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Le corti fra il Quattrocento ed il Cinquecento Cohorte: recinto, recinzione.

E questa l etimologia latina della parola corte, che fra il Quattrocento ed il Cinquecento divenne il fulcro delle attivit politiche e letterarie di tutta Italia. Le corti, che si estendevano in tutto il paese, dalla Sicilia sino ad arrivare a Milano, Ferrara o Mantova, rappresentarono un vero e proprio centro di ricerca in molti campi del sapere umano: dalla scienza, alla letteratura, all arte. Tutto era in funzione del signore , che si occupava di accogliere il maggior numero di letterati possibili di alto livello ( pagandoli naturalmente con un regolare salario) cos da aumentare il lustro della propria famiglia, o meglio, della propria corte. Tutto era in funzione del signore dunque, tutto doveva essergli gradito per mantenere salda la propria posizione ai suoi servigi. Un letterato, ad esempio, non aveva un accordo fisso con il signore che determinava in maniera netta la durata della sua a corte, n la quantit di denaro che gli spettava. Era una sorta di contratto a tempo indeterminato in cui il signore era padrone di allontanare qualunque suo servitore quando e come voleva, per qualunque motivo. E questo il caso di Ludovico Ariosto, celebre autore Cinquecentesco, che risedette per oltre 14 anni presso la corte di Ippolito d Este di Ferrara ( pi precisamente dal 1503 al 1517). Egli fu allontanato dalla stessa per essersi rifiutato di affrontare l ennesimo viaggio con Ippolito fuori dalla corte, nelle lontane terre di Ungheria. Venne cos giudicato non adatto alla vita di corte ed espulso. Ma, d altronde, lo stesso autore si era ritenuto tale. In pi occasioni infatti aveva ribadito che la corte non era il suo stile di vita ideale, sempre in movimento e in giro per il mondo. Ariosto preferiva infatti risiedere in un luogo fisso , dove poter studiare in tranquillit proprio come afferma nella satira numero II indirizzata al cugino Annibale Malaguzzi : Chi vuole andare a torno vada [..] a me piace abitar la mia contrada. Considerando l opinione che dunque Ariosto aveva della vita di corte, si pone spontanea una domanda, che pu essere considerata il fulcro della mia tesi: quanto la letteratura del Cinquecento pu essere considerata libera? O meglio : quanto le corti dell epoca permettevano la libera stesura di concetti nelle opere dei letterati?

Se ricerchiamo la risposta all interno delle opere dei cortigiani stessi, troviamo opinioni contrastanti; infatti possiamo trovare personaggi come Ariosto che si oppongono con tutto se stessi alla vita cortigiana, non per avversit particolari a livello politico, ma per un intolleranza allo stile di vita al suo interno. Invece ne possiamo incontrare altri come Castiglione ad esempio che definisce la corte un luogo dove l ore giorno erano divise in onorevoli e piacevoli esercizi cos del corpo come dell animo . Ma, malgrado le opinioni siano evidentemente diverse, quanto queste sono dettate da necessit e quante invece dalla spontaneit dell individuo? Dobbiamo infatti considerare che la maggior parte delle opere ( se non tutte) nate all interno dell ambiente cortese avevano come uno dei caratteri principale il motivo encomiastico, cio di esaltazione del signore, a volte anche esagerata. La libert all interno della corte infatti era alquanto limitata, innanzitutto dal signore che attraverso il suo apprezzamento manteneva o allontanava un letterato dal proprio servizio, ma infondo anche dagli autori stessi che creando un ideologia propria della corte si impegnano a portarla avanti nelle proprie opere. Dunque il letterato appare organicamente legato alla corte e all ideologia [ ] che egli stesso contribuisce in maniera determinante ad elaborare . Si creano difatti dei vincoli alla capacit creativa del poeta che rimane ingarbugliato in ristrettezze letterarie che lo costringono alla stesure di opere chiuse a livello ideologico. Solo pochi, fra cui Ariosto, che si dissociano dalla realt di corte ma la considerano una necessit, riescono a fuoriuscire da questo sistema di pensiero fino ad arrivare a dare alla luce opere dal significato rivoluzionario ed innovativo come ad esempio L Orlando Furioso. Chi non si atteneva a questo tipo di pensiero preferiva vivere scrivendo per il signora, per ingraziarselo attraverso quella che definisce Ariosto nella satira numero I L arte dell adulazione , per riuscire ad accumulare pi denaro possibile con il minimo sforzo. Si deve infatti anche considerare che spesso il cortigiano doveva allontanarsi dalla corte ( soprattutto al Nord) per dedicarsi ad impegni politico-amministrativo che molte volte venivano considerati dai signori pi importanti di quelli letterari. E questa dunque l ennesima costrizione che i letterati del tempo sono stati costretti

a subire. Non avevano spesso la possibilit di dedicarsi allo studio per pi di pochi mesi l anno in cui erano costretti anche a stendere le proprie opere accostandogli anche i vari impegni amministrativi della corte. Un vero inferno per il cortigiano dell epoca che voleva dedicarsi principalmente alla propria passione letteraria e che si vedeva invece schiacciato dagli ordini politici impartiti dal signore a cui nessuno poteva sottrarsi. La libert del letterato cortigiano dunque sembra aver limitato per lunghi tratti la stesura di opere magari migliori di quelle che ci sono giunte fino ad oggi. Non ci resta allora che cullarci nell idea che sarebbero potute nascere opere che non avrebbero dato lustro solo ad una corte, ma all intera Italia.

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