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Le scienze umane possono allora entrare in gioco, tanto pi che lhan-
no in parte gi fatto quando lepistemologia ha dovuto aprirsi alla storia
(alla storia delle scienze), alla sociologia e alla psicologia. Non c alcun
dubbio sul fatto che le scienze umane abbiano unepistemologia piuttosto
complessa che si sta cominciando a indagare e a far reagire con quella
delle scienze esatte. Fra laltro, non neppure detto che in una scienza
si debba usare una sola epistemologia, o che se si usa unepistemologia
morbida in un certo settore di ricerca, non si possa utilizzare unepiste-
mologia dura in un altro settore allinterno della stessa disciplina (per
esempio quando occorre combinare ricerca e realizzazione tecnologica,
come nel caso dellingegneria astrosica: quando si deve inviare una
sonda su Marte si continua a usare la sica newtoniana, bench sia stata
soppiantata dalla relativit einsteiniana)
,
.
Non c nulla di sorprendente in ci, e succede sempre nella vita
quotidiana dei ricercatori, quando ci si mette al lavoro: un giorno ab-
biamo un progetto di ricerca ben chiaro, che seguiamo fase dopo fase
no alla ne; ma un altro giorno il nostro punto di partenza o il nostro
itinerario di ricerca pu essere del tutto differente e assai pi casuale, pu
dipendere da un incontro imprevisto o da unilluminazione inattesa che
ci coglie in un luogo molto diverso dal nostro laboratorio o dal nostro
ufcio, e allora ci sforziamo di organizzare la nostra ricerca, di cambiare
di piano, di perseguire altri risultati. Non si lavora mai in ununica ma-
niera (bench vi sia naturalmente una maniera privilegiata di lavorare,
un metodo che si cerca di seguire, ma che lascia tuttavia degli spazi liberi
che il tempo riempie di piccole interferenze attraverso le quali possono
introdursi delle novit).
Questo problema stato posto anche da un losofo come Husserl,
quando introduceva il concetto delle ontologie regionali rispetto alle
diverse regioni dellessere come campi di oggetti (che le diverse scienze
studiano e unicano) nel quadro di una losoa fenomenologica
o
. Ba-
chelard aveva ripreso il termine di ontologie regionali per applicarlo
allepistemologia. Sembra dunque legittimo seguendo Bachelard pen-
sare a delle epistemologie regionali (delle diverse discipline, o in una stessa
disciplina) che potrebbero incrociarsi e interagire senza cercare di sotto-
mettersi a vicenda. Per realizzare questo occorre che certe discipline come
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IL TEMPO E LA MEMORIA IN BERGSON
la storia non siano pi costrette a seguire questa o quella epistemologia,
o a vivere come un complesso dinferiorit rispetto al proprio statuto di
scienticit e che la smettano di pensare il proprio oggetto specico come
meno suscettibile degli altri ad essere colto scienticamente.
Il caso della storia caratterizzata come scienza emblematico da
questo punto di vista, poich il suo statuto di scienticit stato molto
controverso proprio a causa del suo oggetto, che il passato, vale a dire
un oggetto giudicato assente (nel senso del non esserci pi).
In effetti, pensare il passato implica sempre una losoa soggiacente
che ha avuto e avr la sua importanza per orientare lepistemologia della
storia in una certa direzione
;
. Il passato pu esser concepito come una serie
di eventi ssi nel tempo, come una riserva di signicati, come un serbatoio di
fatti morti, come una nuova dimensione del tempo o come una molteplicit
sempre attiva, la cui verit non mai ssata una volta per tutte.
.
La losoa di Bergson stata nel tempo rivalutata e negli ultimi
decenni stata oggetto di numerosi studi. stata ripresa nel quadro di
una riessione epistemologica da Ilya Prigogine e Isabelle Stengers gi
dal :,,, i quali hanno messo a frutto le interpretazioni non ortodosse
che ne aveva fatto e ne stava facendo Gilles Deleuze. In Francia, dagli
anni Novanta del XX secolo, stata oggetto di diversi e importanti studi
monograci
,
. Alcuni studiosi si sono concentrati poi sul Bergson politico
e hanno messo a punto biograe approfondite, oppure hanno analizzato
criticamente alcune sue opere
:c
. Ciononostante, a parte i lavori di Deleuze
e per certi versi quelli di Prigogine e Stengers (che si limitano a riprendere
alcuni concetti bergsoniani senza tuttavia dedicargli specicamente libri o
capitoli di libri), nessuno dei nuovi lavori sul losofo coglie il rapporto che
c fra alcune questioni di ordine epistemologico che hanno interessato
la storia gi dagli anni Venti del XX secolo e alcuni aspetti della losoa
bergsoniana, in particolare lo statuto del passato nellordine del tempo.
Bergson ha pensato il passato in modo molto diverso rispetto alla
:,o
ENRICO CASTELLI GATTINARA
losoa kantiana, e gli ha dato uno statuto che in funzione dello statuto
del presente, nel senso che non si pu pensare il passato senza pensare
anche il presente, e viceversa, i due aspetti temporali avendo uno stesso
statuto ed essendo concepibili secondo la stessa dimensione. Tuttavia
pochi commentatori hanno riconosciuto limportanza essenziale del
rapporto fra passato e presente nella sua losoa. Uno di loro stato
Deleuze, il quale laveva segnalato gi in un articolo del :,,o La coesistenza
del passato col presente
::
.
Ci implica naturalmente una concezione del tutto particolare del
tempo, che caratterizza fortemente la losoa bergsoniana, ma ci avvi-
cina anche ecco in cosa consiste la lettura non ortodossa proposta qui
a una concezione molto moderna della storia che Bergson stesso non
aveva, ma rispetto alla quale aveva come preparato una base losoca
ed epistemologica. Questo potrebbe spiegare anche la difcolt che
Bergson ha sentito nelle sue riessioni sul tempo, che si sono evolute in
maniera per cos dire non lineare dalle sue prime opere, Saggio sui dati
immediati della coscienza (DI) e Materia e memoria (MM) no allEvolu-
zione creatrice (EC) e alle Due fonti della morale e della religione (DFMR)
::
:
questa difcolt la si potrebbe spiegare come una sorta di esitazione di
Bergson di fronte alla radicalit di alcuni suoi concetti e alla sua esigenza
di mantenersi sempre su un piano losoco e metasico (ferma restando
la sua convinzione che la metasica appartenesse anche lei al piano della
realt e rappresentasse una forma del conoscere che aveva lo stesso
rigore delle facolt della conoscenza proprie allintelletto).
Lungi dal trattare di tutta la losoa di Bergson, ci si concentrer qui
su una piccola parte delle sue opere, facendo in parte violenza allinsieme
del suo pensiero. Violenza che per giusticata per quanto riguarda
la concezione del tempo, in quanto Bergson stesso riconosceva che su
questi argomenti i suoi libri non sono spesso coerenti fra loro: il tempo
dellEvoluzione creatrice non corrisponde a quello dei Dati immediati.
Sarebbe interessante capire perch questo tempo non corrispondeva, ma
non di questo che ci si occuper nelle pagine seguenti.
Nel suo primo libro, DI, Bergson studia lessenza profonda della
soggettivit e della coscienza. Vi trova la conferma di un dualismo fonda-
mentale che caratterizzer tutta la sua losoa e che determina il modo
in cui affronter il pensiero di qualsiasi argomento o problema losoco.
Tutte le coppie che si trovano nei suoi libri dipendono da questa visione
radicalmente dualista, ed possibile assistere alla loro straordinaria pro-
liferazione senza che lopposizione dei due termini implichi tuttavia una
scissione irriducibile nella realt: ecco allora che alla coppia tradizionale
materia/spirito se ne aggiungono altre quali spazio/durata, quantit/qua-
lit, omogeneo/eterogeneo, materia/memoria, distensione/contrazione,
:,;
IL TEMPO E LA MEMORIA IN BERGSON
concetto/intuizione, scienza/metasica ecc. Queste coppie servono alla
losoa per comprendere lessenza pura delle cose e dei processi; esse sono
una costruzione del pensiero, fondamentali come gli elementi della chi-
mica per il chimico, poich nella viva realt tutto mescolato, intrecciato,
misto. Da cui, naturalmente, unaltra coppia: misto/puro, che traduce la
differenza fra conoscenza della realt e vita concreta della stessa realt.
Il tempo, nella coppia spazio/tempo, costituisce uno degli assi del
dualismo fondamentale, e Bergson racconta che le sue ricerche sulla du-
rata avevano avuto origine dal fatto che era stato molto impressionato
dal vedere come il tempo reale [] sfugga alle matematiche
:,
. Quando
i matematici, o i sici, trattano del tempo, essi non ne parlano che in
termini spazializzati e lo traducono in spazio (nel senso che traducono il
suo scorrere, la sua durata che non si arresta mai, in punti e linee su uno
spazio, in istanti, attimi, archi, cerchi, numeri ecc.). Bergson, com noto,
attribuisce alle matematiche il dominio dello spazio e della spazialit, che
lambito della sincronia, dellindifferenziato e dellomogeneit (il numero
, equivalente e indifferenziato per qualsiasi qualit, nel senso che si ap-
plica tanto alle mele quanto alle persone o agli angoli di una gura). il
dominio del numero, del calcolo e soprattutto della misura, dunque delle
scienze, che costituiscono la funzione pi importante del nostro intelletto
(importanza che viene considerata dal punto di vista dello sviluppo evo-
lutivo, poich le operazioni dellintelletto permettono allessere umano di
ottimizzare al massimo le sue possibilit di sopravvivenza).
Bergson segue a tal proposito tutta quella tradizione di pensiero che
riconosceva allintelletto la priorit sulle altre attitudini e capacit umane,
e le matematiche sono state sempre individuate come la sua manifestazio-
ne pi elevata, la pi alta nella scala dei saperi. Ma questa priorit non si
manifesta agli occhi di Bergson che al livello dello spazio. I nostri calcoli,
le nostre conoscenze, le nostre numerazioni non fanno altro che situare
nello spazio tutti i fenomeni, traducendoli sempre in termini quantitativi
e potendovi di conseguenza intervenire (misurarli e in seguito prevederne
delle conseguenze in seguito a certe premesse).
Lintelletto costituisce per Bergson una sorta di macchina adattativa,
il suo comportamento non essendo nalizzato dopotutto che allazione
efcace: tutto, nellintelletto, serve allazione, e il calcolo o la misurazione,
comprese le conoscenze pi astratte e teoriche, sono ci che in ultima
istanza permette allessere umano di ottimizzare la scelta della sua azione
nel mondo. Seguendo quindi una consolidata tradizione losoca, Ber-
gson sostiene che loperazione pi elementare che svolgiamo col nostro
cervello consiste nellattribuire ad ogni cosa unestensione, in modo da
poter poi manipolarla, selezionarla ecc.
Oltre ad avere unestensione, vediamo per subito che le cose sono
:,
ENRICO CASTELLI GATTINARA
anche in movimento. Ci complica enormemente i nostri calcoli, perch
come calcolare il movimento in s a prescindere dallo spazio percorso?
Bergson spiega che questo viene decomposto dal nostro intelletto in ele-
menti spaziali discreti, e che al posto del movimento i nostri ragionamenti
nalizzati allazione si rivolgono ai punti (dello spazio) che loggetto tocca
nel suo muoversi, a partire dal punto iniziale no al suo punto nale.
Quello che viene cos preso in considerazione non quindi il movimento,
ma i punti in cui lo si ssa per misurarlo (il punto naturalmente non deve
infatti muoversi o spostarsi): nel dominio dellestensione, che quantita-
tivo, non c posto per il movimento, che qualitativo.
Lintelligenza spontanea e lintelligenza volontaria applicano una
sorta di schema spaziale quantitativo a qualsiasi cosa, esprimendo tramite
lestensione ogni fenomeno e abbandonando di conseguenza il dominio
della durata. Per tutta la storia della losoa, tempo e spazio sono stati
messi sullo stesso piano e trattati come cose dello stesso genere. Si studia
lo spazio, se ne determina la natura e la funzione, poi si adattano al tem-
po le conclusioni ottenute
:
. Cos aveva fatto per esempio Kant, di cui
Bergson riuta la concezione del tempo come forma pura dellintuizione
sensibile. Per passare dalla teoria dello spazio a quella del tempo, non
stato fatto altro che sostituire il termine giustapposizione col termine
successione, e la losoa si a lungo adagiata nellillusione daver colto
in questo modo la durata.
Naturalmente, la scienza ha le sue buone ragioni per farlo, perch
votata allazione, ma la speculazione losoca (che Bergson chiama
anche metasica, ma che intende in termini del tutto estranei a ci che
con questa parola stato spesso volgarizzato) avrebbe potuto fare ben
altro piuttosto che conformarsi al linguaggio essenzialmente spaziale delle
scienze e dellintelletto.
Proprio studiando la struttura dellintelletto umano
:,
gi da DI, Ber-
gson aveva dimostrato che lintelligenza spontanea e riettuta scarta il
tempo reale e vissuto traducendolo in tempo astratto enumerabile. Una
volta compreso che la destinazione del nostro intelletto era lazione
adattativa, diventava evidente quanto gli fosse necessario mascherare
la durata (ossia il tempo reale e il cambiamento) con numeri e misure
calcolabili (manipolabili). Se qualcuno avesse mai dovuto ipotizzare una
scienza del cambiamento, questa non avrebbe mai potuto trattare del
cambiamento in s, ma semplicemente della sua traduzione in termini
spazializzati, vale a dire che avrebbe dovuto studiare i fenomeni A e B
come ssi nello spazio, ma non il passaggio da A a B. Ora, se si richiama
alla mente la denizione che due importanti storici francesi come Bloch
e Febvre davano della storia come scienza del (dei) cambiamento/i
:o
, si
pu facilmente intuire quale importanza possa avere questo problema per
:,,
IL TEMPO E LA MEMORIA IN BERGSON
una storiograa che si voglia consapevole di s, poich lo statuto del pas-
sato ne dipende e pu cambiare in funzione del modo di rapportarcisi.
Ecco allora come si pone il problema nei termini stessi impiegati da
Bergson:
Si tratta del movimento? Lintelligenza non ne ritiene che una serie di posizioni:
un punto inizialmente raggiunto, poi un altro, poi un altro ancora. Si obietta
allintelletto che fra un punto e laltro succede pur qualcosa? Ecco che allora
subito lui intercala nuove posizioni, e cos via indenitamente. Distoglie lo sguar-
do dalla transizione. Se insistiamo, si arrangia perch la mobilit, respinta negli
intervalli sempre pi ristretti a misura che si aumenta il numero delle posizioni
considerate, arretri, si allontani, scompaia nellinnitamente piccolo. Nulla di
pi naturale, se lintelligenza destinata soprattutto a preparare e a spianare la
nostra azione sulle cose. La nostra azione pu esercitarsi comodamente solo su
punti che siano ssi; quindi la ssit ci che la nostra intelligenza ricerca,
ed lei a tradursi in quantit
:;
.
Lintelletto si chiede dove sia loggetto mobile, per dove passi, dove
sar, denendo tutto il suo movimento tramite dei punti attraverso cui
il mobile passato, passa o passer. Cos facendo, non sinteressa affatto
alla durata in quanto tale e si limita alla constatazione dei vari arresti
virtuali: esso ferma il movimento in un certo punto, poi in un altro, e
li calcola, misura la distanza fra il punto di partenza e quello di arrivo,
oppure constata la simultaneit fra larresto del mobile che sta conside-
rando e larresto della cosa che chiama tempo. Decompone il tempo in
istanti darresto e confronta ogni istante con loggetto mobile: cos che
opera una procedura dastrazione. Tuttavia, se ogni considerazione del
movimento si fa attraverso un riferimento preciso e immediato allo spazio
(come rivela luso dellavverbio di luogo dove), resta che i movimenti
del tempo e le posizioni del mobile sono solo delle istantanee prese dal
nostro intelletto sulla continuit del tempo e della durata
:
.
Il tempo, il movimento e il cambiamento sono altra cosa. Occorre
abbandonare la ssit astratta dei punti e avvicinarsi alla realt concre-
ta. Bergson insiste molto su questultimo punto e mantiene tutto il suo
discorso sul piano della realt: lintelletto, nelle sue procedure concet-
tuali, trasforma la realt concreta del tempo in astrazione matematica.
Compito del losofo sar allora quello di tornare alla realt del tempo,
la cui essenza quella di colare (scorrere). Restituiamo al movimento
la sua mobilit, al cambiamento la sua uidit, al tempo la sua durata
:,
;
ecco il motto di Bergson.
La durata per il dominio delleterogeneit pura, come lo spazio lo
dellomogeneit. Per coglierla in tutta la sua realt, Bergson postuler
una nuova facolt di conoscere, o meglio, come lui stesso scrive, una
:cc
ENRICO CASTELLI GATTINARA
nuova facolt capace di unaltra specie di conoscenza
:c
. Si riferisce
allintuizione, che costituisce secondo lui il metodo per eccellenza della
metasica: questo gli permette di introdurre un nuovo dualismo nelle
forme della conoscenza, luna e laltra precise e rigorose ma qualitativa-
mente diverse.
Resta naturalmente il problema di sapere perch Bergson scelga di
usare il termine facolt per parlare dellintuizione, visto che conosceva
perfettamente ci che questo termine implicava dal punto di vista lo-
soco soprattutto rispetto alla formulazione facolt della conoscenza
(in particolare in Francia, dove verso la ne del XIX secolo cera stato un
certo ritorno del kantismo). Parlare di una nuova facolt in vista di
una nuova specie di conoscenza signica che Bergson, quando parlava di
metasica e di intuizione, non aveva in vista alcuna deriva irrazionalista,
il suo scopo essendo invece quello di fondare un metodo della losoa
analogo a quello delle scienze (e altrettanto potente).
Lintuizione si rivela come lunico modo che abbiamo per cogliere
la realt della durata, visto che tutte le forme concettuali elaborate dalle
facolt dellintelletto fanno astrazione di questa realt irretendo lo scor-
rimento in punti ssi. Tuttavia lintelletto non del tutto inefcace: i libri
di Bergson sono l per testimoniarlo, questo sforzo di farci intendere
ci che la durata e la sua possibilit desser colta dallintuizione proprio
tramite unargomentazione di tipo intellettivo. grazie a questo sforzo che
Bergson si sottrae al misticismo e al vitalismo della durata. Costituendo
la metasica come conoscenza rigorosa (col suo proprio metodo, lintui-
zione, e il suo proprio dominio, la durata), le difcolt appena evocate
ne derivano direttamente. Le ambiguit dovute a un dualismo di fondo
della sua losoa dipendono da questo doppio registro della conoscenza,
rispetto al quale Bergson pu concepire dei concetti (che appartengono
quindi al dominio dellintelletto) che servano a far comprendere la durata,
dei concetti che siano ovviamente molto diversi da quello che la losoa
tradizionale ha sempre impiegato per trattarne.
Per conoscere la realt concreta, gli strumenti delle scienze dellintel-
letto non sono sufcienti, poich ce ne presentano una parte soltanto;
dunque necessario che il losofo trovi i mezzi per farci conoscere anche
laltra faccia del reale.
.
In questa continuit di divenire che la realt stessa, il momento
presente rappresentato dalla sezione quasi istantanea che la nostra
percezione pratica nella massa in via di scorrimento, e questa sezione
precisamente quello che chiamiamo il mondo materiale: il nostro corpo
ne occupa il centro; esso , di questo mondo materiale, ci che sentiamo
direttamente scorrere
,
. Questa sezione agisce sulla memoria, la trasfor-
ma, la ricongura, contribuendo cos a far continuare il movimento di
cambiamento, lo scorrere.
Fra memoria e durata c dunque un rapporto molto stretto: lo scor-
rimento di cui Bergson ha appena parlato, la coalescenza di presente e
passato non sarebbe possibile se non differissero in natura e se la durata
non fosse eterogeneit pura. il principio stesso della differenza: se
tutto riducibile allo stesso, se domina il principio didentit, nessuna
differenziazione mai possibile in ultima istanza e tutto lo scorrimento
sarebbe riducibile a uno stato sso, a una totalit dello stesso genere
dellessere parmenideo.
In che modo Bergson pensava questo tempo e come concepiva questo
scorrimento continuo ed eterogeneo? certo che il losofo concepiva la
durata come una sorta di universale continuo nel quale sono immerse tutte
le cose, dove la realt del tempo una realt assoluta, che non ammette
alcun compromesso con lo spazio. In effetti, di fronte alla minaccia rap-
presentata dal relativismo di Einstein per la concezione bergsoniana del
tempo, il losofo aveva scritto un libro, Dure et simultanit (DS), che
lo criticava da un punto di vista losoco difendendo lidea di un tempo
unico e universale. Il tempo percepito e il tempo vissuto sono una sola e
medesima cosa, e quando il relativismo ne supponeva la pluralit relativa
non faceva che ricadere nel vizio della spazializzazione
o
. Col suo libro
Bergson voleva dimostrare che la teoria di Einstein faceva confusione fra
i piani scientico e metasico, e che non teneva conto della differenza
:::
ENRICO CASTELLI GATTINARA
di natura che cera fra la durata percepita e lo spazio-tempo astratto del
sico. Non certo qui il luogo per discuterne le idee molto controverse,
che avevano spinto il losofo a riutarne ogni nuova edizione a causa dei
malintesi che si erano generati, ma queste idee costituiscono comunque
un parziale passo indietro rispetto a quanto avevano supposto, sulla
temporalit, sia MM che EC.
Bergson stesso lo confessa daltronde esplicitamente: Abbiamo fatto
precedentemente delle ipotesi di questo genere []. Distinguevamo
delle durate a tensione pi o meno alta, ma siccome questa pluralit e
questa eterogeneit riguardavano solo il regno animale, non ved[eva]
ancora nessuna ragione di estendere alluniverso materiale questa ipotesi
di una molteplicit delle durate
;
. Questo perch ai suoi occhi il mondo
materiale non possedeva lo stesso dinamismo che facilmente riconosceva
al mondo della vita, dove la differenza qualitativa fra spazio e durata o
fra memoria e percezione era naturalmente pi evidente.
Tuttavia, se si mette da parte il mondo materiale (anche se oggi sappia-
mo che la teoria di Einstein stata confermata sperimentalmente), lipotesi
di una molteplicit delle durate resta valida. In effetti, essa deriva quasi
logicamente dalleterogeneit della durata, ossia dalle differenze puramen-
te qualitative che la caratterizzano. Bergson vi aveva fatto riferimento pi
volte, anche prima di considerare il regno animale in EC, soprattutto in
MM quando aveva trattato dei diversi circoli della memoria (nel cono),
delle sue molteplici potenze successive, dove tutta la memoria entrava
in gioco come se si trattasse di qualit dimensionalmente distinte (quindi
di una vera e propria molteplicit)