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Scuola e famiglia per il superamento del disagio giovanile

Mario Rusconi
(Preside Roma)

1. Lalbero della scienza Ma vi era un albero proibito, un albero cio di cui non dovevano mangiare i frutti. Si chiamava lalbero della scienza del bene e del male. Dio aveva detto che se Adamo ne mangiava, sarebbe morto.[-----] Iddio chiam Adamo e disse: Adamo, Adamo, dove sei? Adamo rispose: Io ho avuto paura perch mi trovavo nudo, e mi sono nascosto Iddio disse: Chi ti ha detto che sei nudo? Hai mangiato del frutto proibito? [----] Allora Dio si sdegn con tutti, ma pi ancora col serpente. (Da La Bibbia per il bambino pag. 19-21, Salani, Firenze 1957.) Una recente indagine dellOCSE, svolta a livello internazionale sui livelli di competenza alfabetica degli adulti, ha messo drammaticamente in evidenza il dilagante fenomeno dellanalfabetismo funzionale tra i giovani in et scolare e postscolare, caratterizzato da povert e ripetitivit di linguaggio, da incapacit diffusa di leggere e comprendere testi, di risolvere semplici problemi di matematica, di elaborare concetti e di costruire nozioni. Sembrerebbe quasi che la frequenza di una scuola scivoli sul vissuto di molti ragazzi senza lasciare tracce formative di particolare rilievo sia in ambito cognitivo sia negli atteggiamenti e nei comportamenti. A questo punto molti si chiederanno, anzi in molti ci chiederemo, che fine abbia fatto quel desiderio di conoscere, quellansia di sapere che cost cos cara ad Adamo ed Eva, dove sia finita quella spinta incoercibile alla scienza di cui il serpente ha rappresentato, con tanta plastica evidenza, il vettore iniziale. Per uscire, sia pure metaforicamente, dallambito biblico e tornare alle tematiche sottese a questo intervento, necessario affrontare con coraggio, utilizzando strumenti di indagine conoscitiva ed offrendo prospettive, un problema di spiacevole consistenza: come mai gli adulti e le loro istituzioni intenzionalmente formative non riescono pi ad entrare in piena sintonia ed a guidare il mondo dei bambini e dei giovani? I primi (i bambini) si pongono tante domande fino a quando non iniziano la scuola la quale sembra, poi, bloccarne del tutto la curiosit (da: I. Selzberger-Wittenberg et alii, Lesperienza emotiva nel processo di insegnamento e di apprendimento, Napoli 1993 (pag.110-111)), tale la massa di conoscenze proposte da risultare

invadenti. O, forse, i metodi di insegnamento impiegati scoraggiano il desiderio di scoprire per mezzo dellesplorazione e della sperimentazione?(ibidem) I giovani (ma la cosa, sia pur attenuata, vale anche per i bambini) sono pi coinvolti dal mondo della comunicazione e dalla intrecciata overdose di consumismo che dai tradizionali modi di fare educazione (scuola, famiglia, Chiesa, partito). A questo punto potremmo, quasi, concludere che il disagio non pi etichettabile come giovanile ma riguarda ed invade, invece, gli adulti e le loro istituzioni educative, nei quali induce (o almeno dovrebbe) sensi di colpa, richiamando un maggior senso di responsabilit e suggerendo di ricercare nuove strade e nuovi percorsi. Accingiamoci, dunque, ad osservare con realismo quali sono gli atteggiamenti pi frequenti che, di questi tempi, improntano lazione degli adulti, perch solo da unattenta anamnesi si pu sperare di apprestare una congrua terapia. Gli adulti-famiglia tendono a delegare sempre pi allistituzione formativa (scolastica o extrascolastica) la copertura temporale e spaziale dei bambini-giovani, deresponsabilizzandosi, offrendo scarsa presenza e vicinanza ai figli, assolvendo (con lintento, non tanto recondito, di autoassolversi) e giustificando ad oltranza, anche quando sarebbe il caso di essere una ferma e saggia guida di vita. Rinunciando, per dirla in breve, ad essere una base affettivamente sicura ed educativamente affidabile. In questa azione potendo contare sulle allettanti sirene della televisione (quando ancora attrae) o del muretto-bar. Gli adulti-scuola sembrano aver centrato tutta la loro attenzione su un macroproblema la cui soluzione (diversa a seconda dei punti di vista) dovrebbe in modo salvifico rigenerare la formazione dei giovani nel nostro paese. Mi riferisco al contrasto scuola pubblica scuola privata (o, meglio, scuola statale scuola non statale) che ha assunto, nel corso dellultimo anno, aspetti quasi di metafisica educativa, mentre a mio avviso si tratta di un problema ideologico e non strettamente formativo. Comunque, per, la si metta, indubbio che la diatriba in corso ha oscurato quasi completamente il dibattito sul complesso e contraddittorio panorama della formazione e dell'educazione. 2. Unipotesi inquietante Negli ultimi anni gli attori pi attenti alla questione scolastica si vanno interrogando sui rapporti che si instaurano tra una istituzione fortemente ideologizzata come la scuola (mi riferisco agli schemi di riferimento, ai prototipi ideali, alle aspettative saldamente precostituite) e la famiglia dellalunno, che appare sempre pi portatrice di comportamenti contraddittori, di richieste ambivalenti, di modelli culturali ibridi ed in continua, talora scomposta ed imprevedibile trasformazione. Se scorriamo con pensiero veloce i punti essenziali delle tematiche che riguardano ci che definiamo per brevit disagio scolastico, viene spontaneo chiedersi ad un primo bilancio mentale se le situazioni che si manifestano in ambito scolastico siano un a priori rispetto allintervento didattico ovvero rappresentino, paradossalmente, un risultato, almeno in parte, di questultimo.
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Posto in questi termini manichei il problema sembrerebbe risultare di difficile se non improbabile soluzione ma, nonostante ci, permane la sensazione, in chiunque conosca da vicino la questione, che vi possa essere della verit sia nelluna che nellaltra ipotesi, convergendo entrambe verso un unico obiettivo, rappresentato dalla normalit scolastica. 3. Il disagio della scuola Nel momento in cui il bambino o il ragazzo fa il suo ingresso in una comunit educante presenta spesso comportamenti problematici che, in numerosi casi, trovano le loro radici in situazioni di grave disagio: disagio individuale, familiare, socioculturale, fortemente intrecciati ed interdipendenti. Le conseguenze di questi comportamenti sono evidenti nel percorso di apprendimento che caratterizzato soprattutto da una mancata o scarsa socializzazione nellaccezione ormai classica di O.G. Brim (1966): la insufficiente padronanza di conoscenze, di abilit, di comportamenti e di sentimenti impedisce di partecipare in maniera adeguata e soddisfacente alla vita sociale. Da qui, in un processo non meccanico e lineare ma sicuramente dinamico, il passo verso linsuccesso scolastico, lantisocialit, il bullismo o la violenza spesso breve. Il variegato fenomeno delle prepotenze come stato definito nella recente ricerca di Ada Fonzi (1997) si presenta molto ampio e assurge spesso a nonnismo, () preludio a pi gravi deviazioni in epoche future. Senza un piano che comprenda, oltre allintervento sulla classe, un impegno globale che coinvolga la politica dellintera scuola, le famiglie, il quartiere, le USL, etc non sar possibile porre un freno alla violenza ed al sopruso. Ma, anche senza pensare a forme manifeste di violenza, innegabile che nelle nostre scuole (non solo superiori) diffusa una dimensione di costante microconflittualit che sembra talvolta assorbire buona parte delle energie degli studenti (e non solo degli studenti), distogliendole da unarmonica propositivit socialmente e formativamente costruttiva. Come reagisce la scuola di fronte a queste situazioni che definiamo genericamente di disagio, sempre pi diffuse data la complessit del vivere di questi nostri convulsi anni? Spesso, purtroppo, vengono assunti atteggiamenti di tipo negativo, che non tendono, cio, ad un equilibrato sviluppo del percorso formativo dello studente ma, anzi, contribuiscono alla sua involuzione/negazione. Proviamo, per comodit, a definirli. Essi appartengono a due categorie, apparentemente contrastanti, in effetti complementari e convergenti: quella definiamola militaresca e quella paternalistico-lassista. La prima, attualmente meno diffusa, pu esprimersi in punizioni disconfermanti, in provvedimenti anacronisticamente rigorosi o, forse peggio, in forme di isolamento e di ghettizzazione frustanti. E frequente leggere sui quotidiani (che pare abbiano una inquietante predilezione per questo genere di fatti, che permettono di disegnare scenari improntati da folklore
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pedagogico particolarmente apprezzato dai consumatori di mass-media) di atteggiamenti rtro presi da un docente, dal capo distituto, da uno dei numerosi organi collegiali. Anche se i comportamenti autoritari della scuola vengono sempre enfatizzati, doveroso riconoscere che limpostazione di certi provvedimenti non risponde ad una logica educativa, ma ad una di tipo punitivo. Ma ben pi gravi, formativamente parlando, sono i microatteggiamenti permeati di sottovalutazione, di sarcasmo, di negazione dellaltro come persona, di incomprensione che caratterizzano talvolta gli operatori scolastici. A queste ultime, gravi problematiche, curiosamente, i nostri mass-media sono poco attenti: eppure si tratta di modalit relazionali diffuse che incidono in profondit sulla personalit in formazione dello studente, costituendo una specie di goccia che scava, lentamente ma inesorabilmente, la pietra. Tutto ci per fa poco notizia e non colpisce limmaginazione dei lettori/ascoltatori che, invece, sono pi portati a credere che, da un quattro assegnato ad uninterrogazione di matematica o da una sospensione dalle lezioni possa derivare in una lineare ed inesorabile consequenzialit un suicidio adolescenziale. Nella seconda modalit, (quella paternalistico-lassista) pi subdola e demagogica, ma ahim popolare, il contributo allinasprimento delle difficolt dellindividuo e della sua futura vita, personale e professionale, si concretizza attraverso un implicito patto scellerato: al dare poco o nulla, in termini formativi, ad un impegno saltuario e poco responsabile delle istituzioni fanno da pendant una insensata facilitazione del curricolo, finte promozioni, vere solo burocraticamente, una rimozione (incauta ma utile a molti) delle regole, del principio del limite, del senso di responsabilit. La scuola, insomma, come parcheggio, intrattenimento o babysitteraggio affettuosamente incosciente. Come altro definirla, infatti, se poniamo attenzione alle sempre pi frequenti occupazioni degli istituti che, pur interrompendo a volte per mesi il servizio scolastico, non producono alcun effetto sul curricolo dello studente? In questo modo corroboriamo lidea che giovane , sempre e comunque, bello! (ed un grave inganno pedagogico); che il compito primario della scuola non sia formare (anche se la legge recita:almeno 200 giorni di lezione lanno) ma intrattenere; che le forze produttive della nostra societ (specialmente nei prossimi anni di serrata competizione) possono misurarsi in campo europeo e mondiale (non c forse la globalizzazione?) proponendo giovani meno preparati e responsabili (e non sappiamo neppure se, almeno, pi contenti e felici dei loro coetanei europei soggetti ad una disciplina formativa pi rigorosa). E siccome i guai, in genere, non vengono da soli, gli atteggiamenti autoritari e quelli lassisti spesso si sovrappongono, luno non escludendo laltro nello stesso istituto scolastico e (accade anche questo!) a volte nelle stesse persone, in unalternanza/convergenza che sa di schizofrenia pedagogica. Facce della stessa moneta. Falsa, per, senza possibilit di essere proficuamente spesa, ma fastidiosamente circolante. Come dovrebbe reagire, come talvolta reagisce, la buona scuola?
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Attraverso strategie di intervento educativo-formative e didattiche. Con le prime importante favorire laffermazione della prosocialit nella scuola, cio di quei comportamenti che favoriscano la socialit, laccettazione delle regole, la coscienza sociale, lo spirito di condivisione, di collaborazione e di solidariet: il tutto pu realizzarsi attraverso una microoperativit diffusa fra gli operatori scolastici (non solo docenti) che abbia come obiettivi la comprensione delle convenzioni sociali e del punto di vista altrui, il contenimento degli impulsi aggressivi etc. In poche parole, unassertivit di fondo che porti ad esprimere i bisogni non implicando necessariamente conflittualit, disimpegno, deresponsabilizzazione. Una efficace strategia didattica deve poi basarsi sul valore formativo delle discipline per raggiungere lo scopo di far acquisire validi strumenti di conoscenza critica: solo attraverso questo processo formativo possibile che lo studente, forte del proprio senso di competenza, sviluppi un adeguato senso di autoefficacia ed autostima con una benefica ricaduta sulla sua relazionalit. Gi Kipling sosteneva che il bambino che vive nellapprezzamento diverr pi comprensivo. Per ottenere questi risultati necessario avviare per adeguate procedure di impostazione, di valutazione e di correzione in itinere del curricolo dello studente, fondato su intelligenti metodologie di flessibilit didattica. La scuola, gli adulti della scuola devono imparare, in modo sempre pi professionale, a venire incontro alle necessit formative dei giovani, ai loro bisogni (opportunamente interpretati e, per cos dire, pedagogizzati). Cercando di non prestar eccessiva attenzione ai propri bisogni (spesso desideri) inappagati, scambiati e confusi con quelli degli studenti, in uninversione dei ruoli controproducente soprattutto a livello educativo. Il dovere delladulto-docente consiste essenzialmente nel rappresentare una base sicura, umanamente e formativamente, per lo studente, evitando qualsiasi scimmiottamento giovanilistico. 4. Si pu cambiare? Vale la pena, a questo punto, di chiederci come si possa agire, istituzionalmente, sulla scuola per il miglioramento della scuola stessa. Anzitutto occorre lavorare per la formazione del personale, soprattutto docente e dirigente, sia di quello in servizio sia di quello che verr. Per quanto riguarda i Capi dIstituto appare impostata su buone basi metodologiche e su qualificanti contenuti la loro formazione a dirigenti scolastici, che costituir inoltre un precedente di gran peso per la selezione dei futuri dirigenti. Per i docenti futuri irrinunciabile la formazione universitaria con forte accentuazione psicopedagogica e non va certo in questa direzione lennesimo concorso deprofessionalizzante che, riesumando famigerati provvedimenti ope legis, vanifica di fatto il primo serio tentativo di collaborazione tra Universit e scuola.
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Da parte loro tutti gli altri operatori gi in servizio attendono, da decenni, un sistematico e continuativo intervento formativo-aggiornativo, non legato cio alla casualit delle proposte e delle situazioni, allestemporaneit culturale di molti, troppi, cosiddetti formatori. Svincolato, soprattutto, dal risibile legame tra orario di aggiornamento e progressione di carriera, senza che vi sia alcuna valutazione della preparazione eventualmente acquisita. Infine, lattuale impianto normativo autonomistico, avviato dallart.21 della legge 59 (c.d. Bassanini I) riconducibile ancora ai nomi e non alle cose dellautonomia scolastica: manca, a tuttoggi, parte di quegli atti dimpegno che soli potranno rendere effettivamente praticabile la progettualit autonoma delle singole scuole, per troppo tempo compressa da mastodontiche ed inefficienti strutture burocratiche e da insensati lacciuoli amministrativo-sindacali. Incerta, inoltre, ad oggi la prospettiva del riordino dei cicli e della riscrittura dei saperi di base, tutte tessere indispensabili per una definizione concreta del mosaico di riforma. Se come auspicabile lavviato processo di costruzione dellautonomia si svilupper con cadenze tempestive e con soluzioni razionali, nelle scuole potr crearsi / rinforzarsi / ampliarsi quellatmosfera di propositivit culturale, di responsabilizzazione professionale e di efficacia formativa necessarie per uscire dalle secche in cui siamo da anni impantanati. Solo in un chiaro ambito autonomistico sar infatti possibile impostare lazione educativa sulla base delle metodologie della flessibilit curricolare, partendo dal rilevamento dei livelli di partenza, tenendo conto dei bisogni formativi di ognuno, valorizzando le differenze individuali (anche nellaccezione delleccellenza, da sempre colpevolmente trascurata nel nostro paese) e le caratteristiche socioculturali locali. Il curricolo degli studenti italiani (mi riferisco soprattutto alle scuole medie e superiori) non superato ed anacronistico tanto per mancate o incomplete riforme di contenuti programmatici ed ambiti disciplinari, quanto per la sua statica monoliticit: materie, contenuti, classi, ore, uguali per tutti. Solo con laffermazione del curricolo flessibile si potr sperare di sanare gran parte delle attuali aporie nella formazione degli studenti. In questa ottica di flessibilit dovr dunque risultare non episodico (come ora avviene) limpegno a rinsaldare i rapporti tra la scuola e la famiglia, rivolgendo anzi sempre maggior attenzione professionale alla relazione educativa e comunicativa tra genitori e figli, in collaborazione e sintonia con le strutture psicopedagogiche del territorio, siano esse pubbliche o private, avviando convenzioni con strutture o singoli. Evitando, sperabilmente, lennesima, inefficace, burocratizzazione del problema quale deriverebbe dalla recentemente proposta istituzionalizzazione dello psicologo/baby-sitter, oltretutto impiegato scolastico di stato e controparte dei docenti. Due osservazioni finali, a conclusione di questo mio intervento.
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Non contribuir, di certo, alla valorizzazione delle potenzialit formative delle scuole una soluzione legislativa, riguardante i futuri organi di governo, che ne moltiplichi le sedi, le funzioni, la rappresentativit, intrecciando, sovrapponendo, affastellando e complicando. Confondendo le istanze di rappresentativit con gli ambiti di competenza tecnico-professionale. La scuola ha bisogno di chiarezza e linearit, non di confusione preludente a conflitti e contenziosi aggravati rispetto al presente. Lo stato giuridico del personale, infine. Mi riferisco soprattutto ai docenti. Attualmente la loro, dobbiamo avere il coraggio di dirlo, una semiprofessione, femminilizzata (absit iniuria verbis !), a tempo parziale. Estremizzando, si potrebbe sostenere che la professione di docente solo complementare al vero impegno primario, quello di natura familiare, intendendo con ci gli obblighi e le cure verso la propria famiglia. Alla scuola va ci che avanza da questo vero, primo lavoro. Una scuola attenta alle diversit (siano esse di formazione di base, di estrazione sociale, di origine etnica o quantaltro) che voglia democraticamente valorizzarne alcune o rimuoverne altre richiede maggior lavoro: pi tempo dedicato alla ricerca, alla discussione in team professionali, alla realizzazione di interventi, alla valutazione della loro efficacia. Ci significa valorizzazione delle professionalit (a quando le figure di sistema su base professionale?), sistemi di controllo e valutazione, modelli di management scolastico. Lattuale stato giuridico contrasta con tutto ci. Sappiamo per che non possiamo pi permetterci una moltitudine di scuole chiuse alla didattica di pomeriggio e per circa 3 mesi destate, lontane dalle metodologie della ricerca-intervento, insensibili alle problematiche dellautodiagnosi di istituto, della valutazione delle prestazioni dei docenti, della rendicontazione delle proprie azioni. I nostri discorsi sulla lotta al disagio scolastico, alla dispersione, alla devianza giovanile, alla tossicodipendenza scadono in noiosa, stancante retorica se non si creano le condizioni, di norma e di fatto, per avviare una vera rivoluzione del sistema formativo italiano. Cercando di recuperare il tempo perduto rispetto ai nostri partners europei. In sintesi, dopo lentrata nellunione monetaria, avviato brillantemente il risanamento dei fondamentali delleconomia, non sarebbe opportuno ora concentrare notevoli sforzi verso la ricostruzione, in senso moderno, del nostro sistema formativo? Il complesso di riforme scolastiche, di cui si sta discutendo in questi mesi, se vorr raggiungere gli obiettivi dichiarati, dovr intaccare posizioni corporative, difese di piccoli o grandi privilegi, interessi consolidati, incrostazioni burocratiche, disinteresse culturale. Il rapporto elaborato dallOCSE sulla politica nazionale dellistruzione in Italia, presentato nel 1998 al Forum della P.A., nel confortarci sulla bont della strada intrapresa, ci raccomanda di proseguire con fermezza e speditezza verso il rinnovamento della scuola e della formazione in genere (intesa anche come
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educazione permanente degli adulti), pena la perdita di influenza tra gli Stati sviluppati ed un appannamento della nostra identit culturale. Le iniziative parlamentari, ministeriali e contrattuali ci diranno se il cambiamento avviato dalla Bassanini I avr probabilit di successo o si sacrificheranno ancora una volta (parafrasando Lvi-Strauss) i valori di identit delle societ evolute ai valori di appartenenza che contraddistinguono le societ arretrate.

Bibliografia - AA.VV. (1998), Rapporto di base sulla politica scolastica italiana , Roma, MPI - AA.VV. (1998), Esami delle politiche nazionali dellistruzione, Roma, Armando - AA.VV. (1995), Organizzazione e qualit della scuola, Firenze, La Nuova Italia - Bush T. (1995), Manuale di management scolastico, Trento, Erickson - Carosi G. et alii (1997), Funzione riflessiva materna e stile di attaccamento nei bambini, relazione presentata allXI Congresso Naz. AIP (Associazione It. Di Psicologia)(in corso di stampa) - Cassese S. (1998), Lo stato introvabile, Roma, Donzelli - Drago R. (1996), Carta della scuola e innovazione, Trento, Erickson - Fonzi A. (1997), Il bullismo in Italia, Firenze, Giunti - Masuelli M., Rusconi M. (1996), La Carta dei servizi delle scuole, Roma, ANP - Romei P. (1995), Autonomia e progettualit, Firenze, La Nuova Italia - Salzberger Wittenberg I., Polacco G., Osborne E. (1993), Lesperienza emotiva nel processo di insegnamento e di apprendimento, Napoli, Liguori - Weick K.E. (1997), Senso e significato dellorganizzazione, Milano, Cortina

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