Sei sulla pagina 1di 9

Copia e contraffazione: somiglianze e differenze

Mario Jori

Credo che si possa ricavare qualche considerazione non inutile di politica del dirit-
to contrapponendo copia e contraffazione nel mondo digitale. Per questo prenderò le
mosse da qualche considerazione sui legami e le differenze che il diritto, il senso co-
mune e la morale positiva rispettivamente vedono tra questi fenomeni. Con morale
comune o positiva intendo l’atteggiamento etico diffuso, il comune sentire riguardo al
rispetto e alla violazione del diritto in queste materie; la morale positiva naturalmente
non è l’ultima parola in materia morale, perché può essere essa stessa criticata o riget-
tata sul piano etico. Inoltre farò qualche considerazione sulla natura economica di
fondo della protezione della proprietà intellettuale. Da tali semplici considerazioni
combinate di morale positiva, di sociologia giuridica e di economia a mio avviso pos-
sono essere ricavate alcune lezioni sul cosa fare, quanto a politica del diritto e strate-
gia commerciale.
Tutti conosciamo le tre qualificazioni giuridiche centrali che si collocano, pressap-
poco, nella zona della copia e della contraffazione, nel senso che sono al centro di di-
ritti o interessi giuridicamente protetti violati dalla produzione di copie non autorizza-
te e dalla contraffazione: si tratta di marchio, brevetto e diritto d’autore. Sono i tre i-
stituti centrali delle normative che proteggono la proprietà intellettuale. Questa a sua
volta, è bene ricordarlo, non è affatto proprietà in senso giuridico, ma un diritto giuri-
dico sui generis comprendente la proprietà industriale, il diritto d’autore e connessi.
Ad esempio, si legga l’art 473 c.p. titolato contraffazione, alterazione o uso di segni
distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali.
In realtà la natura giuridica di questo trio tradizionale che tutela la proprietà intel-
lettuale si rivela ulteriormente complessa e variegata: si pensi alla differenza tra mar-
chio debole e forte, tra merci contraffatte e merci usurpative; inoltre i casi centrali so-
no accompagnati da numerosi e importanti casi marginali o intermedi. Ad essi la tec-
nologia aggiunge fenomeni che richiedono una qualificazione giuridica specifica, ma
che rientrano nella protezione della proprietà intellettuale, per esempio, la attività di
chi “nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, distribuisce,
vende, concede in noleggio, cede a qualsiasi titolo, promuove commercialmente, in-
stalla dispositivi o elementi di decodificazione speciale che consentono l'accesso ad
un servizio criptato senza il pagamento del canone dovuto” (art 171.ter, l. 633, 1941):
al di sotto di questa formulazione tecnologica c’è il nuovo fenomeno dell’uso non au-
torizzato di trasmissioni televisive a pagamento, che è nella sostanza sempre più as-
similato alla copia non autorizzata.
Ulteriormente, esiste tutta una costellazione di rapporti giuridici che stanno deci-
samente al di fuori di queste figure tipiche ma hanno più o meno marcata somiglianza
con essi; sono forse meno universalmente noti, ma hanno importanza commerciale ed
economica, come le indicazioni di origine protetta (DOP) o indicazione geografica
protetta (IGP), le privative nazionali alla protezione dei disegni e modelli (di cui si
occupa da ultimo la Unione europea), i modelli di utilità e così via.
Altro caso che per diverse ragioni si colloca oggi ai confini del complesso fenome-
no della proprietà intellettuale e mette alla prova le sue regolamentazioni giuridiche è
quello in rapidissima crescita dell’opera multimediale, soprattutto nella versione sem-
pre più significativa dell’opera interattiva con “massiccia” partecipazione creativa dei
singoli utenti, i MMORPG (Massive Multiplayer Online Role-Playing Games). Si
giunge fino ai “mondi” artificiali a cui gli utenti possono portare significativi contri-
buti originali e commerciare tali contributo dentro e anche fuori dal mondo artificiale
(il più noto è Second Life a http://secondlife.com/). Similmente avviene per la narrati-
va con le c.d. “fanfic” in internet, dove gli appassionati di uno scenario narrativo po-
polare contribuiscono con proprie creazioni inserite nel framework provvisto da an
autore.
Sempre a titolo di esempio e muovendosi in ancora differente direzione troviamo,
già chiaramente oltre al margine dei fenomeni di protezione della proprietà intellettua-
le, le regolamentazioni giuridiche che coprono materie contigue, come la lista nera
(online) dei prodotti difettosi curato dalla commissione europea di Bruxelles.
Al centro di quest’area dai confini incerti e resi fluttuanti dal tumultuoso progresso
tecnologico è utile ancor oggi distinguere da una parte la protezione e violazione del
diritto d’autore (libri, musica, video e programmi di elaboratore) mediante copia digi-
tale non autorizzata e dall’altra i casi di violazione del marchio con la contraffazione
comunemente detta, mediante imitazioni più o meno simili o addirittura che simulano
gli originali fino al marchio e alla dicitura. Questi fatti e relativa regolamentazione
sono anche al centro dell’interesse della stampa e dell’opinione pubblica.
Ci sono tre elementi che spiegano la peculiare reazioni dell’opinione pubblica e
della morale positiva alla situazione giuridica: infatti questi comportamenti sono giu-
ridicamente vietati e sanzionati da tutti gli ordinamenti giuridici contemporanei, con
pene di crescente severità, peraltro scarsamente applicate. Essi tuttavia non sono con-
dannati dall’opinione pubblica e in larga misura sono persino approvati.
In prima approssimazione potremmo dire che ciò che accomuna i due casi di viola-
zione (copia e contraffazione) e sta al centro di entrambe le violazioni della proprietà
intellettuale è un fenomeno economico, il parassitismo commerciale. Qualcuno sfrutta
gli sforzi innovativi e inventivi altrui per trarne vantaggio illegittimo. Il danno eco-

2
nomico è un mancato guadagno piuttosto che una perdita-sottrazione, come invece
avviene per le violazioni della proprietà. Con tutte le profonde differenze economiche
che pur esistono non solo tra i due casi, ma anche tra le varie fenomenologie
all’interno di ciascuno, in tutti questi casi infatti non abbiamo una perdita economica
nel senso della sottrazione di un bene o del suo uso al titolare del diritto, ma piuttosto
il mancato o diminuito vantaggio economico nello sfruttamento dell’opera intellettua-
le; è questo il motivo per cui la proprietà intellettuale non à proprietà tout court. Nel
furto di una cosa di mia proprietà qualcosa mi viene sottratto, il danno viene dalla sua
mancanza; nel caso della violazione della proprietà intellettuale nessun oggetto mi
viene sottratto, ma ne ho un danno. La pubblicità delle ditte interessate cerca di ac-
coppiare i due fenomeni affermando che “copiare è un furto”, cercando di indurre il
pubblico a ignorare la natura metaforica dell’espressioni sottrazione di diritti (di sfrut-
tamento economico della proprietà intellettuale). Si cerca di coinvolgere questi feno-
meni nella disapprovazione morale del furto. Ma la morale positiva non è per lo più
convinta che i relativi illeciti siano altrettanto riprovevoli del furto.
Un punto che forse contribuisce a tale comune reazione è che non sempre e neces-
sariamente si ha un danno economico effettivo in questi i casi. Questo è mostrato nel
bel libro di Lawrence Lessig, Cultura libera, Apogeo, Milano, 2005. In particolare la
copia illegale non sempre rappresenta una effettiva mancata vendita. La morale co-
mune e positiva dà molto peso al fatto che molti di coloro che copiano non potrebbero
permettersi l’originale. Dal canto suo Lessig sottolinea il fatto che la stragrande mag-
gioranza delle opere artistiche (libri, musica, film) cessano di essere commercializzate
dopo pochi mesi dall’uscita; per tutte queste opere fuori mercato il danno della copia
illegale diviene minimo o inesistente.
Un altro punto che contribuisce a spiegare la connivenza della opinione pubblica
con le violazioni della proprietà intellettuale è che molti comportamenti di violazione
dei diritti di proprietà intellettuale non sono commerciali e a fine di lucro ma persona-
li, uso personale (illecito): si considerino in proposito le vicende legislative e giuri-
sprudenziali che riguardano la definizione di uso personale e la distinzione tra fine di
lucro e fine di profitto nella normativa penale che cerca di reprimere le violazioni di
copyright. Si è assistito a un tentativo di allargare le fattispecie penali, pensate per lo
violazione a fini commerciali in modo da comprendere qualunque mancata spesa do-
vuta alla copia non autorizzata. In alcune di queste nuove formulazioni “scopo di pro-
fitto” coincide con il mancato pagamento e quindi con qualunque produzione di una
copia illegale. E’ caso del ragazzino a cui sono stati ritrovati in casa programmi di
computer copiati illegalmente. In questo caso la morale positiva disapprova che non
venga fatta differenza tra il copiatore o contraffattore commerciale, il quale viene ge-

3
neralmente disapprovato come criminale di professione; e il copiatore personale che
non viene disapprovato affatto, perchè con esso il pubblico in generale si identifica.
Le analisi indipendenti di questi fenomeni consigliano ai titolari dei diritti di cui si
parla di tenere conto di questi fattori nella difesa giuridica dei propri interessi. E’ ov-
viamente poco efficace e anche pericoloso sul piano delle pubbliche relazioni affidare
la difesa dei propri interessi a norme impopolari e generalmente violate. A questo ar-
gomento va aggiunto l’argomento di bene pubblico che tutte le forme di proibizioni-
smo sono dannose per la legalità; è alquanto pericoloso per il prestigio del diritto su
cui alla fin fine si basa la osservanza delle leggi che le norme proibiscano qualcosa
che tutti fanno senza sentirsi colpevoli.

L’accostamento tra copia e contraffazione incomincia a dare qualche frutto nella


comprensione della realtà contemporanea. Considerarne le somiglianze e differenze
specialmente permette di comprendere meglio i mutamenti indotti dal fenomeno della
digitalizzazione che rivoluziona alcune importanti differenze e somiglianze tradizio-
nali.
Prima della digitalizzazione, copia e contraffazioni erano due lati della stessa me-
daglia. La copia del disco LP era contemporaneamente anche una contraffazione. La
copia dell’orologio di marca era nota in gergo come “patacca”. E’ implicito in queste
espressioni l’assunto che la copia normalmente si accompagni a uno scadimento della
qualità dell’oggetto contraffatto rispetto agli “originali” venduti dal produttore origi-
nale. L’inganno verso l’acquirente era normale, la vendita della copia all’utente finale
normalmente rientrava nella fattispecie della truffa. La forma estrema della contraffa-
zione è naturalmente la truffa nota come “pacco napoletano” in cui viene venduto un
prodotto che non funziona affatto. Tutto ciò rafforza la giustificazione etico-politica
della repressione della contraffazione e della protezione dei marchi, che fu partico-
larmente importante nella fase della prima diffusione di prodotti industriali ai consu-
matori; non si tratta solo della protezione dell’immagine commerciale del produttore,
ma anche della protezione del consumatore da prodotti scadenti o pericolosi o adulte-
rati perché contraffatti. Nel mondo non-digitale inoltre normalmente copia e contraf-
fazione erano e sono entrambe attività commerciali, compiute con mezzi industriali o
artigianali a scopo di lucro, certamente non dall’utente finale stesso. Questo è impor-
tante sul piano della morale comune: il contraffattore, l’adulteratore (e la catena
commerciale che lo assiste) veniva e viene equiparato ad altre figure di criminale di
professione e come tale giudicato, parte di un mondo a cui la “gente per bene” ritiene
di non appartenere, anche quando ha rapporti con alcuni suoi membri.

4
L’avvento del mondo digitale ha introdotto due importanti divaricazioni tra la co-
pia (digitale) e contraffazione. La copia è casalinga e la contraffazione no; la copia
digitale è perfetta e la contraffazione di solito no. Vediamo quali conseguenze com-
portano nella comune percezione morale.
La copia digitale viene compiuta gratuitamente (salvo il prezzo del materiale) per
lo più direttamente da parte dei privati fruitori con mezzi domestici, il computer di
casa; la seconda continua ad essere attività commerciale o almeno artigianale. Perso-
nalmente ritengo che i titolari dei diritti non riusciranno mai a criminalizzare la prima
nella opinione pubblica, per quanto possano farlo in diritto, perché è compiuta dal
pubblico stesso o dai loro figli. Il tentativo di perseguire questi comportamenti penal-
mente è un caso classico di proibizionismo, la emanazione di norme che puniscono
comportamenti molto diffusi e che non vengono generalmente fatte osservare. Il mio
consiglio è che si seguano altre strade, onde evitare le inevitabili reazioni
dell’opinione pubblica all’appesantimento delle norme penali.
Nel caso della contraffazione la rivoluzione digitale non è ovviamente avvenuta: i
riproduttori di materia esistono per ora solo nella fantascienza. Tuttavia abbiamo al-
cuni casi in cui il bene contraffatto è identico a quello autentico; per quanto siano sta-
tisticamente ed economicamente minoritari sono utili per capire qual è la reazione del-
la morale diffusa di fronte al fenomeno. E’ il caso delle merci usurpative, quando vie-
ne violato un brevetto o quando viene rivenduta sottobanco a prezzo inferiore la mer-
ce “di marca” o di “grandi firme”. In questi casi il danno per il produttore è prevalen-
temente un danno di immagine. Il prodotto di marca diffuso a basso prezzo si deprez-
za, diminuendo la sua attrattiva come prodotto costoso e di lusso (esclusivo come dice
la pubblicità). Il produttore perde in parte il frutto della propria inventiva, che in que-
sto caso può essere anche inventiva di marketing piuttosto che tecnologica. In questi
casi e soprattutto nell’ultimo si incontra scarsa disapprovazione nell’opinione morale
corrente, perché la differenza tra il prezzo ufficiale e il prezzo sottobanco del prodotto
usurpato tende ad essere costruito non come una giusta remunerazione della ricerca
dell’inventiva e degli sforzi commerciali del produttore, ma come dimostrazione di
eccesso di avidità. Questo tipo di danno dunque non susciterà tipicamente la simpatia
etica del pubblico al danno del produttore; tuttavia essendo gli sforzi repressivi rivolti
a produttori professionali, non si avrà l’effetto boomerang dei casi in cui la repressio-
ne cerca di colpire direttamente gli utenti finali. Solo nei casi in cui la repressione del-
la contraffazione serve a combattere la diffusione di prodotti pericolosi, soprattutto se
commercializzati senza conoscenza da parte dell’acquirente, l’opinione pubblica av-
vallerà pienamente gli sforzi repressivi della contaffazione. Questo spiega come mai
le campagne di protezione dei marchio si rivolgano spesso a questi aspetti (spesso in

5
realtà secondari) della protezione del marchio piuttosto che all’aspetto primario della
protezione dell’inventiva.
Una seconda importante differenza introdotta dalla digitalizzazione è la possibilità
della copia perfetta. Le copie digitali di un prodotto digitale sono normalmente identi-
che all’originale digitale. La qualità della copia non è diminuita dalla ripetizione della
copia all’infinito.
Nel valutare la dinamica di questi casi e in particolare la pericolosità per gli inte-
ressi legittimi del titolare, bisognerebbe peraltro distinguere ulteriormente. La copia
perfetta di materiale esclusivamente digitale ovviamente è la più pericolosa dal punto
di vista del titolare dei diritti di proprietà intellettuale. Anche nel mondo del digitale
abbiamo in realtà una gamma di situazioni. La copia digitale del libro non è una copia
perfetta, perché la sua fruizione su schermo o via stampa è molto inferiore al libro;
tuttavia tutte le copie digitali sono altrettanto buone della prima; certamente la com-
mercializzazione dell’inchiostro elettronico e la diffusione di lettori leggeri su schermi
flessibili renderà la copia elettronica molto concorrenziale rispetto al tradizionale pro-
dotto del tipografo; la copia del film o della musica oggi è perfetta manca solo degli
accessori esterni della xerigrafia sul cd e della copertina (entrambi però sono oggi ri-
producibili con appositi software con un computer e una stampante da scrivania).
L’accesso non autorizzato a programmi tv protetti è identico a quello legittimo, salvo
naturalmente la eventuale natura precaria delle decriptazioni.

E’ necessario ora fare qualche considerazione della dinamica economica profonda


del fenomeno della proprietà intellettuale, prima di concludere sulla sua percezione
nell’etica collettiva e sulla sua protezione giuridica.
Alla base dell’intero fenomeno sta ovviamente la economia dell’innovazione tec-
nologica, che secondo una affermata teoria economica è il motore dello sviluppo
(growth), come mostrato cinquanta anni fa da Robert Solow, che per questo ottenne il
premio Nobel. La legge economica fondamentale che regge la innovazione tecnologi-
ca è poi illustrata con grande chiarezza in un noto saggio del 1990 sul Journal of Poli-
tical Economy da Paul Romer dell’università di Stanford. Egli sostiene che le idee so-
no un bene economico, ma beni di tipo speciale. Sono, egli dice, beni “non-rival”, il
cui uso non è mutualmente esclusivo: tutti possono usare il disegno, progetto, libro
allo stesso tempo. La fabbricazione delle idee gode di un utile crescente di scala. Sono
di solito “cose” costose da produrre ma che non costa quasi niente riprodurre, che sia-
no usate da una persona o da milioni. Ciò in apparenza fa della produzione delle idee
un affarone e la strada per diventare ricchi. In realtà è vero l’opposto e qui sta il noc-
ciolo dell’argomento trattato in questo convegno. Se tutti avessero libero accesso alle

6
idee, non varrebbe la pena di impegnarsi nei costi e nei rischi della loro invenzione,
perché la competizione, libera di copiare e non dovendo sostenere i costi di invenzio-
ne, abbasserebbe il prezzo di vendita a quello della produzione delle “copie”. Per que-
sto dobbiamo ricorrere al copyright, alle patenti, ai brevetti, alle protezioni dalle copie
e dalle contraffazioni.
Questa è la realtà economica che rende centrale nell’economia moderna la prote-
zione della cosiddetta proprietà intellettuale. Naturalmente non dice in che misura e
come con quali mezzi sia bene procedere. Il discorso economico rende evidente che ci
deve essere una protezione efficace almeno se si vuole mantenere l’innovazione e
quindi lo sviluppo economico; altrettanto evidente che ci sono fattori importanti che
vanno nella direzione opposta e che vanno valutati nel determinare la misura e il mo-
do della protezione. Per esempio la attuale protezione del diritto d’autore è certamente
giunta a estremi inauditi quanto ai tempi garantiti a tale protezione e alla sua ampiez-
za.
A questo punto emergono le ovvie differenze economiche e sociologiche di specie
che spiegano anche le differenze giuridiche tra i nostri tre casi principali, marchi, bre-
vetti, diritto d’autore e molte delle le diverse modalità giuridiche della loro protezio-
ne. Sul piano economico il brevetto è uno strumento giuridico in cui si cerca di con-
temperare i diritti dell’inventore con l’obbiettivo fondamentale della diffusione della
conoscenza tecnica. Il copyright è uno strumento con cui si cerca di contemperare la
protezione del diritto d’autore (anche nei suoi aspetti economici) con la diffusione e
fruibilità delle opere intellettuali e la libera diffusione e conservazione della cultura. Il
marchio è forse qualcosa a cavallo tra l’uno e l’altro sul piano della sottostante realtà
economica, le sue violazioni sono un fenomeno industriale e non individuale, ma il
fenomeno è vivamente percepito dal consumatore.

Dunque la ragione etico-politica primaria per proteggere i diritti del produttore


dell’opera di ingegno non è la protezione del consumatore dai prodotti pericolosi, ma
la tutela economica della inventività. Il danno che si combatte con la protezione giuri-
dica della proprietà intellettuale è quello che viene alla società nel suo complesso dal
rendere l’attività di invenzione e la creazione artistica non conveniente.
Il problema naturalmente è che questi valori sono estremamente impersonali, diffu-
si e impalpabili. Gli individui direttamente danneggiati (i creatori) sono una minoran-
za. E’ estremamente difficile convincere il pubblico a rispettare questo tipo di valori
diffusi a non convincersi che il “free riding” sia un comportamento che non danneggia
nessuno. Queste considerazioni comportano conseguenze politiche e operative. La
copia di opere digitali nella nostra società è comportamento di massa. I comportamen-

7
ti di massa non si reprimono efficacemente con il codice penale. Occorre un giudizio-
so misto di incentivi commerciali, disincentivi giuridici e un pizzico di persuasione
ideologica e etica. Per convincere il consumatore che sia male danneggiare il produt-
tore, a mio avviso, è necessario oggi proporre modelli alternativi commerciali più at-
traenti e meno costosi e offrire una tipologia più ristretta e più difendibile dei limiti
alla copia. Certamente è inutile o controproducente cercar di convincere il pubblico
che la copia è furto, come inutilmente cerca di fare, per esempio, la pubblicità della
unione dei produttori cinematografici. Il consumatore sa che non è furto, sa è altra co-
sa, e in questo ha come si è visto alla fin fine ragione sia sul piano giuridico sia su
quello economico. Il consumatore vive in un ambiente in cui la copia in ambiente per-
sonale è comune e accettata; e il produttore che cerca di presentare l’atto di copia di-
gitale come una grave colpa non convincerà nessuno e rischia di screditare i giusti ar-
gomenti a favore della proprietà intellettuale.
La distinzione tra ciò che avviene nella realtà industriale e nella realtà personale ci
giunge utile per comprendere una tendenza significativa nei tentativi tecnologici e
giuridici di arginare la copia digitale. Senza questa spiegazione l’impiego di conside-
revoli risorse in attività così totalmente fallimentari sarebbe incomprensibile. E infatti
è un segno di disperazione commerciale il tentativo di proteggere da copia con accor-
gimenti tecnologici anti-copia e con complesse protezioni giuridiche, operato per e-
sempio sui DVD cinematografici e fallito sui CD musicali e ora ritentato sugli
HdDVD. Come esempio perspicuo si pensi allo spazio e sforzo dedicato nei testi
normativi a protezione dei copyright alla repressione penale della produzione e pos-
sesso di mezzi atti a superare le protezioni alla copia digitale (per esempio nelle ulti-
me varianti della nostra legge 633, 1941). Queste norme hanno i caratteri della dispe-
razione. Se i mezzi di protezione fossero efficaci non avrebbero bisogno di protezione
giuridica; se non lo sono, appare pressoché è inutile proteggere giuridicamente le pro-
tezioni tecnologiche visto che il bene primario è già giuridicamente protetto. Si veda
in proposito ad esempio L. 633/1941, sul diritto d’autore all’art. 171-ter comma 1
f.bis, la numerazione stessa dice subito che c’è qualcosa che non va, il tentativo di
tappare sempre nuovi buchi rispetto alla generale disapplicazione. La operazione di
meta-penalizzazione è spiegabile in parte dalla disperazione tattica e strategica delle
lobbies, in parte dal tentativo di riportare il fenomeno della copia nell’area industriale:
si ritiene più facile colpire il programmatore che produce programmi per superare i
mezzi di protezione che non il consumatore a casa sua. Insomma il tentativo è quello
di rendere la protezione della copia più vicina e più simile sul piano giuridico alla pro-
tezione dalla contraffazione. Trascurando il fatto che il programmatore è in realtà un

8
(altro) ragazzino svedese che lavora a casa propria. E domani sarà una ragazzina che
scriverà i suoi programmi nel dormitorio di un politecnico cinese.
Questi tentativi di re-industrializzare la protezione della copia digitale (di ricondur-
la al modello della contraffazione) si aggiungono alla ricca panoplia di norme repres-
sive, alcune delle quali istituiscono nuove figure di reato, altre cercano di ampliare
figure esistenti modificando temerariamente importanti nozioni del diritto penale, che
fanno parte di una rete di concetti sistematici finemente bilanciati tra di loro. Tutte le
modifiche finora sono state confuse, inefficaci o controproducenti, produttrici di anti-
nomie puntualmente rilevate dalla giurisprudenza di incertezza interpretativa. Si pensi
alle penose vicende del dibattito sul fine di profitto/fine di lucro nella attività di copia
di opere o programmi.
Peraltro giuristi e movimenti politici, viste le percentuali insignificanti di applica-
zione, sembrano pensare che il fenomeno giuridico sia poco importante e possa essere
lasciato alle lobbies dei discografici e cinematografiche come una sorta di contentino.
Questa posizione non tiene conto del costo costituito dalla esistenza di leggi inappli-
cate e inapplicabili, che gettano il discredito sul diritto.
A mio avviso, il caso a favore del produttore di innovazione tecnologica e intellet-
tuale è forte e inoppugnabile. Ma va presentato più realisticamente, perché il naturale
egoismo e la naturale tendenza al free riding (parassitismo) del singolo non abbia
troppe giustificazioni. E’ necessario che il prodotto intellettuale venga remunerato.
Non ogni remunerazione però appare giustificata al pubblico comune e anche a una
riflessione più meditata. Non sempre la copia non remunerata è un danno economico
effettivo (fair-use), talora la protezione eccessiva comporta grandi danni generali. Nei
singoli casi si può avere un danno notevole, si può non avere un danno (nessun acqui-
sto perso) o addirittura un vantaggio (la copia invoglia ad acquistare l’originale), si
può avere un irrinunciabile vantaggio come nel caso l’esercizio di un diritto di acces-
so alla cultura e alle informazioni o della preservazione o dell’uso personale tecnolo-
gicamente più elastico.
Poiché dopotutto viviamo in una democrazia politica, le lobbies disco-
cinematografiche, a mio avviso, dovranno alla fine convincersi che non possono da
sole cambiare il mondo e ad arrestare lo sviluppo tecnologico a misura del loro con-
tingente modello commerciale, come finora hanno fatto con le norme sul copyright
nei paesi sviluppati, alla fin fine a proprio danno.

Potrebbero piacerti anche