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02-12-2002

Il welfare sommerso delle badanti


Costanzo Ranci

La "sanatoria" prevista dalla legge Bossi-Fini costituisce la più imponente misura di emersione del lavoro nero svolto da
lavoratori immigrati. Una gigantesca operazione di regolarizzazione che riguarda per una parte considerevole (circa il 40 %
delle istanze di sanatoria complessivamente registrate pari a 300 mila famiglie ) la categoria delle colf e "badanti".

E’ così venuto alla luce un fenomeno di dimensioni assai più ampie di quanto previsto dallo stesso Governo. Non ci voleva
molto, in realtà, per rendersene conto: bastava consultare l’Istat, secondo cui sono almeno 750.000 le famiglie italiane con
un anziano che ricorrono ad un servizio domestico o di cura individuale (in pratica, una ogni dieci). Metà di queste
assumono, appunto, una badante, ovvero una persona adibita alla cura personale di un soggetto non autosufficiente. La
stragrande maggioranza delle badanti, secondo l’Istat, è costituita da donne immigrate, e quasi tutte erano, prima della
sanatoria, irregolari e clandestine. Un dato imbarazzante, se si pensa a quale sia l’immagine di "clandestino" veicolato da
alcune forze al governo.

Ci voleva dunque la sanatoria per scoprire che l’attività delle badanti costituisce, dopo l’impegno diretto dei familiari, il
servizio di welfare più utilizzato dalla popolazione non autosufficiente, a cominciare da quella anziana. Il ricorso ai servizi
pubblici, in confronto all’assunzione di badanti, non solo è molto meno diffuso (non più della metà), ma è anche molto
meno intenso (copre in media per cinque ore alla settimana), meno flessibile, anche se più affidabile sul piano
professionale.

Le ragioni del boom

Solo pochi anni fa le badanti erano il pallido ricordo di un’epoca passata, in cui le famiglie facoltose assumevano e
portavano in casa personale a pagamento per assolvere alle diverse mansioni di servizio. Che cosa ha determinato
l’esplosione di oggi? Vi ha contribuito senz’altro la massiccia migrazione degli ultimi anni. L’incremento di offerta ha
abbassato i prezzi, rendendola accessibile anche a famiglie di reddito medio e medio-alto.

Ma anche le politiche pubbliche hanno fatto la loro parte. Non solo perché non si è investito a sufficienza nei servizi
pubblici a domicilio, per i quali restiamo da decenni il fanalino di coda dell’Europa. Ma anche perché da anni si insiste su
programmi fondati esclusivamente sulla distribuzione di indennità e di sussidi monetari alle famiglie, lasciando che esse
provvedano da sole a fornire le cure di cui gli anziani necessitano. Un’erogazione monetaria attuata senza porre vincoli di
sorta alle famiglie, senza un’attenta verifica delle loro capacità di cura, senza controlli sull’appropriatezza del suo utilizzo.
Attuate per potenziare la libertà di scelta dei cittadini, esse (tra cui l’indennità di accompagnamento, che trasferisce ogni
anno 500 miliardi di euro alle famiglie con invalidi al 100%) hanno finito per alimentare il mercato nero delle badanti,
incentivandone la domanda da parte di famiglie impossibilitate a trovare altre soluzioni e non prevedendo alcuna forma di
emersione.

Ci voleva proprio la sanatoria a far aprire gli occhi. D’ora in poi, non si potrà più ignorare il ruolo sociale ed economico
delle badanti: il sostegno di cura più vicino e accessibile ai cittadini che perdono l’autosufficienza e non hanno familiari
capaci o disponibili a prendersene cura.

Un vero successo?

La grande quantità di richieste di regolarizzazione costituisce un successo della recente riforma? Indubbiamente si, se si
considera che tali richieste spettano esclusivamente ai datori di lavoro e non ai lavoratori e che esse comportano per i primi
un onere economico una tantum non indifferente (330 euro nel caso delle badanti) e un aumento considerevole del costo
del lavoro rispetto all’assunzione in nero (stimabile tra il 35% e il 50%, comprensivo di contributi, ferie, tredicesima,
liquidazione, ecc.).

Sulla sua efficacia protratta nel tempo, tuttavia, non possiamo non nutrire forti dubbi:

l’assenza di vincoli specifici e di controlli lascia supporre che una quota delle regolarizzazioni riguarderà stranieri
che non svolgono di fatto attività domestiche o di cura;

l’attività delle badanti è per sua natura a tempo determinato e soggetta facilmente a turn over, sia per la fluidità delle
prestazioni richieste, sia per l’urgenza del bisogno che origina l’assunzione e la difficoltà di prevederne la continuità
nel tempo; essa richiede dunque un’elevata mobilità dei lavoratori, che è possibile solo con procedure semplificate
che prevedano tempi assai rapidi di assunzione; la complessità delle procedure previste per la regolarizzazione,
nonché il blocco perentorio e totale delle regolarizzazioni per le badanti non ancora in regola, potranno incentivare in
futuro il ritorno all’assunzione irregolare;

la riforma scarica tutti i costi della regolarizzazione sulle famiglie che assumono le badanti, senza offrire in
cambio alcun incentivo economico (in forma di deduzione fiscale, di minore contribuzione, di voucher, ecc.); perché
un cittadino anziano dovrebbe assumersi un costo mediamente superiore del 35-50% per assicurarsi un’attività del
tutto simile a quella che avrebbe attraverso un’assunzione irregolare? E’ possibile che nell’immediato la pressione
dei lavoratori e il timore di denunce abbia fatto propendere per la regolarizzazione. . Probabilmente il costo iniziale
della regolarizzazione (i 330 euro) è stato assorbito in gran parte dai lavoratori. Cosa accadrà quando la prevedibile
difficoltà di operare controlli renderà meno forte il timore?

Mossa da obiettivi di contenimento e di legalizzazione dell’immigrazione clandestina, la regolarizzazione prevista dalla


riforma determinerà senz’altro un miglioramento delle condizioni di lavoro delle badanti, che godranno ora di maggiore
legittimità e di più chiari diritti. Diritti, tuttavia, che dipenderanno in parte dalla disponibilità delle famiglie italiane a
sobbarcarsi costi e procedure amministrative altrimenti facilmente eludibili, in parte dalla possibilità per i lavoratori
stranieri di subire, al fine di coprire il costo della regolarizzazione, una riduzione del loro salario. Che in circa 300.000 casi
le famiglie italiane e/o le colf e badanti che vi prestano servizio abbiano deciso di assumersi questo onere costituisce un
indubbio atto di civiltà, che dovrà essere però sostenuto in futuro da politiche capaci di offrire un sostegno economico e
una maggiore regolazione, e non solo una mera regolarizzazione, del lavoro di cura delle badanti.

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