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Il mondo a tavola dallantichit allepoca moderna

di Giordano Berti, storico dellarte Scritto a Bologna, Ottobre 2010 Giordano Berti

Indice
La tavola imbandita: dal focolare alla mensa borghese - Il pasto comune nella preistoria - La mensa degli antichi greci - Consuetudini etrusche - Roma: tra sobriet e dissolutezza - A tavola nel Medioevo - Evoluzioni e rivoluzioni Offerte di cibo ai defunti - Legame con i cicli vegetali - Dolci e legumi in memoria dei defunti Il galateo a tavola - Sulle sponde del Mediterraneo - Riti alimentari in Estremo Oriente Dipingere il cibo - Il mondo antico - Medioevo e Rinascimento - La cosiddetta natura morta

La tavola imbandita: dal focolare alla mensa borghese


Il pasto comune nella preistoria La cultura alimentare dellumanit nei tempi antichissimi stata ricostruita a partire dai reperti venuti alla luce, in ogni continente, nei siti in cui sorsero villaggi stanziali o accampamenti stagionali. Si presume che prima dellEt della Pietra lalimentazione umana non fosse molto diversa da quelle dalle scimmie: frutta, foglie, radici, insetti e piccoli mammiferi. Solo quando inizi il controllo del fuoco, durante il Paleolitico Inferiore (iniziato circa 2 milioni e mezzo di anni fa), gli ominidi iniziarono a consumare cibi cotti. Gli avanzi ritrovati presso focolari risalenti a quel periodo hanno permesso di individuare il regime alimentare, estremamente variegato, dei nostri lontani antenati. Pare che la mensa umana sia arrivata ad includere stabilmente la carne di grossi mammiferi e di pesci solo dal momento in cui si cominciarono a costruire strumenti per la caccia e per la pesca. Scene di caccia e pesca si individuano in molte incisioni rupestri risalenti del Paleolitico inferiore. Come evoluzione della caccia con le reti venne lallevamento di alcune specie animali, poi, molte migliaia di anni pi tardi, aglinizi del Neolitico (tra l8000 e il 6000 a.C.), lo sviluppo dellagricoltura permise lintroduzione di cereali e legumi che andarono ad arricchire il regime alimentare. Al tempo stesso nacquero le prime bevande fermentate: prima la birra, poi il vino. Per quanto riguarda la consumazione dei cibi, non dato sapere se esistessero momenti prestabiliti nellarco della giornata. Certo che per millenni gli esseri umani si sono accontentati di sedere assieme, accanto al fuoco, con pochi e rozzi strumenti di cottura, come pietre, bastoni e otri di pelle animale. Nel corso del Neolitico linvenzione della terracotta fece fare un notevole salto di qualit non solo allalimentazione ma anche alla cultura della tavola. I recipienti di terracotta cominciarono ad essere decorati con segni grafici di vario genere che indicavano lappartenenza ad un gruppo tribale. In seguito alla scoperta del bronzo (intorno al 3500 a.C.) furono creati nuovi utensili per la cucina. Nel contempo la qualit della terracotta si fece pi raffinata, arricchendosi di decorazioni grafiche sempre pi complesse. Con lo sviluppo di centri urbani stabilmente organizzati nacque anche lorganizzazione degli spazi abitativi, con una separazione pi o meno rigorosa degli ambienti in base alla loro funzione. Questa separazione evidente in alcune pitture egizie risalenti allincirca al 1200 a.C., che raffigurano i lavori in cucina, da un lato, e scene di banchetto, da un altro. Nelle cucine si vedono i servi indaffarati in ogni genere di lavoro mentre usano recipienti e utensili pressoch identici a quelli ritrovati negli scavi archeologici. Le scene di banchetto, invece, mostrano bassi tavolini apparecchiati con stoviglie e bicchieri (senza posate in quanto non esistevano ancora) mentre i commensali prelevano il cibo con le mani stando accovacciati o seduti a terra su stuoie, o anche seduti su piccoli sgabelli. La mensa degli antichi greci Informazioni molto precise sul modo di stare a tavola vengono dal mondo greco grazie alla letteratura omerica e, soprattutto, ad una straordinaria quantit di recipienti in ceramica che ritraggono scene di banchetti e simposi. stato notato che, mentre nei banchetti omerici i commensali stavano seduti su scranni o panche lungo le pareti, da un certo momento in poi subentr lusanza di sdraiarsi sui klinai, letti a due o a tre posti, appoggiati su tre lati della sala. Labitudine a mangiare sdraiati fu certamente mutuata dai popoli mesopotamici. Nelle raffigurazioni pittoriche non si vedono posate

o altri strumenti, per cui si deduce che i commensali prelevavano i cibi con le mani. Nei banchetti dellaristocrazia le carni erano tagliate preventivamente dal cuoco. Non si vedono mai donne sedute a tavola assieme agli uomini, in virt della rigorosa separazione tra sessi imposta dalla cultura greca; com noto, solo le cortigiane potevano stare a tavola assieme agli uomini. Si sa, inoltre, che i greci avevano abitudini abbastanza precise in materia di orari. Prima di uscire di casa, alle prime luci dellalba, facevano un leggero pasto consistente in un piccolo pane dorzo o di grano intinto in un po di vino puro. Verso il mezzogiorno o nel corso del pomeriggio consumavano un pasto rapido, detto ariston, e verso sera tenevano una merenda. Il pasto pi abbondante era la cena, deipnon, che si teneva alla fine della giornata. Un aspetto tipico dello stare a tavola nel mondo greco era il symposion, il momento successivo al banchetto serale. Dopo che erano state rimosse le tavole usate per la cena e puliti i pavimenti, i servi introducevano le seconde tavole, tavolinetti di forma triangolare che venivano posti accanto ai klinai. I partecipanti al simposio si purificavano le mani con acqua profumata con petali di rose o di viole, dopodich brindavano agli dei passandosi di mano in mano una grande kylix (specie di calice molto basso, con due manici) bevendo a turno un piccolo sorso di vino. Poi, giovani servi nudi e ancelle vestite di veli leggeri servivano ai commensali del vino aromatizzato che veniva attinto per mezzo di appositi mestoli da un krater, un vaso di forma e dimensioni variabili, talvolta impreziosito da raffinate pitture con scene mitologiche. Nel corso del simposio, i partecipanti gareggiavano tra loro con giochi linguistici o poetici, accompagnati da musicanti. Il momento culminante era costituito dal gioco del kttabos, che consisteva nello scagliare le ultime gocce di vino rimaste nella kylix per colpire e far cadere dei piattelli di bronzo collocati in equilibrio precario su unasta. Unaltra forma di kttabos prevedeva, quale bersaglio, dei piccoli vasi galleggianti in un vaso pi grande: vinceva chi riusciva ad affondarne il numero maggiore colpendoli con il vino residuo. Il lancio del vino, caratterizzato da eleganti movimenti, era accompagnato dallinvocazione del nome della persona, uomo o donna, di cui si desideravano i favori, per cui il gioco assumeva anche una valenza seduttiva. Consuetudini etrusche Vivide testimonianze pittoriche delle abitudini a tavola degli etruschi si trovano nelle loro tombe. Qui, diversamente dal mondo greco, le donne sono un elemento pressoch costante nelle scene di banchetto, a motivo del loro importante ruolo sociale. Altri aspetti caratteristici della cultura della tavola presso gli etruschi erano il lusso sfrenato e il piacere per i cibi abbondanti. Vari scrittori greci raccontarono, con enfasi moralistica, come gli etruschi fossero soliti mangiare lautamente due volte al giorno, coprendo la tavola con coperte ricamate a motivi floreali ed apparecchiandola con vasellame pregiato in cui venivano preparati, serviti e consumati cibi abbondanti e raffinati. Si parla, naturalmente, delle mense aristocratiche. Le testimonianze letterarie sui banchetti etruschi sono confermate sia da recipienti metallici ed in terracotta rinvenuti nei corredi funerari, sia da alcune raffigurazioni su lastre architettoniche delle regge di Murlo, Acquarossa e Velletri, come pure da pitture sepolcrali a Tarquinia e Orvieto (VI IV sec. a.C.). I partecipanti al banchetto si sdraiavano su comodi letti, come i greci e gli assiro-babilonesi. Lo svolgimento del banchetto e del simposio erano analoghi a quelli greci, inclusi i servitori nudi, i momenti dintrattenimento poetico-musicale ed il gioco del kttabos. Anche in ambito etrusco, quindi, era centrale il ruolo del vino come elemento di coesione sociale. Non a caso, molti coperchi di sarcofagi raffigurano la coppia maritale distesa sul letto della mensa, mentre luomo regge una patera, il recipiente a forma di scodella usato per

versare liquidi (vino o latte) durante i sacrifici rituali. Esistono tuttavia alcuni reperti archeologici che testimoniano usanze differenti. Il coperchio di unurna cineraria rinvenuta in una tomba presso Volterra mostra un defunto seduto su uno scranno a quattro gambe, di fronte ad un tavolino rotondo a tre gambe sul quale posato del cibo (pani o focacce); il defunto assistito da una donna (la moglie o una serva). In altre tombe sono stati trovati tavolini per i defunti, sia rotondi sia rettangolari, ma pi spesso sono venuti alla luce ricchissimi apparati da tavola (calici, coppe, anfore), oltre che utensili da cucina (calderoni, coltelli, spiedi e cos via). Roma: tra sobriet e dissolutezza Se si d credito allEneide virgiliana, gli antichi latini seguivano un regime alimentare molto sobrio, composto da legumi, formaggi, frutta, pesci e, raramente, carne. I rapporti sempre pi stretti con i vicini etruschi e poi con i greci indussero i romani ad accogliere non soltanto unalimentazione pi vasta, ma anche numerose consuetudini dello stare a tavola. Il banchetto alla greca si diffuse a Roma a partire del II secolo a.C. Poi, dallet di Augusto in avanti, con la conquista dellOriente e lintensificazione degli scambi culturali e commerciali con lAsia, lalimentazione romana si raffin con luso di spezie e la ricercatezza di sapori e profumi. I pasti quotidiani erano solitamente tre: lo jentaculum, una colazione frugale, il prandium, un pranzo leggero, e la cena, un pranzo pi consistente che poteva anche diventare un vero e proprio banchetto organizzato per i motivi pi diversi, dato che la tavola era uno dei principali momenti socializzanti. In tal caso, alla cura dei cibi si univa quella della sala da pranzo, con la creazione di scenografie floreali o giochi dacqua capaci di esaltare la munificenza dei padroni di casa. Non potevano mancare momenti dintrattenimento poetico, musicale e coreutico. Un grande numero di fonti letterarie ed iconografiche (affreschi, mosaici, rilievi funerari e sarcofagi) descrivono con dovizia di dettagli lambiente del banchetto, detto triclinium, che nei riscontri archeologici sembra essere molto differenziato secondo le classi sociali. Meno diffuse, ma comunque interessanti, sono le descrizioni dei luoghi di ristorazione - popinae (per cibi e bevande) e tabernae (per la mescita di vini) -, dove i commensali stavano seduti su panche o sgabelli di fronte a semplici tavoli. In tutti i casi evidente, anche in ambito romano, lo stesso ruolo sociale assegnato al vino da greci ed etruschi. Allabitudine, tipica dei ceti pi ricchi, di organizzare sontuosi banchetti, in epoca imperiale si un quella di ostentare i fasti alimentari per mezzo di raffigurazioni poste allinterno del triclinium, come pitture alle pareti e mosaici sui pavimenti. In et tardoimperiale prese piede un nuovo allestimento della sala da pranzo, lo stibadium, dove era alloggiato un unico grande letto semicircolare in cui trovavano posto p persone, e al suo centro una mensa, cio un grande tavolo per le portate, da cui potevano attingere tutti i commensali. Gli strumenti a disposizione erano coltelli, cucchiai di varia forma e stuzzicadenti a doppio uso, con un cucchiaino a forma di manina ad una estremit che veniva usato per pulirsi le orecchie. Poich molti cibi venivano presi a mani nude si rendeva necessario lavare frequentemente le mani; questo compito era assolto da servi che versavano acqua profumata da anfore e fornivano un tovagliolo per asciugarsi le mani. Lo stesso tovagliolo veniva spesso utilizzato dai commensali, al termine della cena, per portare a casa propria le pietanze che erano avanzate. In quellepoca anche le matrone avevano il diritto di accomodarsi nel triclinio, mentre ai ragazzi erano riservati dei semplici sgabelli di fronte al letto dei genitori. Il lusso sfrenato e gli eccessi alimentari di una parte dei romani, narrati per esempio nel Satyricon di Petronio Arbitro, sollevarono aspre critiche da parte di numerosi intellettuali, che preferivano il regime alimentare molto misurato raccomandato da

medici e filosofi. La stessa sobriet caratterizzava, per forza di cose, i conviti dei plebei, ma da un certo momento in poi divent uno stile di vita per un grande numero di cittadini romani, sia nobili sia popolani, convertiti al cristianesimo; le loro cene erano agapi fraterne, ossia momenti collettivi di raccoglimento spirituale. A tavola nel Medioevo In seguito alle invasioni barbariche ed alla frammentazione dellimpero romano, la cultura dello stare a tavola sub drastiche, profonde trasformazioni dovute allapporto di nuove culture. Mentre nellimpero bizantino proseguiva la tradizione grecoorientale, nelle diverse regioni dellEuropa occidentale le usanze barbariche si sommarono progressivamente con quelle dei popoli latinizzati, conservando tuttavia una netta distinzione della mensa del clero e dellaristocrazia rispetto a quella della plebe. Difatti certi cibi per esempio le carni di cervo, di pavone e di cigno - erano vietati al popolo non tanto per motivi economici, quanto per ragioni di casta; questo tab alimentare fu mantenuto per molti secoli, anche in seguito alla nascita di una nuova classe sociale di mercanti e artigiani. I quasi settecento anni che vanno dalla fine dellimpero romano dOccidente alle prime Crociate in Terrasanta furono caratterizzati da una notevole miseria del popolo che vide ridotta la qualit della vita al punto che nelle case plebee il cibo era consumato direttamente dal tegame o tuttalpi dentro scodelle di legno o terracotta; qualsiasi utensile metallico era un lusso inaccessibile. Nelle citt, fra laltro, non esistevano cucine e i camini erano rarissimi, per cui i cibi erano perlopi verdure o carni di maiale conservate, dato che questo animale era allevato per strada, assieme a polli e altri animali da cortile. Non vanno dimenticate le prescrizioni religiose imposte dalla Chiesa tanto ai nobili quanto ai plebei: lunghi periodi di digiuno o di astinenza da tutti i cibi di origine animale, incluse uova e latticini, che condizionarono fortemente il regime alimentare di tutti i ceti sociali, anche se le deroghe ai divieti erano numerose. In tempi normali, nelle case dei mercanti, dei nobili e dellalto clero i cibi erano vari e raffinati. Il biancore del pane e delle carni, la ricercatezza nella presentazione delle portate, luso di erbe aromatiche e di spezie rare, erano tutti segni distintivi delle classi pi elevate, le cui tavole erano apparecchiate con oggetti di pregio conforme allo status economico delle singole famiglie. I reperti medievali pi antichi, risalenti allalta nobilt carolingia, testimoniano piccolissime differenze rispetto alle tavole di epoca imperiale romana. Dopo le Crociate si assistette allaumento del tenore di vita a tutti i livelli della societ. Grazie allintensificarsi dei rapporti con la cultura bizantina e la civilt araba, le tavole cominciarono a diventare sempre pi raffinate, con coppe e acquamanili di metallo, scodelle e fiasche di terracotta decorata, posate impreziosite da manici dosso o davorio talvolta finemente intarsiati o cesellati. Evoluzioni e rivoluzioni Dal Duecento in avanti, la crescente prosperit di mercanti e artigiani li spinse ad imitare i lussi dellaristocrazia, sia nellalimentazione sia per la preparazione della tavola. A questa democratizzazione della tavola le classi pi alte reagirono con lelaborazione di ricettari redatti, o ispirati, dai pi famosi cuochi di corte, come Mastro Martino da Como (1450) e Bartolomeo Platina (1467). Persino i medici diedero il loro apporto teorico alla distinzione fra due regimi alimentari, quello dei nobili e quello dei popolani, giustificandolo con assurdi motivi igienico-sanitari. Ai ricchi venivano suggerite carni bianche o sbiancate, aromatizzate con prodotti esotici, arricchite con salse di origine vegetale. Al popolo, invece, convenivano carni selvatiche, grassi

animali senzaltro condimento che il sale. Nel corso del Rinascimento, mentre presso la plebe proseguiva la tradizionale povert di oggetti e di cibi, le classi pi agiate diedero la spinta ad una crescente produzione artigianale di pentole e tegami di metallo, come pure di stoviglie, piatti da portata e vasellame in ceramica finemente modellata, e graffiata dipinta, calici e bottiglie in vetro, brocche in cristallo di rocca. Erano celebri le manifatture ceramiche di Cremona, Lodi, Pavia, Mondov, Faenza, Deruta, Laterza. Nellle grandi occasioni si utilizzava vasellame pi importante, in metalli preziosi (solitamente peltro e argento) o vetro policromo soffiato. Sul tavolo doveva spiccare una splendida tovaglia ricamata che scendeva fino al pavimento, coperta da una tovaglia pi corta usata dai commensali per pulirsi la bocca e le mani, essendo raro luso del tovagliolo personale. Ai padroni di casa - per i quali veniva apparecchiato un tavolo a parte, in modo che fossero al centro della scena - e agli ospiti pi illustri erano riservate comode sedie imbottite, mentre le persone di minor riguardo sedevano su panche con schienali e cuscini. Ogni convitato aveva a disposizione una coppa, un cucchiaio e un coltello; ma fino aglinizi del Cinquecento questultimo era di propriet di ciascun commensale, che lo portava con s anche in casa daltri. Le forcine, cio le forchette a due rebbi, entrarono in uso sono verso la met del Seicento, cos come i bicchieri di vetro. Fra il Cinque e Seicento videro la luce numerosi trattati dedicati allarte dello scalco, comera definito il maestro di conviti, cio lincaricato ad organizzare i banchetti di nobili ed alti prelati. Era lo scalco a decidere la lista delle vivande, a vigilare sulla preparazione delle pietanze e sul servizio delle portate ai commensali. Allepoca di Luigi XIV, il Re Sole, che govern in Francia con potere assoluto dal 1661 al 1715, gli apparati dei banchetti diventarono ancor pi fastosi di quelli rinascimentali: piatti in maiolica decorati con scene mitologiche, posate dargento finemente lavorate, bicchieri di cristallo inciso, vassoi, saliere, brocche, piatti da portata. Tutta la tavola si trasform, diventando una magnifica scenografia. Naturalmente anche gli utensili della cucina nobile si raffinarono, moltiplicando le tipologie e i materiali in funzione dei cibi da cuocere e persino la cottura si trasform radicalmente con ladozione, suggerita dai cuochi di corte, di nuovi tipi di forni e fornelli che permettevano un controllo sempre pi efficace della temperatura. Nel volgere di pochi decenni tutte le corti europee si ispirarono a quella francese, facendo a gara nellinvenzione di apparati sempre pi sontuosi che raggiunsero i livelli pi alti nella seconda met del Settecento. Fu in quel periodo che si cominci a fornire allospite un set completo di posate: forchetta a tre o quattro rebbi, coltello, cucchiaio e cucchiaino. Verso il 1730, in seguito alla crisi dellAncin Rgime, cominci a diffondersi presso laristocrazia francese la cosiddetta cucina borghese, che in realt elevava ad un rango pi nobile i cibi tradizionale della classe mercantile, giunta ormai a livelli di potere pari e talvolta superiore a quello dei signori blasonati. In pratica, la cucina di corte, basata su carni lungamente frollate, cotte pi volte, farcite ed arricchite di ogni genere di spezie, connotate da forti contrasti tra dolce e salato, fu soppiantata da una cucina raffinata ma pi sobria, aderente ai sapori naturali, basata su alimenti freschi, sia animali sia vegetali, speziati con erbe aromatiche ed arricchiti da salse, glasse e legamenti di fattura semplice e dai sapori morbidi. Fu in quellepoca che nacque il concetto di cucina moderna, esplicitato nei numerosi manuali pubblicati da cuochi famosi, come Vincent La Chapelle (ca 1690 1745), Franois Marin e il misterioso Menon, presto imitati da altri , come quellautentico filosofo della cucina che fu il napoletano Vincenzo Corrado. La Rivoluzione francese sanc i nuovi cambiamenti: le residue opulenze e gli sfarzi delle tavole dellAncin Rgime furono cancellati definitivamente con un colpo di ghigliottina. Dopo la Restaurazione, il divario tra lalta borghesia e laristocrazia era ormai impercettibile, sia come tipologia di alimenti sia come stile nellapparecchiare la tavola. Invece il popolino, soprattutto nelle campagne, continu per oltre un secolo e

mezzo a sedersi a tavola con la scarsit di cibo di sempre, sebbene gli utensili diventassero, col passare del tempo, pi dignitosi. Bisogner attendere ben oltre la seconda met del Novecento per vedere la cucina povera, pi precisamente i cibi contadini, prendersi una rivincita, anche se puramente morale e di breve durata, sulla cucina dellalta borghesia. Poi sono arrivate la nouvelle cuisine, la cucina etnica, la fusion, i fast food e gli slow food, i cibi equi e solidali, che hanno introdotto in poco tempo nuove usanze alimentari e nuovi modi di servire il cibo sulle tavole di ogni ceto sociale.

Offerte di cibo ai defunti


Legame con i cicli vegetali I doni di cibo ai morti, cos come lofferta di fiori, nascono dalla convinzione, diffusa presso quasi tutte le religioni dellantichit, che le anime dei trapassati nellAldil conservino esigenze simili a quelle dei vivi. Nel buio mondo sotterraneo, le sofferenze delle anime dei morti potevano essere alleviate dai parenti con offerte e sacrifici. Fin dal Neolitico si usava posare nelle fosse, accanto ai cadaveri, delle ciotole contenenti legumi o altri cibi di origine vegetale. Molti millenni p tardi, presso tutte le civilt, questa abitudine si evoluta al punto che nelle tombe venivano deposti non solo cibi, ma anche utensili da cucina e oggetti per la tavola. In alcune tombe etrusche, gli utensili sono stati scolpiti nel tufo a grandezza naturale, mentre in altri casi i cibi erano inseriti nelle pitture di banchetti, testimonianza del desiderio di conservare nellAldil i piaceri terreni. Lusanza di donare cibo e fiori ai parenti morti si lega, presso ogni popolo, a particolari festivit legate proprio al culto dei defunti. Nel mondo occidentale, come si sa, questa festa si svolge fra il 31 ottobre e l1 novembre, una data che si lega alla festa celtica di Samhain, che in realt iniziava una settimana prima della data fatidica e si concludeva una settimana dopo. Nella notte di Samhain, considerata dai Celti come linizio dellanno, si riteneva che il confine tra il mondo visibile e quello invisibile si assottigliasse, permettendo alle anime dei trapassati di venire a contatto con i vivi. In quelle notti si usava depositare offerte di cibi vegetali accanto a grandi alberi e a pietre sacre, oltre che presso le tombe dei defunti. Si trattava, quindi, non solo di unofferta di cibo ai morti ma anche di un rito con il quale si intendeva rigenerare la natura; difatti, nello stesso periodo dellanno avveniva la semina dei cereali. Nellarea mediterranea, invece, la festa dei morti si collega al culto greco di Demetra (Cerere per i latini), la dea delle messi, la cui figlia Persefone (Proserpina), dopo essere stata rapita da Ade (Plutone), il dio delloltretomba, fu costretta a vivere per sei mesi nel regno sotterraneo e per gli altri sei nel mondo superiore. Si tratta di una metafora del ciclo vegetale che coinvolge, per la mentalit arcaica, tutti gli esseri viventi. Assieme al dono di spighe alla Dea Madre, per ingraziarsi i suoi favori, si usava lasciare offerte anche ai defunti, per alleviare la loro sofferenza. Il cibo dei morti per eccellenza erano le fave, ma si usava preparare anche focacce di cereali addolcite con miele e arricchite con semi di papavero o di finocchio. Alla credenza nella fame dei morti si legano anche rituali di evocazione degli spiriti basati sullofferta del sangue di animali sacrificati a questo scopo; celebre lepisodio in cui Ulisse scese nellAde per evocare lindovino Tiresia offrendoli il sangue di un montone sacrificato in quello stesso luogo. Tradizione celtiche, greco-romane e germaniche si sommarono in epoca imperiale dando vita ad un insieme confuso di usanze funebri che sopravvissero per secoli. Da queste usanze non erano esenti i cristiani, come testimonia SantAgostino parlando del

costume di portare sui sepolcri della carne e del vino con cui si facevano pranzi di devozione; costume giustificato con un passo del biblico Libro di Tobia in cui si invita il fedele a mettere pane e vino sulla sepoltura del giusto. Solo nel Trecento la festa dei morti fu accolta ufficialmente nel calendario della Chiesa cattolica, con listituzione dellAnniversarium Omnium Animarum, ma gi dal 1000, con la riforma cluniacense, era cominciata in Francia lusanza di celebrare il 1 novembre una messa per i defunti; si volle in tal modo cristianizzare una tradizione pagana ancora fortemente radicata. Al tempo stesso, la Chiesa introdusse lusanza di donare un pasto ai poveri o agli orfani, in coincidenza con la festa dei morti, ma labitudine a produrre cibo appositamente per i defunti non scomparsa, anche se diventata non propriamente unofferta ma uno scambio simbolico tra i vivi e i morti; difatti questi cibi, sino ad alcuni decenni fa, non venivano pi posti sulle tombe ma lasciati sulle tavole di casa. Dolci e legumi in memoria dei defunti Il cibo dei defunti si diversificava notevolmente da un luogo allaltro. Per esempio, in tutta lItalia centrale si usa ancor oggi preparare le fave dei morti con impasti di mandorla e zucchero. Erano diffuse in tutta la Penisola anche la ossa da mordere, o ossa di morto: biscotti di consistenza dura fatti con pasta di mandorle e albume, solitamente bianchi ma talvolta ricoperti con cioccolato. Va ricordato anche il pane dei morti, pure questo diffuso da nord a sud, ma non in tutte le regioni, consistente in panini di farina bianca, oppure impasti di biscotti sbriciolati, ripieni di frutta candita. Le forme di tutti questi dolcetti erano le pi svariate: a parte le forme a osso, piatto o oblungo, si trovano le mani e le dita di apostolo tipiche della Sicilia, i cavalli del Trentino-Alto Adige, i ferri di cavallo in Campania e Puglia. Oltre ai dolci, in occasione della festa dei morti cera labitudine di preparare pietanze particolari. I ceci neri erano glingredienti della cisr, tipica del Monferrato, e dello zemino di Savona; in Irpinia, la zuppa di ceci, a Venezia, la zuppa di fave, in Romagna le fave bollite, in tutto il nord-est, la zuppa di fagioli, nellAppennino tosco emiliano le castagne bollite con zucchero ed aromatizzate con semi di finocchio o con foglie dalloro. Naturalmente, nessuno crede pi che, nel giorno della loro festa, i defunti tornino tra i vivi per condividerne la mensa, tuttavia nellusanza di preparare il cibo per i poveri o il pranzo tipico della festa si percepisce leco dei refrigeria, i banchetti funebri che gli antichi romani allestivano intorno alle tombe dei propri familiari, come pure del mnemosno, la merenda che, ancor oggi, si consuma durante il funerale grecoortodosso e durante gli anniversari della morte di qualcuno. Qualcosa di simile allo mnemosino si trova anche in Egitto, dove alla fine Ramadan si usa organizzare banchetti nei cortili funerari e offrire cibo ai poveri. Bisogna dire, per, che in ogni parte del mondo, ovunque si celebrino feste o celebrazioni in ricordo dei defunti, lelemento fondamentale costituito dalla preparazione di cibi particolari, in modo da rinsaldare il rapporto tra i vivi e morti.

Il galateo a tavola
Sulle sponde del Mediterraneo Si hanno vaghe notizie sulle regole dello stare a tavola presso le antiche civilt mediterranee. Per gli israeliti noto che lapproccio al cibo era regolato dalle prescrizioni bibliche in materia di purezza personale. Per lantico Egitto, alcuni papiri

riportano consigli medici che suonano al tempo stesso come una sorta di galateo: Non ti abbuffare di cibo: chi lo fa avr la vita abbreviata, oppure, gran lode per luomo saggio contenersi nel mangiare. Gli stessi suggerimenti diventavano un rimprovero, nella Roma imperiale, da parte del saggio Seneca, che osservando la decadenza morale dei suoi contemporanei ne attribuiva la causa alla perdita dellantica frugalit alimentare. Ma la voce di Seneca e di altri filosofi rimase inascoltata. Al contrario, i primi secoli dellera cristiana videro crescere in modo esponenziale i fasti dei banchetti. Nonostante lo smodato mangiare, appena mitigato dalle pause tra una portata e laltra, in quellepoca cominciarono a diffondersi alcune rigorose norme comportamentali, che oggi definiremmo bon ton. Labbigliamento a tavola doveva essere pulito; ci si doveva lavare le mani prima di cominciare a mangiare e durante i pasti; era consentito portare commensali non invitati dal padrone di casa, ma costoro dovevano partecipare al banchetto stando accomodati in disparte, su sedie e sedili, assieme alle donne e ai bambini; era usanza prendere i cibi con la punta con la punta delle dita e pulirsi con molliche di pane; si raccomandava una certa discrezione nel servirsi per non dar luogo a spiacevoli battibecchi tra gli invitati; era permessa l'emissione di rutti, come segno di gradimento del pasto; ci si puliva i denti con piume o con appositi dentiscolpia, antenati degli stuzzicadenti, utilizzati anche per prendere la carne che veniva presentata in tavola gi tagliata; alla fine della cena gli ospiti avevano la facolt di raccogliere in un fagotto gli avanzi della cena per portarli a casa propria. Bisogna aspettare il tardo Medioevo per vedere comparire concetti come decoro e grazia applicati allo stare a tavola. I primi accenni si trovano nella letteratura provenzale e in alcuni autori toscani del Duecento, in primis Brunetto Latini e Dante Alighieri. Tuttavia, ancora a quellepoca, le usanze durante i banchetti erano lontanissime dalle nostre. A parte la gente comune, che delle buone maniere non aveva la minima concezione, anche presso le classi superiori il decoro era unidea abbastanza vaga. Prima dei pasti e tra una portata e laltra agli ospiti venivano offerti catini dacqua e asciugamani di lino perch potessero lavarsi le mani. Anche nei banchetti pi lussuosi era normale spezzare il pane con le mani ed era diffusa labitudine di condividere le coppe tra i commensali, tranne coloro che sedevano al tavolo principale. Letichetta imponeva soltanto che le persone di rango pi basso aiutassero quelle di rango pi elevato, che i giovani assistessero i pi anziani e che gli uomini evitassero alle donne il rischio di macchiarsi le vesti maneggiando i cibi. Le vivande, infatti, venivano solitamente servite su piatti da portata o in grosse pentole da cui ogni commensale attingeva personalmente a mani nude, nel caso delle carni, o con mestoli nel caso delle zuppe. Indicazioni pi raffinate sulle buone maniere da tenersi durante i banchetti vennero da Il Cortegiano (1513-1518) di Baldassarre Castiglione e soprattutto in quella pietra miliare della buona educazione che fu il Galateo overo de costumi, di monsignor Giovanni della Casa, scritta tra il 1551 e il 1555, ma pubblicata postuma nel 1558. Il titolo, vale la pena ricordarlo, deriva dal nome del vescovo di Sessa Aurunca, Galeazzo Florimonte (1478 1567), che ispir a monsignor Della Casa il celebre trattato di norme comportamentali da tenere nelle pi diverse situazioni. In realt solo uno dei capitoli, il 5, interamente dedicato alle regole dello stare a tavola, riferito ai commensali, e alla buona educazione dei servitori. Le regole dettate dal primo Galateo sembrano scontate, ad una persona dei nostri giorni, ma non lo erano affatto a quellepoca; si pensi solo alla raccomandazione di non pulirsi i denti a tavola con le dita o con il tovagliolo, di non portare stuzzicadenti appesi al collo, di non alitare sul viso dei commensali, di non pulirsi il collo o il naso con il tovagliolo, di non grattarsi la testa o altre parti del corpo mentre si seduti a tavola, di non imbrattare la tovaglia. Le poche norme dettate da monsignor Della Casa furono presto riprese ed elaborate da altri autori, che dettarono regole via via pi dettagliate per comportarsi da gentiluomini e gentildonne, per apparecchiare la tavola, per svolgere i compiti del

trinciante di sala, per dirigere i paggi, i bottiglieri, i coppieri, i credenzieri, insomma per governare tutto lo stuolo di camerieri impegnati nel servizio fra la cucina e la tavola. Unimportante trasformazione si ebbe con lavvento in Francia di Luigi XIV, nel 1661. Il Re Sole impose alla nobilt francese una rigida etichetta nella quale era incluso, ovviamente, anche il comportamento a tavola. Quelle stesse norme furono adottate ed assimilate dallalta borghesia, ma nei primi decenni del Settecento, in seguito alla crisi dellAncin Regime e alla diffusione della cultura illuminista, prese piede un nuovo tipo di comportamento conviviale, per cui la cortesia formale cedette il posto a maniere pi naturali, rispettose del prossimo ma meno ingessate dalletichetta. Con la Rivoluzione francese gli ultimi accenni di etichetta aristocratica scomparvero, ma la Restaurazione riport in auge le buone maniere, non solo a tavola, come segno di distinzione da quei ceti popolari che avevano avuto un ruolo determinante nella sanguinosa caduta della monarchia e della nobilt pi conservatrice. Nacque allora un nuovo galateo, trascritto in numerose opere letterarie nelle quali erano definite minuziosamente le buone maniere da tenersi in ogni situazione non come atto puramente formale ma come scelta consapevole di adeguarsi ad un codice di convivenza civile. Le buone maniere, a tavola come altrove, consistevano nel buon gusto in materia dabbigliamento, nella padronanza di gesti e parole, nel controllo degli appetiti, nel mostrarsi, insomma, un individuo disciplinato e padrone di s. Contegno e disciplina diventarono glimperativi del nuovo galateo borghese, che li associava ad altre virt come lonest e la rettitudine, chiavi daccesso per la rispettabilit. Verso la met dellOttocento, assieme alla diffusione dei trattati sulla buona educazione sorsero in tutta Europa delle vere e proprie scuole di comportamento femminile, in inglese Finishing Schools, capaci di trasformare qualunque ragazza in una donna aggraziata e decorosa. Questa abitudine, ancora viva nei paesi anglosassoni, aveva una controparte nelle accademie militari, dove i giovani erano educati allo stesso modo secondo nuovi modelli cavallereschi. Le regole della buona educazione diventarono cos uno degli strumenti di controllo dellordine sociale. Il divario sempre pi netto tra lalta borghesia ed i ceti popolari, conseguente allo sviluppo industriale, fece s che le buone maniere si trasformassero in vero e proprio snobismo. A questo proposito va notato che il termine snob, contrazione del latino sine nobilitate, nacque in Inghilterra per definire le persone non aristocratiche. La Prima guerra mondiale spazz via in un soffio la Belle poque, ma non ridimension lo snobismo e le pretese pseudonobiliari dei ceti pi ricchi, che conservarono anche a tavola latteggiamento di superiorit un tempo appartenente allaristocrazia, con lostentazione di oggetti, di cibi e di comportamenti rigorosamente controllati. Dopo le austerit imposte dalla Seconda guerra mondiale, gli anni 50 videro, in Europa come nelle Americhe, il revival della buona cucina e dei buoni comportamenti a tavola. La Rivoluzione culturale degli anni 60 - con la contestazione giovanile del modello borghese, i viaggi in Oriente, la musica jazz e il pop-rock - indicando un utopistico ritorno alla naturalezza, alla semplicit e alla spontaneit, ha segnato una drastica rottura con i modelli culturali precedenti. Non si pu affermare che il galateo borghese, riferito non solo alla tavola, sia stato completamente abbandonato. Piuttosto, si pu notare come la grande fluidit tipica della societ attuale abbia spinto persone di ogni ceto ad adottare o a rifiutare i modelli comportamentali tradizionali, per cui la buona educazione non pi di esclusivo dominio delle classi sociali pi elevate.

Riti alimentari in Estremo Oriente

Le prime regole per il comportamento a tavola risalgono, probabilmente, allantica Cina. Il Li ji, o Libro dei riti, uno dei Cinque Classici del canone confuciano, descrive le forme sociali, i riti antichi e le cerimonie di corte della dinastia Zhou, che govern la Cina fra il XII e il III secolo a.C. In particolare i capitolo Yili si sofferma nella descrizione delletichetta e dei rituali seguiti dalla piccola aristocrazia della dinastia Zhou in occasione di avvenimenti privati e pubblici, come funerali, matrimoni, feste e cos via. Verso il 180 a.C. il Libro dei riti, in gran parte perduto, fu ricostruito dal letterato Gao Tang, che ne produsse 17 capitoli. Alcuni frammenti che confermano la sua versione furono rinvenuti alla fine del II secolo a.C. nella dimora ancestrale della famiglia di Confucio (551 479 a.C.). Com noto, le dottrine confuciane rinnovarono il significato degli antichi riti, attribuendo loro un valore sociale altissimo. Nella pratica quotidiana, i riti erano lequivalente del dao, la giusta via da seguire per costruire una societ ordinata. Una lunga serie di norme minuziosissime fu costruita per regolare lattivit di ogni individuo, stabilendone il giusto comportamento secondo la sua posizione gerarchica nella societ. Questo pensiero si rispecchiava anche nella tavola: la posizione dei commensali, al pari di ogni oggetto, ogni cibo, ogni gesto, avevano un significato simbolico preciso che rifletteva lordine sociale. Solo con lavvento della Repubblica popolare cinese questi rituali hanno perso la loro funzione pubblica, tuttavia in alcuni ambiti sono ancora applicate molte delle antiche norme comportamentali, incluse quelle relative allo stare a tavola, alla presentazione dei cibi ed al loro consumo. Glinsegnamenti confuciani hanno influenzato anche il pensiero e lo stile di vita coreano, giapponese e vietnamita, i cui riti alimentari riflettono, almeno in parte, quelli dei vicini cinesi, ma necessario sottolineare che tutte le culture estremoorientali hanno subito in vario modo e misura linflusso della religione buddhista, per la quale i gesti ed i comportamenti equilibrati, al pari dei sapori, svolgono un ruolo importante in quanto espressioni dellarmonia della natura e perci capaci di elevare lo spirito umano. Su questa base si sviluppata, in Estremo Oriente, una sorta di estetica dei sapori che, unita allarte di presentare i cibi, viene esaltata dallapproccio rituale alla mensa.

Dipingere il cibo
Il mondo antico Le prime rappresentazioni del cibo, inteso come alimento cotto e pronto per essere mangiato, risalgono probabilmente al Neolitico, quando sui vasi di terracotta si cominci a indicare, con semplici simboli grafici, la funzione di ogni singolo contenitore in rapporto al contenuto a cui era destinato; si tratta per di una consuetudine poco diffusa. Rappresentazioni pi chiare si trovano nellAntico Egitto, sulle steli e nelle pitture parietali con scene di offerte agli dei, di attivit agricole o di lavori casalinghi. In molti casi, pur nelleccessivo schematismo grafico, si possono riconoscere chiaramente forme di pane, di vegetali e parti di animali. Sempre in Egitto furono realizzate raffigurazioni pi aderenti al vero nei modellini che riproducevano scene di vita quotidiana veri e propri diorami -, inserite nei corredi funerari: vi si riconoscono macinatrici del grano, fabbricanti del pane e della birra, macellai e cos via. Nella pittura vascolare greca lalimento rappresentato pi di frequente il vino (o meglio, i suoi contenitori), ma non mancano le raffigurazioni di altri cibi inserite allinterno di scene conviviali. In epoca ellenistica si svilupparono due particolari forme di decorazioni: gli asarotos, casa non spazzata, e gli xenia, doni augurali agli

ospiti. I primi erano decorazioni musive sui pavimenti e rappresentavano resti di cibo dopo i pasti; una tendenza artistica derivata forse dal culto dei morti, in quanto il cibo caduto da tavola si riteneva destinato ai defunti. Gli xenia, invece, erano dipinti alle pareti e probabilmente fungevano da benvenuto a chi entrava in casa, come segno di ospitalit. Lusanza di raffigurare i cibi sia alle pareti, in forma pittorica, sia sui pavimenti, in forma musiva, si diffuse enormemente in epoca imperiale romana. Spesso le immagini avevano funzioni puramente decorative, ma in qualche caso celavano significati legati a riflessioni filosofiche sui piaceri della vita e sulla fatalit della morte. In qualche mosaico si vedono teschi affiancati a portate di cibo, mentre in alcuni vasi dargento ritrovati a Boscoreale sono effigiati degli scheletri che portano anfore. Su due coppe, inoltre, sono raffigurati scheletri di scrittori e filosofi greci contornati da dure sentenze, come Godi, finch sei in vita, il domani incerto, La vita un teatro, Il piacere il bene supremo. Si conoscono anche numerose scene di banchetti in cui i cibi fanno da piacevole intermezzo ad intrattenimenti esplicitamente erotici o viceversa. Su un versante diametralmente opposto, vale a dire nellarte religiosa, i cibi assumono un ruolo simbolico di legame con la divinit: luva di Bacco-Dioniso, luovo orfico, il pane e il vino del sacrificio cristiano, e cos via. Saranno alcune parabole dei Vangeli ad imporsi, per molti secoli, come momento iconografico capace di accogliere le pi diverse rappresentazioni del cibo, dalle pi semplici raffigurazioni dellultima cena, prevalenti in epoca medievale, alle grandi tavole imbandite delle nozze di Cana, al pranzo del ricco Epulone, alla cena di Emmaus. Non mancano, a partire dal Duecento, scene di cibi e banchetti nelle rappresentazioni dellInferno, che vanno viste come un forte monito a non eccedere nel peccato di gola; ma i cibi infernali hanno la funzione di generare nellosservatore disgusto e repulsione per il cibo, in quanto i dannati sono costretti a divorare rettili, insetti ed escrementi. Medioevo e Rinascimento Dal Trecento in avanti ebbero grande diffusione i libri illustrati a soggetto medicoalimentare, come il celebre Tacuinum sanitatis, ricco di rappresentazioni sulla preparazione degli alimenti. Anche nei libri dore, testi che scandivano la vita quotidiana di nobili e altri prelati, si ritrovano numerose rappresentazioni di cibi, solitamente allinterno di scene di vita cortese o monastica. Immagini dei cibi furono inserite anche nei cosiddetti calendari dei pastori e nelle scene astrologiche dipinte in castelli, palazzi comunali o case private, doverano illustrati i lavori dei mesi e gli alimenti tipici delle diverse stagioni. In epoca rinascimentale le rappresentazioni dei cibi, oltre che nelle consuete scene dei Vangeli e nelle vite dei santi che decoravano gli edifici ecclesiastici, si trovano inserite nelle decorazioni lignee di cori o di studioli privati e, dalla fine del Quattrocento, in alcune raffigurazioni mitologiche, in particolare i baccanali, posti nelle sale da pranzo delle famiglie pi ricche e colte. Dalla met del Cinquecento presero piede in ambito fiammingo, con Pieter Aertsen e Joachim Beuchelaer, le raffigurazioni di opulenti mercati e di fastosi interni di cucina, ricchi di ogni genere di cibo. Inizialmente queste scene celavano intenti devozionali, ponendo in primo piano una o pi vivandiere alle prese con lacquisto o con la preparazione di carni e verdure; sullo sfondo, si trovava solitamente una piccola rappresentazione della nativit di Ges o di altri episodi dei Vangeli. Queste scene sono unevidente espressione dellagiatezza raggiunta in quellepoca dalle popolazioni nordiche, in virt delle nuove rotte commerciali aperte dai viaggi di Colombo e Magellano, ma al tempo stesso esprimono un disagio nei confronti di quella stessa ricchezza suscitato dalla morale calvinista che imponeva la morigeratezza dei costumi. Dalla seconda met del secolo, questo genere pittorico si

spogli di ogni connotato religioso per divenire pura e semplice scena di vita quotidiana in cui sono chiari, comunque, gli intenti moralistici o allegorici, come per esempio nelle opere del cremonese Vincenzo Campi e dei suoi emuli. La cosiddetta natura morta Nella prima met del Cinquecento cominci a prendere piede la pittura di cose naturali, comerano definiti in Italia i dipinti di animali, di vasi, oggetti, verdure, carni e cosi via. I cibi diventarono anche un elemento scherzoso, pur venato di significati simbolici; ne un esempio la cosiddetta pittura arcimboldesca, dove numerosi alimenti naturali, come funghi, verdure e cos via, vanno a comporre volti umani (non sempre realizzati su commissione) o anche le allegorie delle stagioni. La pittura di cose naturali, poi definita malamente natura morta, ebbe unenorme diffusione in epoca Barocca. Si usa dire, a sproposito, che questo genere pittorico cominci con il celebre Canestro di frutta di Caravaggio, dipinto nel 1596, ma noto che simili dipinti erano gi stati realizzati in precedenza, pur senza assumere la dignit ottenuta dallopera caravaggesca, la cui importanza sta nella capacit dellartista di riprodurre la realt in modo quasi fotografico. Sta di fatto che, da quel momento in poi, una quantit crescente di pittori si dedic alla riproduzione maniacale di cibi e oggetti di cucina realizzando complesse, sontuose composizioni che ancor oggi stupiscono per gli straordinari giochi cromatici e luministici. In ogni paese questo genere pittorico assunse nomi diversi: still life in Inghilterra, Stilleben nei Paesi tedeschi, nature morte (e pi tardi natures inanimes) in Francia, bodegones in Spagna. Vale la pena ricordare i nomi dei grandi maestri seicenteschi di questo genere sottovalutato per lungo tempo dalla critica moderna: gli spagnoli Francisco Zurbarn, Juan Sanchez Cotn e Louis Eugenio Melndez, gli italiani Evaristo Baschenis, Bartolomeo Bimbi, Paolo Porpora, Giuseppe Recco, Giovanni Battista Ruoppolo, Jacopo Chimenti e Carlo Magini, il misterioso Maestro di Hartford, i tedeschi Abraham Mignon, Georg Flegel e Rachel Ruysch, il fiammingo Jan Brueghel. C chi ha ipotizzato un rapporto diretto tra la diffusione della pittura di cibi e le crisi alimentari dovute allle guerre e alle carestie che investirono a pi riprese lEuropa tra i secoli XVI e XVII, ma pi probabile che queste opere avessero, nelle case delle persone pi abbienti, la stessa funzione degli xenia greci: un benvenuto a chi entrava in casa. La natura morta rest in auge per tutto il Settecento, anche in funzione della riscoperta dei cibi naturali da parte delle classi pi alte, mentre nel secolo seguente fu considerata puro esercizio accademico o relegata al rango di pittura popolare. Nel frattempo, la rappresentazione pittorica del cibo non cess, ma si adatt alle trasformazioni sociali e culturali sopravvenute nelle varie epoche, adeguandosi alle nuove forme espressive lanciate dalle avanguardie del Novecento.

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