Epaminondas fuit disertus, ut nullus Thebanus ei par esset
eloquentia, neque minus concinnus in brevitate respondendi quam in perpetua oratione ornatus. Habuit obtrectatorem Meneclidem quendam, indidem Thebis, et adversarium in administranda re publica, satis exercitatum in dicendo, ut Thebanum scilicet: namque illi genti plus inest virium quam ingenii. Is, quod in re militari florere Epaminondam videbat, hortari solebat Thebanos, ut pacem bello anteferrant , ne illius imperatoris opera desideraretur. Huic ille: “Fallis – inquit – verbo cives tuos, quod hos a bello avocas: otii enim nomine servitutem concilias. Nam paritur pax bello. Itaque qui ea diutina volunt frui, bello exercitati esse debent. Qua re si principes Graeciae vultis esse, castris est vobis utendum, non palaestra”. Nepote Epaminonda fu facondo, al punto che nessun tebano era pari a lui per eloquenza, e non era meno incesivo nella brevità delle risposte di quanto fosse elegante nei discorsi di ampio respiro. Ebbe come maldicente un tale Meneclide, anch'egli di Tebe, e un avversario nel governare lo Stato abbastanza abile nel parlare, per essere un tebano si intende: infatti in quella gente c'è più forza che ingegno. Egli, poiché vedeva che Epaminonda eccelleva nell'arte militare, soleva esortare i tebani a preferire la pace alla guerra, affinchè l'impiego di quel comandante non fosse desiderato. Quello disse a questo. “Con il tuo discorso inganni i toui cittadini, poiché li allontani dalla guerra: infatti procuri loro schiavitù con il nome di pace. Infatti la pace è generata con la guerra. Perciò coloro che vogliono godere di una pace duratura, devono essere abili in guerra. E per questo motivo se volete essere capi della Grecia, dovete usufruire dell'accampamento, non della palestra”.