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VI LA FINE DELLA TRAGEDIA

Lanalisi della tragedia ha fatto emergere la struttura caratteristica dellarte. Il movimento che costituisce latto artistico stato descritto dalle parole di Schiller a Goethe: lartista, divenuto una cosa sola con luno originario, genera lesemplare di questo Ur-Einen nella forma della musica, come musikalische Stimmung, come disposizione musicale, e quindi, sotto linflusso apollineo del sogno, forma limmagine poetica. Lopposizione e lunificazione del dionisiaco e dellapollineo, che fin dalla prima pagina dellopera veniva indicata come sviluppo ed essenza dellarte, trova cos nel linguaggio adeguato e universale della musica una specie di mediazione originaria, capace di proiettare il primo opposto (il dionisiaco) nella determinazione dellaltro (nellapollineo), senza tuttavia compromettere linfinita potenzialit espressiva del momento musicale. Abbiamo osservato che il vero artefice di questo movimento non il soggetto, lindividuo-artista, ma proprio luno originario, il quale, come il fuoco eracliteo, gioca con s stesso, disponendo la propria energia in forme molteplici. Compiuta la descrizione di questa dialettica, ci troviamo di fronte al problema della sua fine. La fine della tragedia non un evento qualsiasi, ma significa la fine della poesia, la morte dellarte. Significa il momento preciso della decadenza. La tragedia greca, scrive Nietzsche, mor suicida, e la sua fine (a differenza di quella di ogni altra arte, che gener una figliolanza pi bella) lasci un enorme vuoto: anche la poesia conclude perduta con essa! (p. 75):

Le parole che Nietzsche adopera indicano, dunque, una vera e propria

cesura, che tocca la civilt nelle sue corde pi profonde. Perch? Cosa finisce con questa fine? Certo, il doloroso spettacolo in cui tramonta un genere sommo di rappresentazione artistica, la tragedia attica, che gi Schopenhauer aveva considerato come il pi elevato nella serie progressiva delle diverse arti umane. Pi profondamente, per, finisce qui lo spirito tragico, cio quella visione suprema, capace di manifestare, nella finzione di una scena, il processo costitutivo della realt, loscuro passaggio per cui le forme nascono dallenergia primitiva delluno-originario. La visione tragica portava luomo alla sua autentica radice, lo ricollocava nel grembo del divenire cosmico, mostrandolo non pi come lartefice delle determinazioni della realt, come il signore del mondo, ma, esso stesso, quale forma, proiezione, illusione, figura di quel movimento originario. La tragedia greca, nel momento di massimo splendore, significava, appunto, la rappresentazione di questo atto generativo della realt, nella dialettica del coro dionisiaco e della scena (lazione, leroe, la parola). Lo spettatore, in senso moderno (come colui che osserva e assiste allazione dei personaggi), non cera, annullato e immedesimato nella produzione, sostanzialmente sempre identica, di questo rito primordiale. Nel capitolo ottavo della Nascita della tragedia, Nietzsche definisce con estrema precisione questo significato fondamentale della situazione tragica:
dobbiamo intendere scrive la tragedia greca in quanto coro dionisiaco, che sempre di nuovo si scarica in un mondo apollineo di immagini. Il coro della tragedia greca, simbolo di tutta la massa dionisiacamente eccitata, trova in questa nostra concezione il suo pieno chiarimento. (p. 61)

Il rapporto tra coro e scena rappresenta dunque, nella forma di un simbolo, lintero processo per cui, scaricandosi nel mondo apollineo di immagini, il divenire dionisiaco genera la realt determinata. In tale senso, la tragedia lo specchio fedele di una visione cosmica, e del posto che luomo vi occupa. La decadenza della tragedia inizia con lopera di Euripide. Euripide tradisce lo spirito della tragedia attica e afferma la forma degenerata della tragedia. Il motivo immediato che Euripide vola il coro bacchico, che rappresentava lelemento dionisiaco da cui lazione si svolgeva. Il rapporto tra il coro e la scena, come abbiamo visto, rappresentava lo stesso rapporto che, nello sviluppo dellarte, lega lo sfondo dionisiaco alla produzione apollinea di figure e forme. Euripide spezza questo nesso, trasferisce sulla scena la vita ordinaria, lelemento servile, democratico, la massa del popolo ateniese: rappresenta quel popolo, e si abbassa al suo livello. Euripide scrive Nietzsche porta lo spettatore sulla scena (p. 76). Non solo, dunque, ricostituisce la figura dello spettatore (che nella tragedia autentica era di fatto eliminata), ma giunge a immedesimarlo con una scena che lo rappresenta. Lo spirito della tragedia , dunque, capovolto. Perci, Euripide comincia a subordinare lelemento estetico allintelletto, al pensiero, al concetto: lintelletto era da lui considerato la vera e propria radice di ogni godimento e creazione (p. 81). Questo primato dellintelletto sulla poesia trova la sua espressione massima in Socrate. Socrate appare, nelle pagine di Nietzsche, come lautentico artefice della decadenza, come il fondatore della scienza. La comparsa dellintelletto, in un discorso che era stato fin qui dominato dalla triade del dionisiaco, dellapollineo e della musica, inserisce problemi di una certa difficolt. In primo luogo, lintero sviluppo dellarte, che era

stato sintetizzato nella dialettica del dionisiaco e dellapollineo, viene ora subordinato a questo elemento estraneo, al pensiero, alla logica. Ne deriva, a partire da Euripide, unarte che ragiona, e che, con ci, smarrisce il proprio principio. La logica pretende di governare il processo dellarte, e cos la uccide. In altri termini, la distinzione tra arte e intelletto, tra estetica e logica, viene sottolineata con grande vigore. Ma lorizzonte estetico, a differenza di quello logico, quello che, in senso proprio, costituisce la realt, che genera la determinazione, prima che lintelletto intervenga con il suo ragionare. In secondo luogo, lintervento della logica si manifesta in una sottrazione del dionisiaco. Il dionisiaco, come sappiamo, lenergia primitiva che, attraverso la musica, genera le immagini, le figure apollinee. Ma lintelletto (pensante, ragionante, dialogante) pretende di sostituirsi a quella energia, vuole configurarsi come la potenza originaria capace di generare e di trasformare la realt determinata. Il Cogito non pu pensarsi come proiezione apollinea del cosmo, ma come fondamento della natura, come presupposto del Sum: e perci elimina il dionisiaco, lo sottrae allo sguardo, e lo sostituisce con la sua potenza di costruttore di forme. La tragedia di Euripide il tentativo di portare lideale socratico nellorizzonte dellarte. Il socratismo estetico dice infatti: tutto deve essere razionale per essere bello; ma questo significa che larte (il bello) deve essere subordinata al dominio della ragione, deve perdere la propria anima. Euripide cerca pertanto di eliminare dalla tragedia limpulso dionisiaco, e dunque di eliminarvi la musica (che, come sappiamo, ne costituiva limmagine immediata), realizzando una scena unicamente fondata sullazione drammatica dei personaggi, delle figure, sul loro ragionare e dialogare.

Ecco dunque la conclusione (pp. 88-89):

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