Joe, basta uccidere!. I vigili del fuoco venuti per ri muoverlo sono accolti dagli studenti con un coro di fischi. La folla rimane tranquilla fino a che non arriva una pantera della polizia. Improvvisamente, e senza alcuna ragione, ne scendono tre agenti coi manganelli che secondo lUnit hanno cominciato a colpire tutti i cittadini che si trovavano a portata di mano (3 gennaio, p. 2). Ne segue un fuggi fuggi degli studenti lungo via Grande (Corriere della Sera, 2 gennaio), finch la polizia perde le loro tracce nel dedalo di viuzze intorno al vecchio porto. Nel frattempo un gruppo di marinai americani in libera uscita si accalca in un bar, davanti al quale alcuni studenti li notano e cominciano a canzonarli. Il proprietario abbassa la saracinesca, che viene presa a calci e insulti dagli studenti. Poco distante una jeep della marina americana viene circondata e ribaltata, piegan done lantenna. Una pattuglia di carabinieri, in prevalenza gio vani meridionali con scarse simpatie per gli studenti, si fa strada nella folla per liberare i marinai della jeep. Secondo i resoconti dei giornali prima che la folla si disperda tre poliziotti restano feriti e un dimostrante, un operaio, viene tratto in arresto (Cor riere della Sera, 2 gennaio; Il Telegrafo, 2 gennaio).

Luned 2 gennaio.

Al loro risveglio i livornesi trovano la citt ricoperta di volantini che invitano: Cittadini, operai, giovani! Continuate a dimostrare senza tregua contro limperialismo ame ricano!. Questi manifestini portano la firma misteriosa M ili tanti del Pei, del Psiup e sostenitori autonomi del Comitato livornese contro laggressione americana in Vietnam. Di que stultimo nessuno ha mai sentito parlare, ma ha tutta laria d es sere una creazione del Pcdi-ML d ispirazione maoista. Chi sono i militanti del Pei e del P siup che si sono uniti ai cinesi nella dimostrazione? La domanda rimane senza risposta perch nessuno dei due partiti ammette di averla organizzata. In realt, i manifestini prendono di mira dei non meglio specificati revisionisti che organizzano pacifiche dimostrazioni con lap provazione della polizia, una chiara frecciata al Pei (Il Tele grafo, 3 gennaio). E possibile che il pi forte partito della sini stra sia colpito da lacerazioni interne? Il Pei non perde tempo a reagire. Bench guardi con simpatia alle lotte dei giovani democratici contro limperialismo, il par tito nega ogni responsabilit dei volantini della mattina del 2 gennaio, e ricorda ai propri lettori la manifestazione della F gci tenutasi la settimana precedente. Questi volantini crudi e pro 26

vocatori, scrive il segretario del partito, sono contrari al nostro spirito (lUnit, 3 gennaio). Quanto al segretario del P s i u p , egli afferma che le nostre proteste noi le facciamo nel rispetto della legge e alla luce del sole (Il Telegrafo, 3 gennaio). I par titi della sinistra sono confusi, irritati e imbarazzati. La stampa borghese coglie loccasione di questo loro sconcerto: Il Telegra fo afferma di esser venuto a sapere che il Pei profondamente preoccupato che i maoisti si infiltrino nelle sue dimostrazioni, radicalizzandole. La presenza dei cinesi, lamenta il partito, render ogni iniziativa un salto nel buio (4 gennaio). Il segre tario del Pei costretto ad affermare che non si opposto alla dimostrazione, ma solo ai volantini. Si dice che svariate sezioni del Pei abbiano iniziato una campagna di sostegno ai dimostranti di Capodanno (7 gennaio). Ora la F g c i emette un comunicato, che lUnit non pub blica, in cui si criticano i leader del partito per il ritardo con cui hanno dato sostegno alla manifestazione per la pace (13 gennaio). La nuova sinistra accusa senza mezzi termini il Pei di gettar acqua sul fuoco della rivoluzione (Nuova Unit, 5 gennaio). Nella vicina universit di Pisa (frequentata da molti giovani li vornesi) lepisodio non passa inosservato ai gruppi militanti a si nistra del Partito comunista. Che cosa pu dirci questo episodio, avvenuto in una citt por tuale della costa toscana agli inizi del 1967, circa le fonti della mobilitazione di massa in Italia alla fine degli anni Sessanta? Innanzitutto, esso illustra le origini internazionali dellonda ta di protesta che stava per nascere in Italia, come in Francia e nella Repubblica federale tedesca. Bench avesse un colore pro vinciale, e riflettesse la struttura politica italiana, lepisodio di Livorno mostra anche che londata di protesta in Italia si radi cava in un ciclo di protesta internazionale e in un sistema inter nazionale in via di mutamento. In secondo luogo, in esso compare un nuovo soggetto sociale dello sviluppo economico postbellico i giovani della nuova classe media che si afferma autonomamente dai partiti della sinistra ufficiale. Questa sfida ai partiti dominanti degli anni po stbellici pass inosservata agli studiosi di scienze politiche, tutti presi a reificare la politica del passato nel momento stesso in cui essa si disfaceva sotto i loro occhi. Ma non pass inosservata ai piccoli gruppi rivoluzionari che cercavano di organizzarsi a sini stra del sistema dei partiti. In terzo luogo, se gli agenti delle perturbazioni future erano 27

nuovi, gli allineamenti tradizionali del sistema politico italiano erano leggibili tra le righe. In realt, come vedremo, erano state proprio le spaccature allinterno della sinistra classica, aggravate dallesperienza del centro-sinistra, ad aver dato agli studenti e ad altri gruppi la spinta a portare nelle strade le loro richieste. In questo capitolo ci soffermeremo su due temi principali: innanzitutto il fatto che londata di protesta italiana non emerse dal nulla, ma si evolse a partire dalla transizione italiana a una fase nuova del capitalismo, matura ma altamente conflittuale, nonch dai conflitti di classe e politici da essa generati. In se condo luogo, il fatto che i temi che avevano spinto i nuovi mo vimenti sulla scena pubblica discendevano dalle spaccature poli tiche interne e dai problemi posti sul tappeto dai gruppi e dai partiti istituzionali1.

1. La coalizione sociale e la politica


Bench leconomia italiana postbellica fosse una variante del capitalismo misto che era fiorito in tutta lEuropa occidentale sino alla fine degli anni Sessanta, essa era particolare per via del lo squilibrio tra il peso dello Stato nelleconomia, da una parte, e la sua incapacit nel dirigerla, dallaltra. Non si trattava per di uneconomia liberale classica, nemmeno di quel tipo di economia di mercato imposta dai governi che abbiamo conosciuto nellera di Reagan e della Thatcher. Infatti se gli imprenditori avevano facile accesso al potere, il partito al governo dipendeva dal punto di vista elettorale da tutta una gamma di altri clienti sociali: con tadini, operai, cattolici praticanti, ceti medi autonomi, impiegati pubblici. Inoltre lo Stato mancava degli strumenti per unefficace po litica di promozione degli interessi degli imprenditori in quanto classe. Molte risorse pubbliche erano profuse in imprese indivi duali, ma i dirigenti dellindustria mancavano di quellegemonia di cui godevano per esempio negli Stati Uniti o nella Francia
1 L interpretazione che sar presentata in questo capitolo una sintesi di un certo numero di precedenti scritti e articoli che, per brevit, citer qui e dai quali attinger senza ulteriori citazioni. Le fonti principali sono Tarrow 1967, il ca pitolo conclusivo di Blackmer e Tarrow (a cura di), 1975, lintroduzione a G ra ziano e Tarrow (a cura di), 1979, la conclusione a Lange e Tarrow (a cura di), 1980, e Tarrow 1984.

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gollista. L Italia era uneconomia liberale per difetto. Questo si gnificava che il partito al governo doveva mantenere la propria maggioranza relativa rispondendo a tutta una gamma di interessi sociali e regionali, e questo lo lasciava esposto a unerosione elet torale via via che le trasformazioni delleconomia postbellica so stituivano a parte della sua base sociale attori sociali nuovi e pi autonomi. La sua risposta al restringimento della base elettorale era stata non di elaborare una linea di politica economica tale da creare una nuova base sociale, ma, come vedremo pi avanti, di allargare la coalizione politica di cui era a capo.

La coalizione sociale
Il regime sociale dellassetto postbellico era per molti versi un

pendant di quello che laveva preceduto. Il mondo imprendito


riale era stato spinto a liberarsi dalle limitazioni corporative en tro le quali aveva operato per ventanni, e gli era stato concesso il quadro fiscale e monetario entro il quale farlo. Tuttavia, mal grado il suo populismo cattolico e la sua disponibilit a usare lo Stato come deposito di concessioni clientelari, la De non aveva goduto mai della piena fiducia della borghesia industriale, una classe che si trovava molto pi a proprio agio con il rigore fiscale e la preferenza per il mercato dei liberali che col populismo cat tolico. La De facilitava il successo degli imprenditori in molti modi, ma non divenne mai il partito di classe della borghesia industriale. La diffidenza della borghesia industriale nei confronti della De non implica che la classe lavoratrice avesse una solida base nel partito al governo. Malgrado le professioni della De di essere al servizio del mondo del lavoro, e i vantaggi che essa offriva alla C isl nel settore gestito dallo Stato, il partito rifiutava il concetto di rappresentare i lavoratori in quanto classe. Ogniqualvolta vi era una minaccia di overheating delleconomia come agli inizi degli anni Sessanta veniva applicata una doccia scozzese per raffreddarla. E sino alla fine degli anni Sessanta, quando fu co stretto a farlo, il partito al governo non riusc a creare un sistema moderno di relazioni industriali. La posizione subalterna dei lavoratori era pi una questione di politica, e di politica economica, che un fatto di politica so ciale o di ideologia. La dipendenza della De dai suoi alleati ame ricani, le divisioni ideologiche allinterno dei sindacati e il gioco politico basato sullisolamento del Pei significavano che laccesso 29

della classe lavoratrice alla politica era limitato, e che in fab brica la repressione, limmigrazione e i licenziamenti erano modalit dominanti di controllo della forza-lavoro, e questo a sua volta garantiva che i nuovi arrivati nella forza-lavoro in dustriale ereditassero le dure condizioni di lavoro dellassetto postbellico. La De aveva degli impegni ideologici ed elettorali verso altri gruppi. Per esempio, per via della loro posizione privilegiata nel lideologia sociale cattolica e di calcoli elettorali, i contadini ot tennero protezione e un inaudito accesso al credito, allassicura zione sociale e a un pi sicuro titolo di propriet sulla terra. Dopo le brevi ed esplosive occupazioni di terre alla fine degli anni Quaranta essi erano ricaduti nella passivit politica (molto pi che in Francia, per esempio). Questo costituiva una notevole conquista politica in un paese in cui non pi tardi del 1919-22 la societ rurale aveva conosciuto una vera e propria guerra di classe. In gran parte per la stessa ragione, e cio la dipendenza elet torale della De da essi, i ceti medi autonomi della citt e della provincia erano politicamente favoriti, in parte attraverso un si stema di tasse che non decurtava i loro redditi, ma pi fonda mentalmente ponendoli nella condizione di trarre profitto nel modo pi vantaggioso da quel clima di mobilitazione individua listica che aveva contrassegnato gli anni postbellici (Pizzorno 1964). I commercianti, i piccoli imprenditori e gli artigiani erano favoriti dalla legge e dalla politica, e costituivano il nucleo della forza elettorale della De nella provincia. Il partito al governo gestiva dunque una coalizione interclas sista basata sul clientelismo, sulla religione e sullanticomunismo, che aveva radici profonde tra i contadini e la classe media indipendente e meno radicate tra i lavoratori. Bench avesse contri buito allespansione economica pi grande nella storia del paese e a mantenere debole e divisa la classe lavoratrice, la De non aveva mai goduto della piena fiducia del mondo imprenditoriale, e il sostegno che le proveniva dalla classe media e dai lavoratori cominci a svanire a seguito dei cambiamenti strutturali e poli tici iniziati dal miracolo economico della fine degli anni Cin quanta. Ma fu solo negli anni Sessanta che le nuove e vecchie contraddizioni della politica economica emersero alla luce del giorno.

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2. Trasparenza del conflitto e opportunit politica


Vi unampia e notevolmente disomogenea letteratura sulle cause sociali, economiche e politiche dei movimenti di protesta. La spiegazione tradizionale della nascita dei movimenti sociali il fatto che essi sono semplicemente il risultato di una depriva zione stata considerata notevolmente insoddisfacente (McCarthy e Zald 1973; Oberschall 1973). Questo vale in par ticolare quando analizziamo i cicli di protesta, dato che essi han no altrettanta probabilit di nascere sia durante i periodi di pro sperit, come gli anni Sessanta, e di coinvolgere gruppi relativa mente benestanti, come gli studenti universitari, sia durante i periodi di riflusso economico e tra i poveri (Piven e Cloward 1977). Se i periodi di prosperit e i periodi di crisi generano entram bi dei cicli di protesta, sembra logico concluderne che i fattori responsabili dellavvio della protesta possono essere presenti in entrambi i casi, anche se ovviamente non saranno ugualmente presenti in tutti i periodi della storia. Un popolo pi disponibile allazione collettiva, sar la mia tesi, quando vi trasparenza del conflitto sociale e le opportunit politiche sono in via d espan sione. Con la frase trasparenza del conflitto intendo riferirmi alla semplificazione e allaccresciuta visibilit del conflitto sociale, e alla corrispondente possibilit di collegare richieste particolari a temi generali2. Intendo dire che, in quei periodi, i gruppi sociali ricevono dei segnali che dicono loro che sono in gioco temi che li riguardano, e che essi possono sperare di influenzare i loro esiti senza pagare un costo eccessivo o subire una repressione. In quali condizioni il conflitto sociale diverr trasparente nel capitalismo democratico, che per sua stessa natura produce dei meccanismi di sublimazione e giustificazione del conflitto stes so? Vi tutta una variet di circostanze che pu rendere traspa rente il conflitto sociale, ma esso ha la massima probabilit di emergere nei periodi in cui la cultura giustificatrice di tali societ pi debole, vale a dire quando si verificano importanti transi
2 Q uesto vicino a quanto intendono Piven e Cloward (1977, cap. I) quando parlano di transvalutation delle richieste, che porta a ribellarsi quelle persone che hanno tradizionalmente accettato la propria sorte.

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zioni a nuovi processi produttivi, divisioni internazionali del la voro e rapporti interni di potere, tali da generare nuovi strati professionali ed eliminarne di vecchi. In questi periodi nascono nuove reti sociali con solidariet alternative, mentre linforma zione sulla situazione di altri gruppi cresce grazie allistruzione e allespansione della comunicazione di massa. In tali periodi le opportunit politiche si espandono rapida mente, via via che la posizione dei gruppi ben tutelati minac ciata dal cambiamento tecnologico e che appaiono nuovi gruppi la cui importanza non ancora riconosciuta per quanto riguarda laccesso al potere e ai servizi. Entrambi questi gruppi si rivol gono allo Stato in cerca di sostegno, mentre questultimo deve far fronte a maggiori oneri finanziari dovuti al cambiamento eco nomico. I cambiamenti temporanei nellequilibrio di potere so ciale che si verificano in tali periodi generano opportunit poli tiche che permettono agli outsiders di ottenere maggiore potere . La gente si riversa nelle strade quando sente che le sue richieste sono riconducibili ad assi generali di conflitto, e quando se ne presenta loccasione.

La transizione al capitalismo maturo


L a transizione al capitalismo maturo certamente une spressione che va utilizzata con cautela, perch la transizione pu verificarsi in modo tanto lento da essere notata solo quando completamente avvenuta. In Italia la societ passata da uno status semiperiferico a uno status al perimetro del centro della produzione capitalista4, con un declino dei vecchi attori sociali e crescenti possibilit per i nuovi. Via via che una tale transizione diviene visibile vengono individuate e collegate, sia tra loro che ai cambiamenti sottostanti, delle rivendicazioni che mettono im provvisamente in luce delle linee di conflitto, nonch le poten ziali alleanze da una parte o dallaltra di esse.
3 Tali cambiamenti sono simili a ci che si verifica in quelli che Wallerstein (1985) chiama paesi semiperiferici, bench essi sembrino pi tipici di quelli che Lange (1985) chiama la periferia del centro. Il mio esame delle opportunit politiche create dalle transizioni al capitalismo maturo tratto da Tarrow 1984. 4 Scrive Peter Lange (1985, p. 185): Q uesto concetto intende [...] esprimere il fatto che il cambiamento di posizione recente, e che vi dunque una discre panza tra una posizione consolidata nelleconomia mondiale e il processo di tran sizione da una posizione allaltra per esempio processi che iniziano quando il paese si trova nella semi-periferia ma proseguono quando dal punto di vista strut turale esso entrato nel nucleo.

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Se le transizioni rendono i conflitti sociali sempre pi acuti e visibili, accrescono per anche limportanza dello scambio poli tico, dato che le lites tradizionali cercano protezione dallo Stato, emergono nuovi gruppi e domande di risorse e vengono tentate delle riforme da parte di governi ancora legati alle loro tradizio nali basi di sostegno. In questo contesto degli scompensi tempo ranei nellequilibrio del potere possono essere sfruttati da quei gruppi il cui potere sociale in condizioni ordinarie sarebbe mi nimo5. E proprio una transizione di questo tipo quella che si sta va verificando in Italia negli anni Sessanta, e che ha contribuito a rendere pi profonda in Italia che in qualsiasi altro paese eu ropeo londata di protesta internazionale di quegli anni. Questi cambiamenti si sono verificati in tanti modi diversi: nel passaggio nellindustria alla produzione integrata su larga sca la (Arrighi e Silver 1983), nellindebolimento della posizione del le imprese piccole e tradizionali, nella secolarizzazione della cul tura popolare cattolica, nella crescita di associazioni autonome al di fuori del controllo della Chiesa e del sistema dei partiti. Ma gli effetti pi visibili furono innanzitutto lemergere di una nuova classe media istruita, in secondo luogo la comparsa di una nume rosa classe di lavoratori immigrati nelle citt del Nord e, in terzo luogo, lirrigidimento del mercato del lavoro e la nuova forza che ci diede ai lavoratori dellindustria (Paci 1975).

La nuova classe media


La De aveva conquistato il sostegno di gran parte dei conta dini e dei lavoratori autonomi, ma cera un gruppo sociale in cre scita che era ai margini della schiera della sua clientela elettorale: gli strati medi colti delle citt. Secondo le stime di Sylos-Labini (1975, p. 156), tra il 1951 e il 1971 la piccola borghesia impie gatizia era passata dal 10 al 17 per cento della popolazione, con un aumento che corrisponde da vicino a un simultaneo declino della classe media autonoma. La trasformazione del paese in eco nomia industriale stava generando, prevalentemente nelle citt del Nord, un importante nuovo gruppo sociale, sia nellindustria che nel terziario.
5 Viene in mente il ruolo dei neri del Sud degli Stati Uniti certamente uno dei gruppi pi marginali della storia politica che hanno acquisito delle risorse politiche dal riallineamento elettorale degli anni Sessanta. Cfr. Piven e Cloward 1977, cap. IV.

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Questa nuova classe media costituiva non solo il gruppo so ciale prodotto dal miracolo economico in pi rapida crescita, ma anche una minaccia alla continuazione del dominio politico della De. Innanzitutto perch essa stava sostituendo fisicamente la classe media autonoma e i contadini, che avevano costituito nel periodo postbellico la base pi affidabile del partito di governo, e in secondo luogo perch era una classe articolata e colta con ambizioni professionali che avevano generato un insieme di ri chieste che andavano al di l di quelle dei loro predecessori: ri chieste di modernizzazione civica, di riforma educativa, di pia nificazione urbana. Inoltre essa aveva prodotto anche unaltra Cosa nel dopoguerra: un boom demografico; molti di quei bam bini negli anni Sessanta avrebbero affollato le istituzioni delle ducazione superiore. Alcuni li abbiamo gi incontrati agli inizi di questo capitolo, altri ne reincontreremo nel capitolo VI. Questi ragazzi erano entrati in un sistema di educazione superiore la cui struttura era rimasta fondamentalmente immutata dagli inizi del secolo e che aveva accolto molti pi studenti di quanto potesse effettivamente gestirne. Le proteste studentesche della fine degli anni Sessanta avrebbero tratto origine prevalentemente dai nuo vi settori della classe media.

I lavoratori immigrati
Un secondo gruppo occupava una posizione equivoca nella coalizione sociale della De: gli immigrati. Tra il 1951 e il 1971, bench il tasso delle nascite delle grandi citt del Nord fosse in calo, queste raddoppiarono quasi di popolazione. Tale aumento fu largamente dovuto alla migrazione di massa di meridionali e di contadini nelle citt. La maggior parte dei lavoratori non quali ficati e semiqualificati assunti dalle fabbriche del Nord negli an ni Cinquanta e Sessanta erano immigrati che mancavano sia di una tradizione di disciplina industriale sia di un collegamento coi sindacati. Molti di questi nuovi lavoratori provenivano da un retroterra cattolico, e i loro antichi legami con la Chiesa avrebbero potuto accrescere la forza della De nelle periferie operaie delle citt del Nord. Ma la mancanza di servizi urbani persino di abitazioni decenti per accoglierli, i bassi salari e le dure condizioni di lavoro che molti di essi trovarono, nonch la discriminazione di cui furono oggetto da parte dei settentrionali aggiunta alla debolezza organizzativa della De fece s che questo non av 34

venisse. Alcuni tra i lavoratori pi militanti dellondata di pro testa erano immigrati rurali recenti dal Veneto cattolico. Incon treremo alcuni di essi a Porto Marghera nel capitolo VII.

Il mercato del lavoro


Il carattere mutevole del conflitto industriale apparve evi dente per la prima volta nel 1960-61, quando venne raggiunto per la prima volta il pieno impiego e la forza-lavoro organizzata cerc di trarne vantaggio con scioperi a livello sia di fabbrica che nazionale. La risposta delle autorit pubbliche fu la recessione del 1962-63, che nel breve periodo ebbe leffetto desiderato di raffreddare leconomia (Salvati 1975). Ma le imprese, invece di proseguire con investimenti in nuove fabbriche e attrezzature per accrescere la produttivit, cercarono di trarre il massimo dal le risorse esistenti accelerando i processi produttivi e ricorrendo a una nuova leva di forza-lavoro immigrata semiqualificata e pre valentemente maschile (Paci 1975). L impresa capitalista non manca di capacit di risposta alla pericolosa mistura di pieno impiego e salari crescenti. Pu tra sferirsi in regioni e paesi a bassi salari, importare lavoratori stra nieri non organizzati, decentrare la produzione o chiedere con tratti corporativi accompagnati da una politica dei redditi. Ma in Italia un patto sociale era reso impossibile dalla mancanza di unit politica delle confederazioni sindacali, dalla non disponi bilit dellimpresa a riconoscere i diritti dei sindacati in fabbrica e dal fatto che il corporativismo ricordava lesperienza fascista vissuta dal paese. Quanto alle riserve di lavoro interno a basso costo, esse erano ormai esaurite, e limpresa mancava delle riser ve di capitale per spostarsi dai centri tradizionali di militanza della classe lavoratrice, mentre al governo mancava la volont politica per aiutarla a farlo. Sapere perch alla met degli anni Sessanta la borghesia in dustriale italiana non sia riuscita a ricapitalizzare limpresa una questione complicata. In parte ci fu dovuto al debole mercato interno di capitali, e in parte alla vecchia abitudine di affidarsi alla riserva di forza-lavoro da sfruttare. Ma cera anche una ra gione politica: gli imprenditori esitavano a effettuare massicci investimenti in nuovi impianti e attrezzature nel timore delle conseguenze sociali dellimminente ingresso nel governo del sempre pericoloso Partito socialista (Ginsborg, in corso di stampa, cap. VI). 35

Alla fine degli anni Sessanta, quando tutto limpatto della competizione internazionale portata dal M e c cominci a farsi sentire, i risultati del mancato rinnovamento di impianti e attrezzature erano evidenti a tutti. Molte grandi imprese di pendevano ancora pesantemente da un intenso sfruttamento della forza-lavoro, mentre il mercato del lavoro si restringeva. Questi problemi venivano a coincidere con una crescente unit della forza-lavoro sindacalizzata, capace di produrre una mag giore militanza proprio nel momento in cui leconomia mondiale trainata dalleconomia di guerra degli Stati Uniti comin ciava ad espandersi. Solo che ora, a differenza di quanto era avvenuto nei primi anni Sessanta, n le politiche deflattive n la repressione della forza-lavoro erano pi possibili, perch nel frattempo si era verificato un importante riallineamento gover nativo.

3. Opportunit politiche
La crescita delleconomia italiana port un cambiamento nel la qualit e nellintensit del dibattito politico molto prima di portare a un ciclo di protesta. Sia la crescita economica che il dibattito politico contribuirono a preparare il ciclo individuando dei temi trasversali e creando una reciproca consapevolezza tra diversi attori sociali e politici. I movimenti della fine degli anni Sessanta inventarono nuove forme di protesta e infusero una nuova autonomia e fantasia alla politica di massa; ma attinsero la maggior parte dei propri temi dai dibattiti della prima parte del decennio e dai partiti e dai gruppi tradizionali. In questo periodo cera stato un ampio dibattito sulla tran sizione al capitalismo maturo, sui suoi costi e le sue promesse. Nei circoli governativi questo dibattito si incentrava sulla pro grammazione, sulle esigenze tecniche di una societ moderna e sui difetti del sistema di relazioni industriali esistente. A sinistra cera un dibattito aperto sulle tendenze del capitalismo moderno e sul ruolo crescente della nuova classe media, quelli che il Pei chiamava ceti medi produttivi. Il tono accademico di questi dibattiti inizialmente nascose il fatto che essi tagliavano trasver salmente le varie subculture politiche e avevano il potenziale di ampliare il campo del conflitto cos da includervi nuovi attori. 36

Il dibattito allinterno del sistema


Nei circoli governativi i dibattiti sulleconomia erano stimo lati da un piccolo ma influente gruppo attorno al Partito repub blicano, ma avevano espressione anche nei circoli cattolici, in particolare in un gruppo di giovani economisti usciti dallAzione cattolica attivi nella Commissione interministeriale per il Mez zogiorno e nello S v i m e z . Le discussioni vertevano in parte sulla mancanza di un moderno sistema di relazioni industriali. Bench molte imprese non fossero ancora disposte a cambiare le loro re lazioni industriali paternalistiche e repressive, c erano dei germi di modernismo nel gruppo Olivetti nel settore privato, e tra i tecnocrati pi giovani nel settore pubblico. Mentre le imprese private, rappresentate dalla Confindustria, volevano continuare ad affidarsi a una trattativa a livello nazionale, cos mantenendo i sindacati fuori dalle fabbriche, le imprese pubbliche rappresen tate nelllRi e nellENi istituivano articolate procedure di con trattazione a livello aziendale. A sinistra il dibattito era pi teorico, ma di portata non mi nore. L Istituto Gramsci tenne un importante convegno sulle Tendenze nel capitalismo italiano che mise il Pei allavanguardia di dieci anni rispetto ai comunisti francesi nel riconoscere gli effetti del cambiamento economico (Istituto Gramsci 1962). In quella stessa epoca inizi nel partito un dibattito strategico sul ruolo dei ceti medi produttivi, attraverso il quale, avvertendo il declino della sua base elettorale rurale, il partito andava alla ricerca di nuovi alleati elettorali in quelle aree della classe media che erano state create dal capitalismo avanzato. Quanto ai socialisti, essi erano pi interessati a prepararsi a un futuro ruolo nel governo che a capire il futuro del capitalismo italiano. M a lopportunismo politico ha strani effetti: la prospet tiva di entrare nel governo port il Psi a porre sul tappeto alcune riforme istruzione, programmazione, pensioni che pi tar di sarebbero stati dei punti di coagulazione della protesta di mas sa. Ironicamente, ma non per la prima volta nella storia, i temi di futuri movimenti erano stati promossi da quegli stessi soggetti che alla fine sarebbero diventati i bersagli di questi movimenti. Il dibattito nazionale sul sistema educativo iniziato alla fine degli anni Cinquanta fu un importante esempio di come i pro blemi sollevati allinterno del sistema potevano essere loggetto di un successivo movimento. Spinto in parte dalle iniziative ac cademiche e in parte dalla richiesta di un maggior numero di quadri tecnici nellindustria, il governo approv nel 1962 una 37

legge di riforma che si rivel inadeguata cos presto da portare a unintensificazione del dibattito sulla sua revisione. Fu questo dibattito sulla riforma a stimolare lo scoppio delle proteste stu dentesche che vedremo nel capitolo VI. Questi dibattiti, insieme ai cambiamenti economici e sociali che li avevano stimolati, resero gli italiani consapevoli dei pro fondi cambiamenti in corso nel loro paese, tracciarono grosso modo i confini di una potenziale coalizione per la modernizza zione e fissarono gli assi del confronto futuro. Nei circoli di po tere fu esplicitamente detto che un riallineamento di un qualche tipo era necessario se la De non voleva ricalcare il declino dei suoi tradizionali gruppi sociali con un parallelo calo elettorale. Il principale risultato politico fu la contestata, ambigua e tuttora poco capita strategia della apertura a sinistra da parte della De e la coalizione di centro-sinistra che da essa nacque.

Il centro-sinistra
Un certo numero di sviluppi internazionali dal X X con gresso del Partito comunista sovietico alla distensione, dalla pre sidenza Kennedy al pontificato di Giovanni X X III aprirono la strada al governo di centro-sinistra fornendo nuove possibilit politiche ad attori presenti allinterno del sistema dei partiti. Gli eventi in Europa orientale permisero al Psi di prendere le distan ze dallinsoddisfacente alleanza elettorale coi comunisti, renden dolo disponibile a una cooperazione con altre forze politiche. L impatto della presidenza Kennedy e i cambiamenti nella Chie sa avrebbero indebolito sia la fede anticomunista e religiosa, sia il bastione strategico del potere De. E gli effetti combinati di questi tre eventi permisero allItalia di sfuggire allatmosfera di contrapposizione frontale tra cristianesimo e comuniSmo degli anni Cinquanta, e di aprire la possibilit di nuovi allineamenti politici pi adatti alle esigenze di una democrazia industriale avanzata. La De era sempre stata disposta ad accordare una fetta del proprio potere ad altri gruppi politici, dapprima al P li e poi al P sdi e al P ri. Ma quando la politica di coalizione venne estesa al Psi, divenne molto pi rischiosa, non solo per via della natura instabile di questo partito, ma per due altre ragioni pi fondamentali: innanzitutto estendere la coalizione a un partito pros simo al 15 per cento dei voti poneva nuovi fardelli sulle riserve di clientelismo disponibili; in secondo luogo la coalizione di cen 38

tro-sinistra inseriva allinterno del governo nuove divisioni ideo logiche sfruttabili da chi ne era rimasto fuori.

La politica di coalizione e il clientelismo


Quando una coalizione si allarga diventa pi difficile da ge stire, come fu reso evidente dal maggiore tempo necessario a ri solvere le crisi di governo e dai sempre crescenti ritardi nelle spletamento delle mansioni governative durante gli anni Ses santa. Con lingresso nella coalizione del Psi, che dal 1947 non aveva accesso al potere a livello nazionale, le esigenze clientelari si espansero proprio nel momento in cui il tasso di crescita eco nomica cominciava a calare. Un segno evidente che il numero delle proposte di legge avanzate da singoli parlamentari crebbe rapidamente (Di Palma 1977). Questo ebbe leffetto sia di ac crescere le spese, sia di togliere al governo liniziativa della di stribuzione della spesa, senza affrontare per nessuno dei pro blemi strutturali della politica economica. L allargamento della coalizione e lassenza di un forte esecu tivo incoraggiavano anchessi la proliferazione di fazioni allin terno dei partiti al governo, in particolare nella De, proprio nel momento in cui stavano arrivando sul tappeto i principali temi di riforma (pensioni, scuola, relazioni industriali). Un gruppo di no tabili parlamentari poteva contare sulla facile concessione di ri sorse attraverso un dato ministero, poteva ignorare la politica governativa e persino minarne la maggioranza nella speranza di negoziati successivi per accrescere il proprio potere. Il centrosinistra ebbe leffetto non solo di aumentare il numero delle cor renti allinterno della De, ma anche di rendere possibili alleanze interpartito tra correnti diverse nei due principali partner della coalizione di governo. Queste debolezze e divisioni contribuiscono a spiegare per ch lesperimento di coalizione non raggiunse il suo principale obiettivo politico, che era quello di isolare il Pei. Bench il go verno di centro-sinistra abbia tenuto fuori dal governo i comu nisti per un certo numero di anni e li abbia scalzati dal governo di molte citt in cui essi avevano amministrato insieme al Psi, lasci immutata la loro posizione predominante nei sindacati e nellelettorato della classe lavoratrice. L avanzata elettorale del Pei accompagn linizio del centro-sinistra nel 1963 e continu nelle elezioni del 1968. Il fatto che i comunisti non avessero perso voti a seguito della 39

cooptazione dei socialisti nel governo li rafforz nella convinzio ne che il paese poteva ancora avere un futuro di sinistra. Quan do, alla fine degli anni Sessanta, scoppi il ciclo di protesta, essi erano pertanto ancora in una posizione tale da adottare una linea pi radicale nel loro congresso del 1969, e da assorbire poco dopo molti degli ex-militanti dei movimenti (Barbagli e Corbetta 1978; Hellman 1976). Ma non fu il Pei a cogliere le opportunit maggiori.

Il cerchio del conflitto si amplia


Come per il New Deal americano, la questione del progres sismo o del conservatorismo intrinseco del governo di centrosinistra era meno importante del fatto che esso poneva sul tap peto temi che per via delle sue divergenze interne non era in grado di risolvere. Questa contraddizione incoraggiava i grup pi al di fuori della classe politica a intervenire in dibattiti inizia tisi allinterno di essa. I dibattiti che ne seguirono portavano questi temi sotto gli occhi dellopinione pubblica, in un modo che rendeva evidente quanto il governo fosse diviso e quali fos sero le forze di entrambe le parti impegnate nel dibattito. Il dibattito del 1967 sulla riforma pensionistica, per esempio, inizi in Parlamento ma ben presto port a una diffusa mobili tazione dei lavoratori. Il piano Gui per la riforma dellistruzione secondaria mobilit sia i gruppi di interesse pi attivi che i par titi, prima di far scattare negli studenti universitari la consape volezza di avere un terreno politico nuovo da sfruttare. Il pro getto non pass mai, ma le divisioni in Parlamento e nella scuola spronarono gli studenti a organizzarsi contro di esso. Inoltre, fu prevalentemente grazie alla presenza del Psi nel governo che alla fine venne approvato un moderno progetto di relazioni indu striali, lo Statuto dei lavoratori. C un altro parallelo importante tra il centro-sinistra e il New Deal: il fatto che la presenza al governo di un partito della sinistra moderata limitasse le opzioni che lo Stato aveva nel re primere sia gli studenti che i lavoratori in lotta. N la vecchia soluzione recessiva, n lo scatenare le forze dellordine contro i dimostranti, n il ricorso allanticomunismo viscerale erano pi possibili con un Psi che continuava a puntare su una parte di voti della classe lavoratrice e allo stesso tempo cercava di ottenere il sostegno della nuova classe media. Con londata del dissenso studentesco e dei lavoratori inizia 40

to nella seconda met degli anni Sessanta divenne chiaro che come il governo del New Deal alla met degli anni Trenta il Psi non poteva politicamente permettersi di dar sostegno a una politica repressiva. Quando per esempio, nel 1968, i lavoratori furono fatti oggetto di colpi d arma da fuoco dalla polizia ad Avola e a Battipaglia, il Psi chiese unindagine governativa e si un ai comunisti nella richiesta di disarmare la polizia. Le riforme del centro-sinistra furono significative non per ci che ottenne ro, ma per il fatto che dimostrarono cosa non poteva essere fatto e rivelarono lestensione delle fratture in seno alla classe politica. Poco dopo leffettivo inizio dellesperimento del centro-sini stra, nel 1964, cominci a nascere un conflitto allinterno del sistema dei partiti. La scissione nel Partito socialista e quella me no importante nel Partito repubblicano, nel 1963 e 1964, furono seguite da un tentativo di unificazione tra socialisti e socialde mocratici e dallidea di costituire un partito unificato del lavoro da parte dellala moderata del Pei. Dopo anni in cui aveva igno rato questo tema, la classe politica cominci a parlare di riforme regionali, un tema che si riteneva fosse particolarmente sentito nel Mezzogiorno. La riforma delle relazioni industriali era un altro tema posto allattenzione dei partiti o degli esperti di rela zioni industriali ad essi vicini. Ma il vero fermento stava nascendo al di fuori del sistema dei partiti, l dove nuovi gruppi politici stavano comparendo e, per la prima volta a partire dagli anni Quaranta, la mobilitazione cominciava a sfuggire ai canali tradizionali. Le implicazioni di questa situazione che saranno esplorate nel resto di questo libro furono presto evidenti ai notabili De quali Emilio C o lombo. Nel 1969 egli chiedeva al congresso nazionale della De:
Questa situazione rischia di portarci all'immobilit, al consolidarsi di una specie di crosta fredda e inerte sotto la quale si agita il magma di una societ in ebollizione che non riesce a trovare canali idonei di par tecipazione o di espressione e tende a trovare rimedi nella fuga in avanti della contestazione globale o nella pura e semplice difesa organizzata di interessi corporativi [..] Il momento di pluralismo [...] tende a divenire un momento di disordine. (Il Popolo, 30 giugno 1969, p. 2)

Da politico consumato qual era, Colombo aveva immediata mente capito quello che molti esperti di scienze sociali non ca piscono ancora, e cio che la protesta, ben lungi dal rappresen tare la negazione della politica, nasce da fratture in seno a una societ in mutazione e va affrontata in termini politici. Ma in che modo il momento di disordine poteva essere mutato in un mo 41

mento di pluralismo: attraverso la repressione? Le riforme? Le dinamiche intrinseche del ciclo di protesta? O attraverso la com binazione di queste tre cose? Questa la domanda principale che si pone questo libro.

4. Conclusioni
Spesso in alcuni sistemi politici, come fu il caso della Quarta repubblica in Francia, delle pressioni insostenibili vengono ge nerate da forze che sono al di fuori del controllo dei sistemi stes si. Altre volte il sistema pu essere eroso dallevoluzione stessa delle sue caratteristiche interne, ed stato questultimo processo che si voluto vedere nel caso italiano. La situazione interna zionale che aveva prodotto il suo assetto politico non esisteva pi; la forza di coesione dellanticomunismo e della religione nel tenere insieme la coalizione governativa era svanita. Il restringi mento della base della De la costringeva a rincorrere nuovi at tori, i cui appetiti e le cui richieste politiche mettevano sotto pressione le capacit delle deboli istituzioni del paese. Inoltre, cosa pi importante, un vecchio attore sociale la classe lavo ratrice organizzata stava guadagnando forza proprio nel mo mento in cui nuovi gruppi sociali lavoratori immigrati e nuovi ceti della classe media stavano reclamando nuovi diritti e mag giori benefici. Era da questi gruppi che sarebbero state tratte le componenti principali dellondata di protesta che stava per arri vare. Il decennio successivo avrebbe costretto il paese a confron tarsi con quello che Colombo chiamava un momento di disor dine. Poteva esso trasformarlo in un momento di pluralismo? Nella misura in cui questo dipendeva dalla capacit di una classe politica divisa e incapace, i critici erano certi che il disordine si sarebbe tramutato in anarchia o avrebbe scatenato la reazione. M a una volta lanciato, un ciclo di protesta sviluppa una propria dinamica interna. Per adattare la metafora di Colombo, il disor dine nasce dai conflitti normali e dalle istituzioni di una demo crazia capitalista, e genera un proprio momento di pluralismo attraverso la dinamica interna di un ciclo di protesta.

Ili

COLORO CHE OSANO

Nel romanzo di Calvino II barone rampante, il giovane prota gonista reagisce alla noia e al soffocamento della vita nella tenuta di famiglia compiendo un atto di follia, andando a vivere sugli alberi. Su questo suo comportamento cos riflette il fratello mi nore:
Non che io non avessi capito che mio fratello per ora si rifiutava di scendere, ma facevo finta di non capire per obbligarlo a pronunciarsi, a dire: S, voglio restare sugli alberi fino allora di merenda, o fino al tramonto, o allora di cena, o finch non buio, qualcosa che insomma segnasse un limite, una proporzione a l suo atto di protesta. Invece non di ceva nulla di simile, e io ne provavo un po paura. (Calvino 1985, p. 36, corsivo mio)

Nel romanzo di Calvino vi unacuta intuizione sulla natura della protesta. E lassurdit dellatto del barone in realt, la sua impossibilit a conferire potere alla sua protesta. Nessuno sinora mai salito a vivere sugli alberi: come pu egli fare una cosa simile? Come pu un uomo trascorrere lass tutta la vita? La carica perturbativa della sua protesta deriva dallassenza di limiti e dallincertezza su ci che egli si propone da essa, nonch dal fatto di non sapere se e quando egli intenda ridiscendere a terra. La sua protesta efficace perch rende reale limpossibile. Le azioni sorprendenti, prive di limiti ed espressive non le troviamo solo nei romanzi. I momenti di follia in cui tutto possibile tornano ripetutamente nella storia dellazione collet tiva nella Rivoluzione del 1789, nella Comune di Parigi, nel lassalto al Palazzo d inverno. In tali momenti, scrive Aristide Zolberg (1972, p. 183), il muro tra lo strumentale e lespressivo crolla, la politica supera i propri limiti per invadere tutta la vita, e gli animali politici trascendono in qualche modo il pro 43

prio destino. In tali momenti in cui i limiti della vita d ogni giorno crollano si impersonano ruoli che mai si sarebbe immagi nato di recitare, o di cui si sarebbe riso. Scrive Zolberg (1972, p. 176): Liberati dalle costrizioni del tempo, dello spazio e delle circostanze, dalla storia, gli uomini scelgono la parte da imper sonare tra quelle disponibili, oppure ne forgiano, in un atto crea tivo, di nuove. Ma quanto spesso avviene che la gente comune, di solito ini bita dalla consuetudine, dalla paura e dallinerzia, adotti azioni cos estreme e spettacolari? Non molto spesso, stando agli studi di Charles Tilly sulla storia dellazione collettiva europea. Scrive questo autore: In un qualsiasi momento il repertorio di possi bilit delle azioni collettive disponibili a una popolazione sor prendentemente limitato, se si considerano gli innumerevoli mo di in cui la gente potrebbe, in teoria, utilizzare le proprie risorse nel perseguimento di obiettivi comuni (Tilly 1978, p. 151). In tempi normali, la gente comune, limitata dalla mancanza di risorse e intimidita dal timore della repressione, tender pro babilmente, per esprimere le proprie richieste, a ricorrere al re pertorio esistente delle forme di azione collettiva, pi che osare d infrangere i limiti della consuetudine. Ma ecco il paradosso: se vogliamo ottenere ascolto e convin cere gli altri che le nostre richieste sono giuste, dobbiamo mas simizzare gli elementi di novit, di minaccia, di sorpresa nella nostra azione collettiva1. E a meno che non si infrangano i limiti del convenzionale, le autorit pubbliche sapranno come affron tare le nostre richieste, e mai nulla cambier. Il segreto della pro testa sta nella perturbazione, e questa la si pu ottenere solo creando incertezza sui limiti fin dove si disposti a spingersi. Non tutti hanno la capacit o la volont di sfidare i limiti della convenzione. Solo poche persone in circostanze inusuali so no in grado di generare un momento di follia o di rottura. E solo quando le condizioni strutturali e le opportunit politiche sono favorevoli, molti altri seguiranno il loro esempio. Ma anche in quel caso, la maggior parte di essi si limiter a modesti obiet tivi e a forme convenzionali di azione collettiva. Nellinfrangere la crosta consolidata del senso comune, i primi di unondata di
1 Come scrive Peter Eisinger (1973, pp. 13-14): L a cosa implicitamente mi nacciosa in una protesta non solo la comparsa socialmente non convenzionale di folle di persone che colpisce e spaventa gli osservatori ligi alle norme, quanto la fantasia che i passanti e coloro che sono presi di mira fanno riguardo a cosa potrebbe portare un comportamento cos manifestamente aggressivo.

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protesta dimostrano agli altri che il sistema vulnerabile, che la sfida pu funzionare e che le loro richieste possono essere sod disfatte. G li ultimi arrivati possono essere meno dotati d im maginazione e meno limitati dagli schemi abitudinari, dalla pau ra e dalla cautela dei loro rappresentanti. Ma dato che i costi della protesta sono gi stati abbassati, essi devono correre solo dei rischi minori, allinterno dei limiti accettati, per colpire gli oppositori col loro numero e la loro organizzazione. La funzione dei primi in un ciclo di protesta, rispetto agli schemi abitudinari, quella di sfondare le porte attraverso cui potranno riversarsi gli ultimi. In questa concezione i momenti di follia non emergono co me vulcani isolati di ribellione da una pianura di consenso poli tico; costituiscono invece un picco intensivo di perturbazione nel mare di una molto pi vasta gamma di proteste convenzionali. Possiamo aspettarci di vedere pochi nuovi attori che si proietta no sulla scena pubblica in modo cos drammatico, ispirando altri, meno audaci, a seguire il loro esempio. I momenti di follia non sono che le vette pi visibili e intense nella pi vasta gamma di azioni collettive che le circondano. Se questo vero, unondata di protesta dovrebbe essere fatta scattare da relativamente poche ma audaci e sconvolgenti azioni di sfida effettuate da attori nuovi sulla scena pubblica, ed essere seguite da un numero molto maggiore di azioni collettive messe in atto da coloro che seguono il loro esempio, ciascuno nel proprio settore. Ma questi ultimi tenderanno di pi a vivere e lavorare allinterno di istituzioni, e sono rappresentati da orga nizzazioni interessate alla sopravvivenza del sistema. La diffu sione quantitativa delle perturbazioni del ciclo dovrebbe pertan to essere meno elevata nel suo complesso che nel picco intensivo di mobilitazione. C per un movimento opposto a questa crescente istituzio nalizzazione della protesta: dato che la perturbazione dipende dallincertezza, quando le azioni originarie che hanno fatto scat tare il ciclo divengono ripetitive, il loro potere perturbativo di minuisce e le lites, gli oppositori e le forze dellordine imparano ad affrontarle. Chi vuole catapultarsi ancor pi avanti sulla scena pubblica pu farlo solo spostando ancor pi in l le frontiere del la perturbazione, finch lincertezza della protesta diventa la cer tezza della violenza. E questa certezza ne fa scattare unaltra: la certezza della repressione e della smobilitazione di massa che la segue. Inizieremo col ripercorrere le proteste in Italia dal 1965 al 45

1974, soffermandoci sulla comparsa di nuovi attori sociali, quale ci viene indicata dalla presenza o assenza di organizzazioni co nosciute. Successivamente passeremo in rassegna le forme di protesta sia convenzionali che di sfida e violente, e ci chiederemo com cambiato il loro equilibrio relativo. Per finire, cercheremo di valutare la capacit perturbativa della protesta in periodi di versi del ciclo. Vedremo che essa ha descritto una curva, parten do dalla protesta istituzionalizzata e convenzionale allinizio del ciclo, fino a un massimo di azione di massa perturbativa nelle prime fasi, cui seguita una lunga coda di azioni collettive am piamente ripetitive, nella quale la maggior parte delle persone utilizzava forme convenzionali, e poche ricorrevano alla violen za. Coloro che osavano hanno aperto le porte della protesta agli altri.

1. Le stagioni dello scontento


Nella fig. 1 riportato il numero totale di episodi di protesta registrati dal Corriere della Sera per il decennio dal 1965 al 1974. Per gli anni 1966-73 sono riportati i quasi 5.000 singoli episodi che sono stati individuati da un esame di ogni numero del quotidiano; per i due anni 1965 e 1975, per i quali non posse diamo dati dettagliati, il numero degli episodi valutato per estrapolazione a partire da un campione di quattro mesi per cia scuno dei due anni. La fig. 1 conferma che alla met degli anni Sessanta lItalia non stava entrando in un breve momento di disordine come la Francia in quello stesso periodo ma in un maggio strisciante , in un lungo periodo di turbolenza politica e sociale che, iniziato nel 1966-68, ebbe un picco solo al volgere del decennio, e non scese mai al livello della protesta della met degli anni Sessanta. La curva si basa sul numero totale degli episodi di protesta di ogni tipo che saranno analizzati in questo capitolo, dalle petizio ni, delegazioni e scioperi, a cortei e manifestazioni pubbliche, alle occupazioni e ai blocchi del traffico, fino agli scontri con la polizia e alla violenza organizzata2.
2 In questi dati sono compresi gli episodi per i quali non si potuta indivi duare una richiesta definita, un giorno di partenza o una forma perturbativa d azione. Nel resto di questo studio lanalisi quantitativa si basa solo su quegli episodi di violenza per i quali questi dati sono stati disponibili.

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Numero

Semestre

Fig. 1 - Numero di episodi per semestre, 1965-74 1965-1966: la linea di partenza

A partire da un campione di quattro mesi degli articoli del Corriere della Sera si stimato che nel 1965 vi siano stati un totale di 181 scioperi, proteste e conflitti sociali. Nel 1966 il numero delle proteste individuate era salito a 204, con un au mento molto esiguo, dato che il 1966 era un anno di rinnovo dei contratti sia nellindustria che nei servizi pubbici (Accornero 1971, pp. 128-31). Era anche lanno in cui cominci ad apparire la protesta studentesca, e nel quale in Alto Adige esplose il mo vimento terrorista separatista. Tuttavia la media di 190 episodi di protesta riferiti dal Corriere della Sera in questanno era gi superiore a quella dellanno precedente3. I sindacati, presenti in met degli episodi del 1966, predo minavano sui partiti e le loro organizzazioni di massa, mentre gruppi regionalistici conosciuti erano presenti in quasi il 14 per cento dei casi. A partire dai nostri dati stato individuato solo un esiguo numero di proteste in cui non comparivano organiz zazioni conosciute, ma vedremo che esse furono molto pertur3 Una rapida scorsa al 1963-1964 suggerisce che il Corriere della Sera rifer meno di 150 proteste l anno.

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bative (cfr. infra, cap. VI). Le organizzazioni extraparlamentari erano praticamente sconosciute.

La spirale verso l alto


Nel 1967 il numero dei conflitti crebbe del 17 per cento ri spetto allanno precedente4. Nonostante la maggior parte dei contratti nellindustria fossero stati chiusi, si individuato un totale di 240 episodi. Il primo segno del fatto che stava pren dendo forza un ciclo di protesta fu questo aumento del numero dei conflitti, dato che normalmente il numero totale degli episodi scende alla conclusione delle trattative tra sindacati e impresa. Dato che il 1966 era generalmente ritenuto un anno fallimentare da parte dei sindacati, laumento delle azioni collettive nel 1967 fu particolarmente significativo. Nel 1967 il grado di istituzionalizzazione della protesta co minciava gi a diminuire. La partecipazione di organizzazioni co nosciute scese dal 66 al 58 per cento degli episodi, e i sindacati furono presenti in meno del 40 per cento del totale di essi. I dati confermano che il Sessantotto italiano era gi pienamente in atto nella seconda met del 1967. Riscontriamo un graduale aumento della presenza delle organizzazioni extraparlamentari, ma anche i partiti tradizionali e le loro organizzazioni di massa appaiono in oltre il 10 per cento delle proteste. A partire dalla primavera del 1968 siamo in presenza di un ciclo di protesta a carattere nazionale. Il numero degli episodi pi che raddoppiato rispetto al 1967. Via via che nuovi attori entravano in scena e diversi settori in particolare la scuola venivano interessati, vi fu un ulteriore calo nellistituzionalizza zione della protesta; per esempio, la percentuale degli episodi in cui compaiono organizzazioni conosciute scese a meno della met del totale, mentre solo in un quarto di esse ora erano coinvolti i sindacati, e solo nel 5 per cento i partiti o le loro organizzazioni di massa. Gli extraparlamentari e altri gruppi appaiono in oltre un quarto del totale degli episodi.
4 Ogniqualvolta vi fu un forte aumento percentuale nel numero dei conflitti, vi fu anche un temporaneo calo della percentuale dotata di sufficiente informa zione da essere codificata, a indicare una carenza in quei giornali che non ave vano il personale o la tradizione necessari per riferire sulle proteste sociali. D all83 per cento del totale nel 1966, la percentuale codificabile cadde al 75 nel 1967 e al 61 nel 1968, risalendo a circa il 70 sino al 1972, data dopo la quale torn a oltre l80 per cento del totale.

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Vautunno caldo
Nel 1969 e nel 1970 il numero delle proteste continu a cre scere, bench non allo stesso ritmo del 1 968. Questi due an n i furono contrassegnati da un predominio del conflitto nellindu stria e nei servizi, da un calo delle proteste nelle scuole e da un gran numero di proteste in nuove aree di conflitto: la religione, la cultura, la citt. Ma i segni dellistituzionalizzazione della pro testa stanno gi apparendo, in particolare nelle fabbriche. In questo periodo i sindacati, presi di sorpresa dallaumento della militanza di base nel 1968, cominciano a riguadagnare il control lo cavalcando la tigre, cio adottando le richieste e le tattiche radicali dei militanti di base, ma anche portando avanti una piat taforma centrata su una strategia delle riforme. I partiti e le loro organizzazioni di massa compaiono nuovamente in quasi il 10 per cento delle proteste, dimostrando di aver cominciato a rigua dagnare liniziativa persa nel 1967-68. M a questi due anni videro anche una forte presenza delle organizzazioni nuove, sia extraparlamentari che di altro tipo, che insieme sono presenti nel 2 0 per cento delle proteste nel 1969 e in oltre il 3 0 nel 1970. La percentuale dei conflitti gestiti da organizzazioni conosciute rimane costante, circa la met del to tale, ma la presenza dei sindacati scende nel 1 970, mentre quella dei gruppi extraparlamentari cresce. L autunno caldo era chia ramente una mescolanza di re-istituzionalizzazione e di contestazione.

Discesa o plateau?
Il 1971 ben tre anni dopo il 1 968 fu il punto culmi nante nel numero delle proteste, ma fu anche un anno di tran sizione nel quale il tasso di aumento del numero degli episodi smise di salire. Vi sono ora dei segni ancor pi chiari di istitu zionalizzazione; bench delle organizzazioni conosciute fossero presenti in meno della met degli episodi, la partecipazione dei sindacati sal dal 2 2 al 27 per cento del totale. La presenza dei sindacati ancor pi diffusa di quanto mostrino le statistiche, perch ora i Consigli di fabbrica, nati nel 1968-69 , si sono tra sformati in organismi rappresentativi dei sindacati a livello della singola fabbrica. Contemporaneamente i gruppi extraparlamen tari costituiti nel 1968-69 si sono dati delle strutture nazionali permanenti. 49

Nel 1972 e nel 1973 il numero delle azioni collettive di massa ebbe un netto calo: dell 11 per cento nel 1972 e del 20 nel 1973. Ma questo calo della frequenza della protesta era solo relativo. G i nel 1973 il numero di episodi era ancora di tre volte supe riore a quello del 1966. La nostra stima per il 1974, effettuata a partire da un campione di un mese su quattro di articoli del Cor riere grosso modo uguale a quella del 1973. Se misuriamo sem plicemente il numero delle azioni collettive, il ciclo continuato sino alla met degli anni Settanta. M a se invece misuriamo la protesta secondo il suo grado di perturbazione, il picco del ciclo era gi passato nel 1970. Il numero degli episodi gestiti da organizzazioni conosciute gi elevato nel 1971 crebbe al 53 per cento nel 1972 e al 58 nel 1973. I Consigli di fabbrica funzionavano normalmente, mentre i sindacati confederali avevano raggiunto un minimo di unit na zionale. Con alcune importanti eccezioni, di cui parleremo pi avanti, la protesta era gi istituzionalizzata nel momento in cui lo shock petrolifero del 1973 diede avvio a un nuovo periodo di crisi. Il ritorno ad alcuni degli schemi del 1966 e 1967 (vale a dire molte organizzazioni conosciute e unalta partecipazione dei sin dacati) indica che listituzionalizzazione era andata molto lonta no. Tuttavia il lento calo della mobilitazione e laccresciuta pre senza dei gruppi extraparlamentari suggeriscono che il ciclo non si era concluso o che, se lo era, vi erano stati alcuni cambiamenti duraturi nel repertorio della partecipazione. La tab. 1 riassume quanto finora detto, mostrando anno per anno la presenza dei vari tipi di organizzazioni nelle proteste studiate. La tab. 1 mostra alcuni elementi che si riveleranno impor tanti nei capitoli successivi. Innanzitutto, guardando la riga vi cino al totale, vediamo che la percentuale delle proteste in cui non furono presenti organizzazioni ebbe un picco agli inizi del ciclo, nel 1967-69, anni in cui coincisero la rivolta studentesca e operaia. In secondo luogo, guardando la prima riga, vediamo che la partecipazione in percentuale dei sindacati elevata agli inizi decrebbe rapidamente alla fine degli anni Sessanta e non torn mai al livello del 19665. In terzo luogo, la percentuale delle presenze dei partiti e delle loro organizzazioni di massa dopo
5 Naturalmente questo calo della presenza dei sindacati solo rispetto al nu mero totale delle proteste in corso sia dentro che fuori le fabbriche, dato che quando esaminiamo la partecipazione totale dei sindacati negli scioperi essa cre sce di molto.

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Tab. 1 - Istituzionalizzazione della protesta: presenza dei diversi tipi di organizzazione negli episodi di protesta, suddivisi per anno (% )*
Tipo di organizzazione
1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 Media

Sindacati Partiti Organizzazioni di massa dei partiti Altri gruppi Organizzazioni di movimento Percentuale di proteste non organizzate Numero totale degli episodi

4 9,5 3 ,9
2 ,0

37,5 7,1 4,2 12,5 4,5

2 6 ,1 2 ,7 2 ,5 16,6 10,6

2 5 ,7 6 ,8 2 ,3 14,4 6 ,4

2 2 ,4 8 ,8 6 ,2 13,9 17,1

2 6 ,8 5 ,5 3 ,6 8,2 11,6

2 7 ,5 5,3 2 ,6 7,6 18,3

2 9 ,9 6 ,0 3,4 8,4 22,5

2 7 ,7 6 ,0 3 ,6 11,2 13,5

13,7 1,0

3 3,3 2 04

42,1 240

50,5 517

5 0 ,6 686

48,3 876

53,5 924

47,2 830

42,5 669

4 7 ,0 4 .9 8 0

* Il totale delle percentuali non 100 per via della presenza di pi di un tipo d organizzazione in molti episodi.

un netto calo nel 1968 si riprese rapidamente; alla fine del periodo, essi erano presenti in una percentuale di proteste due volte maggiore che agli inizi di esso. In quarto luogo, laumento proporzionale maggiore verso la fine del periodo spiegato dalla rapida crescita delle organizzazioni extraparlamentari. Perch il numero degli episodi di protesta decrebbe tanto pi lentamente dellaumento della protesta alla fine degli anni Ses santa? Una causa la presenza di gruppi extraparlamentari che ricorrevano allazione collettiva perturbativa per ottenere spazio politico. U naltra laumento della violenza, talvolta abbinato alla prima causa. Ma una terza ragione che vi fu come esito del ciclo un ampliamento permanente del repertorio della politica di massa, tale da includere forme di azione che prima non erano presenti ma che ora erano entrate a far parte del repertorio con venzionale dellazione collettiva. L insolito diventato abituale. Prima di poter valutare questa ipotesi, dobbiamo per esaminare pi in dettaglio in che modo le forme di lotta si andarono evol vendo da forme d azione convenzionali a forme per turbative e violente.

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2. Le forme di lotta
Vi fu una differenza importante nelle forme di lotta messe in atto agli inizi e alla fine del ciclo? Tre furono i risultati principali: innanzitutto, le forme convenzionali di protesta collettiva furo no sempre quantitativamente dominanti; in secondo luogo vi fu una crescita della violenza politica solo verso la fine del periodo; e in terzo luogo alla fine vi fu un incremento nella partecipazione alla base, che avrebbe limitato la capacit dei partiti e delle lites sindacali di riottenere il monopolio della rappresentativit che avevano avuto nellassetto postbellico.

Fissare i limiti: il repertorio convenzionale


Parlando del comportamento individuale, Barnes e Kaase (1979) sottolineano che la dicotomia tra partecipazione conven zionale e non convenzionale nella letteratura sulla scienza poli tica troppo astratta: secondo loro quegli stessi elettori che par tecipano a un alto livello nelle elezioni sono spesso gli stessi che partecipano a forme non convenzionali di azione collettiva. I no stri dati sulle forme di azione collettiva sono a sostegno delle scoperte di Barnes e Kaase, bench essi possano solo parlare di preferenze individuali, e noi possiamo solo analizzare un com portamento collettivo. In realt, bench ci che pi viene ricor dato del ciclo italiano di protesta siano la violenza e la perturba zione, le forme convenzionali di partecipazione furono sia numericamente che percentualmente dominanti in tutto il de cennio. In Italia, come altrove, quando il coinvolgimento pub blico aumenta, aumenta su tutta la linea (Hirschman 1982). La tab. 2 presenta le percentuali di svariate forme di azione collettiva rinvenute nei nostri dati per il periodo 1966-73, rag gruppati nei principali repertori: convenzionale, perturbativo e violento6. In questa tabella ciascuna forma di azione espressa
6 Le forme di azione erano considerate perturbarne quando erano azioni di rette intese a causare interferenze con la vita, gli schemi abituali, gli interessi o i benefici di lites, di autorit pubbliche o di altri gruppi, o quando erano orga nizzate per programmare queste azioni. Cos le affermazioni verbali non sono state conteggiate come azioni di protesta. Bench non fosse nostro obiettivo (n sarebbe rientrato nel novero delle possibilit) registrare tutte le azioni dirette e non-perturbative, abbiamo tenuto conto delle azioni legali, delle delegazioni e petizioni quando erano accompagnate da azioni perturbative dirette nellambito della stessa azione o protesta.

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dapprima come percentuale sulle forme totali di azione, e poi come numero totale di episodi (in molti episodi fu utilizzata pi di una forma di azione).
Tab. 2 - form e di azione convenzionali, perturbative e violente come percentuale del totale delle forme e numero degli episodi
Forme di azione % del totale delle forme dazione 56,1 18,9 23,1 2,1 100,2 Numero degli episodi 6.745 1 .698 2 .0 7 5 186 9 .0 0 6

Convenzionali Perturbative Violente Altre, non classificabili Totale

La tab. 2 mostra il predominio numerico del repertorio con venzionale in tutto il periodo. Se sommiamo tutte le forme con venzionali (petizioni, delegazioni, cortei, incontri pubblici, scio peri), esse costituiscono il 56 per cento delle forme totali di azione riferite nei nostri dati, mentre le forme perturbative (oc cupazioni, sit-in, blocchi stradali, irruzioni, pratica dellobietti vo) apparvero nel 19 per cento, e la violenza nel 23 per cento delle forme totali d azione. La lezione della tab. 2 chiara: mentre pochi italiani prote stavano picchiandosi per le strade, saccheggiando, incendiando e abbandonandosi a tumulti, la maggior parte di quelli che ricor revano alla protesta utilizzavano forme di azione perturbative, ma sostanzialmente pacifiche, mentre la maggior parte di coloro che protestavano e che scioperavano non oltrepass mai i limiti del repertorio convenzionale. La forma convenzionale pi comunemente usata fu lo scio pero, seguito dai cortei e dalle assemblee. Come frequenza ve nivano subito dopo le assemblee sul posto di lavoro7, seguite da forme pi istituzionali (per esempio petizioni, udienze, volanti naggi e azioni giudiziarie). Riassumiamo brevemente alcune in
7 Le assemblee sono state conteggiate solo quando si verificavano in connes sione con unazione perturbativa, per esempio dichiarare uno sciopero durante unoccupazione. Le semplici assemblee, o quelle assemblee che non sfociarono in unazione perturbativa, non sono state considerate, dato che molte erano state indette per discutere di scioperi mai attuati. Q uesto senza dubbio fa s che la frequenza delle assemblee sia considerevolmente sottovalutata.

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formazioni su queste forme convenzionali di partecipazione pri ma di volgerci al repertorio perturbativo che ha contrassegnato il picco intenso della mobilitazione, intorno al 1968. G li scioperi aumentarono e diminuirono in rispo sta alle pressioni economiche, ai rinnovi contrattuali e alla chiu sura delle fabbriche. Furono i conflitti pi comuni e convenzio nali che troviamo nei nostri d ati8, comparendo nel 40 per cento degli episodi e in oltre il 20 per cento delle forme di azione re gistrate. Bench lo sciopero sia larma tipica della classe operaia, in quegli anni divenne anche unespressione di dissenso o uno strumento di trattativa tra gruppi quali gli impiegati dello Stato, gli impiegati bancari, i medici e gli avvocati, che precedentemen te avevano cercato di differenziarsi dal proletariato. Gli scioperi vennero anche simbolicamente impiegati da gruppi con poche risorse, quali i pazienti psichiatrici, i detenuti e gli allievi delle scuole per ciechi. La gente cominci a usare il termine sciopero anche quando era tecnicamente inappropriato, per conferire for za alle proprie proteste e collegarsi ai principali attori sociali.

Lo sciopero.

Azioni dimostrative. Il corteo e il raduno pubblico i due tipi classici di azione dimostrativa collettiva sono le forme che troviamo al secondo e terzo posto nei nostri dati. Messe insieme, esse apparvero in oltre un terzo degli episodi e costituirono oltre il 19 per cento delle forme totali di protesta utilizzate. Aumen tarono grosso modo in parallelo con lestendersi della mobilita zione, ma ebbero un picco prima di quello del numero totale de gli episodi, tornando, nel 1972, allincirca alla stessa percentuale sul totale che avevano nel 1966. In termini numerici, nel 1973 il numero dei cortei e dei raduni pubblici fu circa tre volte mag giore dellanno precedente. Le due forme apparvero spesso in sequenza, con un raduno pubblico utilizzato come punto d as semblea per i partecipanti che poi seguivano un percorso predeterminato; oppure il corteo rappresentava il passaggio ritualizza to attraverso la citt verso un posto di raduno predeterminato. Nei nostri dati il corteo e il raduno pubblico appaiono nello stes so episodio di protesta in unaltissima percentuale dei casi. In
8 Abbiamo definito sciopero unastensione dal lavoro o (nel caso di istituzioni non produttive come la scuola) una non-cooperazione al funzionamento dellisti tuzione. Vedremo nel capitolo V II che gli scioperi furono spesso accompagnati da forme di azione pi pubbliche e pi perturbative, in particolare quando gli operai trovarono dei gruppi esterni che ne sostenevano le richieste.

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sieme allassemblea di fabbrica e allo sciopero, furono le forme di azione pi strettamente legate e meglio organizzate.

Assemblee.

I raduni allinterno dei luoghi di lavoro delle per sone direttamente interessate a un conflitto solo di rado sono fisicamente perturbativi, ma di solito avvengono per preparare uno sciopero o per discuterne uno gi in corso (Regalia 1975). Anchessi tesero a seguire uno scenario regolare, dalla distribu zione di volantini che annunciavano lora e il luogo dellassem blea, a discorsi preparati dai leader o dai militanti, a voti sulle risoluzioni. La funzione principale delle assemblee fu di decidere delle forme di azione da usare in uno sciopero e di coordinare i piani necessari. Le assemblee divennero lo strumento principale dei Consigli di fabbrica che apparvero nei reparti durante il periodo dellautunno caldo ma furono anche organizzate dagli studenti in innumerevoli occupazioni.

Azioni istituzionali.

In tutto questo periodo di disordini e con flitti vi fu frequente ricorso alle delegazioni, alle petizioni, al volantinaggio e allazione legale. Queste forme istituzionali di comportamento comparvero nel 14 per cento degli episodi e co stituirono l8 per cento delle azioni totali. Poich stiamo studian do solo episodi che furono in qualche modo perturbativi, abbia mo certamente sottovalutato la percentuale delle azioni istitu zionali, dato che, quando conteneva solo queste forme d azione, un episodio non veniva affatto codificato.

Il picco della mobilitazione port a un calo di tutte queste forme convenzionali di partecipazione? La prima scoperta importante circa la dinamica del ciclo di protesta che il ricorso alle forme convenzionali crebbe in parallelo con la mobilitazione in gene rale. Via via che la protesta si diffondeva a nuovi gruppi e in settori diversi della vita italiana, la maggior parte delle persone utilizz solo il repertorio convenzionale e non si abbandon n alla protesta perturbativa n alla violenza. Nella fig. 2 sono riportati i dati sulle forme diverse di azione collettiva, aggregati per sottotipo, per il periodo di otto anni sul quale possediamo risultati dettagliati. Le tre curve nella fig. 2 ci mostrano tre cose. Innanzitutto, tutti e tre i repertori d azione convenzionale, perturbativo e violento crebbero in paral lelo durante i primi due anni e mezzo. In secondo luogo, il prin cipale cambiamento dopo il Sessantotto fu che il ricorso allazio ne collettiva perturbativa decrebbe e fu sostituito al secondo 55

posto dalla violenza. In terzo luogo, malgrado il simultaneo au mento della protesta perturbativa e violenta agli inizi del perio do, il repertorio convenzionale di conflitto predomin sempre. Quanto al repertorio perturbativo, esso non fu mai pi co mune del repertorio convenzionale, e fu pi comune della vio lenza solo nel periodo relativamente breve che va dal 1968 alla fine del 1969 quello che da ora in poi chiameremo il picco intenso di mobilitazione. I cosiddetti momenti di follia coin cidono con un aumento della protesta in generale, ma decrescono pi rapidamente sia della violenza che della protesta convenzio nale.
Numero

episodi convenzionali

Semestre

Fig. 2 - Numero di episodi convenzionali, perturbativi e violenti per seme stre, 1966-73 Contestazione e sfida Se in quegli anni vi fu un aumento quantitativo delle forme convenzionali di partecipazione, vi fu per anche un cambiamen to di gran lunga pi evidente nellimpiego delle forme di azione perturbative. Occupazioni, blocchi, sit-in e irruzioni forme che sono non violente ma pongono gli attori in un rapporto po tenzialmente conflittuale con gli altri o con le autorit furono utilizzati nel 30 per cento degli episodi e costituiscono il 17 per cento delle azioni totali. Come mostra la fig. 2, il ricorso a queste forme crebbe prima e pi rapidamente della mobilitazione totale, ma il loro impiego aveva raggiunto il culmine nel 1968 e aveva registrato un rapido calo verso la fine del periodo. Dato che era no le forme principali che avevano fatto scattare il ciclo di pro56

testa pi lungo ma pi convenzionale, esaminiamole individual mente per cogliere il senso di come operarono. L occupazione e il sit-in. In Italia, come negli Stati Uniti negli anni Sessanta, loccupazione fu la forma di contestazione, nata in quel periodo, pi frequentemente usata, e la versione italiana doveva molto allesempio americano. Ma loccupazione ben pre sto si diffuse dalluniversit ai posti di lavoro e agli spazi pub blici, elaborando una cultura e un rituale propri. Come vedremo nel capitolo VI, alcune facolt furono quasi sempre occupate dal linizio dellanno accademico 1967-68 fino alla primavera del 1969, con interruzioni solo durante le vacanze e sempre pi fre quenti attacchi della polizia. Era diventata una sfida tornare a un edificio o a una facolt e tenerli dopo che la polizia li aveva sgom berati. Ostruzioni e irruzioni. Ancora pi gravide di scontro rispetto ai sit-in, dal momento che i risultati erano meno prevedibili, erano le irruzioni in scuole chiuse e in edifici pubblici cui era vietato laccesso, il blocco di funzioni pubbliche di routine quali la cir colazione del traffico o dellespletamento di mansioni pubbliche. Queste forme d azione crebbero rapidamente dal 1968 in poi. Il blocco fu di gran lunga la pi comune delle due, dato che si ve rific in quasi 800 casi, rispetto ai 100 di irruzione. Il blocco materiale non era lunica tecnica utilizzata. Lo svol gimento normale delle cose poteva essere perturbato semplicemente dalla non-cooperazione come avvenne nelle rivolte dei detenuti che scoppiarono nel 1968 mentre per far cessare la produzione bastava che i lavoratori fissassero dei ritmi propri, come nel caso delle campagne di autoriduzione che cominciarono nella fabbrica Pirelli e si diffusero in tutto il panorama industria le in quello stesso anno9. Estensione dello sciopero. Tradizionalmente in Italia lo sciopero sempre stato utilizzato nei periodi precedenti alle trattative per i contratti e sotto il controllo dei sindacati nazionali. Ma nel 1967 e 1968 gli scioperi cominciarono a scoppiare nelle fabbriche e nei reparti nei periodi lontani dalle trattative per i contratti, e
9 Lumley (1983, pp. 329-39) scrive che l autoriduzione era: una riduzione della produzione effettuata dagli operai [...] una forma d azione nellindustria che colpiva limmaginazione di ampi settori di attivisti nei reparti, nella sinistra, nei sindacati e nei movimenti sociali pi in generale.

spesso senza consultazione coi sindacati (Reyneri 1978). Questi scioperi erano spesso spontanei, talvolta violenti e sempre per turbativi. Li analizzeremo abbastanza dettagliatamente nel capi tolo VII. Verso la fine del decennio, dopo che lautunno caldo aveva portato una ripresa del controllo dei sindacati nelle trattative na zionali, si aggiunse un elemento nuovo: i Consigli dei delegati consideravano gli accordi di contratto raggiunti a livello nazio nale non come un punto d arrivo, ma come una base dalla quale partire per costruire accordi pi avanzati a livello della singola fabbrica. Di conseguenza il conflitto si estese nel periodo tra le trattative per i contratti, e il centro di gravit dello sciopero sce se dal livello nazionale alla singola fabbrica. In questa fase i sin dacati erano spesso presenti, cavalcando la tigre della conflit tualit di reparto, ma le forme di sciopero erano pi audaci e pi per turbative che nella fase precedente. Nello stesso periodo in cui gli operai stavano intensificando le forme di azione impiegate, lo sciopero cominci a essere uti lizzato da altri attori sociali in aree e settori nei quali preceden temente era stato meno comune e quindi aveva un alto poten ziale di perturbazione. I conducenti di tram e di autobus, gli addetti ai bagagli negli aereoporti, i funzionari delle dogane, gli impiegati di banca, gli insegnanti, i paramedici utilizzarono lo sciopero in modi convenzionali, ma questa terziarizzazione dellarma dello sciopero tocc il pubblico direttamente e ampli i confini del settore del movimento sociale (Accornero 1985). Azioni espressive e simboliche. Le forme di perturbazione sim bolica, sia che si trattasse di bruciare effigi o immagini, di fare scioperi della fame, di incatenarsi a un cancello o di usare la pra tica dellobiettivo erano molto meno comuni di quanto ci si po trebbe aspettare. Abbiamo osservato il ricorso a queste forme solo nel 3 per cento degli episodi totali, e in meno del 2 per cento delle forme totali d azione. Per quanto scarse, queste forme espressive d azione erano importanti perch facevano notizia, portavano a una percezione diffusa del fatto che il sistema po teva essere ridicolizzato e attaccato, e catturavano limmagina zione dei media e degli osservatori10. Tali azioni potevano anche fare parte di pi vasti scenari aggiungendo humor, sorpresa e
10 L opera esaustiva di Lumley ha comportato un attento studio di tali forme espressive di conflitto. Sono in debito con lui per le sue intuizioni circa il tessuto e la cultura dellazione collettiva.

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spettacolarit a proteste che altrimenti avrebbero potuto non at trarre un seguito11. Il ricorso a mezzi simbolici di espressione fu inversamente correlato al livello di organizzazione di chi effet tuava la protesta, e fu comune nel picco intenso della mobilita zione. Anche gli operai delle fabbriche adottarono forme espressive di manifestazione pubblica per pubblicizzare le loro richieste. Nelle loro dimostrazioni erano spesso presenti elementi della simbologia militare. Nei cortei che giungevano nel centro delle citt i metalmeccanici indossavano le tute da lavoro, tambureg giando su delle latte vuote e scandendo slogan. In queste dimo strazioni vi erano anche elementi peculiari di gioco e di teatro che le facevano assomigliare al carnevale tradizionale12. In fab brica i cortei interni erano organizzati da reparto a reparto, pun teggiati da slogan intesi a mostrare il potere degli scioperanti, a diffondere il loro entusiasmo agli altri e ad intimidire gli oppo sitori. Il diritto al ricorso alle forme convenzionali d azione collet tiva venne talvolta ottenuto solo tramite lo scontro. Si consideri il caso dellassemblea: essa divenne comune sul posto di lavoro solo dopo il periodo di lotte. Nel 1966, nel momento in cui si stavano svolgendo le trattative per i contratti, solo nel 6,4 per cento degli episodi comparivano delle assemblee. Il diritto di te nere assemblee in fabbrica dovette essere conquistato con la lotta dai lavoratori, che portarono gli organizzatori sindacali dentro le fabbriche sulle spalle, con una pratica dellobiettivo che costrin se la direzione ad accettare il diritto di assemblea. Uno degli sco pi principali delle agitazioni fu quello di ottenere il diritto di partecipare ad attivit pi convenzionali, ma non altrettanto pu dirsi per una terza categoria di azione collettiva, la violenza.

11 Per esempio, quando i sostenitori del divorzio fecero uno sciopero della fame a piazza Navona per pubblicizzare le loro richieste, gli oppositori, alla ri cerca di una controprotesta, organizzarono un banchetto; quando le modelle a Bologna vollero degli stipendi pi alti, inscenarono uno striptease in strada M ag giore; a Messina due fidanzati si baciarono pubblicamente in un congresso sulla sessualit per protestare contro la repressione sessuale; le vittime del terremoto del Belice si accamparono davanti a palazzo Montecitorio per rendere pubblici i ritardi degli aiuti governativi. 12 I capi venivano spesso raffigurati come pupazzi; alla fine di un corteo pu pazzi che rappresentavano alcuni ministri vennero talvolta impiccati e bruciati dinanzi ai cancelli delle fabbriche.

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Infrangere i limiti: dal disordine alla violenza Gli studiosi della violenza lhanno troppo spesso confusa con lattivit illegale, con le azioni perturbative, e talvolta con gli esiti violenti di episodi intrinsecamente non violenti15. Ai nostri scopi la violenza pu essere definita come limpiego deliberato della forza fisica in vista di obiettivi collettivi. Nel complesso le azioni violente furono osservate nel 22,2 per cento del totale del le azioni registrate nei nostri d ati14. Ma limpiego della violenza bench subito stigmatizzato dalla stampa e dalle autorit non era spesso lintento princi pale degli attori collettivi, ma solo un effetto collaterale. Come scrivono i Tilly (1975, p. 282), Le dimostrazioni violente non costituiscono una classe di eventi a s stante; perlopi si verifi cano in mezzo a un numero maggiore di dimostrazioni simili al trimenti non violente. Durante il picco intenso della mobilitazione la violenza fu di questo tipo quando i dimostranti portavano avanti un piano da opporre alle autorit o alle lites-, quando questo piano era osta colato dalle forze dellordine che sbarravano loro la strada o le caricavano; quando incontravano un gruppo opposto che voleva impedire la loro azione o quando una minoranza di dimostranti cercava di radicalizzare una protesta rovesciando automobili, at taccando gli oppositori o la polizia. Solo verso la fine del periodo la violenza si present spesso come intento principale dei dimo stranti, via via che le forme di azione collettiva non violente per devano la loro capacit di colpire le lites, che la base si ritraeva dallattivit del movimento sociale, e chi voleva assurgere a lea der doveva intraprendere forme d azione sempre pi radicali per crearsi un seguito. La tab. 3 illustra quanto detto, suddividendo il ricorso alla violenza nelle sue varie forme. La tabella mostra che nell8 per cento degli episodi la violenza assunse la forma di uno scontro con la polizia (stabilire chi abbia attaccato chi in questi scontri
13 Per esempio, gran parte della ricerca, basata su dati aggregati, sulle fonti comparative di violenza non fa alcuna distinzione tra la violenza generata dai dimostranti e quella generata dalla polizia o che si verificava nel corso di una protesta. Per una critica sulla violenza politica, vedi Della Porta 1988, e Della Porta, in corso di stampa. 14 In questo dato non considerato quel 3 per cento degli episodi in cui vi furono esiti violenti in assenza di una forma d azione intrinsecamente non-violenta. Furono probabilmente dei casi in cui la polizia o altri attaccarono una dimostrazione pacifica. Per dettagli vedi Della Porta e Tarrow 1986, pp. 617-18.

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unaltra questione); nel 10 per cento dei casi vi fu un conflitto tra gruppi opposti; nel 12 per cento vennero attaccati solo dei beni materiali. Solo nel 12 per cento degli episodi da noi studiati og getto di un attacco premeditato furono specifiche persone. Solo l I per cento degli episodi furono tumulti classici e nello 0,3 per cento la violenza era diretta contro obiettivi casuali, caratteri stica questa delle stragi provocate dallestrema destra. Il ruolo e la percentuale della violenza nelle varie fasi del ciclo di protesta saranno analizzati in maggior dettaglio nei capitoli successivi15; per ora basti sottolineare che la violenza non orga nizzata e interattiva del picco della mobilitazione nel 1968-69 del tutto diversa dalla violenza deliberata e organizzata della fine degli anni Settanta e degli inizi degli anni Ottanta. Tab. 3 - Forme di violenza utilizzate negli episodi di protesta come percentuale del totale degli episodi e del totale delle forme di protesta
Episodi di protesta % del totale delle forme 7,7 10,0 11,7 11,8 1,2 0 ,3 4 2 ,7 % del totale degli episodi 3 ,9 5,1 6 ,0 6 ,0 0 ,6 0,1 2 1 ,7 Totale delle forme violente 401 497 584 589 58 15 2 .183

Scontri con la polizia Scontri di piazza Danni a beni materiali Attacchi violenti Vandalismo Violenza contro obiettivi casuali Totale

3. Il momento di follia
Quando pensiamo a un ciclo di protesta, i nostri ricordi ed emozioni spesso condensano esperienze e fasi diverse. Cos, ben ch abbiamo visto che la violenza non divenne significativa sino alla fase finale del ciclo, alcuni osservatori ricordano tutto il pe riodo come un tempo di violenza, di bombe e terrorismo. Altri unificano il movimento studentesco del 1967-68 con londata di
15 Per unanalisi pi dettagliata vedi D ella Porta, in corso di stampa; Della Porta e Tarrow 1986; e Tarrow, in corso di stampa.

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conflitto industriale nel 1969-70. Altri ancora hanno associato questi movimenti ai nuovi movimenti sociali della met degli anni Settanta (per la pace, per lambiente e i movimenti femmi nisti). Per altri ancora tutto questo fa un tuttuno con lincubo del terrore organizzato che lItalia ha subito durante la fine degli anni Settanta. Non tutti i ricordi popolari sono ingannevoli. Quando la gen te ricorda gli anni intorno al 1968 come il momento culminante del ciclo, coglie un elemento di verit. Il declino dellistituzio nalizzazione della protesta che abbiamo visto dal 1966 al 1968 dimostra non solo che la mobilitazione era in pieno svolgimento molto prima del Maggio francese, ma che corrisponde anche a un momento di sfida, di entusiasmo collettivo, di creativit tattica e costituisce un punto di riferimento per il resto del ciclo. Persino i dati ricavati dallanalisi dei giornali comunicano questo carattere di momento di follia o rottura dal 1967 al 1969. Questo in due modi: innanzitutto nella creativit tattica di chi protestava, e in secondo luogo nella carica perturbativa delle loro azioni. Il supporto statistico a entrambe queste affer mazioni riportato nelle figure 3 e 4. Nella fig. 3 vediamo il numero medio di forme tattiche os servate in ciascun episodio di protesta, aggregato per semestre dal 1966 al 1973. Il grafico dimostra che la versatilit tattica crebbe molto rapidamente nei primi anni del ciclo e declin len tamente in un momento successivo, allopposto di quanto fece il numero totale degli episodi, che raggiunse il massimo solo nel 1971. Unendo i risultati della fig. 3 con quelli della tab. 1 otte niamo che mentre la presenza delle organizzazioni riconosciute era in calo, i movimenti stavano imparando a utilizzare sempre pi varie forme di protesta. Successivamente, mentre listituzio nalizzazione cresceva, la versatilit tattica subiva un calo. Le occupazioni nelle universit furono lesempio archetipico di innovazione tattica. Infatti allinterno delloccupazione si or ganizzavano gruppi di lavoro, si ciclostilavano bollettini, si or ganizzavano assemblee, si tenevano lezioni16. Ma anche nelle fabbriche il 1968 e 1969 furono anni di innovazione tattica. Gli operai coordinarono dei blocchi del lavoro, organizzarono cortei intorno alla fabbrica, inventarono canti e slogan e praticarono lobiettivo della riduzione della velocit della catena di montag gio e della limitazione del cottimo. Alcuni ricordano questo pe16 Per uneccellente descrizione vedi Lumley 1983.

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Numero
medio
2.5 24

_____I _______I _______I _____


1967 1968 1969 1970

1971

i_______ I ------1972

1973

Semestre

Fig. 3 - Numero medio di forme dazione per episodio, per semestre, 19661973 riodo come un periodo di spontaneit; ma, come per il movimen to per i diritti civili americano (McAdam 1983), pi esatto par lare di innovazione organizzativa e tattica. Lo sconvolgimento delle istituzioni raggiunse il suo massimo esattamente in quel periodo. Per avere unidea della carica perturbativa delle proteste del 1967-69 possiamo sommare il nume ro delle forme tattiche utilizzate in ciascun episodio e assegnare un peso a ciascuna di esse secondo la sua carica perturbativa per gli altri, per gli schemi abituali e per lordine pubblico17. Nella fig. 4 presentiamo il livello medio di questa carica per semestre per tutti gli episodi di protesta. Come mostra la figura, essa rag giunse il suo culmine nel 1968, molto prima che lazione collet tiva raggiungesse il proprio livello quantitativo massimo. Ci fu un picco minore nel 1969, prima di un lungo declino lungo i pri mi anni Settanta. Un altro piccolo aumento visibile nel 1973, ma solo in funzione della spirale di violenza crescente. I dati qui presentati sono a sostegno dellidea avanzata nel
17 Ad ogni forma d azione stato assegnato un valore base di 1, ed essa stata poi soppesata secondo il suo grado valutato di perturbazione per gli altri. Le petizioni e le delegazioni hanno avuto il peso 1, gli scioperi, i raduni pubblici e i cortei il peso 2, le occupazioni, i blocchi e le irruzioni il peso 3, i danni ai beni materiali o il furto il peso 4, gli scontri violenti deliberati il peso 5. Naturalmente a parit di altri fattori il livello di perturbazione crebbe di pari passo col numero di forme d azione diverse nel corso di uno stesso episodio.

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Punteggio medio

Semestre

Fig. 4 - Punteggio medio del grado di pertubazione di tutti gli episodi di protesta per semestre, 1966-73 capitolo I e qui sopra, che a far scattare il ciclo fu un cambia mento qualitativo della protesta, che diede poi inizio a un ciclo di conflitto pi lungo ma pi convenzionale. Una ulteriore confer ma si ha da un confronto tra la curva della carica perturbativa nella fig. 4 e la parabola del numero degli episodi di protesta nella fig. 1. Il momento di follia del 1967-69 fece scattare un ciclo di protesta lungo, ma molto pi convenzionale.

4. Conclusioni
Bench un quadro pi chiaro delle diverse fasi del ciclo ita liano della protesta emerger solo dai casi che analizzeremo nei capitoli successivi, la parabola dellazione collettiva esaminata in questo periodo ha gi indicato alcune chiare direzioni. Il periodo fu un periodo di sconvolgimento, di disordine e spesso di vio lenza, ma la maggior parte delle proteste assunse le forme con venzionali dellespressione democratica pubblica. Altre forme furono di sfida, inaspettate e pi perturbative, mentre alcune furono violente. 64

Tuttavia il picco della mobilitazione dur solo dal 1967 al 1969: dopo quella data il numero di episodi continu a crescere fino al 1971, ma da quellanno il repertorio era pi convenzio nale, meno perturbativo, e stava gi tornando sotto il controllo delle organizzazioni. Il Maggio strisciante italiano fu in realt costituito da un breve momento di follia e da un periodo molto pi lungo di istituzionalizzazione della carica perturbatrice. Bench sia facile capire perch la violenza debba rimanere nel ricordo molto tempo dopo che le proteste pacifiche siano sta te dimenticate, le azioni dichiaratamente violente costituirono una netta minoranza del repertorio di azione collettiva utilizzate sino al 1972. Solo verso la fine del periodo, quando sia la pro testa convenzionale che quella perturbativa avevano subito un calo, si ebbe un significativo aumento della violenza organizzata. La violenza era funzione del calo della mobilitazione, non una sua estensione. Perch cos importante sottolineare che il picco della mo bilitazione termin cos presto? La domanda pu essere diretta sia ai moderati di oggi che allestrema sinistra del periodo pre cedente. I primi, i quali sostengono che ci fu una continuit tra il Sessantotto e il terrorismo organizzato della fine degli anni Settanta, ipotizzano una continuit nella natura della protesta che non trova sostegno nei documenti pubblici. Ma il loro errore meno importante di quello dei gruppi extraparlamentari che nacquero dal momento di rottura del 1967-69. Convinti dalla conflittualit di massa dellautunno caldo che la mobilitazione avrebbe continuato a crescere, essi sopravvalutarono la disponi bilit della base allazione collettiva perturbativa, fornendo cos il pretesto alla repressione, alienando parte importante del pub blico dallazione collettiva in generale e aprendo la strada ai fau tori della violenza d avanguardia. Il fatto che la mobilitazione di massa subisse un calo fu lorigine del fallimento sia del movimen to sociale sia delle sette della violenza organizzata un decennio pi tardi. Tuttavia questi fatti non devono farci perdere di vista i ri sultati positivi ottenuti dal momento di follia. Esso coinvolse centinaia di migliaia di persone in una.di quelle rare parentesi creative della storia sociale. Bench non altrettanto immediata mente minaccioso del Maggio francese, il Sessantotto italiano inizi prima, dur di pi ed ebbe effetti politici e sociali pi pro fondi. Analizzeremo i principali effetti del Sessantotto nel resto di questo libro; per ora ricordiamo che il pi importante di essi fu che, nel dimostrare la vulnerabilit del sistema di fronte alla 65

protesta, esso incoraggi settori pi tranquilli della societ ita liana a ricorrere allazione collettiva. Questo port una nuova generazione di italiani^ al livello base di una classe politica che non si era rinnovata dal 1945. Dai primi conflitti del 68 si formarono nuove organizzazio ni; i sindacati furono ringiovaniti di nuovo personale e nuova militanza; persino i partiti della sinistra caduti nel favore dei giovani nel picco della mobilitazione subirono un rinnova mento dallinfluenza di questa nuova generazione di attivisti. Il momento di follia estese il repertorio futuro della partecipa zione proprio attraverso quel ciclo di protesta da esso stesso ge nerato.

IV

ATTORI, OPPOSIZIONI E STATO

L operaio conosce la fabbrica, il ritmo ossessivo della catena di mon taggio, il capoturno, le spie e i controllori, il padrone e la busta paga. Non conosce il capitalismo monopolistico. L assistito conosce le squal lide sale d aspetto, il funzionario o lassistente sociale, il sussidio. Non sa cosa sia [...] lo Stato sociale. L affittuario conosce il soffitto che perde e i radiatori ghiacciati, e conosce il padrone di casa. Non conosce il sistema bancario, le societ immobiliari e le imprese edili. (Piven e Cloward 1977, p. 20)

Chiude un cantiere navale L antica citt di Trieste al punto di giunzione di tre culture. Con la sua storia di principale sbocco al mare degli Asburgo, che ormai solo un ricordo, e tagliata fuori dal suo hinterland natu rale, la citt sopravvive come avamposto della cultura italiana per ragioni pi politiche che economiche. Nelleconomia totale il peso del settore pubblico di conseguenza grande, particolar mente nei traffici e nellindustria di costruzioni navali, che ora solo un ricordo della gloria passata. Trieste una citt politicamente moderata, ma qui, come ovunque, i sindacati dei portuali sono molto agguerriti. Alla met degli anni Sessanta le costruzioni navali si stanno spostando verso lAsia, e i cantieri italiani soffrono di ipercapacit produttiva. Nel giugno 1966, nel mezzo delle trattative per il contratto nazionale, II ri, che controlla lItalcantieri, annuncia un piano di ristrutturazione dellindustria intorno a pochi centrichiave. Nel quadro di questo piano, i Cantieri Riuniti di Trieste saranno fusi in unentit pi grande con sede a Genova e il ba cino San Marco sar chiuso (Corriere della Sera, 24 giugno 1966). 67

La C g i l e la C i s l , unite in nome della solidariet locale, di chiarano uno sciopero generale, che ottiene un ampio sostegno locale, dai cantieri alle scuole, dai negozi ai trasporti pubblici alle fabbriche. Un corteo degli operai della San Marco seguito da un incontro pubblico nel centro storico per richiamare latten zione sui problemi della citt. Dopo aver dimostrato la loro forza i sindacati hanno un incontro col presidente della Camera di Commercio, i quattro partiti che amministrano la citt, la dele gazione parlamentare cittadina, il sindaco, il presidente della Re gione e i funzionari di vertice dellTtalcantieri. La delegazione si reca a Roma per incontrare lallora presidente del Consiglio Aldo Moro (Corriere della Sera, 24 giugno 1966). Questa sequenza ben orchestrata e quasi rituale di eventi sor tisce lassicurazione che si trover una soluzione tale da ridimen sionare il settore dei cantieri navali senza dimenticare le esigenze degli operai delle citt. Ma a met estate niente stato ancora fatto, sicch viene dichiarato un altro sciopero generale, promos so da tutte e tre le confederazioni sindacali e con un sostegno ancor pi ampio dei cittadini. Questa volta, tuttavia, il rituale corteo e il raduno pubblico non terminano in un tranquillo in contro con i funzionari, ma in uno scontro con la polizia. Ven gono scagliate pietre contro la sede della R a i che non ha dato abbastanza risalto alla protesta (Corriere della Sera, 2-4 agosto 1966). Il governo reagisce alle proteste suggerendo un compro messo chiudere i bacini San Marco spostando la sede dellItalcantieri da Genova a Trieste. La manovra tranquillizza i triestini, ma dallaltra parte della penisola, a Genova, i portuali, i negozianti e i politici reagiscono violentemente alla proposta. Dalla fine di settembre alla fine del lanno i portuali di Genova organizzano una serie di scioperi im provvisi per chiedere il trasferimento dellTtalcantieri nella loro citt, oltre ad un maggior aiuto economico per la sua economia in declino. Anche qui le tre confederazioni collaborano e inviano una delegazione congiunta a Roma a parlare col governo. Anche qui raccolgono un ampio sostegno sociale nel nome della solida riet locale. Ma Genova non Trieste: le contenute manifestazioni dei portuali e lespressione di solidariet dei cittadini fanno rapida mente nascere un confronto anche violento, mentre i negozianti abbassano le saracinesche, ci sono blocchi del traffico e scontri tra giovani e polizia. In una manifestazione di massa gli studenti maoisti approfittano del corteo dei sindacati e del raduno pub blico per riversarsi nelle strade della citt, spaccare vetrine, dan
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neggiare automobili e, secondo il Corriere della Sera, rubare libri1. Ne seguono degli arresti e un processo (Corriere della Sera, 29 settembre 1966). Come nella protesta di Capodanno a Livorno vista nel capitolo precedente, gli studenti utilizzano le proteste convenzionali delle organizzazioni ufficiali come base di partenza per unazione perturbativa. Nella citt adriatica le notizie degli eventi di Genova fanno nascere il timore che Trieste possa perdere lItalcantieri. Nasco no nuovi scioperi per ricordare al governo il suo impegno di man tenere aperto il San Marco. Ma questa volta il conflitto si dif fonde al di l dei cantieri e sfugge al controllo dei sindacati. Il 4 ottobre alcuni partecipanti a un corteo indetto dai sindacati in terrompono linaugurazione di una nuova scuola con grave im barazzo del ministro della Pubblica Istruzione che presente. Come i genovesi anche i lavoratori triestini non esitano ad ap profittare dellopportunit presentata da un evento pubblico per insistere sulle loro richieste. Passando davanti agli uffici di un giornale locale, il corteo getta contro le sue finestre dei pezzi di carbone per protestare contro il fatto che non abbia riferito dello sciopero (Corriere della Sera, 5 ottobre 1966).
Q u e sti a sp e tti in co n tro llati dello sciopero com in cian o a p re occu p are la C is l e i suoi am ici d em o cristian i. Q u an d o il 9 o tto b re la C g i l d ich iara un altro scio pero , i lead er d ella C is l si tirano in dietro. C i son o scon tri con la p o lizia, b locch i del tra ffic o e un attacco alla sed e delle A c li (C o rriere d ella S e ra , 12 o tto b re 1966). Q u an d o l in decisio n e del gov ern o d iv en ta ch iara, l en tu siasm o e l u n it d ella prim a fa se d ella crisi p o rta ad aggression i, d iv isio n i e violen ze. A lla fin e tu tto si sistem a con un tran qu illo com p ro m esso e il co n flitto sp ro fo n d a nelle acque fan go se della p o litica italian a.

Perch iniziare a parlare degli attori di quello che sar un ciclo nazionale di protesta con una contrapposizione avvenuta nel 1966 sulla chiusura di unindustria ormai sorpassata, ai limiti estremi dellAdriatico? Il caso di Trieste e di Genova illustra al cuni aspetti cruciali del ciclo che sta iniziando: innanzitutto il gran numero di conflitti in cui gli attori difendevano il proprio status da sconvolgimenti sociali al di fuori del loro controllo; in secondo luogo, il ruolo della competizione tra gruppi nella dif
1 M etto il termine m aoista tra virgolette perch in questa fase i giornalisti spesso usavano il termine in modo indifferenziato per caratterizzare tutti i gruppi di studenti estremisti.

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fusione del conflitto, e per finire limportanza della politica e dello Stato quale arbitro. I lavoratori dei cantieri erano persone semplici con richieste tipiche, che non per loro colpa stavano per perdere un lavoro a causa del cambiamento tecnologico. Aiutati dai sindacati cerca no di reagire, e cos facendo invocano alleanze sociali, estendono i temi della loro protesta dal lavoro alla difesa del territorio, at taccano ampi e pi nuovi obiettivi. Via via che procede, la di sputa fa scattare lopposizione di altri, il che estende lasse del conflitto e lo indirizza verso lo Stato. Essa scompare dalla scena pubblica quando viene inghiottita dalle acque fangose della me diazione politica. In questo capitolo esamineremo dapprima gli attori sociali centrali del ciclo gli operai e gli studenti e poi i gruppi secondari ai quali il disordine si diffuse, prima di tornare ad al cuni degli assi principali del conflitto tra attori e oppositori, Sta to e societ. In questo capitolo sottolineeremo la natura difensi va di molte delle lotte popolari, e i tentativi degli organizzatori del movimento sociale di trasformarle in motivazioni di una tra sformazione rivoluzionaria.

1. Studenti e operai
Il decennio 1965-75 gener un ricco e confuso insieme di azioni, di scontri e di competizioni tra gruppi opposti. Questa variet immediatamente manifesta nella gamma degli attori so ciali e dei gruppi che troviamo nei resoconti dei giornali2. Non solo il repertorio del conflitto si ampli rapidamente da forme convenzionali a forme perturbative e violente, come abbiamo vi sto nel capitolo III, ma anche il settore del movimento sociale si estese dagli studenti agli operai, che a loro volta lo trasmisero a tutta una gamma di altri gruppi e combinazioni di gruppi, via via che il ciclo acquisiva forza. Nella tab. 4 individuiamo i principali attori sociali partecipanti ai conflitti descritti nei nostri dati. E s si sono elencati in ordine numerico decrescente: le percentuali nella colonna a sinistra si basano sulla loro presenza nel numero
2 G li attori erano considerati partecipanti alle proteste solo se vi prende vano fisicamente parte; le espressioni di sostegno verbale o scritto non sono con siderate partecipazione. Queste e altre decisioni nella codifica e nellanalisi del progetto sono rinvenibili in Social Protest and Policy Innovation Project 1985.

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totale degli episodi, mentre la seconda colonna riporta in che misura ciascuno di essi era rappresentato sul totale degli attori sociali3. Tab. 4 - Gruppi occupazionali e demografici attivi negli episodi di protesta come percentuale del totale degli episodi e del totale degli attori sociali
Soggetti % del totale degli episodi 3 8 ,6 2 1 ,6 12,4 12,1 8,3 7,7 5,3 4,2 3 ,0 1,7 1,5 % del totale degli attori sociali 33,1 18,6 10,7 10,4 7,2 6 ,6 4 ,6 3 ,6 2 ,6 1,5 1,3 1 0 0 ,2 * Totale dei gruppi 1.922 1.078 6 19 601 415 385 263 211 147 87 76 5 .803

Giovani Operai N on identificati Impiegati pubblici Gruppi territoriali Nuovi ceti medi Ceti medi autonomi Altre occupazioni Altri gruppi demografici Agricoltori Pensionati, assistiti e disoccupati Totale

* Questo totale superiore a 100 per via della partecipazione di molteplici gruppi ad alcuni episodi.

Gli studenti G li studenti e i giovani furono il gruppo pi numeroso tra quelli che ricorsero allazione collettiva nel periodo globale dal 1966 al 1973. Essi apparvero in quasi il 40 per cento degli epi sodi totali e costituirono un terzo degli attori sociali. Come ve dremo nel capitolo VI, molti degli studenti parteciparono a di spute nel campo della scuola, ma li troviamo anche in proteste

3 Attribuendo unidentit sociale o demografica ai partecipanti, stato rac comandato a chi codificava i nostri dati di essere molto letterale; solo quando un attore sociale era chiaramente individuato nelle fonti ne veniva effettuata la tra scrizione.

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riguardanti le relazioni internazionali, in conflitti urbani, nelle lotte della classe operaia e sempre pi nei conflitti ideologici. G li studenti furono talmente centrali nel ciclo di protesta a partire dalla met degli anni Sessanta, che occorre uno sforzo per rendersi conto che dalla fine della seconda guerra mondiale erano stati ampiamente assenti dallarena pubblica quali attori autono mi, se non in manifestazioni convenzionali condotte dai partiti istituzionali e dalle organizzazioni di massa. Nel momento in cui lItalia entrava nel terzo decennio dopo la fine della guerra, cia scuno dei principali partiti possedeva una sua organizzazione gio vanile e studentesca lungo linee frontiste classiche. Le due prin cipali organizzazioni degli studenti universitari, IU gi (Unione goliardica italiana) e lIntesa universitaria di matrice cattolica erano egemonizzate dai tre partiti principali4. La fase ascendente del ciclo nella misura in cui coinvolse gli studenti universitari pu largamente essere vista come una loro liberazione da queste vecchie istituzioni. Ma liberazione non significa generazione spontanea della rivolta: quando alla met degli anni Sessanta nacque il nuovo movimento studente sco, esso non apparve pienamente maturo, n era autonomo da queste organizzazioni; si svilupp piuttosto allinterno di esse e fu aiutato da molti che erano politicamente cresciuti al loro in terno, come vedremo nel capitolo VI. Le organizzazioni studentesche preesistenti, le richieste tra dizionali riguardo alle istituzioni della scuola e i nuovi movimen ti, sono questi i tre elementi che si fusero in una serie di occu pazioni: alle universit di Trento, Pisa, Torino, Venezia e Milano nel 1967 e agli inizi del 1968 e in pochi licei-chiave, mol to prima che si sentisse parlare del Maggio francese. Tre caratteristiche inusuali emergono in queste occupazioni. Innanzitutto il nuovo ruolo militante degli studenti cattolici, in particolare alla Cattolica di Milano e alla nuova universit di Trento5; in secondo luogo il fatto che la protesta di massa fosse accesa dai dibattiti sulle politiche pubbliche per esempio gli aumenti delle rette universitarie, il numero chiuso, la pianifi

4 Come scrive Lumley (1983, pp. 162-63), L ethos di queste organizzazioni derivava dal mondo delllite politica e culturale [...] La politica degli studenti universitari pi attivi rispecchiava quella del Parlamento nazionale. 5 G li eventi della Cattolica sono trattati in dettaglio da Lumley (1983, pp. 190 sgg.), e saranno da noi affrontati nel cap. V ili.

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cazione urbana e non da richieste utopistiche6; in terzo luo go limportanza delle facolt tecnologiche come le facolt di Architettura di Venezia e Torino e del Politecnico di Milano nelliniziare la protesta studentesca7. M a il movimento studentesco italiano non era limitato a que ste universit importanti, n rimase allinterno della scuola. Si diffuse quasi immediatamente alle universit di Firenze, Roma, Bologna e in tutto il Sud e le Isole8. Si diffuse ai licei e agli istituti di formazione professionale, dove il tema della protesta anti-istituzionale era diffuso e generalizzato nel rifiuto dellauto rit degli insegnanti. Delle circa 1.900 proteste di studenti e gio vani che troviamo nei nostri dati, 270 si verificarono nelle scuole medie o superiori, 153 negli istituti professionali, e solo 143 nelle universit. La funzione del movimento di protesta universitario fu di dimostrare che chi osava poteva sfidare le autorit; ben presto esso sarebbe sparito come movimento a s stante. La fig. 5 riporta landamento della protesta studentesca sia nelle universit che nelle scuole medie superiori. La prima curva mostra che il movimento studentesco universitario inizi nella primavera del 1967, tocc il massimo un anno dopo, e aveva gi avuto un calo nellautunno del 1969. Gli studenti delle scuole medie superiori cominciarono a protestare sul serio solo nel 1968 e la loro attivit di protesta si estese fino agli anni Settanta. Gli studenti universitari furono al cuore del picco intensivo iniziale della mobilitazione che abbiamo visto nellultimo capitolo, men tre gli studenti delle scuole medie superiori vennero dopo e con tribuirono molto di pi allaumento della violenza9.
6 Per esempio nelloccupazione della Cattolica nel novembre 1967, il tema specifico era la proposta del raddoppio delle tasse universitarie avanzata dalle autorit accademiche. Cfr. il Corriere della Sera, 16 novembre 1967, p. 9. 7 La facolt di Architettura di Milano venne occupata per la prima volta il 16 marzo 1967. Segu nel maggio e giugno unoccupazione di due settimane nella facolt di Architettura a Torino; quella a Venezia si verific nel dicembre dello stesso anno. 8 L universit di Napoli appare molto spesso nei resoconti giornalistici, cosa notevole perch la sua popolazione studentesca a differenza di quella di M i lano o di Torino non era mai stata ben organizzata prima del 1968. La distri buzione regionale degli studenti presenti come attori della protesta nei nostri dati la seguente: Nord-ovest (compreso Milano) 968 episodi (solo a Milano 723), Nord-est 121, Centro 254, Sud 492, Isole 75, totale 1.910. 9 U n analisi dei rapporti tra la protesta sociale e la violenza la si pu trovare in Della Porta e Tarrow (1986), in Tarrow (1989, in corso di stampa) e in Della Porta (1989, in corso di stampa).

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Numero

Semestre

Fig. 5 - Proteste studentesche nelle universit e nelle scuole superiori per semestre, 1966-73 Gli studiosi dei movimenti sociali spesso sottovalutano quel le ondate di protesta che si diffondono per solidariet tra i di versi gruppi, ma il movimento studentesco si diffuse anche at traverso lopposizione fra gruppi, e rapidamente provoc stu denti moderati e oppositori dellestrema destra a mobilitarsi con tro di esso. Questo antagonismo port a una prima tragedia: nel 1966, durante una manifestazione contro la legge G ui alluniver sit di Roma, uno studente di sinistra, Paolo Rossi, venne preso a sprangate e pi tardi mor 10. L incidente diede vita a una delle prime dimostrazioni politiche del ciclo, dimostrando la disponi bilit a protestare degli studenti universitari e costringendo il rettore a dimettersi. Il frazionamento e la competizione ideologica non erano li mitati alle universit. Praticamente ogni occupazione di liceo da va vita a una contro-dimostrazione di qualche tipo. G i nel mar zo 1968, per esempio, quando alcuni studenti di sinistra del liceo Parini di Milano votarono una occupazione, gli studenti che hanno votato contro loccupazione si sono rifiutati di seguire le lezioni e hanno indetto una contro-occupazione (Liceo Parini, p. 6). La protesta acu le divisioni tra i gruppi di studenti, e que
10 Vedi lUnit, 27 aprile 1986, p. 7, per una narrazione dal punto di vista di un partecipante. Il caso Rossi un i gruppi parlamentari e della nuova sinistra intorno alla bandiera dellantifascismo; non era la prima volta che questo sarebbe successo. Cfr. cap. X II per un caso molto pi importante.

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sto accrebbe la carica di perturbazione delle proteste studente sche. Il ciclo si diffuse attraverso questi antagonismi, oltrech attraverso la solidariet e il proselitismo. Il movimento studentesco italiano si rifiutava di rimanere confinato nella scuola. Politicizzati dai problemi della scuola e radicalizzati dalle ripetute occupazioni e attacchi della polizia e della destra, gli studenti finirono con luscire dalle scuole e con lorganizzarsi intorno ad altri temi. Ma quando lasciarono le fa miliari mura delle universit e cercarono alleati, era ancor pi facile che incontrassero dei gruppi ostili, che rendessero nota la loro presenza attraverso la violenza, e si scontrassero con le forze dellordine11. Gli studenti divennero i principali agenti della dif fusione della protesta, comparendo nelle proteste urbane, nei movimenti ecologici e in particolare a sostegno degli operai. Vol giamo dunque ora la nostra attenzione a questi ultimi. Gli operai L Italia non era un caso isolato per quanto riguarda il ruolo dei giovani nel suo ciclo di protesta; ma era un caso particolare per il numero e lintensit dei conflitti nellindustria. Gli operai dellindustria comparvero nel 22 per cento degli episodi riferiti nel Corriere della Sera e costituirono in pi del 18 per cento dei casi gli attori sociali partecipanti ai conflitti da noi incontrati. Questi dati non devono sorprenderci date le condizioni cui era stata soggetta in passato la classe lavoratrice. Ma sino alla fine degli anni Sessanta, la divisione dei sindacati, la velocit della trasformazione economica e la strategia nazionale del Pei li aveva lasciati disorientati e disorganizzati. Eccezion fatta per il breve periodo del conflitto industriale scoppiato agli inizi degli anni Sessanta, non vi era stato nessun grande periodo di lotta della forza-lavoro a partire dal 1947-48. U nimmagine che sopravvissuta di questo periodo la pro testa spontanea a cui davano vita prevalentemente lavoratori im migrati marginali e non organizzati. M a come osservano Frances Piven e Richard Cloward (1977, p. 24) a partire dalla loro ricerca negli Stati Uniti, la protesta tender ad avere un impatto seria11 Q uesta unosservazione che devo a Enrico Ercole, che ha analizzato le proteste degli studenti universitari sulle quali essa si basa. Per un caso esemplare di come abbandonare luniversit potesse portare alla radicalizzazione e alla vio lenza, cfr. cap. VI.

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mente perturbativo quando coloro che protestano rivestono un ruolo centrale in unistituzione, e questo valeva anche per lI talia. Anche se, in seguito, gli operai non specializzati avrebbero svolto un ruolo importante, la prima spinta allautunno caldo fu condotta da operai specializzati che erano stati policizzati dai sindacati in periodi passati di conflitto (Pizzorno et al. 1978). Il ciclo del conflitto industriale dal 1968 al 1972 non fu do minio esclusivo di nessun gruppo di operai. Coinvolse gli operai a tutti i livelli di specializzazione ed esperienza, e fu stimolato dalla militanza sindacale e non in pochi centri dellindustria pe sante. I primi successi in fabbriche quali la Pirelli, la Montedison e la Sit-Siemens mostrarono ai sindacati la vulnerabilit dellim presa, incoraggiarono gli operai altrove, e a partire dalla fine del 1968 cominciarono a diffondere il conflitto agli operai non qua lificati e non organizzati, nonch al Veneto e al M eridione12. Simbolicamente importanti per dimostrare la disponibilit degli operai al conflitto in regioni moderate furono gli scioperi di Por to Marghera, di Valdagno, di Avola e Battipaglia, dove la polizia spar e uccise degli scioperanti. Nel difficile mercato del lavoro della fine degli anni Sessanta, gli operai ebbero la possibilit e lorganizzazione per sfidare limpresa, anche l dove i loro sin dacati erano moderati, come vedremo nel capitolo VII. L adesione allo sciopero tra gli operai non era sempre unani me. Ma anche la mancanza di unit degli operai e il desiderio di alcuni di essi di riconquistare dei vantaggi passati furono elemen ti importanti nel diffondere il conflitto. Troviamo nei nostri dati dei casi di operai sindacalizzati che scioperano per rifiutare le azioni selvagge dei nuovi militanti; di operai non sindacalizzati che lottano per il diritto al lavoro contro azioni richieste dai sindacati; di impiegati che effettuano scioperi perequativi per riconquistare i vantaggi salariali che stavano perdendo rispetto agli operai manuali. 11 conflitto talvolta and oltre le richieste dei sindacati. Gli operai spesso rifiutarono la delega dei loro rappresentanti sinda cali, andando al di l delle loro richieste per attaccare il cottimo
12 Particolarmente importanti nel Veneto erano la citt industriale di V alda gno e il grande complesso petrolchimico di Porto Marghera-Mestre. La presenza documentata di scioperi dellindustria per regione nel nostro campione di giornali la seguente: Nord-ovest 673 episodi (dei quali in provincia di Milano 312), Nord-est 71, Centro 60, Sud 128, Isole 34, totale 966. Questa era naturalmente una piccola percentuale degli scioperi effettivi quelli riferiti dai datori di la voro ma sembra ricalcare molto da vicino la distribuzione percentuale del conflitto industriale regionale.

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e i ritmi di lavoro. Bench la forza organizzativa dellondata di scioperi fosse prevalentemente dovuta alla crescente unificazio ne tra le tre principali confederazioni sindacali, la sua carica perturbativa poteva anche essere riportata alla competizione esi stente fra esse. Come nella piccola guerra che abbiamo visto tra Trieste e Genova, raramente la competizione era apertamente riconosciuta, ma come vedremo nel capitolo VII gli scioperi pi perturbativi furono quelli in cui parteciparono le organizzazioni in competizione tra loro.

2. I settori di mezzo
Bench gli operai e gli studenti fossero i primi soggetti nel ciclo di protesta, ben presto non furono i soli a mobilitarsi. Gli impiegati del settore pubblico furono tra i primi partecipanti a un ciclo di protesta che proprio per via della loro partecipa zione coinvolse rapidamente lo Stato. Alcuni gruppi della classe media, sia nuova che vecchia, in particolare nelle citt del Nord, cominciarono a partecipare dopo che gli studenti, gli ope rai e gli impiegati pubblici avevano dimostrato che il sistema po teva essere sfidato, spesso adattando il repertorio di azione col lettiva dei loro predecessori. Gli impiegati pubblici Gli impiegati pubblici costituiscono il terzo gruppo per ordi ne di grandezza dei partecipanti rappresentati nei nostri dati. Qui i dati smentiscono totalmente limmagine di un ciclo di pro testa rinfocolato da gruppi marginali che cercano di sovvertire il sistem a13. Gli impiegati pubblici i funzionari alti e medi, i colletti bianchi a tutti i livelli dellamministrazione, gli impiegati nella comunicazione, nei trasporti, nella sanit, quelli del para stato, gli insegnanti, gli addetti ai servizi municipali parteci parono al 12 per cento degli episodi, rappresentando il 10 per cento degli attori sociali.
13 D a notare: ho escluso da questa categoria tre importanti gruppi di impie gati pubblici i ferrovieri, gli operai del settore pubblico e i docenti universi tari. I ferrovieri e gli operai del settore industriale di propriet dello Stato sono stati classificati con gli altri operai dellindustria, mentre i docenti universitari sono considerati insieme alla classe media istruita.

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I conflitti in cui furono coinvolti degli impiegati pubblici die dero la prima prova importante del fatto che non solo i poveri, i marginali e la classe lavoratrice avanzavano delle critiche al mo dello di sviluppo italiano. La maggior parte degli impiegati pub blici erano elettori politicamente moderati. Era opinione diffusa che dovessero il loro impiego al clientelismo, e spesso venivano denigrati dalla sinistra come parassiti; molti di essi erano en trati nel settore pubblico sotto il fascismo, e alcuni votavano per lMsi (Putnam 1975, pp. 98, 110). L estendersi dellondata di protesta a membri della borghesia di Stato fece molto per raf forzare limpressione di una societ le cui fondamenta stavano crollando. Gli impiegati pubblici furono estremamente importanti in quella che Accornero (1985) ha chiamato la terziarizzazione dellondata di protesta vale a dire nel disturbare il pubblico perch potevano fare molto danno ai consumatori, agli utenti di un servizio, ai pensionati e ai clienti dello Stato assistenziale. I conducenti di autobus, i funzionari delle dogane, gli impiegati del ministero delle Finanze, gli addetti ai caselli e quelli deg uffici licenze non sono centrali per lapparato produttivo di una societ capitalista, ma possono perturbarne la vita giornaliera pi facil mente della maggior parte degli operai (Accornero 1985, p. 2 8 )14. II conflitto si estese talvolta anche a coloro che dipendevano dai servizi degli impiegati pubblici in sciopero. I camionisti col piti dalle lungaggini dei funzionari delle dogane bloccarono il traffico alle frontiere; i pendolari bloccati dagli scioperi ferro viari bloccarono le banchine e i treni; i pazienti dei medici, col piti dai loro scioperi, fecero dei cortei su sedie a rotelle. In se guito a queste agitazioni spontanee il governo dovette inter venire per costringere a una composizione di queste vertenze il che esattamente la ragione per cui erano state organizzate le agitazioni. Avanzando richieste pubbliche queste persone pote vano attrarre lattenzione sul modo in cui gli scioperi perturba vano la loro vita, esercitando una pressione sul governo affinch trovasse una soluzione. Gli scioperi dei servizi pubblici spesso sfuggirono al controllo delle tre principali confederazioni sindacali e, in realt, lintero
14 E ssi possono essere pi visibili anche perch i giornali diedero loro molto spazio nel cercare di tenere i lettori aggiornati su quali servizi pubblici potevano aspettarsi di non trovare in funzione. Per esempio gli scioperi contro i servizi pubblici sono riferiti dal Corriere della Sera con pi frequenza nelle pagine locali che in quelle nazionali.

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settore divenne una roccaforte dei cosiddetti sindacati auto nomi (Regalia, Regini e Reyneri 1978, p. 120). Il risultato fu che anche dopo che le confederazioni ebbero posto un freno agli scioperi dei loro iscritti, gli impiegati pubblici spesso continua rono a scioperare. Il potere perturbativo dei sindacati autonomi nel settore pubblico un esempio di come un attore debole i sindacati autonomi indebolisce un attore forte esasperando il pubblico: bench i sindacati confederali di sinistra cercassero ben presto di controllare il ricorso allo sciopero, gli scioperi degli autonomi fecero nascere unondata antisciopero nel pubblico che si rivolse contro la sinistra e gli stessi sindacati. La nuova classe media Tra il 1951 e il 1971 i laureati, gli impiegati, i liberi profes sionisti e i tecnici raddoppiarono come percentuale sulla popo lazione attiva (Sylos-Labini 1975) e occuparono dei ruoli chiave nella nuova economia dei servizi in particolare in Italia set tentrionale. Questi gruppi parteciparono all8 per cento delle proteste nei nostri dati e rappresentarono il 7 per cento degli attori sociali. Tre particolari gruppi occupazionali compaiono pi di frequente: i medici, molti dei quali avevano a che fare con la lentissima burocrazia del servizio sanitario, gli impiegati di ban ca, gli insegnanti e i docenti universitari. La protesta della classe media si sovrappose traendone parte della propria forza allondata degli scioperi nelle fabbri che. Per esempio, nelle grandi industrie gli scioperi degli impie gati erano spesso fatti scattare da azioni degli operai. A volte le proteste della classe media precedettero addirittura la spinta principale del conflitto industriale: per esempio lo sciopero dei medici del 1967, che praticamente provoc per settimane la chiusura del settore sanitario pubblico. Questo sciopero era di retto prevalentemente contro il sistema mutualistico, ma il suo effetto perturbativo venne avvertito in tutta la societ italiana15. C era anche una diffusione di modelli di comportamento dalla classe lavoratrice alla classe media. Bench gli operai militanti talvolta attaccassero il personale direttivo delle proprie impre
15 Per esempio, quando analizziamo il programma degli eventi pubblici or ganizzati dalla C gil e dalla C isl a Milano scopriamo che uno dei primi temi che port a raduni pubblici fu lo sciopero dei medici e le sue conseguenze sulla classe lavoratrice.

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se 16, in alcune aziende, come la Sit-Siemens, i successi degli ope rai ispirarono persino alcuni impiegati a radicalizzarsi nettamen te (Collettivo politico operaio 1972). Come scrivono Regini, Re galia e Reyneri (1978, p. 109): I conflitti [tra impiegati e direzione] iniziarono sempre dopo la stipula di un accordo per i soli operai che li escludeva da qualsiasi beneficio, ed erano con dotti da impiegati a livello medio, spesso laureati, che erano col piti dalla razionalizzazione del lavoro pi pesantemente degli operai non qualificati. I ceti medi autonomi Forse altrettanto interessanti dei gruppi che compaiono di frequente nei nostri dati sono, dal punto d vista teorico, quelli che non vi compaiono. Gli'artigiani, i negozianti, gli impiegati di piccole imprese li troviamo solo nel 5 per cento delle proteste, mentre compaiono un po meno spesso come percentuale sugli attori sociali nel complesso. I negozianti nel settore delle vendite al minuto, gli edicolanti, i tassisti sono esempi tipici dei rappre sentanti di questo gruppo eterogeneo. Fu solo verso la fine del periodo, quando il governo cerc dei modi di aumentare le en trate e di ridurre le spese, che i loro interessi furono minacciati ed essi cominciarono a chiudere le saracinesche per protesta con tro le azioni governative. Come i pendolari, questi ultimi arrivati nel ciclo di prote sta spesso protestavano contro le conquiste di coloro che vi ave vano partecipato prima. Per esempio, gli albergatori e i proprie tari di ristoranti protestarono contro gli aumenti di salario dei loro impiegati, e i negozianti dei centri urbani chiusero le sara cinesche per protesta contro le isole pedonali che erano state create su richiesta degli ambientalisti. I ceti medi urbani faceva no parte della coda del ciclo di protesta, e lo mantennero in vita molto tempo dopo che la militanza aveva subito un calo. Come scrive Guido Viale (1978, p. 246):
Nel Sessantotto [...], una manifestazione sindacale in Piazza Duo mo era piena di tute bianche della Pirelli, di tute verdi della Breda, tute marroni dellAlfa, tute blu dellInnocenti. Adesso [dopo il 1972] gli operai [...] sono ormai soverchiati dai camici bianchi degli

16 Lumley (1983, pp. 407-10) riferisce alcuni resoconti di pesanti intimida zioni di impiegati in molte delle fabbriche pi militanti.

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ospedalieri, dagli abiti multicolori delle piccole fabbriche occupate, dal la folla dei poligrafici, dei bancari, dei lavoratori dei centri di program mazione e dei laboratori di ricerca, da operai che sono tecnici e im piegati e che non vestono in divisa.

3. Gruppi urbani, regionali e altri


Quasi altrettanto presente degli impiegati pubblici nel ciclo di protesta, e pi presente della nuova classe media, era tutta una gamma di gruppi locali e territoriali: persone che facevano ri chieste di cambiamenti politici locali o regionali; gruppi di quar tiere che volevano nuovi alloggi e servizi locali; parrocchiani di chiese locali che si lamentavano delle condizioni delle loro chiese o del trasferimento dei sacerdoti; residenti in una regione o citt che temevano di perdere i loro privilegi a beneficio di unaltra. Nelle loro richieste di miglioramenti civili, di affitti e canoni ri dotti, nonch di migliori servizi pubblici, questi attori conferi rono allondata di protesta una componente peculiarmente ter ritoriale.

Difesa e aggressione territoriale La violenza e la perturbazione delle proteste di Genova e Trieste furono solo un piccolo esempio delle passioni che pote vano generare i conflitti intorno alla difesa territoriale. Vi erano richieste molto pi aggressive di autonomia territoriale in Alto Adige, avanzate da gruppi con una ben netta veste reazionaria, che sembra abbiano goduto della complicit dellAustria. Ancora pi violente furono le rivolte delle citt di Reggio Calabria e del lAquila, quando, nel 1970, venne annunciato che il capoluogo delle rispettive regioni sarebbe stato assegnato ad altre citt. A Reggio per otto mesi i rivoltosi locali si fronteggiarono con un esercito di poliziotti mandato da tutta la penisola a sedare i tu multi (Malafarina et al. 1972; Ferraris 1970). Si trattava non tanto di richieste di autonomia regionale come era stato il caso dellAlto Adige quanto di proteste in nome della difesa territoriale. In realt, la rivolta di Reggio era nata all'interno del sistema politico, quando i politici locali ave vano chiamato la gente a resistere alle decisioni del governo cen trale, distogliendo col massimo di demagogia il risentimento de 81

gli elettori da se stessi e indirizzandolo verso il governo di Roma. Bench queste proteste fossero molto meno estreme, come gi nel caso dei cantieri navali, alla fine furono tacitate politicamen te con lallocazione di generosi fondi per lo sviluppo. Citt e quartiere Mentre i conflitti territoriali erano pi frequenti nella peri feria geografica del paese, le proteste urbane e di quartiere erano pi tipiche delle grandi citt del Nord. Anche qui, bench le pro teste fossero perturbative e i leader provenissero spesso dalla si nistra extraparlamentare, i temi erano concreti17. Pi che attac care astrazioni quali il sistema capitalistico o lo Stato, i dimo stranti miravano a colpire oppositori specifici: enti per ledilizia pubblica, come la G e s c a l , proprietari terrieri privati, aziende municipalizzate degli autobus e dei tram, lamministrazione della citt. Il termine movimento urbano, che negli anni Settanta die de vita a tutta una letteratura18, in realt fu un termine onni comprensivo riferito a tutta una gamma di movimenti: per affitti pi bassi nelledilizia pubblica o privata; per alloggi di qualsiasi tipo per i senzatetto; per una riduzione delle tariffe dellenergia elettrica, dei trasporti pubblici e del gas; per migliori servizi, che andavano dal semaforo allincrocio allasilo per i bambini delle madri lavoratrici. Il movimento inizi con una forte base nei ceti popolari, ma via via che linflazione erose i redditi e il costo degli alloggi si fece proibitivo, esso inizi ad attrarre anche un signi ficativo sostegno della classe media. Durante alcune di queste proteste vi furono momenti di duro scontro tra il sottoproletariato urbano e la polizia, in particolare nelle occupazioni di case portate avanti da gruppi extraparlamen tari. Ma vi furono anche momenti di competizione e di difficile coabitazione tra i sindacati, le associazioni di inquilini, i gruppi extraparlamentari e gli abitanti delle periferie urbane. Come i movimenti per la difesa territoriale, anchessi entrarono rapida
17 Si noti tuttavia che le proteste urbane furono spesso fatte proprie e sti molate dai gruppi di estrema sinistra e dai sindacati. Queste proteste saranno affrontate in maggior dettaglio nei capitoli IX e X II. 18 Vedi per esempio Boffi et al. (1972), Daolio (1974) e la rivista C itt C las se che cominci le proprie pubblicazioni nel 1975 e diede spesso spazio ai mo vimenti urbani.

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mente nel processo politico via via che le associazioni che rap presentavano gli abitanti urbani volgevano la loro attenzione verso le amministrazioni comunali. Il passaggio dalle tattiche contestative alla politica istituzionale culmin nel 1975, anno in cui nelle elezioni locali la sinistra conquist praticamente tutte le grandi citt del paese. I movimenti di quartiere si diffusero anche attorno a temi pi spettacolari: contro le autorit religiose, come nella vicenda della parrocchia dellIsolotto a Firenze, che sar analizzata nel capi tolo V III; in favore di comitati di quartiere; contro ladozione di piani regolatori generali, come si verific in un certo numero di citt all'inizio degli anni Settanta. In questi movimenti, la spinta ideologica e le conoscenze tecniche di ex-studenti attivisti si un alle concrete lamentele e alla rabbia dei ceti popolari nel generare una massa di conflittualit alla base stessa della societ italiana. Il loro impatto perturbativo fu maggiore e non per caso proprio nel momento in cui il movimento degli studenti usciva dalle universit. Notevolmente assente dai nostri dati un gruppo che, data la lunga storia italiana di lotte agrarie, ci saremmo aspettati di in contrare pi spesso: i braccianti. Il fatto che essi compaiano in meno del 2 per cento degli episodi di protesta rispecchia sia il netto calo della popolazione agricola in quegli anni sia la sua ete rogeneit politica e sociale. La relativa assenza dei contadini sug gerisce inoltre che gli interessi rurali, cos come quelli della classe media autonoma, dovevano essere ben protetti dallo Stato. Cer tamente lItalia non visse nulla di simile alle frequenti guerre dei carciofi o guerre del vino che si verificarono in Francia in quegli anni (Berger 1972). Coloro che vivevano del welfare, i pensionati e i disoccupati compaiono solo nel 2,1 per cento degli episodi. Il fatto che le proteste in cui furono coinvolti questi gruppi tra cui rientra vano i pensionati statali e gli indigenti non fossero pi fre quenti, pu rispecchiare il fatto che questo periodo non fu un periodo di profonda crisi economica; ma indica altres che essi non erano altrettanto bene organizzati degli studenti, degli ope rai o della nuova classe media. La donna, agente segreto della protesta urbana Le studentesse avevano ricoperto un ruolo subalterno nel movimento universitario del 1967-68, ed erano spesso chiamate 83

gli angeli del ciclostile. Come negli Stati Uniti, molte di esse divennero femministe in reazione allegemonia maschile nella nuova sinistra. La storiografia del femminismo italiano stata pesantemente influenzata dalle esperienze che di queste donne hanno avuto gli autori. Quasi completamente trascurati in questa letteratura sono due esiti pi positivi della mobilitazione femmi nile: il ruolo che le donne e in particolare le madri giunsero a svolgere nei movimenti di quartiere negli anni Settanta (Stefanizzi 1988) e lesperienza organizzativa che esse ebbero allin terno dei sindacati (J. Hellman 1987). Fu nel movimento di quartiere che migliaia di donne vissero una cruciale esperienza organizzativa e di empowerment. G li stes si fattori che limitarono la loro partecipazione in altri movimenti il fatto che fossero occupate come mogli e madri in una societ dominata dai maschi diede loro dei vantaggi cruciali in questo movimento. Per esempio a Verona un gruppo di donne cattoli che, in un ambiente estremamente conservatore, sovvert una decisione del consiglio comunale (J. Hellman 1987, p. 147)19. Quanto ai movimenti degli inquilini, la prospettiva che una don na e i suoi figli gelassero in mezzo a una strada perch non ave vano pagato laffitto fu un potente incentivo perch i politici trovassero loro alloggi temporanei. L importanza della partecipazione delle donne nelle proteste urbane sottovalutata nei nostri dati, perch gli articoli normal mente definiscono gli attori sociali in rapporto alle richieste che essi esprimono e non alla loro identit sociale20. In unattenta analisi dei dati giornalistici, tuttavia, Sonia Stefanizzi ha trovato che le donne erano presenti nei movimenti urbani gi prima che esistesse in Italia un movimento femminista organizzato (1986, 1988). Il loro numero piccolo, ma Stefanizzi ha scoperto qual cosa di pi importante: che mentre le donne di solito evitavano la violenza (o piuttosto, era meno probabile che la polizia attac casse loro invece degli uomini), nelle proteste femminili ci fu una carica perturbativa pi alta della media. Le donne spesso erano
19 Per un buon trattamento narrativo dei movimenti femministi italiani, vedi Ergas (1982, 1986) e J . Hellman (1984, 1987). 20 Cos, un gruppo di madri che si lamentavano del traffico nel loro quartiere, della mancanza di riscaldamento nelle scuole e della mancanza di asili sono state spesso considerate gruppo di quartiere e non gruppo di donne. Coloro che effet tuavano una protesta religiosa sono stati chiamati parrocchiani, malgrado il fatto che gran parte di essi fossero donne. Nella nostra analisi del gruppo dellIsolotto nel capitolo V ili, per esempio, abbiamo osservato che la maggioranza di coloro che partecipavano regolarmente al gruppo erano donne.

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coinvolte in occupazioni e usavano la pratica dellobiettivo per trarre vantaggio e avere miglioramenti nelle scuole, negli asili e nelle cliniche per aborti. La protesta urbana fu il mezzo attra verso il quale la donna entrata nella comunit politica quale attore autonomo.

4. Le opposizioni
Per una delle ironie degli studi accademici, un campo che di solito guarda con simpatia alla politica popolare pesantemente dipendente dalle fonti governative, interessate solo a sapere chi fossero i protagonisti delle proteste, e non chi fossero i loro an tagonisti. I registri della polizia sono pieni di casi di contadini che brandiscono forche e bruciano covoni di grano, ma riportano ben poco riguardo agli speculatori sul grano. I sociologi specifi cano quante case sono state incendiate e quante persone sono state arrestate nei tumulti urbani, ma poco ci dicono su come i proprietari lasciano gli inquilini senza riscaldamento in inverno. Queste carenze non sono totalmente compensate dai resoconti giornalistici, ma analizzando i giornali con attenzione possiamo almeno saperne qualcosa di pi circa lasse principale del conflit to, rispetto alle fonti usuali governative su cui si basano gli stu diosi. Contro quali oppositori era diretta londata di protesta in Ita lia? Il suo obiettivo era attaccare il sistema capitalistico o lo Sta to? Alcuni oppositori locali specifici venivano attaccati pi spes so di oppositori generici o nazionali? Vi fu un cambiamento negli obiettivi dalla societ civile allo Stato col procedere del ciclo? Tornando a quegli anni attraverso unanalisi dei conflitti quale riferita da un quotidiano nazionale otteniamo unimmagine mol to differenziata degli antagonisti dellazione collettiva, che alla fine ci aiuter a capire come essa si ripercosse sul sistema ita liano21.
21 Insieme ai Tilly (1975, p. 281), ci opponiamo alla dietrologia e ipotiz ziamo che la gente prenda seriamente quelli che affermano essere i loro obiettivi quando fanno una protesta: N on abbiamo bisogno di andare a cercare quali siano i veri obiettivi che si nascondono dietro i pretesti allazione, essi scri vono, n di sostituire con aria di sufficienza la nostra versione di ci che un gruppo avrebbe dovuto tentare di fare a ci che esso stesso affermava di stare tentando.

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Fonti specifiche e generali Dato che gli scioperi costituirono quasi un terzo dei conflitti da noi studiati, se ne deduce che limpresa costituiva lobiettivo dellazione collettiva nel maggior numero di casi. G li operai era no gli attori sociali pi univoci nella scelta del proprio nemico. Allo stesso modo gli impiegati pubblici raramente scesero in lotta se non contro i datori di lavoro, bench questi potessero andare dalle aziende municipalizzate dei trasporti o dai governi locali ai ministeri, agli enti parastatali o al governo nel suo insieme. La classe media professionista era meno selettiva nella scelta dei propri obiettivi; mentre i colletti bianchi diressero quasi sem pre la loro azione contro i datori di lavoro, i medici il pi delle volte presero di mira il sistema sanitario, gli avvocati il sistema giudiziario e gli insegnanti la burocrazia della scuola. I movimen ti della classe media autonoma rivolsero il maggior numero delle loro proteste contro i governi locali, mentre gli agricoltori e le proteste regionali presero il pi delle volte come obiettivo il go verno nazionale. I meno selettivi di tutti nella scelta degli obiettivi furono i giovani. Mentre il 22 per cento circa delle loro proteste erano indirizzate contro singole scuole e universit, un ulteriore 14 per cento fu diretto verso il sistema educativo nazionale, il 12 contro datori di lavoro privati, il 10 contro le amministrazioni locali, il 16 contro il governo nazionale e il resto contro una miscellanea di istituzioni e gruppi che andavano dalla Scala di Milano alla Chiesa cattolica ai governi esteri. Se non altro perch indirizza vano le loro proteste in tante direzioni diverse, gli studenti fu rono i principali agenti della diffusione dellondata di protesta (Lumley 1983, cap. III). Quanto spesso i nemici di chi protestava erano generici, e quanto spesso erano gruppi o attori specifici? Quanto spesso il loro oppositore era lo Stato, e quanto spesso un datore di lavoro privato? Per rispondere a queste domande dobbiamo introdurre dapprima una distinzione concettuale tra coloro che erano rite nuti responsabili di un problema che chiameremo le fonti delle richieste e quelli dai quali si chiedeva una risposta che chiameremo obiettivi delle richieste. In molti episodi di protesta la fonte e lobiettivo coincidono, ma in molti conflitti sono diversi. L episodio della chiusura dei cantieri di Trieste un esempio di questultimo caso: la fonte delle richieste era la societ di costruzioni navali nazionalizzata che voleva chiudere il bacino San Marco e trasferire i Cantieri
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Riuniti a Genova, ma il loro principale obiettivo era il governo italiano, che poteva passare sopra P I r i e tenere aperti i cantieri di Trieste. Se inseriamo anche Genova nella nostra analisi rendia mo ancora pi complessa la gamma degli attori e degli antagoni sti. Il sistema capitalista, la societ o lo Stato erano fonti dirette di scontento, oppure come prefigurerebbero Piven e Cloward a partire dalla loro esperienza americana le fonti delle proteste erano pi specifiche e concrete: imprese individuali, proprietari terrieri, associazioni professionali, enti governativi, partiti e mo vimenti? In Italia, la gente avanzava richieste onnicomprensive allo Stato o alla societ, oppure portava avanti precise richieste di gruppo contro particolari attori politici o economici? La tab. 5 riassume le principali risposte a queste domande provenienti dai nostri dati. La tabella presenta i principali gruppi Tab. 5 - Fonti e obiettivi delle richieste
Fonte Obiettivo N. % N.

Nessuno A. Fonti e obiettivi specifici Impresa Sindacato o altro gruppo Partito/movimento Scuola Amministrazione locale G iustizia o polizia M inistero o ente pubblico B.

18,3

860

18,6 3,8 19,3 12,5 7,8 8,0 11,1

910 186 947 611 384 392 543

17,4 2,5 3,0 12,6 10,8 6,2 12,3

817 118 143 592 506 291 575

Fonti e obiettivi generali


Capitalismo, economia Governo nazionale Stato estero Altri D ati mancanti 5,3 6,7 3,9 3,1 1,5 100,0 259 331 190 152 75 4.905 4,2 9,3 3,2 0,3 5,8 100,0 195 453 148 13 287 4.693

Totale

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degli oppositori, sia specifici sia generali, che furono fonti e obiettivi dei conflitti da noi studiati. La prima cosa che salta agli occhi la grandissima preponderanza di attori specifici sia tra le fonti che tra gli obiettivi delle proteste. Solo il 5 per cento degli eventi furono risposte a un generico scontento economico (per esempio, il mondo economico in generale, il capitale, lecono mia), mentre un altro 7 per cento era diretto contro il governo nazionale e il 4 per cento delle proteste era diretto ai governi stranieri. Nel totale, solo il 15 per cento degli episodi fu attivato da queste fonti generali di protesta. Allopposto, oltre l80 per cento erano dirette contro antagonisti specifici. Come scrivono Piven e Cloward (1977, p. 20) dei movimenti di protesta ame ricani, la gente soffre per la deprivazione e per loppressione allinterno di un contesto concreto, non come prodotto finale di vasti ed astratti processi, ed questa esperienza concreta a for giare il suo scontento in richieste specifiche contro obiettivi spe cifici. Il secondo dato che emerge dalla tab. 5 riguarda limportanza degli antagonisti politici e governativi rispetto a quelli nella so ciet civile. Utilizzando una tipologia semplificata delle fonti e degli obiettivi pubblici e privati22, scopriamo che il 69 per cento delle fonti delle richieste e il 57 per cento degli obiettivi sono organizzazioni politiche, leader o istituzioni pubbliche. I partiti politici, le organizzazioni dei movimenti sociali, le amministra zioni locali, gli enti governativi nazionali, il Parlamento, il set tore giudiziario e lo Stato nazionale nel suo complesso furono le fonti o gli obiettivi dei dimostranti molto pi spesso che le im prese individuali, le associazioni industriali, i sindacati, le Chiese e altre collettivit della societ civile. Il ciclo italiano di protesta fu politicizzato non solo perch lo Stato era il pi delle volte lobiettivo delle richieste, ma perch era la fonte dei problemi che avevano generato quelle stesse richieste. Cross-over allo Stato Ma se lo Stato era lobiettivo di molti conflitti iniziatisi nel suo settore, solo raramente esso fu lobiettivo di conflitti inizia
22 Semplifichiamo considerando tutte le scuole e le universit come scuole pubbliche, e tutte le imprese sia pubbliche che private nel settore privato. Il fatto di considerare le imprese pubbliche assieme al settore privato cambia solo marginalmente i risultati, come risulta dalla tab. 4.
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tisi nella societ civile. I casi di cross-over dal settore privato a quello pubblico furono rari. Questo dato pu rispecchiare unin sospettata capacit di autoregolazione della societ civile italia na, oppure il fatto che il numero dei conflitti gi basati su richie ste contro lo Stato o la classe politica era talmente elevato che non cera molto spazio per un cross-over dalle fonti private agli obiettivi pubblici. Ma anche probabile che lo Stato avesse po che risorse per i gruppi della societ civile, tanto da non essere in grado di risolvere i loro problemi. Verso la fine del ciclo vi fu tuttavia una tendenza dei conflitti tra gruppi nella societ civile a indirizzarsi sempre pi di fre quente verso il sistema politico, come ci conferma la fig. 6. In questo grafico abbiamo estrapolato la percentuale per semestre degli episodi nei quali le richieste nate in seno alla societ civile vennero rivolte verso gli obiettivi dello Stato. La fig. 6 indica una tendenza nel tempo verso la politicizzazione delle richieste del settore privato, che per non significativa sino alla fine del periodo, quando vi fu un netto cambiamento nel numero di pro teste che, iniziate nel settore privato, vennero rivolte allo Stato perch le risolvesse.
Numero

Semestre

Fig. 6 - Cross-over alio Stato e proteste aspecifiche per semestre, 1966-73 G li obiettivi delle proteste, cos come le loro fonti, erano pre valentemente molto concreti, specifici e, per la maggior parte, indirizzati contro il governo o la classe politica. Ma c unim portante differenza tra la struttura delle fonti delle richieste e i loro obiettivi: una percentuale significativa delle proteste ol tre il 18 per cento era aspecifica: vale a dire, in questi con 89

flitti non era avanzata nessuna specifica richiesta a un qualche obiettivo concreto. Gli operai che attaccavano limpresa spesso si rifiutavano di elencare richieste negoziabili. Le donne che cer cavano di stabilire la legittimit del femminismo si vestivano da streghe e marciavano per le strade. I gruppi ideologici attacca vano gli altri per stabilire la propria identit e negare agli altri il diritto di esistere. Bench la protesta di massa fosse gi in calo agli inizi degli anni Settanta, come abbiamo visto nel capitolo III, in quegli anni i giornali comunicavano unatmosfera di crescente esasperazione della protesta. Perch? La risposta sembra risiedere nel crescente numero di proteste aspecifiche. Anche quando la mobilitazio ne di massa stava subendo un calo, molte proteste per via del fatto di non comportare nessuna richiesta concreta a nessuno, quanto piuttosto lopposizione ad altri tendevano a divenire violente, come quelle dei ghetti neri degli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta. Spesso portavano a scontri con la polizia o con altri gruppi. La fig. 6 mostra che vi fu un netto aumento delle proteste aspecifiche nel corso del tempo. Qual il significato di questo aumento delle proteste aspe cifiche? Lo vedremo in maggior dettaglio quando esamineremo la violenza nel capitolo X ; per il momento ci basti segnalare che laumento delle proteste aspecifiche coincise sia con un calo della protesta di massa della classe lavoratrice sia con la comparsa di un gran numero di nuovi movimenti sociali organizzati in com petizione per il sostegno della giovent urbana, degli operai e dei poveri. Cos nel ciclo italiano le opposizioni tra attori e antagonisti non erano solo specifiche e concrete: esse avevano due assi se parati uno allinterno della societ civile e laltro nel settore dello Stato oltre che un terzo tipo di proteste aspecifiche che fatto salvo il ricorso alla repressione non potevano essere facilmente risolte perch non ponevano nessuna domanda con creta. Il crossing-over dalla societ civile allo Stato fu raro fino alla fine del periodo. Lo Stato fu una fonte prolifica di conflitti combattuti allinterno del suo settore, ma altrettanto pu dirsi per la societ civile. La forma del settore del movimento sociale Cos i dati dei gruppi coinvolti nel conflitto sociale e politico gettano luce sul contributo originario degli operai e degli studen 90

ti, mostrano come crebbe il ruolo degli ultimi arrivati e indi cano una crescente importanza della politica come fonte e obiet tivo della protesta. La fig. 7 rappresenta il numero totale di proteste in cui i giovani, gli operai, i nuovi ceti medi, i gruppi territoriali sia urbani che regionali comparvero in ciascun seme stre dal 1966 al 1973. Essa mostra in che modo la composizione del settore del movimento sociale si ampli durante la fine degli anni Sessanta, si continu a espandere agli inizi del decennio suc cessivo e si contrasse alla fine del periodo.
Numero

Semestre

Fig. 7 - Presenza di gruppi diversi di soggetti negli episodi di protesta, per semestre, 1966-73 Ma bench la protesta fosse diffusa e spesso violenta, il suo grado effettivo di perturbazione vari ampiamente da gruppo a gruppo. Abbiamo gi visto (cfr. fig. 4) che la carica di perturba zione generica ebbe il suo culmine nel 1968 e un calo successivo, bench il numero totale delle proteste stesse aumentando. La fig. 8 mostra non solo che la carica di perturbazione vari da gruppo a gruppo, ma che quella degli operai ebbe un calo a partire dal 1969 e che altrettanto fece quella degli studenti dopo il 1970. La protesta territoriale fu molto perturbativa solo agli inizi del pe riodo (quando era dominata dalle bombe in Alto Adige), mentre le proteste dei nuovi ceti medi non furono mai molto perturbative. Alla fine del 1971, la perturbazione dellepisodio medio di protesta, nella maggior parte del settore del movimento sociale,
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era scesa a livelli assimilabili a quelli del 1966. Tra il 1966 e il 1973 lo Stato e la societ italiani furono posti di fronte a ondate successive di protesta. Diversamente che nel caso della violenza politica settaria, che divenne una minaccia sempre maggiore ver so la fine degli anni Settanta, il sistema italiano non dovette mai fronteggiare unondata di perturbazione di massa proveniente da tutte le direzioni contemporaneamente, il che costituisce la spie gazione principale della capacit del sistema di sopravvivere alla propria crisi.
Punteggio

Semestre

Fig. 8 - Punteggio medio del grado di perturbazione di gruppi diversi di sog getti, per semestre, 1966-73

5. Conclusioni
Perch, dunque, questo periodo ricordato come un periodo di disordine generalizzato? Innanzitutto, alcuni gruppi e parte dei media ebbero tutto linteresse ad assumere il ruolo di Cassandra. Quando ricordiamo che la protesta si diffuse attraverso la competizione e il backlash, non deve sorprendere che la perturbazione fosse gonfiata ed esa- > gerata da certi settori. Ciascun gruppo aveva un interesse nel pubblicizzare gli eccessi dei suoi antagonisti, che spesso veniva no utilizzati come giustificazioni di azioni collettive violente e di repressioni che altrimenti non avrebbero avuto consenso nella societ. 92

In secondo luogo londata di protesta in Italia dovette alme no parte della sua caratteristica esplosiva al fatto di non essere n prevalentemente politica comera il caso degli Stati Uniti, do ve il conflitto economico fu contenuto per gran parte degli anni Sessanta n prevalentemente economica come fu il caso della Gran Bretagna, dove in quel periodo le relazioni industriali divennero inusitatamente conflittuali. N essa era, se non agli inizi, prevalentemente incentrata intorno alle scuole. I disordini provennero da tutti questi settori della societ italiana, ma come per la vita italiana in generale essi erano incentrati nel larena politica. In terzo luogo, via via che il conflitto industriale si andava dipanando sotto il controllo dei sindacati e che la protesta uni versitaria perdeva la sua spontaneit e le sue ragioni d essere, i movimenti di protesta passarono dalle scuole e dalle universit alle strade e alle piazze, dove persero il loro tema originario e si mescolarono con lalienazione e la delinquenza sempre presenti fra i giovanissimi. Nel far questo essi passarono sempre pi sotto il controllo degli organizzatori del movimento sociale, i quali ve devano nei movimenti degli operai e degli studenti della fine de gli anni Sessanta linizio di un periodo di mobilitazione generale. Il fatto che sbagliassero non fece che accrescere il loro settarismo e la frustrazione dei loro giovani seguaci. Via via che lazione collettiva and perdendo la sua base di massa nella fabbrica, nel le scuole e nelle universit, il conflitto su temi specifici fu sosti tuito da conflitti ideologici, portati avanti da organizzazioni di movimento che ben poco avevano da offrire oltre alla militanza, alla perturbazione e, alla fine, alla violenza.

RICHIESTE E CONTRORICHIESTE

L alluvione Firenze, novembre 1966. Piove per tre giorni nella valle dellA r no. Nelle montagne del Casentino, l dove il fiume singrossa compaiono alcuni segni preoccupanti: un ponte che crolla, una valanga di fango. Ma gi a valle, dove lacqua gialla scorre sotto i vecchi ponti, le autorit consigliano la calma. Nessuna misura straordinaria stata presa per evitare che il fiume rompa gli ar gini, n qualcuno ha detto agli abitanti dei quartieri bassi, dove vivono migliaia di bottegai e di artigiani, di sgomberare le case. 4 novembre. Al risveglio la citt scopre che lArno ha rotto gli argini. I quartieri popolari Santa Croce, San Nicol, Santo Spirito sono allagati da unacqua giallo sporco che in alcuni punti arriva al secondo piano degli edifici. La piazza, il chiostro e lelegante cappella de Pazzi di Santa Croce sono invasi da un mare di fango. L inondazione non ha preferenze architettoniche: il brutto palazzo che ospita la Biblioteca nazionale danneggiato quanto le bellissime porte del Battistero. 5 novembre. Cominciano le operazioni di ripulitura, ma i mezzi e la manodopera disponibili per i fiorentini sono miseramente inadeguati. Gli aiuti da enti internazionali non arriveranno pri ma di qualche settimana. A Roma il governo annuncia lo stan ziamento di risorse straordinarie, ma finora tutto quello che arriva sono migliaia di soldati che girano a vuoto con le scarpe bagnate senza nessuno che dica loro cosa fare. Come in tutte le emergenze, lassistenza locale organizzata innanzitutto dai gruppi di quartiere, dalle organizzazioni giovanili e dalle parroc chie. 95

6 novembre. Il presidente della Repubblica Saragat arriva per ispezionare i danni e confortare i fiorentini. Dopo aver annun ciato limminente attuazione di un complesso piano di emergen za, parte in una camionetta della polizia per visitare i quartieri pi colpiti. Lungo la strada che porta dalla prefettura a Santa Croce fatto segno a lancio di oggetti, a insulti e grida di: M an dateci cibo e vestiti, non presidenti e ministri!. La Nazione si sente oltraggiata da questa mancanza di rispetto per il presiden te. Speriamo che coloro che hanno fischiato Saragat [...] si pen tiranno del loro atto incivile e si convinceranno che molte cose possono migliorare o divenire facili quando linerzia e la patia che paralizzano la vita pubblica saranno state superate (La Nazione, 7 novembre 1966). L a Nazione addolciva la verit, dato che Saragat, durante la sua visita alla citt inondata, fu oggetto di qualcosa di pi delle tradizionali invettive fioren tine. Lungo tutto il percorso attraverso i quartieri alluvionati, fu fatto bersaglio di ortaggi marci e melma che la gente lanciava al suo passaggio. Il suo messaggio a Roma fu: M andate subito aiuti!. Natale a Milano 21 dicembre 1968. In piazza del Duomo, che circonda la grande cattedrale gotica, ondeggia elettrizzata la folla natalizia. Le luci di Natale brillano sulle arcate della galleria Vittorio Emanuele percorsa dai milanesi che si dirigono verso gli eleganti negozi. C un forte contrasto tra i venditori di caldarroste che si scal dano le mani sui bracieri e battono i piedi dal freddo e la bor ghesia milanese impellicciata e incappottata che fa il suo shop ping natalizio. Improvvisamente scoppia un tumulto sotto i portici di fronte allingresso della Rinascente. Un gruppo di studenti della Stata le, prendendo spunto da uno sciopero nazionale delle commesse, ha deciso di dimostrare contro la mercificazione del Natale. Gli studenti innalzano cartelli che condannano la profanazione della nascita di Cristo e protestano per il modo in cui il negozio serve i borghesi mentre paga bassi salari alle commesse. Inizia unamichevole discussione tra gli studenti e le guardie che la Rinascente tiene agli ingressi per controllare chi fa piccoli furti. I passanti si fermano ad ascoltare, mentre altri giovani dal la piazza premono sotto le arcate per vedere meglio cosa succede. Via via che la folla si gonfia in quello spazio limitato la discus 96

sione degenera in spintoni e calci, e ne nasce un tafferuglio ge nerale. Al suono delle sirene della polizia i curiosi si disperdono, ma gli studenti rimangono l e aspettano di essere condotti al posto di polizia (Corriere della Sera, 20-21 dicembre 1968). Questi due episodi sono emblematici dellarco delle richieste, da quelle specifiche ed episodiche a quelle generali e programmate, che costituirono il ciclo della protesta in Italia dal 1966 in poi. Mentre i fiorentini reagiscono spontaneamente a una situazione specifica, gli studenti milanesi protestano contro una condizione generale, il sistema capitalista nel suo complesso. Attaccando Saragat, i fiorentini agiscono spontaneamente contro un obiettivo che per caso disponibile; i milanesi scelgono deliberatamente un simbolo dellestablishment della loro citt. Infine, mentre la protesta di Firenze trasmette una richiesta semplice e immedia ta, i dimostranti di Milano chiedono niente di meno che un cam biamento nella cultura del capitalismo. Queste due richieste sono ai poli opposti di un continuum che va dal concreto, lo strumentale e il reattivo da una parte, alla stratto, lespressivo e il proattivo dallaltra. Cercando di capire il ciclo della protesta nei termini delluno solo di questi poli rischia mo di cadere da una parte in una fallacia spontaneista e dallaltra in una fallacia volontaristica. Le due forme di protesta hanno effettivamente qualcosa in comune: sono organizzate intorno a una richiesta concreta: lal luvione in un caso e lo sciopero dei grandi magazzini nellaltro. Solo quando la gente disposta a riversarsi nelle strade nel nome di queste richieste pu iniziare un ciclo di protesta, e solo fin tantoch gli organizzatori del movimento riescono a convincere la gente che queste azioni possono riuscire o valgono il tempo e gli sforzi profusi, il ciclo continuer a far parte della politica di massa. Dopo di questo, quando la gente si stanca o trova degli sbocchi istituzionali alle proprie richieste, oppure si convince che la protesta non paga e pu essere pericolosa, tutto si risolve in uno scontro personale tra gli organizzatori dei movimenti e le forze dellordine, montato per lattenzione dei media e di un pubblico sempre pi indifferente. I due episodi hanno unaltra cosa in comune: bench entram bi siano organizzati intorno a richieste concrete, ciascuno rientra in una pi ampia struttura interpretativa. Bench allorigine del la rabbia dei fiorentini vi sia linondazione, questa loro rabbia si traduce in azione attraverso lipotesi che lo Stato debba produrre servizi e non semplicemente simboli; e bench loccasione della 97

protesta alla Rinascente sia lo sciopero dei grandi magazzini, anchessa si inserisce in unipotesi pi ampia, e cio che luomo non debba essere definito attraverso i beni che possiede. Con svariati gradi di autoconsapevolezza entrambi i gruppi che protestano ap plicano delle strutture interpretative generali a situazioni con crete, cos giustificando le loro richieste e ampliando la gamma dei loro potenziali sostenitori1. In questo capitolo passeremo in rassegna la natura e la por tata delle richieste avanzate da svariati gruppi che protestavano e dei partecipanti al conflitto sociale. Vedremo come, se nelle prime fasi del ciclo le richieste erano prevalentemente concrete e specifiche, nel corso di esso alcuni temi centrali come lope raismo e lautonomia si diffusero a partire dai punti salienti del conflitto, nelle universit e nelle fabbriche, fino ad altri set tori e gruppi, subendo talvolta lungo il cammino delle trasfor mazioni profonde. Vedremo anche come nel corso del ciclo le richieste settoriali concrete cedettero il posto a conflitti ideolo gici sempre pi competitivi.

1. I settori della mobilitazione


La struttura delle richieste in un ciclo di protesta pu essere meglio capita passando prima in rassegna i principali settori del conflitto e della mobilitazione. Nella sfera economica i principali settori individuati furono lindustria, lagricoltura e i servizi pubblici e privati. I principali settori sociali furono leducazione, larte, i servizi sociali urbani, la cultura, la religione nonch i problemi delle donne e della famiglia. I principali settori politici furono il governo regionale, gli affari internazionali e la giustizia. I conflitti puramente ideologici e le richieste di rovesciamento del governo o della costituzione sono stati mantenuti separati da questi temi, a meno che avessero una peculiare componente po litica. Nella tab. 6 sono riassunti i settori del conflitto eco nomico, sociale, di politica urbana e ideologico nei quali sono state classificate le proteste e la frequenza con la quale essi sono
1 II concetto che lazione sociale sia contestualizzata da visioni interpreta tive generali deriva da G offm an (1974), ed stato applicato allo studio dei mo vimenti sociali da David Snow e collaboratori (vedi Snow et al. 1986; Snow e Benford 1988). Per un approccio collegato che utilizza un linguaggio leggermente diverso, vedi Gam son (1988).

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apparsi nelle principali richieste quali riportate nei dati desunti dai giornali2. Tab. 6 - Settori degli episodi di protesta
Settore N. 1.816 1.387 710 28 975 54 4 .9 8 0

%
36,5 2 7 ,8 14,3 0 ,7 19,6 1,1 100,0

Economico Sociale Politico Antigovernativo, anticostituzionale Conflitto ideologico Altri settori Totale

Tra i settori economici, il conflitto industriale apparve con maggiore frequenza, seguito da vicino dai conflitti nei servizi pubblici5. Nei settori sociali, le proteste nel settore educativo superarono di gran lunga quelle in qualsiasi altro settore4. Nei settori della politica la percentuale pi ampia degli episodi coin volse il settore giudiziario o la polizia, seguiti a ruota dagli affari internazionali5. Coloro che ricordano quel periodo prevalente mente caratterizzato da problemi nella scuola e dal conflitto in dustriale sono nel giusto, ma spesso dimenticano quanto la con testazione si diffuse anche in quegli altri settori. Le proteste esplicitamente anticostituzionali e antigoverna tive (vale a dire quelle che chiedevano il rovesciamento del go
2 Ogni protesta poteva generare pi di una richiesta. E sse sono state regi strate e analizzate, ma i dati qui presentati sono basati solo su quella che chia mata la richiesta primaria, alla quale chi protestava assegnava maggiore impor tanza. 3 II settore economico incontrato pi spesso nei resoconti dei giornali stato lindustria (899 episodi ovvero 18 per cento del totale), seguito dai servizi pub blici (495 episodi, 10 per cento), e dai servizi privati (365 episodi, 7 per cento). L agricoltura era presente solo in 66 episodi, pari all 1,3 per cento del totale. 4 II settore sociale pi spesso osservato fu la scuola (884 episodi, 18 per cento del totale), seguito dai servizi sociali (206 episodi, 4 per cento), dalla religione, la famiglia e il sesso (79 episodi, 1,6 per cento), larte e la cultura (61 episodi, 1,2 per cento). 5 II settore della politica che pi frequentemente comparve fu la giustizia, ivi comprese le proteste contro la polizia e il sistema carcerario (390 episodi, pari all8 per cento del totale), seguito dalla politica internazionale (208 episodi, 4 per cento), dalla politica regionale e ambientale, ciascuna con 56 episodi e 1 1,1 per cento del totale.

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verno o del sistema) furono un numero trascurabile6. Di gran lunga pi frequenti furono i conflitti ideologici che non avevano alcun contenuto occupazionale, sociale o politico specifico. Que sti episodi assommarono a circa mille, pi del totale registrato nel settore industriale. Essi si sovrapponevano significativamente a quegli episodi violenti che abbiamo incontrato nel capitolo III e alle proteste aspecifiche analizzate nel capitolo IV. L impressione netta che si ricava dalla tab. 6 che a parte questi conflitti ideologici le richieste fossero radicate nei set tori pi vicini alle preoccupazioni della gente e non fossero une spressione diretta di divisioni ideologiche. Questo carattere con creto significava che pochi erano coloro che attaccavano diret tamente i fondamenti dello Stato o della societ italiana; tuttavia prima di concludere che la crisi italiana non fu nientaltro che un sovraccarico di richieste specifiche e concrete di corpora tivismo, per usare il gergo politico italiano esaminiamo la struttura delle richieste e delle controrichieste.

2. La direzione delle richieste


Le moderne ondate di protesta sono spesso associate allim magine di gruppi aggressivi e ben organizzati che chiedono nuovi diritti e privilegi, cio ai movimenti sociali. Allopposto, nelle ondate di protesta del passato gli attori tendevano di pi a essere visti come coloro che riportavano giustizia dopo che dei diritti tradizionali erano stati calpestati: come, per esempio, il diritto di pagare solo un giusto prezzo per il grano. Tilly (1978), che ha chiamato questi due tipi di protesta proattiva e reattiva, considera questultima pi caratteristica dellazione collettiva preindustriale e la prima come pi tipica dei movimenti sociali moderni7.
6 C i furono solo 16 proteste i cui obiettivi dichiarati erano esplicitamente anticostituzionali, e 21 che erano antigovernative, senza nessuna richiesta poli tica specifica. 7 Tilly non afferm a che le proteste proattive siano divenute universali o che quelle reattive siano scomparse; tuttavia associa le prime alle forme di conflitto come lo sciopero che si sono sviluppate a partire dalla fine dellOttocento, e le seconde alle proteste arcaiche come sfasciare macchinari o bruciare covoni di grano che non sono pi rilevanti nelle moderne societ industriali (cfr. Tilly 1978, p. 147).

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Un terzo tipo di conflitto, anchesso comune nella storia del lazione collettiva, il conflitto competitivo tra gruppi la cui uni ca preoccupazione politica concreta chiedere che i loro rivali cambino il proprio comportamento o addirittura cessino di esi stere (Tilly 1978, cap. V )8. Un quarto tipo di richiesta riguarda i diritti o i benefici che sono stati promessi ma non ottenuti. In un moderno Stato sociale, particolarmente se inefficiente come quello italiano, ci aspetteremmo di trovare numerose attivit di protesta derivanti da tali promesse non mantenute o disattese. Esaminiamo la direzione delle richieste quale delineata nella tab. 7 e un esempio tipico di ciascuna per vedere la distribuzione effettiva di questi quattro tipi di richieste in Italia. G li scioperi sono tenuti distinti dagli altri episodi perch sono una forma d a zione chiaramente istituzionalizzata per lespressione di richieste proattive. Tab. 7 - Direzione delle richieste: episodi di sciopero e di non-sciopero
Tipo di richiesta Episodi di sciopero Episodi di non-sciopero Totale degli episodi

%
3 4 ,6 5 6 ,2 0,3 8 ,6 0 ,4 1 00,0

N. 672 1.091 5 166 7 1.941

%
5 0 ,0 5 0 ,0 2 2 ,6 2 ,4 1,2 100,0

N. 1.472 1.472 665 71 36 2 .9 4 3

%
4 3 ,9 3 6 ,7 13,7 4 ,9 0 ,9 100,0

N. 2 .1 4 4 1.790 670 237 43 4 .8 8 4

Reattiva Proattiva Com petitiva Attuazione Altre Totale

Richieste reattive. Vi un numero significativo di tutte e quat tro le categorie di richieste nei dati italiani, ma il numero mag giore di proteste fu a favore di richieste reattive, vale a dire ri chieste di giustizia derivanti dalla percezione della gente che erano stati calpestati alcuni suoi diritti o privilegi. Come direbbe Tilly, le richieste reattive furono molto meno comuni nel caso degli scioperi (35 per cento) che negli episodi di non-sciopero (50 per cento). M a lelevata percentuale di proteste reattive ci dice che nellItalia della fine del X X secolo come nella Francia o
8 C i riferiamo alle chiassate organizzate da gruppi di giovani in Francia nel X V II secolo o alla competizione economica tra compagnonnages in Francia (cfr. D avis 1971, per il primo tipo di conflitti, e Sewell 1980, per il secondo).

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lInghilterra del X V III la gente protestava ancora perch le azioni altrui stavano avendo degli effetti negativi sulla sua vita o sul suo ambiente di vita. Un esempio tipico di richieste reattive furono i molti scioperi contro la chiusura di fabbriche, come quello che abbiamo visto a Trieste nel capitolo precedente. Un altro fu londata di scioperi contro il costo della vita, spesso guidati dai sindacati, che segui rono allaumento dei prezzi iniziato nei primi anni Settanta. Un terzo furono gli scioperi perequativi da parte dei colletti bian chi che vedevano assottigliarsi il loro vantaggio di reddito nei confronti dei lavoratori manuali. Richieste proattive. Bench la percentuale maggiore di episodi di protesta avesse origine nelle richieste reattive, in questo pe riodo lItalia non mancava affatto di conflitti proattivi, vale a dire promossi da persone che chiedevano nuovi diritti o benefici. In realt oltre un terzo delle richieste da noi incontrate erano proattive. Analizzeremo la composizione di queste richieste in maggiore dettaglio pi avanti. Vedremo cos che la maggior parte di esse comporta richieste di accesso alle istituzioni, di benefici di gruppo o di cambiamenti nelle politiche governative. L episodio proattivo pi tipico fu lo sciopero contrattuale nel quale i sindacati agivano per convincere la direzione del loro po tere o della seriet delle loro piattaforme. Altri scioperi potevano seguire a livello della fabbrica o dellimpresa per ottenere ulte riori benefici oltre ai vantaggi contrattuali raggiunti dai sinda cati. Molti scioperi vennero anche indetti per chiedere nuovi di ritti, come la riorganizzazione della produzione o il diritto dei rappresentanti sindacali a essere presenti sul posto di lavoro. Conflitti competitivi. I conflitti competitivi erano meno fre quenti degli altri due tipi, ma sono stati riscontrati in quasi il 14 per cento degli episodi. Il termine competizione ci fa pensare al ricco armamentario del carnevale o alla chiassata di cui parla Davis (1971). Ma il ricco e folcloristico armamentario del carne vale o della chiassata sono cose d un tempo, sostituite dalle spranghe di ferro delle risse nelle strade e dalle bottiglie molotov lanciate nelle sedi dei nemici. I conflitti competitivi costituirono oltre un quinto delle proteste diverse dallo sciopero, con una so stanziale sovrapposizione con le proteste aspecifiche di cui ab biamo parlato nel capitolo precedente. I conflitti competitivi erano spesso collegati luno allaltro, 102

quando i gruppi cercavano di superarsi a vicenda o si scontra vano nelle strade. Una tipica sequenza competitiva segu alla tragica esplosione di una bomba alla Banca dellAgricoltura di Milano, il 12 dicembre 1969. Per anni e anni dopo questo epi sodio, come vedremo nel capitolo X , sia la sinistra che la destra nella ricorrenza di quella data organizzarono proteste e contro proteste. Le proteste contro promesse non mantenute. Meno frequenti di questi tre altri tipi furono le proteste per la mancata attuazio ne, vale a dire le richieste che venissero mantenute delle pro messe fatte. Esse furono evidenti in meno del 5 per cento delle richieste totali. Si differenziano nettamente dagli altri tre tipi perch sono fatte scattare dalla mancanza di azione o dalla cat tiva fede di terze parti. Sarebbe azzardato concludere dallassenza relativa di queste richieste nei nostri dati che lo Stato italiano assolse sempre al suo ruolo in modo pronto, efficace e giusto. Per esempio le vittime del terremoto del Belice piantarono molte volte le loro tende di nanzi al Parlamento per rendere evidenti i ritardi e linefficienza dello Stato nel portare loro aiuto. Ma la relativa rarit di questo tipo di protesta rispetto agli altri tre tipi suggerisce che limma gine popolare dellItalia come di un paese che stava rapidamente crollando era superata, e che la gente ricorreva a canali pi con venzionali, per esempio al parlamentare, e non alla protesta, per far mantenere le promesse disattese9. Quando pi perturbativa la protesta? Quando la gente cer ca di ottenere nuovi diritti o benefici, quando difende vecchi diritti, compete con gli altri o richiede che siano mantenute le promesse? La perturbazione fu massima quando i gruppi erano in competizione fra loro per delle risorse o per lo spazio nelle stra de, e minima quando chiedevano nuovi diritti o benefici. Le pro teste furono pi perturbative quando la gente percepiva che sta va per perdere qualcosa per esempio, quando stava per essere licenziata rispetto a quando cercava di ottenere pi benefici o lattuazione di riforme promesse.

9 Q uestimmagine stata recentemente messa in dubbio da LaPalombara (1987), ed esaminata pi empiricamente dagli autori in una raccolta a cura di Lange e Regini (1988).

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3. La struttura delle richieste


Nel suo From Mobilization to Revolution Charles Tilly (1978, cap. Ili) introduce un modello politico per lanalisi dellazione collettiva. Un assunto di base del modello che larena politica costituita da gruppi in competizione reciproca che a loro volta si suddividono in appartenenti alla comunit politica e sfidanti in lotta per la conquista del potere. Scrive Tilly (1978, p. 54): Tutti gli sfidanti cercano, tra le altre cose, di entrare nellarena politica. Tutti gli appartenenti cercano, tra le altre cose, di ri manere nellarena politica. L azione collettiva appunto il mez zo con cui gli sfidanti cercano di entrare nellarena politica, e gli appartenenti cercano di evitare di perdere il proprio posto. Sono idee interessanti che, come molte osservazioni di Tilly, considerano lazione collettiva come aspetti di una lotta intorno agli interessi di gruppo, e che sfidano la concezione pi vecchia dellazione collettiva come un qualcosa di irrazionale. Ma queste formulazioni possono anche ridurre la variet delle motivazioni al solo desiderio di entrare nellarena politica, una riduzione pro babilmente eccessiva per una societ pluralistica. Le categorie di Tilly sono state esaminate suddividendo le richieste da noi studiate in due grandi gruppi: conflitti sostan ziali riguardo ai diritti, ai benefici e alle politiche, e proteste espressive riguardo al simbolismo, alla solidariet e allopposizio ne. In ciascuna grande categoria principale abbiamo individuato quattro sottotipi basando le nostre categorie sulla richiesta prin cipale degli attori, cos come definita dalle loro parole e azioni. Per semplicit, questi otto tipi di richieste saranno descritti secondo il tipo di esito che sembravano volere ottenere coloro che avanzarono le richieste. I quattro tipi sostanziali saranno: richiesta di diritti: proteste da parte di persone che ricor revano allazione perturbativa per ottenere il diritto a partecipa re al processo decisionale; richiesta di benefici: conflitti tra coloro che cercavano di ottenere benefici sostanziali diretti e coloro che dovevano accor darli; richiesta di politiche : proteste a favore di obiettivi politici positivi; cessazione di politiche : proteste nate per cambiare una po litica esistente o per far cessare ladozione di una politica non gradita a chi effettuava la protesta. I quattro tipi pi espressivi sono: 104

l'identit collettiva-, proteste il cui unico scopo visibile era asserire lesistenza o lidentit di un attore collettivo; mostrare solidariet: proteste miranti a dimostrare solida riet ad altre persone, categorie, o organizzazioni; ricerca di spazio-, conflitti tra gruppi in conflitto nei quali non vi alcuna politica visibile o domanda sostanziale, ma solo opposizione a un altro gruppo; contro il sistema-, proteste miranti alla distruzione o al ro vesciamento del sistema. Questi otto tipi di richieste sono riportati nella tab. 8. Per facilit di lettura, gli episodi di sciopero e di non-sciopero sono stati aggregati, ma laddove esistono importanti differenze saran no evidenziate nellesame che segue. Tab. 8 - Tipi di richiesta: sostanziale ed espressiva
Tipo di richiesta Proteste sostanziali Per nuovi diritti Per nuovi benefici A sostegno di politiche In opposizione a politiche Totale proteste sostanziali Proteste espressive Identit collettiva Solidariet Ricerca di spazio Rovesciare il sistema Totale proteste espressive Tipi misti D ati mancanti Totale 2,1 8,7 25,8 0,9 37,5 3,7 100,0 102 427 1.269 46 1.844 184 56 4.980 3,5 42,0 5,7 7,6 58,8 173 2.071 280 374 2.898

N.

Esaminando la distribuzione generale dei tipi di richieste, chiaro che sarebbe molto riduttivo considerare il ciclo italiano unicamente come volont dei gruppi sfidanti di entrare nel campo politico. Soltanto il 4 per cento delle proteste erano casi di richiesta di diritti e meno del 6 erano tentativi di otteni 105

mento di nuove politiche. Sembra molto pi normale che la gente stesse semplicemente cercando di ottenere pi benefici (42 per cento), di far cessare una qualche azione politica (7,6), o di agire contro altri nella richiesta di spazio (25,6). Richieste sostanziali Alcuni osservatori (Melucci, Pizzorno) hanno sottolineato la natura espressiva del conflitto in Italia. Tuttavia il numero delle richieste sostanziali (quasi il 60 per cento del totale) fu molto maggiore di quello delle richieste puramente espressive. N ellavanzare richieste la gente ricorse ad azioni molto espressive, e le richieste furono spesso estreme, ma relativamente poche furono le proteste che mancavano di una qualche richiesta sostanziale. Inoltre la percentuale maggiore di proteste fu a favore degli in teressi materiali concreti della gente. Questo naturalmente era particolarmente vero nel caso degli episodi di sciopero, oltre due terzi dei quali furono organizzati intorno a richieste puramente sostanziali (gli scioperi assommarono ai due quinti degli episodi totali). Che tipo di richieste sostanziali faceva la gente? Chiedeva diritti o benefici, portava avanti una politica preferita o si op poneva a politiche avanzate da altri? Gran parte della letteratura giornalistica degli anni Sessanta sottoline le richieste di nuovi diritti di partecipazione: per esempio la richiesta degli studenti di partecipare alla formulazione dei programmi e ad altre deci sioni, il desiderio dei lavoratori di partecipare alla gestione della loro impresa, la richiesta dei cittadini di autogoverno di quartie re. Ma bench queste richieste fossero diffuse durante il picco intenso della mobilitazione, furono ben lontane dallessere co muni in Italia sia negli episodi di sciopero che di non-sciopero e dopo il punto culminante nel 1968 divennero irrilevanti. Le richieste di benefici costituirono la percentuale maggiore degli episodi di sciopero (68 per cento) e furono al secondo posto come percentuale sugli altri (25 per cento). Tali richieste pote vano andare da quelle di aumenti salariali a quelle di garanzia del posto di lavoro o della costruzione di nuove scuole. La loro ca ratteristica comune che puntano a fare avere a chi protesta e alle persone a loro vicine dei vantaggi in modo diretto, pi che attraverso cambiamenti nella politica generale o attraverso il ro vesciamento delle istituzioni o delle lites. Va nuovamente sot tolineata la natura concreta delle proteste. 106

Spesso queste richieste erano molto radicali, come quando i lavoratori cercarono di influenzare lorganizzazione della produ zione (Regini e Reyneri 1971), o quando gli studenti chiesero di abolire gli esami. Le richieste sostanziali potevano anche avere delle implicazioni radicalmente egualitarie, per esempio quando gli operai chiesero degli aumenti salariali uguali per tutti e per tutte le mansioni e i livelli di specializzazione, o quando un grup po extraparlamentare chiese per i lavoratori un salario politico. Persino le richieste concrete e materiali potevano avere delle im plicazioni estreme quando erano avanzate per attuare strategie ampie e radicali. Cos il ciclo di protesta era ben lungi dallessere moderato, ma le richieste erano il pi delle volte organizzate in torno a obiettivi coi quali la gente poteva identificarsi, non in torno a utopie. Le proteste politiche vennero innescate il pi delle volte dal lopposizione a una data politica, presa in considerazione dal go verno, pi che dalla proposta di nuove politiche; questa opposi zione si manifest, per esempio, in una serie di proteste estre mamente importanti, agli inizi del 1968, contro il progetto di riforma pensionistica del governo. I conflitti politici spesso coin volsero degli appartenenti alla classe media, ma un gran numero di essi coinvolse i sindacati, che nel 1969 lanciarono una stra tegia delle riforme generale. Bench le proteste collegate alla politica costituissero meno del 15 per cento del totale, ebbero un effetto politico pi diretto di entrambi i due tipi prima descritti. Questo non solo perch erano dirette a chi faceva la politica piuttosto che ai padroni delle fabbriche o a chi dirigeva le scuole, ma perch tendevano di pi a ricorrere a forme pubbliche e molto visibili di protesta come il corteo o il raduno pubblico. E dato che cercavano di rappresen tare i bisogni di gruppi generali pi che gli interessi ai gruppi particolari, erano espresse entro strutture interpretative pi am pie che potevano divenire la base di proteste e campagne future, come vedremo in seguito. Richieste espressive Riguardo alle proteste espressive siamo riusciti a individuare solo una minima percentuale appena un po pi del 2 per cen to del totale in cui le azioni sono state considerate in quanto avevano come obiettivo unicamente quello di esprimere lidentit collettiva di un gruppo. L affermazione di unidentit collettiva 107

fu un elemento costitutivo di molte proteste nate a favore di ri chieste sostanziali; ma la scarsit numerica delle proteste intomo allidentit di gruppo dimostra che di solito la gente aveva in mente delle richieste ben concrete, quando si riversava nelle stra de o incrociava le braccia. Il termine identit collettiva, quale stato utilizzato nel letteratura sui movimenti sociali, difficile da cogliere a livello empirico. Spesso il desiderio di un gruppo di fissare la propria identit poteva essere inferito a partire dalla natura irragionevo le o non negoziabile delle richieste che avanzava (Pizzorno 1978). Altre volte esso poteva essere inferito dalla natura dirom pente o non convenzionale delle sue azioni; tuttavia, spesso la gente avanzava richieste irragionevoli o utilizzava forme estreme d azione per ragioni strumentali, al fine di creare una forte po sizione di trattativa e convincere alcuni dei suoi oppositori a prenderla sul serio. Cos anche in queste proteste pi espressive c era spesso una motivazione sostanziale. Mostrare solidariet agli altri era una ragione di protesta mol to pi facilmente osservabile rispetto allespressione di unidenj tit collettiva. Essa costitu quasi il 9 per cento delle proteste totali e comparve in percentuali identiche negli episodi di scio pero e non-sciopero. La percentuale pi grande di queste prote ste fu costituita o da scioperi di una categoria di operai a favore di unaltra, o dal mostrare solidariet a persone arrestate o che stavano perdendo il posto di lavoro. Le proteste di solidariet furono uno dei meccanismi principali della diffusione della pro testa in tutto il periodo. Chi ha considerato lopposizione al sistema o allo Stato come la richiesta principale contenuta nella protesta protester anche contro le nostre risultanze, dato che meno dell 1 per cento degli episodi, secondo i nostri dati, tratti da una fonte che nessuno pu accusare di essere tenera nei confronti della rivoluzione, mi ravano esplicitamente a un rovesciamento del sistema capitalista o dello Stato italiano. Bench molte proteste fossero animate da gruppi che non facevano segreto della loro opposizione al siste ma, il conflitto sociale era prevalentemente organizzato intorno agli interessi immediati e alle richieste della gente, e contro co loro che vi opponevano resistenza o minacciavano di farlo. La scoperta pi notevole proveniente dallesame della strut tura delle richieste stata lelevata percentuale di conflitti orga nizzati intorno allopposizione diretta tra gruppi in competizio ne: il 26 per cento dei casi. Bench in questi episodi spesso a essere presi di mira fossero i movimenti opposti, frequentemente 108

gli obiettivi erano anche coloro che prendevano le decisioni, ma senza alcun chiaro riferimento alle loro azioni politiche. Questi episodi sono strettamente correlati con le proteste aspecifiche e i conflitti competitivi che abbiamo prima esaminato. E in questa categoria che vediamo la principale differenza tra episodi di sciopero e di non-sciopero. Solo il 6 per cento degli scioperi fu motivato da opposizione ad altre persone. Fu nelle proteste non sfociate in sciopero che le richieste di spazio contro altri gruppi costituirono un buon 39 per cento dei casi, una per centuale maggiore sui non-scioperi rispetto a qualsiasi altro tipo di richiesta. Cos la struttura delle richieste delle proteste cos come la loro direzione era il pi delle volte concreta, sostanziale e spe cifica. La gente cercava di ottenere nuovi diritti e benefici, so steneva particolari politiche e si opponeva ad altre, o colpiva i propri nemici immediati pi che il sistema capitalista o lo Stato nel suo complesso. La politica di movimento era unestensione della politica in generale.

4. Strutture interpretative pi ampie: lautonomia e loperaismo


N ellazione collettiva cos come nella politica in generale, la gente non pu sostenere a lungo delle campagne a favore dei pro pri diritti o benefici senza legittimare le proprie richieste con valori generali e protendersi verso gli altri mediante un quadro di riferimento comprensibile a entrambi. Alcune di queste idee co muni provengono dalla cultura popolare10, altre nascono nel cor so del ciclo o sono unestensione di temi ereditati a nuovi gruppi e richieste11. Una delle principali caratteristiche del ciclo di pro testa che alcune strutture interpretative si diffondono attra verso la societ e si estendono al di l del suo quadro di riferi
10 Negli Stati Uniti, negli anni Sessanta, il concetto di diritti derivava la propria importanza dal peso tradizionale che aveva sempre avuto nella cultura popolare americana, bench fosse stato spesso onorato solo a parole, come nel caso dei neri. 11 E il caso dellideologia nazionalista nera delle ultime fasi del movimento dei diritti civili. Quando il movimento si trasferito dal Sud al N ord e dalle Chiese nere ai ghetti urbani, il concetto di diritti 'Stato rifiutato a favore di una richiesta pi fondamentale di autonomia e di separatismo.

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mento abituale (Snow e Benford 1988). Pi raramente nel corso di un ciclo appare un contesto interpretativo totalmente nuovo. In Italia, al di sotto del mosaico di richieste e controrichieste prima esaminato, unimportante struttura interpretativa eredi tata loperaismo venne estesa molto al di l del suo signi ficato originario, e ne apparve una nuova: lautonomia. A partire dallassunto che il conflitto sociale doveva essere guidato dai par titi e dai sindacati, ci fu un passaggio al concetto secondo cui gli attori sociali potevano godere di autonomia sia nel prendere de cisioni che nel formulare richieste. Dato che entrambi questi contesti appariranno in tutto il resto di questo libro, li presenter qui semplicemente insieme ad alcuni dei principali modi in cui furono utilizzati. L operaismo In un pamphlet anonimo pubblicato nel 1967, un intellettua le comunista vicino ai sindacati scriveva: solo nella fabbrica che il rapporto sociale di produzione che vogliamo eliminare fianco a fianco con la forza di classe politica [...] che capace di sovvertirlo e rovesciarlo (Accornero 1967, p. 54). L operaismo one il proletariato nel fulcro dellattivit rivoluzionaria. Esso a una lunga storia nella cultura politica della sinistra italiana (Magna 1978) e pu essere riportato alla lotta tra sindacalisti e parlamentari socialisti agli inizi della storia del movimento ope raio e al conflitto tra massimalisti e minimalisti negli anni Dieci di questo secolo. Fu anche ben rappresentato in unala del nuovo Partito comunista, fondato nel 1921. L operaismo continu a esercitare un fascino sulla sinistra per tutto il periodo postbellico. Il Pei riusc ad assumerne lege monia in parte subordinando il proprio sostegno alla classe ope raia a una strategia di ampie alleanze di gruppi e classi. Questo lasci uno strato di militanti e intellettuali incerti circa lauten ticit rivoluzionaria del maggiore partito della sinistra, e convinti che il lassismo degli operai durante e dopo il miracolo economico poteva essere addebitato al fatto che il partito non fosse riuscito a rappresentare le loro tendenze pi profonde. Anche allinterno del Pei e tra alcuni dei suoi quadri sindacali loperaismo era gi rinato alla met degli anni Cinquanta. Gli storici hanno messo in evidenza limportanza delloperai smo nella formazione della nuova sinistra agli inizi degli anni Sessanta (Becchelloni 1973; Lumley 1983). E ssi hanno dimostra to come riviste quali Classe operaia e Quaderni rossi ripor-

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tasser in vita la vecchia teoria della centralit operaia dalla qua le il Pei fu pronto a prendere le distanze quando vide il proprio futuro politico nei ceti medi produttivi. Pi nascosta stata la tenace sopravvivenza della posizione operaista allinterno del Pei e dei sindacati, e la sua riproposizione negli anni Sessanta, quan do la strategia di alleanze del partito sembrava non portare da nessuna parte. Per esempio, nel riconsiderare la storia postbellica dei metalmeccanici torinesi, Miriam Golden (1988) trova nella cultura di sinistra di quella citt una tradizione ininterrotta di operaismo. Uno degli aspetti che superficialmente poteva sorprendere del movimento degli universitari iniziato nella met degli anni Sessanta fu la sua adozione della simbologia operaista. Questa cominci ad apparire gi nel 1966, quando gli studenti di Socio logia della nuova universit di Trento teorizzarono che luniver sit era una istituzione produttiva. Il tema venne esteso ancor pi da una coalizione di gruppi studenteschi che occuparono lu niversit di Pisa nel 1967. Le tesi di questi studenti ricevettero pubblicit nazionale quando vennero adottate da una corrente di sinistra dellUGi, spaccando lorganizzazione (Cazzaniga 1967). L operaismo divenne moneta corrente dei gruppi extraparla mentari nati dalla crisi del movimento studentesco dopo il 1968. Alla fine divenne una caricatura di se stesso: in modo comico quando il Psi, che aveva perso le sue credenziali presso la classe lavoratrice entrando nella coalizione di centro-sinistra agli inizi degli anni Sessanta, si dichiar il partito del lavoro; e tragico, nelle ideologie settarie di alcuni dei gruppi terroristici che fiori rono alla met degli anni Settanta. L importanza principale delloperaismo risiedette nel fornire una struttura interpretativa e insieme di solidariet ai non sem pre armoniosi gruppi dellestrema sinistra. Esso ebbe unimpor tante funzione strategica per la sinistra extraparlamentare. I con servatori potevano deridere il fatto che i figli della borghesia si vestissero come operai e indossassero la tradizionale tuta blu del proletariato, ma non coglievano il significato essenziale dellope raismo: in un paese in cui il principale partito istituzionale della sinistra aveva ottenuto legemonia chiedendo di rappresentare una coalizione di classi attorno alla classe operaia, chi voleva creare uno spazio politico alla sua sinistra avrebbe dovuto espor re le proprie richieste in termini dotati di significato nella cultura popolare della sinistra italiana.

Ili

L'autonomia L operaismo era una struttura interpretativa tradizionale del la sinistra che venne estesa a nuovi gruppi e a nuove attivit, ma il concetto di autonomia imponeva una nuova logica al problema della delega rappresentativa. Bench il tema dellautonomia avesse dei parallelismi internazionali per esempio nel concetto di autogestion avanzato dai sindacalisti cattolici di sinistra in Francia esso ebbe particolare importanza in Italia, dove la cultura po litica era stata dominata dai partiti e dalla loro organizzazione di massa in misura molto maggiore che in Francia. Il concetto dellautonomia degli attori sociali rispetto ai par titi e alle associazioni era un aspetto importante dei tre movi menti di protesta che incontreremo nella seconda parte del vo lume: gli studenti universitari, gli operai dellindustria e le comunit di base allinterno della Chiesa cattolica. Nel movimento degli studenti universitari, nel quale le asso ciazioni guidate dai partiti avevano esercitato unegemonia ri spetto alle organizzazioni degli studenti sin dallimmediato pe riodo postbellico, la sinistra ottenne un seguito chiedendo che gli studenti avessero il diritto di governare le proprie organizzazio ni. Nel movimento degli operai, lautonomia aveva due signifi cati sovrapposti: innanzitutto, autonomia degli operai dai sinda cati che presentavano le piattaforme senza consultarli; in secondo luogo autonomia dei sindacati dalle rispettive affiliazio ni di partito politico. E nelle comunit di base cattoliche lauto nomia significava autonomia dei credenti dalla gerarchia della Chiesa. L autonomia costitu anche un tema in molte delle proteste urbane dei primi anni Settanta, quando i comitati di inquilini cercavano d fissare affitti e canoni, e cominciarono a trasfor marsi in comitati di quartiere. Divenne inoltre lo slogan dei grup pi regionali che si opponevano al governo nazionale. In un altro senso era il termine che i sindacati degli impiegati autonomi, prevalentemente della classe media, usavano per riferirsi a se stessi cos da indicare la loro autonomia dal dominio delle con federazioni. Tra tutti questi temi espressi nel ciclo di protesta italiano lautonomia fu quello che pi di ogni altro assunse il carattere di nuovo tema conduttore, paragonabile al concetto di diritti nei movimenti americani degli anni Sessanta. Nel punto di mas sima del ciclo, nel 1967-69, lautonomia era festosa e liberatoria, ma poteva anche significare settarismo e isolamento, in partico 112

lare dopo che, agli inizi degli anni Settanta, i sindacati e i partiti cominciarono a riaffermare il loro controllo sugli operai. Questo significato del termine predomin nella sua tragica evoluzione storica alla met degli anni Settanta, quando tutto un insieme di gruppi clandestini e semiclandestini costituirono quella che fin con lessere chiamata Parea dellautonomia. Per questi gruppi lautonomia signific separazione dallo Stato, dalla sinistra isti tuzionale, dai sindacati e, alla fine, dalla realt. C era un collegamento diretto tra la smobilitazione verso la fine del ciclo e la crescita di questa area dellautonomia? Come vedremo nel capitolo X , infatti, a partire dagli anni 1973-76 la mobilitazione era in calo, la repressione aveva allontanato dalle strade tutti a eccezione dei pi ostinati, e molti dei movimenti generati nel picco intensivo della mobilitazione si erano rivolti alla competizione elettorale. Nacque una nuova generazione di collettivi autonomi per disputare il proprio diritto a chiamarsi veri alfieri della rivoluzione. Per somma ironia del ciclo di pro testa, la bandiera dellautonomia, innalzata per la prima volta dagli studenti nel 1966-68 per chiedere la democrazia di base, accompagn i loro successori nella clandestinit e nascose i loro atti di terrore sotto una retorica che malgrado ogni sforzo non riusciva a celare il distacco dei suoi appartenenti dalle masse.

5. Cambiano i problemi sul tappeto


Riferiti i dati necessari, possiamo proseguire con le nostre domande circa la dinamica delle richieste nel corso del ciclo di protesta. La maggioranza delle richieste rimase concreta, e i gruppi ristretti, in tutto il ciclo? Le richieste si trasformarono da pi concrete a pi astratte, da pi riformiste a pi rivoluzionarie, via via che il ciclo andava finendo? O levoluzione della struttura delle richieste segu una parabola simile alle forme di azione che abbiamo studiato nel capitolo III e degli attori sociali esaminati nel capitolo IV? Cambiamento settoriale I cambiamenti in tutti i principali settori economici e sociali assomigliarono a ci che abbiamo visto nel capitolo IV circa i principali attori sociali: unestensione dal 1967 fino alla fine del 113

decennio e un restringimento nel periodo successivo. Fecero ec cezione le proteste internazionali e i conflitti sulla scuola, che ebbero un picco agli inizi del ciclo, e un settore importante nel quale il massimo del conflitto venne in un momento posteriore nel periodo: le proteste nel campo della giustizia, ivi comprese le lamentele circa la repressione poliziesca. A parte questo, il cambiamento principale fu dato dalla so stituzione ai conflitti settoriali, economici e sociali, organizzati intorno agli interessi della gente, di battaglie ideologiche per la conquista di spazio tra le varie organizzazioni dei movimenti so ciali e rispettivi seguaci. Queste lotte assunsero svariate forme: giovani di sinistra e di destra si scontravano per le strade e si picchiavano con catene e bastoni, si interrompevano i raduni dei partiti politici e si compivano irruzioni nelle sedi politiche degli avversari; piccoli gruppi estremisti andavano ai raduni dei loro alleati e li radicalizzavano lanciando sassi contro la polizia e spac cando vetrine; nelle strade delle citt si svolgevano cortei rivali che giocavano un minuetto tattico, con la polizia che cercava di frapporsi. Un importante effetto collaterale fu la crescente importanza dei servizi d ordine dei partiti, dei sindacati e dei gruppi extra parlamentari. Ufficialmente il loro compito era di mantenere sot to controllo i dimostranti, ma molti di essi divennero vivai di reclutamento di gruppi violenti, insofferenti dei problemi del lorganizzazione di massa e desiderosi di accelerare il ritmo verso la rivoluzione pi rapidamente di quanto fossero disposte a fare le masse. Quando, alla met degli anni Settanta, i principali gruppi extraparlamentari si volsero alle elezioni politiche e in particolare dopo che la tesi del compromesso storico era stata accettata come strategia dal Pei questa diffusa violenza di strada divenne organizzata e fu sempre pi dominata dai gruppi terroristici della fine degli anni Settanta e degli anni Ottanta. La concomitanza del calo della protesta nei principali settori fondamentali (industria, educazione, servizi e affari internazio nali) e dellaumento del conflitto ideologico costituisce una scoperta-chiave di questa ricerca che non sar mai sottolineata ab bastanza. Via via che le persone che lavoravano nellindustria o nei servizi, che studiavano nelle universit o che erano interes sate al conflitto internazionale cominciarono a tornare ai loro banchi o ai tavoli da lavoro perch erano stanchi, soddisfatti o impauriti il conflitto cominci a diffondersi nelle strade tra coloro che non avevano nessuna specifica proposta politica da avanzare, ma solo un odio feroce per i propri oppositori. Questa 114

concomitanza dellaumento del conflitto ideologico e del calo della mobilitazione di massa allinterno dei principali settori so stanziali illustrata nella fig. 9.
Numero Settori principali

Semestre

Fig. 9 - Numero degli episodi di protesta in cinque settori principali e nu mero dei conflitti ideologici per semestre, 1966- l L aumento delle proteste contro la polizia e il sistema giudi ziario agli inizi degli anni Settanta, nel momento in cui tutti gli altri conflitti settoriali erano in calo, collegato a questo passag gio dalla protesta settoriale al conflitto ideologico. Infatti, via via che la protesta di massa and diminuendo e il numero delle bat taglie ideologiche per le strade and crescendo, la polizia perse le proprie inibizioni politiche e and acquisendo un incentivo a se guire una politica pi aggressiva fatta di cariche e arresti, facen do nascere numerose dimostrazioni contro la sua brutalit, e al tre in cui si chiedeva il rilascio dei detenuti. Inoltre, poich la polizia si mostrava energica soprattutto nel caricare lestrema si nistra, vi furono proteste contro limplicita protezione che essa sembrava offrire allestrema destra.

6. Conclusioni
Negli anni che andarono dal 1966 al 1973 gli italiani furono divisi pi su conflitti distributivi che su temi ideologici. La mo bilitazione ebbe la propria base principale nel fatto che il popolo italiano attraversava un periodo di trasformazione economica, di mutamento sociale e di sfida politica. Quando i protagonisti di questi movimenti cominciarono a tornare alle rispettive case, 115

scuole e posti di lavoro, il ciclo della protesta di massa termin. Ci che rimase fu un numero relativamente esiguo di persone in lotta per lo spazio ideologico e lo spazio nelle piazze. Ma le piaz ze, in parte come conseguenza di questo, ma prevalentemente a causa del fatto che la mobilitazione di massa stava terminando, erano sempre pi vuote. Fu un segno del calo della mobilitazione e del cambiamento di interessi del pubblico, il fatto che le pi grandi dimostrazioni degli inizi degli anni Settanta avvennero per protestare contro il comportamento della polizia e contro le stremismo. Le richieste della gente, anche quelle estreme, erano scaturite dai loro conflitti quotidiani, dai dibattiti politici che erano ini ziati alPinterno del sistema politico nazionale e dallopposizione ad altri. Queste proteste non avanzavano richieste utopistiche, ma rientravano sotto un altro nome nella sfera politica. Anche i grandi temi interpretativi delloperaismo e dellautonomia ebbe ro una funzione pratica nel mobilitare la gente, e una funzione strategica nel cercare di sorpassare i partiti e i sindacati tradizio nali. Ma verso la fine del periodo la gente stava ricorrendo a forme di azione collettiva pi istituzionalizzata come i sinda cati e si stava sempre pi ritraendo dalle forme perturbative d azione che avevano aperto il ciclo. Il periodo entusiasmante, di sfida ma prevalentemente pacifico della mobilitazione intensiva prima del 1970 cedette il posto a richieste pi limitate, avanzate prevalentemente attraverso mezzi convenzionali, da una parte, e allopposizione violenta di piccole minoranze, dallaltra. Il ciclo fu potenzialmente rivoluzionario? Bench il tessuto dei conflitti, concreti e specifici, alla radice della societ italiana forse non fu intrinsecamente rivoluzionario, gran parte di essi contribuirono per a porre un enorme fardello sulle capacit de cisionali del paese. Come avrebbe detto un esperto della politica italiana quale Antonio Gramsci, un sistema capitalista democra tico portato pi facilmente alla paralisi da una moltitudine di piccole battaglie condotte nelle trincee della societ civile, che non da un attacco frontale al sistema. Ma il sistema non venne mai portato alla paralisi, malgrado i desideri di coloro che vedevano uninsurrezione proletaria dietro langolo. I risultati di questo capitolo e degli ultimi due docu mentano unondata di entusiasmo collettivo, di solidariet e di confronto che crebbe fino a un picco dal 1966 al 1969, ma mo strano anche che questo periodo intenso di mobilitazione giunse ben presto a termine. Chi ricorda il Sessantotto come un periodo di politica di massa creativa, ne trover prove in questi capitoli. 116

Ma chi ricorda che ad esso segu un maremoto rivoluzionario sbaglia, come mostrano i nostri risultati. In assenza di un maremoto rivoluzionario, almeno tre furono gli elementi che contribuirono allestendersi del disordine alla met degli anni Settanta: innanzitutto, vi fu una diffusione della protesta a settori della societ italiana che non avevano parteci pato o avevano partecipato solo in parte allazione collettiva dei primi anni (labbiamo visto nellultimo capitolo nellestendersi della protesta di massa ai ceti medi); in secondo luogo il picco intensivo produsse un certo numero di organizzazioni, gruppi e partiti che potevano riprodursi solo attraverso unazione collet tiva pi radicale: che essi pensassero o meno che la rivoluzione era a portata di mano, non avevano altri incentivi da offrire ai loro seguaci; in terzo luogo, allinterno di questo settore del mo vimento sociale vi era una competizione per il consenso, nella quale i nuovi gruppi minori potevano ottenere spazio solo ricor rendo a forme d azione sempre pi violente. Fu questa spirale di violenza, in presenza di un crescente allontanamento delle masse dallazione collettiva, a portare alla fine il ciclo alla sua conclu sione.

VI

GLI STUDENTI UNIVERSITARI

Largo Gemelli'

di studenti che invitano a un incontro il preside della scuola. 7 marzo 1968. Il preside viene sospeso dal ministro della Pub blica Istruzione perch si rifiuta di chiamare la polizia per sgom berare gli studenti dal liceo. 8 marzo. Un lungo corteo di studenti, sia liceali che universi tari, marcia fino alla sede del Provveditorato agli studi per pro testare contro la sospensione del preside, bloccando la strada di nanzi ad esso. 10-11 marzo. Alla Statale si tiene un raduno per discutere il futuro del movimento studentesco. I leader delloccupazione di Trento (Boato) e Torino (Bobbio e Viale) tengono dei discorsi molto seguiti dal pubblico. 21 marzo. Alla Cattolica, dove c uno stato di agitazione con tinuo sin dalloccupazione dellottobre precedente, comincia una nuova occupazione con lobiettivo di costringere le autorit ac cademiche a negoziare sul tema della partecipazione studentesca. Il giorno seguente, dopo aver respinto un attacco fascista, gli occupanti sbarrano lingresso delluniversit. Il 23 il rettore chia ma la polizia che sgombra luniversit e ne chiude gli ingressi. In
1 Le informazioni relative a questa cronaca provengono da due fonti princi pali: un opuscolo degli studenti del Parini (1968), e il racconto di Grazioli (1979. cap. II).

Milano, 5 m ano 1968. Il liceo Parini occupato da un gruppo

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un assedio simulato gli ex-occupanti prendono possesso di lar go Gemelli. 25 marzo. Anche la Statale sgomberata dalla polizia. Ma gli ex-occupanti organizzano un corteo contro le azioni della polizia e ad essi si aggregano gli studenti liceali e quelli della Bocconi. Forti di oltre 4.000 persone, essi vanno in corteo a unirsi agli studenti della Cattolica accampati in largo Gemelli. Nel corso di un teso confronto tra la polizia occupante e gli studenti asse diami, uno studente sospeso dalla Cattolica, il leader Mario Ca panna, intima alla polizia: Vi d dieci minuti per lasciare ledi ficio (Lumley 1983, p. 190). Qualcuno lancia delle arance marce e la polizia carica i dimostranti arrestandone oltre cinquanta. Gli eventi di largo Gemelli illustrano cinque caratteristichechiave del movimento degli studenti universitari del 1967-68: lacuto istinto politico degli studenti; la precoce collaborazione tra studenti di diverse citt e tra liceali e universitari; lampia gamma di tattiche da essi adottata; la netta rottura con la defe renza verso le autorit che esso rappresent per gli studenti in tutto il paese; e infine quanto fosse facile per pochi provocatori tramutare un movimento di massa in violenza. Insieme, questi cinque fattori liberarono le energie del movimento e attrassero una gran cerchia di studenti fino ad allora non politicizzati; ma portarono anche al rapido declino del movimento nelle univer sit e costrinsero i suoi leader a cercare delle fonti di mobilita zione al di fuori delle scuole. Il movimento studentesco non fu mai totalmente nuovo; emerse da un frazionamento molto pi ampio allinterno della sinistra e tra i giovani cattolici. Se attrasse un seguito, non fu perch era utopistico o violento, ma perch combinava vecchi militanti e nuove leve, solidariet e organizzazione, richieste espressive e strategia politica. Leredit che gli studenti lascia rono ad altri settori e movimenti consist nellaver dimostrato la vulnerabilit del sistema e lintrinseco potere potenziale della zione perturbativa.

1. Utopia e contestazione
Bench la stampa moderata fosse molto lenta nel dar loro pubblicit, il Corriere della Sera rifer di 143 proteste nelle
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universit nel periodo da noi studiato2. Il numero delle lotte uni versitarie riferite nel giornale crebbe rapidamente dopo il 1965: da 8 nel 1966 a 14 nel 1967 e a 51 nel 19683. Dal 1969 in poi vi fu un netto calo delle proteste nelle universit, dal momento che la polizia si fece meno delicata, i militanti spostarono allester no le loro attivit e il centro dattenzione pass alle fabbriche e alle citt. La mobilitazione degli studenti universitari cominci agli inizi del ciclo in pochi centri pi importanti, ebbe un picco nel 1967-68, si diffuse rapidamente ad altre universit e licei e declin prima che entrassero in scena altri soggetti. Il Sessantotto italiano cominci allinterno della sinistra tra dizionale. Nel 1964-65 le prime principali proteste contro la ri forma della scuola furono promosse da studenti universitari as sociati ai principali partiti. Nel 1966 un giovane socialista Paolo Rossi fu ucciso dai fascisti alluniversit di Roma, dan do il via a massicce proteste da parte sia della nuova che della vecchia sinistra. Agli inizi del 1967 la sede delluniversit di Pisa fu occupata da una coalizione nazionale di attivisti studenteschi. A ottobre la Cattolica fu occupata durante una disputa circa le tasse scolastiche (vedi capitolo VIII). E a novembre palazzo Campana, sede delluniversit di Torino, fu investito da unoc cupazione. Il Sessantotto italiano era gi maturo allepoca in cui a Parigi esplose il movimento di Maggio. Esso ebbe inizio intorno a un dibattito politico interno alle istituzioni sulla riforma delluni versit. Le idee del nuovo movimento per una parte discendeva no da questo dibattito, per unaltra erano espressione dellope raismo tradizionale dellestrema sinistra, e per unaltra parte ancora costituivano una nuova e liberatoria accentuazione del tema dellautonomia. Bench gli studenti avessero sia importato che inventato nuove forme radicali dazione, ricorsero anche a forme tradizionali, infondendovi, come vedremo pi avanti, nuovi significati.
2 A meno che non sia altrimenti specificato, gli episodi cui si riferisce questo capitolo furono proteste universitarie incentrate su problemi della scuola. Secondo una cronologia pubblicata nellestate 1968 dalla rivista Tempi moderni tra il novembre e il giugno dellanno accademico 1967-68 cerano stati 102 incidenti diversi in 33 universit o facolt (citato in Avanguardia operaia 1971, p. 89). Secondo i nostri dati il loro numero molto minore, dato che ab biamo unito gli episodi relativi allo stesso tema nella stessa unit di analisi.
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Utopia e politica

Questo non significa dire che il Sessantotto italiano non pro dusse nuove visioni e nessuna forma nuova dazione. Gli elemen ti utopistici espressivi e dimostrativi furono pi preminenti nelle proteste degli universitari che in qualsiasi altro periodo e settore del ciclo. Tuttavia, essi furono elaborati inizialmente intorno a richieste politiche, strumentali e orientate in senso politico, stra tegicamente sfruttate dai leader che avevano fatto il loro appren distato politico nella sinistra tradizionale o nelle organizzazioni giovanili cattoliche. Le richieste politicamente orientate di questo movimento ap parentemente utopistico emergono immediatamente da una suddivisione statistica della struttura delle richieste da esso avanzate elaborata a partire dai dati del Corriere della Sera, nella tab. 9. In questa tabella confrontiamo gli svariati tipi di richieste avan zate dalle proteste universitarie con quelle riscontrate nellintero insieme degli episodi di protesta. La tabella dimostra che in oltre il 60 per cento delle dispute universitarie gli studenti avanzarono richieste sostanziali di nuovi diritti, di benefici o di opposizione a determinate politiche governative. Nel 17 per cento dei casi le proteste erano semplicemente espressive, affermavano lidentit degli studenti, mostravano la loro simpatia per altri, si oppone vano ad altri gruppi o chiedevano il rovesciamento del sistema. Tab. 9 - Proteste degli studenti universitari a confronto con tutti gli episodi
di protesta: tipi di richieste
Studenti universitari % N. 17,3 28,1 18,0 11,5 5,0 0,7 19,5 100,1
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Tipo di richiesta

Tutti gli episodi

%
3,5 42,0 13,3 10,8 25,8 0,9 3,7 100,0

N. 173 2.071 654 529 1.269 46 184 4.926

Proteste sostanziali Per nuovi diritti Per nuovi benefici In sostegno o in opposizione a politiche Proteste espressive Identit o solidariet Opposizione ad altri Rovesciare il sistema Tipi misti (sostanziali ed espressive) Totale

24 39 25 16 7 1 27 139

Ma la tab. 9 mostra anche che gli studenti universitari erano soggetti particolari, e in un triplice senso. Innanzitutto nella misura in cui chiedevano nuovi diritti di partecipazione. Il tema alla base della maggior parte di queste proteste era la nuova struttura interpretativa dellautonomia, tal volta espressa sotto forma di lotta contro lautoritarismo acca demico e talaltra estesa a una richiesta di programmi gestiti dagli studenti, nei quali i professori sarebbero stati poco pi che dei consulenti (Grazioli 1979, pp. 30-35 e 186-91). Gli studenti vo levano il diritto di tenere assemblee, di influenzare i programmi e le procedure di insegnamento e in alcuni casi di riorganizzare luniversit. Volevano poter pubblicare liberamente, criticare i professori dentro e fuori laula e dare esami quando volevano. In secondo luogo, gli studenti erano pi interessati ai temi di politica generale (e meno alle richieste puramente corporative) rispetto alla maggior parte degli altri attori sociali. Avanzarono le loro richieste politiche o cercarono di bloccare alcune azioni governative che disapprovavano. Questo interesse per la politica era evidente soprattutto nellarea della riforma universitaria, ma gli studenti manifestarono anche contro la guerra in Vietnam, in favore della riforma pensionistica e contro certi leader politici. Le loro proposte politiche erano radicali e talvolta portate avanti in uno spirito di festa, ma niente smentisce in modo cos netto limmagine indifferenziata degli studenti come degli utopisti, pi della loro attenzione per i temi politici. In terzo luogo, malgrado limmagine violenta che degli stu denti universitari diede la stampa borghese, e malgrado la loro retorica, il movimento fu prevalentemente non violento fintan toch rimase allinterno delle mura delluniversit. Anche un giornale moderato come il Corriere della Sera mostra come gli attacchi agli altri fossero meno tipici nelle universit che nel ciclo di protesta nel suo complesso. Quando la violenza si manifest, accadde molto pi spesso in grandi gruppi e tra gruppi di studenti opposti, o in scontri con la polizia, che non contro obiettivi o autorit pubbliche. Ma se gli studenti universitari cercarono di estendere i diritti e di accelerare il cambiamento politico, il loro movimento era lontano dagli schemi convenzionali. Essi avanzarono le loro ri chieste in modo sia aggressivo che spettacolare; le loro proposte politiche erano radicali e la loro opposizione alle proposte di ri forme del governo, totale. Inoltre, come illustra la riga finale del la tab. 9, al pari che nellimmagine di Zolberg del momento di follia, le richieste sostanziali erano spesso combinate a richieste
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espressive. In realt, gli studenti universitari fecero crollare il muro tra lo strumentale e lespressivo molto pi degli altri attori sociali (Zolberg 1972, p. 183). Ma bench i loro detrattori li qualificassero come utopisti, i dati giornalistici suggeriscono che anche le loro idee pi utopi stiche avevano una base strategica e culturale. Questo vale anche per le loro due idee pi utopistiche: il concetto degli studenti come operai e quello di autonomia.
Gli studenti come operai

Si gi scritto tanto sulloperaismo del movimento studen tesco che qui sufficiente un breve sommario4. Il tema compare per la prima volta in un documento delloccupazione della facolt di Sociologia di Trento nel 1966. Nel 1968 i trentini stavano teorizzando che una laurea un bene prodotto dalluniversit: lo studente cos come loperaio deve esigere il proprio diritto di riappropriarsi di se stesso, decidendo quale sar la sua formazio ne e [.. .] come sar accresciuto il suo valore di scambio (Grazioli 1979, p. 24). Malgrado la fragilit dellanalisi marxista nel documento di Trento e in altri documenti, questi non possono essere liquidati come prodotti di mera ideologia, perch ebbero un ampio seguito presso gli studenti universitari. Erano stati elaborati nel corso di occupazioni spettacolari che attrassero migliaia di studenti, si diffusero da una citt allaltra, dalle universit ai licei ed ebbero pubblicit nazionale. La sequenza pi importante di episodi si verific a Pisa nel febbraio del 1967, e illustra molto bene le funzioni strategiche del concetto.
L'occupazione della Sapienza

Agli inizi del 1967 la sinistra universitaria era impegnata in tutto il paese in una serie di occupazioni ispirate sia da temi locali sia dallopposizione al programma governativo di riforma uni versitaria. In citt diverse quali Pisa, Cagliari, Firenze, Bologna,
4 Oltre ai ricordi di ex-militanti quali Boato (1979), Bobbio (1979) e Viale (1978), le raccolte dei documenti prodotti dal movimento (Movimento studen tesco 1968; AA.VV. 1968) due studi empirici approfonditi sono quelli di Gra zioli (1979) e Lumley (1983).

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Roma, Torino e Camerino i gruppi studenteschi alla sinistra del Pei occuparono le facolt universitarie (Carpi e Luperini 1966, p. 66). In febbraio, per pubblicizzare la loro opposizione al proget to di riforma governativo, una coalizione di questi gruppi indisse un incontro di rappresentanti studenteschi di tutte le facolt oc cupate da tenersi a Bologna. Arrivando a Bologna, essi appresero che un gruppo nazionale di rettori di universit stava program mando di incontrarsi a Pisa per discutere il piano Gui, e decisero allunanimit di trasferire anche il loro raduno a Pisa dove per alcuni giorni le facolt di Fisica, Chimica, Lettere e Filosofia erano state occupate da studenti pisani (Carpi e Luperini 1966, p. 67). Loccupazione della Sapienza del febbraio 1967 fu dunque non una spontanea protesta locale contro unamministrazione universitaria autocratica, ma una calcolata mossa politica da par te di una coalizione nazionale di leader studenteschi che cerca vano di richiamare lattenzione dei media sulla loro opposizione al piano Gui. A unirli era sia il desiderio di partecipare al dibat tito politico nazionale sia il loro antagonismo verso il tiepido ri formismo delle associazioni studentesche tradizionali legate ai partiti. Lopposizione del gruppo della Sapienza alle organizzazioni studentesche tradizionali assunse la forma, tipica di un movi mento sociale, di un attacco alla loro mancanza di democrazia interna. LU gi, lIntesa e gli altri furono condannati come to talmente privi di reale controllo democratico da parte della base (Carpi e Luperini 1966, p. 66). Gli occupanti proposero una for mula decisionale alternativa: gli studenti sarebbero stati rappre sentati da autonomi rappresentanti democratici di tipo sinda cale, direttamente eletti in assemblee della facolt (Carpi e Luperini 1966, p. 66), e sarebbero stati controllati in modo de mocratico dalla base. Quella che sarebbe divenuta una teoria ge nerale dellautonomia e della democrazia decentralizzata (e che alcuni avrebbero preso per utopia) ebbe origine nei tentativi di questi leader studenteschi di minare le organizzazioni di massa gestite dai partiti. La cosa che veramente cattur limmaginazione degli studen ti nelloccupazione della Sapienza fu il fatto che le loro richieste specifiche fossero inserite in una struttura interpretativa nuova e pi radicale: il concetto di studente come operaio. Ma mentre il movimento a Trento non era andato oltre il concepire luniver sit come un meccanismo di produzione, gli occupanti della Sa pienza portarono la metafora delluniversit come fabbrica fino
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alla sua conclusione logica, definendo gli studenti come una for za-lavoro nel processo di addestramento e come figure sociali su bordinate (Grazioli 1979, pp. 9 e 11), e chiedendo che venissero pagati per il loro lavoro produttivo. Fu negli accesi dibattiti delle assemblee alla Sapienza occu pata che ebbero luogo quelle discussioni cruciali che portarono al documento pi tardi divenuto noto come le tesi della Sa pienza5. Sotto la bandiera dellutopia prese forma una strategia politica concreta in tre direzioni: richiamare lattenzione dei me dia sulla Sapienza e contro la legge di riforma occupando la sede in cui doveva tenersi il raduno nazionale dei rettori; fustigare le associazioni studentesche tradizionali per la loro abietta dipen denza dai partiti politici; fare appello agli interessi concreti degli studenti proponendo che venisse loro pagato un salario. Il vantaggio strategico degli occupanti divenne chiaro quan do le associazioni studentesche tradizionali iniziarono a prendere posizione nei loro confronti. La loro prima risposta fu di con danna quale violenta azione delle minoranze, e di appello a una controprotesta legale. Ma i loro sforzi si rivolsero contro di essi: bench fosse stata indetta dallIntesa e dai moderati, la contro protesta venne immediatamente fatta propria dai fascisti, che cercarono di sfondare le porte della Sapienza dinanzi ad un nu mero impressionante di poliziotti (Carpi e Luperini 1966, p. 67). Questo esito imbarazzante divise le associazioni studentesche, dato che i liberali e i socialdemocratici chiedevano un intervento della polizia, IU gi sosteneva loccupazione e lIntesa cercava di mediare tra rettore e occupanti. Il tutto and a vantaggio degli occupanti, perch l dove cerano dei fascisti doveva esserci un fronte antifascista. Leffetto perturbativo delloccupazione si accrebbe quando, li l febbraio, la polizia, per ordine del rettore, invase la Sapien za per sgomberare gli occupanti (Carpi e Luperini 1966, p. 69). Questa era un 'escalation inaspettata del livello del conflitto, e port altri studenti pisani, alcuni assistenti e persino dei profes sori a unirsi agli occupanti della Sapienza. Rinvigoriti da questi rinforzi, questi ultimi organizzarono un pubblico incontro di fronte alla Normale, bloccarono il traffico e comparvero sulla rete televisiva nazionale (Carpi e Luperini 1966, p. 69). Questo
5 La prima versione fu pubblicata in Il Mulino 1967. Altre versioni appar vero in Cazzaniga 1967, Movimento studentesco 1968 e AA.VV. 1968.

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gruppo allargato si ritir poi nella facolt di Lettere per finire di redigere le tesi. La presenza di una maggioranza di pisani alPinterno del grup po allargato della Sapienza fece s che lidea operaista di un grup po locale, Potere operaio toscano, avesse preminenza nella forma finale delle tesi6. Questo gruppo era stato costituito da alcuni ex normalisti, capeggiato da Adriano Sofri, assurto per la prima vol ta allattenzione locale quando aveva messo in imbarazzo To gliatti in un discorso alla Normale. Cercate voi di fare la rivo luzione!, aveva ironizzato Togliatti; Lo far, aveva ribattuto Sofri7. Le sue esperienze nellorganizzazione degli operai lungo il litorale toscano sembra non siano state sufficienti a permettere che Potere operaio approfittasse del neonato movimento studen tesco (Luperini 1969). Ma, in realt, fu esattamente questo re troterra a conferire al gruppo la sua attrattiva per gli studenti e la sua capacit di sfruttare sia le divisioni tra le associazioni stu dentesche sia gli errori delle autorit. Questultima cosa fu immediatamente evidente quando il rettore, avvalendosi di una legge fascista ancora in vigore, sospe se gli studenti pisani, ammonendo che qualsiasi interruzione del le attivit universitarie sarebbe stata presa molto sul serio (Carpi e Luperini 1966, p. 70). Il tema alquanto astratto della tesi pass ora in secondo piano, e il gruppo della Sapienza rispose alla minaccia pi immediata di sospensione, sdegnato che il rettore avesse invocato una legge fascista. Mostrando una saggezza po litica molto superiore a quella dei loro oppositori adulti, i leader del movimento formarono rapidamente un fronte comune coi cattolici e i socialisti, e un certo numero di facolt venne rioc cupato in nome del nuovo tema del diritto allespressione (Carpi e Luperini 1966, p. 69). La simpatia per gli occupanti, accresciuta dalliniziativa re pressiva del rettore, distrusse ci che rimaneva della reputazione delle associazioni studentesche tradizionali. Il 17 marzo esse cerj\

6 Non possiamo sapere quanti dei partecipanti della seconda fase delloccu pazione fossero pisani e quanti provenissero da altre universit occupate. Le prin cipali fonti (Carpi e Luperini 1966; Cazzaniga 1967) sono pisane. Linfluenza di Cazzaniga, pisano e membro di Potere operaio, sulle idee contenute nelle tesi mostra che il gruppo ebbe un ruolo predominante nelloccupazione. 7 Sofri, che ammette che a quellepoca non aveva idea di cosa fosse una ri voluzione, fu contentissimo del fatto che la sua notoriet politica fosse nata da una sfida al leader nazionale del Pei (colloquio personale con lautore, Firenze, 19 marzo 1987).

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carono di indire una manifestazione legale in piazza del Duomo. Da qui intendevano guidare i loro seguaci al rettorato per pro testare contro le sospensioni. Dapprima furono contenti di tro varsi uniti a un gran numero di ex-occupanti. Ma il resoconto dellepisodio da parte di Carpi e Luperini (1966, p. 71) chiarisce che le intenzioni degli ex-occupanti erano alquanto diverse: nel momento in cui il corteo si muove verso il rettorato gli studenti che hanno partecipato alloccupazione lo guidano verso il centro della citt, abbandonando i leader cattolici e socialisti e bloccan do il traffico, con lintenzione di render chiaro allopinione pub blica il profondo impegno del movimento alla lotta. Era stata unispirazione spontanea a portare questi ex-oc cupanti a unirsi a una manifestazione promossa dai moderati solo per separarsene col grosso dei partecipanti e marciare verso il centro con lobiettivo di bloccare il traffico? Non proprio. Con cluso il corteo e sfuggiti alla polizia, gli ex-occupanti e i loro nuovi seguaci si raggrupparono in piazza Garibaldi, dove vota rono di tornare alla Sapienza. Quando il rettore chiuse ledificio prima che essi potessero entrarvi, furono circondati da un fitto cordone di polizia e mostrarono la loro maturit rifiutando di farsi provocare a uno scontro violento (Carpi e Luperini 1966, p. 71). Lintero episodio rivela un tempismo politico, uno sfrutta mento delle opportunit politiche e una scelta degli obiettivi e delle tattiche che mai avrebbero potuto essere frutto di sponta neit o di utopismo. Quando la F g c i, che dopo il crollo dellUGi era divenuta il portavoce ufficiale degli studenti comunisti, ac cus gli occupanti di aver rotto lunit del movimento studen tesco (Carpi e Luperini 1966, p. 73), questo altro non era che un riconoscimento delle loro intenzioni e del loro successo8. Lutopismo delloccupazione della Sapienza non fu altro che un ampliamento della struttura interpretativa tradizionale delloperaismo a una sede nuova, e nellambito di opportunit politiche pi ampie. Loccupazione utilizz tattiche perturbative per sfidare le autorit, per sfruttare la divisione tra le associa zioni esistenti e per attirare lattenzione dei media. Questo port nel movimento una nuova leva di studenti prima non politiciz zati e trasform la tattica tradizionale delloccupazione da stru mento di politica a strumento per la creazione di nuovi spazi
8 Per quanto riguarda i partiti della sinistra, mentre il P siup sosteneva loc cupazione, il Pei emise una nota di condanna degli studenti, pubblicata a livello nazionale (lUnit, 12 febbraio 1967).

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nelluniversit. Loperaismo non fu un manifesto per lutopia, fu un progetto di rivolta politica contro la sinistra tradizionale. L 'autonomia Pi duratura delloperaismo del movimento degli studenti fu la sua accentuazione sul tema dellautonomia. Essa inizi tra gli studenti politicizzati con la richiesta di autonomia dai partiti del le loro associazioni studentesche, si ampli nel concetto del di ritto degli studenti a prendere decisioni sui programmi e su altri aspetti dellistruzione; sulla liberazione sessuale, la critica della scienza, della tecnologia e dellarte borghesi; nella richiesta di democrazia diretta e di antiautoritarismo e nel rifiuto di obbe dire. Queste cose erano assolutamente estranee alle subculture, sia comunista sia cattolica, dalle quali provenivano i leader stu denteschi. Erano il risultato sia del rifiuto da parte dei leader del controllo del partito, sia dellinfusione nel movimento di una ba se di massa. Infatti tra lautunno del 1967 e la primavera del 1968 ci fu una importante crescita nella dimensione e nella portata del mo vimento. Gli ex-leader studenteschi testimoniano che questo inaspettato salto quantitativo port alla formulazione di nuovi temi interpretativi, alla formazione di una nuova identit collet tiva e a una fusione tra gruppi di diversa derivazione ideologica. Se gli aridi dati dellanalisi dei giornali non rispecchiano questo cambiamento qualitativo, mostrano per lampliamento quanti tativo delle proteste e delle nuove organizzazioni che, come ve dremo pi oltre, furono il suo prodotto.
Forme d'azione

Losservazione che i movimenti sociali creano nuove forme di azione e infondono nuovo significato in quelle vecchie par ticolarmente vera nel caso degli studenti universitari. Essi orga nizzarono occupazioni che durarono settimane, utilizzarono una retorica violenta creando allo stesso tempo unatmosfera carne valesca; si scontrarono fisicamente con gli oppositori e la polizia, ma raramente fecero ricorso ^lla violenza deliberata e ben presto aderirono a una forma dazione che divenne unespressione isti tuzionalizzata e anche ritualizzata della loro autonomia: loccu pazione.
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Fin dagli inizi, una grande maggioranza delle loro proteste si incentr attorno alle azioni perturbative: occupazioni, blocchi e irruzioni negli edifici universitari. Nella tab. 10 confrontiamo limpiego delle azioni convenzionali, perturbative e violente da parte degli studenti nelle universit con la percentuale di questo tipo di azioni negli episodi di protesta nel loro complesso. La frequenza con cui gli studenti universitari utilizzarono delle for me perturbative doppia di quella degli altri attori sociali. Solo nella prima met del 1968, delle 29 proteste universitarie su cui abbiamo informazioni dettagliate, le forme dazione perturbati ve assommarono al 90 per cento dei casi.
Tab. 10 - Forme di azione convenzionali, perturbative e violente come percentuale del totale delle forme di protesta: proteste universitarie e totale degli episodi di protesta
Studenti universitari % N. 40,7 356 37,4 133 66 18,5 12 3,4 100,0 356 Totale episodi N. 63,0 6.745 1.698 15,9 19,4 2.075 186 1,7 10.704 100,0

Convenzionali Perturbative Violente Altre Totale

Loccupazione era una forma a cui si ricorreva sin dalla Liberazione, ma nelle mani di questo nuovo movimento raramente si limit a un singolo evento isolato. Le occupazioni divennero la base di altre azioni nelle quali regnava la solidariet, si allenta vano i vincoli sociali e si svolgevano attivit organizzative. Squa dre di studenti entusiasti scrivevano bollettini e producevano manifesti; si organizzavano corsi e dibattiti; gli attivisti forma vano nuove reti che tagliavano trasversalmente le linee politiche precedentemente stabilite. Le occupazioni furono dei crogiuoli di liberazione di nuova energia e la costituzione di nuove reti sociali9.

9 Come scrive Lumley (1983, p. 164), a proposito delle importanti occupa zioni delle facolt di Architettura nel 1967: Era stato creato un ambiente fun zionale alla vita collettiva, al dibattito e al lavoro in comune; tutte le decisioni principali erano prese da assemblee generali [...] erano state istituite delle com missioni per esaminare i problemi politici ed educativi.

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I documenti prodotti da queste occupazioni sono stati derisi, perch considerati utopistici, ma anchessi dimostrano le capa cit politiche degli studenti. Essi miravano sia a esprimere gli obiettivi del movimento sia a nascondere le divergenze tra grup pi di diversa derivazione ideologica. Persino gli attivisti liceali sapevano mostrare un acuto senso della mediazione politica10. Gli attivisti studenteschi avevano imparato a usare un linguaggio utopistico per ottenere il consenso ed elaborare un simbolismo che tenesse unito il movimento, fustigasse i suoi nemici e facesse appello a nuovi sostenitori: altro che utopia!
Palazzo Campana e dopo

La principale innovazione nellimpiego delloccupazione ven ne dalluniversit di Torino nel novembre 1967. Per tutto un mese loccupazione di palazzo Campana sfid la struttura auto ritaria delleducazione superiore e lanci una serie di attivit che fecero di Torino un punto di attrazione principale per gli stu denti radicali provenienti da altre universit (Grazioli 1979, pp. 27-29), un fattore cruciale quando, dopo il calo del movimento universitario del 1969, iniziarono le vertenze per il contratto alla F iat (vedi capitolo X). Le occupazioni delle facolt di Architettura di Milano, To rino e Venezia che si verificarono poco dopo dettero ulte riore slancio allimpiego delloccupazione. Le prime occupazioni ad Architettura risalivano al 1963, quando il nuovo governo di centro-sinistra aveva posto sul tappeto il problema della pianifi cazione urbana. Ma gli studenti di Architettura usavano loccu pazione non solo quale strumento politico, ma sempre pi per la conquista di spazio strutturale allinterno del quale lavorare per la creazione di una nuova pedagogia (Grazioli 1979, p. 38). A Torino essi riuscirono a ottenere delle concessioni dalle autorit accademiche, che riconobbero loro persino il diritto di assemblea (Grazioli 1979, p. 41). II successo delle occupazioni torinesi non pass inosservato agli altri studenti. Dapprima in altre facolt d Torino e poi in altre citt, gli studenti formarono gruppi di studio, organizzaro
10 Persino gli studenti che occupavano il liceo Parini, mostrando un acuto senso della politica delle alleanze, dedicarono parte delle loro delibere alla po sizione subalterna dei loro insegnanti nella istituzione educativa (cfr. Studenti del Parini 1968, pp. 37-40).

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no contro-corsi e tracciarono piani di riforma educativa. La tat tica si tramut in qualcosa che assomigliava a unassemblea per manente. Allepoca in,cui si era diffusa a Milano essa aveva il proprio rituale e la propria cultura11. Ma loccupazione era solo lossatura intorno alla quale gli stu denti disposero un pi ampio repertorio tattico che comprendeva forme pubbliche quali cortei, raduni e altre forme di confronto, come il blocco del traffico e loccupazione delle aule scolastiche, dei grandi magazzini e delle mostre darte, nonch forme pi convenzionali come petizioni, udienze e assemblee. Essi impara rono a combinare tattiche vecchie e nuove in una stupefacente variet di forme dazione che mantenne in allarme le autorit e la polizia12. Bench la tab. 10 indichi il netto predominio delle for me perturbative rispetto alle altre, gli studenti usarono anche i cortei e i raduni pubblici nel 13 per cento degli episodi di pro testa, e le assemblee organizzate nel 21 per cento dei casi. Il livello della versatilit tattica tra gli studenti universitari era pi elevato di quello riscontrato in tutti gli altri settori. Come le innovazioni tattiche che vennero elaborate nel corso del mo vimento americano per i diritti civili (Me Adam 1983), la loro versatilit tattica mise in difficolt le autorit e ottenne dai me dia attenzione e nuovi sostenitori. Ci contribu ad attrarre lat tenzione degli studenti moderati, degli assistenti e anche di qual che professore, e mantenne vivo limpegno e lentusiasmo tra gli aderenti. Mise anche in luce lincapacit delle organizzazioni stu dentesche tradizionali e dei partiti di sinistra di organizzare at tivit altrettanto audaci, e anche questo era lungi dallessere ca suale. Le proteste furono la principale risorsa del movimento e i suoi leader le utilizzarono con capacit e flessibilit. La fig. 10 mostra come il numero delle forme tattiche dazione crebbe ra pidamente tra gli studenti nel 1967-69, e che fu pi elevato di quello degli altri settori di protesta sia prima che dopo.
11 Scrive Lumley (1983, p. 208): Tutta la zona intorno alluniversit era trasformata dalla presenza del movimento degli studenti. Cera unatmosfera di attesa. Le notizie riguardanti il movimento viaggiavano sul tam-tam delle reti degli attivisti [...] Cera la sensazione che essere alla Statale significava essere al centro dellazione, anche quando laria non era solcata dai lacrimogeni e dallurlo delle sirene. 12 Per esempio, il blocco della linea ferroviaria a Pisa nel maggio 1968 sotto la leadership di Potere operaio toscano ebbe lonore dei titoli sui giornali nazio nali come si proponeva di fare ma fu il culmine di una serie di eventi pubblici e di scontri pi convenzionali che erano iniziati con gli interventi della polizia nella ben organizzata campagna di occupazioni alluniversit e nei licei.

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Numero medio

x Totale degli episodi Proteste degli universitari

Semestre

Fig. 10 - Numero medio di forme d'azione per episodio: studenti universi tari e totale degli episodi per semestre, 1966-73

2. Le opportunit politiche e le eresie marxiste13


Attraverso le sue richieste politiche e le forme dazione che elabor, il movimento degli studenti universitari gener tra il 1967 e il 1969 un momento di elevata tensione e creativit che innesc un ciclo di proteste in molti altri settori della societ italiana. Ma le richieste e le azioni degli studenti non nascevano dal nulla; erano lesito di un movimento pi duraturo e diffuso che era nato nelle due principali subculture politiche del paese agli inizi degli anni Sessanta e si era sviluppato dai loro conflitti interni e dai loro interessi politici.
Opportunit politiche

Nel capitolo II abbiamo visto quanto fosse divenuto acceso agli inizi degli anni Sessanta il dibattito interno alla classe poli tica. Queste opportunit non furono immediatamente manife ste, dato che i socialisti fecero una concessione dopo laltra per assicurarsi laccesso alla cosiddetta stanza dei bottoni (Ginsborg 1989, cap. Vili). Le occasioni di dissenso cominciarono ad apparire solo quando le divergenze politiche divisero i partiti of'5 Limportanza delle eresie comuniste nella nascita del nuovo movimento studentesco stata segnalata da Lumley (1983).

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frendo ai gruppi di opposizione lo spazio per inserirsi nel dibat tito politico, e indicando agli outsiders che larena politica non era pi un ambito chiuso. La pi importante divergenza politica riguard i programmi governativi di riforma della scuola.
La legge Gui

La riforma della scuola era in realt una serie di progetti di riforma e di legge diversi, ed era stata oggetto di intenso dibat tito fra gli universitari, i pubblicisti e i partiti politici sin dalla fine degli anni Cinquanta14. Fu il Psi per primo a richiedere la riforma della scuola come una delle condizioni per entrare nel centro-sinistra, e questo nel 1962 stimol un progetto di legge in cui lobiettivo era creare un sistema educativo onnicomprensivo (Ruffolo 1975, p. 83). Ma questo fece poco per affrontare la cre scente richiesta di istruzione; il numero degli studenti iscritti sal da 1,1 milioni nel 1959 a quasi 2 milioni dieci anni dopo (Balbo e Chiaretti 1973, p. 49). Alla met degli anni Sessanta il dibat tito si incentrava intorno alla cosiddetta riforma Gui, che prendeva il nome dallallora ministro democristiano della Pub blica Istruzione. Il problema della riforma della scuola diede vita ad una delle pi difficili controversie della storia politica dellItalia postbel lica, ma non prevalentemente a causa del movimento degli stu denti. Essa infatti divise i partiti, le associazioni, i professori, gli assistenti e i genitori, oltrech allontanare gli studenti della nuo va sinistra dalle associazioni studentesche tradizionali. Questi studenti non erano che il settore pi avanzato in quel turbino politico nato dai problemi derivanti dalla rapida trasfor mazione dellItalia in democrazia capitalista matura. Se gli stu denti ebbero un impatto, fu perch le loro proteste misero in luce ed acuirono delle fratture di base esistenti nella classe politica. Le associazioni studentesche tradizionali legate ai princi pali partiti ed esse stesse divise dallesperimento di centrosinistra15 entrarono nel dibattito per prime ma furono inca paci di sfruttare la congiuntura politica. In realt esse rivelarono
14 II gruppo del Mulino di Bologna fu particolarmente influente nellesame del problema della riforma della scuola. Col sostegno della Fondazione Ford ave va organizzato, a partire dagli anni Cinquanta, una serie di convegni su questo tema. 15 La sintesi migliore degli effetti del governo di centro-sinistra sulle asso ciazioni studentesche ufficiali quella di Luciano Pero (1967).

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ben presto la loro dipendenza dal sistema dei partiti e la disputa infranse quel fronte comune che esse avevano mantenuto dal 1964 (Pero 1967; Boato 1979, pp. 117-26). Il nuovo movimento studentesco nacque dalle agitazioni or ganizzate da queste organizzazioni e dalle lotte di corrente al loro interno. Per esempio, la creazione di un sindacato studentesco nazionale unico una delle richieste principali del futuro mo vimento studentesco venne proposta per prima allinterno dellUGi, dove si inquadrava perfettamente con la linea politica nazionale di unit democratica portata avanti dal Pei. I futuri oppositori dei partiti e delle organizzazioni di massa tradizionali nacquero allinterno di esse, in dibattiti politici posti sul tappeto dal governo di centro-sinistra. Queste origini del nuovo movimento studentesco emergono con evidenza quando confrontiamo la partecipazione dei partiti politici, delle loro organizzazioni di massa e dei nuovi movimenti nelle azioni collettive riferite dal Corriere della Sera per i primi tre anni del nostro periodo. Nella fig. 11 riportato il'numero di episodi dagli inizi del 1966 alla fine del 1968 ai quali partecipa rono i partiti e le loro organizzazioni di massa nonch le nuove organizzazioni del movimento. Il grafico dimostra che le nuove organizzazioni apparvero nei resoconti giornalistici delle prote ste solo dopo i partiti e le organizzazioni di massa, e iniziarono a essere preminenti solo nel 1968, quando i temi principali del mo vimento studentesco lautonomia, la riforma delluniversit, la guerra del Vietnam erano gi sul tappeto. Lampliarsi della sinistra extraparlamentare sarebbe dunque un prodotto del mo vimento degli studenti, e non la sua causa.
Numero Partiti politici

1966

1967
Trimestre

1968

Fig. 11 - Partiti politici, organizzazioni di massa dei partiti e nuove orga


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nizzazioni di movimento: partecipazione agli episodi di protesta per tri mestre, 1966-68

Le eresie comunista e cattolica

Ancor prima che la coalizione di centro-sinistra dividesse i due principali partiti della sinistra, stava crescendo uninsoddi sfazione tra gli studenti, gli operai e i giovani laureati di sinistra nel momento in cui lopposizione del principale partito della si nistra sembrava scivolare verso posizioni riformiste. Il loro scon tento poteva essere visto nella comparsa e nel seguito di un certo numero di riviste e giornali ideologici nuovi, nel momento in cui per la prima volta gli studenti e gli operai divenivano consuma tori in grado di acquistare cultura e di trasmetterla ad altri (Lumley 1983). Tra le nuove riviste le pi importanti erano quelle dellestre ma sinistra che attaccavano il Pei, il Psi e la C gil chiedendo che tornassero agli originari principi della lotta di classe (Bechelloni 1973; Lumley 1983). Riviste quali Quaderni rossi, Quaderni piacentini e Classe operaia rappresentavano gruppi che vole vano riportare in vita la vecchia teoria della centralit operaia che il Partito comunista era incline ad abbandonare nel momento in cui vedeva il suo futuro politico nei ceti medi produttivi. La teoria della centralit della classe operaia era un punto di raccolta strategico naturale contro un partito degli operai che sembrava averlo abbandonato. Di queste tre riviste, lespressione pi pura della centralit della classe operaia era Classe operaia, che era nata da una critica operaista di Quaderni rossi16. Il dissenso riemerse non solo nella sinistra laica, ma anche intorno alla Chiesa cattolica, in particolare dopo che il Concilio Vaticano II ebbe ridefinito la Chiesa come popolo di Dio (Pero 1967, p. 59). Attraverso riviste quali Testimonianze a Firenze e Questitalia nel Veneto, i giovani cattolici stavano comincian do a dibattere il significato del pontificato di Giovanni XXIII e a formare unampia rete di gruppi spontanei. Le vecchie orga nizzazioni dellAzione cattolica che avevano costituito il nerbo organizzativo della De negli anni Cinquanta stavano crollando, mentre nascevano organizzazioni pi progressiste e forme meno ermetiche di organizzazione politica. Per esempio molti degli at tivisti della Cattolica nel 1967 provenivano da Giovent studen16 Diversi esponenti del gruppo originario di Classe operaia (tra i quali Ma rio Tronti e Alberto Asor Rosa) tornarono al Pei, mentre almeno uno, Toni Ne;ri, si dedic ad attivit pi estremiste. Per dei commenti su questi gruppi e sulla f oro importanza per il futuro della nuova sinistra vedi la buona ricostruzione di Bechelloni (1973).

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tesca, unorganizzazione studentesca cattolica. La disintegrazio ne della vecchia subcultura cattolica si tradusse anche in divisio ni tra moderati e radicali in seno alla cattolica Intesa universita ria nella quale il vecchio integralismo cattolico era attaccato dalla nuova idea di un impegno culturale e civile autonomo, auto nomo dal controllo dalla Chiesa (Pero 1967, p. 59)17.
La nuova sinistra nei vecchi partiti

Ma la nuova sinistra non era composta solo di nuovi gruppi e riviste nati al di fuori dei vecchi partiti e sindacati istituzionali; anche allinterno di questi ultimi stavano avvenendo dei passaggi di corrente e si stavano formando dei gruppi nuovi. Il primo ca so, e probabilmente il pi importante, fu la nascita del P siup a partire dallala sinistra del Psi, dopo che nel 1963 la maggioranza aveva deciso di entrare nel governo. Dato che traevano i propri membri dai quadri pi radicali del Psi, i socialproletari cerca rono naturalmente di occupare lo spazio politico alla sinistra del Psi; ma legemonia dei comunisti li port ad assumere una posi zione alla sinistra stessa di questultimo partito. Quando ancora nemmeno si parlava di una nuova sinistra extraparlamentare, il P siup aveva esteso i confini della sinistra parlamentare a nuovi temi e forme dazione. Il nuovo partito divenne naturalmente attivo nelle citt e nel le universit nelle quali il Pei era pi forte dato che era l che il P si aveva le sue maggiori roccaforti di sinistra in competi zione coi comunisti nella ricerca di sostegno tra i nuovi gruppi che si formavano alla sinistra del sistema dei partiti. Non fu inu suale che si tenessero manifestazioni congiunte organizzate dai socialproletari e dai maoisti (Pero 1967, p. 64) o che gli appar tenenti al P siup militassero allinterno dei gruppi extraparlamen tari (Luperini 1966, p. 107). Per molti giovani intellettuali il Psiup era un ponte tra larena politica istituzionale e i nuovi movimenti18.
17 Fu una pubblicazione studentesca a fornire lo spunto di uno dei primi in cidenti di protesta nei licei. Nel 1966 alcuni attivisti del liceo Parini pubblica rono un articolo sugli atteggiamenti studenteschi verso il sesso nel loro giornale La Zanzara (Corriere della Sera, 23 marzo 1966). Lepisodio divenne un caso politico che divise gli studenti, i genitori e Vestablishment scolastico della citt, e politicizz molti di coloro che negli anni successivi sarebbero divenuti degli at tivisti universitari (cfr. Nozzoli e Paoletti 1966). 18 Per esempio molti attivisti del movimento studentesco torinese comincia rono col militare nel Psiup.

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Delle correnti dissenzienti nacquero anche nel Pei. Un im portante gruppo di questo genere fu quello che si costitu intorno a Lucio Magri, Luigi Pintor e Rossana Rossanda, leader del fu turo gruppo del Manifesto che pi tardi sarebbero stati radiati dal partito. Ma cera anche chi simpatizzava in modo pi tran quillo con la turbolenza che stava nascendo alla sinistra del par tito, e altri che cooperavano con lemergente nuova sinistra uni versitaria, sia nel Pei che nei sindacati. Non un caso che queste nuove correnti cominciassero a na scere proprio nel momento in cui nel sistema dei partiti comin ciava il riallineamento pi delicato a partire dal 1947. Pi sor prendente, in un paese che gli osservatori consideravano ancora diviso in culture politiche totalmente impermeabili luna allal tra, fu il fatto che molti cominciassero ad attraversare il muro, una volta invalicabile, tra le subculture marxista e cattolica. Questo nuovo ecumenismo emerse nelle riviste della sinistra, sia secolare che cattolica. Quaderni rossi, bench fondato dal dis sidente socialista Renato Panzieri, si guadagn il sostegno anche dei socialisti torinesi e romani (Magna 1978, p. 315). Sindacalisti quali Sergio Garavini, che pi tardi avrebbe svolto un ruolo im portante nel consolidare i Consigli di fabbrica, furono attratti dallinsegnamento di Panzieri non meno di extraparlamentari di sinistra quali Adriano Sofri e di comunisti quali Aris Accornero. Lo stesso processo si stava verificando nella Chiesa cattolica, in particolare dopo che Giovanni XXIII ebbe sconvolto il mon do cattolico con il Concilio Vaticano II. Nel Veneto Questitalia segu con simpatia lo sviluppo dei movimenti studenteschi e operai, mentre in Toscana Testimonianze era in contatto con i marxisti fiorentini e predicava una teologia delle realt terre ne (Pero 1967, p. 59). Il movimento universitario fu il crogiolo nel quale vennero a cadere le barriere tra cattolici, comunisti di sinistra ed ex-comu nisti e sinistra indipendente. Per esempio, bench il centro-sinistra fosse stato creato per isolare il Pei, fu attraverso i contatti con IU gi che un certo numero di giovani cattolici dellIntesa passarono a posizioni di sinistra. Una figura emblematica fu quel la di Marco Boato, che apparteneva allIntesa, collabor con le A cli e fece parte del comitato di redazione di Questitalia. In quanto studente di Trento divenne un leader delle occupazioni studentesche e poi di Lotta continua. Questi sviluppi portarono a divisioni nelle principali organiz zazioni giovanili dei partiti. La F gci fu in dissenso pi o meno aperto contro il Pei fin dagli inizi degli anni Sessanta. Nelle uni
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versit sia PU gi che PIntesa furono ben presto colpite da con flitti che trasformarono i dibattiti dellUNURi in appassionati di battiti ideologici (Pero 1967, pp. 63-66). Q uesti conflitti furono esacerbati dai nuovi appartenenti alla sinistra per esempio dai militanti del P siup nellUGi che cercarono di radicalizzare la politica di questa organizzazione contro il predominio del Pei al suo interno. Questo fu chiaramente evidente nello scavalcamen to a sinistra della sinistra tradizionale che si verific nella cam pagna contro la guerra americana nel Sud-est asiatico.

3. Lanno del Vietnam


La guerra del Vietnam fu il primo evento che stimol lo svi luppo di un nuovo movimento studentesco in Italia. Ma anche qui, come nel caso della riforma universitaria, il tema fu posto sul tappeto dai partiti tradizionali, prevalentemente dal Pei, dal Psiup e dai sindacati. Il Pei intendeva raccogliere la nuova mili tanza nascente tra i giovani e allo stesso tempo mettere in imba razzo i socialisti e attaccare il sostegno governativo alla guerra americana, tanto che nel 1966 la nuova leva di giovani comunisti fu ufficialmente battezzata dai leader del partito i giovani del Vietnam. Alla fine del 1966 e nel 1967, il Pei lanci una campagna nazionale consistente in cortei di massa, dimostrazioni pacifiche e propaganda contro la guerra. Erano manifestazioni ben orga nizzate, molto rituali, con studenti della F g c i e della F g s che marciavano accanto ai sindacalisti e ai membri del partito della classe operaia. Gli slogan rispecchiavano una combinazione tra protesta internazionale contro la guerra e alcuni temi peculiari italiani. Queste dimostrazioni gestite dai partiti offrirono al nuo vo movimento studentesco unoccasione di mettere in imbarazzo la sinistra tradizionale. Sin dagli inizi del 1967 ai margini di molte manifestazioni di partito cominciarono ad apparire nuovi slogan di ispirazione maoista e guevarista (Uno, due, molti Vietnam). In queste di mostrazioni, il dissenso era facilitato dalla strategia di alleanze del Pei: un partito che chiede la partecipazione dei giovani de mocratici alle proprie manifestazioni si espone anche al rischio di infiltrazioni e provocazioni. Il servizio dordine del partito con tattiche che divennero pi drastiche da una settimana al laltra cerc ma spesso senza successo di escludere i radicali
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dalle dimostrazioni ufficiali (Il Mulino, gennaio-giugno 1967, p. 371). E quando vi riusc, fu a discapito dellaspirazione del partito a rappresentare tutta la sinistra in unalleanza democra tica. Bench ricorressero anchessi ai cortei e ai raduni pubblici, gli studenti estremisti ben presto cominciarono a mettere in atto delle azioni pi drastiche contro la guerra nel Vietnam. Sin nel laprile del 1968 poco dopo che azioni simili erano iniziate negli Stati Uniti delle societ come la Dow Chemical e la Bo ston Chemical furono materialmente attaccate perch produce vano prodotti chimici da impiegare contro il popolo vietnamita (Corriere della Sera, 31 marzo e 26 aprile 1968). Lopposizione alle manifestazioni pacifiche dei partiti pro venne anche dallinterno delle loro associazioni studentesche. La sede principale di dissenso era la U g i , nella quale socialisti, co munisti e P siup stavano lottando per la leadership e fraterniz zando coi maoisti che con toni accesi chiedevano ai giovani mi litanti dei partiti di andare oltre il tiepido antiamericanismo dei loro partiti19. La mobilitazione contro la guerra nel Vietnam of fr ai dissidenti dellUGi un forum pubblico per montare una du ra critica alla sinistra ufficiale. Un volantino fatto circolare dalIU gi pisana nel marzo 1967 un esempio di come sia le sue forme dazione che il suo linguaggio fossero intesi a mettere in imbarazzo il Pei e ad affermare la credibilit del neonato movi mento. Dopo aver criticato una pacifica protesta del Pei contro la guerra del Vietnam, organizzata intorno a una generica soli dariet col popolo del Vietnam, gli estremisti affermavano che quando essi avevano cercato di imprimere alla manifestazione una direzione pi aggressiva, i rappresentanti della sinistra uffi ciale avevano proposto di portare avanti la battaglia per mezzo di petizioni, di raccolta di firme [...] e cortei silenziosi attraverso strade periferiche e sconosciute lungo le mura del cimitero e si

19 Per esempio in un volantino dellUGl di Pisa leggiamo: La dimostrazion anti-imperialista organizzata dalle associazioni studentesche e dalla sinistra par lamentare sono state concepite dai loro capi come unespressione di generica so lidariet col popolo del Vietnam [...] Le masse studentesche che hanno condotto queste dimostrazioni le hanno trasformate, fondando la loro protesta sul ricono scimento del fatto che la lotta del popolo vietnamita solo una parte di una lotta generale dei popoli oppressi contro limperialismo e lo sfruttamento capitalistico (da un documento di Potere operaio toscano conservato nellArchivio dellOrganizzazione dei lavoratori comunisti, ora presso listituto Gramsci a Roma).

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mili pie manifestazioni che tranquillizzano la coscienza dei pic colo-borghesi e lasciano tutto come prima20. La protesta per il Vietnam e altre proteste internazionali non solo offrirono alla nuova sinistra extraparlamentare lopportu nit di organizzarsi, ma costrinsero anche gli studenti cresciuti all'interno della sinistra a compiere una scelta difficile tra moda lit dazione violenta e quelle pi pacifiche gestite dalla sinistra ufficiale. In uno schema che si sarebbe ripetuto pi volte negli anni successivi, i partiti misero sul tappeto un dato tema, i gruppi dissidenti lo scavalcarono a sinistra organizzando proteste pi radicali, spesso utilizzando per questo le occasioni date dalle di mostrazioni ufficiali; poi, spinti da questi outsiders, dei gruppi di giovani allinterno della sinistra ufficiale o delle sue organizza zioni di massa andarono oltre le azioni dei partiti tradizionali, lasciandoli divisi tra lincoraggiare il disordine e il difendere la reazione. Il nuovo movimento studentesco universitario nacque da conflitti e dissensi nel vecchio sistema dei partiti. Da grandi querce nacquero piccole ghiande.

4. 1968: inizio o fine?


Alla fine, per, le ghiande caddero dagli alberi. Le genera zioni studentesche sono molto brevi, e dopo essere fiorite alla fine del 1967 e agli inizi del 1968, lentusiasmo e la solidariet del movimento nelle universit ben presto si esaurirono. In parte questo avvenne per semplice stanchezza. Nella sola Torino, tra lottobre 1967 e il settembre 1968 Grazioli (1979, pp. 212-60) elenca 37 occupazioni diverse, cortei o altri eventi. Dopo un an no di costante attivit persino un infaticabile come Luigi Bobbio (1979, p. 24) riferisce che vi fu un enorme senso di spossatezza nel movimento. Unaltra ragione fu la competizione e la frantumazione del movimento. Alcune universit caddero sotto il controllo di un singolo gruppo, ma raramente senza che vi fosse una lotta. Per esempio nelloccupazione della Statale nel marzo del 1968 alme no sei diversi gruppi organizzati parteciparono alla leadership (Grazioli 1979, p. 355). La cooperazione tra loro fu tesa e di breve durata, e le assemblee studentesche iniziate nel segno della solidariet e dellentusiasmo ben presto si tramutarono in sedi di
20 Dallo stesso documento dellOLC sopra citato.

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reciproche denunce e polemiche ideologiche (Grazioli 1979, p. 355). La competizione e la fazionalizzazione disillusero molti di coloro che nei primi giorni erano entrati pieni dentusiasmo nel movimento. Una terza ragione del declino del movimento studentesco fu la pressione della polizia. Alla fine degli anni Sessanta le forze dellordine erano molto male addestrate nelle tecniche di con trollo delle masse studentesche, e se poste sotto pressione cade vano facilmente nel panico e nella violenza. Dopo la selvaggia battaglia di Valle Giulia, per esempio, vi fu un principio di ammutinamento nelle caserme di Roma, quando gli ufficiali si rifiutarono di accettare una retata generale e una repressione de gli studenti. Bench la polizia fosse spesso corteggiata dagli stu denti e potesse essere tollerante nei loro confronti, si comportava duramente quandera attaccata. E il problema era che pochi outsiders o estremisti potevano trasformare una pacifica manifesta zione di massa in un tumulto gettando pietre o ortaggi marci contro la polizia. Questo fu particolarmente chiaro quando la fatica e la re pressione ridussero la massa degli studenti a un nucleo di mili tanti duri e la competizione e gli attacchi reciproci tra i gruppi rivali aumentarono. Durante questa fase un piccolo gruppo di dissidenti o un gruppo ai margini di un movimento pi grande, nel tentativo di trovare spazio allestrema sinistra poteva facil mente portare la polizia a comportamenti violenti radicalizzando una manifestazione pacifica, il che quanto sembra sia avvenuto a largo Gemelli. Per trovare spazio e fama nellarcipelago della nuova sinistra il modo pi facile a disposizione di una piccola fazione senza molti seguaci n molta organizzazione era quello di innescare una violenta reazione della polizia. Questo ancor pi se ricordiamo che questo movimento, pre valentemente di sinistra, aveva stimolato un risveglio del semi assopito movimento fascista. La nuova estrema destra, mai preoccupata dal desiderio o dalla necessit di reclutare una base di massa, si volse alla violenza sia per tendenza che per ideologia. Lestrema sinistra, con la propria ideologia di violenza, rispose allo stesso modo. Quando per le strade circolavano bande ostili di fascisti e di extraparlamentari di sinistra la tolleranza della polizia era estremamente limitata, mentre il pubblico, che forse avrebbe tollerato le occupazioni studentesche delle facolt uni versitarie, ben presto cominci a sostenere la repressione poli ziesca. La stampa dal canto suo era ben felice di contribuire a questo clima calcando la mano sulla violenza, mentre i gruppi non erano alieni dallo sfruttarla per i propri scopi.
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Via via che le proteste nelle universit crescevano, vi fu una tendenza degli studenti a spostarle allesterno, ai cancelli delle fabbriche, alle manifestazioni religiose e culturali, e nelle strade, come avvenne a largo Gemelli. Questo diede al movimento una nuova carica di attivismo, ma accrebbe le possibilit di conflitti e violenze. Infatti, una volta liberati dalla routine delloccupa zione entro le sicure mura della propria universit, gli studenti erano alla merc di provocatori, di gruppi avversi e delle cariche della polizia, come vedremo dallepisodio che chiuse il 1968 in Italia.
La Bussola

Poco prima del Natale 1968, Potere operaio toscano guid a Pisa una dimostrazione studentesca davanti alla U pim , che otten ne qualche consenso dai lavoratori del grande magazzino e dai loro rappresentanti sindacali. Ma Potere operaio cerc di porre il conflitto in termini pi ampi delle richieste delle commesse: Il sistema borghese, sostenne, sfrutta e domina gli uomini [...] in ogni momento della loro vita e non solo sul posto di lavoro (Nuovo Impegno 1968, p. 21). Lesito pi importante dello sciopero della U pim fu che gli studenti che sostenevano Potere operaio chiesero al gruppo di mostrare la propria opposizione ai consumi vistosi di parte della societ italiana che raggiungono il massimo nella settimana di Natale, protestando contro la volgare esibizione di ricchezza del le feste di fine anno21. Al pari dello stesso boom economico po stbellico, la lunga teoria di stabilimenti balneari, bar e night-club a nord di Pisa non era mai stata pianificata: era semplicemente cresciuta, impedendo la vista del mare dalla strada costiera con una sfarzosa barriera di vetro, cemento e palme importate. Que sto tratto di costa era divenuto talmente famoso che era prevista una ripresa televisiva del sontuoso spettacolo di Capodanno or ganizzato nel pi stravagante di questi palazzi sulla spiaggia, la Bussola. Questo night-club era lostentato simbolo del consumo vistoso che gli studenti e Potere operaio scelsero come loro ber saglio. Nella settimana che segu le agitazioni ai grandi magazzini,
21 Ricordando lepisodio diciannove anni pi tardi, Sofri sottoline che il proposito di dimostrare davanti alla Bussola non era venuto dalla sua organizza zione, ma da alcuni studenti liceali che dimostravano di fronte alla U pim (collo quio personale, Firenze, 19 marzo 1987).

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voci di un piano per effettuare una manifestazione davanti alla Bussola percorsero i gruppi studenteschi di tutta la costa (Nuovo Impegno 1968, p. 22). Da volantini distribuiti a Pisa, Massa, Carrara, La Spezia e Lucca gli studenti e gli operai sim patizzanti per tutta una serie di gruppi non solo Potere ope raio furono informati della dimostrazione e di come arrivare a Marina di Pietrasanta. Anche le autorit vennero a sapere della manifestazione e mandarono un piccolo contingente di carabi nieri e polizia a proteggere i frequentatori del night (Corriere della Sera, 2 gennaio 1969, p. 1). E certo che anche alcuni grup pi ostili dellestrema destra dovevano averne sentito parlare. Alle ventuno del 31 dicembre alcune centinaia di giovani di sinistra avevano circondato la Bussola (Nuovo Impegno 1968, p. 22) . Cominci ad arrivare, in pelliccia e smoking, la gente che si preparava a festeggiare il Capodanno. I primi scontri fu rono perlopi verbali, e la polizia, seguendo quella che sembrava essere una politica generale, non intervenne. Mentre la gente en trava nel night-club i dimostranti cominciarono a gridare: I bambini del Biafra vi augurano buon anno!, accompagnando le loro urla con quella che pi tardi sarebbe stata chiamata una simbolica doccia di pomodori (Potere operaio 1969a, p. 42). Secondo la polizia il primo contatto fisico si verific alle 22.30, quando un fotografo venne malmenato perch aveva scat tato delle foto dei dimostranti che schernivano la gente che cer cava di entrare nella Bussola. Quando anche i carabinieri accorsi per proteggerlo furono aggrediti, come affermano le fonti uffi ciali, la polizia organizz una carica contro i dimostranti, che risposero con un lancio di pietre, frutta marcia e afferma la polizia palle di argilla con frammenti di vetro (Corriere della Sera, 2 gennaio 1969). Arrivarono rinforzi di polizia, venne or ganizzata una seconda carica, e i dimostranti si ritirarono sulla strada costiera dove si raggrupparono, erigendo barricate. Chi abbia sparato il colpo che paralizz il giovane Soriano Ceccanti non fu mai scoperto malgrado mesi di indagini. La cosa certa che la polizia, capito latteggiamento ostile dei dimostran ti della Bussola, fece fuoco (successivamente afferm di aver spa rato in aria, ma i dimostranti negarono decisamente, e le pareti
22 In un articolo sulla Monthly Review, Sofri (1969), affermava che vi ave vano partecipato 300 persone, mentre il Corriere della Sera cita la cifra di 500. In questo caso pu darsi che la stampa conservatrice non abbia sopravvalutato il livello di partecipazione, dato che alla dimostrazione si unirono degli apparte nenti ad altre organizzazioni che Sofri forse non si aspettava di trovare.

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del night-club portavano molti segni di proiettili). Quale che sia la verit, un fatto certo che il Ceccanti ebbe una pallottola conficcata nella spina dorsale. Per settimane Ceccanti rimase paralizzato in ospedale, men tre nella stampa conservatrice circolavano storie di strani uomini in abito da sera con munizioni nel portabagaglio delle auto, di pistole miracolosamente scoperte a terra due giorni dopo e di presunti complotti per sovvertire la repubblica23. Gli studenti arrestati furono processati a marzo e alcuni di essi furono con dannati. La protesta della Bussola ebbe unenorme risonanza na zionale. Per esempio, nei cinque mesi successivi sul Corriere della Sera comparvero 47 articoli diversi sulla dimostrazione, la sparatoria e il processo. La notoriet degli eventi di Marina di Pietrasanta ebbe al meno quattro motivazioni. Innanzitutto, lepisodio fece seguito agli incidenti di Avola e Battipaglia, nei quali la polizia aveva sparato sui dimostranti. In secondo luogo la manifestazione non era stata contro gli insegnanti o i proprietari di fabbriche, ma contro persone comuni che non facevano altro che godersi una serata fuori casa. In terzo luogo la stampa borghese aveva le sue buone ragioni per pubblicizzare lepisodio. Lo scontro alla Bus sola aveva offerto a qualcuno polizia, provocatori o terze parti lopportunit di usare la violenza, e la violenza, chiunque ne sia responsabile, aumenta la tiratura. Per finire, la campagna di delegittimazione serv agli scopi dei partiti di centro-destra, sot toposti a una crescente minaccia da parte dellMsi che li accusava di non aver schiacciato con sufficiente forza la contestazione nel le universit. Il caso della Bussola un esempio di come la pro testa sociale intereagisca con la politica in senso stretto. La risposta dellopinione pubblica, orchestrata dalla stampa conservatrice, dalla De e dalla destra, si rispecchi prontamente nelle reazioni dei partiti della sinistra. Il Psi assunse una posi zione cauta, chiedendo unindagine e collegando gli eventi della Bussola ai morti di Avola e Battipaglia. I comunisti, che ben ri cordavano Sofri e i suoi amici, abbandonarono rapidamente il tentativo di collegare la Bussola ad Avola e Battipaglia (Cor
23 Per i fatti cos come furono interpretati da gran parte della stampa bor ghese cfr. il Corriere della Sera, 2-10 gennaio 1969. Il 14 gennaio il ministero delTInterno fece una dichiarazione formale dinanzi al Parlamento che fu riferita sul Corriere della Sera il 15, mentre il processo di 42 dimostranti arrestati si tenne nel marzo e aprile dello stesso anno, con la condanna di 38 di essi (cfr. Corriere della Sera, 23 aprile 1969).

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riere della Sera, 3 gennaio 1969). In febbraio Rinascita os servava incidentalmente che in quanto marxisti, siamo molto pi interessati a come il capitalista accumula i suoi milioni, che a come li spende (Rinascita, febbraio 1969). Che Potere operaio fosse impotente a combattere questi at tacchi divenne evidente in una conferenza stampa tenuta una settimana dopo gli eventi di Marina di Pietrasanta, in cui il grup po cerc di contrastare la propaganda ostile della destra e di ar restare il crollo del consenso a sinistra. Sofri, che faceva da por tavoce, afferm che oltre cento testimoni potevano giurare che era stata la polizia a sparare. A sentire Potere operaio i mani festanti si sarebbero limitati, almeno allinizio, a gridare slogan, a scandire contumelie contro coloro che stavano recandosi alla Bussola... a lanciare ortaggi. Per Potere operaio, afferm Sofri, la Bussola era solo un episodio marginale della nostra attivit politica, inteso a rendere consapevoli le masse delle contraddi zioni e della ferocia della societ capitalista (Corriere della Sera, 5 gennaio 1969). Ma la stampa borghese si scagli contro di lui. Ignorando le prove costituite dalle pallottole della polizia nella parete davanti alla quale erano i dimostranti, cit testimoni che descrissero gli atti vandalici, le botte, i calci, i pestaggi che i clienti del night hanno dovuto subire, mentre la forza pubblica non si muoveva (Corriere della Sera, 5 gennaio 1969). Sofri dovette ammettere che la polizia, quando circond i dimostranti fuori dalla Bussola, aveva trovato bottiglie di acido, di ammoniaca e palle di argilla con frammenti di vetro. Ma Non roba nostra, protest (Corriere della Sera, 5 gennaio 1969, p. 2). Agli inizi del 1969 nessuno lo ascolt.
La lezione della Bussola

Sofri aveva ragione: lattacco alla Bussola come simbolo del consumo borghese era effettivamente solo un episodio marginale della sinistra ex-universitaria, inteso a dare un obiettivo agli stu denti liceali affiliati al gruppo e a ottenere lattenzione dei media attraverso azioni perturbative, nel momento in cui il movimento universitario si dissolveva. I leader come Sofri non scambiavano certamente una serata gaudente in un night-club della Versilia per la lotta di classe. Il loro problema era che una volta avven turatisi fuori dal terreno istituzionale che conoscevano e poteva
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no utilizzare con perizia, non avevano nessun controllo su ci che sarebbe potuto succedere in strada. Bench Potere operaio toscano fosse solo uno dei molti grup pi nellemergente sinistra extraparlamentare, il caso della Busso la fu archetipico del dilemma in cui si trovava il movimento nel 1968-69. Durante londata di piena della mobilitazione del 19671968 era stato relativamente facile stimolare e diffondere la pro testa dentro luniversit. Ma per mantenere elevato il suo slancio si richiedeva che venissero trovati nuovi temi, stimolati nuovi pubblici e inventate nuove forme di lotta per attrarre un seguito ormai in calo. Ma una volta che la protesta fu trasferita al di fuori delluniversit cerano pi probabilit che le tattiche impiegate aumentassero la violenza, che i nemici rispondessero con ener gia, e che lo Stato potesse esercitare una violenza ancor maggiore contro il movimento. Lunica soluzione era trovare una base operativa pi istitu zionale, trarre vantaggio da nuove opportunit di mobilitazione e organizzarsi. Episodi come quello della Bussola accelerarono la nascita di organizzazioni di movimento nazionali, i cui leader avrebbero dovuto trovare una base al di fuori degli studenti uni versitari, diffondere la protesta a nuovi settori e collegarla a temi sociali e politici emergenti. Ma essi mostrarono anche che, via via che il ciclo si svolgeva, i gruppi in competizione per il con senso aumentavano e le istituzioni rappresentative cominciavano a riguadagnare liniziativa, si sarebbe dimostrato sempre pi dif ficile mantenere lo slancio del 1968.
Il richiamo del movimento studentesco universitario

Due erano le chiavi di spiegazione del richiamo particolare che esercitava il movimento studentesco: innanzitutto il suo messaggio di liberazione e, in secondo luogo, il suo attivismo. Il messaggio di liberazione aveva un particolare richiamo in Italia, dove alla struttura gerarchica dei rettori, dei sacerdoti, dei ge nitori e della polizia si aggiungeva la pesante egemonia del siste ma dei partiti. Lattivismo del movimento, come si rispecchiava nel suo repertorio tattico sempre pi vasto e perturbativo, at traeva anchesso un ampio seguito. Occupando edifici, irrom pendo nelle aule e bloccando il traffico, gli studenti attirarono lattenzione dei media, ottennero nuovi sostenitori, superarono i loro oppositori, costrinsero le autorit ad azioni repressive che crearono nuovi alleati al movimento. Dimostrarono che un siste
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ma dominato dalla stessa classe politica da due decenni poteva essere reattivo nei confronti di nuovi attori sociali. Ma linnovazione tattica pone un dilemma: data la necessit di rinnovare gli strumenti tattici per mantenere squilibrati gli oppositori e attrarre nuovi sostenitori, oltre allattenzione dei mezzi di comunicazione di massa, il movimento fu costretto ad attaccare sempre nuovi obiettivi e via via che la polizia si adeguava alle sue prime tattiche inventare tattiche nuove e pi perturbative. Alcuni dei nuovi obiettivi restituirono il colpo ricevuto, altri resistettero alla pressione; altri ancora, come gli attacchi simbolici alla mercificazione del Natale che abbiamo vi sto nel capitolo V, non erano in grado di sollevare protesta e portarono semplicemente alla disillusione e allimpoverimento delle file del movimento, che si ridusse ai suoi settori pi mili tanti. Il messaggio che il 1968 lasciava al resto del ciclo di protesta era che quelli che osano potevano avere successo. Agli altri movimenti urbano, culturale, ecologico, femminista, ecologi co esso lasci in eredit nuove strutture interpretative, nuovi attivisti e un nuovo repertorio dazione. Agli studenti liceali forn sia la leadership che unideologia antiautoritaria. Ai sinda cati forn un certo numero di quadri intellettuali e alcuni temi trasversali. Persino ai comunisti il movimento diede limpulso ad adottare posizioni pi avanzate, e alla fine una nuova generazio ne di iscritti (Lange, Tarrow e Irvin 1988). Ma pi di tutto, ai movimenti che seguirono anche a quelli che mancavano della retorica aggressiva degli studenti e delle lo ro forme creative di azione diede lesempio di come il sistema poteva essere vulnerabile se si osava sfidarlo, e quanto le tattiche perturbative potevano essere utilizzate per accrescere il consenso e ottenere ascolto. Ma la contestazione nelluniversit non poteva essere man tenuta indefinitamente a un picco cos elevato, e il grado di per turbazione del movimento universitario, dopo un culmine agli inizi del periodo, declin rapidamente nella fase successiva, co me vediamo nella fig. 12. La frammentazione, la stanchezza e la repressione colpirono in modo particolarmente duro dopo la ri presa delle lezioni nellanno accademico 1968-69. Non solo la sua base di massa, ma anche la sua capacit di lanciare nuove iniziative creative declinarono molto rapidamente. Dopo di que sto, furono i gruppi meglio organizzati a sopravvivere, e solo a condizione di trovare una nuova fonte di reclutamento e di in148

Punteggio medl Studenti universitari

Fig. 12 - Punteggio medio del grado d perturbazione causata dagli studenti universitari e della scuola secondaria, per semestre, 1966-73 ventare nuove forme dazione collettiva. Alcune di queste sareb bero state violente.

5. Conclusioni
Come possiamo caratterizzare nel modo migliore i nuovi gruppi di studenti universitari che emersero sulla scena pubblica nel 1967 e nel 1968? Come un nuovo movimento sociale? O come il drappello pi avanzato della sinistra tradizionale? Il mes saggio di questo capitolo sembra essere che lessenza del movi mento studentesco che spazz lItalia alla fine degli anni Sessan ta sia consistita in una combinazione di queste due definizioni. Touraine e altri ci hanno insegnato che i nuovi movimenti apparsi nel 1968 furono creatori di una nuova realt politica e culturale: erano nuovi attori sociali che utilizzarono forme da zione radicali, diedero vita a organizzazioni decentralizzate e cercarono di imporre un paradigma culturale e politico nuovo allo stanco Occidente industriale. Erano i progenitori dei nuovi movimenti sociali che sarebbero apparsi negli anni Settanta con tratti simili, e spesso con le stesse persone. Ma bench il movimento studentesco italiano fosse nuovo,
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divenne potente solo per via dellesistenza di una sinistra tradi zionale quale fonte di quadri, simboli, opportunit che permet tevano al movimento di presentarsi come la sezione universita ria di un partito rivoluzionario dei lavoratori che in realt non esisteva (Schnapp e Vidal-Naquet 1971). Secondo questa con cezione fu proprio perch in Italia e in Francia le subculture di sinistra erano cos forti, che i loro movimenti poterono trovare la base culturale per il tentativo di riportare in vita movimenti ri voluzionari, utilizzando la sinistra tradizionale come obiettivo oltrech come base e come referente. Se esaminiamo le teorie della nuova sinistra studentesca o le sue tattiche pi radicali, in cerca di indizi sulla sua natura, dob biamo concludere che essa era emergente, espressiva e persino utopistica; ma se guardiamo le origini politiche dei suoi attivisti, i temi a cui si interessavano, nonch la loro sagacia e sensibilit politica, le sue origini nella sinistra tradizionale e nella subcul tura cattolica emergono in modo netto. La nuova sinistra stu dentesca fu effettivamente lesito di un decennio di riallinea mento, di reclutamento e di dissenso allinterno delle subculture dei partiti istituzionali, e non solo delle energie di un nuovo sog getto sociale. Questa dipendenza dalla vecchia sinistra non era senza effet ti sui movimenti, come si sarebbe chiesto Adriano Sofri (1985, p. 91) due decenni pi tardi: Quale fu la tragedia? Che le parole che avevamo ereditato [dalla sinistra] non furono mai messe in questione, ma solo accompagnate da altre parole. Noi non met temmo in questione i sostantivi che avevamo ereditato; aggiun gemmo semplicemente loro [...] unincredibile quantit di agget tivi.

VII

I LAVORATORI DELLINDUSTRIA 1

Venezia, 1 agosto 1968. un afoso mattino destate a Porto Marghera. Lontano dai turisti il porto si era trasformato in un importante complesso chimico dominato dalla Montecatini e dallEdison, fusesi di recente. Davanti allimpianto petrolchimico operai e studenti si radunano per fare un picchettaggio a soste gno di uno sciopero indetto dagli operai del Petrolchimico la set timana precedente2. Lo sciopero inusuale per svariate ragioni. In un paese in cui la militanza a livello di singola fabbrica tuttora una rarit, gran parte dello slancio proviene dal luogo di produzione, e molti de gli scioperanti sono di recente origine rurale e di estrazione cat tolica (Perna 1980, p. 5). Protestano contro il piano salariale del lazienda mirante a collegare i futuri aumenti salariali alla pro duttivit. Le loro richieste vanno molto al di l delle proposte dei sindacati dei chimici. Due richieste in particolare sono notevoli: innanzitutto gli operai chiedono una diversa dinamica degli in centivi di produzione e, in secondo luogo, nella struttura occu pazionale altamente stratificata della raffineria, chiedono un au mento di salario di 5.000 lire uguale per tutti. Lo sciopero anche notevole per limpressionante numero e la variet di forme dazione utilizzate. Gli operai sono scesi in sciopero ben undici volte a partire da gennaio (Potere operaio
1 Desidero ricordare il mio debito di riconoscenza per questo capitolo a un certo numero di amici e colleghi. Essi sono: Aris Accornero, Miriam Golden, Peter Lange, Nino Magna, Ida Regalia e Marino Regini. 2 Le informazioni relative a questa sezione sono state raccolte da Margherita Perritti, prevalentemente dalle fonti seguenti: Chinello 1975; Cacciari 1968, 1969, 1975; Passetto e Pupillo 1970; Perna 1980 e Potere operaio (veneto) 1968 e 1980.

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[veneto] 1968, pp. 8-10). Oltre a effettuare picchetti e a indire assemblee sul posto di lavoro, essi adottano linconsueta tattica di scioperare a giorni alterni, il che blocca il complicato sistema di produzione ma limita i costi del singolo operaio. Lo sciopero a giorni alterni ha effetti devastanti in una raf fineria petrolchimica tecnologicamente complessa. Di fronte a una riduzione della produzione e al pericolo di danni ai costosi macchinari, la direzione chiede a 170 operai addetti alla manu tenzione di rimanere sul posto di lavoro durante lo sciopero. Gli operai rispondono che 29 addetti alla manutenzione sono sufficenti a mantenere la produzione. La notte del 31 luglio la dire zione risponde con unazione che equivale a una serrata. La reazione degli operai immediata. Lasciando dietro di s un numero di persone sufficiente a bloccare laccesso allimpian to, gli operai e gli studenti formano un corteo e si muovono verso il cavalcavia che d accesso a Venezia. Da altre fabbriche di Marghera altri operai convergono sullo stesso obiettivo. Tra studenti e operai, i dimostranti assommano a diverse migliaia nel momen to in cui raggiungono il cavalcavia, che procedono a bloccare. Questa immensa massa si muove poi in direzione della stazione, sparpagliandosi fra i binari e impedendo ai treni di entrare a Ve nezia. Si innalzano davanti ai finestrini dei treni grandi striscioni che proclamano: Sciopero generale tutti contro la Montedison (Corriere della Sera, 2 agosto 1968). Dopo una sola giornata di battaglia gli scioperanti hanno esercitato una pressione sufficiente a costringere la direzione a firmare un accordo che pone fine alla serrata e offre agli operai un aumento immediato del 5 per cento. Questa concessione co stringe il resto del settore chimico a rinegoziare i contratti gi firmati (Chinello 1975, pp. 182-84). Entro la fine dellanno gli operai di altre imprese della laguna avranno avanzato richieste simili e scioperato con un simile livello di militanza (Chinello 1975, p. 184). Alla fine dellanno la richiesta di aumenti salariali uguali per tutti si diffusa in tutto il paese, e gli operai comuni cominciano a chiedere un salario pari a quello degli operai spe cializzati e degli impiegati. Notevole anche il ruolo degli studenti3. La loro presenza
3 Gli studenti veneziani erano stati mobilitati sin dalla primavera del 1967, particolare ad Architettura. Nel giugno del 1968 insieme a studenti di Trento, Padova e Bologna, essi organizzarono un congresso di studenti lavoratori a Ca Foscari, invitando sindacalisti e funzionari di partito (cfr. Grazioli 1979, pp. 293-300).

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allesterno dellimpianto del Petrolchimico ad agosto e la loro partecipazione al blocco della stazione ferroviaria di Mestre con tribuisce a spingere gli operai allo scontro. Utilizzandoli come massa di manovra, unorganizzazione di movimento sociale Potere operaio veneto svolge un ruolo-chiave4. Le richieste egualitarie, la tattica di scioperare a giorni alterni e gran parte della propaganda si devono a questo gruppo. Il suo successo non passa inosservato ad altri gruppi rivoluzionari che si stanno or ganizzando in tutto il paese. Il conflitto dellagosto 1968 a Porto Marghera emblematico del dilemma teorico posto dal movimento degli operai. Si trat tava di un movimento spontaneo di operai immigrati, giovani e non qualificati, sospinto da studenti estremisti, contro un sinda cato burocratico che tentava di frenare e controllare gli operai? Oppure era un intreccio fra operai, qualificati e non, sindacati e gruppi estremisti allinterno della stessa ondata di mobilitazione popolare? Ancora a distanza di ventanni, la risposta a questa domanda dipende dal soggetto a cui essa rivolta. Questo capi tolo si incentrer sul tema dei rapporti tra studenti e operai, qua lificati e non, sindacati, partiti e gruppi extraparlamentari, nella pi grande ondata di conflittualit operaia della storia postbellica italiana.

1. Richieste economiche e opportunit politiche


Per capire le origini del movimento degli operai dellindustria alla fine degli anni Sessanta, dovremo ricordare come i cambia menti nel capitalismo e nella politica italiana influenzarono la classe operaia. Alla met degli anni Sessanta gli operai stavano vivendo dei cambiamenti che minacciavano il posto di lavoro, minavano le professionalit tradizionali, alteravano la natura della forza-lavoro e intensificavano i ritmi di produzione. Ma stavano anche ottenendo accesso a un nuovo insieme di risorse e opportunit che non erano state disponibili durante gli anni dif ficili seguiti al 1950 e nemmeno agli inizi degli anni Sessanta.
4 Questo gruppo non aveva nessun collegamento col Potere operaio che era stato fondato a Massa, in Toscana, nel 1966, e che apparso nel capitolo pre cedente.

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Trasformazione economica e innovazione sul posto di lavoro

Questo non fu in alcun modo un periodo di declino econo mico. Michele Salvati, per esempio, sottolinea che dal 1958 al 1963, gli anni del miracolo economico, il numero ufficiale dei disoccupati scese del 36 per cento (Salvati 1976, p. 694) e che anche il numero dei lavoratori marginali e autonomi decrebbe (Salvati 1976, pp. 695-99). In questo periodo centinaia di mi gliaia di persone si trasferirono dalla campagna in citt, dal Sud al Nord, ed entrarono nellindustria. I risultati di queste migra zioni furono il sovrappopolamento, tensioni sociali e un brutale incontro con la disciplina della fabbrica. A Torino, per esempio, gli immigrati trovarono un ambiente urbano ostile, nel quale il solo affitto erodeva una percentuale sostanziale del salario, an che ammesso che trovassero un posto in cui abitare (Rieser 1969, p. 3). Ma lespansione delloccupazione non continu negli anni Sessanta. Un cambiamento particolarmente evidente dopo la recessione del 1964. La recessione stessa era stata innescata dal governo per arrestare quello che considerava un tasso dinflazio ne inaccettabile (Salvati 1975). Il periodo di recessione fu bre vissimo e fu seguito da un rapido aumento della produzione in dustriale. Ma questo aumento si verific senza un aumento proporzionale degli investimenti industriali, e fu accompagnato da una ripresa molto lenta della domanda interna, sia pubblica che privata. Che cosa dimostra questa situazione contraddittoria? Mentre la competitivit cresceva nelle favorevoli condizioni internazio nali della met degli anni Sessanta, gli aumenti di produttivit furono ottenuti non attraverso gli investimenti in nuovi impianti ed attrezzature, ma attraverso lintensificazione dei ritmi di la voro e la sostituzione di forza-lavoro semiqualificata e non qua lificata a quella qualificata5. Via via che la produzione industrale diveniva pi integrata (erano gli anni in cui la F iat apr a Rivalta), i processi di lavoro divennero sempre pi dequalificati. Di conseguenza la forza-lavoro stava divenendo sempre pi compo sta da operai giovani e semiqualificati, perlopi figli di immigrati recenti che mancavano sia di una coscienza sindacale sia di espe5 Salvati (1976, p. 706) cos riassume i risultati di questa ripresa per la classe operaia: Con costi di materie prime stabili o in diminuzione, e con prezzi allingrosso in leggero aumento, la distribuzione del reddito nel settore industriale muoveva, anno dopo anno, a vantaggio delle imprese.

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rienza del lavoro industriale. Essi vissero in forma diretta gli in tensificati ritmi di lavoro che limpresa stava impiegando per ot tenere aumenti di produttivit. I sindacati degli anni Sessanta Questa situazione contraddittoria da una parte incrementi della produzione industriale, delle esportazioni e della produtti vit; dallaltra bassi investimenti, piatta domanda interna, ritmi di lavoro accelerati trov impreparati i sindacati. In realt, la strategia dellimpresa di accrescere la produttivit intensificando i ritmi di lavoro era stata possibile solo perch era riuscita a marginalizzare i sindacati nelle fabbriche. Per tutti gli anni Cinquan ta il tasso di sindacalizzazione era stato in calo, e dopo il breve aumento di combattivit agli inizi degli anni Sessanta esso rima se stagnante sino al 1969-70. La produttivit fu accresciuta, scri ve Salvati (1976, p. 708), con limpiego della parte pi moderna e produttiva dellattrezzatura e con la progressiva contrazione delloccupazione ai maschi nelle et centrali, nonch con una generale intensificazione del lavoro. L esplosione del conflitto industriale agli inizi degli anni Ses santa port per la prima volta gli immigrati, in quanto soggetto sociale, allattenzione dei sindacati (Sabel 1982, p. 153). Duran te quegli anni, un rapido aumento delloccupazione port a unondata di vertenze a livello della singola fabbrica, cui segu un periodo di scioperi per il rinnovo del contratto nazionale, che fu il pi conflittuale dallinizio del periodo della guerra fredda. Nel solo 1962 and perso negli scioperi per il rinnovo dei con tratti nazionali un totale di oltre 124 milioni di ore di lavoro (Beccalli 1971, p. 91). Ma lo sviluppo pi significativo fu lau mento del conflitto a livello della singola fabbrica, che diede agli operai pi giovani la loro prima esperienza diretta di sfida ai ca pi. Questa breve stagione di conflitto industriale rivel lesisten za di insospettate riserve di combattivit tra gli operai giovani e non qualificati (Accornero 1971, pp. 116-23)6. Ma i sindacati non furono capaci di capitalizzare questa crescente militanza, puntando invece, durante gli anni della stagnazione, ad aumen
6 A Torino, quando la F ia t firm un accordo con un sindacato aziendale e con la UlLM mentre gli altri due sindacati metalmeccanici erano in sciopero, il risultato fu uno scontro duro tra giovani operai e polizia sotto le finestre della UlLM.

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tare il numero dei loro iscritti. Nelle trattative per il contratto del 1966 essi sottovalutarono di molto la potenziale militanza della classe operaia7. I problemi dei sindacati agli inizi degli anni Sessanta erano due: innanzitutto, la mancanza di unadeguata organizzazione nelle fabbriche per tenere dietro alla miriade di problemi che stavano nascendo dalla riorganizzazione della pro duzione; in secondo luogo, la mancanza di quellunit sindacale che poteva permettere loro di trattare efficacemente con lim presa. Ma queste condizioni cominciarono a cambiare alla met degli anni Sessanta con le opportunit politiche del centro-sini stra e il restringimento del mercato del lavoro.
Opportunit politiche

La maggior parte degli autori spiega laumento della militan za operaia della fine degli anni Sessanta con i crescenti carichi di lavoro nei reparti e con la debolezza dei sindacati. Ma questi due fattori costituivano solo una parte del quadro totale. Se i lavo ratori fossero stati semplicemente deboli e poco rappresentati non si sarebbe verificato nessun ciclo di protesta industriale. E se i sindacati fossero stati conservatori, come affermavano i loro critici, non avrebbero potuto cavalcare la tigre del dissenso della classe operaia con tanta efficacia. Durante gli anni Sessanta i cambiamenti economici e politici diedero sia agli operai che ai sindacati nuove risorse e nuove opportunit. Via via che, dopo il 1965, le commesse allindustria aumen tarono, loccupazione crebbe, e limpresa cominci a sentire la mancanza di unadeguata riserva di manodopera (Salvati 1976, p. 707). La domanda di forza-lavoro aveva un effetto automatico sugli aumenti salariali. Nel settore metalmeccanico milanese, per esempio, le imprese cominciarono ad assumere nuovi operai a salari altamente competitivi. In realt molti dei primi scioperi a Milano sarebbero stati innescati da vecchi operai che chiedevano di mantenere il passo coi salari elevati offerti ai nuovi assunti. Il
7 Lamentandosi dellincapacit del suo sindacato di conservare ladesione di questi giovani operai, un segretario della F iom afferm in un incontro interno che il sindacato era stato lento nellafferrare il peso degli insopportabili ritmi di lavoro e delle condizioni generali di lavoro che essi subivano. Tra gli operai giovani, continu, nata la convinzione che se dovessero unirsi al sindacato entrerebbero in una specie di macchina burocratica nella quale la loro influenza sulle decisioni da prendere non conterebbe quasi nulla (cfr. FlOM 1966, p. 16).

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restringimento del mercato del lavoro costitu una risorsa che gli operai furono pronti a sfruttare. Una seconda risorsa era costituita dallaccresciuta coopera zione tra i sindacati. Malgrado le residue tensioni ideologiche della guerra fredda, gli operai cresciuti dopo il 1948 erano pi interessati alle conquiste contrattuali che alladesione alle varie correnti sindacali. Molti anche i militanti di partito pi attivi manifestarono un crescente scontento per le divisioni ideolo giche dei sindacati che impedivano loro di trattare efficacemente con limpresa8. Anche i problemi contrattuali erano importanti nellaccresce re la spinta allunit. Dopo la seconda guerra mondiale la con trattazione collettiva era passata al livello nazionale. Entrambi i partner sociali avevano delle ragioni per favorire questo svilup po: i sindacati perch erano pi deboli a livello della singola fab brica e perch la C gil si considerava il sindacato di tutta la classe operaia (Giugni 1976, p. 784); limpresa perch la contrattazione nazionale permetteva ai datori di lavoro di evitare le spinte sa lariali che temeva si verificassero se fosse stata permessa la trat tativa a livello aziendale. Ma a partire dagli inizi degli anni Cinquanta la C isl , ispirata dagli esempi americani, cominci delle agitazioni per una tratta tiva a livello della singola fabbrica (Giugni 1976, pp. 781-85). A seguito della sconfitta sofferta alla F iat nel 1955, la C gil abban don la propria preferenza per la trattativa nazionale (Giugni 1976, pp. 786-87). La sconfitta alla F iat diede anche vita a un dibattito interno nella C gil circa ladeguatezza delle sue orga nizzazioni a livello di fabbrica, e poi sin dal 1957 a una discussione sulla rifondazione dei Consigli di fabbrica9. La costituzione del centro-sinistra accrebbe la disponibilit della coalizione di governo alla contrattazione aziendale. Non solo al Psi, ma anche ad alcuni leader della corrente di base della De (Giugni 1976, p. 801), il centro-sinistra sembrava richiedere
8 Per esempio, i funzionari della F iom diagnosticarono il suo insuccesso nel fare appello ai giovani operai come risultato della autonomia di questi ultimi da qualsiasi partito o corrente (cfr. F iom 1966, pp. 16, 19, 33). 9 Tuttavia non chiaro da questo esame se i militanti della C gil stessero proponendo qualcosa che rassomigliava a un ritorno al movimento dei Consigli del periodo successivo alla prima guerra mondiale, o semplicemente un organi smo tecnico che avrebbe permesso loro di tener dietro ai cambiamenti nellorganizzazione della produzione. Il termine Consiglio di fabbrica o quello collega to, Consiglio di reparto, fu utilizzato in entrambi i sensi, e talvolta in un terzo senso, quello di un comitato di agitazione.

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un sistema di relazioni industriali pi moderno. Dapprima nel settore pubblico e poi in quello privato i primi anni Sessanta videro un riluttante passaggio dalla contrattazione nazionale esclusiva alla contrattazione articolata, intesa come un sistema coordinato di contrattazione a pi livelli (Giugni 1976, p. 806). Limminenza della contrattazione articolata a livello di fab brica diede ai sindacati una ragione per guardare con occhio nuo vo la loro organizzazione nelle fabbriche, in particolare nella F iom e nella F im . Nel farlo, essi cominciarono a preoccuparsi di trovare nuovi modi di raccogliere le richieste di reparto, di unire la base attorno a obiettivi contrattuali e di porsi dinanzi allim presa con un fronte comune. Gi alla met degli anni Sessanta ciascuno dei sindacati stava cercando di sviluppare le proprie se zioni sindacali nelle fabbriche e alcuni parlavano attivamente di creare dei Consigli di fabbrica10. Linizio di un riallineamento politico nel paese incoraggi la militanza operaia, proprio come aveva incoraggiato la rivolta nel le associazioni studentesche che aveva portato alle occupazioni delle facolt nel 1967-68. Negli anni Cinquanta i militanti sin dacali erano stati soggetti a una continua repressione politica e a pressioni da parte dellimpresa. Con lingresso del Psi nella coa lizione di governo, tuttavia, unimportante componente gover nativa non poteva permettersi di essere identificata con la re pressione. La presenza del Psi rallent le azioni repressive nei confronti delle lotte e delle manifestazioni sindacali (Baglioni 1976, p. 878). Il governo di centro-sinistra incoraggi anche un dibattito sul primo serio progetto di riforma delle relazioni industriali a par tire dalla fine della guerra. Questo dibattito, che alla fine sfoci nello Statuto dei lavoratori, fu osservato con interesse dai sinda cati perch uno dei problemi discussi era la presenza dei sinda cati nei reparti. Lo Statuto fu approvato solo nel 1970, dopo che era iniziata londata del conflitto industriale. Ma la sua discus sione, sia in Parlamento sia tra gli esperti di relazioni industriali, accompagn laumento di militanza e non pu aver mancato di dargli impulso. Per finire/svariati temi politici chiave dibattuti nel governo
10 Come afferm un segretario locale della FlOM: Noi possiamo anche creare cento sezioni sindacali, ma se non creiamo i Consigli di fabbrica [...] nei quali gli operai sentiranno di avere un vero potere decisionale in tutte le attivit sindacali, sar difficile che riusciamo a far funzionare il nostro importante nuovo strumen to (cfr. F iom 1966, p. 37).

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ampliarono lagenda politica cos da includervi i sindacati e la classe operaia. Di questi temi il pi importante era la riforma pensionistica che ottenne un livello sorprendente di coinvolgi mento operaio. Agli inizi del marzo 1968 proprio prima delle elezioni politiche venne organizzato uno sciopero generale a favore della riforma pensionistica. Lagitazione, che dur fino allestate, rivel dei dissensi nella coalizione di governo e mostr ai sindacati che nella classe operaia vi erano risorse di militanza maggiori di quanto sospettassero (Reyneri 1976, p. 845).

2. Nuovi soggetti, vecchie organizzazioni


Come gli studenti universitari, gli operai dellindustria, alla fine degli anni Sessanta, avevano rilevanti richieste, un accre sciuto accesso a nuove risorse e opportunit politiche in espan sione. Ma cera una differenza tra loro: mentre il movimento studentesco aveva iniziato solo come rivolta di studenti politi cizzati allinterno delle organizzazioni di massa in crisi dei par titi, il movimento operaio aveva una base sia tra gli operai qua lificati che non qualificati, aveva dei sostenitori nel movimento studentesco, nei sindacati e nei partiti della sinistra, e aveva lo sprone di alcuni gruppi estremisti al di fuori dei principali partiti. Rivolgiamoci ad esaminare ciascuno di questi attori prima di stu diare la loro interazione e i suoi esiti.
Gli operai qualificati e non qualificati

Il dibattito circa il ruolo degli operai qualificati e non nel ciclo della protesta industriale stato ben messo in luce da Re yneri (1976; 1978), Sabel (1982) e altri. A partire dagli attenti studi empirici svolti da Pizzorno e collaboratori, sembra chiaro che i primi conflitti importanti del 1968 vennero innescati da lavoratori qualificati e non da immigrati non qualificati. Loperaio-massa non qualificato appare solo pi tardi, nel 1968-69, quando alcuni degli operai qualificati, ora che le loro richieste sono state soddisfatte, scompaiono dalla scena, quando non ostacolano addirittura gli sforzi degli altri (Reyneri 1978, p. 89). Nella primavera 1968 la partecipazione operaia non aveva ancora raggiunto livelli molto elevati, se non in poche grandi fab
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briche del Nord (Reyneri 1978, p. 54) In questa fase, scrive Reyneri (1978, p. 55)12, i giovani operai comuni estranei al si stema di relazioni industriali non ne sono certo i soli protagoni sti, anzi alcune lotte sono guidate da vecchi operai di mestiere, vale a dire che hanno fatto esperienza nei conflitti guidati dal sindacato del decennio precedente. Ma poco dopo che questi operai qualificati cominciarono ad agitarsi, comparvero sulla scena operai pi giovani e meno qua lificati che mancavano della loro esperienza di militanza e dei collegamenti coi sindacati13. Essi avrebbero impresso al ciclo del la protesta industriale un carattere talvolta violento, pi spesso entusiastico, ma sempre di massa. Non per caso la loro parteci pazione coincise con la richiesta di aumenti salariali uguali per tutti, che alcuni hanno considerato solo una richiesta espres siva. Sembra probabile che essi avessero bisogno dellesempio degli operai pi vecchi, qualificati e sindacalizzati, per infrange re quella crosta di deferenza con la quale era guardata limpresa, e fare uscire i non qualificati dalla loro situazione di passivit e subordinazione14. Ma come vennero stimolati allazione gli ulti mi arrivati? Per combustione spontanea? Da parte di organizza zioni di movimento esterne, come Potere operaio a Porto Marghera? Dai sindacati? O da una qualche combinazione di queste tre cose?
11 Queste fabbriche erano: la Zoppas, la Zanussi, la Marzotto, tre fabbriche di automobili F iat , Innocenti e Autobianchi , la Ercole Marelli e la Magneti Marelli, e gli impianti petrolchimici di Porto Marghera. 12 Quasi dappertutto il segnale della lotta venne da unavanguardia di operai specializzati con esperienza del conflitto industriale e collegamenti coi sindacati, il ruolo delle avanguardie degli operai specializzati fu particolarmente critico tra gli inizi del 1968 e la met del 1969. Alla Innocenti i leader erano operai specializzati pi anziani; al Petrolchimico di Porto Marghera e alla Olivetti, era no gli operai specializzati della manutenzione; alla Pirelli la rivolta scoppi in nanzitutto tra i compositori specializzati; alla F iat i primi operai a entrare in sciopero furono gli operai specializzati delle ausiliarie. 13 Come riassume Reyneri (1978, p. 90): Nella maggior parte dei casi, i la voratori senza alcuna tradizione debbono prima inserirsi nella lenta e prudente azione promossa dal sindacato e solo a qualche settimana dallinizio la loro par tecipazione alle lotte esplode con aspetti spontanei. 14 Come conclude Pizzorno (1978, p. 10): Non vero che il ciclo di conflitti iniziato nella primavera del 1968 fu innescato da operai non specializzati, meri dionali, giovani. Al contrario, in generale essi [ ] erano guidati da operai spe cializzati con una precedente esperienza sindacale o di partito.

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Studenti e operai

A partire dalla met del 1968, quando gli studenti contesta tori cominciarono a essere sgomberati dalle universit con cre scente violenza, molti gravitarono verso la fabbrica. La parteci pazione studentesca alle lotte operaie dapprima assunse la forma di picchettaggi allesterno delle fabbriche in cui gli operai erano gi in sciopero. Gli studenti aggiunsero anche la loro forza ai cortei sindacali e in alcuni posti, come a Trento, divisero il palco con i leader sindacali (Grazioli 1979, p. 274). Alcuni studenti per esempio di Medicina cercarono anche di mettere le loro capacit professionali al servizio della classe operaia. Altri si unirono alla classe operaia andando a lavorare in fabbrica. Gli studenti andarono in fabbrica nel momento in cui il mo vimento nelle universit cominciava a subire un calo. Lesistenza di un gap tra il punto culminante del movimento studentesco universitario e il picco della militanza operaia emerge chiaramen te nella fig. 13 in cui riportata la partecipazione studentesca e operaia allondata di protesta. Il grafico mostra che mentre la partecipazione degli studenti universitari ebbe il suo picco tra il 1967 e il 1969, e gli studenti del liceo furono attivi al massimo agli inizi degli anni Settanta, la mobilitazione operaia cominci in un punto di mezzo tra questi due periodi. Il movimento nelle fabbriche costitu la salvezza per il movimento universitario che aveva gi cominciato a essere in calo alla met del 1968.
Numero

Fig. 13 - Partecipazione dei giovani e degli operai agli episodi di protesta per semestre, 1966-73

Semestre

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La stampa moderata ritenne che gli studenti sarebbero stati rifiutati dagli operai in quanto figli di pap, ma in Italia non era altrettanto innaturale che negli Stati Uniti o in Gran Breta gna che gli studenti partecipassero alle proteste operaie. Laddove i sindacati sono deboli e non sono presenti nelle fabbriche, il conflitto industriale spesso lascia la fabbrica per la strada, dove gli studenti possono unirsi ai picchettaggi e ingrossare i cortei pubblici degli operai. Se gli studenti italiani trovarono nella clas se operaia il portatore storico del sacro Graal della rivoluzione, gli operai trovarono negli studenti un esercito di riserva per aiu tarli a pubblicizzare le loro richieste e costituire i picchetti15. La partecipazione studentesca nei conflitti della classe ope raia fu spesso notata dalla stampa. Sui 1.886 casi nei quali gio vani o studenti appaiono nei dati del Corriere della Sera quasi l8 per cento li vide coinvolti in conflitti economici. In 72 di questi conflitti gli studenti furono coinvolti in vertenze di lavo ro. La partecipazione studentesca avvenne il pi delle volte nel settore metalmeccanico, ma gli studenti parteciparono anche a scioperi contro la Michelin a Trento, la Pirelli a Milano, la Marzotto a Pisa e Valdagno e la Montedison a Porto Marghera. La cooperazione tra operai e studenti gener un elevato li vello di perturbazione, quale misurato mediante lindice elabo rato negli scorsi capitoli. Mentre la perturbazione media degli episodi promossi dagli operai fu 4,5, e quella degli episodi in cui parteciparono gli studenti da soli fu 5,6, i conflitti a cui parte ciparono sia gli operai che gli studenti furono di gran lunga pi perturbativi, con una media dell8,2 secondo il nostro indice. Una ragione di questo fu che gli studenti cercarono di parteci pare a scioperi che erano gi molto conflittuali (un buon esempio sono gli scioperi del Petrolchimico a Marghera). Ma unaltra ra gione che la loro partecipazione alle lotte operaie era diretta da gruppi estremisti la cui strategia era di mettere in imbarazzo i sindacati e di crearsi uno spazio politico intensificando il livello di perturbazione nelle imprese e scatenando duri scontri con la polizia16.
15 Quando nella primavera del 1968 gli studenti radicali a Torino effettua rono unindagine tra gli operai degli impianti F iat , trovarono con sorpresa unim magine positiva del movimento studentesco. Lumley (1983, p. 250), ricav la stessa impressione dai suoi studi a Milano. 16 Un esempio tipico: dopo gli eventi del 1968 a Porto Marghera laccordo dei sindacati con la direzione venne descritto in un volantino di Potere operaio come una delle manovre pi sporche mai fatte dai sindacati e dai partiti (Potere operaio [veneto] 1968, p. 42).

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Bench i sindacati confederali nazionali guardassero con tie pido entusiasmo il sostegno studentesco (Accornero 1967), i loro dirigenti di base spesso accoglievano con favore gli studenti e utilizzavano il loro sostegno per pubblicizzare le richieste degli operai (Grazioli 1979, p. 273). Questo emerge dai dati sugli epi sodi pubblici raccolti dalla Camera del lavoro e dallUnione pro vinciale della C isl a Milano nel 1968 e 196917. Particolarmente sensibili al sostegno degli studenti furono la F iom e la F im . Que sti sindacati organizzarono degli incontri di solidariet con gli studenti in lotta e contro la repressione che subivano dalla polizia18. Il rapporto fra studenti e operai era dunque reciproco: se il movimento degli operai costituiva una nuova fonte di vita per gli studenti, il sostegno studentesco ampliava la base del so stegno politico dei sindacati.
Studenti ed estremisti

Quello che i sindacati non potevano tollerare erano i gruppi extraparlamentari che cercavano di scavalcare le piattaforme dei sindacati e utilizzare le loro agitazioni per radicalizzare il con flitto, come abbiamo visto a Porto Marghera. Le polemiche an tisindacali provenivano prevalentemente da queste organizza zioni, che prima della comparsa del movimento studentesco ave vano cercato senza successo di penetrare nella classe operaia. Co me abbiamo visto nellultimo capitolo, questi gruppi avevano elaborato una critica operaista del Pei e dei sindacati. Dato che
17 Questi dati sono stati raccolti dalla Camera confederale del lavoro della Lombardia e dallUnione sindacale provinciale della C isl di Milano. Sono grato a Maria Conti e a Norma Romagnoli per laiuto in ciascuno di questi casi e a Rossella Ronchi per aver raccolto i dati. 18 Per esempio nel febbraio 1968 la ClSL di Milano organizz un dibattito pubblico sui problemi delluniversit; nel marzo dello stesso anno la F im -C isl distribu dei volantini in cui dichiarava la sua solidariet con gli studenti univer sitari. A maggio, la C gil organizz un convegno sul diritto allo studio; a luglio la C isl tenne un incontro con i rappresentanti del movimento studentesco per di scutere una possibile strategia congiunta per superare le paralisi nelle universit. Sia nel febbraio che nel giugno 1969 gli operai della C gil si incontrarono col movimento studentesco per discutere degli arresti durante le dimostrazioni; in dicembre tutti e tre i sindacati si incontrarono con gli studenti alla Statale per dimostrare la solidariet contro le cariche della polizia sui dimostranti. Lumley (1983, p. 249) sottolinea che il movimento studentesco alla Statale era partico larmente ansioso di costruire dei legami coi sindacati. Tuttavia si noti che la C gil a livello nazionale era molto meno disposta a riconoscere il movimento studen tesco quale autentica forza rivoluzionaria.

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il Pei e il Psi avevano abbandonato lidea di assumere il potere come tribuni del proletariato rivoluzionario, il modo migliore che essi avevano per guadagnare spazio politico era quello di ab bracciare gli interessi della classe operaia e di mettere in evidenza i costi che pagava a causa dellinterclassismo del Pei e della mo derazione sindacale. Fu sotto questa bandiera operaista, anti-Pci e antisindacale, dei gruppi esterni che marciarono gli studenti. Quando il mo vimento degli universitari cominci a svanire, furono prevalen temente questi gruppi a volgere lattenzione degli studenti verso le fabbriche. Ma la maggioranza degli studenti che dimostravano e che si misero al fianco degli operai non erano n antisindacali n anticomunisti: erano idealisticamente a favore degli operai e mordevano il freno di fronte alla moderazione dei sindacati. Fin tantoch i sindacati rimasero moderati, gli studenti si mobilita rono in aiuto degli operai, ma a favore delle organizzazioni ester ne alla fabbrica che cercavano di radicalizzare i conflitti industriali, di mettere in imbarazzo i sindacati e in ultima analisi di rovesciare legemonia del Pei sulla classe operaia.
La nuova sinistra in seno alla vecchia

Gli sforzi di questi gruppi estremisti erano chiaramente irri tanti per i leader del movimento sindacale e per il Pei. Tuttavia le linee di demarcazione tra vecchia e nuova sinistra non erano poi cos nette, dato che gli estremisti portavano acqua al mulino di due gruppi allinterno della sinistra tradizionale. Come spesso avviene durante i cicli di protesta, le frontiere del settore del movimento sociale non divisero i partiti di sinistra e i sindacati dai lavoratori, dagli studenti e dagli estremisti: esse corsero at traverso di essi, conferendo cos un potere marginale a gruppi che, da soli, non avrebbero avuto il potere di mobilitare un se guito di massa. Chi erano questi gruppi?
La sinistra sindacale

Alla met degli anni Sessanta erano apparsi sia nella Cgil sia nella C isl alcuni intellettuali e dirigenti scontenti delle strategie caute e della mancanza di unit delle loro confederazioni. Anche per loro lautonomia era un simbolo strategico, ed era collegata al tema della centralit della classe operaia. Ma essi interpretavano
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lautonomia non come autonomia degli operai dai sindacati, ma come autonomia dei sindacati dai partiti, non perch fossero in trinsecamente contrari ai partiti politici, ma perch questi ultimi dividevano i sindacati e contribuivano alla loro debolezza nelle trattative con limpresa. Ottenere autonomia dai partiti era un modo per unire i sindacati e un requisito per difendere con ener gia la classe operaia.
La sinistra interna ai partiti

Meno note a quellepoca erano le correnti radicali che stava no emergendo nelle due principali subculture, marxista e catto lica. In alcuni settori della corrente comunista della C gil cera un diffuso scontento per il tiepido anticapitalismo del partito e del suo persistente desiderio di ingraziarsi la classe media. Alcuni sindacalisti comunisti erano stati profondamente influenzati dal le idee avanzate da Quaderni rossi agli inizi degli anni Sessan ta; altri esprimevano idee che non erano distinguibili dalle posi zioni della sinistra sindacale. Una corrente di sinistra apparve anche nella C isl , in partico lare nella sua federazione metalmeccanica, la F im , che cercava con tutti i mezzi di competere da una posizione di minoranza con la F io m . A partire dalla met degli anni Sessanta, un gruppo in terno alla F im cominci a sostenere le azioni di fabbrica militanti e i programmi radicali. Un centro di questa agitazione era la fe derazione milanese della F im , fonte di molte delle idee innova tive che sarebbero state accolte dalle confederazioni sindacali durante il ciclo della protesta industriale. Parte di questa nuova militanza rimase a livello della fabbri ca, ma parte di essa trov espressione in sedi ufficiali dei vari sindacati nazionali. Uno di essi fu Quaderni di Rassegna sinda cale della C gil , un altro era Dibattito sindacale, la rivista del la F im . Gli intellettuali della F im criticavano i dirigenti nazionali della confederazione e teorizzavano il ruolo delloperaio-massa (Cella, Manghi e Piva 1972, pp. 39-46). Alcuni membri della sinistra allinterno dei partiti avevano legami con i critici interni ai sindacati e indirettamente con i gruppi pi etremisti a sinistra, come si pu ricavare da un pam phlet anonimo scritto nel 1967 da un intellettuale comunista vi cino ai sindacati. Come osserva lautore, perch lorganizzazio ne del partito riesca a vivere materialmente in ogni fabbrica,
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occorre prima che il rapporto di produzione riesca a vivere po liticamente nella linea del partito (Accornero 1967, p. 55). Gli apparenti successi dei gruppi estremisti in conflitti indu striali quali quello di Porto Marghera nel 1968 vanno visti al linterno di questo contesto. Tra gli studenti e i gruppi operaisti, dentro e fuori i partiti, i sindacati e i gruppi esterni, vi era un intreccio di obiettiva cooperazione e soggettiva competizione. I gruppi esterni cercarono di utilizzare i loro alleati, gli studenti, per raggiungere i propri obiettivi, consistenti nel creare una pre senza in fabbrica, nel radicalizzare gli operai, nel mettere in im barazzo i sindacati e nel minare legemonia del Pei sulla sinistra. La sinistra sindacale fu pronta a sfruttare questo nuovo attore per far progredire le proprie idee in seno ai sindacati. Persino alcuni membri della sinistra comunista nella C g il e i radicali nella C isl applaudirono alle tattiche dei gruppi esterni, fintantoch essi condividevano lo stesso obiettivo di riportare il Pei al suo ruolo storico di difesa della classe operaia.
Mobilitazione competitiva

Leffetto di questa parziale convergenza tra estremisti allin terno e allesterno dei sindacati fu di legittimare le richieste pi radicali tra quelle poste sul tappeto dai sindacati confederali. Questo in particolare l dove i sindacati erano deboli, come a Porto Marghera (Perna 1980, p. 7) o dove la C gil aveva seguito delle strategie moderate per il bene dellunificazione sindacale, come alla Pirelli (Bolchini 1985, p. 90). In queste aziende vi era una dissidenza locale rispetto alla linea nazionale dei sindacati, e gli esterni ebbero unaccoglienza pi favorevole tra gli iscritti al sindacato. Ma, alla base, i sindacati non erano mai estranei a questo processo di radicalizzazione; era un processo cooperativo e competitivo che superava i confini del settore del movimento sociale. Questo ci porta al cuore del rebus della mobilitazione ope raia. Alcuni teorici dei movimenti sociali hanno sostenuto che lorganizzazione fa diminuire la perturbazione, e cos riduce la mobilitazione e porta la base a ritirarsi. Altri hanno sostenuto che lorganizzazione irrilevante perch la militanza nel luogo di produzione a generare la protesta (Arrighi e Silver 1983). Ma il fatto che le organizzazioni stimolino o diminuiscano la pertur bazione dipende dal tipo di organizzazione e dai rapporti con le altre. Negli Stati Uniti negli anni Trenta, per esempio, i comu
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nisti, i socialisti e il sindacato furono in competizione per gua dagnarsi il consenso operaio nelle industrie dellacciaio e dellau to, nella favorevole struttura di opportunit fornita dal New Deal. Nuove risorse erano state messe a disposizione dagli operai delle miniere (Umw) e dal Wagner Act, il che permise alla Ci di superare, subito dopo la nascita, la soglia organizzativa. Non si trattava di spontaneit scambiata per organizzazione, ma di com petizione organizzativa che generava un grado di perturbazione tale da assicurare nuove risorse e conquiste di classe. In Italia, alla fine degli anni Sessanta, troviamo notevoli pa rallelismi con la situazione negli U sa degli anni Trenta, non solo perch la forza del movimento nacque nel luogo di produzione, ma anche perch la mobilitazione competitiva stava avvenendo in una struttura di opportunit politica in rapida espansione. Da un lato, i piccoli e sparpagliati gruppi esterni coi loro studenti sostenitori e la loro retorica operaista non avrebbero mai potuto organizzare da soli le masse dei lavoratori; dallaltro, lasciati ai loro mezzi, i sindacati avrebbero potuto esimersi dal correre dei rischi fino a quando la sfida della mobilitazione operaia non fosse passata. Ma laccresciuta domanda di lavoro sul mercato, le op portunit politiche in espansione garantite dal centro-sinistra, nonch la competizione per il sostegno degli operai, furono tutti elementi convergenti che, alla fine degli anni Sessanta, produs sero un livello di mobilitazione paragonabile a quello dei sit-down americani negli anni Trenta. Laccresciuto livello di perturbazione del conflitto industria le in questo periodo emerge chiaramente dalla fig. 14. In essa vediamo un piccolo picco e un rapido crollo della perturbazione dopo gli scioperi per il rinnovo del contratto del 1966, seguiti da un netto aumento, un picco elevato nel 1968-69, e un nuovo calo nel 1970-72. Il grado di perturbazione crebbe ancora una volta nel 1973, ma senza mai avvicinarsi al livello del 1968-69. Bench londata del conflitto industriale sarebbe continuata senza soste per tutti gli anni Settanta, questa fu una fase di conflitto molto pi contenuto. Il picco della perturbazione nel 1968-69, quan do le organizzazioni istituzionali (sindacati e partito) e i gruppi esterni confluirono nella militanza degli studenti, degli operai qualificati e non qualificati in una struttura di opportunit poli tiche esplosiva. In che modo la perturbazione delle lotte fu influenzata dalla >resenza di gruppi estremisti dentro e intorno alla fabbrica? Nel[ a tab. 11 calcolato il punteggio medio di perturbazione delle proteste in cui erano presenti svariati modelli e tipi di organiz167

Punteggio medio

Semestre

Fig. 14 - Punteggio medio della perturbazione causata dalla classe operaia, per semestre, 1966-73 Tab. 11 - Grado di perturbazione degli episodi di protesta per numero e tipo di organizzazioni presenti
Punteggio N.

Nessuna organizzazione Uno o pi sindacati Uno o pi gruppi esterni Uno o pi sindacati e uno o pi gruppi esterni Totale episodi

3,3 3,7 8,3 8,8 4,3

2.944 1.351 627 58 4.980

zazione. La tabella chiarisce innanzitutto che i conflitti meno perturbativi erano quelli in cui non era presente nessuna orga nizzazione: la spontaneit non generava perturbazione. In secon do luogo la presenza dei sindacati fa aumentare leggermente la perturbazione; ma, in terzo luogo, la presenza di un gruppo esterno genera la massima perturbazione. Per finire, gli episodi pi perturbativi in assoluto sono quelli in cui sia i sindacati che i gruppi esterni erano in concorrenza per ottenere il sostegno degli operai. La competizione allinterno del settore dei movi
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menti sociali era una causa diretta di perturbazione e dunque dellelevato livello di conflittualit.

3. Le forme di lotta
Le forme tattiche utilizzate negli scioperi dal 1968 in poi hanno una qualche somiglianza con quelle tipiche del movimen to studentesco, ma erano molto pi varie e mescolarono forme convenzionali, perturbative e violente. Secondo Dubois (1978, p. 8), tra queste forme rientravano ripetuti scioperi a livello di reparto, a intervalli regolari o irregolari, fermate del lavoro coor dinate settore per settore che interessavano in modo alterno un reparto o una squadra o laltra, oltrech atti di sabotaggio degli impianti. Nacque tutta una nuova terminologia delle forme di sciope ro, dallo sciopero bianco allo sciopero a singhiozzo, allo sciopero a scacchiera, al corteo interno, al presidio ai cancelli. I difensori della spontaneit pensavano di vedere in questo una virile espres sione del proletariato, mentre in realt queste azioni avevano una logica finalizzata: creare il massimo possibile di perturbazio ne col minimo di spesa di risorse (Dubois 1978, p. 9). Oltre a queste trasformazioni nella forma dello sciopero, gli operai aggiunsero al repertorio tradizionale altre forme netta mente diverse, talvolta intensificando i conflitti allinterno della fabbrica e talaltra estendendoli alla sfera pubblica. Allinterno della fabbrica le occupazioni, i blocchi, le irruzioni e la pratica dellobiettivo dellautoriduzione dei ritmi della catena di mon taggio, sfidarono lautorit dei capi-reparto e il controllo della produzione. Queste tattiche, che da una parte riportavano in vi ta vecchie tradizioni di lotta e dallaltra ne creavano di nuove, si dimostrarono anche un mezzo efficace per evitare la chiusura di fabbriche e le serrate. Le manifestazioni pubbliche conferirono ai conflitti indu striali una valenza politica. Nel passato i sindacati avevano por tato la lotta nelle strade solo quando erano troppo deboli per prevalere allinterno della fabbrica. A partire dallautunno cal do, invece, lattivit esterna non fu un segno di debolezza, ma un modo per pubblicizzare gli scioperi agli occhi del pubblico e della stampa. Gli operai delle fabbriche adottarono sempre pi forme pubbliche e forme espressive dazione e blocchi del traf fico per dare risalto alle loro richieste. Queste dimostrazioni
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spesso contenevano degli elementi di simbologia militare (per esempio, i metalmeccanici spesso tambureggiavano su delle latte o usavano i fischietti durante i cortei), ma contenevano anche importanti elementi di gioco e di teatro e avevano una qualche somiglianza col carnevale tradizionale19. Sia laumento delle forme del conflitto allinterno del luogo di lavoro sia la loro estensione alla sfera pubblica sono illustrati nella tab. 12, che analizza gli episodi di sciopero tratti dai nostri dati per quanto riguarda la percentuale di altre forme dazione al loro interno. La tabella, in realt, sottovaluta il ricorso da parte degli operai alle forme di non-sciopero, dato che esclude tutti i casi in cui non fu osservato nessuno sciopero, e non registra la miriade di modi in cui lo sciopero stesso poteva essere utilizzato (per esempio, sciopero bianco, scioperi a scacchiera ecc.). Anche cos, questa rappresentazione schematica ci permette di vedere il ricco ventaglio di forme dazione delle quali erano capaci gli ope rai in quel periodo.
Tab. 12 - Episodi di sciopero: forme di non-sciopero utilizzate dagli scioperanti (numero di episodi)
Forme dazione
1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973

Manifestazione pubblica (cortei, riunioni) 74 31 28 78 107 97 110 78 Assemblea 10 84 15 40 69 59 43 33 Azioni convenzionali (per es. petizione) 88 14 13 15 37 59 77 87 Azioni perturbative 32 52 118 70 15 72 31 33 Scontri di piazza 20 18 23 34 5 33 16 15 Danni a beni materiali 12 4 13 28 19 12 8 3 Attacco a persone 2 4 10 4 3 19 9 6 Totale altre forme 120 85 257 418 397 372 262 183 Totale episodi di sciopero* 127 117 196 306 319 416 269 224 Rapporto altre forme/scioperi 0,94 0,73 1,31 1,36 1,22 0,89 0,97 0,82
* Gli episodi di sciopero comprendono tutti gli episodi in cui fu registrato iLino sciopero.

19 Lumley (1983, p. 397) scrive che spesso si costruivano pupazzi raffiguranti i capi e che alla fine di marzo alcune effigi dei ministri al governo vennero appese a forche e bruciate davanti ai cancelli delle fabbriche.

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La tabella indica anche che gli operai emersero dal ciclo di protesta con un repertorio di forme dazione pi ampio di quanto non fosse agli inizi. Quando il ciclo and scemando, il loro im piego delle forme dazione pi radicali lirruzione negli uffici della direzione, loccupazione, il blocco del traffico diminu anchesso, ma le forme di azione pubblica cortei, riunioni, petizioni e azioni legali e in particolare lassemblea non furo no mai abbandonate. In realt, tra il 1966 e il 1973, vi fu un aumento pi che doppio nel numero dei raduni pubblici e un aumento pi che triplo nellimpiego dellassemblea. In contrasto con la visione della protesta della classe operaia trasmessa dalla sinistra extraparlamentare, londata di protesta declin in modo relativamente rapido nella sua fase pi radicale, ma la classe lavoratrice ne emerse con un repertorio di forme istituzionali e di espressione pi ampio rispetto al suo inizio. I sindacati non cooptarono e soffocarono la conflittualit della classe operaia, piuttosto la assorbirono nelle forme istituzionali e la utilizzarono per riconquistare la propria base tra gli operai del lindustria.
Sindacati e perturbazione

La tab. 12 chiarisce come la conflittualit interag col periodo di maggiore slancio sindacale. Le forme selvagge dazione occupazioni, violenza, perturbazione della catena di montaggio cominciarono ad apparire nel 1968, quando i sindacati erano ancora troppo deboli per trarre vantaggio dal potenziale di mo bilitazione della classe operaia. Ma queste forme dazione con tinuarono a essere utilizzate nel corso del 1969 quando i sinda cati stavano gi conducendo gli scioperi per il rinnovo dei contratti nazionali. In altri termini i sindacati pi che frenare la conflittualit integrarono nelle loro campagne le forme radicali dazione. Il periodo port anche a un aumento del conflitto a livello della singola fabbrica e azienda. Nel passato le ondate di sciopero avevano accompagnato i periodi di trattativa per il contratto na zionale. Ma verso la fine del decennio gli operai cominciarono a considerare gli accordi di contratto raggiunti a livello nazionale non come un tetto ma come le basi a partire dalle quali costruire degli accordi pi vantaggiosi a livello di singola fabbrica e azien da. Il crescere del conflitto a livello di base riportato nella fig. 15, nella quale gli scioperi sono suddivisi tra quelli osservati solo
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a livello locale e quelli organizzati a livello nazionale. La curva superiore mostra un netto aumento percentuale degli scioperi lo cali alla met del 1968 e un altro dopo la met del 1970, quando le trattative per il contratto del 1969 erano gi terminate. Le due curve si avvicinano nuovamente quando la mobilitazione declina alla fine del periodo.
Numero

Semestre

Fig. 15 - Numero degli scioperi a livello nazionale e locale per semestre, 1966-73

Quello che vediamo nella fig. 15 non il sostituirsi della spontaneit agli scioperi condotti dai sindacati, quanto la decen tralizzazione di un processo prevalentemente condotto dai sin dacati. Come conclude Beccalli a partire dal suo studio dei me talmeccanici a Milano, i dati confermano un forte rapporto di iniziativa e di controllo tra il conflitto a livello di fabbrica e quel lo condotto dai sindacati (Beccalli 1971, pp. 109-10). Beccalli evidenzia anche il ruolo importante svolto dai sindacati nel dif fondere la conflittualit da impianti grandi e centrali a impianti piccoli e periferici. Mentre i sindacati potevano rappresentare un freno alla conflittualit al centro, allo stesso tempo potevano fungere da suo detonatore nella periferia. Lo stretto rapporto tra azione sindacale e conflitto industria le decentralizzato significa che, malgrado fossero i gruppi esterni e gli studenti a svolgere un ruolo importante nellaumentare la perturbazione nella parte superiore della curva della mobilitazio ne (1967-69), essi furono sempre pi estranei ad essa via via che i sindacati impararono a cavalcare la tigre della mobilitazione di massa. Come vedremo nei capitoli successivi, labilit dei sin dacati nellegemonizzare il conflitto industriale dopo il 1969 e
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lincapacit delle organizzazioni dei movimenti sociali di compe tere con successo con essi per conquistare il sostegno della classe operaia avrebbero molto contribuito al tragico esito della vicen da della sinistra extraparlamentare alla met degli anni Settanta. Chiariamoci bene: i sindacati furono certamente colti di sor presa dallondata di militanza scoppiata nelle fabbriche dell'Ita lia settentrionale nel 1968. Ma essi erano tuttaltro che inconsa pevoli della fondatezza delle richieste della classe operaia. Alcuni di loro stavano attivamente dibattendo e sperimentando mezzi per esprimere le nuove richieste degli operai ancor prima del 1968. Questo era particolarmente vero per la sinistra sindacale, ma era anche vero per i sindacati nel loro complesso. Di conse guenza, e come esito del processo di unificazione competitiva nel quale erano coinvolti, gi a met del 1970 essi avevano nuova mente il pieno controllo della protesta industriale.

4. Conclusioni
I conflitti industriali degli anni 1968-72 furono un momento di rottura nelle relazioni industriali italiane, che per alcuni aspet ti and in parallelo col movimento degli studenti universitari. Ma, a differenza degli studenti, la mobilitazione degli operai non fu il risultato del rifiuto o del decadimento di organizzazioni in capaci di adattarsi a una situazione politica radicalmente nuova. Gli operai potevano non appartenere al sindacato, potevano an dare contro la posizione del sindacato in un dato luogo e mo mento, ma raramente erano /-sindacato, se non per quella fra zione seguace di gruppi estremisti al di fuori dei sindacati e del sistema dei partiti. Nel momento in cui il ciclo di conflitto in dustriale inizi cera allinterno dei sindacati un numero di spiriti in rivolta sufficiente a mettere il sindacato stesso nella posizione dellapprendista stregone del movimento operaio. Ma i sindacati sarebbero riusciti in questo, senza la mobili tazione di massa del 1967-69 o senza il movimento studentesco, che forn ai gruppi estremisti e al sindacato leve fresche di atti visti? Se il sindacato era un apprendista stregone, chi era lo stregone, loperaio specializzato davanguardia, loperaio-massa, i gruppi estremisti coi loro sostenitori studenti o la sinistra sin dacale e comunista? Una storia che ricostruisca i fatti senza tener conto del con tributo di uno qualsiasi di questi attori principali e delle intera
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zioni tra di loro sarebbe una sterile impresa. Quello che sembra chiaro che la mobilitazione di massa innescata dalla pertur bazione, e la perturbazione era elevata in Italia alla fine degli anni Sessanta perch svariati gruppi erano in gioco e compete vano per conquistarsi il sostegno degli operai, in presenza di pro fonde trasformazioni, di un mercato del lavoro contratto e di opportunit politiche nuove. Londata di mobilitazione indu striale non era n un nuovo movimento che prendeva il posto dellistituzione sindacale, n lesito autonomo degli sforzi de gli stessi sindacati. In un ciclo di protesta, infatti, la linea di demarcazione tra movimenti e istituzioni si fa confusa. Come vedremo nel capitolo seguente, alcuni dei movimenti pi ricchi di risorse e di efficacia appaiono allinterno delle istituzioni pi potenti.

Vili

IL PI VECCHIO DEI NUOVI MOVIMENTI

Sta avvenendo una sorta di rivoluzione culturale, incentrata non nelle organizzazioni politiche [...] ma in comunit [...] nate al di fuori, ai margini o anche allinterno della stessa vecchia istituzione. Il loro comun denominatore la riappropriazione del Vangelo. (Balducci 1976) Quali segnali stanno a indicare che un ciclo di protesta si va diffondendo a unintera societ? Uno di essi certamente rap presentato dagli studenti che disertano le aule e occupano le fa colt, un altro dagli operai che abbandonano il lavoro e sfidano i capi. Ma queste manifestazioni, per quanto radicali o dramma tiche, potrebbero verificarsi ai margini di una societ ben salda, senza in alcun modo coinvolgere le istituzioni che la sostengono. Solo quando queste istituzioni come la famiglia o la Chiesa sono percorse da ondate di contestazione segno che un ciclo di protesta ha investito tutta la societ. Negli ultimi anni molti studiosi occidentali si sono soffermati sui nuovi movimenti emersi dal crogiuolo della fine degli anni Sessanta, in particolare sui movimenti pacifisti, ambientalisti e femministi che divennero preminenti negli anni Settanta. Origi nati comerano in seno alla nuova classe media, e ispirati da temi post-material, questi movimenti sarebbero stati un prodotto del capitalismo avanzato. La loro novit consisterebbe nella nasci ta di organizzazioni informali, decentralizzate, nel ricorso a mez zi radicali dazione e nel rifiuto delle ideologie sistematiche in favore di un tipo di pragmatismo radicale. Essi avrebbero crea to un nuovo paradigma politico, o almeno cos si sostenuto (Offe 1985). Gli studiosi dei nuovi movimenti sociali avevano contrappo sto le loro innovazioni radicali a quelle dei vecchi movimenti,
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quali il movimento operaio, che consideravano uniclasse, centra lizzato e convenzionale nella sua azione. Questa contrapposizio ne pu essere esagerata per almeno due ragioni. Innanzitutto, come abbiamo visto nellultimo capitolo, nei periodi di mobili tazione di massa il movimento operaio mostra molte delle carat teristiche che questi teorici riservano ai nuovi movimenti so ciali; in secondo luogo i nuovi movimenti ricorrono anchessi a tattiche convenzionali oltrech radicali, avanzando obiettivi strumentali e non solo espressivi, e praticando la politica con la stessa abilit con cui la rifiutano in teoria. Come possiamo spiegare la mescolanza di tratti vecchi e nuovi in questi due movimenti, che dovrebbero conformarsi a modelli molto diversi? Una possibile risposta ci viene dallinserire i nuovi movimenti sociali nel contesto storico di un ciclo di protesta. Infatti, al pari del vecchio movimento operaio com parso nellOttocento, i nuovi movimenti sociali degli anni Set tanta nacquero in un periodo di generale perturbazione e disor dine sociale. Nei cicli di protesta anche i vecchi movimenti esibiscono una combinazione di azioni convenzionali e innova tive, di forme decentralizzate di organizzazione, nonch di obiettivi strumentali ed espressivi. Alla met degli anni Sessanta ebbe inizio un nuovo processo di dissenso allinterno della Chiesa. Esso fu stimolato dal Con cilio Vaticano II, dalla teologia della liberazione e dal recluta mento di nuovi gruppi sociali ed etnici. Ma fu anche influenzato dallondata di protesta al di fuori della Chiesa e godette del so stegno di molti dei militanti dei movimenti precedenti. Cos i nuovi movimenti religiosi ebbero molte delle caratteristiche del ciclo generale di protesta. Le origini di questi movimenti, le loro forme dazione, le loro vicende furono profondamente influen zate dalle opportunit politiche e dalle tensioni che percorrevano la societ italiana. E anche nella Chiesa, listituzione pi protetta dalla societ civile, la protesta ben presto entr in conflitto con lo Stato.

1. Il dissenso religioso nel ciclo italiano


Nel 1967-68, in varie parrocchie disseminate in tutta Italia, dei comuni fedeli si riunirono per dimostrare contro la gerarchia della Chiesa. Cosa gener questa rivolta di dissenso religioso? Novantatr degli episodi di protesta nel nostro archivio sono sta
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ti classificati come coinvolgenti la religione, la Chiesa o attori religiosi. Lanalisi qualitativa di questi episodi dimostra che essi ebbero origine da tutta una serie di conflitti, ma che molti gra vitavano intorno alla questione dellautonomia dei credenti. Un primo gruppo di proteste religiose riguardava la condi zione delle chiese o la mancanza di attenzione per le loro esigen ze da parte della gerarchia ecclesiastica. Erano episodi prevalen temente pacifici, ma talvolta le tattiche usate furono radicali. Un caso drammatico si verific a Cesena nel 1967 quando una bom ba venne installata nei pressi di una chiesa pericolosamente in rovina (Corriere della Sera, 26 aprile 1967). Altre richieste di nuove chiese a Pordesca (Corriere della Sera, 5 novembre 1969) e a Locri (Corriere della Sera, 4 novembre 1969) furono tuttavia meno violente. Un secondo gruppo di proteste riguard alcune decisioni am ministrative della Chiesa o la loro attuazione. Ad Amalfi (Cor riere della Sera, 13 maggio 1971), i parrocchiani chiesero la no mina di un nuovo vescovo. A Policastro (Corriere della Sera, 25 agosto 1970) protestarono contro la decisione della Chiesa di abolire la loro diocesi. A Bologna con una serie di scioperi (Cor riere della Sera, 27 aprile 1968) si protest contro il trasferi mento di un giornale cattolico in unaltra citt. Una terza cate goria di proteste riguard il trasferimento, presumibilmente per ragioni politiche, di sacerdoti. A Napoli svariate centinaia di par rocchiani impedirono a un sacerdote di nuova nomina di entrare nella sua chiesa dopo che il precedente era stato trasferito (Cor riere della Sera, 6 aprile 1967). Vicino a Brindisi un gruppo di donne fece una veglia di preghiera per protestare contro il tra sferimento del loro sacerdote a unaltra citt (Corriere della Sera, 26 ottobre 1968). A Milano in occasione del trasferimen to di cinque sacerdoti fu organizzata una manifestazione in loro favore (Corriere della Sera, 2 ottobre 1968). Ma i parrocchiani potevano anche protestare contro i loro sa cerdoti o il loro comportamento. A Pregnana, cittadina alle porte di Milano, la gente blocc una strada per chiedere le dimissioni del parroco (Corriere della Sera, 22 giugno 1972). A Villa La tina vicino a Frosinone un sacerdote fu cacciato via dagli abitanti perch era, come eufemisticamente dissero, il pi esoso della regione (Corriere della Sera, 3 luglio 1973), e a Firenze i par rocchiani dellIsolotto, opponendosi a un prete mandato dal ve scovo a dir messa, lo convinsero a tornarsene indietro (vedi di seguito). Una quarta categoria di proteste fu a favore o contro politi
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che governative o vaticane. Molte di esse, che coinvolgevano la Lega italiana per il divorzio, da una parte, e i cattolici tradizio nalisti, dallaltra, si incentrarono sul dibattito parlamentare sul divorzio che culmin nella legge Fortuna-Baslini e in un referen dum abrogativo. Ma altri episodi si riferirono alla legalizzazione dellaborto (Corriere della Sera, 16 settembre 1966), allosce nit nei film (Corriere della Sera, 11 gennaio 1969), o alla pro testa contro il potere economico della Chiesa (Corriere della Sera, 16 ottobre 1969). Ci furono anche due attacchi contro gli ebrei, ma sei proteste contro lantisemitismo. Le proteste contro il potere istituzionale della Chiesa diven nero sempre pi frequenti nel 1968 e 1969. Molte furono contro il Concordato che regolava i rapporti tra Chiesa e Stato, nel qua rantesimo anniversario della sua firma (Corriere della Sera, 12 febbraio 1969). Una serie di proteste nel 1968 fu contro la rigida struttura del potere della Chiesa e il fatto che i fedeli non aves sero un ruolo al suo interno (Corriere della Sera, 15 settembre e 23 ottobre 1968). I tradizionalisti talvolta protestarono anche contro la modernizzazione della liturgia (Corriere della Sera, 25 ottobre 1971). Come ci si potrebbe aspettare in campo religioso, molte delle proteste erano altamente espressive per tema e forme dazione. Un certo numero di dimostrazioni spettacolari fu tenuto contro la mercificazione del Natale, tra cui quella di Milano alla vigilia di Natale, descritta nel capitolo V (Corriere della Sera, 23 di cembre 1968), mentre un anno dopo a Monza un gruppo di gio vani cattolici tenne una veglia di lutto per la morte del Natale (Corriere della Sera, 27 dicembre 1969). A Roma i dimostranti marciarono in favore di un antipapa (Corriere della Sera, 9 settembre 1969), e una serie di misteriose bombe fu di protesta contro lesistenza stessa della religione (Corriere della Sera, 22 settembre 1970). Nella tab. 13 sono state classificate 86 proteste religiose per le quali abbiamo dettagliate informazioni tratte dal Corriere della Sera che abbiamo suddiviso in sette categorie princi pali. Come mostra la tabella le proteste contro particolari poli tiche governative o ecclesiastiche erano molto frequenti, in par ticolare sul tema del divorzio. Ma il numero di episodi di gran lunga maggiore fu organizzato contro la struttura interna della Chiesa cattolica, vuoi direttamente contro il potere della Chiesa, vuoi indirettamente contro il trasferimento dei sacerdoti per ra gioni politiche.
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Tab. 13 - Strutture delle richieste delle proteste riguardanti la religione, la


Chiesa o temi religiosi
Tipo di richiesta

N. 8 16 14 7 6 20 15 86

Condizione delle chiese, attenzione ai parrocchiani 9,3 18,6 Pro o contro il sacerdote della parrocchia 16,3 Pro o contro il divorzio 8,1 Altre politiche pubbliche 7,0 Antisemitismo, Israele 23,3 Istituzioni della Chiesa 17,4 Antireligione* 100,0 Totale * Le bombe esplose nelle chiese sono state classificate come antireligione.

Perch queste proteste apparvero proprio allora? Sin dagli inizi degli anni Sessanta i cattolici dissidenti stavano comincian do a liberarsi della loro dipendenza dalla Chiesa e dal partito democristiano. Alcuni dissidenti apparvero anche nelle Acli e nella C isl, che erano state create come bastioni contro il comu niSmo, mentre una nuova organizzazione studentesca, la Gs, di venne un vivaio di futura militanza. In quegli anni si assistette a unesplosione di nuove pubblicazioni: Il Regno a Bologna, Rocca ad Assisi, Il Tetto a Napoli, Dopoconcilio a Trento (Sciubba e Pace 1976, p. 24). Ma la protesta aperta nella Chiesa apparve solo dopo che gli studenti ebbero cominciato a fare cortei, dimostrazioni, occupa zioni di facolt in tutto il paese. Se i temi del dissenso religioso circolavano da oltre un decennio nella Chiesa cattolica, ci volle lesempio del movimento studentesco, e in particolare la presen za di giovani cattolici al suo interno, per trasformare in lotta il potenziale di conflitto con la gerarchia.
La Cattolica di Milano

Il modo in cui il movimento degli studenti si trasfuse nella Chiesa pu essere illustrato dalla contestazione studentesca a Milano. Essa inizi alla Cattolica intorno a un tema totalmente
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estraneo alla religione: un aumento delle tasse scolastiche1. Nel novembre 1967 un numero di giovani attivisti compreso tra i cento e i duecento, molti dei quali erano ex-appartenenti allAzione cattolica o alla Gs, occuparono luniversit (Corriere della Sera, 16 novembre 1967). Il rettore chiam subito la polizia, fece sgombrare gli occupanti ed espellere i loro leader. I rappresentanti degli studenti, con un linguaggio e un sim bolismo che chiaramente derivavano dal loro retroterra di mili tanti cattolici, espressero indignazione, dolore e profonda co sternazione umana, civile e cristiana di fronte al comportamento delle autorit (citato in Lumley 1983, p. 185). Il linguaggio uti lizzato, oltre ad esprimere la volont dei protestanti di utilizzare il simbolismo della propria religione per mettere in imbarazzo politico la Chiesa, era anche venato dironia2. Agli inizi del 1968 il conflitto si era diffuso dalla Cattolica alla Chiesa milanese in generale. In aprile un gruppo di studenti irruppe in una riunione di cardinali per protestare contro la re sistenza della Chiesa alla riforma (Corriere della Sera, 1 aprile 1968). A giugno una bomba incendiaria fu lanciata a San Babila per protestare contro Inattivit criminale della Chiesa (Cor riere della Sera, 11 giugno 1968). La vigilia di Natale la messa di mezzanotte venne disturbata (Corriere della Sera, 27 dicem bre 1968).
La diffusione della protesta religiosa

Ma il movimento studentesco e i suoi nuovi virgulti non fu rono gli unici elementi che infiammarono i movimenti religiosi in Italia. Vi fu una nettissima correlazione tra il livello del conflitto civile e industriale in varie province e lo scoppio di proteste re ligiose. L dove erano diffusi la contestazione, la protesta socia le, gli scioperi e le manifestazioni contro le autorit finirono col formarsi nuovi aspetti del dissenso cattolico, come possiamo ve dere nella fig. 16, nella quale abbiamo riportato per ciascuna del le 92 province italiane sia la percentuale di azioni collettive ge1 II mio resoconto degli eventi alla Cattolica si basa sulla intelligente rico struzione di Lumley nel capitolo IX della sua tesi (1983). Sono anche grato a Bruno Dente e Ida Regalia per le riflessioni su questo episodio di cui mi hanno fatto parte. 2 Colloquio personale con Ida Regalia, che fu una di queste ex-militanti cat toliche, Ithaca, New York, 17 novembre 1987.

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nerali tra il 1966 e il 1973 sia la costituzione di nuove comunit di base dissidenti (R2 = 0,426). Fig. 16 - Episodi di protesta locale 1966-73 e comunit religiose locali in
esistenza nel 1977*
800

600

(0

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0
0 5 10 15 20 25
Comunit religiose locali

* I dati sul numero delle comunit religiose locali sono tratti da Sciubba e Pace (1976).

Era a Firenze che il dissenso cattolico aveva le radici pi pro fonde. Un esame delle comunit di base cattoliche della citt ri vela che la prima di esse risale al 1957, molto prima che il mo vimento studentesco fosse una realt. Altre due, a Peretola e a Le Bagnese, esistevano gi agli inizi degli anni Sessanta. Ma solo alla fine di quel decennio queste comunit cominciano a comparire sulla stampa nazionale, perch sfidano la gerarchia con azioni
3 I dati sulle comunit religiose sono tratti dalleccellente ricostruzione di Sciubba e Pace (1976).

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collettive e sollevano il tema fondamentale del governo della Chiesa. Gli eventi pi spettacolari si verificarono alla fine del 1968 e nella prima met del 1969, ed ebbero come protagonista il primo di questi gruppi, la comunit di base della chiesa parrocchiale dellIsolotto. Il conflitto ebbe inizio con la sospensione di un prete della parrocchia, ma nel suo svolgersi tocc la maggior par te dei conflitti sopra riferiti e coinvolse le autorit a tutti i livelli della Chiesa italiana e del Vaticano, oltrech lautorit giudizia ria e civile4.

2. Si pu rimuovere un prete, non tutto un popolo!


In una grande piazza nei pressi dellArno alla periferia di Fi renze sorge il moderno edificio di una chiesa color ocra come il fiume, dalla forma goffa e dalla facciata per nulla invitante. Al centro della piazza c un chiosco per i giornali e un sagrato sul quale si svolge la maggior parte della nostra vicenda. Accanto alla chiesa, in un edificio ancor pi triste, ci sono la residenza e gli uffici del parroco. LIsolotto non una parrocchia come tante. Nel quartiere, nella citt, nella regione e nella Chiesa fiorentina esistono a un tempo solidariet e conflitti che sono particolarmente favorevoli alla formazione di un nuovo movimento sociale5.
Il quartiere

LIsolotto un quartiere prevalentemente operaio nato da un raro atto di programmazione urbana. Alla met degli anni Cin
4 Questa parte della discussione riassume una narrazione pi lunga tratta dal mio Old Movements iti New Cycles of Protest, in Klandermans, Kriesi e Tarrow (a cura di), 1988. 5 II paragrafo che segue si basa su colloqui personali con appartenenti alla comunit religiosa dellIsolotto e con padre Ernesto Balducci e Danilo Zolo, non ch sulle seguenti fonti pubblicate: Baldelli 1969; Il Ponte 1971; Sciubba e Pace 1976; Seidelman 1979; Comunit dellIsolotto 1968, 1969 e 1971; Taurini 1968, 1969 a e b e 1970; Zolo 1970. Sono grato a Margherita Perretti per il suo aiuto nel riunire questi materiali.

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quanta il sindaco La Pira programm un nuovo quartiere di case a basso costo e a bassa densit, con spazi aperti e parchi lungo lArno. Riempitosi ben presto di appartenenti alla classe operaia fiorentina, di rifugiati dallIstria, di immigrati meridionali e di ex-contadini toscani, lIsolotto aveva delle attrezzature sociali molto carenti alla fine degli anni Cinquanta, quando il cardinale Elia Della Costa costru una moderna chiesa parrocchiale e chie se a un energico giovane sacerdote, Enzo Mazzi, di assumersene lincarico (Comunit dellIsolotto 1969, dora in poi citata come Isolotto 1969). In mancanza di una rete sociale sviluppata era naturale che la chiesa parrocchiale divenisse un punto focale, e logico che il tema dellunit unit tra i parrocchiani, tra gente del Sud e del Nord, tra ex-contadini e operai e tra tutti questi e listituzione della Chiesa avrebbe caratterizzato linsegna mento di Mazzi e dei suoi collaboratori (Isolotto 1969, parte II)6. Nel 1966, quando vi fu lalluvione, la comunit partecip ai comitati nati per affrontare lemergenza (Sciubba e Pace 1976, p. 28; Isolotto 1969, parte III).
La citt e la regione

Don Mazzi e i suoi collaboratori dovevano molto dei loro primi successi al clima progressista del comune, guidato da un sindaco cattolico che si ispirava a San Francesco. Difficilmente le cose potevano essere diverse in una regione con una lunga tra dizione di sinistra. La predominanza di immigrati recenti nel quartiere molti provenienti dal Sud dava al suo cattolice simo popolare la possibilit di far presa sulla gente, purch si mantenesse in contatto con le proprie radici popolari. Lattivit politica di don Mazzi fu inizialmente organizzata in sostegno del movimento americano per i diritti civili, contro la guerra del Vietnam e a favore del diritto dei cattolici di votare per chi vo levano (Sciubba e Pace 1976, p. 27; Isolotto 1969, pp. 34-37). Don Mazzi e i suoi collaboratori stupirono anche il clero locale rifiutandosi di accettare un compenso per tenere battesimi o ma trimoni, e offesero la Chiesa aprendo la casa parrocchiale a orfani senza casa.
6 Come scrive Baldelli (1969, p. 152): Il municipio era lontano e le esigenze locali erano ignorate [...] cos lassemblea religiosa divenne lunico posto del quar tiere in cui la gente si poteva riunire e parlare.

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La Chiesa fiorentina

Della Costa era disposto a sostenere la causa dei poveri, an che quando questo lo metteva in conflitto con la borghesia della citt. Era in questo clima di cattolicesimo progressista che erano cominciati esperimenti quali quello della scuola di Barbiana di don Milani, una delle figure pi influenti degli anni Sessanta. Il suo Lettera a una professoressa (Scuola di Barbiana 1967) stato definito il testo probabilmente pi influente nel movimento studentesco (Lumley 1983, p. 194). In esso don Milani cercava di coniugare apprendimento e democrazia, scrivendo attraverso le voci dei bambini, che, a suo dire sono stati esclusi dalla loro societ non solo a causa di processi economici ma anche cultu rali (Lumley 1983, p. 195). Don Milani era solo il pi in vista di un gruppo di sacerdoti toscani spesso provenienti da un re troterra della classe pi bassa e quasi sempre operanti in quartieri poveri che si consideravano al servizio del popolo di Dio, e non della Chiesa di Roma7. Nel corso degli anni Sessanta linfluenza della sinistra catto lica cominci a contare meno nella politica della citt e nella Chiesa. In Arcivescovato lanziano Della Costa venne affiancato e alla sua morte sostituito da Ermenegildo Fiorii, un pre lato pre-conciliare il cui pregiudizio contro la politica non gli imped di lasciare che gli attivisti dellAzione cattolica utilizzas sero le chiese per il loro messaggio anticomunista. Ben presto sacerdoti progressisti quali Balducci, Borghi e Milani stavano perdendo influenza ed erano costretti al silenzio o al semiesilio (Baldelli 1969, p. 151). In seguito alla trattativa per la coalizione di centro-sinistra a livello nazionale, la sinistra cattolica perse il controllo dellam ministrazione della citt, perch la destra democristiana pens che ora avrebbe potuto governare senza il carismatico La Pira. Cos, proprio nel momento in cui un ciclo di protesta si stava diffondendo in tutto il paese, incoraggiando lattivismo tra i gio vani cattolici di sinistra, la gerarchia fiorentina e la classe politica locale si stavano alleando contro il cattolicesimo progressista. Fu in questa contraddizione fra la tradizione progressista, un ciclo nazionale di protesta e condizioni locali in mutamento che ma tur il caso della comunit dellIsolotto.
7 Altri importanti esponenti progressisti nella Chiesa toscana erano Giulio Facibeni, Divo Barsotti ed Ernesto Balducci.

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La cattedrale di Parma Parma, 14 settembre 1968. Quaranta studenti entrano nellim ponente cattedrale romanico-lombarda, dispongono in circolo un gruppo di sedie e cominciano a discutere tra loro della povert, dellimpotenza dei laici nella Chiesa e dellautoritarismo della ge rarchia (Corriere della Sera, 16 settembre 1968). Entrano nel la cripta, dove tentano di partecipare alla celebrazione della mes sa. Quando il sacerdote officiante rifiuta di lasciarli intervenire, viene chiamata la polizia e secondo uno schema che stava di venendo familiare nelle occupazioni universitarie in tutto il pae se gli studenti vengono fatti sgomberare. Papa Paolo VI in persona leva la voce a denunciare il loro comportamento perch mina la Chiesa di Dio8. Firenze, 22 settembre. Messaggi di solidariet con gli occupanti di Parma arrivano da comunit di base sparse in tutto il paese (Sciubba e Pace 1976, p. 31). AllIsolotto un gruppo di parroc chiani si incontra per discutere delloccupazione di Parma e della reazione della gerarchia. Dopo animate discussioni si decide di mandare una lettera aperta di solidariet agli occupanti. In essa non solo si esprime simpatia per gli studenti, ma si condanna lazione delle autorit religiose di Parma, chiedendo che la Chie sa rinunci ai suoi legami con il sistema iniquo che si fonda sullo sfruttamento delluomo sulluomo (Isolotto 1969, pp. 152-56). La lettera firmata da 150 parrocchiani. Bench la firmino tutti e tre i sacerdoti, essa reca il marchio inconfondibile dellinsegna mento di don Mazzi: la Chiesa-istituzione accusata di separarsi dal popolo di Dio e di inchinarsi al potere del denaro. 5 ottobre. La reazione della gerarchia immediata e netta. Il cardinale Florit, ignorando le altre firme in calce alla lettera aper ta, invia una lunga lettera ufficiale a don Mazzi in cui critica la sua interferenza in cose che sono al di fuori dellambito della sua parrocchia, e gli chiede di ritrattare o dare le dimissioni per la fine di ottobre. La lettera cos conclude: O sei disposto a ritrat tare pubblicamente un atteggiamento cos offensivo verso lAutorit della Chiesa, come quello assunto con la lettera aperta del 22 settembre, [...] oppure, riconoscendo che assurdo con
8 Corriere della Sera, 15 settembre 1968, p. 5. Per un trattamento detta gliato e che guarda con simpatia gli studenti, cfr. il volume La cattedrale occupata (I Protagonisti 1969). Cfr. anche Sciubba e Pace 1976, pp. 30-31.

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tinuare a far parte di strutture cos violentemente condanna te, intendi dimetterti dallUfficio di parroco (Isolotto 1969, pp. 156-59). 9 ottobre. Si tiene unassemblea nella chiesa parrocchiale per discutere la lettera del cardinale. Le duecento persone circa che vi partecipano sono confuse riguardo alla linea da assumere, e lincontro finisce senza che si giunga a un accordo. Viene indetto un secondo incontro per il 12 ottobre, nel quale viene esaminata la lettera di fronte a un pubblico ora divenuto di trecento per sone. In un terzo e ancor pi affollato incontro, il 19 ottobre, viene approvato il documento finale che viene poi distribuito a tutte le famiglie dellIsolotto (Isolotto 1969, pp. 167-70).
Mobilitazione di un seguito

La conclusione della vicenda con una tranquilla ritrattazione o col trasferimento di don Mazzi a unaltra parrocchia resa im possibile dai mezzi di comunicazione di massa. La lettera del car dinale arriva alla stampa ed pubblicata su La Nazione sotto il titolo Don Mazzi sconfessato dal Cardinale (Isolotto 1969, p. 171). Il peso simbolico del termine sconfessato non sfugge a questa comunit cattolica che immediatamente si mobilita intor no a don Mazzi, che ora non pi solo un sacerdote dissidente, ma una vittima d e\Y establishment fiorentino. 23 ottobre. Larticolo della Nazione offende la nuova co scienza cattolica, e non solo a Firenze. A Parma avviene una se conda occupazione della cattedrale, questa volta per chiedere la partecipazione diretta dei parrocchiani al processo decisionale della Chiesa (Corriere della Sera, 24 ottobre 1968). AllIsolotto, alle quattro del pomeriggio dello stesso giorno in cui uscito larticolo su La Nazione, la chiesa e il sagrato sono gremiti di abitanti del quartiere e di altre persone perlopi non credenti che annotano i nomi e gli indirizzi di chi disposto a lavorare in difesa di don Mazzi. Alle otto di sera hanno firmato quasi mille volontari (Isolotto 1969, p. 171). 24 ottobre. Su La Nazione appare un comunicato stampa del Vaticano in cui don Mazzi minacciato di sospensione a divinis se non ritratta la lettera di solidariet agli occupanti della catte drale di Parma, una lettera che don Mazzi ha attribuito al po
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polo di Dio. Nella chiesa si raduna una folla che decide di co minciare a pubblicare un notiziario alternativo e un giornale murale che ben presto apparir quasi giornalmente in tutta Fi renze. Queste mosse riproducono quasi esattamente ci che era successo durante le prime fasi delloccupazione della Cattolica la primavera precedente. LIsolotto diventa ora un punto dattra zione per giovani, operai, casalinghe, cattolici dissidenti, mili tanti formatisi nelle occupazioni universitarie.
Alleanze e avversari

Poco dopo cominciano ad arrivare allIsolotto centinaia di messaggi di solidariet. Alcuni conducenti di autobus residenti nel quartiere organizzano un incontro con i loro colleghi, nel quale vengono analizzati, attraverso gli eventi dellIsolotto, i problemi della Chiesa. Operai locali distribuiscono volantini ai cancelli delle fabbriche in cui si preannunciano delle assemblee. Gli operai della Galileo votano una mozione di sostegno a don Mazzi e alla comunit, mentre la fabbrica Gover entra in scio pero per solidariet (Isolotto 1969, pp. 173-98; Corriere della Sera, 9 novembre 1968). 31 ottobre. Il giorno in cui scade lultimatum del cardinale, a unassemblea serale partecipa quello che la comunit giudica un pubblico di diecimila persone. Gli incontri informali e impetuosi della prima parte del mese ora cedono il passo a unassemblea disciplinata e ben organizzata, con un servizio dordine, posti a sedere ordinati per caseggiato e posto di lavoro, nonch un pro gramma di discorsi ufficiali. Gli oratori rappresentano gruppi di famiglie, operai delle fabbriche, uomini della strada. Con un oc chio alla stampa, la comunit garantisce che nellelenco degli ora tori ci sia un equilibrato dosaggio tra persone delle classi popo lari, casalinghe, studenti e laici, nonch militanti. Don Mazzi riceve una lettera di simpatia, attentamente sop pesata, firmata da 93 colleghi sacerdoti. Nel suo indirizzo di sa luto, torna sul tema dellunit e dellamore che ha informato tut ta la sua attivit: Siamo uniti e ci vogliamo bene perch abbiamo cercato di mettere la nostra vita a servizio degli umili (Isolotto 1969, pp. 198-201). Bench in perfetta armonia con la sua fede, il discorso anche una buona mossa politica: infatti, fino a quando il popolo di Dio ad alzare la propria voce contro la gerarchia, gli attacchi del cardinale possono essere considerati
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attacchi a tutta la comunit. Come tutti i leader dei movimenti sociali, don Mazzi identifica la propria lotta con quella di un corpo solidale che vede i propri diritti calpestati da unautorit ingiusta. Il suo quadro di riferimento interpretativo ancora tra dizionale, ma ora ampliato cos da sfidare la Chiesa-istituzione. Lassemblea del 31 ottobre vota una risoluzione in otto punti accettata per acclamazione. In questo documento la comunit si assume la responsabilit degli atti di cui stato accusato don Mazzi e sottolinea lunit dei parrocchiani coi loro sacerdoti. Continua con lammonire il cardinale che solo perch egli di stante dal suo popolo, pu condannarlo, e lo invita a venire a condividere la loro esperienza, che certamente gli chiarir ler rore dei suoi atteggiamenti (Isolotto 1969, pp. 223-24). La fonte della saggezza passata dalla gerarchia alla base. 14 novembre. In una lettera ufficiale il cardinale Florit, facen dosi forte di citazioni della legge canonica, notifica a don Mazzi che un vescovo non pu prendere in considerazione i desideri di una comunit nel tutelare uno dei suoi sacerdoti. Egli rifiuta non solo la posizione di don Mazzi, ma anche quella dei sacerdoti secondo cui i membri della Chiesa sono congiuntamente re sponsabili delle sue decisioni (Isolotto 1969, p. 233). La richie sta di un incontro del popolo col vescovo, nel particolare presen te e nel modo proposto, contraria al buon ordinamento della comunit ecclesiale scrive Florit (Isolotto 1969, p. 234). Con clude chiedendo unultima volta che il suo sacerdote riconsi deri il proprio atteggiamento (Isolotto 1969, p. 235).
Polarizzazione Fine di novembre - inizi di dicembre. La comunit pubblica un nuovo catechismo, Incontro a Ges (Isolotto 1968), pieno di ri

ferimenti alla Chiesa dei poveri e allesigenza di lottare contro un mondo governato dal denaro. Il cardinale ne impedisce im mediatamente ladozione, ma degli stralci di esso finiscono per circolare alla Cattolica, dove utilizzato per chiedere la fine del controllo della Chiesa sulluniversit e labolizione del requisito per cui chi si iscrive a quella universit deve essere cattolico (Lumley 1983, p. 193). 4 dicembre. Don Mazzi riceve dalla curia il decreto di sospen sione dalla sua carica di sacerdote. Nel suo notiziario del 5 di
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cembre la comunit risponde: stato colpito il pastore per di sperdere il gregge. Il gregge non si disperder (Isolotto 1969, p. 262). I tentativi di mediazione dei sacerdoti della regione e degli studenti sono falliti; in realt, via via che il conflitto progredisce, le posizioni si cristallizzano, gli outsiders prendono posizione su un versante o sullaltro e le due parti si polarizzano sempre pi. La comunit e il cardinale sono in rotta di collisione.
L a zione collettiva 5 dicembre. La comunit reagisce alla lettera del cardinale pron

tamente e in tono di sfida, con uno sciopero nelle scuole elemen tari e medie del quartiere. La protesta coinvolge tutta la comu nit: persino i boy-scout contribuiscono a garantire la parte cipazione offrendosi di fare da baby-sitter (Isolotto 1969, p. 263). Nel pomeriggio i bambini, i loro genitori e alcuni insegnan ti marciano per le strade del centro cittadino, innalzando dei car telli in cui scritto: Cos il popolo nella Chiesa? Tutto! Cosa conta? Nulla! Cosa vogliamo che conti? Qualcosa! Sostano in silenzio davanti alla curia e pregano per il cardi nale Florit. Alla fine depositano i loro cartelli dinanzi alla catte drale, recitano un Padre Nostro e si dirigono verso la chiesa di S. Maria Novella cantando Si pu rimuovere un prete, non un po polo! (Isolotto 1969, p. 265). Un nuovo quadro di riferimento stato inventato. 6 dicembre. Il delegato del cardinale, monsignor Panerai, giun ge allIsolotto per dir messa in risposta a quella che afferma es sere una richiesta dei fedeli. E accolto da una folla ostile e da cartelli in cui scritto Per contentare cinquanta fedeli, ne avete offesi diecimila (Baldelli 1969, p. 141). Dopo quello che la co munit descrive come un lungo colloquio di oltre due ore con la gente, Panerai si convince a non officiare la messa e a tornare indietro (Isolotto 1971, p. 110). 7 dicembre. In unassemblea che si svolge nella chiesa dellIsolotto viene individuato un gruppo di estranei, che vengono co stretti ad andarsene, e il fatto viene pubblicizzato in una nuova lettera al cardinale. L8 dicembre una nuova messa viene annul
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lata, e sotto una pioggia battente un lungo corteo sfila per le strade principali di Firenze, dopo aver attraversato i quartieri pi poveri lungo lArno. Di fronte alla curia viene recitato un altro Padre Nostro. La marcia viene seguita da poliziotti in bor ghese (Isolotto 1969, p. 276). Quegli estranei, si viene a scoprire, non sono semplicemente dei curiosi: sono noti elementi della de stra cittadina. Con la denominazione di Movimento anticomu nista cattolico, cercheranno successivamente di incriminare cin que dei dimostranti per aver promosso dimostrazioni non autorizzate e per oltraggio alla religione di Stato (La Nazio ne, 27 maggio 1968). 20 dicembre. Il conflitto non passato inosservato nelle alte sfere. Don Mazzi riceve una lettera firmata dal papa in cui gli si chiede di riconciliarsi col cardinale entro Natale. I tre sacerdoti, insieme ad un gruppo di parrocchiani, vanno a Roma a chiedere udienza al pontefice. Sono ricevuti da monsignor Benelli, poi dal sostituto segretario di Stato vaticano, che dice che il papa in disposto e chiede loro di ritrattare, cosa che essi rifiutano ancora una volta di fare (La Nazione, 22 dicembre, p. 15; Isolotto 1969, pp. 281-94). Vigilia di Natale. Dopo la sospensione di don Mazzi, la messa stata celebrata da un sacerdote della curia in una piccola cappella fuori dal quartiere (Isolotto 1969, pp. 279-80). Un delegato del cardinale arriva allIsolotto accompagnato da un funzionario del la curia e uno della prefettura ( la prima volta che lo Stato attivamente coinvolto) per assumere la responsabilit della chie sa. Don Mazzi assente, cosicch il passaggio di carica non pu essere effettuato, ma essi promettono di tornare il giorno dopo, che poi il giorno della nascita di Cristo (La Nazione, 27 di cembre, p. 11). Giorno di Natale. La chiesa stipata di abitanti del quartiere, molti dei quali normalmente non sono praticanti, ma sono venuti per sostenere don Mazzi. Vengono letti dei passaggi della Bibbia, ma in segno di protesta contro le azioni della gerarchia, la messa non viene celebrata. Quella sera si tiene una veglia di preghiera sul sagrato antistante la chiesa (Taurini 1968, p. 813). Domenica, 29 dicembre. Monsignor Alba, inviato dal cardinale per celebrare la messa, entra nella chiesa gremita di quasi mille sostenitori di don Mazzi. E accompagnato dal delegato del car190

dinaie e cosa sorprendente da individui che successivamen te vengono riconosciuti come militanti del Msr. Essi circondano il sacerdote quasi a proteggerlo e rispondono alla messa a voce alta, mentre i sostenitori di don Mazzi, che simbolicamente ri volgono la schiena allaltare, leggono la Bibbia. I leader della co munit formano una specie di cordon sanitaire tra i propri seguaci e la guardia del corpo di Alba per impedire che dentro la chiesa avvengano degli incidenti. Cantano a voce alta superando quella del sacerdote: Celebrare la messa in queste condizioni un sa crilegio, unoffesa, una sfida, una provocazione (Isolotto 1971, pp. 111-14; lUnit, 30 dicembre 1968). Quello stesso giorno un funzionario del Msi si reca in tribunale a denunciare linter ruzione della messa (Isolotto 1971, pp. 115-16). La scoperta presenza dellestrema destra rende impossibile alla sinistra rimanere ancora in silenzio. Gi dal mattino succes sivo appaiono sui muri della citt dei manifesti firmati dal Pei, dal Psi e dal P siup, in cui si denuncia la presenza della polizia allIsolotto e si avverte che le forze democratiche e antifasciste della citt non tollereranno la provocazione fascista (Isolotto 1971, pp. 120-21). 31 dicembre. La chiesa viene formalmente trasferita sotto la re sponsabilit della curia (La Nazione, 2 gennaio 1969). A que sto segue, il giorno di Capodanno, un raduno in piazza San Pietro a Roma per protestare contro lazione della gerarchia e per ri chiedere delle riforme nella Chiesa (Corriere della Sera, 2 gen naio 1969). Ora la serie di incidenti dellIsolotto si inserita in una struttura nazionale di conflitto che divide sinistra e destra, clericali e anticlericali e, per certi versi, Chiesa e Stato. Vengono presentate delle interrogazioni in Parlamento e inizia una lunga battaglia giudiziaria, che terr largomento sui giornali per oltre un anno. 4 gennaio 1969. Un gruppo che si autodefinisce Squadre da zione fiorentine strappa dei manifesti della sinistra e affigge un proprio manifesto sulla porta della chiesa (Isolotto 1971, pp. 123-24). In esso scritto: Viva lEsercito, Viva le Forze dellordine pubblico, Viva lItalia Attraverso una sequenza di azioni e reazioni allinterno della comunit e della gerarchia ecclesiastica, e attraverso il coinvol
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gimento successivo della stampa e di alleati e avversari esterni che contribuiscono a polarizzare la lotta e a dare un pubblico attivo a un messaggio ideologico pi ampio, un conflitto tra un parroco e il suo vescovo si cristallizzato in un movimento di respiro nazionale. Per tutto linverno e la primavera del 1969 lazione si trasferir nei tribunali, dove verranno giudicati con soddisfazione totale della comunit gli incidenti di dicembre e gennaio9. Ma lazione collettiva che avrebbe dato al movimen to il suo marchio permanente a simbolizzare il desiderio di giustizia del popolo posto a confronto con unautorit ingiusta, e che avrebbe dato al movimento una forma organizzativa per il futuro ancora da venire.

3. La messa in piazza
Maggio 1969. La prima mossa del cardinale Fiorii, il quale

nomina due nuovi sacerdoti che dovranno prendere carica allIsolotto il febbraio successivo. Egli per non osa ancora aprire la chiesa, nel timore che si ripetano gli incidenti dellinverno pre cedente (La Nazione, 28 maggio 1968, p. 6). Uno dei nuovi sacerdoti, con il suo accento veneto, nota che Non c niente di cristiano e niente di religioso nellesperienza della comunit dellIsolotto (Taurini 1969&, p. 531). Luglio 1969. I fedeli decidono di tenere una preghiera sul sa grato dinanzi alla chiesa parrocchiale. Invitano un sacerdote di Prato a celebrarvi una messa (Corriere della Sera, 11 luglio 1969; Taurini 1969&, p. 531). Il cardinale risponde minacciando
9 II 14 gennaio lautorit giudiziaria invi una comunicazione a undici laici e a cinque sacerdoti per istigazione a delinquere, quando ai primi di dicembre ave vano impedito pubblicamente la celebrazione della messa (La Nazione, 15 gen naio 1969, p. 1). In risposta a questa oltre mille persone firmarono una lettera in cui affermavano la loro corresponsabilit per il boicottaggio della messa (Isolotto 1971, p. 133). Bench le questioni legali siano andate avanti per mesi, mante nendo il caso davanti al pubblico e nella stampa nazionale e portando a proteste in tutto il paese, la Chiesa e i suoi sostenitori ottennero poca soddisfazione dal tribunale. I sei organizzatori della dimostrazione del 5 dicembre furono assolti su richiesta del ministro della Giustizia (La Nazione, 24 maggio 1969, p. 11). Dei firmatari della lettera di corresponsabilit, la maggior parte fu amnistiata e gli altri cinque sacerdoti e quattro laici successivamente furono assolti (La Nazione, 6 luglio 1969, p. 1; lUnit, 6 luglio 1969, p. 5).

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di sospensione a divinis qualsiasi sacerdote che accetti linvito (Taurini 1969&, p. 532). La comunit risponde che tutti i suoi sacerdoti continueranno a rifiutarsi di celebrare la messa, ma che accoglier tutti coloro che vogliono portare testimonianza tra noi (anche se questo li assoggetta alla persecuzione), alla Chiesa che ha il suo fondamento nello spirito di Cristo (Taurini 1969b, pp. 533-34). Le trattative tra i leader della comunit e i rappresentanti del cardinale si trascinano per tutta lestate. A un certo punto Florit invita don Mazzi e i suoi assistenti a venire a vivere con lui nella curia. Agli inizi di agosto la situazione sembra migliorare quando un gruppo di sacerdoti progressisti, dopo un incontro a Camaldoli, cerca di arrivare a una riconciliazione (Taurini 1969&, pp. 538-40). Qual quel padre chiedono al cardinale che, quando i figli gli chiedono un pane, d loro una pietra?10. 30 agosto. Mentre procedono queste trattative il cardinale stu pisce sia i suoi sostenitori che gli oppositori annunciando che il giorno dopo si recher nel quartiere, riaprir la chiesa e celebrer egli stesso una messa. In un incontro tenuto a mezzanotte la comunit risponde con una dichiarazione stilata in tutta fretta in cui si ammonisce il cardinale che la sua azione sarebbe irrever sibile. Viene inoltre tenuta una veglia notturna dinanzi alla curia. Quando, il mattino successivo, gli viene letta questa dichiarazio ne, il cardinale (secondo il documento pubblicato dalla comunit) risponde: Questo documento una minaccia marxista. Voi non siete una comunit cristiana [...] voi siete al di fuori della Chiesa perch siete contro di me [...] chiunque contro il proprio vescovo al di fuori della Chiesa [...] abbiate il coraggio di ammettere che avete lasciato la Chiesa (Taurini 1969&, p. 547). Domenica, 31 agosto. Alle dieci il sagrato della chiesa dellIsolotto comincia a riempirsi. Quando viene letta ad alta voce la recisa lettera del cardinale, la folla risponde indignata. Viene presa lunanime decisione di non entrare in chiesa mentre egli celebra la messa. Alle undici arriva il cardinale, protetto da po liziotti in borghese e in uniforme, ed entra nella chiesa, riempita
10 Almeno uno di questi sacerdoti convinto che nessuna delle due parti voleva una riconciliazione, dato che il compromesso offerto a Camaldoli venne rifiutato da entrambi (colloquio con padre Ernesto Balducci, Fiesole, 18 novem bre 1985).

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ormai da alcune centinaia di tradizionalisti. Terminata la messa, nel riattraversare il sagrato, Fiorii accolto da un gelido silenzio. Viene indetto un digiuno fino a sera (La Nazione, I o settem bre 1969). La sospensione dei tre sacerdoti ormai divenuta inevitabile, e cos essi e i loro fedeli sostenitori trasferiscono definitivamente la propria attivit allesterno della chiesa. La domenica successi va, alla presenza di oltre mille persone, un sacerdote proveniente da una comunit religiosa di Torino tiene un battesimo e celebra una messa sul sagrato (Taurini 1969b, p. 557). Da allora ogni domenica di fronte alla chiesa dellTsolotto si tiene unassemblea. La messa sulla piazza segue un rituale ben definito. Quando nel 1985 vi abbiamo partecipato, Enzo Mazzi o un suo stretto collaboratore, Sergio Gomito, cominciavano con un indirizzo di saluto generale; veniva poi presentato un argo mento preparato e discusso in unassemblea regolarmente tenuta ogni gioved sera, spesso con la partecipazione di gruppi esterni. Seguiva poi una discussione, degli annunci generali e per finire veniva tenuta la parte religiosa del raduno, nella quale era offerta lostia a tutti coloro che la desideravano. La messa sul sagrato celebrata per la prima volta tanti anni fa come deliberata sfida a unautorit ingiusta divenne il sim bolo centrale e il principio organizzativo della vita e del signifi cato futuri della comunit. La sua ripetizione ogni domenica ri consacra il gruppo, gli permetter di continuare ad attrarre sia i membri disillusi della Chiesa che altri, fornir un ambito nel qua le pu essere trattata tutta una variet di temi. Come il ciclo di protesta da cui ebbe origine, anchessa di tipo partecipativo, tesa a sfidare ed espressiva; ma, come quasi tutti i movimenti di quel ciclo, programmata, strategica e politica. Rievoca in forma rituale lincontro iniziale della comunit con unautorit ingiu sta, impersona la solidariet del gruppo, rende il suo rituale di sponibile ad altri, gli permette di continuare come movimento istituzionalizzato.

4. Religione, politica e nuovi movimenti sociali


Come molti nuovi movimenti sociali, i membri della comu nit dellTsolotto affermano di non aver voluto un impegno par
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titico e negano che la loro azione sia stata in alcun modo politica. Ma gi nel 1969 don Mazzi e i suoi sostenitori indirizzavano le loro attivit a obiettivi familiari nel movimento sociale al di fuori della Chiesa. Il 28 novembre 1969, per esempio, arrivarono di mattina presto in un appezzamento di terreno incolto ai margini della citt, vi accesero un fuoco, issarono un grande cartello che diceva Dancing no, scuole s e prepararono una colazione per s e gli abitanti del quartiere. Quellappezzamento di terreno era stato approvato dal comune come sede di un night-club, mentre don Mazzi e i suoi seguaci chiedevano che in sua vece venisse costruita una scuola (Corriere della Sera, 29 novembre 1969). In almeno tre modi lesperienza della comunit dellIsolotto fece parte di un ciclo nazionale di protesta politica: innanzitutto, come abbiamo visto nei capitoli VI e VII, durante questo perio do cominciava a circolare nella societ italiana un nuovo quadro di riferimento, nel quale erano ampiamente diffusi i temi del lautonomia, della democrazia di base e della resistenza alle au torit. Questo nuovo quadro si diffuse anche allinterno della Chiesa: persino le tattiche cui si ricorse contro il cardinale di Firenze lassemblea, la veglia, la controinformazione erano le stesse usate contemporaneamente contro chi amministrava le universit in quel periodo. In secondo luogo, le mosse tattiche del movimento, le sue alleanze e i suoi avversari seguirono anchessi una logica politica. Oltre a reclutare sostegno dalla vecchia componente De di La Pira, le proteste della comunit si guadagnarono il consenso dei militanti comunisti e socialisti, di piccoli ma sempre pi nume rosi gruppi di militanti dellestrema sinistra, alcuni dei quali fi niranno per apparire nelle organizzazioni della sinistra extrapar lamentare dei primi anni Settanta11. Per finire, fu attraverso un processo politico di mobilitazio ne, di interazione e di sfida politica che la comunit dellIsolotto si trasform da piccola setta in movimento sociale, parallelamen te a quanto stava avvenendo a gruppi laici nelle fabbriche e nelle universit nello stesso periodo. Il ruolo involontario che ebbe in questo processo la stampa conservatrice, in particolare La Nazione, gi stato sottoli neato. Ancor pi importante fu lunit politica che venne alla comunit dal suo conflitto con la Chiesa12. Lesperienza dellI
11 Baldelli, per esempio, successivamente divenne direttore responsabile di Lotta continua. 12 Come disse un membro della comunit: Dovete riconoscere che il cardi-

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solotto fu ulteriormente politicizzata dagli sforzi dei gruppi esterni di acquisire da essa dei vantaggi politici: in primo luogo lemergente sinistra extraparlamentare, poi i neofascisti e, per finire, la sinistra tradizionale. La storia del dissenso religioso in Italia illustra cos linfluen za di un ciclo di protesta su un preesistente movimento. Nel cor so di esso gli attivisti dellTsolotto ottennero il sostegno sociale degli operai, degli studenti e degli abitanti non religiosi del quar tiere. Attrassero alleati politici e impiegarono le tattiche che ave vano appreso dal movimento studentesco. Durante questo pro cesso il loro messaggio venne allargato, trasformato e secolariz zato: dal mero diritto di partecipare agli affari della Chiesa al lautonomia dallautorit. Durante i cicli di protesta, infatti, an che i vecchi movimenti allinterno delle istituzioni pi vecchie diventano nuovi.
naie ha fatto tutto quello che ha potuto per unirci, ci ha aperto la strada (Il Ponte 1971, p. 638).

IX LA SINISTRA EXTRAPARLAMENTARE

Una scuola di pensiero sociologico che deve molto a We ber e Michels considera lorganizzazione antitetica al movi mento. Per gli autori di questa scuola, i movimenti sono una mi steriosa scintilla che permette alla massa di superare la soglia della vita organizzativa (Lowi 1971, p. 40). I movimenti sono contrassegnati da azioni espressive, norme emergenti ed entusia smo contagioso; lo sono molto meno dal calcolo politico e dagli interessi dei loro appartenenti. La nascita dei movimenti con trassegnata da uno statu nascente nel quale le regole consuetudi narie del comportamento sociale sono momentaneamente sospe se (Alberoni 1968). Per questa scuola di pensiero, lorganizzazione svolge un ruo lo negativo nei movimenti sociali, perch non fa che spingerli nella routine e soffocare la loro creativit. Zald e Garner (1987, p. 121) cos riassumono questa concezione: quando un movimen to raggiunge una base economica e sociale nella societ, via via che la leadership carismatica originaria viene sostituita, emerge una struttura burocratica e si verifica un generale adattamento alla societ. Ma questo processo di istituzionalizzazione dei movimenti sociali non inevitabile, e nemmeno lineare. Persino la spon taneit spesso osservata nei movimenti sociali emergenti pu assumere una forma organizzata. Rosenthal e Schwartz (1987, p. 2), per esempio, sostengono che caratteristico di alcuni tipi di gruppi utilizzare la spontaneit come forma organizzativa tipica. Abbiamo visto esempi di questo nel movimento degli studenti universitari (cfr. supra, cap. VI) e in quello dellIsolotto (cfr. supra, cap. Vili). Le organizzazioni, inoltre, non si limitano ad appropriarsi di movimenti spontaneamente creati; come abbiamo visto nei ca197

pitoli precedenti, esse svolgono un ruolo importante nella for mazione e diffusione di questi movimenti. Se un movimento so ciale nasce spontaneamente, le organizzazioni possono effet tivamente costituire una forza istituzionale nel momento in cui cercano di appropriarsene e di incanalarlo. Ma molti movimenti non sono che un prodotto di campagne di mobilitazione condotte da unorganizzazione. In questi casi il ruolo dellorganizzazione nello sviluppo del movimento tender ad essere molto diverso da un processo di istituzionalizzazione. Lorganizzazione che si sviluppata utilizzando la protesta per diffondere la propria in fluenza, infatti, tender pi ad essere una forza perturbativa che istituzionalizzante. Le organizzazioni possono essere presenti nello sviluppo dei movimenti sociali in tre modi diversi: innanzitutto, nel contesto istituzionale allinterno del quale si verifica la protesta (lorga nizzazione della vita di tutti i giorni o quella fornita dalle istitu zioni ospitanti); in secondo luogo attraverso i gruppi esterni che cercano di organizzare lazione collettiva; in terzo luogo at traverso le forme stesse assunte dallazione collettiva, forme che spesso diventano il quadro di riferimento di future organizzazio ni di movimento. Questo non significa affermare che la creati vit o lispirazione spontanea siano assenti nella costituzione dei movimenti sociali, ma solo che spesso viene preso per sponta neit qualcosa che in realt il prodotto di interazioni fra unor ganizzazione e la sua base di massa. Le organizzazioni, inoltre, sono dimportanza cruciale per la diffusione della protesta e dunque dei movimenti che la utiliz zano. Sia le organizzazioni preesistenti che quelle che si costi tuiscono durante la fase emergente di un movimento di protesta ricorrono alla diffusione della protesta stessa per accrescere la propria influenza. In realt, la diffusione della protesta quasi lunico strumento di cui i movimenti dispongono per farlo. Lor ganizzazione e il conflitto, che la loro forma dazione pi ca ratteristica, non sono in linea teorica due fenomeni opposti. Negli scritti sullazione collettiva la diffusione della protesta spesso vista come unonda che si propaga in fasi successive a partire dallepicentro, come in un terremoto, alla sua periferia. Ma questa immagine troppo automatica e regolare. Nel XIX secolo, la grande epoca dei movimenti sociali, gli organizzatori si resero conto della necessit di diffondere la protesta, per otte nere sostegno dalle masse. Per far questo essi ampliarono le pro prie organizzazioni, ma non lungo ondate che si andavano rego larmente espandendo verso lesterno, bens lungo linee geogra
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fiche e di classe allinterno delle quali trovavano la propria base. Cos unorganizzazione, ben lungi dallessere antitetica a un mo vimento, fu sin dagli inizi centrale per la diffusione della sua attivit pi caratteristica, la protesta. C ancora unaltra ragione per la quale le organizzazioni so no dimportanza cruciale nella diffusione della protesta: la com petizione tra le organizzazioni di movimento sociale per ottenere il sostegno della base le porta a diffondere la protesta. raro che il settore del movimento sociale sia monopolizzato da una singola organizzazione (Zald e Garner 1987, p. 127). Pi spesso, quando appare un potenziale di mobilitazione, svariati gruppi si costitui scono intorno allo stesso tema e agli stessi obiettivi, e competono per ottenere il sostegno di una medesima base. Il conflitto ideo logico una delle forme che assume questa loro competizione; unaltra la competizione per ottenere lattenzione dei mezzi di comunicazione di massa. Col tempo, e in particolare con il pro gressivo declino della mobilitazione, le organizzazioni di movi mento competono tra le masse per avere sostenitori ricorrendo a forme dazione collettiva originali e pi innovative. Questo pro cesso dinnovazione tattica competitiva effettuato dalle organiz zazioni di movimento sociale costitu una delle principali forze nella diffusione della protesta in Italia e nella sua successiva so stituzione con un ciclo di violenza. La mappa delle organizzazioni della sinistra extraparlamen tare italiana era variegata e mutevole. Molte di esse ripropone vano in linea teorica il tema leninista del Che fare?, mentre nella pratica operavano come quei gruppi dediti unicamente al dibattito, tanto criticati da Lenin. Altre si impegnavano preva lentemente alla diffusione della loro linea, dapprima attraverso opuscoli e ciclostilati, e poi sempre pi attraverso libri e riviste. Quelle pi organizzate rivolsero i propri sforzi a diffondere a nuovi sostenitori, attraverso la protesta, le lotte iniziate nel 1967-68. Per svolgere questa attivit avevano bisogno di unor ganizzazione. La funzione dellorganizzazione, a quel punto, non era quella di soffocare e rendere di routine la protesta, quanto di riprodurla e diffonderla, e di renderla arma pi efficace nella ri cerca di nuovi spazi politici. Molti degli episodi di protesta si diffusero come una vampata dincendio alla base della societ italiana; altri erano pi chiara mente organizzati; molti come quelli dellIsolotto erano lesito di una combinazione di spontaneit e organizzazione. Se dopo il 1968 vi fu un cambiamento fondamentale, fu nel senso che ora nel paese si andavano costituendo molti pi gruppi or
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ganizzati, che erano in competizione per guadagnarsi il consenso della base e cercavano di diffondere la mobilitazione a nuovi set tori. Il modo pi facile per seguire la competizione tra i gruppi extraparlamentari quello di esaminare le fonti scritte. Questi gruppi discussero a lungo in assemblee e congressi interminabili, che un gruppo talvolta abbandonava o attaccava, quando le sue posizioni erano bocciate (Bobbio 1979, p. 52). Si attaccavano reciprocamente sui giornali, con volantini e manifestini pieni di condanne per gli errori dei compagni, e talvolta nelle strade. Ma lambito pi importante della loro competizione fu la diffusione della protesta a nuove aree e settori, dove potevano dimostrare il proprio coraggio, la propria energia e il sostegno che davano alle richieste dei soggetti sociali che corteggiavano. La competizione tra i gruppi seguiva tre assi: tra organizza zioni di movimento sullo stesso versante dello spettro ideologico; tra organizzazioni di sinistra e di destra su sponde opposte di un conflitto; tra organizzazioni di movimento e partiti o sindacati. La parabola della competizione vari in senso inverso a quello della mobilitazione in generale: durante la fase ascendente del ciclo, si costituirono nuovi gruppi in risposta alla disponibilit di una base alla mobilitazione; via via che questa disponibilit and diminuendo, il mercato dellattivit del movimento sociale si and restringendo e gli organizzatori cercarono di scavalcarsi a vicenda nella competizione per il sostegno della base. Il risultato fu una crescente intensit del conflitto, lespressione ultima della quale fu alla fine del ciclo la violenza organizzata. In questo capitolo inizier col delineare alcuni dei meccani smi principali della diffusione della protesta, specificando il ruo lo che le organizzazioni della sinistra extraparlamentare svolsero allinterno di essi. Successivamente esaminer il ruolo della stampa sia borghese che di movimento nella diffusione del la protesta. Mi rivolger poi allo sviluppo organizzativo dei prin cipali gruppi della sinistra extraparlamentare. Per finire sotto porr a verifica il concetto che lorganizzazione e la competizio ne fra le organizzazioni di movimento furono corollari diretti della diffusione dellazione collettiva e dunque dellascesa e ca duta del ciclo di protesta.

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1. Diffusione spontanea e diffusione mirata


La prima diffusione della protesta fu in larga misura visibil mente spontanea: gli studenti tornavano a casa, nelle citt di pro vincia, e portavano con s il messaggio del movimento studen tesco; altrettanto facevano gli operai immigrati dei paesi del Sud quando tornavano a casa in vacanza; alcune rivolte di detenuti assunsero la forma tradizionale di tumulti aspecifici; i pendolari bloccavano i binari quando i ritardi dei treni li facevano arrivare in ritardo al lavoro; i senzatetto occupavano case private non abitate e ne chiedevano lacquisizione da parte del comune; i gio vani protestavano per il costo dei biglietti dellautobus o dei con certi rock cercando con la forza di entrare gratis. Cominciamo con il passare in rassegna alcuni dei pi comuni processi di dif fusione spontanea, prima di rivolgerci al ruolo dellorganizzazio ne.
Diffusione spontanea

La protesta si diffuse spontaneamente attraverso limitazio ne, il confronto, il trasferimento di forme e temi di protesta da un settore allaltro, e attraverso la reazione diretta delle persone i cui interessi erano stati colpiti dalle proteste precedenti. Questi sono i processi che assomigliano pi da vicino a ci che i teorici classici considerano spontaneit. Un breve esame di questi mec canismi ci dar unidea delle loro caratteristiche peculiari e del modo in cui potevano operare. Imitazione. La forma pi semplice di diffusione si ebbe quando delle persone imitavano le forme e i temi di protesta appresi da altri. Quella che la stampa chiamava microconflittualit sem br diffondersi rapidamente nella societ italiana, attraverso lassenteismo, i piccoli furti, gli atti dinsubordinazione, le azioni di sabotaggio industriale e una generale indisponibilit ad accet tare che le proprie richieste venissero rifiutate. Gli scioperi per la casa che colpirono i progetti di edilizia pubblica di Milano dal 1968 in poi furono un esempio di imitazione; il faticoso lavoro degli organizzatori non poteva spiegare da solo la rapidit e le stensione del fenomeno nel suo spostarsi da unarea di edilizia pubblica allaltra (Sbragia 1974, p. 266). La protesta poteva diffondersi anche l dove non esisteva
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nessun manifesto meccanismo di comunicazione, per esempio nelle prigioni, dove unondata di rivolta port la protesta nelli stituzione pi isolata della societ italiana. Come potevano grup pi di detenuti privi di istruzione e dorganizzazione imparare a utilizzare le stesse forme di protesta come appiccare incendi e salire sul tetto delle carceri se non attraverso una sorta di tam-tam alla base della societ italiana? Limitazione la spie gazione pi probabile per la rapida diffusione di questo tipo di comportamento. Confronto. Un meccanismo collegato al precedente fu il con fronto: vi furono continui scioperi perequativi (Regalia, Regini e Reyneri 1978) da parte di gruppi di operai che avevano perso il loro vantaggio salariale relativo quando erano state accolte le ri chieste degli operai che ricevevano un salario inferiore; vi furono anche proteste degli impiegati nelle fabbriche in cui i lavoratori manuali stavano riducendo il gap salariale. Anche in piccole fab briche sino ad allora non organizzate e nelle regioni periferiche ci furono scioperi perequativi, con concessioni salariali simili a quelle che erano state strappate nelle grandi industrie del trian golo industriale. La diffusione attraverso il confronto, cos come quella attraverso limitazione, richiedeva solo che la gente leg gesse i giornali o venisse a sapere di bocca in bocca che cosa ave vano ottenuto attraverso lo sciopero gli altri gruppi. Trasferimento di tattiche. La protesta fu anche diffusa dal tra sferimento, da un settore o da una regione allaltra, di una forma dazione riuscita. Alcune tattiche erano applicabili solo nellam bito istituzionale in cui erano nate, ma la maggior parte di esse poteva saltare da un settore o da una regione allaltra. Abbiamo visto nel capitolo V ili come le tattiche del movimento studen tesco cattolico furono adoperate dal movimento dei cattolici del dissenso. Per prendere un esempio pi specifico: i blocchi delle linee ferroviarie, come quello di Pisa del maggio 1968, vennero usati ripetutamente in svariate circostanze. Nel marzo 1969 gli studenti a Reggio Calabria ricorsero ad esso come uno dei primi atti di quella che sarebbe divenuta la protesta regionale pi vio lenta del Sud contro listituzione dei nuovi governi regionali (Malafarina et al. 1972, p. 5). Reazione diretta. La protesta venne anche diffusa dalla reazio ne di un gruppo alle azioni di un altro gruppo le cui proteste avevano influenzato negativamente i suoi interessi. La controdi202

mostrazione a Genova a proposito del trasferimento dei cantieri navali di Trieste fu uno dei molti esempi di diffusione per rea zione. Un altro esempio si verific durante il dibattito nazionale sul divorzio: le dimostrazioni di gruppi a favore del divorzio di fronte al Parlamento fecero scattare una serie minore di proteste antidivorzio da parte dei cattolici tradizionalisti. E a Reggio C a labria le dimostrazioni per chiedere che il capoluogo regionale fosse insediato in quella citt provocarono delle controdimostra zioni a Catanzaro. Diffusione mirata Ma anche questi atti spontanei furono spesso diffusi attra verso mezzi mirati. Le rivolte nelle carceri ben presto comin ciarono a generare richieste simili in regioni molto lontane, a di mostrare che molto difficilmente potevano essere definite spon tanee. La tattica del blocco dei binari fu fatta propria dai gruppi organizzati per dare pubblicit alle loro richieste. Le occupazioni di case finirono con lessere organizzate dai gruppi extraparla mentari, e chi effettuava lautoriduzione dei biglietti dellauto bus o delle bollette stava consapevolmente applicando a un nuo vo contesto una delle armi pi efficaci del movimento nelle fab briche. La competizione tra Reggio Calabria e Catanzaro per la sede del capoluogo regionale, nel 1970, un esempio dellinadegua tezza del concetto secondo cui la protesta si diffonde spontanea mente. Bench in entrambe le citt molti degli atti di violenza fossero spontanei, questi atti si verificarono nel contesto di cam pagne politiche bene organizzate, e ben presto attirarono gli or ganizzatori del movimento. La rivolta di Reggio, per esempio, fu acquietata quando il sindaco indisse un comizio per protestare contro limminente scelta di Catanzaro come capoluogo (Malafarina et al. 1972). Una volta esplosa, la rivolta attrasse rapida mente una gestione da parte della destra (Ferraris 1970), che i partiti della sinistra e i sindacati furono prontissimi a combatte re. Persino un gruppo extraparlamentare settentrionale come Lotta continua cerc di trarre vantaggio dal potenziale di mobi litazione rivelato dal caso di Reggio. Le forme di protesta sin qui descritte nacquero talvolta spon taneamente, ma non passarono automaticamente da un settore allaltro o da una regione allaltra. Il pi delle volte furono dif fuse da organizzatori che utilizzavano le esperienze e le capacit 203

organizzative acquisite nel corso delle lotte per dar forza e con sistenza alla protesta in atto altrove. La diffusione della protesta ebbe sin dallinizio una forte componente organizzativa. Diffusione da parte di gruppi di interesse. Alcune delle organiz zazioni responsabili della diffusione della protesta non erano nemmeno dei movimenti, ma tradizionali associazioni di interes si che cominciarono a prestare le loro risorse alla mobilitazione quando apparvero chiari i vantaggi che essa offriva e quando co minciarono ad essere sfidate da nuove organizzazioni di movi mento. Gi nel 1967, quando le associazioni dei medici indissero scioperi contro il sistema mutualistico, furono i sindacati, in as senza di associazioni di malati, a rispondere per primi. Quando la riforma pensionistica trov un posto nel programma legislati vo, anche le associazioni di pensionati, oltre ai sindacati, se ne sentirono toccate. Linteresse dei sindacati per le pensioni fu co stante, e venne ricompensato con lassegnazione a funzionari dei sindacati di posizioni di responsabilit nel nuovo sistema sanita rio. I sindacati affrontarono anche il problema della casa e altri problemi urbani chiedendo case migliori e servizi migliori per gli operai e per le unioni di inquilini in tutte le principali citt (Da niele 1978; Alemanni et al. 1974). E via via che gli abitanti delle citt appartenenti alle classi popolari e i gruppi ai sinistra fecero propria la causa di migliori abitazioni mettendo in atto aggres sive occupazioni di case, la sinistra tradizionale costitu il proprio sindacato inquilini, il S u nia , che ricorse a tattiche pi istituzio nalizzate per conseguire alcuni di quegli stessi obiettivi. In unaltra area, la Lega per il divorzio, che per anni aveva pazientemente promosso una legislazione in materia, alla fine de gli anni Sessanta cominci a mettere in atto proteste pubbliche a favore del divorzio. La sua agitazione per ottenere delle riforme alla fine costrinse i comunisti, da sempre preoccupati dellelet torato cattolico, ad assumere un atteggiamento pi intrapren dente a proposito del divorzio. La presenza del ciclo ampli il ricorso alla protesta per mobilitare dei seguaci anche nei tradi zionali vecchi movimenti sociali. La diffusione allinterno delle istituzioni ospitanti. La protesta si diffuse anche allinterno delle istituzioni, spesso contro la loro volont, come abbiamo visto nel caso della Chiesa. I sindacati in particolare quelli tradizionalmente militanti, come quello dei metalmeccanici svolsero anchessi il ruolo di ospiti istituzio
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nali in quelle regioni in cui loperaismo era una forza pi potente della fedelt ad unistituzione (Golden 1988). Anche nel Pei un gruppo dissidente come quello del Manifesto cerc di utilizza re la posizione nel partito per pubblicizzare la propria linea, sino a quando, nel 1969, non fu radiato. La rivolta nelle carceri un altro esempio dei modi in cui listituzionalizzazione pu involontariamente contribuire alla diffusione della protesta. Per fermare le rivolte iniziate alle Nuo ve di Torino e a San Vittore a Milano, e per punire i detenuti ribelli separandoli dalle famiglie, le autorit li trasferivano in al tre carceri in punti diversi del paese. Di conseguenza i temi e le forme dazione comparsi per la prima volta nelle due citt del Nord si diffusero nelle carceri dell'Italia centrale e meridionale attraverso i detenuti in esse trasferiti. Gli agenti della diffusione non furono solo i militanti extraparlamentari detenuti per atti vit politica illegale, ma anche detenuti comuni trasferiti a Vol terra o a Poggioreale come punizione per aver partecipato alla rivolta nelle carceri (Invernizzi 1973). Le organizzazioni di movimento. Il mezzo pi importante attra verso il quale si diffuse la protesta furono le nuove organizzazio ni di movimento emerse nel 1968-69 dal movimento studentesco universitario. Queste puntavano la loro attenzione in particolare sulle fabbriche, ma trovandovi i sindacati gi ben radicati, si ri volsero anche ad altri problemi: lambiente, le minacce al posto di lavoro, la salute, la sicurezza, le condizioni di ospedali e ma nicomi, il malessere delle reclute nellesercito e, in particolare, la realt urbana. Niente confuta pi efficacemente laccusa di uto pismo rivolta al movimento studentesco del fatto che i suoi primi militanti affrontarono i temi concreti che angustiavano la societ italiana: inadeguati servizi abitativi e urbani, speculazione edili zia sfrenata, mancanza di cliniche e di presdi sanitari, ospedali vecchi, inumane condizioni nelle carceri. Unidea sommaria della crescente importanza di questi nuovi gruppi dopo il 1968 ci data dalla fig. 17, dove riportiamo per ciascun semestre, lungo un arco di otto anni, la loro presenza nei resoconti dei giornali. Sebbene nel 1966-67 essi fossero apparsi raramente, crebbero poi in modo improvviso nel 1968, ebbero un calo relativo agli inizi del 1969 quando esplose il conflitto industriale, ma iniziarono un aumento generale a partire dalla fine del 1969 e per tutto il 1971, per toccare lapice agli inizi del 1972 e poi cominciare un lento declino.
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Fig. 17 - Presenza dei gruppi extraparlamentari, dei partiti e delle organiz zazioni di massa negli episodi di protesta, per semestre, 1966-73

Semestre

Dopo la met del 1969, laggressiva presenza di questi gruppi nelle proteste spavent la stampa borghese e stimol un backlash nella classe media, ma rivel un elemento cruciale di debolezza fin dagli inizi: bench lascesa di questi gruppi coincidesse con un aumento continuo della progressiva espansione del numero delle proteste (cfr. fig. 1), essa coincise anche con un calo del livello della perturbazione prodotta dalla protesta nei grandi settori, e in particolare con un calo della fase pi perturbativa dei conflitti della classe operaia, che cominci a declinare poco dopo lautun no caldo (cfr. fig. 14). Il dilemma fondamentale di fronte a cui si trovava la sinistra extraparlamentare consisteva nel non disporre di nessun incen tivo materiale da offrire a questi operai e nel dover ricorrere alla perturbazione e agli incentivi espressivi che essa offre, proprio nel momento in cui il potenziale di mobilitazione operaia era in calo. Il risultato fu che alcuni settori della sinistra extraparla mentare furono attratti allattivit elettorale e politica alla ricer ca di incentivi pi concreti, mentre altri diedero inizio a una spi rale di radicalizzazione delle tattiche per cogliere un potenziale di mobilitazione che erano convinti fosse presente nella classe operaia. Fu la concomitanza tra ascesa della sinistra extraparla mentare e declino del potenziale di mobilitazione la ragione del passaggio alla politica istituzionale di alcuni dei suoi segmenti, e del passaggio alla violenza di altri, come vedremo nel capitolo X.
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2. Diffusione per comunicazione


Prima di volgerci, per, alle strategie della sinistra extrapar lamentare dovremmo esaminare il ruolo dei mezzi di comunica zione di massa, perch stato sostenuto che in molti paesi essi costituirono un sostituto dellorganizzazione, tanto erano effica ci nel comunicare al resto del paese quanto stavano facendo i gruppi extraparlamentari (Gitlin 1980; Oberschall 1973). Fu questa laccusa che venne rivolta ai mezzi di comunicazione di massa nel corso degli anni di piombo. Nel valutare questa tesi, tuttavia, necessario suddividere i mezzi di comunicazione di massa in due settori principali: i media borghesi e la stampa di movimento.
I mezzi di comunicazione di massa borghesi

Bench generalmente ostile alla perturbazione, dopo il 1968 la stampa quotidiana spesso contribu a diffondere notizie su nuovi gruppi, simboli e forme di protesta in tutta Italia. Stampa e televisione spesso avevano atteggiamenti ostili nei confronti di chi protestava, generando cos proteste secondarie contro la R ai , 0 davanti alle sedi di giornali. Inizialmente i giornali relegarono le informazioni sulle proteste il pi lontano possibile dalla prima pagina1, ma via via che londata di protesta acquis forza la stam pa le diede sempre pi risalto. Perch? Le ragioni erano molte plici. In parte contribuirono a questo cambiamento gli sviluppi professionali nel giornalismo. Durante il movimento degli stu denti universitari, la stampa quotidiana mostr nei loro confron ti una stupefacente disinformazione, etichettandoli quasi tutti, indiscriminatamente, come maoisti. Ma via via che la genera zione di coloro che si erano laureati dopo il 1968 entrava nel mercato del lavoro, molti scelsero il giornalismo come professio ne. Persino lo staff di alcuni dei giornali principali fu rinnovato con limmissione di persone che erano state attive nei movimenti del 1967-68 e potevano trovare informazioni di prima mano per 1 loro servizi rivolgendosi a ex-compagni. Non era inusuale che questi ex-militanti di movimento che scrivevano per la stampa
1 Per esempio della prima occupazione delluniversit Cattolica di Milano fu data notizia in un minuscolo articolo a pagina 9 del Corriere della Sera del 16 ottobre 1967.

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nazionale pubblicassero nei giornali del movimento, sotto pseu donimo, degli articoli che i loro giornali si rifiutavano di pubbli care. Accanto a questo, svolsero un loro ruolo nel generare una vi sione pi favorevole dei movimenti alcuni cambiamenti nellorganizzazione della professione giornalistica. Dopo il 1968, tra mite la loro associazione, molti giornalisti divennero sempre pi combattivi nellavanzare le proprie richieste professionali agli editori (Porter 1983, cap. VII). Questo poteva solo accrescere la loro simpatia per gli altri che protestavano come loro, nonch favorire un approccio di tipo sindacale nel modo in cui venivano riportate le notizie. Ma ancor prima che avvenisse questo cambiamento di at teggiamento, la stampa si era gi buttata avidamente su certi tipi di protesta. Gli episodi di violenza, quelli che creavano dei disagi al pubblico o coinvolgevano vasti gruppi di persone, non potevano essere facilmente ignorati da giornali che affermavano di essere al servizio dei loro lettori. Bench i conflitti alla F iat della primavera del 1969 fossero stati ignorati, per esempio, anche dal rispettabile La Stampa di Torino a luglio, quando scoppi una vera e propria battaglia tra polizia e operai in corso Traiano (Bobbio 1979, p. 35), la stampa nazionale non pot pi ignorarla.
La stampa di movimento

Latteggiamento dei principali mezzi di comunicazione di massa non pot mai esser definito obiettivo verso i movimenti, se non altro perch tendeva a ignorare la sostanza delle loro richie ste e a sottolineare la violenza. Ma, almeno in Italia, questo at teggiamento negativo costitu un vantaggio cruciale per gli extra parlamentari, perch li indusse ad affidarsi a legami informali di comunicazione e a fondare una stampa di movimento che evitas se di essere schiava dei mezzi di comunicazione di massa. Questo costituiva una differenza fondamentale tra la sinistra extrapar lamentare italiana e quella americana, e pu contribuire in parte a spiegare la sua sopravvivenza fino alla fine degli anni Settanta, mentre il movimento americano si dissolse con la fine della guer ra del Vietnam. La presenza delle nuove organizzazioni di movimento fu do cumentata (e non di rado gonfiata) dai giornali e dalle riviste dei
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gruppi extraparlamentari. Mentre alla met degli anni Sessanta si era assistito al nascere di piccole riviste e giornali di fabbrica ciclostilati, gli anni successivi al 1968 videro la nascita di giornali locali e riviste di buona fattura. Servire il popolo, Avanguardia operaia, La Classe, Il Manifesto e Lotta continua furono tutti fondati durante gli anni successivi al picco della met del 1968. Il Manifesto, diretto dal gruppo che precedentemente aveva militato nel Pei, riscosse un parti colare successo nel divenire un giornale di diffusione nazionale. Per un certo periodo di tempo farsi vedere con una copia di questo giornale in tasca era un segno di appartenenza al mo vimento. I giornali di movimento furono uninnovazione fondamenta le che acceler la diffusione della protesta sociale. Cos Il Ma nifesto, che si rivolgeva ai comunisti di sinistra oltrech alla sinistra extraparlamentare, aveva una diffusione che andava molto al di l dei confini degli appartenenti al proprio gruppo. Esso contribu cos a fissare il programma politico del settore del movimento sociale, e riusc ad informare su proteste che avve nivano in qualsiasi punto del paese, nonch sui temi e sulle forme di azione utilizzate in queste proteste e sulle probabili risposte delle lites. Bench la sua diffusione fosse molto minore e carente la professionalit, Lotta continua contribu a diffondere in tut to il paese notizie su nuove forme di azione e temi collettivi come lantifascismo militante. Non possiamo misurare quanto la diffusione apparentemente spontanea della protesta sociale fosse effettivamente il risultato della applicazione pratica a nuovi campi e nuovi settori delle tat tiche riferite nei giornali. Ma visto da unaltra angolazione, lim patto dei cambiamenti nella stampa era chiaro. Essi contribui rono a lanciare una forma di giornalismo investigativo, per quan to stridula, in una professione che sino ad allora aveva ricavato la maggior parte delle proprie notizie da fonti ufficiali. Non mai stata effettuata nessuna indagine sul numero delle persone impiegate n sulle dimensioni del pubblico della stampa di movimento (ma vedi Becchelloni 1973). Ma anche senza dati statistici, facile vedere che la stampa di movimento fu un im portante canale di comunicazione fra i gruppi extraparlamentari e i loro sostentitori, e forn loro uno sbocco autonomo per la diffusione dei temi portati avanti dai loro leader. La stampa di movimento ebbe ancora unaltra funzione: malgrado la mancan za di professionalit forn unoccasione di lavoro ad appartenenti
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al movimento che avevano bisogno di guadagnarsi da vivere al di fuori del sistema2.

3. I gruppi extraparlamentari
Tra gli anni accademici 1967-68 e 1968-69 il numero di quel le che potevano essere chiamate organizzazioni extraparlamen tari crebbe a dismisura. Il pubblico che nel 1967 e nel 1968 aveva spesso sentito parlare solo di azioni di non meglio specifi cati contestatori, anarchici e maoisti ora trovava sulla stampa una gran messe di riferimenti a tutta una serie di nuove organizzazioni, ciascuna con la sua minacciosa etichetta e i suoi obiettivi rivoluzionari. Ognuno dei principali episodi di protesta di massa o di violenza era seguito da articoli di fondo nella stama, che passavano in rassegna i gruppi dellestrema sinistra o dei estrema destra e le ideologie che essi presumibilmente rappre sentavano. Talvolta i gruppi extraparlamentari cooperarono, organiz zando delle dimostrazioni congiunte, come nella serie di proteste antifasciste e contro la repressione che avvennero dopo il dicem bre 1969 (cfr. infra, cap. X). Talvolta essi entravano in compe tizione tra loro e con la sinistra istituzionale; talvolta le manife stazioni pacifiche guidate da un gruppo erano invase da un altro. I dimostranti spesso passavano dalla manifestazione di un grup po a quella di un altro. Allinterno della sinistra extraparlamen tare il numero dei cani sciolti era probabilmente maggiore di quello dei militanti fedeli a un singolo gruppo. Essi non rimane vano allinterno di nessuna organizzazione, ma passavano da una manifestazione allaltra. Questo ampliava il seguito di questi gruppi negli episodi pubblici, ma li lasciava senza nessun legame organico con un gran numero di militanti cui far appello per lat tivit organizzativa. La forza reale dei gruppi extraparlamentari era dunque molto minore di quanto lasciasse pensare la loro aggressiva immagine pubblica. Questo divario tra realt organizzativa e immagine pubblica fu rafforzato dagli scontri nelle strade che si moltipli

2 Due risultati non sistematici, ma notevoli: innanzitutto lorgoglio politico con cui molti ex-leader del movimento ricordavano la pubblicazione di un gior nale; in secondo luogo, il gran numero di essi che ancora alla met degli anni Ottanta si guadagnava almeno in parte da vivere con il giornalismo.
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carono dopo il 1968, quando lestrema destra cominci ad orga nizzarsi contro lestrema sinistra. I giornali diedero grande risal to a questi episodi, nei quali i gruppi estremisti attaccavano le sedi degli avversari o si picchiavano nelle strade. Esso inoltre aument via via che, col crescere della violenza, i meno militanti e i meno inclini alla violenza si allontanavano dai movimenti. Questi sviluppi furono ampiamente riportati sia nella stampa borghese che in quella di movimento e sembrarono segnalare unespansione e unaccresciuta attivit dei movimenti sociali agli inizi degli anni Settanta. In realt, come abbiamo visto, in quegli anni il potenziale di mobilitazione di massa stava declinando. Molte delle attivit riferite erano attivit di piccoli gruppi diret te contro altri gruppi e terze parti. Una prova ci data dalla fig. 18, che riporta nel tempo la percentuale di proteste nelle quali la fonte del conflitto alla base della protesta era un partito politico o unaltra organizzazione di movimento. Entrambe le fonti re gistrarono un netto aumento dopo il 1969, in particolare dopo che lestrema destra ebbe lanciato una provocatoria campagna di attacchi contro la sinistra. o M >

Semestre

Fig. 18 - 'Percentuale degli episodi di protesta generati da partiti e organiz zazioni di movimento, per semestre, 1966-73

Come spiegare lemergere di una sinistra extraparlamentare ben organizzata nel 1969-70? La risposta risiede in due fattori principali: lorganizzazione era il prodotto della crisi, oltre che il risultato di nuove opportunit. Sia la crisi che le opportunit in fluenzarono le due componenti principali del movimento: gli stu denti estremisti e gli organizzatori del movimento. Esaminiamo a turno ciascuno di questi due fattori.
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L organizzazione come esito della crisi

Con lestate del 1968 scrive Luigi Bobbio (1979, pp. 3-4) londata studentesca deUinverno-primavera precedenti ha or mai esaurito la sua carica dirompente e le principali formazioni politiche preesistenti nellambito giovanile e studentesco sono tutte in crisi. Le occupazioni delle universit del 1967-68 erano state episodi entusiastici e formativi, ma alla fine del 1968 anche i leader esperti del movimento avevano esaurito il loro repertorio dazione di sfida allinterno delluniversit. Gli attacchi della po lizia, le sospensioni, la divisione in correnti esacerbarono i pro blemi, e gi nella primavera del 1968 il movimento era general mente considerato in crisi. Via via che il movimento nelle universit declinava, alcuni gruppi cominciarono a rivolgersi verso obiettivi esterni alle scuo le. Come abbiamo visto, marciarono accanto agli operai, blocca rono il traffico, attaccarono i simboli della cultura borghese, co me la Scala e la Rinascente, irruppero nelle chiese. Anche le fiere e le manifestazioni commerciali erano soggette a occupazioni e sit-in nei quali venivano semplicemente applicati a nuovi luoghi e a nuovi temi gli assunti e le tattiche di sfida del movimento stu dentesco. Questa diffusione dei temi e delle tattiche del movimento studentesco a nuove sedi era entusiasmante e poteva essere crea tiva, ma una volta avulsi dalle loro basi istituzionali questi inter venti potevano dissolversi in un vuoto simbolismo o in una inu tile spirale distruttiva. Cosa pi importante ancora, cera una differenza tra occupare edifici universitari e dimostrare nelle strade. Nel primo caso, il fervore degli studenti poteva essere indirizzato verso attivit costruttive o di solidariet, mentre nel secondo era pi probabile che si risolvesse in un colpire alla cieca la polizia, la quale a sua volta poteva caricare una dimostrazione in piazza con maggiore efficacia che unoccupazione entro le mu ra di ununiversit. Per i leader del movimento lunica soluzione a questi problemi era lorganizzazione. Sin dagli inizi della primavera del 1968 venne tenuta tutta una serie di convegni e dibattiti per programmare il futuro del movimento. Il pi importante di essi si tenne a Venezia nel set tembre 1968. Gi allora il passaggio allorganizzazione era molto avanzato; bench i partecipanti parlassero ancora del movimento al singolare, era, come ricorda Bobbio, forse lultimo momento in cui il confronto avviene in modo aperto sulla base dellappar tenenza di ciascuno al movimento. Dopo di allora la spinta ver
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so lorganizzazione tende a farsi sempre pi forte, derivando in parte dalle nuove prospettive che la situazione di classe sembra ormai chiaramente offrire (Bobbio 1979, p. 4).
L organizzazione come risposta a nuove opportunit

Quali sono queste nuove prospettive che la situazione di classe sembra ormai chiaramente offrire?. La speranza princi pale del movimento risiedeva nella rivolta della classe operaia. Con lavvicinarsi, nella primavera del 1969, dei rinnovi dei con tratti nazionali nellindustria, gruppi di minoranza nella sinistra osservarono i segni del conflitto industriale, consapevoli della possibilit che il movimento potesse trovare una nuova base so ciale e un terreno dazione allinterno della classe operaia del lindustria. Questa sensazione dello schiudersi di nuove oppor tunit era rafforzata dalla linea moderata tenuta dai sindacati nei precedenti rinnovi contrattuali del 1966 e dallincertezza della linea comunista nei confronti della militanza della classe operaia. Come abbiamo visto nel capitolo VII, a partire dalla prima vera del 1968 piccoli gruppi di operai talvolta contro il con siglio dei leader sindacali si erano abbandonati a scioperi sel vaggi, ad azioni dure al di fuori delle fabbriche e ad una au toriduzione della produzione della catena di montaggio in certe fabbriche. Inoltre, come abbiamo visto, le pi combattive di queste azioni si verificavano in fabbriche in cui i sindacati erano deboli o avevano compiuto degli errori tattici. Gli studenti estre misti che militavano al di fuori di queste fabbriche cercarono di trarre vantaggio da questi problemi per ottenere il sostegno della classe operaia. Era facile per loro interpretare la nuova militanza della classe operaia come una rivolta antisindacale, e per esten sione a considerarla matura per unorganizzazione rivoluziona ria. Al pari degli studenti che avevano contestato lautorit degli insegnanti e delle associazioni studentesche lanno prima, gli operai in lotta stavano, per esempio, abbandonando la loro tra dizione di deferenza verso i capi e i sindacati (Regalia, Regini e Reyneri 1978). Non solo essi adottarono la tattica delloccupa zione ma, come avevano fatto gli studenti, sembrarono prati care lobiettivo di assumere in proprio un processo che fino ad allora li aveva dominati. A Milano, per esempio, gli operai della Pirelli introdussero elementi di novit con la pratica dellautori
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duzione per ottenere i cambiamenti nei ritmi di lavoro deside rati. Coloro che si erano organizzati a sinistra ancor prima della nascita del movimento studentesco non scambiarono mai il fer vore studentesco per conflitto di classe e accolsero pi favore volmente la lotta degli operai come capace di attaccare al cuore il processo produttivo capitalistico. Proprio nel periodo in cui il movimento studentesco stava dissolvendosi, la classe operaia of fr ai gruppi una pi autentica opportunit rivoluzionaria. Al convegno di Venezia del settembre 1968 alcuni sostennero che, se voleva sopravvivere, il movimento avrebbe dovuto superare lo studentismo e coinvolgersi direttamente nei conflitti di fab brica3. Bench il radicalizzato atteggiamento degli studenti del 1967-68 fosse pi utopistico di quello dei gruppi di minoranza di sinistra, gli obiettivi ultimi dei due soggetti coincidevano. En tusiasmati dagli apparenti parallelismi tra il loro movimento e quello degli operai, e cominciando a capire che la lotta di classe aveva bisogno di una solida base industriale, gli studenti assol sero contenti al compito di mobilitazione ai cancelli delle fabbri che. Gli organizzatori del movimento, avvantaggiandosi della moderazione dei sindacati, cercarono di penetrare nella classe operaia ricorrendo a una stridula retorica antisindacale e utiliz zando lentusiamo e la disponibilit al sacrificio degli studenti per convincere gli operai del fatto che avevano effettivi alleati al di fuori dei sindacati. Fu lo scoppio del conflitto industriale, nel momento in cui il movimento studentesco universitario entrava in crisi, a generare la sinistra extraparlamentare.

4. Lorganizzazione come processo


Le organizzazioni di movimento non potevano semplicemen te trasferire la loro attivit da un gruppo sociale allaltro senza pagare un prezzo. I gruppi che volevano attaccare seriamente i sindacati avevano bisogno di forme organizzative che mantenes sero vivo lentusiasmo del movimento degli studenti oltre alla
3 Questa era una delle critiche preferite del gruppo di Potere operaio, che si ricostitu con lappellativo La Classe nel 1968 (cfr. Viale 1973, pp. 177-78, contro il quale furono avanzate questo tipo di critiche).

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disciplina degli operai. Bench alcuni caddero rapidamente in una sorta di super-leninismo, etichettato come maoismo o altro, le organizzazioni che pi ebbero successo cercarono forme di or ganizzazione che unissero le forze del movimento studentesco a quelle degli operai. Di conseguenza la maggior parte delle nuove organizzazioni nate nel 1968-69 si muovono su un terreno di verso, che accentuava il momento della prassi e delliniziativa diretta rispetto allelaborazione tecnica e allaffermazione di principi (Bobbio 1979, p. 4). Per nascondere lalto livello di controllo centrale cui si mira va vennero create formule elaborate. Alcuni gruppi erano in teo ria talmente decentralizzati da non ammettere alcun leader; in altri la leadership era esercitata in un modo talmente personali stico da rendere impossibile individuare la responsabilit delle varie decisioni. Alcuni gruppi si scrollarono rapidamente di dos so questa eredit movimentista, mentre altri lavevano guardata con sospetto fin dagli inizi. Tuttavia, quelli che ebbero un suc cesso maggiore cercarono di incorporarla nelle proprie organiz zazioni cos da evitare di decadere al rango di sette ideologiche o di degenerare in burocrazia. Una tale sintesi era lunico modo per conservare leredit del 1968 nel contesto di una lotta rivoluzio naria pi dura. Lorganizzazione non era necessaria solo agli studenti e agli operai; lo era anche per permettere a ogni gruppo di competere con gli altri. La competizione seguiva tre assi principali: tra la sinistra extraparlamentare da una parte e i partiti della sinistra dallaltra, tra i movimenti e i sindacati, e all'interno del settore dei movimenti. Ogni forma di competizione diede vita a forme di organizzazione e a tattiche diverse.
Competizione col sistema dei partiti

Cera una differenza importante tra il clima politico del 1967-68 e quello del 1969-70: il ruolo del Pei. Nel periodo pre cedente, il riformismo del Pei aveva dato ai nuovi gruppi di si nistra una possibilit di scavalcare le associazioni studentesche di partito, come abbiamo visto nel capitolo VI; ma ora il Pei non era disposto ad adeguarsi a un cos comodo scenario, perlomeno non fino al 1973. Nel suo congresso del 1969, il segretario del partito Enrico Berlinguer reag con una linea pi disponibile alla nuova turbolenza della societ italiana. Il Pei sembr dire non
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avrebbe abbandonato la classe operaia ai rivali che essa aveva a sinistra4. Inoltre, quando i nuovi gruppi estremisti tentarono di pe netrare nelle sue roccaforti operaie, il Pei rispose con classica determinazione leninista. Al livello pi immediato, i militanti extraparlamentari che cercavano di penetrare nelle manifestazio ni organizzate dai comunisti avevano la probabilit di trovarsi di fronte un servizio dordine costituito dagli operai pi duri delle fabbriche. Lorganizzazione del partito fu radicalmente rivista, e i vecchi compagni vennero sommariamente allontanati e sosti tuiti con giovani militanti provenienti dalluniversit. Persino la F g c i , riprendendosi dalla profonda crisi alla fine degli anni Ses santa, cominci a riconquistare consenso tra i giovani. Solo che il Pei non era lunico partito le cui fortune fossero nuovamente in ascesa dopo il 1968. Lindignazione contro la vio lenza fomentata dagli studenti e le violenze causate dagli operai era sempre pi sfruttata dai partiti dellestrema destra. Questa era lopportunit politica migliore che si presentasse al Msi dalla Liberazione in poi. A partire dal 1970 il neofascismo rialz la testa nellelettorato, nello Stato e specialmente nelle strade. Ma questo ritorno di fiamma non mancava di creare problemi allo stesso Msi; malgrado affermasse di rappresentare la maggio ranza silenziosa, i gruppi fascisti pi militanti e antiparlamen tari alla sua destra cominciarono a sfidare la sua egemonia, pro prio come la sinistra extraparlamentare stava sfidando quella del Pei. Una delle tattiche cui ricorsero i nuovi gruppi fascisti fu quel la di spedire bande armate ai cancelli delle fabbriche durante gli scioperi per provocare scontri con la sinistra. Se gli operai sin dacalizzati erano in grado di difendersi da questi attacchi, gli studenti di sinistra da soli non lo erano e cos talvolta gli operai in sciopero accorrevano in loro aiuto. In ogni caso i movimenti dovevano organizzare propri servizi dordine per difendersi, in particolare quando contemporaneamente attaccavano la linea sindacale. La presenza nelle strade di un nuovo fascismo militante e di
4 Al XII congresso del Pei Berlinguer tenne un importante discorso nel quale rifiutava la linea di Amendola secondo cui il partito doveva combattere una bat taglia su due fronti, contro lestrema destra e lestrema sinistra. Per uneccellente analisi di questo congresso e della sua importanza per la linea strategica del Pei cfr. S. Hellman 1976, pp. 243-73.

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stampo militare contribu a generare un clima di tensione che rafforz la tendenza allorganizzazione, e in alcuni casi alla mi litarizzazione, della sinistra extraparlamentare. Lestrema destra la sua realt come la sua immagine era il male assoluto contro cui persino le misure pi estreme erano legittime (Manconi, in corso di stampa). E impossibile capire lo sfasamento tra il ciclo della protesta dal 1967 al 1973 e il ciclo di violenza ter roristica che scatur alla fine degli anni Settanta se si ignora que sto intervento della destra (LaPalombara 1987). Sia a sinistra che a destra, dunque, i partiti politici e le loro organizzazioni di massa erano in stato meno comatoso di quanto i nuovi movimenti fossero disposti ad ammettere. Bench fosse ro meno importanti dei sindacati e dei gruppi extraparlamentari nellorganizzare le proteste, i partiti continuarono a partecipare agli episodi di protesta in tutto quel periodo. Come ci mostra la fig. 17, gli anni 1970 e 1971 furono particolarmente critici per questi gruppi. Proprio nel momento in cui, secondo le predizioni teoriche della sinistra extraparlamentare, il sistema istituzionale dei partiti sarebbe dovuto crollare, questi ultimi rispondevano invece con unaccresciuta presenza nellazione collettiva. Un ci clo di protesta un periodo di disordine generalizzato che for nisce nuove opportunit a chi sfida, ma anche a chi viene sfidato nellarena politica (Tilly 1978).
M ovim enti e sindacati

Contemporaneamente i sindacati stavano diventando una presenza pi attiva, sia nellazione collettiva in fabbrica sia agli occhi del pubblico. Bench la loro partecipazione al conflitto so ciale dipendesse di solito dal ritmo dei rinnovi contrattuali, la decentralizzazione di questi ultimi a livello delle singole fabbri che e aziende lasci alle confederazioni nazionali e alle Camere del lavoro un ruolo minore da svolgere nel conflitto industriale. Di conseguenza esse trasferirono la propria azione allarena pub blica, con una strategia di riforme che le port ad aumentare il ricorso ai cortei e alle manifestazioni. Disponiamo di due misure complementari di questa accre sciuta attivit dei sindacati: lazione collettiva perturbativa a li vello nazionale e le attivit pubbliche non perturbative promosse dalle due principali federazioni provinciali, quelle di Milano. Utilizzando la loro partecipazione a tutti gli episodi di pro testa come misura dellazione collettiva sindacale, la fig. 19 mo
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stra che essa crebbe a livello nazionale dal 1968 in poi, proprio nel momento in cui i gruppi extraparlamentari stavano cercando di raggiungere la classe operaia con campagne di mobilitazione. Laumento della capacit di mobilitazione dei sindacati appare particolarmente evidente se teniamo conto che la nostra misura dellazione collettiva sindacale sicuramente per difetto, perch non comprende gli scioperi in cui i dati giornalistici non citarono la presenza di un sindacato.
Numero

Semestre

Fig. 19 - Presenza di almeno un sindacato negli episodi di protesta, per il semestre, 1966-73

Via via che le confederazioni nazionali si andavano occupan do sempre pi delle richieste di riforma parlamentare, e con il conflitto industriale decentrato a livello delle singole fabbriche, le organizzazioni provinciali dei sindacati assunsero una presen za pubblica pi manifesta, organizzando raduni, conferenze, in contri con svariati attori sociali, nonch dimostrazioni pubbli che. Unanalisi dei comunicati-stampa della Camera del lavoro della Lombardia e dellUnione provinciale della C isl di Milano, per esempio, rivela una crescente presenza pubblica dei sindacati anche al di fuori del conflitto industriale. Questi dati sono ri portati nella fig. 20 per entrambe le organizzazioni sindacali pro vinciali di Milano.
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Numero

T rimestre

Fig. 20 - Episodi pubblici organizzati dalla Confederazioni sindacali di Mi lano, per trimestre, 1968-74

Cos, proprio nel momento in cui i gruppi extraparlamentari stavano cercando di ottenere il sostegno della classe operaia, sia il sistema dei partiti sia i sindacati stavano trovando nuove ri serve di capacit di mobilitazione e stavano entrando efficace mente in competizione con i movimenti, offrendo agli operai in centivi materiali e di solidariet che mancavano ai loro giovani concorrenti. Questo pose i movimenti di fronte alla difficile scel ta di competere coi sindacati e i partiti sul terreno di questi ul timi, o di cercare di radicalizzare la lotta. Alcuni optarono per luna o laltra di queste soluzioni, mentre altri cercarono di com binarle, come vedremo nel capitolo X. Da parte di molti lampliarsi della mobilitazione di massa a diversi settori della societ italiana era interpretato come prova di una crescente crisi del capitalismo italiano; in realt questo era il risultato dellinterazione competitiva tra i movimenti, i partiti, le organizzazioni di massa dei partiti e i sindacati. Gli anni pi formativi delle organizzazioni extraparlamentari furono anche quelli in cui il sistema dei partiti e i sindacati stavano riguada gnando la loro capacit di consenso organizzativo mentre la di sponibilit di un pubblico di massa allazione collettiva stava crollando. Da tutto ci segu il declino della sinistra extraparla mentare e la spirale di violenza che avrebbe portato agli anni di piombo che seguirono.
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5. Conclusioni
I gruppi extraparlamentari, nati intorno ai conflitti industria li nel 1968-69, furono profondamente segnati dalle loro origini. Se ci meravigliamo dellimmagine operaista che essi ebbero fino alla fine degli anni Settanta, dobbiamo ricordare che fu nel con tatto con la classe operaia militante di Torino, di Porto Marghera e di Arese che essi nacquero come organizzazioni di movimento nazionali. E se alcuni di questi gruppi si abbandonarono ad atti sempre pi radicali in nome degli operai, fu per scavalcarsi gli uni con gli altri, per scavalcare i sindacati e il partito dimostrando il loro coraggio alla classe operaia. Alcuni di questi gruppi Lotta continua, Potere operaio e Avanguardia operaia in realt riuscirono a costituire delle te ste di ponte tra gli operai. Molti altri come lUnione dei mar xisti-leninisti non ci riuscirono mai, mentre altri per esem pio, il Movimento studentesco milanese decisero di non tentare nemmeno e altri ancora come il Manifesto si tra mutarono presto in partiti politici. Quali che fossero le loro stra tegie dopo il picco della mobilitazione operaia nel 1969, nessuno di loro poteva seriamente incidere nella crescente capacit dei sindacati di controllare la rivolta della classe operaia. E interessante notare che il 1970, lanno che segu lautunno caldo, vide anche il pi alto incremento percentuale nelle iscrizioni al sindacato dopo la Liberazione (Regini 1980, p. 64). I movimenti videro in questo un potenziale terreno di recluta mento di futuri militanti, ma gi agli inizi degli anni Settanta non rimaneva pi nella classe operaia un potenziale di mobilita zione sufficiente perch i sindacati e la sinistra extraparlamen tare potessero spartirselo. I gruppi extraparlamentari non minacciarono mai seriamente legemonia capitalista o il potere dello Stato. La loro funzione reale nel ciclo di protesta fu quella di sfidare sia i sindacati che il sistema dei partiti da una parte, e le autorit dallaltra, con forme sempre pi dirompenti dazione collettiva. Cos facendo, essi contribuirono a diffondere un clima di protesta in tutta la societ italiana, a costringere i sindacati e i partiti di sinistra a dare ascolto alle richieste delle rispettive basi e forse ad adottare linee pi avanzate di quanto altrimenti avrebbero fatto. C un aspetto ironico nella vicenda delle lotte che portarono alle riforme: in fabbrica, laddove i sindacati cavalcavano la ti gre della rivolta della classe operaia, furono i gruppi extrapar
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lamentari, insieme alla sinistra sindacale e a una piccola avan guardia della classe operaia, ad avanzare richieste estreme che talvolta furono accolte dai sindacati, bench in forme pi mode rate. Nelle citt, dove sia i sindacati che i partiti fecero propria la causa degli abitanti delle periferie, furono questi gruppi estre misti a condurre molte delle proteste di quartiere che misero sul tappeto le esigenze dei poveri. I gruppi extraparlamentari pote vano spingere i sindacati e i partiti ad azioni pi avanzate, ma non potevano sostituirsi ad essi n ricreare un potenziale di mo bilitazione ormai svanito. Tuttavia i gruppi extraparlamentari ebbero anche una fun zione meno positiva negli anni di chiusura del ciclo di protesta. I loro militanti non solo tentavano di aiutare i poveri e di opporsi ai partiti e ai sindacati, ma erano anche coinvolti in feroci scontri ideologici e fisici coi simboli dellegemonia borghese e con la de stra militante. Relativamente scarsa durante il picco intensivo della mobilitazione, dal 1967 al 1969, la violenza tra i gruppi si and intensificando via via che la mobilitazione di massa calava, raggiungendo un culmine nella prima met del 1972 e nel 1973. Con il defluire della protesta di massa dai settori principali della societ italiana la scuola, lindustria, i servizi e gli affari in ternazionali i gruppi extraparlamentari portarono sempre pi i loro conflitti ideologici nelle strade. Gli scontri fisici si sosti tuirono al confronto sui problemi.

X UNA LOTTA CHE NON CONTINUATA

Nessun gruppo pu essere totalmente emblematico dellespe rienza della sinistra extraparlamentare, ma la vicenda di Lotta continua un esempio dei tre problemi fondamentali di queste organizzazioni di movimento: il modo in cui esse cercarono di accrescere la propria influenza stimolando la mobilitazione; il modo in cui cercarono forme organizzative che incanalassero la mobilitazione senza riproporre le deformazioni del passato leni nista; e soprattutto il modo in cui affrontarono il problema di sfidare le autorit per ampliare la loro influenza sulle masse senza innescare una spirale di violenza, di repressione e di smobilita zione1. Quello che segue non un tentativo di raccontare nuovamen te tutte le vicende di questa organizzazione2. Le utilizzer piut tosto per illustrare tre cose: in primo luogo, come le opportunit politiche e le limitazioni che fecero da contorno alla nascita della sinistra extraparlamentare ne condizionarono strutture e strate gie; in secondo luogo, come la competizione tra le organizzazioni allinterno del settore di movimento condusse alla radicalizzazione, al conflitto e alla violenza; e, in terzo luogo, quanto fosse difficile per questi movimenti navigare tra violenza e politica istituzionale. La storia di Lotta continua emblematica dei di lemmi della sinistra extraparlamentare in Italia, e mostra allo stesso tempo come possa terminare il ciclo di protesta: nelle ten1 Sono estremamente grato a Luigi Bobbio, Bruno Dente, Luigi Manconi, Gloria Regonini, Adriano Sofri e Guido Viale per aver condiviso con me i loro ricordi su Lotta continua. 2 In particolare, perch questo stato fatto in modo cos attento e esaustivo da Luigi Bobbio (1979), dalla ricostruzione del quale questo capitolo dipende molto.

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denze contraddittorie, ma che si rinforzano reciprocamente, di violenza e di istituzionalizzazione.

1. La costituzione di unidentit
Lotta continua era un partito con una strategia di movimen to. La costituzione di questa duplice identit inizi un anno pri ma della sua fondazione: nel settembre 1968, a un congresso sul la forma futura da dare al movimento uscito dalle universit (Bobbio 1979, pp. 18-26; Potere operaio toscano 1969>). Le po sizioni emerse in quel congresso chiarirono che esisteva gi un disaccordo sui temi classici dello spontaneismo, della direzione cosciente e del ruolo di guida degli intellettuali per legare luna allaltro (Bobbio 1979, pp. 24-25). Le stesse divergenze emersero in un congresso del gennaio 1969 a Pisa, originariamente indetto da Potere operaio toscano per esaminare i problemi del movimento studentesco nei licei della regione (Movimento studentesco pisano 1969). Ma nello scoraggiamento che seguiva agli eventi della Bussola i licei ven nero dimenticati, e vennero avanzate nel gruppo proposte di una nuova organizzazione nazionale. Quasi tutti furono daccordo sullesigenza di cambiamento, ma non riuscirono a trovare un consenso su quale forma dovesse assumere questo cambiamento. Unorganizzazione che fosse troppo disciplinata avrebbe ripro posto il passato leninista (Movimento studentesco pisano 1969, p. 3). Questi dibattiti erano tipici di quanto stava accadendo ovun que nella nuova sinistra tra la met del 1968 e la met del 1969 (Viale 1978, p. 62). Bench apparisse chiaro che il movimento studentesco era in declino, pochi volevano abbandonare il suo slancio antiautoritario, la sua linea decentralizzata, e cos molti proposero la costituzione di comitati dazione sul modello pre sunto del Maggio francese (Movimento studentesco pisano 1969, p. 3). Altri proposero di creare un ufficio politico e delle strutture federali per competere coi gruppi maoisti che in quel momento stavano fiorendo a dismisura (Bobbio 1979, pp. 1819). Altri si spinsero ancora oltre, proponendo una suddivisione formale tra unorganizzazione di massa che avrebbe avanzato delle richieste di tipo sindacale e unorganizzazione studentesca rivoluzionaria che avrebbe dovuto orientare le masse studen tesche (Movimento studentesco pisano 1969, p. 2). Il leninismo alzava timidamente la testa allinterno del movimento.
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Adriano Sofri, leader di Potere operaio toscano, rifiutava sia lo spontaneismo che il leninismo, ma port avanti lidea di creare un partito rivoluzionario. La sua proposta era di conservare len tusiasmo del movimento studentesco e la forza degli operai in una coalizione di avanguardie interne che avrebbe permesso al partito di stimolare la mobilitazione nelle fabbriche e di organiz zare la protesta ovunque nascesse un conflitto. Loperaismo do veva essere socializzato, proprio come il movimento studente sco era stato operaizzato. Il partito si sarebbe sviluppato non alla testa di una lotta a favore del proletariato, ma quale lotta stessa del proletariato. Lala di Potere operaio toscano che faceva capo a Sofri ruppe sia con lala spontaneista che con quella leninista, e a primavera Sofri si trasfer a Torino. Il risultato pi importante di questo fu la fusione del gruppo con una parte del movimento studentesco torinese e il suo tentativo di ottenere una base tra gli operai della F iat nellestate del 1969. In quello stesso anno Mirafiori divenne non solo il centro della lotta degli operai della F iat , ma la chiave della nascita di un certo numero di piccoli gruppi di estrema si nistra allinterno dei movimenti extraparlamentari nazionali. Es so mostr ai leader che lentusiasmo del moribondo movimento studentesco poteva essere riacceso attraverso una coalizione tra studenti e operai dellindustria.

2. Mirafiori, 1969
Bench sia passato alla storia come il punto culminante dellautunno caldo, il conflitto a Mirafiori nellestate del 1969 fu solo il punto di arrivo di un movimento iniziato a Porto Marghera, a Valdagno e nellarea di Milano lanno prima (Bobbio 1979, p. 27). Lelemento veramente diverso alla F iat era il gran numero di operai immigrati di nuova assunzione, linusuale de bolezza dei sindacati metalmeccanici e il gran numero di nuove organizzazioni di movimento che occupavano la scena, in com petizione per assicurarsi il sostegno operaio. La lotta alla F iat era tuttaltro che inaspettata. Per tutto lin verno e la primavera del 1969 gruppi di minoranza dellestrema sinistra avevano osservato la lotta degli operai qualificati alle Ausiliarie della F iat e alle Presse (Psiup 1969; Viale 1978, p. 159). Il primo segno di accesa militanza tra gli operai fu dato dai cortei interni intorno alla fabbrica che fecero cessare lisolamento fra
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i gruppi di lavoro e sovvertirono i rapporti di autorit tra operai e capisquadra (Viale 1978, p. 160). I sindacati metalmeccanici avevano firmato un debole contratto a favore degli ausiliari, con tratto che diede agli operai non qualificati della catena di mon taggio privi di sostegno sindacale e di piattaforma il segnale per bloccare la produzione nelle loro linee. Il conflitto galopp da reparto a reparto, seguendo il percorso dei cortei interni (Viale 1978, p. 161). Fu a questo punto in un momento in cui gli operai non qualificati della catena di mon taggio stavano rifiutando la strategia dei piccoli passi dei sinda cati che i gruppi di minoranza a sinistra cercarono di inserirsi nella lotta (Bobbio 1979, p. 28). Come a Porto Marghera un an no prima, disponevano delle risorse costituite dagli studenti mi litanti e del vantaggio dato dal fatto che gli operai erano gi in lotta, nel contesto di una strategia sindacale debole e incerta. Inoltre sapevano che il conflitto a Mirafiori non sarebbe rimasto assente dalle pagine dei giornali3. Chi erano questi gruppi, e come intervenivano? Per molti mesi un piccolo gruppo di studenti universitari provenienti da Torino aveva pattugliato i cancelli della Mirafiori distribuendo volantini agli operai che uscivano dal turno, e mettendosi a dia logare con loro. Un questionario distribuito da Potere operaio torinese mostrava una notevole disponibilit degli operai, oltre a un sorprendente grado di simpatia verso gli studenti (Rieser 1969, p. 30). Quando fin lanno accademico, il numero degli studenti che stazionava intorno ai cancelli della fabbrica alla fine di ogni turno sal a svariate centinaia. A maggio i militanti di La Classe arrivarono a Torino4, in sieme a svariati gruppi di minoranza provenienti da Milano e a ci che restava del gruppo di Quaderni rossi di Torino. Il grup po pi forte e pi esperto delle assemblee studentesche era pro babilmente costituito dai militanti di La Classe, che rappre sentavano unala ortodossa delloperaismo extraparlamentare (Magna 1978, pp. 339-42). La maggior parte dei leader del mo
3 Si noti tuttavia che La Stampa di Torino non diede praticamente nessuna notizia dello sciopero fino alla battaglia di corso Traiano. 4 In questo periodo vi furono svariati cambiamenti di nome che confondono la situazione. Bobbio cos riassume la vicenda: alcuni aderenti al gruppo di Potere operaio veneto che erano stati attivi a Porto Marghera si erano uniti a dei vete rani del movimento studentesco di Roma, Milano e Torino, per costituire un nuovo gruppo che pubblic il giornale La Classe. Nellagosto questo gruppo dette vita a un nuovo gruppo nazionale, chiamato Potere operaio (cfr. Bobbio 1979, p. 29).

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vimento studentesco delluniversit di Torino arrivarono solo pi tardi, contemporaneamente a Sofri e ai suoi amici da Pisa. Se i militanti di La Classe si sobbarcarono gran parte del duro lavoro necessario a stabilire contatti con gli operai, i pi numerosi studenti di Torino, grazie anche alle radici locali, ga rantirono la loro presenza non solo a Mirafiori, ma anche a Rivalta, al Lingotto e in altre sezioni della gigantesca fabbrica to rinese (Bobbio 1979, p. 29). I militanti esterni e gli operai loro simpatizzanti si trasferirono ben presto in un bar nei pressi di Mirafiori, tenendo degli incontri che ben presto furono etichet tati come assemblee operai-studenti. Lo slogan la lotta conti nua, uno slogan dadunata mutuato dai recenti eventi di Parigi {la lutte continue ), divenne lespressione con cui venne designata onnicomprensivamente unampia coalizione di studenti militanti e di operai estremisti che si radunavano ogni giorno in quel bar, e che ben presto attrassero lattenzione dei militanti di estrema sinistra di tutta lItalia settentrionale5. Quando il locale divenne troppo piccolo per le assemblee notturne, esse si trasferirono al lospedale delle Molinette, dove maggiore era linfluenza dei to rinesi e dei loro amici pisani.
Conflitto e competizione

Luigi Bobbio (1979, p. 19) ha sottolineato lunit tra i gruppi esterni nel comune desiderio di sostenere gli operai della F iat e di opporsi ai sindacati. Ma anche nel momento di massima coo perazione, nella primavera e nellestate del 1969, essi erano gi travagliati da polemiche ideologiche (Viale 1978, p. 177). Le di vergenze pi importanti erano tra il gruppo di La Classe e i militanti di Torino e Pisa, e vertevano sullesclusivit del loro operaismo, sullatteggiamento da tenere verso il movimento stu dentesco e sugli strumenti e appelli che si ritenevano necessari per portare al proprio fianco gli operai. Per La Classe non esagerato dire che la fabbrica era tutto e che il capitalismo era concepito in termini radicalmente eco nomicistici; per i militanti pisani e torinesi lo sfruttamento ca pitalistico era dappertutto, come dappertutto erano le opportu nit di mobilitazione. Per La Classe i salari erano al centro di qualsiasi appello rivoluzionario, non solo perch erano la cosa a
5 tuttavia interessante osservare che Potere operaio toscano aveva gi uti lizzato questo slogan nel suo giornale di Massa, un anno prima del maggio 1968.

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cui gli operai tenevano di pi, ma anche perch solo lotte radicali per il salario potevano distruggere il programma dei padroni (Rieser 1969, p. 15). Loperaismo dei loro avversari era gi meno economicistico. A Pisa, Potere operaio toscano aveva cercato di organizzare i commessi dei grandi magazzini, i netturbini e magari con spe ranze meno fondate anche i paracadutisti. Cosa pi impor tante, Sofri e i suoi amici avevano imparato che laspetto sog gettivo della vita degli operai poteva essere per loro altrettanto importante delloggettivo sfruttamento da parte del padrone6. A Torino insieme ai salari il gruppo mirava ad affrontare altri pro blemi della catena di produzione mentre, al di fuori della fabbri ca, si rivolgeva ai problemi degli immigrati, della casa e di altri gruppi sociali che pi o meno genericamente collegava al prole tariato (Rieser 1969, p. 16). Queste versioni diverse delloperaismo portarono ciascun gruppo a una concezione diversa dellorganizzazione. Per i mili tanti di La Classe lorganizzazione doveva incentrarsi sulla radicalizzazione del conflitto tra operai e padroni riguardo ai salari7. Per lemergente gruppo di Lotta continua questa impo stazione era fortemente riduttiva e meccanicistica (Bobbio 1979, p. 36). La cosa pi importante era la capacit di iniziativa soggettiva con cui la classe sa ormai investire tutti quanti gli aspetti dello scontro (Bobbio 1979, p. 37). Lorganizzazione si gnificava creare una presenza non solo in fabbrica ma anche nei quartieri della classe operaia, tra gli immigrati e allinterno di altri gruppi sociali: ci che pi tardi sarebbe stato noto come socializzazione della lotta di classe. Queste divergenze non diminuirono la capacit dei due grup pi di intervenire nei conflitti alla F iat . Al contrario, sappiamo da fonti documentarie che il loro tentativo di radicalizzare il con flitto fu in parte dovuto alla loro competizione per il sostegno degli operai (Bobbio 1979, pp. 30-31). Questo si rispecchiava
6 Per esempio, il suicidio di un operaio alla Olivetti aveva costituito il tema di un precedente articolo del giornale del gruppo. Sofri afferm anni dopo che quello era stato il primo episodio che gli aveva fatto capire che laspetto sogget tivo dello sfruttamento poteva costituire parte importante della lotta degli operai (colloquio personale, Firenze, 19 marzo 1986). 7 In questo il gruppo era fortemente influenzato dalla propria esperienza di Marghera, ma anche clairipotesi di maggio che port i suoi leader a chiamare alla generalizzazione della lotta attorno allobiettivo dellautonomia operaia, dalla richiesta di aumenti salariali al rifiuto di produrre, a una proposta di col legare i salari alle esigenze degli operai (cfr. Bobbio 1979, p. 36).

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nelle loro polemiche; gi nel luglio del 1969 Guido Viale affer mava: Di fronte a questa consapevolezza di massa c da parte dei gruppi che intervengono alla F iat , una notevole sottova lutazione del carattere estremamente avanzato della fase di lotta che stiamo attraversando, il che da riportarsi alla matrice ope raista ed economicista della maggior parte di essi che li rende endemicamente incapaci di cogliere tutte le implicazioni politi che di una lotta di queste dimensioni (ripubblicato in Viale 1973, p. 58). Quanto al futuro gruppo di Lotta continua, esso era attaccato in La Classe per il suo ideologismo intellettuale e rivoluzionarismo puramente verbale e per il fatto di sbandierare uno spirito umanitaristico che non conosce la differenza tra la classe operaia e una casa per anziani (Dina 1970, p. 147). Viale, da parte sua, ridicolizzava gli avversari quali teorici della scienza operaia, militanti della pratica degli obiettivi intesa come loro martellante ripetizione, inventori dellequazione classe operaia = salario, cultori di un aprioristico punto di vista operaio gi tutto definito (Viale 1978, p. 177). La crescente polarizzazione tra i due gruppi ebbe un effetto demoralizzante sui loro alleati operai, perch come ogni polariz zazione port allastrazione dai temi concreti che spingevano gli operai a mobilitarsi e ridusse linfluenza degli spiriti pi razio nali, come Pex-militante di Quaderni rossi Vittorio Rieser, che avrebbero potuto temperare le formule ideologiche dei gruppi contrapposti coi frutti dellesperienza. Cosa ancora pi importante, la concorrenza spinse questi due gruppi a compiere sforzi separati e in competizione per mobili tare gli operai. Negli anni successivi Lotta continua non avrebbe mai superato la propria paura di essere scavalcata, nei tentativi di ottenere il sostegno degli operai, da Potere operaio, il gruppo uscito da La Classe. Lo scavalcamento tattico e la polarizza zione ideologica nati alla F iat avrebbero impresso il tono a tutti i loro rapporti futuri. A settembre La Classe adott la nuova denominazione di Potere operaio e fond una nuova rivista con questo nome, non ch unorganizzazione extraparlamentare a livello nazionale. Sofri e i suoi amici fecero propria la dizione onnicomprensiva delle assemblee degli operai-studenti la lotta contnua come loro slogan e programmarono un giornale con questo nome. Solo che questo giornale a differenza della maggior parte della lettera tura occasionale nata dal ciclo della protesta aveva lambizioso
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obiettivo di porsi come strumento nazionale di mobilitazione delle masse.

3. Dare la parola agli operai


Continuare la lotta iniziata alla Mirafiori nellestate del 1969 divenne lipotesi di lavoro intorno a cui Lotta continua co stru la propria organizzazione (Viale 1978, p. 213), e costitu anche la linea editoriale del suo nuovo giornale. Il giornale, scris se Bobbio (1979, p. 41), deve chiamarsi Lotta continua per sottolineare la continuit tra la straordinaria esperienza di massa alla F iat del maggio-giugno e la nuova proposta nazionale [di ge neralizzazione della lotta]. Per usare le parole di Sofri, Vole vamo che la classe operaia di Bagnoli sapesse di poter fare le stesse cose che avevano fatto gli operai di Torino a Mirafiori8. Il giornale adott un linguaggio semplice per parlare agli ope rai ed evit le formulazioni dottrinarie tipiche dellestrema sini stra. Il bisogno di dare la parola ai protagonisti della lotta di classe port alla pubblicazione di dibattiti tra operai pi che tra intellettuali; a un impiego molto maggiore di fotografie e di strumenti pi espressivi nella comunicazione di massa di quan to si fosse sinora visto, nonch alladozione di elementi espres sivi della comunicazione di massa (Bobbio 1979, p. 72). Lotta continua non solo diceva alla gente dove si svolgeva lazione, ma cercava di esser parte di quellazione. Ma cera un aspetto pi inquietante nellimmagine popolare del giornale: i suoi redattori preferivano i titoli spettacolari e le vicende provocatorie allanalisi politica seria (Violi 1977, p. 178). Nel nome della socializzazione della classe operaia, Lotta continua trascurava il dibattito teorico. Anni dopo Sofri avreb be ammesso di aver prodotto una quantit di idee gettate in blocco allorganizzazione senza preoccuparsi della formazione di una base di opinione generale che avrebbe trasformato questa idea in una forza pratica effettiva (1977, p. 78). Lotta continua era talmente incentrata sulla lotta degli operai che cerc di trasformare il movimento nei licei esploso nella primavera del 1969 in un movimento a favore degli operai. Come spiega Bobbio se ancora qualche mese prima si sottoli
8 Colloquio personale, Firenze, 19 marzo 1986.

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neava [...] il ruolo autonomo degli studenti [...], ora si tende sem pre di pi ad affermare la loro subordinazione alle lotte operaie (1979, p. 51)9. La logica era movimentista; dato che la capacit potenziale di perturbare il capitalismo italiano era maggiore nelle fabbriche, le proteste degli studenti per una reale democrazia nei licei sembravano semplicemente una diversione. Lincapacit di elaborare un programma che affrontasse seriamente i temi che stavano a cuore agli studenti liceali avrebbe avuto gravi conse guenze in seguito, quando una nuova leva di giovani militanti formatasi nel movimento studentesco divenne la forza principale del gruppo nelle strade e nelle piazze. Lintenzione dei leader di Lotta continua di assegnare un ruolo egemonico alla lotta degli operai fu anche affermata nei congressi del partito, dove i militanti esterni studenti e in tellettuali non ebbero per un certo periodo diritto di parola. Questa limitazione fu imposta per dare agli operai la possibilit di effettuare la loro formazione politica (citato in Bobbio 1979, p. 68). In nome della formazione di una nuova avanguar dia della classe operaia, gli intellettuali avevano un ruolo defila to, mentre gli studenti erano ridotti a essere le truppe dassalto della lotta di classe.
Operai e Consigli di fabbrica

Lesperienza formativa di Mirafiori, dove i sindacati erano deboli e i gruppi esterni godevano di inusitata legittimit, port alla sottovalutazione sia del potere dei sindacati sia delle nuove istituzioni emergenti in fabbrica, i Consigli dei delegati. Gli ope rai pi attivi nei conflitti della F iat avevano visto il programma dei delegati come nientaltro che un tentativo dei sindacati di recuperare la lotta spontanea dandole una veste giuridica uffi ciale (citato in Bobbio 1979, p. 33). Siamo tutti delegati era lo slogan che percorse Mirafiori nei tumultuosi conflitti del 1969. Dopo lautunno caldo, Lotta continua seguit ad opporsi ai delegati come a unesperienza che nasce dallalto, per inizia tiva sindacale; non dal basso, come espressione delliniziativa operaia (Viale 1978, p. 162).
9 E interessante che Bobbio, Sofri e Viale, le cui posizioni differivano su molti altri punti, fossero daccordo sul fatto che la negazione da parte di Lotta continua dellautonomia delle esigenze educative degli studenti dei licei fosse un errore fondamentale.

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Col senno di poi, sappiamo che le condizioni della F iat non si sarebbero dimostrate generalizzabili in tutta lindustria ita liana dopo lautunno caldo. Altrove i Consigli dei delegati ebbero un richiamo pi positivo per gli operai e una combat tivit che alla F iat mancava; in altri casi i consigli furono espressione dellala sinistra dei sindacati. Alla fine furono essi a gestire gli scioperi quasi ininterrotti a livello di fabbrica del 1970-72. Nelle fabbriche metalmeccaniche di Milano, per esem pio, i consigli videro uniti militanti sindacali e non sindacali. A Porto Marghera fu per iniziativa della vecchia Commissione interna che venne costituito un Consiglio di fabbrica (Perna 1980, p. 7). Ma i leader di Lotta continua speravano in un approfondimento del distacco tra le lotte proletarie e il controllo politico del movimento operaio su di esse (citato in Bobbio 1979, p. 47). Cos essi si opposero alle trattative per il contratto che avrebbero portato alle grandi conquiste sindacali dellau tunno caldo e rifiutarono la partecipazione ai Consigli dei delegati proprio nel momento in cui essi si stavano rapidamente diffondendo come le istituzioni rappresentative della classe operaia in tutto il paese. Tutti i gruppi extraparlamentari dovettero affrontare la real t di questi nuovi organismi, e lo fecero in svariati modi. Il Ma nifesto li accolse con un entusiasmo quasi mitico, come se fossero una rinascita dei Consigli di fabbrica del 1919-21; La Classe/ Potere operaio cerc di organizzare dei comitati politici al loro interno (Potere operaio, 5 dicembre 1970); Avanguardia ope raia cerc di partecipare come corrente al loro interno, e ovun que possibile, a mantenere una presenza a s grazie ai C ub (Avan guardia operaia 1972). Lotta continua, invece, che aveva impa rato dallesperienza della propria fondazione che i consigli erano essenzialmente [...] strumento di controllo dei sindacati su gli operai, chiedeva ai propri sostenitori di boicottarli (Bobbio 1979, p. 59)10. Bench molti militanti di Lotta continua nella realt partecipassero ai consigli, il gruppo formalmente rimase estraneo a quella che sarebbe divenuta la pi grande acquisizione degli operai dopo lautunno caldo.

10 Solo nel 1972 lerrore venne formalmente riconosciuto e la partecipazione dei militanti di Lotta continua ai Consigli di fabbrica venne legittimata.

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Situazioni avanzate e situazioni arretrate

La vicenda dei Consigli di fabbrica era sintomatica di un dilemma pi vasto che Lotta continua condivideva col resto della sinistra extraparlamentare; nel rifiutare i consigli, Lotta continua scelse la strategia di movimento rispetto allistituzione e come dice Bobbio, si comport come se le situazioni avan zate, come la F iat , potessero essere generalizzate alle situa zioni arretrate del resto del paese (Bobbio 1979, p. 65). Bench nessuno degli altri gruppi extraparlamentari si spinse altrettanto lontano quanto Lotta continua, tutti dovevano sce gliere la strategia di movimento rispetto allistituzione, perch era solo allinterno del movimento che potevano trarre la loro unica risorsa principale, il potere di sfida. Solo scegliendo il movimento potevano continuare ad attirare sostenitori, a sfi dare le autorit e ad ottenere lattenzione del pubblico. I movimenti devono privilegiare i momenti alti della lotta ri spetto alla routine quotidiana dellorganizzazione di massa. Il problema, come dice Bobbio, che questi momenti alti non sono universali e che, via via che la disponibilit a mobilitarsi declina nella popolazione in generale come avvenne dopo il 1969 essi divengono sempre pi rari.

4. Organizzare il movimento
Se non intendeva partecipare ai Consigli di fabbrica, in che modo Lotta continua proponeva di organizzare la propria base nella classe operaia? Dato che sarebbe stato il conflitto a formare la consapevolezza di classe rivoluzionaria degli operai la lo gica violenta, brutale e poco elegante della lotta dei proletari per la loro emancipazione (citato in Bobbio 1979, p. 61) era solo intensificando e diffondendo la capacit conflittuale del proleta riato che si sarebbe dato il via alla sua organizzazione. Il pro blema afferm Sofri non di mettersi alla testa delle mas se, ma di essere alla testa delle masse (1968, pp. 21-22). Ma, di conseguenza, come scrisse Guido Viale (1978, p. 213), Lotta continua non ha n ideologia, n teoria, n strutture organizza tive, n disciplina di partito, n programma e risoluzioni che ne fissino i compiti. Lorganizzazione di Lotta continua sarebbe stata creata se condo linee politiche e non sindacali. Come si sarebbero svilup233

pat queste linee? Da un processo crescente di lotte (Bobbio 1979, p. 60). Chi le avrebbe controllate? Gli stessi operai. Quale forma organizzativa era proposta per portare avanti questa lotta? Intorno a questi temi il dibattito cominci soltanto nel 1969. Il progetto di organizzare un partito a partire dallinterno delle avanguardie delle masse sollevava obiezioni sia da un punto di vista leninista (Nuovo Impegno 1969) che spontaneista (Della Mea 1970), tanto che fu portato a termine solo nel 1973, quando la disponibilit popolare a protestare si stava esaurendo. Il contributo di Sofri al dibattito fu pieno di fantasia, ma era pi ispirato che dotato di salde basi teoriche: Noi crediamo che un momento fondamentale di organizzazione, di liberazione e di presa di iniziativa da parte degli operai sia un corteo di 10.000 persone come quello di Mirafiori e che la cosa che pi si avvici nava a un soviet, in questa fase della lotta di classe in Italia, quel corteo operaio (citato in Bobbio 1979, p. 61). Lidea che un corteo di operai intorno a una fabbrica potesse essere lequivalente di un soviet aveva successo sul piano pro pagandistico, ma non rappresentava unanalisi seria, e indirizz il dibattito allinterno dellorganizzazione intorno ai simboli astratti pi che alle strutture concrete. Anche lorganizzazione a livello nazionale rimaneva sommaria. Nei primi mesi, ogni fine settimana portava una nuova tumultuosa assemblea in una citt diversa, lungo le linee della vecchia pratica del nomadismo di Potere operaio toscano (Viale 1978, p. 214). Quando fu costi tuito un Comitato politico nazionale, esso fu poco pi di unas semblea di delegati provenienti da diverse sedi locali. Solo nel 1973 fu creata una vera organizzazione nazionale, e anche allora essa lasciava poco spazio alla riflessione collettiva. Lattuazione delle decisioni prese dal Consiglio nazionale era affidata al gruppo dei pisani intorno a Sofri. Il risultato fu una sorta di leninismo della personalit quello che pi tardi So fri avrebbe chiamato ganzismo. Ancora nel 1970, un critico ben disposto come Luciano Della Mea (1970, p. 53) vedeva un divario crescente tra la voce ufficiale del movimento asso migliante sempre pi al leaderismo del vecchio sistema dei par titi e gli appassionati interventi verbali della base. In assenza di unorganizzazione ben articolata, osserv Sofri pi tardi, un pugno di persone prevalentemente vecchi amici di Torino e di Pisa considerava Lotta continua una specie di patrimonio personale del quale poteva disporre senza consultare nessuno (Sofri 1977, p. 75).
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5. Da una campagna allaltra


Un importante riflesso sia del ganzismo di Sofri sia del ca rattere movimentista di Lotta continua fu la serie di passaggi politici e di campagne di mobilitazione che contrassegnarono la sua breve storia. Quando nelle fabbriche si incontrarono degli ostacoli alla mobilitazione degli operai, lo slogan del gruppo di venne Prendiamoci la citt; quando Sofri venne incarcerato, Lotta continua scopr che i detenuti fanno parte del proletariato; quando a Reggio Calabria scoppi una rivolta, il Sud divenne il futuro nucleo centrale della rivoluzione. Questi mutamenti di politica portarono la sinistra istituzionale a considerare Lotta continua unorganizzazione poco seria, mentre la destra e la stampa laccusavano di demagogia. Tuttavia la causa principale dellinstabilit tattica di Lotta continua non era n la demagogia n la mancanza di seriet. Essa risiedeva nella natura dei movimenti sociali, come pure nelle di namiche dei cicli di protesta. Un movimento votato al conflitto e alla sfida. Senza conflitto non pu impegnarsi in unazione col lettiva di sfida, e manca della risorsa principale grazie alla quale mobilitare i propri sostenitori, attirare nuovi aderenti e rimanere presente agli occhi del pubblico. Tutte le organizzazioni di mo vimento sono costrette a cercare nuove fonti di lotta o ad ab bandonare la loro pretesa di essere movimenti di massa. Questo vale in particolar modo nei cicli di protesta. Quando la mobilitazione va crescendo come avvenne in Italia a partire dal 1967-69 le organizzazioni di movimento possono conti nuare a sviluppare gli stessi temi e a ricorrere allo stesso reper torio di azione collettiva; ma via via che la mobilitazione declina dopo aver toccato il picco del ciclo, i sostenitori tra le prime leve divengono sempre meno numerosi, le autorit imparano a com battere le forme dellazione collettiva ormai conosciute, e le isti tuzioni cominciano a fornire prospettive pi rassicuranti. Via via che la mobilitazione and calando sul luogo di lavoro, e che i sindacati guadagnarono il controllo della classe operaia nei Con sigli dei delegati, le organizzazioni della sinistra extraparlamen tare furono costrette a trasferirsi in nuove aree di conflitto, a cer care nuovi soggetti sociali e a ricorrere a nuove tattiche di sfida. Altrimenti, rischiavano di perdere liniziativa, a favore di gruppi pi istituzionalizzati, quali i sindacati e i partiti. Ma i costi potenziali di una strategia di movimento sono an che elevati. A causa della sua mobilit da un tema allaltro, Lotta
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continua negava a se stessa un ruolo organizzato nelle emergenti istituzioni decisionali a livello di fabbrica. Si riduceva ad attac care i sindacati o a proporre alternative ai consigli, proprio nel momento in cui questi ultimi si stavano dimostrando gli stru menti del nuovo potere contrattuale della classe operaia11. Cer cando nuove forme dazione collettiva di sfida, essa correva il rischio di incoraggiare una spirale di tattiche sempre pi radicali, proprio nel momento in cui la popolazione si stava stancando della mobilitazione e le forze dellordine si stavano ricompattan do per una strategia repressiva pi efficace. A partire dallautunno del 1969 Lotta continua lanci una serie di campagne di mobilitazione, ciascuna incentrata intorno a un singolo tema, a un soggetto sociale o a un problema politico. Queste campagne iniziarono in modo informale. Per esempio, quando gli operai immigrati tornavano al Sud per le vacanze, venivano date loro informazioni da portare nei paesi dorigine e veniva lanciata una campagna di reclutamento nel Sud (Viale 1978, p. 166). Quando le mogli delle reclute andavano a trovare i mariti in caserma, portavano del materiale di propaganda nelle borse. Amici e familiari che venivano a trovare i detenuti por tavano dei messaggi agli organizzatori di rivolte nelle carceri12. Alcune di queste campagne furono significative. Vediamone alcuni esempi.
I dannati della terra

Lotta continua pubblicizz e contribu a diffondere delle proteste nelle carceri non solo attraverso i suoi militanti detenu ti, ma anche attraverso corrispondenti esterni15. Dato che costi tuivano lo strato inferiore della classe urbana pi umile, e ave vano unistintiva ostilit e combattivit contro lautorit, i de
11 Questo il mio principale punto di disaccordo con Bobbio, il quale, nel suo trattamento dei momenti alti e delle situazioni arretrate sostiene che Lotta continua non si chiese se i primi potessero essere generalizzati a queste ultime (1979, p. 64). La mia opinione che una volta scelta una strategia di movi mento il gruppo doveva comportarsi come se i momenti alti fossero univer salmente validi. 12 Per ovvie ragioni le fonti di questa informazione devono rimanere anoni me. 13 Una di essi, una studentessa di filosofia di Pavia chiamata Irene Invernizzi, fu successivamente inquisita dalla polizia per il sospetto di aver diffuso la ribel lione tra i detenuti mediante parole in codice che si riteneva fossero inserite nelle lettere che essa inviava loro (cfr. Invernizzi 1973).

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tenuti erano considerati una naturale estensione del sempre pi ampio concetto di socializzazione della lotta di classe portato avanti da Lotta continua. In passato i politici erano stati tenuti separati dai criminali comuni nelle carceri per evitare il contagio politico, ma dopo il 1968-69 il numero degli organizzatori e degli studenti arrestati in scontri con la polizia divenne talmente alto che la separazione fisica non fu pi possibile nelle affollate prigioni italiane14. I temi polarizzati dalla sinistra extraparlamentare comparvero ben pre sto negli slogan dei detenuti in rivolta, che divennero sempre pi dettagliati e programmatici (Viale 1978, p. 250). Per Lotta continua non vi era nessuna differenza fondamen tale tra i detenuti politici e quelli comuni. Fintantoch giravano per le strade, i criminali erano degli egoisti e degli irrecupera bili per il movimento di classe; solo quando si trovavano in car cere potevano imparare labitudine di collaborare tra loro e di ribellarsi alla forma pi istituzionalizzata di repressione, il siste ma carcerario. Il carcere divenne una scuola di rivoluzione nella quale lasociale e ribelle detenuto diventava un proletario15. A partire dalla fine del 1970 Lotta continua istitu una propria Commissione carceri che mirava a mantenere il con tatto con quei detenuti rilasciati che i suoi militanti avevano contattato in prigione (Lotta continua 1972). Lotta continua si mantenne in contatto anche con tutta una rete di avvocati disposti a lavorare per far uscire di prigione i militanti arrestati. Inoltre, cerc di organizzare i detenuti liberati attraverso una specie di rete sociale militante16. Il movimento dei detenuti sal in crescendo fino al 1973, quando Lotta continua pubblic oltre 150 rapporti di rivolte nelle carceri, in coincidenza con un movimento di riforma delle carceri in Parlamento e sulla stampa (Neppi Modona 1976; Viale 1978, p. 250). Ma a partire dal 1975, con la scoperta dei N a p , Lotta continua abbandon sia la Commissione carceri che i propri tentativi di organizzare gli ex-detenuti.
14 Colloquio con Guido Neppi Modona, New York, 20 giugno 1987. 15 Riassunto da un documento del nucleo di San Vittore a Milano, uno dei centri delle rivolte dei detenuti, pubblicato in Lotta continua, 16 dicembre 1971. 16 La campagna di Lotta continua nelle carceri un capitolo di questa vicenda che resta ancora da scrivere.

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Prendiamoci la citt!

Il tema di mobilitazione pi importante nella storia di Lotta continua emerse nel 1971. Prendiamoci la citt! fu il tema del secondo congresso nazionale del gruppo. Bench la campagna di scendesse logicamente dalla decisione del 1969 di mobilitare gli operai intorno ai loro interessi soggettivi la casa, i servizi ur bani, la qualit della vita essa assurse a strategia generale solo quando gli sforzi del gruppo nelle fabbriche cominciarono a in sterilirsi (Lotta continua, 20 novembre 1970), e quando un certo numero di altri gruppi cominci a organizzarsi intorno alle esigenze degli inquilini, degli utenti dei servizi pubblici e dei gruppi urbani in generale. Fu da campagne come queste che vennero molti dei pi gran di successi del movimento urbano; dagli scioperi per gli affitti da parte di inquilini delle case popolari, dallautoriduzione delle bollette e delle tariffe dei trasporti pubblici, a meno organizzati tentativi di cambiare i piani regolatori delle citt. Tra tutte le attivit di Lotta continua, questa era quella che avrebbe potuto attingere in modo pi efficace dallabilit e dalle capacit elei suoi militanti provenienti dalla classe media e far avanzare lobiettivo strategico del gruppo di socializzare la lotta di classe. Ma il bisogno di tenersi continuamente in vita come movi mento min il successo di questa campagna, perch esso dipen deva da una seria organizzazione di casa in casa e dallelabora zione di un alto grado di specializzazione. Mentre alcuni gruppi come lUnione inquilini di Milano, il S unia e i sindacati stavano imparando a muoversi nei labirinti della politica urbana, Lotta continua cercava di far scattare i meccanismi della rivolta che aveva visti in atto per esempio nella famosa occupazione di viale Tibaldi (Bobbio 1979, p. 82). Ancora una volta il bisogno di continuare la lotta ebbe la precedenza sullorganizzazione. In termini pratici, questo signific continuare la lotta a partire da momenti avanzati portandola anche in situazioni in cui aveva poche possibilit di riuscita. Gi nel 1973 lo slogan Prendia moci la citt! era stato archiviato nel fatidico congresso di Rimini.
Mo che il tempo savvicina

Una linea strategica molto diversa risaliva al 1971, quando Sofri, appena uscito dal carcere, fece un pellegrinaggio al Sud
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nel tentativo di stimolare la mobilitazione nelle regioni in cui il movimento era pi debole. Comparve fra laltro a Reggio Calabria, dove degli elementi locali avevano portato avanti la battaglia durata otto mesi per la questione del capoluogo regio nale. Per unanime riconoscimento, la sinistra era stata lenta a co gliere il potenziale rivoluzionario di un conflitto che di conse guenza cadde rapidamente sotto la direzione dellestrema destra (Ferraris 1970). Solo Lotta continua si diede immediatamente allazione. Mentre il Pei condannava la gestione da destra della rivolta di Reggio, Lotta continua stava organizzando dei raduni di solidariet coi reggini a Milano e a Torino, chiedendo alla si nistra: Strappiamo Reggio proletaria ai fascisti, ai padroni, ai falsi rappresentanti del popolo (Bobbio 1979, p. 91). Col tra sferimento di Sofri in quella regione, e la disponibilit ad acco gliere nel gruppo gli elementi del sottoproletariato a prescindere dalla loro matrice politica, il gruppo cercava di scavalcare le altre organizzazioni dellestrema sinistra. Reggio stata una grande vittoria della spontaneit e la definitiva sconfitta dello sponta neismo, dichiar Sofri col suo abituale gusto per il paradosso (cit. in Bobbio 1979, p. 91). I ribelli di Reggio sono gli uomini del Sessantotto, scrisse Viale (1978, p. 232). Era stata lassenza della sinistra rivoluzionaria dalle regioni povere del Sud, ritenevano Sofri e Viale, a spiegare perch i fa scisti avevano potuto assumere la guida di quella che in realt era una lotta popolare (Viale 1978, p. 235). Sofri proclam un nuovo fronte di continuazione della lotta. Questo si concretizz nella pubblicazione di un giornale, Mo che il tempo savvicina, e la creazione di ventisei nuove sezioni nel Sud (Bobbio 1979, p. 93). Ma non ebbe successo presso il proletariato e il lumpen proletarat del Sud; le elezioni del 1975 portarono s un terremoto politico nel Sud, ma fu il Partito comunista a trarne vantaggio. Bench Lotta continua fosse riuscita pi di qualsiasi altro gruppo extraparlamentare ad organizzarsi attraverso lazione collettiva, le campagne da essa lanciate lasciarono ben poco di concreto dietro di s. Nelle fabbriche, i sindacati si stavano gi reinsediando proprio nel momento in cui Lotta continua comin ci ad attuare una strategia di conflitto; nelle aree urbane, la strategia del Prendiamoci la citt! precedette il pi grande bal zo in avanti del Pei nella storia del dopoguerra; nelle carceri, la riforma venne iniziata nel 1973, solo per essere spazzata via dal londata di violenza negli anni che seguirono; e nel Sud la rivolta di Reggio fu seguita dal classico stratagemma del sistema parla239

meritare, lapprovazione di un pacchetto di opere pubbliche (Viale 1978, p. 234). La mobilitazione precedette la politica clientelare della De, la repressione da parte delle forze dellor dine e le vittorie elettorali della sinistra istituzionale. Dal nostro punto di vista, due decenni pi tardi, la storia di Lotta continua sembra rassomigliare alla vicenda di un uomo che si propone di attraversare un torrente impetuoso e di arrivare a un dato punto dellaltra sponda. Crede di avere il dominio della forza che lo sospinge, ma la velocit e limpeto del torrente sono totalmente al di fuori del suo controllo. Se si ferma su una roccia per riprendere le forze, rischia di cadere in acqua. Allora fa una scelta tattica dopo laltra, da una pietra allaltra, senza conside rare dove lo porter ciascuna di esse. Alla fine, e quasi senza volerlo, raggiunge laltra sponda, ma molto lontano da dove vo leva arrivare. E l, cosa trova?

6. Violenza di massa, violenza davanguardia


La campagna che avrebbe avuto gli effetti pi profondi sul destino di tutta la sinistra extraparlamentare fu quella contro il rigurgito di neofascismo violento e contro quegli elementi allin terno dello Stato che sembravano esserne complici (Viale 1978, pp. 216-22). La campagna fu innescata dalle bombe di piazza Fontana nel dicembre 1969 e dalla morte accidentale della narchico Giuseppe Pinelli che la segu. Riassumiamo brevemente lo svolgersi ben noto di questi eventi, prima di volgere la nostra attenzione alle implicazioni che essi ebbero per Lotta continua e per tutta la sinistra extraparlamentare.
Una strage 12 dicembre 1969 17. Giorno di mercato per i contadini dellhinterland milanese. La Banca Nazionale dellAgricoltura in piazza Fontana affollata di gente che viene dalla provincia e che ef fettua depositi, tratta prestiti, chiacchiera sotto la grande roton da. Una bomba contenuta in una valigetta marrone fatta entrare di nascosto nella banca esplode, uccidendo tredici persone, fe rendone novanta e gettando il paese nel caos. In quello stesso
17 Sono grato a Tom Zamora, la cui tesi di laurea alla Cornell University mi ha aiutato a ricostruire la vicenda di piazza Fontana e gli eventi che seguirono.

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momento tre altri ordigni esplodono a Roma (Corriere della Sera, 13 dicembre 1969). Per la prima volta dallinizio del ciclo di protesta vi sono segni di cospirazione organizzata. Ma da chi? Il giorno dopo i titoli dei giornali annunciano a caratteri cubitali ad un paese attonito il prezzo di morti che ha pagato (Corriere della Sera, 13 dicembre 1969). Il funerale del le vittime diventa unoccasione per la classe politica di accorrere a Milano per inveire contro la violenza (Viale 1978, p. 218). Il presidente Saragat parla di bestiale incoscienza, dice che lat tentato potrebbe essere un anello di una tragica catena di atti terroristici che deve essere spezzata ad ogni costo dalle forze dellordine democratico (Corriere della Sera, 13 dicembre 1969). Nel discorso di Saragat le rituali espressioni di cordoglio per le vittime si mescolano ad una nuova nota di ammonimento: se la repubblica vuole sopravvivere, deve vigilare contro lever sione. Inizia immediatamente una retata fra i gruppi di sinistra, in particolare anarchici. I casi di morte nel corso di episodi di protesta erano stati rari durante il periodo intenso della mobilitazione dal 1967 fino alla met del 1969. Ma a partire dallautunno del 1969 la morte vio lenta si accompagn sempre pi al conflitto, o ne fu lobiettivo. Bench non si trattasse di un periodo di terrorismo organizzato, fu nei primi anni Settanta che iniziarono ad esservi feriti e morti durante i conflitti nelle strade. Nel grafico della fig. 21 ripor tato il numero di episodi tratti dal Corriere della Sera, suddi visi per semestre, nei quali fu riferito di morti o feriti durante episodi di azione collettiva.
Numero

Semestre

Fig. 21 - Numero degli episodi in cui vi furono morti e feriti tra coloro che protestavano, le forze dellordine, i bersagli della protesta o estranei, per trimestre, 1966-73

La prima avvisaglia di un cambiamento si era avuta tre set timane prima della bomba alla Banca Nazionale dellAgricoltura: nel corso di uno sciopero nazionale per la casa un agente era ri masto ucciso al volante di un automezzo della polizia (Lumley 1983, pp. 417-18). Quando lestrema sinistra rispose con un ap pello alla violenza operaia dalle fabbriche alle strade (Bobbio 1979, p. 52), la coscienza cattolica della societ ne rimase scossa. Vendicare la morte dellagente Annarumma divenne una parola dordine unificante per lestrema destra (Bobbio 1979, p. 52). Il vero responsabile del massacro di piazza Fontana non sar forse mai scoperto18, tuttavia la polizia segu rapidamente una pista rossa. Il 13 dicembre arrest 27 militanti di sinistra perlopi anarchici uno dei quali, Giuseppe Pinelli, era sospet tato di essersi trovato nei pressi della Banca Nazionale dellAgricoltura la mattina del 12 dicembre (Corriere della Sera, 13 dicembre 1969). Pinelli fu portato in questura per essere inter rogato, e l, come afferm pi tardi la polizia, dopo che i suoi alibi erano caduti, si gett da una finestra del quarto piano nel cortile sottostante (Corriere della Sera, 16 dicembre 1969). Quando, unora dopo, mor in ospedale, con sorprendente pron tezza la polizia lo dichiar colpevole della bomba alla Banca Na zionale delPAgricoltura. Dopo piazza Fontana, morte e lutto divennero sempre pi frequentemente terreno di scontro politico fra la sinistra e la de stra. Mentre la destra affermava che il massacro di piazza Fon tana e le bombe di Roma erano frutto di un complotto di sinistra, la sinistra extraparlamentare vedeva le bombe come una provo cazione fascista e soprattutto dopo la sospetta morte di Pinelli come prova della fascistizzazione dello Stato. Quando un se condo anarchico, Pietro Valpreda, venne rapidamente arrestato, i gruppi extraparlamentari si videro minacciati da unoffensiva generale (Corriere della Sera, 17 dicembre 1969)l9.
18 II 12 dicembre 1972 il Corriere della Sera riferiva che i ritardi nel pro cesso di Valpreda potevano essere dovuti al fatto che i magistrati seguivano una pista nera. Nel 1973 lincertezza crebbe, via via che diveniva chiaro che un amico di Valpreda si era di recente convertito allanarchia dal fascismo, costituendo cos un legame con due fascisti da poco arrestati, Freda e Ventura (Corriere della Sera, 12 dicembre 1973). Nel 1974 il Corriere della Sera riconosceva che era effettivamente esistita una strategia della tensione proveniente dallestrema destra (cfr. il numero del 12 dicembre 1974). 19 La repressione and molto al di l dellarresto di Valpreda; a Genova la polizia arrest sei maoisti; a Milano furono arrestati altri cinque anarchici, e gli uffici delleditore Giangiacomo Feltrinelli furono perquisiti (Corriere della

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La campagna di antifascismo m ilitante e militare

Quali furono le implicazioni di questi eventi per la sinistra extraparlamentare? La strage di piazza Fontana era stato per loro un duro colpo; ma come molte catastrofi politiche, forn anche delle opportunit di unit e propaganda al di fuori della loro base abituale20. Inizialmente muti per lo stupore dopo le bombe, i gruppi extraparlamentari reagirono sia al salto di Pinelli sia a quella che consideravano una falsa accusa montata contro Vaipreda. A questo scopo utilizzarono appieno le due risorse prin cipali a disposizione: la pubblicizzazione e la mobilitazione. La campagna di mobilitazione inizi in tono minore ai fune rali di Pinelli, che furono occasione di una massiccia ma pacifica dimostrazione (Corriere della Sera, 21 dicembre 1969). Le bandiere rosse della sinistra marxista e quelle rosse e nere degli anarchici si mescolarono, mentre tremila militanti della sinistra extraparlamentare seguivano il feretro di Pinelli (Viale 1978, p. 218). Da allora in poi, scrive Bobbio (1979, p. 55), non c ma nifestazione che non sia dominata dagli slogan su Pinelli e dal canto della ballata che gli stata dedicata (Quella sera a M ilano era caldo) (cfr. Viale 1978, p. 217). Non solo la sinistra extraparlamentare, ma anche i sindacati, il Pei e le organizzazioni di massa quali IA npi (Associazione na zionale partigiani dItalia) stavano cominciando ad allarmarsi per i segnali di una campagna di provocazione dellestrema destra, guidata da alcuni elementi dello Stato, che vedevano come i pro dromi di un ripetersi del 1921-22. A partire dal 1969 unampia coalizione di gruppi di sinistra organizz una serie di dimostra zioni contro il terrorismo di Stato, la repressione poliziesca e il neofascismo. Attorno a questi temi la sinistra e lestrema sinistra potevano unirsi, malgrado le loro divergenze politiche. Lotta continua si un con energia a questi sforzi propagandi stici: Le bombe di Piazza Fontana ricordava Adriano Sofri
Sera, 20 dicembre 1969). Le perquisizioni e la paura di improvvise irruzioni della polizia port alcuni militanti di sinistra a entrare nella clandestinit. Anche se non vi fu una strategia della tensione concertata da parte dellestrema destra e della polizia, come affermava lestrema sinistra, vero che la polizia stava at taccando tutta la sinistra extraparlamentare, costringendo alcuni a scegliere tra la protesta legale e pacifica e lentrare in clandestinit. 20 Per Lotta continua, per usare le parole di Bobbio (1979, p. 56), questo parte integrante della sua proiezione verso un modo nuovo di fare politica. Una politica che parte dal basso [...] trova il suo prolungamento [...] nella denuncia dei misfatti del potere.

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(1985, p. 94) hanno segnato unirreparabile scissione col pas sato. Ma Lotta continua si spinse molto pi in l degli altri grup pi della sinistra, utilizzando titoli provocatori e denunce della complicit della polizia21. Queste tattiche diedero alle autorit il pretesto per incriminare il direttore responsabile del giornale, Pio Baldelli (Bobbio 1979, p. 55). Questo a sua volta fece scat tare ulteriori sospetti: se la polizia non era complice delle bombe, perch ci teneva tanto a far tacere le critiche? La strage di piazza Fontana forn cos a Lotta continua unopportunit di agire insieme ad altri gruppi a sinistra in un fronte comune contro la reazione. Ma essa non poteva resistere alla tentazione di scavalcarli con accuse di fascistizzazione dello Stato e con tattiche pi radicali nelle strade. Mentre alcuni grup pi extraparlamentari mettevano in guardia i propri sostenitori dal fornire ai fascisti un obiettivo e allo Stato un pretesto per la repressione, i leader di Lotta continua tenevano di pi a dimo strare di non aver paura dei fascisti. Nei mesi successivi a piazza Fontana essi lanciarono una cam pagna di antifascismo militante e militare, che per molti giovani fu la prima e per alcuni la pi importante esperienza di formazione politica. Il tema dellantifascismo militante fu esteso fino a comprendere anche i padroni delle fabbriche e i proprie tari terrieri. Per i leader che avevano militato nel movimento studentesco universitario e accanto agli operai di corso Traiano, questa campagna aveva un significato specifico e tattico. Ma a molte delle nuove reclute del gruppo, provenienti dai licei, inse gnava che la violenza era una forma di lotta politica, e una difesa necessaria contro la reazione. La lotta contro il fascismo assunse un certo numero di forme, le pi visibili delle quali furono gli scontri di piazza tra gruppi di giovani di sinistra e di destra. Questo si assomm allaumento della criminalit non politica che in quella stessa epoca stava vi vendo ogni paese occidentale. Dato che la delinquenza comune e gli scontri violenti tra fazioni politiche diverse si verificarono prevalentemente nelle stesse grandi citt, il pubblico ebbe lim pressione che gli estremisti politici fossero in qualche modo re sponsabili di entrambe le cose22. Lotta continua fece pochi passi in direzione di una coopera
21 La campagna fu anche rafforzata dalla pubblicazione di un libro di note vole successo, Strage di Stato (Anonimo 1970), pubblicato da un gruppo che aveva indagato sullestrem a destra a partire dal 1966 (cfr. Viale 1978, p. 221). 22 Per i dati a questo relativi, cfr. Tarrow 1989.

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zione con altri gruppi della sinistra in questa campagna. Ma la sua tecnica della controinformazione e il suo antifascismo mi litante e militare erano troppo demagogici e violenti per alcuni suoi potenziali alleati. La stessa campagna contro il fascismo e la repressione port alla violenza e a una maggiore repressione. E s sa cercava di fare appello a ex-partigiani della Resistenza, ai sin dacati e ai partiti della sinistra perch si unissero contro la mi naccia di un fascismo promosso dallo Stato; ma, allo stesso tem po, il suo linguaggio e i suoi comportamenti violenti provocarono la polizia e lestrema destra ad attaccarla, lasciandola esposta al le accuse di costituire essa stessa una minaccia per la legge e lordine23.
Dalla violenza di massa alla violenza d avanguardia

Lotta continua aveva sempre considerato la violenza un male necessario nella lotta di classe, ma solo la violenza di massa. T ut tavia, nel clima di guerra civile della campagna contro il fasci smo, il giornale incoraggi le denunce, i sequestri e le minacce di punizione a coloro che erano sospettati di simpatie verso i fasci sti. Non esit a denunciare e ad attaccare personalmente i ne mici del proletariato. Vennero compilati elenchi dei nemici, esaltati i casi di insubordinazione popolare, descritte con appro vazione le umiliazioni pubbliche di capi del personale di alcune fabbriche. In questa fase, ricorda Bobbio (1979, p. 81), la pa rola d ordine Sequestriamo i padroni ricorre sempre pi spesso nella propaganda di Lotta continua. Un caso sintomatico fu quello della morte del commissario Calabresi, che era stato incaricato del caso di piazza Fontana. Dopo la morte di Pinelli, Lotta continua lo addit come lassas sino dellanarchico (Bobbio 1979, p. 104). Quando, nel 1972, Calabresi fu assassinato, il giornale fu combattuto tra il condan nare lomicidio politico (che, afferm, non certo larma deci siva per lemancipazione delle masse) e la soddisfazione come giornale per un assassinio che era un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volont di giustizia (Bobbio 1979, pp. 104-105). In un paese cattolico in cui la vita umana un valore culturale
2S Un esempio: nella campagna elettorale del 1972, Lotta continua iss a pro pria bandiera lo slogan: I fascisti non devono parlare (Bobbio 1979, p. 101).

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centrale, lapparente disponibilit di Lotta continua a incorag giare lassassinio politico fu un passo simbolico che non le valse amici tra il pubblico o nella sinistra istituzionale. Fu anche presto evidente che questo poteva creare delle divisioni interne24, ol trech far correre dei rischi di natura legale al gruppo. Sedici anni dopo, nel confessare di avere preso parte allassassinio, un ex-militante di Lotta continua accus Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani di avergli ordinato di farlo (Corriere della Sera, 28 luglio 1988). La campagna antifascista di Lotta continua diede il tono an che ai suoi rapporti con la classe operaia. L estrema sinistra so stenne a lungo che la classe operaia italiana non temeva la vio lenza, quando essa era utilizzata in nome della rivoluzione. Tut tavia, la violenza contro un alto funzionario dello Stato poteva avere un significato diverso; da un documento dei C u b della Pirelli-Bicocca dopo lassassinio Calabresi, sembra sicuro che laf fare Calabresi fosse oggetto di discordia allinterno dellala extraparlamentare25. In questa fabbrica la collaborazione tra i gruppi era stata ricucita con cura per un lungo periodo. Fragile pianta nel migliore dei casi, essa non sopravvisse a lungo alla du rezza degli scontri tra i gruppi extraparlamentari in competizio ne tra loro che seguirono allepisodio.
Violenza e competizione politica

La frattura fra gli operai della Pirelli-Bicocca dopo lassassi nio di Calabresi era emblematica di quello che stava accadendo alla sinistra extraparlamentare in tutto il paese riguardo al pro blema della violenza. Via via che la violenza andava salendo a spirale tra la sinistra e la destra e tra i movimenti e la polizia, i gruppi classici della sinistra extraparlamentare quelli nati dal movimento studentesco universitario del 1968 si trovarono di
24 In un importante articolo, scritto sotto pseudonimo in Q uaderni piacen tini, Luciano Pero critic il suo gruppo, condannando lopportunismo di sini stra di coloro che sono disposti a lasciare alle masse di decidere, caso per caso, se gli atti di violenza sono legittimi (Pero 1972). 25 In questa importante fabbrica era stata di recente costituita una collaborazione tra gli operai seguaci di L otta continua, Avanguardia operaia e altri grup pi di sinistra. Quando Calabresi fu ucciso, la corrente di L otta continua, seguen do la linea nazionale del proprio partito, insistette nel chiamare lassassinio un atto di giustizia proletaria. G li altri non furono d accordo e la collaborazione si interruppe.

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fronte alla difficile scelta di adottare standard pi radicali, il che li faceva apparire sostenitori della violenza d avanguardia, op pure di mettere in guardia i propri militanti dal prestare il fianco a provocazioni fasciste, dando cos limpressione di cedere allin timidazione. Se il suo unico obiettivo fosse stato quello di far prova della sua affidabilit democratica, Lotta continua avrebbe potuto sem plicemente rifiutare la violenza d avanguardia. Ma questo era il passo che aveva gi compiuto il suo avversario giurato, il Pei, e che alcuni dei suoi concorrenti, in particolare Potere operaio, rifiutavano nettamente di fare. Condannare apertamente la vio lenza d avanguardia nel clima di guerra civile degli anni succes sivi alla strage di piazza Fontana avrebbe permesso alle altre for mazioni di etichettarla come meno coraggiosa di loro di fronte alla minaccia della reazione26. L episodio Calabresi e le polemiche che ne seguirono sono istruttive circa i dilemmi di un movimento di massa nella dina mica del ciclo di protesta. In una situazione di competizione, nella quale i gruppi pi estremisti stanno adottando strategie vio lente, difficile per qualsiasi organizzazione di movimento usci re audacemente allo scoperto contro luso della violenza. Quali che fossero i suoi atteggiamenti verso la violenza di massa ed essi erano certamente favorevoli Lotta continua trov politi camente difficile condannare la violenza -d avanguardia quando cerano dei fascisti per le strade, e quando sia i suoi militanti che i suoi concorrenti erano pronti ad andare ad affrontarli. Questo dilemma si rispecchi nelle affermazioni politiche, in reciproca competizione, di Lotta continua e del suo vecchio al leato e contendente, Potere operaio. In quello che apparve un significativo passo verso la lotta armata, ma anche un segno della sua debolezza e del suo imminente scioglimento, Potere operaio proclam limminenza dellinsurrezione (Bobbio 1979, p. 99). In risposta, Lotta continua annunci una linea militante di con flitto generale che avrebbe dovuto competere politicamente con lappello allinsurrezione di Potere operaio. Il momento in cui Lotta continua si avvicin di pi allaccet tazione della leggittimit della violenza d avanguardia fu in un
26 Per quello che vale la testimonianza di Marino nellagosto 1988, alla do manda degli inquirenti perch i leader di L otta continua avrebbero ordinato lassassinio di Calabresi nel 1972, la risposta fu che erano ansiosi di mostrare ai propri militanti che le Brigate Rosse da poco costituite non avevano il monopolio della violenza rivoluzionaria.

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convegno nazionale a porte chiuse a Rimini. Nel suo documento preparatorio, Sofri chiamava alla preparazione di uno scontro generalizzato, con un programma politico che ha come avversa rio lo stato e ha come strumento lesercizio della violenza rivo luzionaria, di massa e di avanguardia (corsivi nostri; citato in Bobbio 1979, p. 98). La linea potenzialmente riformista del Prendiamoci la citt! fu sommariamente archiviata, nel timore che Potere operaio e altri gruppi pi militanti scavalcassero Lotta continua nel dimostrare le loro credenziali rivoluzionarie. Dal punto di vista interno, Rimini rafforz il ruolo del servi zio d ordine (Bobbio 1979, p. 101) e port a ulteriori divisioni tra sinistra e destra. Allesterno, procrastin per altri due anni la cooperazione con altri gruppi dellestrema sinistra (Bobbio 1979, p. 99). Fu questo il momento della storia di Lotta continua in cui essa pi si avvicin ad accettare lipotesi della lotta armata. Presto non fu pi possibile non affrontare un tema cos con troverso. Stavano comparendo sulla scena gruppi nuovi e pi estremisti che tentavano di crearsi uno spazio politico in compe tizione coi gruppi classici della sinistra extraparlamentare. Ad ogni nuova spirale di violenza organizzata, di repressione e di controviolenza, sempre pi numerosi erano coloro che si senti vano respinti dal corso che la lotta stava assumendo. I due punti di svolta per Lotta continua si ebbero prima quando la polizia scopr lattivit dei N ap e poi quando due dei suoi militanti ven nero uccisi durante una rapina in banca. Lotta continua si chiese pubblicamente che tipo di rivoluzione era quella in cui dei gio vani seguivano una linea d azione che li portava a farsi ammaz zare come cani per le strade. Se da una parte questi due episodi non convinsero nessuno della conversione di Lotta continua alla lotta pacifica, fu da que sto momento in poi che essa si allontan dalla violenza e si rivolse allarena politica. A partire dal congresso del 1975 Lotta conti nua aveva pubblicamente rifiutato la violenza d avanguardia, de cidendo che la linea di massa va rigorosamente applicata al pro blema della forza [...] considerare il problema della forza come un problema separato significa mettere il fucile al posto di co mando (Lotta continua 1975, pp. 122-23). Ma, per alcuni, la condanna della violenza veniva troppo tar di. Mancando di una linea coerente per dare significato alla pro pria militanza, vedendo il capitale politico del gruppo consumar si in una serie di campagne teatrali ma inutili, e scoprendo la possibilit che la rivoluzione si allontanasse rapidamente, alcuni militanti cedettero al richiamo dellantifascismo militare, alla re

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torica violenta e al sostegno alla violenza rivoluzionaria, tutti ele menti che produssero una cultura della violenza che sarebbe stato difficile sradicare con il mutamento della linea politica (Bobbio 1979, p. 106). Questi militanti costituivano, per, una piccola minoranza dei gruppi extraparlamentari classici, e non esatto affermare, come di recente ha fatto qualcuno (LaPalombara 1987), che que sti gruppi fossero i responsabili del terrorismo. Nel suo studio dei resoconti giudiziari di oltre 800 casi di terroristi arrestati, Della Porta (1987, p. 341) ne ha trovati solo 75 che in dato periodo avessero militato in Lotta continua27. Una percentuale molto pi alta i due terzi del totale non proveniva affatto dalla sini stra extraparlamentare classica, ma da una nuova generazione di piccoli, semiclandestini collettivi autonomi che ricorrevano alla violenza per crearsi uno spazio politico in unarena di com petizione politica gi affollata. Il terrorismo non fu figlio del Sessantotto; fu il frutto di una nuova generazione di estremisti che erano cresciuti politicamen te nella lotta antifascista e che avevano trovato troppo moderati er i loro gusti i gruppi extraparlamentari, le cui strategie erano asate sullipotesi di unazione collettiva di massa. Il terrorismo non fu il culmine del movimento nato nel Sessantotto; fu il segno del fallimento della strategia di movimento in un periodo di mo bilitazione in declino. Gli altri segni li troveremo nellambito po litico.

7. La politica, o larte dellimpossibile


Il periodo della storia di Lotta continua che segu al suo ri fiuto della violenza d avanguardia fa parte della contraddittoria storia della politica dei gruppi extraparlamentari e ricade preva lentemente al di fuori degli obiettivi di questa indagine. Tutta via, un rapido esame della sua evoluzione dopo il 1972 ci aiuter a capire pi chiaramente in che modo il declino della mobilita zione di massa influenz la svolta alla politica elettorale di queste organizzazioni di movimento e della sinistra extraparlamentare in generale. Via via che si esaurisce il ciclo della mobilitazione di massa
27 Nel campione di terroristi detenuti studiato da Della Porta (1988, p. 341), coloro che erano giunti alla lotta armata provenienti da Potere operaio erano in numero ancor minore: cinquantadue.

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nel quale nata, unorganizzazione di movimento ha solo due scelte: seguire la strada di un estremismo che se nel 1969-70 [...] poteva avere un retroterra reale, ora nel 1973-74 [] aveva un carattere esasperato (Bobbio 1979, p. 140); oppure passare alla politica. Una volta che il passaggio di Lotta continua a nuovi settori e nuove forme d azione fu impedito dal calo della mobi litazione di massa, e dopo aver rifiutato il terrorismo, il gruppo doveva affrontare pi seriamente le domande che nel passato aveva sempre eluso: i suoi rapporti con il movimento sindacale tradizionale e col Pei; quale forma doveva assumere il partito; i rapporti del gruppo con i suoi concorrenti; la transizione al so cialismo (Bobbio 1979, pp. 113-20). Al cuore del cambiamento risiedeva la fase discendente del ciclo. Bobbio (1979, p. 114) cos interpreta il cambiamento: In questo periodo appare ormai esaurito il carattere di radicale rot tura che aveva contrassegnato, fra il 1968 e il 1970, lemergere di nuovi soggetti sociali, sicch la svolta di Lotta continua la risposta (ritardata) a un effettivo mutamento di fase che si de termina, grosso modo, tra il 1971 e il 1973. Il movimento del 1967-69 era allora finito? Sofri affermava di no: era invece diventato unonda lunga il cui ambito d azio ne stava passando dalla societ alla politica e allo Stato. Di con seguenza, il politico doveva prevalere sul sociale, le richieste generali su quelle specifiche. Il processo rappresentava la rispo sta [del sistema] a una serie di processi che la stessa onda lunga del Sessantotto ha messo in moto, sferrando un assalto [...] al cielo della politica (Bobbio 1979, p. 115). Come dovevano rispondere a questo passaggio di livello e di attenzione le forze pi avanzate della sinistra? Non era pi pos sibile dipendere dal conflitto in fabbrica, da azioni radicali nelle citt o da momenti alti della lotta. La mobilitazione di massa era finita, e la violenza stava allontanando il pubblico dallazione collettiva di qualsiasi genere. In realt, proprio per dare conti nuit al ciclo iniziatosi nel 1968-69, il gruppo doveva trovare una nuova forma che desse peso al movimento allinterno del proces so politico. Se con la politica si cerca di schiacciare il sociale, bisogna riuscire ad affermare un altra politica (Bobbio 1979, p. 115)28. Per i gruppi classici della sinistra extraparlamentare,
28 In questo parafrasiamo il modo in cui Bobbio vede le radici del cambia mento in Lotta continua, modo che egli basa prevalentemente sulla discussione programmatica apparsa su L otta continua deU8 , 12 e 14 ottobre 1972, e su una seduta del Comitato nazionale del 21 ottobre 1972.

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lallontanamento dalla strategia di movimento e la loro entrata sulla scena politica in senso stretto furono contemporanei alli nizio della fase della lotta armata. Ma come poteva essere inventata unaltra politica in un periodo di calo di disponibilit allazione collettiva da parte delle masse popolari? Nel contesto del 1972-75, furono i fautori della violenza d avanguardia ad avere liniziativa, non i gruppi classici della sinistra extraparlamentare. Una volta persa la base d azione collettiva di massa, e ora che liniziativa dellazione radicale era stata assunta dal partito della lotta armata, che strada rimane va aperta a Lotta continua, se non quella della politica istituzio nale? Una volta deciso questo in linea di principio, passare ad ope rare allinterno del sistema divenne in pratica una fuga. Inizial mente, Lotta continua cerc di correggere la sua disastrosa po litica nelle fabbriche partecipando ai Consigli dei delegati (Bobbio 1979, pp. 116-20). Successivamente il gruppo accrebbe la propria cooperazione con gli altri principali gruppi dellestre ma sinistra il PDUP-Manifesto e Avanguardia operaia che avevano anchessi scelto la strada del legalismo (Bobbio 1979, pp. 141-44). In terzo luogo, la sua concezione del partito segu unevoluzione da coalizione di avanguardie interne a luogo in cui lindividuo subordina s alla collettivit fino ad esprimere nulialtro che la riscoperta del centralismo democratico (Bob bio 1979, p. 129) . Per finire, dopo quasi un decennio di feroci polemiche anti comuniste, il partito si avvicin al Pei, ancor prima che il colpo di Stato in Cile del settembre 1973 fornisse a Berlinguer locca sione per sviluppare la strategia del compromesso storico. Inver tendo la propria analisi precedente, nel gennaio 1973 Sofri pro clamava che il revisionismo non destinato a scomparire (Lotta continua, 12 gennaio 1973). Ora lItalia aveva dinanzi a s solo due scelte reali: la scelta fascista sotto legida della bor ghesia oppure un governo che rappresentasse il proletariato, sot to la direzione del Pei. Di queste alternative, solo la seconda po29 Q uesta citazione di Sofri tratta dal suo discorso a un congresso nazionale del 1973 del gruppo milanese di L otta continua, ed citato da Bobbio (1979, p. 129). Bench il parallelo con la terza internazionale sia forse forzato, lo stesso Sofri pi tardi ammise che bench io sia sempre stato un duro critico delle tesi del compagno Lenin [...] circa il [partito come] avanguardia esterna, in tutta la mia vita non sono mai riuscito a essere lavanguardia interna di niente (1977, p. 76).

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teva dare spazio a un processo di autorganizzazione di massa, di armamento di massa (citato in Bobbio 1979, p. 126). Sofri aveva ragione nel predire che quanto avevano seminato i movimenti del 1968 sarebbe stato raccolto dal Pei. Ma era un raccolto amaro, nel migliore dei casi; e, nel peggiore, quelle ele zioni segnarono la sconfitta definitiva del 1968. Nel futuro non cera posto per Lotta continua, poich una volta costruita una struttura interna leninista e abbracciata una strada elettorale al socialismo, le sarebbe mancata la capacit stessa di richiamo per le nuove forze che stavano emergendo nella societ italiana. Questo apparve chiaramente dal fallimento sia del suo sostegno al Pei nel 1975, sia della sua coalizione con gli altri due gruppi principali dellestrema sinistra nel 1976. Dopo di ci le rimaneva solo da trovare un pretesto per uscire di scena. Questo pretesto si present quando nel dicembre 1975 un gruppo di donne appartenenti a Lotta continua decisero di mar ciare da sole in un corteo nazionale di donne (cfr. infra, cap. XI). Quando il corteo fu oggetto di attacchi violenti da parte di mi litanti maschi di Lotta continua, le donne di Lotta continua si organizzarono da sole come frazione (Bobbio 1979, p. 163). Da quel momento in poi le donne, i giovani e gli operai si rifiutarono di riconoscere lautorit di una leadership nazionale. Bench altri cercassero di conservare lorganizzazione sotto nuova forma (Bobbio 1979, pp. 182 sgg.), Lotta continua termin la sua esi stenza come organizzazione rivoluzionaria. Sofri, con lintuizione che ha caratterizzato tutta la sua car riera, vi pose fine quando gli apparve chiaro che la sua strategia elettorale era stata un fallimento. Ricord allora il momento del la nascita di Lotta continua, quando cera un conflitto che op poneva revisionisti e sindacalisti, da una parte, a studenti e ope rai, dallaltra [...] non era prevalentemente un conflitto sulla linea politica, ma un conflitto sulla politica. Il conflitto [allin terno di Lotta continua] di oggi continuava [...] esatta mente analogo a quello del 1968-69 (Sofri 1977, p. 77).

8. Conclusioni
Nello spazio di pochi anni Lotta continua era passata da pic colo gruppo esterno alla fabbrica ad organizzazione di movimen to nazionale che si faceva fautrice della violenza di massa, sfida va i partiti istituzionali e i sindacati. Successivamente si era trasformata in un piccolo partito estremista che era rimasto ai

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limiti della violenza d avanguardia, fino a perdere la sua capacit di mobilitare una base di massa e, insieme alla maggior parte della sinistra extraparlamentare, si era rivolto alla politica isti tuzionale. Questo sviluppo fu' il prodotto di una ferrea legge del loligarchia, di errori strategici e tattici che potevano essere evi tati, o di qualcosaltro? La tesi dellistituzionalizzazione automatica non regge molto bene quando ricordiamo che alcuni gruppi che avevano molto in comune con Lotta continua in particolare Potere operaio seguirono una strada che port alla lotta armata, proprio nel mo mento in cui Lotta continua e altri gruppi si dirigevano verso il sistema dei partiti. Se listituzionalizzazione la fine inevitabile dei movimenti sociali, perch non influenz tutti questi gruppi in modo uguale? Appena pi convincente la tesi delle analisi strategiche ina deguate e delle cattive decisioni tattiche. La decisione di Lotta continua di boicottare i Consigli di fabbrica, la mancanza di at tenzione per le richieste degli studenti, labbandono della linea Prendiamoci la citt! e i tentativi di organizzare il Sud sono chiari esempi di errori tattici. M a ciascuna di queste decisioni era stata determinata dalla precedente e inevitabile scelta di una strategia di movimento. Una volta adottata questa strategia, Lotta continua era costretta a cercare di generalizzare la lotta par tendo da momenti avanzati per arrivare a situazioni arretrate, se non voleva perdere la capacit di utilizzare lunica risorsa la sua capacit perturbativa che poteva portarle nuovi soste nitori e sfidare la sinistra istituzionale e lo Stato. Conclusione: lascesa e la caduta delle organizzazioni di mo vimento determinata pi dalla parabola della mobilitazione di massa allinterno del ciclo di protesta che non dalle leggi mecca niche delloligarchia o da supposti errori strategici e tattici. Fin tantoch la partecipazione continua a crescere, nuove sedi diven tano disponibili per il movimento, e lazione collettiva attira una base di massa. Ma quando la mobilitazione cala, i leader devono cercare nuove sedi di protesta e nuovi modi di imporsi sul siste ma. Sofri e i suoi amici possono aver fatto degli errori che gli altri gruppi evitarono, ma le loro campagne avevano uninventiva e unoriginalit che mancava a molti dei loro critici. Quello che n Lotta continua n i gruppi concorrenti avreb bero potuto evitare era la fine del ciclo, che gener sia una ge nerale smobilitazione del conflitto settoriale, sia una spirale di scavalcamenti violenti e di reazione, via via che ogni gruppo cer cava un suo spazio in una base che andava restringendosi. Chiun 253

que sia stato responsabile della strage di piazza Fontana e del lassassinio del commissario Calabresi, fu questa accresciuta competizione per guadagnarsi il sostegno delle masse, in presen za di un calo della disponibilit di queste masse, a essere respon sabile della svolta generale verso la violenza. I dibattiti sulla violenza e la non violenza in seno alla sinistra extraparlamentare non erano che un sintomo di questa spirale competitiva. Mentre Lotta continua aveva solo predicato la ne cessit della violenza, le Brigate Rosse e altri gruppi terroristici la misero in atto effettivamente; mentre Lotta continua aveva chie sto di sequestrare i padroni delle fabbriche, le Brigate Rosse ra pirono il direttore del personale della Sit-Siemens e lo fotogra farono con un cartello al collo (Bobbio 1979, p. 103); mentre Lotta continua aveva chiamato lassassinio del commissario C a labresi un atto di giustizia proletaria, i brigatisti innalzarono las sassinio politico a strumento della politica. In una fase di calo della mobilitazione, lunico modo che ha un movimento di massa per competere con oppositori come que sti quello di ricorrere esso stesso alla violenza, oppure muoversi nella direzione opposta, verso listituzionalizzazione. I militanti di Lotta continua che credevano nella violenza come arma di lot ta cercarono di radicalizzare il gruppo, e alla fine ruppero con esso e si unirono a collettivi autonomi. Ma per la maggior parte dei suoi militanti, cos come per la sinistra extraparlamentare in generale, la violenza era un modo per parlare alle masse e dimo strare la propria forza, e non unarma politica centrale. Quando le Brigate Rosse ed altri diedero alla violenza un significato di verso, a coloro che la rifiutavano non rimaneva che la strada della politica istituzionale. II sostegno di Lotta continua al Pei nelle elezioni del 1975 e la partecipazione insieme ad altri gruppi dellestrema sinistra nel le elezioni del 1976 furono le ultime tappe di una lunga serie di campagne di mobilitazione di Lotta continua. Ma erano campa gne di mobilitazione di tipo diverso. Una volta giocata e persa la carta elettorale, non vi era infatti pi nessuna differenza percepibile fra Lotta continua e la sinistra istituzionale. Come disse Sofri (1977, p. 77) nel suo addio politico del 1976, L dove una volta cerano Berlinguer, Longo e Amendola [il Pei] oggi troviamo Sofri, Viale e compagni. Come sempre, Sofri da va una versione particolare di un fenomeno che era stato gene rale per la sinistra extraparlamentare classica; col passaggio del suo gruppo alla politica istituzionale, il ciclo di protesta era ter minato.

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Conclusione
DISORDINE E DEMOCRAZIA

Un decennio di disordini

Questo libro pu essere letto in tre modi: come uno studio dei cambiamenti politici allinterno di un dato sistema politico, come unanalisi delle dinamiche dei cicli di protesta, come un saggio sui rapporti tra disordine e democrazia. In questo capitolo conclusivo riassumer brevemente i risultati di questo studio sul cambiamento politico in Italia, presenter quello che a mio av viso esso fornisce come contributo alla nostra conoscenza della logica dei cicli di protesta e mi porr delle domande sulle sue implicazioni per i rapporti tra disordine e democrazia. Come in molti precedenti capitoli, introdurr queste proble matiche con il resoconto di un episodio, o meglio di due episodi fra loro in contrasto. Non sono episodi importanti, ma insieme sono emblematici di quanto la cultura politica italiana fosse cam biata tra il 1966 e il 1975, di quale fosse la logica intrinseca del ciclo e di quanto i suoi esiti contraddittori abbiano contribuito al consolidamento della democrazia italiana.
Danze e rinfreschi

Il 7 marzo 1966, alla vigilia della giornata internazionale del la donna, la Camera del lavoro di Milano pubblica un comunicato-stampa. Esso dice tra laltro:
Lavoratrici milanesi! In occasione della giornata internazionale della donna, la Camera del lavoro vi invia i suoi pi calorosi auguri. La celebrazione dell8 mar zo [...] non solo un atto d omaggio a voi in riconoscimento delle [vo stre] grandi responsabilit morali e civili [...] Per le lavoratrici, oltre che

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per i loro sindacati, essa rappresenta un comune impegno alla lotta per gli obiettivi della pace e del progresso [...] Lavoratrici! Partecipate con noi alle iniziative e alle dimostrazioni programmate per l8 marzo. Al zate la vostra voce in nome della pace e della solidariet, affinch sia udita in tutta Italia e nel mondo. Rafforzate lunit delle donne italiane nella lotta per far progredire gli obiettivi del progresso sociale, e nella ricerca di una vita migliore per le vostre famiglie. [...] Domani alle 15.00 vi offriremo danze e rinfreschi gratis al Ragno d oro in Piazza Medaglie d O ro .1

Bracciali rosa e stalin 6 dicembre 1975, R om a2. Alcune centinaia di donne scendono dai pullman e dai treni e convergono intorno alla fontana al cen tro di piazza Esedra. Portano gli striscioni di un certo numero di organizzazioni che hanno acconsentito a partecipare a un corteo organizzato da un gruppo chiamato C r a c , una coalizione fem minista ad hoc. Le organizzatrici e il servizio d ordine tutte donne portano dei bracciali rosa. Qui e l gruppi di giovani si mescolano al gruppo ridendo e spingendosi. Alcuni di essi por tano pesanti bastoni di legno. Obiettivo della manifestazione dar pubblicit al tema del laborto ed esercitare una forte pressione sul Parlamento affin ch riveda lantiquata legge italiana in materia. Per aumentare la partecipazione, gli organizzatori hanno chiesto alla stampa di se guire il raduno, e hanno trattato con i principali gruppi extra parlamentari Avanguardia operaia, Lotta continua, PD U P-M anifesto perch le loro militanti vi partecipino. Hanno anche invitato IU d i a inviare una delegazione. La loro posizione nella trattativa semplice. Vogliono che partecipino delle donne di ciascuna organizzazione, ma solo in quanto donne. Non deve essere portata nessuna bandiera di par tito, nessun volantino che pubblicizzi temi che non siano colle gati allaborto, e nessuno dei gruppi deve inviare degli aderenti maschi. La manifestazione deve essere organizzata dalle donne e per le donne; per la prima volta n i partiti n i gruppi extrapar lamentari avranno un ruolo nel programmare unimportante di mostrazione di donne nella capitale.
1 Dagli archivi della Camera del lavoro di Milano. I miei ringraziamenti a Rossella Ronchi per averlo reperito. 2 Sono grato a Yasmine Ergas per le informazioni sulle quali si basa questa cronaca.

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Le trattative con IU di non approdano a nulla, perch i co munisti si trovano tuttora a disagio nel partecipare a una mani festazione non controllata da loro. Un accordo invece raggiun to abbastanza rapidamente con alcuni gruppi extraparlamentari, ma con Lotta continua laccordo pi difficile. Il nuovo femmi nismo degli anni Settanta penetrato lentamente nellorganiz zazione. La questione femminile non apparsa nel suo pro gramma se non nel congresso del 1975 (Lotta continua 1975) e solo una rappresentante donna siede nel Comitato nazionale3. Alla fine Lotta continua acconsente a partecipare senza ban diere di partito, ma le organizzatrici del raduno cominciano a preoccuparsi quando compaiono in piazza alcuni suoi militanti. Alcuni di essi portano il caratteristico stalin del servizio d or dine di Lotta continua, altri cercano di distribuire i volantini del partito. Quando le donne responsabili dellorganizzazione dico no loro, con gentilezza, che non sono i benvenuti, essi si rifiu tano di andarsene. Alle undici un lungo corteo di donne comincia a muoversi lungo via Cavour. Si snoder intorno al monumento di Vittorio Emanuele in piazza Venezia, oltrepasser la sede della De in piazza del Ges e attraverser il Tevere su ponte Garibaldi, ver so Trastevere, dove programmata una serie di discorsi. Ma lun go via Cavour cominciano dei disordini nella coda del corteo, dove un gruppo di militanti di Lotta continua provenienti da Cinecitt cerca di inserirsi; respinti, rispondono attaccando le donne del corteo con spinte e calci (Bobbio 1979, p. 163). Le organizzatrici corrono verso il punto dei disordini e trovano solo un certo numero di donne sconvolte e alcune militanti di Lotta continua estremamente imbarazzate. Arrivate a Trastevere, alla fine del corteo, queste donne salgono sul podio e si scusano per il comportamento dei loro compagni.

1. Dopo la rivoluzione
La cultura politica italiana sostanzialmente cambiata fra questi due episodi. Allinizio del ciclo di protesta, nel 1966, il
3 Come ricorda Bobbio (1979, p. 161) linsistenza con cui nella propaganda si aggiunge costantemente laggettivo proletarie al termine donne mostra la sostanziale negazione della problematica femminista in seno al partito.

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dono pi grande che la confederazione sindacale italiana pro gressista potesse pensare di offrire alle sue aderenti era la gioia di danzare gratis con un uomo! Ma dieci anni dopo, le donne organizzano le proprie dimostrazioni in favore di obiettivi sociali molto avanzati rispetto a quelli dei partiti della sinistra. Il sog getto sociale pi debole e meno autonomo del 1966 nel 1975 gestisce le sue dimostrazioni, porta dei bracciali, delle fas.ce rosa che dicono la sua identit e si organizza per influenzare un di battito parlamentare. Questi due episodi sono emblematici di alcuni dei principali cambiamenti verificatisi in Italia durante il decennio 1965-75. E ssi si incentrano intorno ai temi dellautonomia dei nuovi attori sociali che esigono un posto nellarena politica e un loro ruolo nello stimolare le riforme. Passiamo ora brevemente in rassegna ciascuno di questi cambiamenti, prima di volgerci alla dinamica del ciclo e allimpatto che il disordine ebbe sulla democrazia in questo paese.
D al paternalismo all'autonom ia

Sarebbe difficile trovare unespressione del paternalismo che contrassegn la cultura politica dominata dai partiti nellItalia postbellica pi chiara di quella mostrata dal comunicato-stampa della Camera del lavoro di Milano nel marzo 1966. Alle donne ci si rivolge dapprima come lavoratrici e in secondo luogo come pilastri della famiglia. Esse vengono paternalisticamente lodate per i loro alti contributi morali e civici; viene loro detto che devono andare oltre i problemi delle donne e unirsi ai compagni uomini nel sostenere la pace e il progresso; viene loro ricordato che loro responsabilit promuovere una vita migliore per le loro famiglie. Ma le donne non furono gli unici attori sociali a essere trat tati come minorenni da quelle organizzazioni che affermavano di rappresentarle alla met degli anni Sessanta. I partiti politici e le organizzazioni di massa ritenevano ancora di avere unampia de lega a rappresentare la popolazione, basata o sulla fedelt dei loro aderenti o sulla capacit dellorganizzazione di fornir loro degli incentivi selettivi (Parisi e Pasquino 1980). Come abbiamo visto nel capitolo VI, era contro questo paternalismo che gli studenti universitari si erano scagliati. Abbiamo trovato lo stesso pater nalismo ancora a Porto Marghera, da parte dei sindacati, che cercarono di frenare la lotta della classe operaia. L abbiamo visto nella sua forma pi estrema nella parrocchia dellIsolotto, quan

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do il cardinale Florit disse al suo sacerdote che non aveva alcun diritto di fare affermazioni politiche. Le istituzioni e le organiz zazioni italiane avevano colonizzato la societ civile dopo il fa scismo, agendo come se avessero il diritto di continuare a ordi nare le sue forme di partecipazione. Le lotte che abbiamo visto, incentrate sulla riforma della scuola, nei conflitti industriali, contro la guerra del Vietnam e allinterno della Chiesa furono tutte rafforzate dalla rivolta con tro la pretesa delle principali istituzioni rappresentative di dete nere il monopolio della rappresentativit. Paradossalmente, tut tavia, queste organizzazioni fornivano anche molti dei simboli e delle risorse che pi tardi sarebbero stati utilizzati contro di esse. Il movimento femminista non faceva eccezione; molte delle organizzatrici della campagna contro laborto, pur essendosi for mate politicamente allinterno del Partito comunista, nelle orga nizzazioni cattoliche e nei gruppi della nuova sinistra, ne rifiu tavano legemonia (Ergas 1982, pp. 261 sgg.). La manifestazione del dicembre 1975 per laborto emblematica del grado di cam biamento avvenuto a partire dal 1966. Nessuno in piazza Esedra chiamava le donne produttrici o pilastri della famiglia. N es sun partito politico n sindacato aveva scelto il tema o la forma della dimostrazione. Il corteo era stato organizzato da una coa lizione autonoma di gruppi femministi, dei quali pochi avevano sentito parlare fino a pochi mesi prima. Non solo erano esclusi gli uomini, ma le organizzatrici del raduno si erano rifiutate di per mettere che degli aderenti a un partito o a un movimento por tassero le proprie bandiere. Quando questa regola fu infranta, nel nome dellautonomia dal controllo dei maschi, le donne di Lotta continua si scusarono dal palco con le loro compagne. L autonomia dal controllo dei partiti, dei sindacati e delle organizzazioni di massa era una richiesta che andava molto al di l dei partiti politici, ed era un tema ricorrente nel ciclo di pro testa sin dai suoi inizi. Molto pi del tema delloperaismo, che aveva dei limiti intrinseci e fu incrinato dal fatto che i gruppi terroristici se ne appropriarono, il tema dellautonomia soprav visse alla fine della mobilitazione, per strutturare molte delle or ganizzazioni di quartiere, pacifiste ed ecologiste nate alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta. Nel settore delle donne, anche IU di si liber dalla tutela dei partiti alla fine degli anni Settanta (J. Hellman 1987). Nella clas se operaia, unondata di scioperi dei sindacati autonomi contras segn sia gli anni Settanta che Ottanta. Quando lItalia conobbe il flagello della droga, una pietra miliare nella richiesta di ade

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guati centri di trattamento di quartiere fu loccupazione da parte delle madri di Primavalle, che non avevano nessun collegamento coi partiti o coi sindacati. Uneredit permanente del ciclo di protesta fu lautonomia dei soggetti sociali da quelle organizza zioni che come la Camera del lavoro nel 1966 avevano affermato di avere una delega a rappresentarli.
Nuovi attori in vecchie istituzioni

Un secondo cambiamento che emerge da questi due episodi lampliamento dei confini dellarena politica cos da includervi questi nuovi soggetti sociali e politici. Dopo gli anni Sessanta, nel sistema dei partiti vi fu un calo della percentuale sia dei so stenitori incondizionati di un partito, sia di quello che Parisi e Pasquino chiamano il voto di appartenenza e di quelli che chia mano gli elettori fluttuanti (1980). Vi fu un corrispondente aumento nel voto autonomo su un dato tema e dei gruppi incen trati su un argomento ben determinato (single issue groups ). Un segno di questo fenomeno nellelettorato che in quello stesso periodo la fedelt ai vari partiti and declinando. Questi cambiamenti nella politica istituzionale furono ac compagnati da un ampliamento delle basi sociali del settore del movimento sociale. Le donne, per esempio, non avevano parte cipato alle proteste agli inizi del ciclo in quanto tali, cos quando esse compaiono per la prima volta sono nelle vesti di scioperanti, genitori, inquilini, residenti nel quartiere. Solo verso la fine del ciclo compare un filone peculiarmente femminile di proteste, e le donne si considerano capaci di organizzare delle dimostrazioni in quanto donne. La sede principale di questa aumentata disponibilit a ricor rere allazione collettiva conflittuale fu nei nuovi settori della classe media, sensibilmente cresciuti di numero e come autoco scienza politica a partire dalla guerra. Questo fu manifesto nel loro crescente ricorso allo sciopero, tradizionale arma delle classi popolari. Stimolati inizialmente dalle conquiste degli operai ma nuali, gli scioperi della classe media divennero sempre pi auto nomi agli inizi degli anni Settanta. I modelli di comportamento collettivo che erano stati peculiarmente proletari allinizio del ciclo erano divenuti moneta corrente di tutti salariati alla sua fine. Ma gli appartenenti ai nuovi ceti medi non si limitarono a richieste salariali. Si organizzarono per chiedere pi elevati livelli 260

di servizi pubblici, per protestare contro il terrorismo e la bru talit della polizia, per ottenere il divorzio e laborto libero, per migliorare la salute in fabbrica, le pratiche psichiatriche e lam biente urbano. E ssi contribuirono ad articolare i nuovi temi po litici centrali di una economia capitalista matura, e a costringere la classe politica a inserirli nel programma politico. I partiti e i sindacati erano costretti ad affrontare questi temi o ad abban donare la loro pretesa di rappresentare questi gruppi. Un aspetto importante della sfida di questi soggetti fu la loro affermazione di nuove identit collettive. Quando i conflitti era no negoziabili e le richieste condivisibili, non vi era stata una crescita permanente di una nuova identit; fu quando le autorit divennero arbitrarie e le richieste non divisibili, che la ricerca di nuovi beni o di maggiori diritti si trasform, nel corso del con flitto, in nuove identit. Ne abbiamo visto un esempio nel caso dei cattolici del dissenso dellIsolotto nel 1968. Quando i par rocchiani di don Mazzi incontrarono incomprensione e opposi zione, cominciarono a chiedere un riconoscimento quale sogget to sociale autonomo. La loro invenzione della messa sul sagrato fu espressione di questa affermazione. Unespressione pi distruttiva delle richieste di riconosci mento appare nella violenza di quel periodo. I giovani che cer cavano di farsi strada nel corteo in marcia in via Cavour a Roma nel dicembre 1975 non si stavano semplicemente opponendo al lesclusione da un raduno di donne; stavano anche asserendo la propria identit nel modo pi primitivo che conoscevano, impo nendola violentemente agli altri. La violenza non fu mai solo espressione di identit collettiva, ma molti dei gruppi che si scon trarono nelle strade di Roma o di Milano sembravano avere ben poco per cui competere se non la propria pretesa di occupare uno spazio nelle strade e nel panorama ideologico. Come suggerisce lesempio precedente, coloro che si aspetta vano un riordinamento permanente, dopo il ciclo, dei ruoli so ciali, sessuali o occupazionali in Italia, furono ben presto disil lusi. L Italia rimane una societ essenzialmente capitalista nella quale i ruoli sessuali sono tradizionalmente ordinati e le gerar chie professionali si basano sullo status, le capacit e le risorse. Nei sindacati, per esempio, quando il femminismo non riemp pi le piazze con dimostranti, vi fu un enorme risorgere di ses sismo (citato in J. Hellman 1987, p. 209). E nella Chiesa cat tolica, dopo che la maggior parte dei dissidenti aveva lasciato la Chiesa, con Comunione e liberazione si riafferm il predominio del cattolicesimo tradizionale. 261

M a linsuccesso dei movimenti nel creare una nuova cultura dei rapporti sociali non significa che il ciclo della protesta non ebbe effetti culturali significativi. Consideriamo, ad esempio, il movimento femminista. Nel corso del ciclo di protesta, le donne cominciarono a essere politicamente attive allinterno delle or ganizzazioni: sindacati, partiti, scuole e organizzazioni di movi mento. Fu all'interno di organizzazioni come queste che il mo vimento ebbe la sua massima affluenza. Il ciclo di protesta fu anche seguito da un aumento della rappresentativit delle donne nelle liste elettorali della sinistra parlamentare. Nel Pei, in par ticolare, la percentuale di donne che occupavano dei ruoli di re sponsabilit crebbe enormemente nel corso degli anni Settanta e Ottanta. Agli inizi degli anni O ttanta unampia percentuale degli at tivisti che svolgevano il lavoro, perlopi volontario, nei gruppi pacifisti, ambientalisti, contro la droga e nei comitati di quartie re erano donne, in Italia come altrove in Occidente. Se alla met degli anni Sessanta ci fossero state delle organizzazioni di questo genere alle radici della societ italiana, esse sarebbero state ge stite da uomini e dal sistema dei partiti o dalla Chiesa da loro dominati. Da agenti segreti della protesta urbana, le donne erano divenute partecipanti nella routine della democrazia, fin nelle sue basi.
La riforma oltre le frontiere del politico

La protesta contro laborto del dicembre 1975 illustra un ter zo aspetto degli effetti del ciclo di protesta: il fatto cio che al cuni movimenti di quel periodo ebbero uninfluenza sulla rifor ma. I movimenti sociali di solito falliscono, e quando hanno successo raramente ottengono ci che chiedevano. Il loro succes so di solito dovuto non alla loro forza intrinseca, ma alla con vergenza delle loro richieste con gli interessi di alleati allinterno del sistema politico (Gamson 1975). Il potere che essi esercitano sempre marginale, ed essi possono utilizzarlo solo in combina zione con quello di attori che ricoprono posizioni strategicamen te pi centrali. G li studiosi della public policy tendono a massimizzare lim portanza dell lite e a minimizzare limportanza delle pressioni provenienti dal basso nello spiegare i successi delle riforme. Que sta pu essere unimmagine giusta in paesi con burocrazie illu minate, quali la Svezia o lInghilterra; ma in un paese come lI

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talia, con la sua burocrazia lenta e politicizzata, le riforme dallalto non arrivano facilmente. Per esempio, la prima riforma del centro-sinistra la nazionalizzazione dellenergia elettrica fu viziata dal potere di lites radicate nelle proprie posizioni. L unica strada a disposizione per poter conseguire delle riforme in un tale sistema che gli attori al di fuori del sistema politico mettano i nuovi temi sul tappeto e costituiscano delle alleanze con gruppi alPinterno dellarena politica. In realt, come abbiamo visto nel caso della riforma della scuola, molti dei temi intorno ai quali si agitarono i nuovi mo vimenti furono posti sul tappeto dai vecchi partiti e dai gruppi di interesse. I nuovi movimenti radicalizzarono questi temi, ren dendo impossibile alla classe politica italiana di ignorarli e for mando coalizioni oggettive o soggettive con gruppi allin terno del mondo politico. Nel caso della riforma universitaria, il tema venne posto per la prima volta sul tappeto da gruppi di interesse accademici, dai partiti e dalle associazioni ufficiali degli studenti. Essi erano abbastanza divisi da permettere che, quando i nuovi movimenti radicalizzarono il tema e sensibiliz zarono intorno ad esso un pubblico pi ampio, fosse impossibile per il governo approvare una legge restrittiva. Per anni non fu votata nessuna riforma, ma ci era dovuto alle continue divisioni nel mondo accademico e allinterno della classe politica, e non gi allestremismo del movimento. Una coalizione oggettiva di maggior successo emerge dalle rivolte delle carceri del 1971-74. I tumulti verificatisi nelle car ceri allinizio del ciclo avevano un contenuto programmatico de cisamente scarso. Essi accompagnavano (o almeno andavano in parallelo con) un infuocato dibattito parlamentare e giornalistico sulla necessit della riforma carceraria. Ma via via che i detenuti comuni entravano in pi stretto contatto con quelli politici, le loro proteste assunsero un contenuto politico pi esplicito, pi elaborato, in notevole simmetria col dibattito politico che si te neva in Parlamento (Neppi Modona 1976). Esisteva unalleanza consapevole e soggettiva tra detenuti in rivolta, appartenenti alla sinistra extraparlamentare, giornalisti illuminati e riformisti nel Parlamento? Naturalmente no; cera piuttosto una coalizione oggettiva tra gruppi con interessi e va lori diversi al di fuori e allinterno del campo politico, che cer cavano di introdurre un qualche tipo di riforma nelle terribili condizioni del sistema carcerario. Una coalizione simile, ma pi soggettiva, fu costituita tra scendendo i confini del sistema politico per far approvare la legge 263

di riforma sullaborto. Gli anni 1975-77 sono pieni di resoconti di manifestazioni simili a quella di piazza Esedra, le cui organiz zatrici travalicarono le frontiere del sistema politico, andando da gruppi istituzionali quale I U d i a coalizioni ad hoc quali il C ra c fino a gruppi ancora pi radicali. Non si tratt di sforzi concertati, anzi molti degli obiettivi dei vari gruppi erano conflittuali. Talvolta si cre un fronte co mune, tentando di mettere insieme chi sfidava e chi apparteneva al mondo politico, come a piazza Esedra, ma era pi frequente che tali gruppi operassero indipendentemente luno dallaltro, bench con totale consapevolezza di ci che gli altri stavano fa cendo. Il risultato fu di imporre il tema dellaborto allordine del giorno del mondo politico, e di rendere chiaro alla classe politica che esisteva una base che avrebbe sostenuto la riforma. La rifor ma non mai un semplice prodotto del riformismo, ma lesito istituzionale di spinte provenienti da pi direzioni, sia dallin terno che dallesterno del sistema politico.

2. La dinamica del ciclo


Autonomia, nuovi soggetti sociali, riforme: questi erano i tre cambiamenti pi evidenti che derivarono dal ciclo di protesta. Ma innanzitutto, perch ci fu un ciclo di protesta? E una volta che furono dispiegate le sue energie, perch i risultati furono cos limitati? Per finire, una volta che il ciclo ebbe inizio, perch non destabilizz lintero sistema, conducendo a quello sconvolgimen to radicale auspicato dalla sinistra extraparlamentare e temuto dai moderati? Quale fu la dinamica del ciclo? G li studiosi che in passato hanno esaminato i cicli li hanno visti come dei fenomeni generazionali o nei termini della psico logia di massa. Nel capitolo I ho proposto un modello secondo cui la logica dello sviluppo del ciclo essenzialmente politica. Durante i cicli di protesta, sostenevo, i gruppi adottano forme di azione, di sfida, avanzano richieste eccessive, si organizzano contro le lites quando appaiono le opportunit politiche per far lo. La mobilitazione inizia allinterno di contesti istituzionali, dove le risorse della protesta possono inizialmente essere accolte. Sale in crescendo quando alcuni gruppi osano sfidare le autorit pubbliche con forme perturbative d azione collettiva, e sembra no avere successo agli occhi degli altri o, almeno, sembrano evi tare di essere schiacciati.

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Nel picco del ciclo, vengono inventate nuove forme d azione per colpire limmaginazione della gente, per sfidare le lites, per diffondere il disordine in nuovi settori. Esse si succedono rapi damente, via via che il loro potere di sorpresa va calando e che le lites elaborano strategie per contrastarle. Nuove organizzazioni di movimento si moltiplicano, mentre le vecchie vengono rinno vate per riuscire a conquistare una base allinterno del settore dei movimenti e competere con concorrenti e oppositori. Via via che la gente si stanca del disordine e teme la repres sione da esso scatenata, inizia la smobilitazione. I riformisti mo derano le loro richieste, e la mobilitazione incanalata in forme istituzionali. Alcuni dei leader emersi nei movimenti di protesta divengono leader dei gruppi di interesse, altri subiscono la re pressione, altri ancora si adeguano alle riforme. Il ciclo termina con listituzionalizzazione di quei movimenti che sono disposti ad accettare la riforma o la cooptazione, e con lisolamento, il settarismo e la violenza di coloro che non le accettano. Vediamo in che modo questo schematico abbozzo di un ciclo di protesta collima coi dati italiani.
Le fonti del ciclo

Nel capitolo II abbiamo esaminato le origini del ciclo. H o sostenuto che unondata di azione collettiva fu scatenata sia da una mutevole struttura delle richieste, sia perch la struttura del le opportunit politiche si estese a nuovi soggetti. La struttura delle richieste cambi in due modi principali: innanzitutto, per ch nuovi gruppi sociali in particolare i lavoratori immigrati e una nuova classe media stavano riversandosi in fabbriche ge stite in modo autoritario e in citt povere di servizi; in secondo luogo, perch i temi politici quali la scuola e le relazioni in dustriali erano stati lasciati a languire a lungo da un governo il cui potere si basava sulle tecniche del clientelismo e sugli ap pelli allanticomunismo e al sentimento religioso. Queste richieste e coloro che le avanzavano avevano ben poco in comune, se non il fatto di apparire quasi contempo raneamente tra gruppi che erano al di fuori della base principale di sostegno del governo, costituita dagli imprenditori, dai con tadini e dai ceti medi autonomi. Se esse erano congruenti, lo erano solo perch lItalia di quel lepoca stava entrando in una nuova fase di capitalismo maturo che diede il via a un dibattito tra politici, manager, intellet tuali e leader sindacali circa i requisiti di uneconomia industriale

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avanzata e perch tutti, in un modo o nellaltro, soffrivano delle inadeguatezze della politica governativa. Alle radici della nuova domanda e della nuova struttura sociale c era la politica. Anche le opportunit politiche si estesero in due direzioni. Da una parte, nellindustria, la riserva di manodopera dalla quale era dipesa limpresa per il suo miracolo economico si stava pro sciugando proprio nel momento in cui la classe operaia organiz zata stava ritrovando una voce unitaria; dallaltra, nelle scuole e nelle universit, i figli della nuova classe media stavano trovando voce allinterno delle organizzazioni studentesche tradizionali, proprio nel momento in cui il dibattito sulla riforma della scuola veniva posto sul tappeto dalla classe politica. Il quadro di riferimento di questa espansione delle opportu nit politiche era dato, involontariamente, dall lite politica stes sa. Nel momento in cui la coalizione centrista della De perdeva la sua forza elettorale nasceva, infatti, una formula di centrosinistra ideata per distaccare i socialisti dai loro alleati di vecchia data, i comunisti, e per far passare un certo numero di riforme che le lites in tutto il sistema politico erano concordi nel ritenere necessarie: la programmazione economica, la riforma delle rela zioni industriali, del sistema pensionistico e delluniversit. Il governo di centro-sinistra, per, non solo pose sul tappeto dei temi che altri potevano utilizzare come piattaforma di lancio per richieste pi radicali ma, cooptando il Psi nel governo, cre nuovo spazio a sinistra, e allo stesso tempo inser allinterno delVlite governativa nuovi conflitti, che potevano essere sfruttati dagli oppositori. Inoltre port al governo un partito, il Psi, trop po debole per dirigere la politica verso le riforme, ma che non poteva permettersi, dal punto di vista politico, di venire identi ficato con la repressione del dissenso. Furono prevalentemente le nuove fratture e le nuove richie ste allinterno della struttura di classe o le opportunit nel siste ma politico a dare la scintilla a un importante ciclo di protesta? Gli studiosi dei movimenti sociali dibattono senza fine questo punto, senza arrivare a nessuna conclusione. Ci che si pu af fermare con sicurezza il primato della politica. I nuovi temi intorno ai quali i gruppi cominciarono ad organizzarsi erano po litici; lo spazio politico creato dal centro-sinistra era d importan za cruciale nellincoraggiare i dissidenti a organizzarsi; lespe rienza politica che molti avevano fatto allinterno dei vecchi partiti e delle vecchie istituzioni, era una risorsa cruciale che ora essi usavano per mobilitare una base di massa. I nuovi mo

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vimenti sociali degli anni Sessanta nacquero dalla politica, e fu attraverso la politica che si svilupparono. La politica era il mezzo attraverso il quale le richieste dei nuovi movimenti venivano filtrate in proposte politiche. Le di mostrazioni di massa e le richieste estreme di quei movimenti da sole non sarebbero bastate ad attuare, per esempio, la riforma dellaborto: fu solo perch si combinarono a sviluppi interni al sistema politico e alla societ e furono abili nel cogliere nuove opportunit politiche, che essi ottennero un qualche successo. Consideriamo la vicenda della riforma dellaborto. Nel 1975, in seguito al calo subito nelle elezioni amministrative di quellan no, la De scelse una nuova leadership, che cerc di dar lustro allappannata immagine progressista. Per proiettare questa nuo va immagine, essa decise di non partecipare al dibattito parla mentare sullaborto (Ergas 1982, p. 270). Nel frattempo il Pei, nella continua ricerca di una enterite coi cattolici, adottava sul largomento una posizione moderata. Il progetto di legge che ne risult, approvato nel 1978, era un compromesso. Non garantiva il diritto a quellaborto libero, as sistito e gratuito che le dimostranti a piazza Esedra avevano chiesto, ma il suo linguaggio moderato rendeva possibile alla De di astenersi dal voto parlamentare, al Pei di unirsi ai socialisti e ai partiti laici a sostegno del progetto di legge, e allaborto di divenire legale (Ergas 1982, p. 271). Malgrado la richiesta delle femministe, di un progetto di legge che sancisse lautonomia del le donne sul proprio corpo, non fu accolta, se non fosse stato per la pressione di questo movimento radicale di riforma, esterno al mondo politico, su una classe politica esitante e divisa, non ci sarebbe stato nessun progetto di legge. Il risultato di questa in tensa ondata di lotte non riformista o poco riformista fu una sot tile concrezione di riforme.
Il repertorio del contendere

Anche le forme dellazione collettiva utilizzate dai nuovi mo vimenti si evolvettero allinterno delle tradizioni politiche. Nel capitolo III ho esaminato le mutevoli forme d azione collettiva che apparvero via via che il ciclo si andava svolgendo, dimostran do come la protesta nacque e sal fino a un picco di sfida e di perturbazione molto presto, e si diffuse in nuovi settori via via che andava declinando d intensit nei settori nei quali era ini ziato.

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Questo processo di diffusione ebbe tre caratteristiche che vai la pena sottolineare: innanzitutto, la perturbazione inizi allinterno delle istituzioni, nel contesto di proteste e scioperi con venzionali; in secondo luogo, le proteste ebbero risalto quando i primi infransero i limiti del comportamento convenzionale, durante un breve e intenso picco di mobilitazione; in terzo luo go, questo picco intenso fece scattare un ciclo pi lungo quando altri, meno coraggiosi ma pi numerosi, videro che il sistema era vulnerabile alla protesta e utilizzarono canali istituzionali per avanzare le loro richieste. La nostra analisi delle forme dellazione collettiva non ha mai mostrato una predominanza di comportamento di sfida o di vio lenza. Le forme d azione convenzionali furono sempre in mag gioranza, con forme di sfida crescenti e poi in rapido declino tra il 1967 e il 1969; la violenza organizzata si svilupp solo verso la fine del ciclo. La contestazione, la protesta espressiva, la tecnica della sfida e i nuovi attori sociali si combinarono durante il picco della mobilitazione a generare uno di quei rari momenti di fol lia che mostrano ad altri gruppi le opportunit politiche e la vulnerabilit del sistema. Questo port londata di protesta a nuovi settori, dove il suo impatto perturbativo fu minore, ma dove la routine venne perturbata e la crosta dei rapporti tradi zionali d autorit venne infranta. Il ciclo crebbe attraverso la sfi da e la perturbazione, ma si diffuse prevalentemente allinterno di canali istituzionali.
Soggetti e richieste

Nel capitolo IV ho seguito la diffusione dellazione collettiva a partire da alcuni attori centrali gli operai e gli studenti per arrivare a quelli che normalmente erano attori pi tranquilli, quali i dipendenti pubblici, i nuovi ceti medi, i poveri delle citt, le donne e i detenuti. Ho mostrato che la protesta, pi che in nalzarsi come un vulcano isolato da una pianura di consenso, era pi simile a unonda propagantesi a vari settori della societ ita liana in momenti diversi. Forse il ciclo italiano fu inusuale per questi cambiamenti del locus del conflitto; certamente essi aiu tano a spiegare perch durante quel periodo non riusc a costi tuirsi nessuna coalizione riformista, e perch le lites alla fine riuscirono a segmentare il movimento, attraverso una strategia di riforme frammentarie e la repressione. Le basi mutevoli del conflitto ebbero importanti effetti po

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litici. Fu la diffusione del disordine in ogni angolo della societ italiana a dare limpressione di una societ in stato di assedio e persino a portare alcuni a ritenere erroneamente che essa fosse sul punto di crollare. Ma il fatto che il conflitto si trasferisse da un settore allaltro fece s che anche quei gruppi che avevano basato le proprie strategie sul proletariato fallissero, trasferissero le loro iniziative ad altri settori o si gettassero in una disperata spirale di conflitto armato. Col senno di poi, chiaro che il disordine causato dai primi come gli studenti universitari era gi in calo quando arri varono gli ultimi, e che questo permise alle lites di separare le varie richieste, di negoziare con alcuni gruppi, ignorandone altri e reprimendone altri ancora. Il ciclo italiano di protesta si esaur attraverso la disaggregazione in tanti campi politici separati, nel le mani di un 'lite politica che si trovava pi a suo agio con la politica della spartizione e della cooptazione. I nostri risultati sulla natura delle richieste, nel capitolo V, sono stati in sintonia con ci che abbiamo imparato sulla natura specializzata degli attori e dei loro avversari. Nel cercare di dare ordine allimmenso numero e variet di richieste espresse nelle proteste, mi divenuto chiaro quanto profondamente la societ italiana fosse sconvolta dal conflitto in quegli anni. Bench fosse un paese in transizione verso una nuova fase economica, infatti, lItalia era anche un paese in cui le fratture del capitalismo clas sico erano ancora molto profonde. L unica cosa in comune nella struttura delle richieste stata la centralit dello Stato. Se il con flitto non si svilupp a partire da una gran massa di contese, prevalentemente private, verso un conflitto politico generalizza to, fu in parte perch molti conflitti erano intrinsecamente po litici sin dallinizio e, in parte, perch molti altri erano intrinse camente corporativi, e pertanto non suscettibili di genera lizzazione. Due furono i principali quadri di riferimento che emersero da questa massa di proteste e controproteste: loperaismo, un patri monio ideologico tradizionale della sinistra, e lautonomia, un nuovo tema che ebbe come suo primo obiettivo la pretesa dei partiti, dei sindacati e della Chiesa di monopolizzare la politica popolare. Questi due temi si combinarono come in una reazione catalitica nel 1967-69 ad animare i movimenti degli studenti uni versitari e degli operai. Ma gi alla fine del ciclo questa combi nazione era stata trasformata in una macabra caricatura di ci che era stata una volta, e sia loperaismo sia lautonomia erano

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invocati a giustificare gli eccessi settari di chi si era autonomi nato profeta della lotta armata.
Movimenti e mobilitazione

Nei capitoli V II e V ili ho analizzato tre dei movimentichiave che sconvolsero la societ in unazione collettiva conflit tuale in questo periodo. Ciascuno di essi aveva le proprie radici nelle rivolte allinterno dei principali ambiti istituzionali la fabbrica, il sistema dei partiti, la Chiesa e l 'establishment della scuola ma ciascuno usc dal suo ambito istituzionale durante il periodo culminante della mobilitazione di massa. Essi procla mavano tutti lautonomia delle rispettive basi sociali dallauto rit, ricorrendo a temi politici contemporanei per creare nuove identit e affidandosi a forme d azione perturbativa per costrui re le proprie basi e sfidare le lites. Nella convergenza delle traiettorie di questi movimenti vecchi e nuovi vi la prova che essi facevano parte di uno stesso settore di movimento sociale in espansione. M a se vi erano dei punti in comune nellascesa di questi mo vimenti e nei loro repertori e richieste, vi erano anche delle di vergenze nelle loro traiettorie e nel loro declino. Mentre il mo vimento degli studenti universitari fu breve, e limitato dalla sua incapacit di trovare spazio allinterno delluniversit, il movi mento degli operai dur pi a lungo, e rafforzato dal gran nu mero di gruppi che cercavano di rappresentarlo, nonch dalla di sponibilit di nuove istituzioni di fabbrica ad organizzarlo. N si trattava di un caso di movimento contro organizzazione, per ch entrambi si svilupparono sia allinterno che allesterno delle organizzazioni rappresentative, i sindacati per gli operai e le as sociazioni studentesche per gli studenti. Tuttavia, mentre il mo vimento studentesco distruggeva la legittimit delle associazioni tradizionali, il movimento degli operai fu rapidamente assorbito dalla strategia sindacale del cavalcare la tigre. Il movimento cattolico dissidente, di cui la comunit dellIsolotto un esempio emblematico, cosa diversa. Bench anchesso fosse nato come rivolta allinterno di unistituzione po tente, la Chiesa poteva permettersi di ignorare le sue richieste, cosicch fin col diventare soltanto una setta eterodossa. Tutta via, al pari del movimento degli operai, esso si tramut in orga nizzazione. Questi cattolici dissidenti, coi loro vecchi temi e richieste, assomigliavano ai nuovi movimenti sociali di quel de 270

cennio nella loro accentuazione dellautonomia e nelle forme d a zione cui ricorrevano. Anche qui troviamo prova di un unico ci clo di protesta.
Movimenti e organizzazioni

Ciascuno di questi movimenti diede vita, o attrasse, tutta una serie di organizzazioni di movimento in reciproca competi zione. Queste organizzazioni, che sono state argomento dei ca pitoli IX e X , svolsero un ruolo cruciale nellorganizzare la pro testa e nel diffonderla a nuovi settori, nello spingere la gente a porre le proprie richieste allinterno di quadri di riferimento pi ampi. Essi non sostituirono lideologia con la pratica; elaboraro no obiettivi radicalmente pragmatici e ricorsero a strategie perturbative per ottenere dei sostenitori e sfidare le lites. Gli studiosi dei movimenti sociali spesso contrappongono or ganizzazione e protesta, ma la diffusione della protesta in Italia dipese dagli sforzi di queste organizzazioni. L organizzazione non era un tentativo manipolatorio di burocrati, allo scopo di soffocare la spontaneit; era una risposta alla crisi del movimento studentesco, un modo per entrare in contatto con gli operai e un risultato degli sforzi competitivi di organizzare una base di mas sa. Questi sforzi organizzativi portarono nuovi aderenti ai mo vimenti, dapprima nelle fabbriche, nelle chiese e nelle scuole, e poi in altri settori, dalle citt al Sud, dalle carceri allesercito. Il paradosso che emerge dallo studio di queste organizzazioni che le loro vicende non sono documentate per il periodo pre cedente al 1968, quando lazione collettiva di massa era pi in tensa, e sono pi ricche per il periodo successivo al 1969, quando essa era gi in calo. Cos, se dovessimo studiare il ciclo della pro testa prestando attenzione unicamente ai resoconti dellazione collettiva, troveremmo poche prove dellesistenza di un ciclo di protesta prima del 1969. D altra parte, se avessimo utilizzato so lo i metodi storici tradizionali, avremmo sovrastimato il ruolo di queste organizzazioni, e sottostimato il periodo che catalizz il ciclo il picco intenso della mobilitazione di massa raggiunto nel 1967-69. Combinando nuovi metodi coi vecchi unanalisi al computer con uno studio di casi singoli siamo riusciti a esaminare il rapporto tra il picco intensivo della mobilitazione fino al 1969 e le organizzazioni che diffusero la protesta ai nuovi attori dopo il 1968. Questo ha portato a uno dei risultati pi importanti della ri 271

cerca, e cio che le nuove organizzazioni di movimento, bench si considerassero unavanguardia della rivoluzione, non erano che lespressione pi consapevole dellazione collettiva popolare, nate come risultato di essa. Esse potevano dirigere le masse fin tantoch vi erano masse da dirigere; ma non potevano portare le masse dove esse non volevano andare. Fu come risultato della concomitanza tra il fiorire di uno spettro di organizzazioni di movimento e il calo della disponibilit allazione collettiva di massa, che comparvero le due caratteristiche pi salienti della fine del ciclo: listituzionalizzazione e la violenza.
Violenza e istituzionalizzazione

Senza una base popolare da mobilitare, i leader extraparla mentari si trovavano di fronte a un dilemma. Potevano dedicarsi allazione allinterno delle istituzioni esistenti, come era stato il cammino seguito dal PDUP-Manifesto; potevano trasformare le loro organizzazioni in gruppi di interesse, come avvenne per mol ti dei movimenti urbani; oppure potevano cercare di radicalizzare la lotta attraverso la violenza, come avvenne nel caso di Po tere operaio. Ma non potevano pi affermare di essere i leader di movimenti di massa. Gran parte della disillusione, molte delle divisioni interne e alcune delle sconfitte degli anni successivi al 1968 possono essere fatte risalire a questo dilemma: il fatto che si stesse costituendo una pletora di organizzazioni di movimento, in competizione re ciproca per il consenso, che elaborava programmi sempre pi estremisti via via che crollava la protesta di massa. Il declino della mobilitazione di massa in presenza di un set tore di movimento sociale ampio e competitivo ebbe dei risultati contraddittori, ma che si rinsaldarono reciprocamente. Esso non solo permise alle lites di intensificare la repressione, costringen do alcuni attivisti alla clandestinit e facendo in modo che altri lasciassero la politica, ma restrinse anche la base dei movimenti, portando i gruppi meno militanti allo sbando o alla decisione di entrare nella politica elettorale, mentre quelli pi radicali abbrac ciavano la lotta armata. L istituzionalizzazione e la violenza d avanguardia erano en trambe il risultato di questa lunga fase di smobilitazione. Pos siamo vedere la loro concomitanza nella fig. 22, in cui abbiamo riportato due tendenze autonome presenti nella citt di Milano: la tendenza in ascesa della violenza nelle strade e laumento degli 272

episodi pubblici non perturbativi delle due principali confedera zioni sindacali. Il grafico della fig. 22 mostra che la violenza e listituzionalizzazione seguirono curve notevolmente simili.
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Trimestre

Fig. 22 - Violenza a Milano, 1966-73, e azioni pubbliche dei sindacati di


Milano, per trimestre, 1968-74

La violenza non solo si verific in concomitanza con lazione collettiva istituzionalizzata, ma la incoraggi, via via che le or ganizzazioni di massa e i partiti videro in essa un pericolo per se stessi e per la democrazia italiana. Questa presa di coscienza si verific molto presto nei sindacati e nei partiti istituzionali, com preso il Pei. Alla fine coinvolse la maggior parte della sinistra extraparlamentare classica, come abbiamo visto nel caso di Lotta continua. Il modo in cui la violenza nutr un processo di istitu zionalizzazione pu essere visto chiaramente dal caso pi clamo roso di violenza organizzata, la strage di piazza Fontana.
Dopo piazza Fontana

Il caso di piazza Fontana fu uno di quegli episodi che forni scono delle opportunit d azione collettiva sia alla sinistra che alla destra. Mentre il caso Pinelli rimaneva irrisolto, e quello di Valpreda cominciava a trascinarsi allinterno del sistema giudi ziario, piazza Fontana divenne un nodo intorno al quale gruppi in competizione si organizzarono e si scontrarono. Le prime rea zioni portarono alla violenza. In una serie di manifestazioni ini ziate nel 1970, sia lestrema sinistra che lestrema destra fecero 273

delle bombe di piazza Fontana e dei suoi morti i simboli delle proprie richieste competitive. Ogni dimostrazione della sinistra scatenava delle controdimostrazioni di militanti dellestrema de stra che portavano a tafferugli per le strade, a scontri con la po lizia e a nuove vittime. Il 12 dicembre 1969 divenne un simbolo non solo delle bombe alla Banca Nazionale dellAgricoltura, ma anche della spirale di violenza che sembr soffocare il paese. Via via che andarono nascendo sospetti sul fatto che il mas sacro di piazza Fontana fosse il risultato di un complotto coin volgente lestrema destra e i servizi di sicurezza, il Pei, i partiti moderati e i sindacati organizzarono una serie di manifestazioni autonome. Queste manifestazioni riportarono in vita il ricordo della Resistenza antifascista, nella quale cattolici, liberal-democratici e marxisti erano stati uniti contro la reazione. In questi anni di profonde fratture sociali e politiche questi furono quasi gli unici eventi pubblici nei quali i veterani della Resistenza e appartenenti a partiti laici poterono marciare accanto ai comu nisti e ai socialisti, agli extraparlamentari di sinistra, agli operai e agli studenti in una causa comune. Col passare degli anni il significato di piazza Fontana comin ci a mutare, come dimostrato dai cambiamenti dello schema dellazione collettiva. Via via che le passioni si placarono e che il destino di Valpreda divenne poco pi che uno scomodo ricordo, periodicamente riportato in vita dai suoi amici e dal lento mec canismo dei tribunali, il 12 dicembre divenne, infatti, unocca sione non pi di conflitto e di polarizzazione, ma di lutto pub blico rituale e di riaffermazione della democrazia. Ogni attentato delle Brigate Rosse, ogni nuova bomba fatta esplodere dai fasci sti o da altri gruppi terroristici rievocava il suo ricordo e raffor zava ancora una volta il suo messaggio. Analizzando gli episodi pubblici che si verificarono negli an niversari successivi di piazza Fontana, troviamo progressivamen te meno partecipanti a episodi violenti e un calo del numero degli scontri di piazza, nonch un aumento dei cortei pacifici e dei raduni ufficiali indetti per ricordare le vittime dei massacri, in cui venivano commemorate le vittime e riaffermata la volont della classe politica di lottare contro lestremismo, in difesa della democrazia.
Il prim o an n iversario d i p ia zza F o n ta n a p o rt u n a n u o va tr a g ed ia. A M ilan o si tenn ero tre m an ifestazio n i d istin te , u n a in d e tta d allANPi, u n altra d ag li anarch ici per p roclam are la loro in n ocen za nella strage, e un a terz a d al m ovim en to stu d e n te sco per co m b attere quella che esso co n sid erav a u n a p rovo cazion e fa

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scista. Una dimostrazione neofascista fu annullata dopo che la polizia lebbe vietata, ma dei giovani fascisti si radunarono in piazza San Babila, non lontano dal luogo delle altre manifesta zioni (Corriere della Sera, 13 dicembre 1970). Il corteo dellANPi si svolse senza intoppi (la maggior parte dei partecipanti erano ex-combattenti della Resistenza e il Pei aveva fornito un disciplinato servizio d ordine), ma lestrema si nistra e lestrema destra si scontrarono in svariati punti. Mentre la polizia interverniva per interrompere questi scontri, un can delotto lacrimogeno sparato a breve distanza uccideva uno stu dente di sinistra, Saltarelli. Nei tafferrugli rimasero ferite altre 56 persone (Corriere della Sera, 14 dicembre 1970). Ci furono altri funerali, unaltra indagine e un altro martirio da aggiungere a quello di Pinelli. La polizia dapprima sostenne che Saltarelli era morto per un attacco cardiaco, ma gli esami medici alla fine di mostrarono che ad essa andava attribuita la responsabilit della sua morte (Corriere della Sera, 15 dicembre 1970). Dopo il 1970 i resoconti giornalistici parlano di uomini po litici che fanno appassionati appelli per la pace e lordine; di ex partigiani che marciano contro la violenza e il terrorismo; della costituzione di un comitato antifascista permanente con rappre sentanti di tutto larco costituzionale. Le famiglie delle vittime si organizzano in un gruppo di pressione, e riescono a ricevere un compenso governativo per le perdite subite4; il sindaco, i depu tati De e i rappresentanti della Chiesa salgono sullo stesso palco coi comunisti e i sindacalisti per ricordare i dolorosi eventi del 1969 con una volont di riconciliazione. Nel grafico della fig. 23 riportato il modo in cui cambi il significato di piazza Fontana negli episodi pubblici organizzati in quella ricorrenza. A eccezione del 1971 (quando a Milano fu vie tata ogni dimostrazione), esso mostra un netto aumento della violenza nei primi anni, seguito da un altrettanto netto declino alla fine degli anni Settanta. Il movimento di riconciliazione, molto pi lento, avendo bisogno di maggior tempo per acquisire forza, si rispecchia nel crescente numero di episodi non violenti, di rituali e di commemorazioni pubbliche riportati nello stesso grafico5.
4 Nel 1981 alle famiglie delle vittime fu pagata unindennit di 100 milioni di lire per ogni vittima (Corriere della Sera, 15 dicembre 1981). 5 Ancora nel 1985 si poteva leggere nel Corriere della Sera (13 dicembre, p. 23): In occasione del sedicesimo anniversario della strage di piazza Fontana, il Com itato permanente antifascista, in collaborazione con PUnione familiari vit-

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Numero

Fig. 23 - Episodi violenti e non-violenti in relazione a Piazza Fontana, per


anno, 1970-87

Allo stesso tempo, tuttavia, listituzionalizzazione della pro testa incoraggiava la violenza. Ne abbiamo visto un esempio nel lultimo capitolo, quando il passaggio alla politica di Lotta con tinua e di altri gruppi della sinistra extraparlamentare lasci amareggiati quei gruppi che rifiutavano lopzione politica e si unirono al partito della lotta armata. Via via che la maggioranza degli italiani si stancava dellazione collettiva e del conflitto, la sciava il campo aperto a un piccolo nucleo militante, nel quale la disperazione stranamente si univa alla convinzione che la classe operaia avesse solo bisogno di un adeguato segnale per ribellarsi. L effetto pi importante dellistituzionalizzazione sulla vio lenza non fu tuttavia dovuto alla sinistra extraparlamentare, ma a quella parlamentare. La formazione di un governo di solida riet nazionale guidato da Giulio Andreotti nel 1976 e il soste gno che ad esso offr il Pei fu seguito dalla pi grande ondata di violenza organizzata dopo il 1919-22. Non fu un caso che lazio ne pi nota di questo periodo, il rapimento e lassassinio di Aldo Moro, avvenisse proprio nel giorno in cui questo architetto della
time per stragi, ha promosso un incontro [...]. Si discuter sul tema Istituzioni e unit democratica contro le stragi e leversione: da Piazza Fontana a San Be nedetto Val di Sam bro .

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solidariet nazionale si stava recando in Parlamento per votare linclusione formale del Pei nella maggioranza parlamentare. Tuttavia chi ricorda la violenza come lunica, se non la prin cipale, eredit del ciclo italiano di protesta non rende giustizia al proprio paese e non pu spiegare come lItalia sia sopravvissuta agli anni di piombo se non ricorrendo allargomento della re pressione. D altra parte, chi vede solo un processo di progressiva istituzionalizzazione, che ha distrutto la politica popolare, deve spiegare perch tante migliaia di persone uscissero di casa per dimostrare contro la violenza, affrontando i manganelli della po lizia e le bombe dei terroristi in nome della democrazia.

3. Disordine e democrazia
Durante gli anni del terrorismo alcuni hanno sostenuto che lo Stato avrebbe dovuto assumere pi saldamente in mano la situa zione, seguendo lesempio della Repubblica federale tedesca nel controllare la stampa e nel domare la sovversione. Questi fautori dellordine avrebbero dovuto ricordare quale fu il risultato delle politiche repressive negli Stati Uniti, negli anni di McCarthy. Il costo pagato per non seguire una tale politica in Italia fu grande, ma il rischio di limitare i diritti civili fondamentali sarebbe stato ancor maggiore, in un paese che mancava di una salda tradizione di garanzia costituzionale di questi diritti. Gli italiani dovrebbe ro andar orgogliosi, e non vergognarsi, di non aver seguito quel lesempio. In realt molti subirono anni di detenzione preventiva mentre il governo cercava di trovare delle prove per condannarli. La stessa cosa tuttora percepibile nel fatto che la polizia con tinui a ricercare ex-militanti della sinistra extraparlamentare, ol tre un decennio dopo che i movimenti da loro fondati sono crol lati. Il terrorismo costitu effettivamente un pericolo per la de mocrazia italiana, ma lossessione con cui i critici lhanno addi tato ha fatto trascurare uno dei periodi di crescita democratica pi ricchi e fecondi della repubblica italiana, vale a dire il ciclo di protesta che lo ha preceduto. La democrazia italiana soprav vissuta agli attacchi da sinistra e da destra non solo (e nemmeno soprattutto) perch i governi impararono a reprimere il terrori smo; sopravvissuta anche perch la violenza organizzata ve nuta alla fine di un periodo di mobilitazione. In quel momento mancava la base di massa per un attacco allo Stato, e il terrorismo un gli italiani intorno ai simboli della democrazia.

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Come ho sostenuto altrove (Tarrow, in corso di stampa), il periodo di protesta di massa che abbiamo studiato non pu es sere unito al periodo di violenza settaria che lo segu. La fig. 24 illustra la sfasatura tra la protesta di massa e il terrorismo, con frontando tre tendenze: la curva della violenza di massa (vale a dire la violenza verificatasi nel corso di episodi che coinvolgeva no pi di cinquecento persone); quella della violenza dei piccoli gruppi e gli atti di terrorismo registrati. Le prime due curve sono tratte da dati giornalistici, mentre lultima costruita a partire dalla definitiva analisi di Della Porta sul terrorismo di sinistra6.
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Anno

Fig. 24 - Episodi violenti di massa e di piccoli gruppi, 1966-73, e azioni


terroristiche, peranno, 1970-83

La prova pi forte della tesi che il ciclo di protesta fu distinto dagli anni di piombo che seguirono data dal fatto che la demo crazia italiana sopravvissuta a quel periodo, rafforzata dai ri schi che aveva corso. Ma non solo: il periodo di disordini le lasci alcune eredit positive che non sono state annullate nemmeno durante gli anni di piombo. Innanzitutto uneredit in quel pe riodo era rappresentata dalle riforme stesse; in secondo luogo, larena politica fu ampliata cos da includervi i nuovi soggetti che
6 Sono grato a Donatella Della Porta per avermi permesso di utilizzare questi dati, tratti dal suo studio (in corso di stampa) Organizzazioni politiche clandestine.

Il terrorismo di sinistra in Italia durante gli anni Settanta.

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abbiamo prima passato in rassegna; in terzo luogo, gli elettori cominciavano a votare pi spesso su temi specifici e a sfuggire alla tutela dei partiti, che li aveva divisi tra un voto di scambio e un voto di appartenenza (Parisi e Pasquino 1980); per finire, il repertorio delle forme legittime di partecipazione politica fu permanentemente ampliato, il che, a mio avviso, stata leredit pi duratura di quel periodo.

Riforme e ampliamento dellarena politica

Il rapporto tra protesta e riforma non semplice. Molte delle riforme di quel periodo, per esempio, erano state poste sul tap peto prima che iniziassero i disordini, dagli inizi degli anni Ses santa in poi. Il riformismo spesso utilizz lesistenza di gente che protestava per sostenere le riforme desiderate, anche quando co loro che protestavano erano ben lungi dallessere dei riformisti. Anche quando non vi era nessun movimento di protesta indivi duabile in favore di una riforma per esempio, nel caso della istituzione di regioni a statuto ordinario i riformisti utilizza rono il ciclo di protesta come pretesto per portare avanti riforme da tempo proposte. Ma anche queste riforme non furono conseguite facilmente. L esperienza del centro-sinistra mostra che un paese come lItalia non ottiene delle riforme perch i politici abbracciano il rifor mismo o i cittadini sono acquiescienti alle autorit; le ottiene quando i cittadini osano chiedere molto di pi, e la classe politica costretta a rispondere. Come nel caso delle dimostranti di piaz za Esedra, il sistema politico elabora e riduce le richieste fino a quando non rimane ben poco della visione originaria. M a in que sta elaborazione la politica di massa svolge un ruolo cruciale. Unaltra acquisizione del ciclo di protesta fu lingresso sulla scena politica di nuovi soggetti. Il caso pi importante fu quello della classe operaia organizzata. Oggi pochi ricordano che non pi tardi dei primi anni Sessanta i militanti sindacali potevano trovarsi confinati nei reparti pi duri e meno salubri delle fab briche F ia t . La polizia sparava regolarmente sugli scioperanti. Le serrate, bench illegali, non erano rare. Gli organizzatori sinda cali non potevano ottenere delle ritenute per il sindacato dalla busta-paga degli operai, o incontrarsi coi loro aderenti allinterno della fabbrica. Il ciclo della protesta trasform loperaio organiz zato in un attore a pieno diritto dellarena politica. 279

Il voto e le opinioni

Durante questo periodo gli elettori italiani hanno acquisito un grado pi elevato di autonomia dal sistema dei partiti. Questo in parte grazie a fattori laici : il ruolo dei mezzi di comunica zione di massa nel sostituirsi alle organizzazioni di partito nelle campagne elettorali, laumento del livello d istruzione nella po polazione e il declino delladesione ai partiti. Ma anche grazie agli effetti dimostrativi di gruppi che si erano organizzati duran te il ciclo di protesta, indipendentemente dai partiti: sostenitori del divorzio e dellaborto, ecologisti, gruppi di quartiere d ogni genere, persone che protestavano contro la durezza del capitali smo. Gli studiosi della democrazia italiana si sono occupati del cre scente livello di alienazione mostrato dal sistema politico nelle indagini a partire dal 1968. Gli elettori italiani hanno uno scarso senso dellefficacia politica, e poca fiducia nellaffidabilit della loro classe politica. Ma bench tale sostegno al sistema possa es sere un prodotto della democrazia, non mai stato dimostrato che sia un requisito per il suo sviluppo. Al contrario, la critica della classe politica pu essere salutare per la democrazia nel pe riodo del suo consolidamento. Gli americani dimostrarono forse un alto livello di sostegno al sistema durante la prima fase di crescita della repubblica? Gli inglesi ebbero forse un forte senso dellefficacia politica al tempo del primo Reform Act? I francesi ebbero una forte iden tificazione col sistema politico durante gli anni di costituzione della Terza Repubblica? La risposta certamente negativa in ognuno di questi casi; perch allora dovremmo aspettarci che gli italiani dimostrino durante i primi trentanni della storia della loro repubblica quegli stessi atteggiamenti politici che gli ame ricani rivelarono dopo quasi duecento anni di esperienza demo cratica? Rimane da dimostrare se gli atteggiamenti politici che sostengono un governo di un paese sono rilevanti per il consoli damento della democrazia; non altrettanto pu dirsi per le sue forme di partecipazione.
Il mutevole repertorio dellazione collettiva

Come abbiamo visto, la protesta trae la propria forza dalla sua capacit di perturbazione. Questa capacit dipende in parte dalla posizione strategica di chi protesta allinterno delle istitu 280

zioni, e in parte dalla loro capacit di creare sorpresa, incertezza, persino divertimento. I cicli di protesta sono la fonte di forme d azione collettiva nuove ed espressive. Come scrive Aristide Zolberg (1972, p. 205), liberati dalle costrizioni di tempo, luogo e circostanze, gli uomini non solo scelgono le loro parti dal re pertorio disponibile, ma ne forgiano di nuove in un atto crea tivo. M a c qui un paradosso: osservate unicamente in una pro spettiva storica, le forme d azione collettiva cambiano solo len tamente e sono prodotti del cambiamento strutturale e del co stume. Il repertorio dellazione collettiva, sostiene Charles Tilly (1986#, p. 23), entra nelluso e cambia in funzione della flut tuazione di interessi, opportunit e organizzazione, in particola re come risultato del progresso della formazione dello Stato e del capitalismo. Come scrive Arthur L. Stinchcombe (1987, p. 1248), gli elementi del repertorio sono [...] contemporaneamen te le capacit della popolazione e le sue forme culturali. Se Tilly ha ragione, che dire dei rapidi e sconvolgenti cam biamenti nelle forme dellazione collettiva che abbiamo incon trato nel corso del ciclo italiano di protesta? Essi furono solo delle parentesi nel dramma in lenta evoluzione dellazione col lettiva? La loro creativit fu un coacervo di espressioni contrad dittorie e prive di significato, destinate a sparire con i primi segni di stanchezza di chi vi partecipava? Il sostegno svaniva e le forze dellordine riuscivano a reimporsi? Ma se Tilly sbaglia, allora perch sembra come la sua opera ha ampiamente dimostrato che il repertorio dellazione collettiva si evolve cos lentamen te nel corso delle generazioni? Nei sistemi autoritari o totalitari, la risposta semplice. I momenti culminanti dellazione collettiva popolare sembrano ef fettivamente essere delle semplici parentesi in una lunga vicenda di repressione e smobilitazione. Persino i termini usati per de scriverli la primavera di Praga, i cento fiori suggeri scono un breve momento di fruizione e un loro rapido decadi mento. Il fatto che questi momenti si ripetano nelle stesse forme ogni volta non fa che dimostrare come le lites sono riuscite a sopprimerli: infatti, nelle societ in cui ben poco cambiato nella politica di massa tra un episodio e laltro, ciascun nuovo picco di mobilitazione porter a un ritorno alle stesse forme d azione col lettiva. Ma che dire di quelle societ in cui il repertorio pu evolversi pi liberamente? L evoluzione lenta, lineare ed espansiva, co me prescrive la fede social-democratica? Oppure episodica, con 281

delle interruzioni, dei balzi in avanti e delle contraddizioni in terne? Bench i nostri risultati derivino da un solo ciclo di pro testa, essi risultano pi compatibili col secondo modello che non col primo. L innovazione nelle forme di protesta avviene in cicli creativi di lotta, portati avanti dai primi, che osarono andare al di l delle aspettative convenzionali dellazione collettiva. Essi sono seguiti da imitatori e ultimi arrivati che malgrado man chino dellaudacia e della creativit dei primi portano lener gia e la sfida in nuovi settori e contro altri avversari. Alla fine del ciclo, mentre alcuni cercano di trasformare la ricca eredit del lazione collettiva di massa nella lotta armata, la maggior parte si limita ad agire entro i confini del repertorio allargato dellazione collettiva allinterno del sistema. I cicli di protesta sono i crogiuoli allinterno dei quali appaio no nuove forme di azione collettiva. Ma come possiamo spiegare il lento ritmo del suo cambiamento storico di lunga durata? C o me ci insegna Braudel, per capire la storia nella sua longue dure, necessario studiarla nei suoi dettagli apparentemente superfi ciali. Nel corso del ciclo, come abbiamo visto, le innovazioni nel lazione collettiva spiazzano le forme convenzionali, ma le am pliano anche. Dopo esser comparse in modo eclatante sulla scena pubblica, esse vengono diffuse, verificate e affinate, entrando in competizione con forme pi istituzionali. Nuove forme si com binano con le vecchie, quelle espressive si incontrano con le stru mentali, nuovi soggetti compaiono sulla scena e attori pi vecchi adottano parte dei loro programmi e delle loro tattiche. Gli stru menti permanenti dellazione collettiva popolare vengono rifor mulati nel corso del ciclo dallincontro tra la sfida e il conven zionale. I sogni rivoluzionari, la stravagante retorica, gli episodi vio lenti dei cicli di protesta scompaiono ben presto. Se mai sono ricordati, con amarezza da parte dei critici, alcuni dei quali rifiutano gli eccessi della propria stessa giovent, spesso trascu rano i risultati pi durevoli dei cicli di protesta, i loro effetti sul repertorio istituzionale della partecipazione. Alla fine del ciclo, le irruzioni, i sit-in, i blocchi e le azioni simboliche del picco del ciclo erano sparite, ma le assemblee di fabbrica, i cortei e i raduni >ubblici, le campagne e i gruppi di pressione nuovi le donne, ambiente rimanevano. Ricordando limmagine di Zolberg (1972, p. 206), il ciclo fu unondata di piena che sconvolge il suolo, ma lascia dietro al suo passaggio dei depositi alluvionali. Bench il disordine generasse molta instabilit e violenza in Italia, nel lungo periodo non min la democrazia italiana. Nella

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cultura popolare delle democrazie capitalistiche, comune asso ciare il disordine al crollo delle democrazie, e collegare il soste gno al sistema con la stabilit. Ma le vere democrazie sono pi spesso minate dalle invasioni straniere e dalle eversioni interne, che non da disordini popolari (Bealey 1987). Talvolta, il disor dine ha accompagnato la caduta della democrazia, come nella Germania di Weimar e nell'Italia prefascista; ma molto pi spes so ne ha accompagnato la fondazione, come in Francia nel 1871, o lespansione, come negli Stati Uniti negli anni Trenta. Dove esiste una base consensuale per la democrazia e le lites non sono unite intorno a un progetto antidemocratico come lo erano nella Germania di Weimar o nellItalia prefascista disordine e democrazia non sono due cose in antitesi. Il caso italiano non un paradigma di stabilit democratica o di armonia di classe, come qualcuno ha di recente affermato. Ma se la sua esperienza pu essere generalizzata, essa dimostra che la democrazia si amplia non perch le lites concedono delle riforme o reprimono il dissenso, ma attraverso lespansione della parte cipazione che si verifica come risultato dei cicli di protesta. N a turalmente, nel calo generale della mobilitazione che segue a un ciclo di protesta, molte nuove forme di partecipazione cadono in disuso, e i nuovi attori appena entrati sulla scena tornano ai pro pri interessi privati (Hirschman 1982). E , come avvenuto nel lItalia degli anni Ottanta, ai leader carismatici subentrano gli imprenditori politici e i burocrati. Ma una volta vissuta lesal tante esperienza di decidere da soli della propria vita, i nuovi soggetti rimangono disponibili a future lotte; quanto alle nuove forme d azione collettiva che hanno inventato, esse divengono parte durevole del repertorio della politica popolare, sopravvi vendo come eredit del disordine sino al successivo, e inevitabi le, ciclo di protesta.

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INDICE

Prefazione all'edizione italiana

I.

Introduzione
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II.

Conflitti, richieste, opportunit


1. La coalizione sociale e la politica, p. 28 - 2. Trasparenza del conflitto e opportunit politica, p. 31 - 3. Opportunit politiche, p. 36 - 4. Conclusioni, p. 42

III.

Coloro che osano


1. Le stagioni dello scontento, p. 46 - 2. Le forme di lotta, p. 52 - 3. Il momento di follia, p. 61 - 4. Conclusioni, p. 64

IV.

Attori, opposizioni e Stato


1. Studenti e operai, p. 70 - 2. I settori di mezzo, p. 77 - 3. G ruppi urbani, regionali e altri, p. 81 - 4. Le opposizioni, p. 85 - 5. Conclusioni, p. 92

V.

Richieste e controrichieste
1. I settori della mobilitazione, p. 98 - 2. L a direzione delle l chieste, p. 100 - 3. La struttura delle richieste, p. 104 - 4. Strili ture interpretative pi ampie: lautonomia e loperaismo, |> IO'1 - 5. Cam biano i problemi sul tappeto, p. 113 - 6. Conclusioni. |i 115

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