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il Giornale

Sabato 16 gennaio 2010

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LO SPILLO

Cultura
Siconclude oggi ildibattito sullidentit nazionale lanciato dal Giornale di marted scorsocon unintervento dellostoricoEugenio Di Rienzo. Hanno partecipato, oltre a centinaia di lettori con le loro e-mail, Giordano Bruno Guerri, Romano Bracalini, FrancoCardini,Luca Ricolfi,GiovanniRealeeMarioCervi.OggitoccaaMarcelloVeneziani e, ancora, a Eugenio Di Rienzo. Cosa significa essere italiani oggi? Anche i lettori possono rispondere inviando le loro e-mail allindirizzo essereitaliani@ilgiornale.it o commentando gli articoli sul sito internet www.ilgiornale.it

Il professor Cortellessa sbianchetta le fotografie di Paolo Nori

Lo scrittore Paolo Nori sar a breve processato in una libreria di Roma per aver commesso un reato: collaborareconunatestatadidestra,cioLibero.Sicuralacondanna,incertalapena.Parecheilcritico letterario(esommoinquisitoredelNori)AndreaCortellessaabbiadatoprecisedisposizionipercancellarelafacciadiNoridatuttelefotocheloritraggonocolCominterndiNazioneIndiana,ilsitointernetdacui sono partite le accuse di intelligenzacol nemico.

IL DIBATTITO SULLIDENTIT NAZIONALE

LItalia? Grande popolo in piccolo Stato


Abbiamo una personalit culturale forte ma un debole attaccamento alle istituzioni. Ingegno, intraprendenza, mammismo, familismo: ecco il Madre in Italy. Ma questa vitalit eccezionale mostra pi senso cinico che civico
E PER CONCLUDERE...

Fu il Risorgimento a farci decollare Non denigriamolo


di Eugenio Di Rienzo

dalla prima pagina


(...) ma si pu anche diventare. Ci sono italiani elettivi, per scelta e non per diritto di voto, che meritano la cittadinanza e la definizione. Lidentit attiene alle origini e alle radici ma non un fossile; lidentit mobile, che muta nella continuit e si trasmette, si chiama tradizione. Litalianit s un fattore naturale ma anche culturale; la biologia conta quanto la storia, la geografia e il pensiero. Gli italiani non sono una razza, diceva Flaiano, ma una collezione. Penso che lidentit nazionale in generale, e quella italiana in modo particolare, non siano capricci della storia ormai superati dal tempo. Penso anzi, che perduto il patriottismo in armi e sacri confini, con la relativa identificazione dello Stato con la Nazione, le identit dei po-

DUE PAESI Superpotenza per beni artistici e creativi, terzomondo per apparato tecnologico e economico
poli siano diventate culturali, civili, caratteriali. Pi liquide e fluttuanti ma pi essenziali, come lacqua, il sangue, lo sperma e la saliva. E non solo: nellepoca della globalizzazione e delluniformit avere unidentit culturale di popolo una ricchezza, un bene da preservare. Torno a dire che se le nazioni hanno una personalit, litalianit una delle personalit pi spiccate al mondo. La nostra unidentit culturale forte ed unappartenenza istituzionale debole: siamo una grande nazione ed un piccolo stato, anzi una superpotenza mondiale quanto a beni culturali, artistici e storici ma anche civili, creativi, gastronomici e un modesto Paese quanto ad apparato tecnologico, militare ed economico. Grande personalit, medio-piccola statura. La storia dellitalianit assai pi lunga e prestigiosa della storia dello Stato unitario. Otto secoli di lingua, una civilt fortemente connotata dallessere sede della romanit e poi del cattolicesimo, una nazione disegnata dalla geografia perch circondata dal mare e da un arco alpino; una nazione culturale fiorente da secoli. Prima di Cavour, dei Savoia e di Garibaldi, lItalia fu fatta da Dante, Petrarca e Machiavelli. La lingua, la letteratura e lintelligenza fondarono lItalia prima delle armi, dei regni e degli ordinamenti. Il sale della sua identit la diversit, un Paese non grande ma ricco di variet, non solo tra sud e nord, ma tra provincia e citt, tra entroterra e costa, tra versante orientale e versante occidentale. La sua unificazione politica e statuale fu tardiva e discutibile, con tante zone dombra coperte dalla retorica e dallomert, e con ragioni e passioni rispettabili che militavano dalla parte opposta; ma lunificazione fu un atto giusto e necessario che merita di essere celebrato. Litalianit un carattere, un marchio in cui si sintetizzano le virt e i vizi del Paese; un Paese poco organizzato, solitamente mal guidato dalle sue scarse classi dirigenti, allergico alle responsabilit personali e al riconoscimento dei meriti, incline alle mafie e alle consorterie, dominato dalla furbizia, con un senso cinico che sovrasta il senso civico. Un Paese che fugge nellindividualismo quando deve assumersi responsabilit di popolo, e si rifugia nel collettivismo o nellammuina quando deve assumersi responsabilit personali. Un Paese difficile da amministrare, proibitivo da governare. Ma allo stato sfuso e liquido, quando si giudica la qualit della sua vita e le sue creazioni, quel che chiamo Madre in Italy - sintesi di ingegno, intraprendenza, mammismo e familismo - litalianit resta unimpronta di vitalit straordinaria che non merita di essere soffocata. Scoprendo la forza e il fascino dellitalianit, ovvero la sicurezza della propria identit, possibile anche integrare gli stranieri, da un verso accogliendo la loro identit e dallaltro favorendo la loro integrazione. Ma perch questo avvenga necessario che ci sia unidentit forte, sentita e larga. A questo Paese mancata una religione civile, ovvero un senso comune fondato sulla propria tradizione civile e religiosa, sulla propria storia e sul valore delle esperienze tramandate; il sentire religioso ha sempre fatto a pugni con la lealt istituzionale. mancata la sobria fierezza di essere italiani, preferendo sbandare tra lautodenigrazione e lautoesaltazione, ora perdendo in sobriet ora in fierezza. La religione civile il fondamento del sentire comune, e dunque del senso dello Stato co del Paese. Oggi i nemici dItalia non sono gli immigrati, che costituiscono a volte un problema a volte una risorsa, ma che non sono i nemici dItalia pi di quanto non lo sia la riduzione del Paese a periferia pacchiana della globalizzazione, colonia della peggiore americanizzazione. I veri nemici dItalia sono gli italiani stessi, lidea di un Paese spompato e sfiduciato, degradato e involgarito, che non fa pi figli e ha paura di tutto, a cominciare dallombra di se stesso. Un Paese egoista e sfamigliato, schiavo come pochi della dipendenza tecnologica, da auto, telefonino, video, e comodit, atrofizzato nelle sue funzioni vitali dalla tecnologia e dai farmaci, allergico a pensare e a cercare. Un Paese vecchio e stanco, leggermente putrefatto, i cui abitanti preferiscono sentirsi contemporanei pi che connazionali. A costo di passare per platonico dir una mezza eresia: litalianit esiste, gli italiani un po meno. Il disegno civile e culturale che dovrebbe animare questo Paese e risvegliare le sue energie, quello di far combaciare litalianit con i suoi legittimi e spesso ignari portatori. Via, un po damor patrio, che poi lamor proprio di una comunit, il volersi bene nella storia, nellanima e nel corpo di una comunit nazionale. Marcello Veneziani

IDEE Il sale dellitalianit la diversit: non siamo una nazione potente ma ricchissima di variet
e della comunit. Il centralismo dello Stato unitario italiano, a mio parere, fu una necessit. Anche se innaturale agli italiani e importato dal modello napoleonico francese, serv a compattare un Paese sparso e svogliato, dette unossatura istituzionale allItalia e consent quella modernizzazione, alfabetizzazione e quella crescita lungo il corso di centanni e pi. Smise di funzionare quando scoppi la febbre del 68 che in Italia fu cronica e dissolutiva; quando la partitocrazia perse gli ultimi argini civili e morali, quando la demagogia dei sindacati e la follia delle Regioni distrusse il residuo spirito pubbli-

unqueildibattitosullidentitnazionale, lanciato dal Giornale, arrivato a termine con risultati che paiono sorprendenti einsperatirispettoalleaspettativepiottimistiche.Perchi,guardandociproporrequestoreferendum,avevasperatocheilsuoesitosarebbestatoquellodimettereanudounaNazionedivisa,scoraggiata,impaurita,prontaaripetere leternoritornello sulla vergogna di essere italiani, preda dei particolarismiregionali,chiusanellegoisticaricercadelsuoparticolare,ladelusionedeveesserestataforte.Certoneitantissimimessaggi deinostrilettori non mancavano neanche questi stati danimo ma alla fine mi sembra abbia prevalso su tutto un orgoglioso sentimento di appartenenza, espresso per senza arroganza. Nonpochisicuramentecihannoribattutorivendicando la loro identit padana,veneta, lombarda, toscana, altri, dal Sud, hanno ricordato loro eterna condizione di cafoni colonizzati dallinvasione piemontese del 1861, ma queste risposte mi paionoderivareinfondodaundiffusoegiustificatosentimentodiantipoliticaperitantiperiodidimalgoverno che si sono succeduti nella Penisola pi che da un vero e proprio distacco dalla nostra Vaterland.Proprioaquestiantitalianicostrettiadesserlo,forsecontrolalorostessavolont,vorreiperreplicareconifattidellastoria,scegliendocomebancodiprovailterrenoeconomico.Primadellunificazione, lItalia era un paese sottosviluppato rispetto non soltanto alle grandi compagini statali di Francia eInghilterra, maanche amolte altre regioni europee. Lo era pi nel Mezzogiorno, senza dubbio, ma lo era anche al Nord, dove le strutture produttive e quelle creditizie avevano conservato una fisionomia funzionale soprattutto alla configurazione agraria della Penisola. Nei decenni successivi al 1861,questasituazionemuta,ilprodottonazionale lambiscelamediaeuropea,lacreazionediungrandemercatounificatostimolaproduzioneconsumo eunanuova,globalestrategiadisviluppo,gisperimentata con successo in Piemonte, si dimostra capacedigarantirciunaposizionedinamicaallinterno della nuova divisione del lavoro internazionale creata dalla rivoluzione industriale. Dubitoche questi stessi risultati avrebbero potuto essere raggiunti anche in unItalia federale. La scelta del federalismo, del tutto auspicabile oggi,nonloeraallorasulpianoeconomico.Npotevaesserlosuquellopolitico, quando la giovane indipendenza del nostro Paese era minacciata dalla controffensiva di Austria e Russia, quando la Francia di Napoleone III, chepureciregallavittoriadiSolferino,guardavacondiffidenzalanascita di una nazione di quaranta milioni di cittadini sui suoi confini, quando infine lInghilterra si accomod alla creazione di unItaliaunita,arrivancheafavorirla,masolo perchlestensionecostieradelnuovoRegnoloponeva sotto il perenne ricatto delle sua flotta. oggi tanto modificata questa situazione? Forse no, dato cheilnostrostatusdimediapotenzavienemessoin discussione quotidianamente dai nostri partners europei. Sicuramente no, se lEuropa in questultimo decennio diventata una societ multietnica, senzaalcunaprogrammazione,senzaalcunprogetto,senzauna guidapolitica, sein quasitutti gli Stati del Vecchio continente gli immigrati sono pi del 10%,selamaggiorpartedilorohannocultureetradizioni difficilmente assimilabili alle nostre. Cosa succeder allora degli indigeni francesi, italiani, tedeschi, con il loro basso tasso di natalit e con il loro inarrestabile invecchiamento demografico? E in particolare, quale potr essere il nostro rapporto con una minoranza di 20 milioni di persone, fortementecoesa,comequellamusulmana,senonsitiene bene ferma la nostra identit di Nazione?

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