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Rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto.

Non era la prima


volta che osservavo un arcobaleno eppure i miei occhi non smettevano di
guardare quel cielo così luminoso. Era tutto così nuovo. Respiravo a pieni
polmoni per assaporare ogni brezza di quel vento leggero che mi scompigliava
i capelli. Straordinario. Era come sentirsi lontani da qualunque altra cosa,
nessun rumore, nessuna voce, solo un po’ di natura. Chiusi gli occhi. Sentivo
che qualcosa stava cambiando, che qualcuno stava cambiando, forse io.
Passarono i minuti senza che mi accorgessi di nulla, isolavo ogni rumore era un
momento solo mio. Finalmente decisi di tornare a casa, un’ occhiata ancora a
quello splendido paesaggio il mare, il cielo così sereno e ancora l’arcobaleno.
Mi voltai con un sorriso soddisfatto salendo sulla mia bicicletta e andando verso
quella che da pochi mesi era diventata casa mia.
Avevo raggiunto mia sorella Anne all’inizio dell’estate, volevo stare un po’ con
lei; da due anni si era trasferita a Copenaghen dopo aver vinto una borsa di
studio molto ambita. Aveva preso la laurea in medicina e ora la sua carriera di
medico stava finalmente decollando e lei era felicissima. Mi era sempre
mancata, da quando la vidi partire tanto tempo prima. È strano il nostro
rapporto sembrava essere nato solo al momento della sua partenza non
passava giorno che non ci sentissimo grazie al telefono o a internet ma pur
sempre un ora per noi la trovavamo. Sempre. Anche quando le cose andavano
male come in quell’ultimo periodo. Era stato nostro padre ad accompagnare da
lei mio nonno all’inizio di giugno. Stava male e Anne sosteneva che il centro in
cui lavorava lei era il migliore e lì finalmente avrebbe potuto riprendersi e stare
meglio, ma le settimane passavano senza miglioramenti. Papà era un semplice
impiegato in un azienda italiana e non poteva allontanarsi troppo dal suo
lavoro, così decise di ripartire ma la sera in cui lo annunciò ad Anne e a nonno
Hans ricevette una risposta inaspettata. Nonno voleva restare in Danimarca li
c’erano ricordi legati della sua gioventù, ricordi legati a un passato che spesso
nascondeva, amava quel paese ed era li che voleva passare gli ultimi attimi
della sua vita.
Quando papà tornò a casa passarono solo cinque giorni prima di dirgli che
avevo deciso di andare da Anne e da Hans. Il motivo ufficiale: per stare accanto
a nonno. Il vero motivo: volevo cambiare, volevo qualcosa di nuovo. Avevo
finito il liceo da due anni e non avevo fatto che lavori saltuari senza decidermi
ad iscrivermi all’università ero stata una delusione per i miei genitori, ma
avevo perso la voglia di andare avanti di crearmi un futuro dopo aver perso
l’unica persona che mi aveva sempre capito: Mary.
Ma non mi andava di ripesarci non di nuovo.
Fu una dura lotta, come potevo convincere mia madre? Ancora non ricordo
cosa davvero l’abbia convinta forse la mia determinazione buttai il biglietto sul
tavolo e la valigia in corridoio senza lasciargli il tempo di replicare. Anne era
felice che la raggiungessi. Promisi ai miei che era per una sola estate, ma dal
primo momento in cui avevo visto Copenaghen sapevo che quella città mi
emozionava, mi regalava qualcosa di magico, ogni giorno scovavo qualcosa
che mi faceva pensare che quel paese mi rendeva libera serena e forse un
giorno mi avrebbe reso felice.
I primi giorni erano difficili il mio inglese era terribile, il danese? Assolutamente
off limits ma non mi impediva di certo di andare in giro e cercare di conoscere
quella popolazione che così tanto mi affascinava. Anne mi guardava ridendo
quelle rare volte che i suoi turni in ospedale non la tenevano lontana da me. Lei
si che se la cavava sempre. E poi arrivava la sera il momento che amavo di più
dopo cena mi mettevo sul divano, ed io e Anne ci sedevamo accanto a nonno
che ci raccontava qualcosa della sua vita, oppure noi parlavamo a lui di quello
che ci succedeva era così dannatamente rilassante.
Quando arrivai davanti alla porta verde della nostra casa, ormai non era più
solo di Anne ma di tutti e tre, gettai la bici in malo modo, come sempre e entrai
fischiettando. Il mio buon umore che mancava da tanto.
“Nonno!” un bacio sulla sua guancia e uno sguardo alla sua bombola
dell’ossigeno. Lo aiutai a sistemarsi bene e andai a prendere una bottiglia
d’acqua mentre la sorseggiavo tornai da lui.
“Anne ha il turno di notte, ha lasciato della pasta in forno per noi per stasera.”
“Perfetto!!! Certo mai avrei pensato di mangiare così tanta pasta qui.” Nonno
rise ma un colpo di tosse lo fece sussultare e allarmata mi avvicinai a lui. Era
una sofferenza vederlo così, lui che nella mia infanzia mi aveva regalato così
tante attenzioni e tanto amore.
“Stai bene?”
“Tranquilla tutto sotto controllo, il tuo vecchio ha la tempra più dura di quanto
pensi.”
“Si ma non mi piace, voglio che Anne ti porti per un altro controllo in
settimana.”
“Non e’ necessario tesoro. Mi portate sempre a fare questi controlli ma non c’è
nulla che si possa fare.” Terribilmente vero. Stava invecchiando e purtroppo il
suo sistema cardiocircolatorio non lo aiutava più. Doveva respirare almeno
nove ore durante il giorno con la bombola dell’ossigeno e la notte sempre.
Almeno per il momento ma i medici avevano assicurato che in futuro avrebbe
dovuto tenerla sempre. C’erano le sue medicine in fila sul tavolo nonno era
molto ordinato e non dimenticava nulla. Sorrisi fra me e me, di certo non avevo
preso questo ne’ da lui né da nessun altro membro della famiglia, la mia
mancanza di memoria era incredibile.
“Ti ricordi che ti aspettano vero?” Improvvisamente i miei occhi si drizzarono
verso l’orologio. Le quattro. Tardi. Volai per le scale di sopra correndo verso la
mia camera, sentendo l’eco della risata di nonno. Il mio cellulare era disperso
sotto la pila di vestiti sul letto, era inutile sarei arrivata prima io la ricerca del
telefono era partita persa. Apriì l’armadio per prendere un semplice maglione
per la sera quando sarei tornata, corsi in bagno e mi guardai velocemente, i
miei capelli erano scompigliati come sempre quando tornavo dalle mie lunghe
soste al mare. Quella massa di capelli castani era difficile da risistemare per
fortuna li avevo accorciati fino alle spalle, alla fine decisi per una coda, comoda
e veloce. Tornai in camera presi la borsa e inevitabilmente i miei occhi finirono
su quel portafoto. Era l’unica cosa che avevo portato con me dalla mia vecchia
casa. Eravamo io e Mary, sorridenti e spensierate tre anni prima al nostro
primo e unico viaggio in America eravamo così felici per quella conquista. I
nostri sorrisi, le nostre smorfie una fitta di dolore mi colpì all’istante. Mi
mancava terribilmente era stata la migliore amica che si potesse mai
desiderare, e molto di più: un'altra sorella.
Come un fulmine il ricordo dell’ultima sera mi colpì. Non c’era nulla di chiaro, la
notte in cui Mary morì era come un buco nero per me, ricordo solo il suo ultimo
sorriso dopo quella serata in discoteca dove avevamo bevuto e poi quella
decisione quella dannata scelta…Cercai di non lasciarmi andare ai ricordi come
succedeva ogni mattina quando volgevo il mio primo sguardo lì. Sfiorai con le
dita quella cornice poi la sagoma di Mary la posai, tornando di sotto salutai
nonno corsi sulla mia bicicletta: direzione biblioteca.
Era decisamente strano per me quello stile di vita eppure più tutto era
semplice più stavo meglio. Arrivai lasciando la bici all’entrata. Cercai di entrare
in punta di piedi sperando di non dare nell’occhio e non subire richiami ma…
non ebbi successo.
“Ariel!” Scoperta.
“Scusa scusa Maggie!!! Ho avuto un imprevisto.” Mi guardò sorridendo, per
fortuna, forse non se l’era presa poi così tanto.
“Mettiti a lavoro coraggio, oggi non abbiamo avuto troppe visite perciò ti
perdono.” Se ne andò tornando alla sua postazione. Io presi il mio posto
davanti al computer catalogando libri e rispondendo alle richieste degli
studenti. Lavoravo li dal mese di luglio, ci tenevo a dare il mio contributo ad
Anne per la casa ed era un bel quartiere vicino alla grande Università, piena di
ragazzi, e Anne sperava proprio che mi trovassi un bel danese, anche per
questo mi aveva incitato ad accettare.
Andai nel magazzino a prendere una scatola di libri da sistemare negli scaffali
ne presi una pila che mi arrivò quasi fino agli occhi era un rischio, ma ero
convinta di farcela arrivai di fronte al reparto di filosofia dove dovevo inserirli
ed eccola la mia solita fortuna, tre libri cascarono dalla cima.
“Accidenti.” Due studenti seduti dietro si voltarono sogghignando. Cercai di
piegarmi lentamente con la schiena per posare i miei libri e recuperare quelli in
terra. Disastro peggiore. Tutti finirono sparpagliati. Stupendo pensai. Maggie mi
guardò dal fondo della sala e scrollò la testa. Ancor prima di rendermene conto
una mano si allungò per recuperare il libro più vicino ai miei piedi. Con una
lentezza e una calma estenuanti vidi quelle mani raccogliere i libri ad uno ad
uno posandoli delicatamente sullo scaffale. Continuavo a fissare quei
movimenti quasi mi dimenticai che a quelle mani corrispondeva di certo un
volto, uno sguardo, una persona. Quando sentì la sua voce ritornai sui miei
pensieri.
“Piccoli incidenti.”
“Grazie.” Riuscì a balbettare. Mi voltai per sistemare i libri. Ancora stranita,
sentivo lui dietro di me e una strana sensazione, mi rivoltai per fissarlo.
Decisamente carino. Anzi di più era perfetto. Più di tutti i ragazzi che avevo
incontrato in quel posto. Quegli occhi verdi erano ammalianti. Mi rivoltai.
“Grazie davvero mi sei stato di grande aiuto, non so davvero come ho fatto. Per
fortuna passavi di qui.” Aspettavo risposta ma quando mi voltai non c’era più.
Non era possibile, ma pensai che poteva essere andato dall’altra parte degli
scaffali, iniziai la mia piccola ricerca. Furtivamente mi spostavo da uno scaffale
all’altro. Non c’era. Continuai fino all’ultima fila. Mi sentivo così stupida. Ma
perché non potevo semplicemente risistemare quei libri.
“Cerchi qualcuno?” sussultai avvertendo una voce alle mie spalle. Accidenti era
davvero lui. Perché il suono della sua voce mi sembrava più armonioso questa
volta?
“No. Assolutamente stavo cercando di sistemare questo libro.” Dissi indicando
l’unico libro che avevo in mano preso per sbaglio poco prima per far finta di
cercare un libro. Entrai in quella fila. “Ecco perfetto.” Lo riposi su quel piano.
“Non credo proprio che Jane Eyre appartenga a questo reparto. ” guardai la
scritta sullo scaffale INFORMATICA. Si poteva essere più in imbarazzo di me in
quel momento? No.
“Giusto.” La mia risata era nervosa e imbarazzata.
“Posso riportarlo io se vuoi.” La sua calma era snervante.
“No grazie io lavoro qui.”
“Davvero? Non si direbbe.”
“No effettivamente dopo quest’ultima figura.” Lui sorrise, solo allora mi accorsi
di quanto fosse luminoso il suo sorriso, e il suono della sua risata: melodioso.
“Ariel!!!” sentivo Maggie chiamarmi dall’altra parte della sala, inizia a indicare
col dito la zona dietro di me per cercare di fargli capire che dovevo andare.
Chissà cosa stava pensando di me. Mi voltai meditando in quale zona potevo
andare a nascondermi per i successivi dieci anni. Andai da Maggie e la aiutai
con alcuni ragazzi. Speravo di vederlo passare, in fondo l’unica uscita era
davanti a me. Ma passarono due ore e non lo vidi più.
Quando andai di nuovo tra i vari scaffali non c’era più. Da nessuna parte e di
certo non era nemmeno uscito, c’era così poca gente che me ne sarei accorta
in qualunque caso.
“Scusa Maggie, c’era un ragazzo prima qui, non l’ho visto uscire.”
“Quale ragazzo?” Mi guardava senza capire.
“Quello che mi ha aiutato a raccogliere i libri per terra.”
“Mi dispiace non ho davvero guardato prima. Sarà qui da qualche parte.”
“Si infatti ho controllato ma non c’è. Eppure prima era nel reparto di
INFORMATICA.”
“Ariel, credo che tu non abbia dormito molto sta notte.” Mi mise le mani sulle
spalle. “Potresti andare a casa sono certa che tuo nonno sarà felice di vederti
prima. ”
“Ma sto benissimo! Devo solo trovarlo!”
“Controlla tu stessa.” Mi incitò a guardare i monitor delle telecamere di
sorveglianza erano ovunque, ma lui non c’era in nessun monitor.
Cercai di non farle capire quanto la cosa mi avesse turbato. E accettai la sua
proposta di uscire prima.
Certo di incontri strani ne avevo fatti negli ultimi mesi ma questo li superava di
gran lunga. Ma perché pensarci troppo, avevo incrociato lo sguardo di un
ragazzo carino e direi più sveglio di me, era poi così importante capire come
fosse uscito dalla biblioteca? Sbadata com’ero sicuramente sarà passato
davanti a me senza che me ne accorgessi. Sorrisi. Non avevo voglia di rientrare
a casa. Così prendendo la mia bici giallo scuro decisi di andare verso l’ospedale
dove lavorava mia sorella. Mi capitava spesso di andare a farle una sorpresa,
emergenze permettendo ovviamente. Entrando tutte le infermiere del reparto
mi salutarono, mi conoscevano bene ormai di tutto il tempo passato in
Danimarca almeno una grande parte era stata proprio tra quelle mura, per
nonno, per Anne.
La cercai ma non la trovai nella sala medici.
“Sto cercando la dottoressa Abbott saprebbe dirmi dove la trovo?”
“E’ impegnata in un emergenza e’ un intervento piuttosto delicato ma sono
sicura che tra poco uscirà. Vuoi aspettarla?” La caposala mi sembrava nuova,
evidentemente non aveva capito che sapevo benissimo come comportarmi. La
ringraziai senza dire molto di più.
Andai verso la sala d’aspetto. Le solite macchinette. Ora che ci pensavo la mia
fame si faceva sentire. Ma non vedevo niente che potesse interessarmi.
Ogni volta che mi sedevo per aspettarla mi concentravo sui volti delle persone
che attendevano li. Ero fortunata non avevo la loro stessa paura negli occhi. In
fondo sopra a un piccolo divano c’era una donna molto bella , quarantenne a
mio avviso,non smetteva di piangere un attimo. Nei suoi occhi rividi uno
sguardo. La madre di Mary quando arrivò in ospedale. Mi punivo ogni giorno
per ricordare solo dei flash di quella notte. Ma il dolore per la perdita non l’avrei
mai dimenticato, le urla di sua madre quando andarono a dirgli che Mary era
morta, e io mi trovavo in quella stanza così vicino, con una flebo che mi
impediva di correre da lei di impedirgli di morire. Avrei voluto urlargli di non
andarsene, che ne era stato della nostra promessa scambiata anni prima? Era
piuttosto stupido ma avevamo deciso che nessuna delle due doveva morire
prima dell’altra. Banale. Quante volte avevamo scherzato su questa cosa. Ma
quella notte, in quell’ospedale sentendo quelle urla mi sembro tutto così
macabro. Non mi ero accorta che una lacrima era caduta dal mio viso.
L’asciugai. Ecco perché Anne non voleva vedermi in sala d’aspetto. Perché lei
sapeva che il mio silenzio nascondeva molte cose. Nascondeva dolore. Tornai a
fissare quei volti, avrei tanto voluto trovare una parola perfetta per alleviare le
loro pene, ma non era possibile. Avrei potuto pregare, e forse un tempo l’avrei
fatto. Ma non ero più quella persona.
Un toccò interruppe i miei pensieri. Era mia sorella mi voltai e la vidi stravolta.
“ti stavo aspettando mi hanno detto di un emergenza.” Mi indicò il corridoio per
andare alla macchinetta del caffè come sempre.
“Già, un brutto incidente. ” mi guardò titubante. Lo sapevo che stava pensando
se dirmi o meno altri dettagli. Si fermò e una parte di me la ringraziò. “Credevo
lavorassi oggi?”
“Si lavoravo, ma sai Maggie mi ha detto di tornare a casa prima. Ho combinato
un mezzo disastro.” Arricciai il naso. Incontrare un ragazzo e credere che fosse
una visione era un disastro? Risi.
“Eh sentiamo sorellina stavolta cosa hai fatto?” Mia sorella era davvero l’unica
persona che avrebbe sopportato qualunque cosa avessi fatto. Era un peccato
che quando ero più piccola trovassi ogni scusa per contrastarla.
“Ho visto un ragazzo.”
“Ed e’ un disastro?”
“No no! Solo che e’ sparito! E non l ho ritrovato più…” le mie parole dovevano
apparirgli davvero confuse a giudicare dalla sua espressione. “Lasciamo
stare!!! Diciamo che mi sono presa delle ore per riposarmi.”
“Come preferisci. Io non credo che resisterò ad un'altra emergenza, capitano
sempre nei miei turni di notte!”
“Andrai a dormire da Christian? ” adoravo il modo in cui i suoi occhi si
illuminavano al solo sentirlo nominare. Non mi rispose ma tirò fuori la sua
mano dalla tasca. All’iniziò non capì del tutto, ma poi quel diamante mi accecò.
“non ci posso credere!!!”
“Invece si! Me l’ha chiesto proprio ieri sera!!! ” gettò il bicchiere vuoto e mi
abbracciò felice.
“Sono felice per te Anne! Davvero! Sai che ho un debole per Christian! Non ha
fratelli, cugini, amici con la stessa classe?” scoppiammo a ridere insieme.
“Però stanotte tornerò a casa, lui e’ fuori per lavoro. Non abbiamo ancora
deciso se andrò io da lui o verrà lui da noi, sai nonno… non posso lasciarlo solo
con te.”
“Ma me la saprei cavare non voglio che rinunci per me.” Il suo cercapersone
suonò.
“Ne riparliamo a casa.” Mi disse mentre già si allontanava.
“Ci e’ stata concessa mezz ora! Miracolo!” mi sorrise da lontano salutandomi
con la mano.
“Ti voglio bene sorellina!” alzai appena la mia mano e la vidi andare via.
Era la vita che aveva scelto, a volte la invidiavo lei sapeva cosa voleva dalla
vita, continuare col suo lavoro e avere una famiglia serena con l’uomo che
amava. Io invece non avevo prospettive. Il futuro non mi importava. Vivevo per
il presente e questo era già un bell’impegno. Andai verso le scale per scendere,
cinque piani ma non avevo molta voglia di tornare indietro per l’ascensore.
Scesi piano quando arrivai al secondo piano per un attimo ebbi dei brividi.
Oncologia pediatrica. A volte ringraziavo che mia sorella non lavorasse in quel
reparto come si poteva assistere quei bambini sapendo che le loro aspettative
di vita erano minime? La porta del reparto si aprì stavano uscendo delle
infermiere con i carrelli pieni di medicine, mi sporsi curiosa come sempre per
guardare verso il corridoio del reparto. Vidi due persone abbracciate. Non diedi
molto peso alla cosa, ma guardai bene. Era davvero lui! Il ragazzo della
biblioteca. Mi fermai e mi avvicinai la porta stava quasi per chiudersi, ma non
avevo dubbi. Quella statura, i suoi capelli castani. La stessa maglia bianca. Ma
perché quel ragazzo era proprio lì? Lo scattò della porta che si chiuse mi fece
sobbalzare. Prima in biblioteca ora in ospedale. Era strano. Molto strano. Forse
aveva un parente in quel reparto. Per un attimo mi sentii quasi in pena per la
situazione che stava affrontando li dentro. Una compassione sconosciuta per
una persona che avevo visto per trenta secondi nel pomeriggio. Assurdo. Io ero
totalmente assurda. Mi voltai di scattò scendendo e arrivando al parcheggio
dove trovai la mia bici ancora li vicino. Stava per calare il sole e dovevo
sbrigarmi a tornare a casa. Era bello sentire la sensazione del vento sulla pelle
mentre pedalavo. Non ci misi molto ad arrivare, sistemai per bene in garage la
mia compagna di ogni giorno ed entrai. Nonno era alla tv. Sgattaiolai in cucina.
Avevo veramente fame, mentre mangiavo qualcosa il telefono suonò.
“Ariel! E’ tua madre!” sempre lei. Ma possibile che non potesse smettere di
telefonarmi. Ogni giorno! Con Anne non aveva mai fatto così. Deglutì il mio
ultimo boccone e corsi in salotto. Nonno aspettava paziente con il telefono in
mano.
“Mamma! Come stai?” non mi dava fastidio sentirla ma era come se volesse
controllarmi anche da tutti quei chilometri di distanza. Voleva novità su cosa
facevo, chi conoscevo, ma in fondo voleva solo sapere se avevo ricominciato a
vivere. Mi aveva visto in uno stato terribile forse l’apatia peggiore che una
madre potrebbe vedere in sua figlia. Ora lavoravo, vivevo serena con mia
sorella. Ma non avevo amici, non avevo un ragazzo e non molta vita sociale e
non avevo impegni scolastici. Per mia madre non era cambiato poi molto ma io
stavo meglio. Continuò a parlare per venti minuti i miei monosillabi
sembravano soddisfarla.
“Mamma ora devo andare, stavo preparando dei panini al nonno.” Non fece
molte storie e mi lasciò andare.
“Si ti voglio bene anch’io.” Come una liberazione posai il telefono sul tavolo.
“Allora i miei panini?” Nonno mi guardava sorridendo. Non avevo preparato un
bel niente. E lui aveva già mangiato lo sapevo bene.
“Scusa banale vero?” mi avvicinai a lui.
“Per tua madre no, per me si. Sembra quasi che ti pesi che lei si interessi alla
tua vita.”
“Non e’ questo il problema. E’ il modo in cui l’ho fa. Non ho deciso di trasferirmi
per capriccio. Volevo staccarmi da tutto e in un certo senso anche da lei, e’
diventata così morbosa con me da quando...” mi fermai abbassando gli occhi.
Nonno mi guardò preoccupato.
“Non preoccuparti so cosa vuol dire. E puoi stare qui tutto il tempo che vuoi lo
sai questo vero?” sorrisi felice. Mi capiva sempre o forse semplicemente
cercava di farlo agendo per il mio bene. “Nessuno meglio di me ti può capire.”
“Anche tu sei scappato da tutto e tutti?” rise. Non l’avevo mai visto sorridere in
quel modo. C’erano una sorta di amarezza nella smorfia del suo volto.
“Quando avevo qualche anno meno di te, mi ero trasferito qui in Danimarca e
sai ho incontrato una giovane donna molto affascinante.”
“La nonna?” la mia domanda mi sembrò stupida.
“No non era lei.” Mi guardò facendo spallucce.
“Pensavo che nella tua vita ci fosse stata solo lei. L’hai sempre detto.”
“Si in un certo senso si. Ma qui ho avuto una storia d’amore unica. Non nel
classico senso della parola però. ”
“E poi hai deciso di andare via dopo che era finita male?”
“In un certo senso. Ma non era mai iniziata. Ripensandoci mi sembra tutto un
sogno. La vedevo sempre intorno a me. Nei momenti in cui meno me
l’aspettavo. E le volte in cui siamo rimasti soli e abbiamo parlato sono state
pochissime. Eppure lei mi leggeva dentro come nessun altro al mondo.”
“E allora cosa e’ successo?” la mia solita curiosità. Era strano che nonno non
me ne avesse mai parlato, ero stupita ma in fondo non avevo mai pensato che
nel corso di una vita si potesse amare una sola persona, ma non me
l’aspettavo non da lui almeno.
“Lei e’ volata via.” Sospirò. E non disse altro. Vedevo qualcosa di terribilmente
romantico in quelle parole. Non sembrava volesse dire che era morta, come se
si fosse volatilizzata. Come la sua storia anche la nostra conversazione si
fermò. Nonno si alzò mi baciò la fronte dicendomi che si ritirava nella sua
stanza.
Ed eccomi sola. La tv era a portata di mano, fece un giro rapido di canali ma
niente sembrava soddisfarmi. Alla fine andai in camera scorsi velocemente la
mia libreria. Si sapevo come avrei passato quella sera leggendo uno dei miei
libri preferiti. Le affinità elettive. Mi sdraiai sul letto senza accorgermi del
tempo che passava, mi succedeva sempre quando mi immergevo nella lettura
una delle mie poche uniche e certe passioni.
Quando notai l’ora fuori era già buio. Dalla piccola finestra di camera mia si
vedeva la mezzaluna che illuminava ogni cosa. Andai ad aprire di più la tenda.
Amavo il riflesso che si creava sulla mia trapunta. Posai il mio libro e mi lasciai
cullare dai miei pensieri sul letto. La foto mia e di Mary al centro del mio
sguardo. Eppure continuavo a riflettere su quella giornata. Precisamente su
quel ragazzo. Era peggio di un chiodo fisso. Due volte lo stesso sconosciuto.
Avrei voluto rivederlo per potergli chiedere perché fosse in quell’ospedale ma a
che titolo l’avrei fatto. Io non era nemmeno sua amica. Sentivo il sonno che mi
stava travolgendo. Sbadigliando inizia a sussurrare domani. C’avrei pensato
domani. A qualunque cosa. Domani.

Mia sorella bussò alla mia camera per buttarmi giù dal letto. Era così presto,
solo le otto, eppure dovevo andare in biblioteca quella mattina, la mia sveglia
era già suonata ma prontamente l’avevo spenta. Lei era tornata dal suo turno
di notte esausta come sempre ma ormai era abituata ai suoi orari. Ancora in
pigiama scesi per darle il buongiorno.
“Nottata interessante?” mi guardò sarcastica.
“Oh si certo come sempre, io Goethe e la luna molto romantico!” sorseggiai il
caffè. Terribilmente amaro. Zucchero, zucchero iniziai a cercarlo ovunque
senza vedere che era di fronte a me.
“Senti sorellina ti voglio un gran bene, ma se non ti decidi a trovare una
compagnia, qualcuno con cui uscire ti sbatterò fuori a calci nel sedere! Sono tre
mesi! Avrai trovato qualcuno no?” riflettendo un attimo la verità era piuttosto
triste. Nessuno. Non le risposi.
“Del tuo disastro cosa mi dici?” posai la tazzina alzandomi in piedi.
“Si da il caso che il mio disastro ieri era nel tuo reparto! O meglio nel tuo
ospedale!” si voltò di scattò.
“Davvero? Ma scusa a quell’ora le visite sono terminate da un pezzo. E’ forse
un tirocinante?” E io che ne sapevo in fondo non lo conoscevo minimamente.
“Oh non lo so! Non ho mica detto che e’ l’amore della mia vita! E’ capitato di
incontrarlo lì! Chiuso discorso! Mi dai uno strappo in biblioteca?” Annuì e corsi
di sopra a prepararmi.
Il richiamo del mio letto era davvero forte, ma volevo anche scoprire qualcosa
in più sul mio disastro, anche se l’unico disastro in quel posto ero io.
Nel giro di un ora ero davanti al mio computer in biblioteca. Tutto era tranquillo
tranne i miei scatti verso la porta ogni volta che si apriva. Maggie da lontano
mi fissava ma stavo facendo il mio lavoro perciò non poteva dire nulla. Non mi
ero nemmeno accorta che nella fretta della mattina avevo lasciato il mio
cellulare a casa. Mi toccava tornare a piedi come ogni venerdì. Poco
importava. Stavo sistemando alcune consegne quando sentì il telefono della
biblioteca suonare, ero davvero impegnata così lasciai che rispondesse un’altra
ragazza che lavorava con me. Fu in quel momento che lo vidi. Era già dentro la
biblioteca. Mi chiesi come fosse possibile. Perché quel ragazzo entrava ed
usciva dalla biblioteca senza che io lo vedessi? Da dove poi? Mi stavo alzando
per andare verso di lui, in fondo una scusa l’avrei trovata. Ma mentre
camminavo fui fermata da Maggie.
“E’ per te, e’ piuttosto urgente.” Presi il telefono. E le uniche parole che misi a
fuoco nella voce turbata di mia sorella furono solo: ospedale, nonno,
emergenza. Non attaccai nemmeno gettai il telefono in mano a Maggie e uscì
dalla biblioteca mentre correvo mi scontrai con lui. Si proprio con lui.
Dannazione con tutti i momenti quello era il meno indicato. Non persi
nemmeno un secondo per guardarlo correvo di sotto. Lui mi guardò di sfuggita
forse mi avrebbe scambiato per una maleducata ma non potevo rifletterci non
in quel momento. Anne aveva detto che Christian era fuori dalla biblioteca con
la sua decappottabile nera che mi aspettava per portarmi da lei. Salì al volo,
era già in moto, corse come un pazzo per arrivare in ospedale.
“Sta morendo?” non riuscivo a pensare a niente di diverso. Non poteva morire.
Non poteva morire. Era malato ma non poteva andarsene. Non adesso. Non
l’avrei sopportato. Non ero pronta per un altro addio. Il silenzio di Christian mi
gelò ancor di più. Se ne stava concentrato e guidava. Arrivò all’entrata.
“Scendi. Posteggiò e ti raggiungo.” Entrai come una furia nel pronto soccorso.
Mi guardavo intorno ma non vedevo nessun volto familiare, finalmente però
un’infermiera che conoscevo andai a chiedergli notizie. Era di sopra, ancor
prima di avvicinarmi all’ascensore vidi Anne venirmi incontro e mi abbracciò.
Piangeva. Perché piangeva? Mi rifiutavo si darmi la risposta più ovvia.
“Andrà bene piccola.” Mi abbracciò. Era vivo. Era tutto ciò che potevo pensare.
“L’hanno portato in sala operatoria.”
“Ma che e’ successo sta mattina stava bene o sbaglio?” avere una sorella
medico mi era di grande conforto in certi momenti.
“Faticava a respirare, e poi l’ho trovato in terra ero uscita un attimo. Per
fortuna non era solo. Credo si tratti di un embolia polmonare. Non mi fanno
entrare perché sono coinvolta ma e’ affidato ai migliori medici quindi sta
tranquilla. Tra poche ore uscirà come nuovo.” Quanto c’era di vero nelle sue
parole? Proprio lei che voleva sempre proteggermi.
“Lo spero. Lo spero davvero. Christian sta arrivando.” Mi sorrise. E lo vidi
comparire alle sue spalle. Lei si voltò ad abbracciarlo, un bacio veloce, ma
pieno di significato. Dal primo momento che li avevo visti insieme mi erano
piaciuti. Erano una coppia bellissima. Mia sorella slanciata, coi suoi occhi verdi
e i suoi bellissimi capelli lisci e castani che le avevo sempre invidiato; era una
donna bella ma soprattutto davvero speciale. Si sarebbe fatta in quattro per le
persone che amava. A primo impatto in Christian vidi solo un bel ragazzo,
moro, occhi neri. Molto introverso, ma man mano che veniva nella nostra casa
nei piccoli gesti vedevo come si prendeva cura di mia sorella senza opprimerla
con la sua presenza.
Avrei voluto anche io un abbraccio così in quel momento. Un abbraccio dove
sentirmi al sicuro e protetta dal mondo. Ma non l’avevo.
“Perché non vai di sopra in sala d’aspetto? Ti raggiungo subito, devo compilare
dei moduli.” Quasi meccanicamente mi avviai verso l’ascensore. Era triste
pensare che di tutti i posti in cui ero stata in quei mesi l’ospedale era quello
che conoscevo meglio dopo casa mia. Arrivai e ringraziai il cielo vedendo la
stanza semivuota. Non avrei sopportato ondate di dolore e ansia quel giorno
bastava la mia.
Tamburellai con le dita, ora si che capivo come fosse snervante aspettare su
quelle poltrone. Controllai in tasca avevo delle monete, mi alzai per andare
verso la macchinetta. Forse un buon caffè mi avrebbe fatto bene. O meglio
qualcosa da sgranocchiare.
Almeno tenevo occupata la mia mente senza pensare a nonno sotto i ferri.
“Ti consiglio un caffè macchiato con doppia dose di zucchero.” Mi voltai. Non
era possibile. Il mio disastro. Era proprio lì davanti a me. Con un sorriso sul
volto che mi dava una certa tranquillità, una mano posata sul lato della
macchinetta. E mi fissava sorridendo. Era davvero uno splendore. Quei
bermuda beige e quella camicia a mezze maniche di lino bianca gli donava. Mi
ricordai che la mia bocca era spalancata da circa trenta secondi. Mi ricomposi.
O almeno ci provai.
“Grazie, in effetti stavo proprio pensando a un caffè.” Stavo per inserire le
monete.
“Offro io.” Di nuovo quel sorriso. E un piccolo occhiolino. Non era normale
l’iperventilazione che sentivo nel mio corpo. Lasciai a lui la macchina del caffè,
spostandomi. “Sono sicuro che questo ti aiuterà nelle prossime ore.” Mi porse il
bicchiere. E poi continuò per prenderne uno suo. Volevo formulare una frase
che avesse senso compiuto ma ero a corto di idee.
“Sono certo che tuo nonno starà bene.” Mi sorprese. Sapeva di mio nonno? Ma
certo forse in biblioteca aveva chiesto della pazza che gli si era fiondata contro
mentre usciva.
“oh grazie. Si lo spero davvero. Scusami per prima, sai in biblioteca avevo solo
fretta.”
“Non preoccuparti.”
“Chissà che avrai pensato.” Mi andai a sedere sul primo divano vicino alla
macchinetta. Lui mi seguì stranamente, ma ringraziai la mia buona stella per
questo. Mi sentivo in colpa in un certo senso mio nonno lottava per morire e io
passavo del tempo con un ragazzo che era decisamente interessante. Non
aveva nessun senso. Come la metà delle cose della mia vita.
“Veramente nulla. Potevano esserci molti motivi per il tuo comportamento. E
poi succede, come succede di lasciar cadere dei libri.” Le mie guance
divennero rosse. Ricordava solo i miei disastri bene. Partivo col piede giusto.
“Già! Sono piuttosto maldestra. Scusami per oggi.” Non rispose. E io non
volevo che la conversazione terminasse.“Perché sei qui? Voglio dire mi era
sembrato ieri di vederti nel reparto al secondo piano.” I suoi occhi d’un tratto
s’incupirono. Vidi come un’ondata di dolore. Mi pentii delle mie parole. Avevo
toccato un tasto dolente.
“Io vengo spesso qui. In quel reparto. ” colsi un velo di tristezza nella sua voce.
“Sono un volontario, vengo per aiutare i familiari ma anche per strappare
qualche sorriso ai bambini.”
“Sono sicura che riesci a farli divertire.” Non me l’aspettavo. Come poteva
stare accanto a tutto quel dolore? e riuscire a trovare il lato positivo. Io non
sarei mai riuscita. Da quando avevo perso Mary ogni dolore di chiunque altro
era insopportabile per me. Indossavo come uno scudo, evitavo tutto ciò che
potesse riportarmi alla mente quei giorni. Lo evitavo con tutta me stessa. Forse
era questo il mio grande problema. Non avevo affrontato quel dolore. Non gli
avevo urlato contro e ora mi divorava dentro. Mi perdevo nei miei pensieri
quando notaii che lui mi guardava quasi commosso. La cosa mi stupì davvero.
Sembrava fosse sul punto di piangere come se potesse sapere cosa mi stesse
passando per la testa. Come se vedesse il mio dolore.
"Ho forse detto qualcosa che ti ha turbata?" Non volevo che lo pensasse. Non
volevo. Cercai di sfoderare un sorriso convincente, ma non con ottimi risultati.
"Assolutamente. Stavo solo pensando che io non potrei mai fare quello che fai
tu qui." Era vero. Ora mi avrebbe scambiato per la solita ragazza superficiale
tutta moda e vestiti. Fece un lungo sospirò e spostò il suo sguardo dal mio
volto.
"Io non credo. Sento che se tu potessi incontrare uno di quei bambini anche tu
ti sentiresti in dovere di dargli un sorriso." Questa volta fu lui ha sfoderare un
sorriso disarmante. Come poteva credere questo di me se non mi conosceva
minimamente?
"E' il dolore delle famiglie quello che non sopporterei."
"Ma la voglia di vivere di quei bambini ti fa affrontare tutto." Era così ottimista.
Proprio opposto a me.
"Non credo valga lo stesso per me." Mi uscì una mezza risata isterica. Come
conoscevo bene la voglia di vivere, quante follie avevamo fatto ai tempi del
liceo io e Mary coi nostri amici? quante serate a divertirsi e ridere e scherzare o
inventare i giochi più improbabili del mondo! E quante situazioni imbarazzanti!
Bei tempi...
"Devi aver un grande dolore dentro." mi voltai di scatto quasi arrabbiata. Era
entrato in quella parte di me che era inaccessibile per chiunque. Mi fissava, lo
fissavo. C'era qualcosa in quegli occhi. Non era il solito ragazzo, non lo era. Era
come se volesse imprimere qualcosa nella mia mente con quello sguardo. Ma
cosa?
"E non l'hai superato ancora." Volevo fulminarlo con lo sguardo, ma non ero
sicura di riuscirci. Il mio cuore iniziò a palpitare. Perchè mi leggeva così
chiaramente. Perchè lui vedeva ciò che nascondevo con tutte le mie forze ogni
singolo giorno della mia vita?
"E' un peccato. Se tu l'affrontassi sarebbe un bene. Ogni dolore ci aiuta a
crescere a maturare, ci rende migliori."
"Non credo proprio!!!!" Il mio tono di voce era esagerato. Mi ero agitata troppo.
Però senza volerlo per colpa della mia impulsività gli avevo fatto capire che
aveva ragione.
"Io credo di si invece. Nulla accade per caso." Nulla accade per caso. Ci
credevo veramente una volta. Ma quella persona non mi apparteneva più.
"Scusami, non volevo farti agitare. Davvero. ora e' meglio se vado." Si alzò in
piedi. improvvisamente volevo fermarlo afferrarlo e pregarlo di restare li
ancora a parlare con me. Non sapevo perchè. Le sue parole mi avevano irritato.
Aveva colpito nel segno dentro di me. E forse quella parte di me aveva un
disperato bisogno di qualcuno che la facesse aprire e sfogare. Ma nessuno era
mai arrivato a tanto. Nessuno. Fermati. Fermati. Ma la mia bocca non parlava.
Vedevo il suo sorriso, le sue labbra stavano per dire qualcosa. Se ne stava
andando.
"No ti prego aspetta." Si fermò. mi alzai in piedi con lui. "Potresti restare finchè
mia sorella non mi raggiunge? Come avrai capito non amo molto gli ospedali e
non vorrei restare sola." Si mise le mani in tasca e ondeggiò col corpo. io
abbassai il viso imbarazzata. Cosa avrebbe risposto?
"D'accordo." Improvvisamente un lampo di gioia comparì sul mio volto e
quando lo guardai lui lo vide. "Ad una condizione però!" Tirò fuori la sua mano
ponendola di fronte a me.
"Certo dimmi." il mio disastro. Qualunque fosse il motivo per cui era lì l'avrei
ringraziato in eterno. Ero così curiosa.
"Vieni con me." Sorridendo mi tese la mano per stringere la mia. All'inizio ero
titubante ma poi senza problemi accettai. In fondo restare fermi lì non serviva a
nulla, il tempo passava incessantemente senza nessuna novità. Camminava a
passo sostenuto, arrivammo davanti all'ascensore. Non era un mio grande
amico e quando le porte si chiusero il mio piede che tamburellava per il
nervosismo doveva averlo fatto capire anche a lui. Rideva fra sè e sè. Pensavo
saremmo andati fuori, invece ci fermammo al reparto sotto. Oncologia
Pediatrica. Senza accorgermente frenai la sua mano prima di entrare.
"Non aver paura."
"No io non..." Non volevo, non volevo. Non volevo.
"So che ti sembrerà tutto strano e insolito ma lascia da parte tutti i tuoi dubbi o
pregiudizi. Vuoi entrare con me?" Erano le ultime due parole le uniche che mi
facevano trovare una buona ragione per entrare lì dentro. Feci un lungo
respiro. Potevo lasciare la sua mano e andare a cercare Anne ovunque lei
fosse. In fondo perchè dovevo stare lì con... accidenti non sapevo nemmeno il
suo nome! Senza senso. Ma c'era una voce dentro di me che mi tranquillizzava.
Annuì. non molto convinta. Entrai lentamente restando dietro la sua figura
imponente rispetto alla mia. Arrivo davanti ad una porta. Era la stanza di una
bambina. Fuori era appeso un cartellone colorato con alcune sue immagini
tutte sorridenti e felici. Lui mi fece l'occhiolino e poi entrammo, stava giocando
rannicchiata sul letto, la madre quando lo vide entrare si fece da parte in un
angolo, sembrava conoscerlo da tempo. La bambina si voltò di scatto e quando
lo vide si alzò in piedi sul letto tendendo le braccia verso di lui.
"Sei tornato!!!!" saltellando lo abbracciò. Era una bambina davvero bella.
Nonostante non avesse più i capelli. All'iniziò non la guardai per più di trenta
secondi voltai lo sguardo, mi faceva soffrire. Ma poi sentivo la sua risata
contagiosa e lentamente mi voltai verso di lei, sembrava incuriosita da me. La
madre mi fissava. Chissà cosa stava pensando. Proverà pieta per mia figlia. Ma
la mia non era pietà, era orrore perchè certe cose non dovrebbero capitare ai
bambini.
"E' una tua amica?" chiese entusiasta. Come se quella fosse una categoria che
le piaceva.
"Veramente vorrei che voi due diventaste amiche." Lei sorrise e io la guardai
finalmente dritta negli occhi. Due occhi azzurri profondi come l'oceano.
"avvicinati" perchè faceva tutto facile? iniziavo a detestarlo. Andai sul letto e
mi adagiai lentamente eravamo tutti li seduti. Io, la bambina e lui.
"Come ti chiami?"
"Ariel, il mio nome e' Ariel..." Le piaceva.
"Come la Sirenetta! Che bello!!!" Sprigionava energia da tutto il suo corpo.
Nonostante le flebo a cui era attaccata. Di solito quando si toccava il tasto
Sirenetta mi innervosivo sempre. Ma in quel momento non mi dava fastidio.
"E tu come ti chiami?"
"Hope." Lo guardai, si guardai lui. Speranza. La bambina si chiamava Speranza.
Perchè la cosa non mi stupiva? Doveva avere all'incirca 11 anni. "Sembri triste
lo sai?"
Perchè tutti cercavano di leggermi oggi!!
"Suo nonno e' in sala operatoria in questo momento. Ma sono sicura che starà
benone. Tu che dici?"
"Si certo! Anche io sono stata molte volte in sala operatoria, e' un pò fredda ma
poi ci addormentano e allora ti dimentichi tutto. Anzi ho fatto dei sogni
stupendi!" Scoppiai a ridere. Quella bambina era davvero simpatica. Scherzava
anche sul suo stato lì in ospedale. Non era da tutti. Mi guardai intorno c'erano
tantissimi peluche, foto, disegni, c'era colore in quell stanza. Vita. "Ti piace? Ho
sempre detto alle infermiere che erano troppo tristi quelle pareti grige. E
siccome devo stare tanto tempo qui, ho fatto di testa mia. E lui mi ha aiutato."
Gli prese la mano e batte cinque insieme a lui. E io mi rilassavo. Non ero più a
disagio. D'un tratto Hope si alzò in piedi. prese la flebo con se per non staccarla
e andò in un angolo della sua camera. La madre era sempre lì ma stava in
silenzio e la guardava felice di ammirare ancora una volta il sorriso di sua figlia.
Scelse con cura tra i suoi peluche poi venne verso di me. E me ne porse uno.
"Non so se tuo nonno ama gli scoiattoli, però questo peluche mi ha portato
fortuna durante la mia prima operazione, voglio regarlo a lui." Ero commossa. Il
suo pensiero così premuroso. Istintivamente la abbracciai. E lei senza troppi
problemi mi diede un bacio sulla guancia.
"Ecco vedi ora i tuoi occhi sono meno tristi."
"Hai proprio ragione!" dissi aiutandola a sistemarsi di nuovo sul lettino col
cuscino dietro alla schiena.
"Ti dò anche un altro consiglio, la roba che fanno da mangire qui..." mi fece
cennò di avvicinarmi a lei, e mi sussurrò il resto della frase all'orecchio. "E'
orrenda, quindi prendi le merendine alle macchinette per tuo nonno." Scoppiai
a ridere.
"Grazie del consiglio. Sono certa che mio nonno ti ringrazierà." Lei sorrise
compiaciuta. Entrò un infermiera.
"Hope e' l'ora della risonanza." lei annuì rassegnata. si avvicinarono a lei con la
sedia a rotelle. Ma si fermò prima davanti a me.
"Mi sei simpatica sai? Se nei prossimi giorni vieni a trovare tuo nonno, e magari
lui dorme, potresti passare da me. Potrei insegnarti qualche gioco divertente!"
Mi abbassai per mettermi davanti a lei.
"Lo farò con molto piacere." Mi rubò un altro bacio sulla guancia e andò via con
l'Infermiera. La madre prese la borsa per seguirla.
"Grazie davvero."
"Non si preoccupi signora. E' un piacere. Questa volta era del'aiuto di Hope che
avevo bisogno. " La donna lo abbracciò e andò via.
"Avevi bisogno dell'aiuto di Hope per me?"
"In un certo senso si." Uscimmò dalla stanza e io presi lo scoiattolo che mi
aveva regalato la bambina. "Hai visto non e' stato così terribile?"
"No..." aveva vinto lui. Però ero contenta di questo.
"Sono sicuro che il tuo dolore, e' vero e profondo. Ma anche loro soffrono ogni
giorno eppure lo affrontano a testa alta. Credo che ci sia molto da imparare da
questi bambini." Perchè mi faceva sentire così bene sentire queste parole da
lui?
"Sicuramente. Anche se... ogni situazione e' diversa."
"Ne sono certo. Ma forse aiutando Hope a superare il suo dolore, chissà magari
un giorno affronterai il tuo." Eravamo tornati davanti alla sala d'attesa. Non
volevo più toccare quell'argomento. Dal fondo del corridoio vidi mia sorella che
mi faceva cennò di raggiungerla. Finalmente novità! mi avviai senza pensarci
ma poi mi fermai e mi voltai verso di lui.
"Coraggio vai. Sono sicuro che tuo nonno vuole vederti." Era vero. Ma quel
ragazzo. Era stato la mia medicina in quelle ore, sarei impazzita nel mare dei
ricordi senza la sua presenza.
"Non so nemmeno il tuo nome." E volevo saperlo.
"Daniel. Ma tutti mi chiamano Danny." Me lo disse con una semplicità che mi
fece avvampare. mi avvicinai di nuovo a lui incerta su cosa fare. Ma mi fermai.
"Grazie Danny. Per tutto." Lui non disse nulla. Andai via lontano da lui. Ed era
come se man mano che mi allontanavo da lui, la sua influenza mi colpisse
sempre più invece. E avrei giurato di avergli sentito mormorare qualcosa. O era
solo la mia fervida fantasia? Qualunque cosa fosse, Danny aveva riaperto una
parte di me che credevo sopita per sempre.

Ancora frastornata per i momenti trascorsi con quel ragazzo sconosciuto, andai
da mia sorella. Procedevamo lentamente verso la stanza dove riposava nonno.
Lo vidi finalmente dal vetro. Aveva un colorito acceso, buon segno per fortuna.
"Tutto e' andato bene. Ora però e' ancora sotto anestesia. Andiamo a casa
credo sia il caso che mangi qualcosa e poi ti riposi. " Stranamente nonostante
tutta quell'attesa il mio stomaco non brontolava e nemmeno avevo sonno.
Veramente ora che vedevo nonno star bene il mio pensiero era solo uno. E mi
vergognavo di questo.
"So che tu sei più stanca di me ieri hai avuto il turno di notte, e oggi sei stata
qui in piedi. Riposati. Resto qui con nonno." Anne mi guardava scettica,
sfoderai il mio sguardo languido, che raramente funzionava però. "Prometto
che poi vengo a casa!" Mi abbracciò.
"D'accordo piccola testarda. Mangia qualcosa però."
"Lo farò!" L'avrei fatto? Forse. "Chiedo al'infermiera di entrare ora."
"Ti mando io la caposala." lei le conosceva tutte quindi non c'era alcun
problema. "Tesoro ma chi era quel ragazzo in fondo al corridoio con te prima?"
Sorrisi ripensando a Danny. Cosa potevo dirgli. Amico? Conoscente? Nah.
Decisamente... non lo conoscevo abbastanza. Ma mi aveva aiutato. E in
qualche modo si era conquistato uno strano sentimento da parte mia. Ero come
affascinata dal suo modo di colpirmi in pieno nei miei pensieri più remoti.
"Era il mio disastro!" Fu così che lo definii e la cosa mi risultò simpatica ancora
una volta. lei sogghignò immaginando già chissa quale tresca o love story. Io
non pensavo a questo invece. Quando mia sorella andò via entrai dopo essermi
messa il camice nella stanza di nonno. C'era solo una macchina che controllava
l'elettrocardiogramma. Fu come un flash improvviso. Mi ritrovai persa in una
stanza bianca. La stanza dei miei ricordi. c'era un letto. Una mano. e un battito
del cuore con un attivià celebrale inesistente. Nessuno sapeva che nelle due
ore prima che MAry morisse io ero riuscita a trovare la forza di entrare e dirle
addio. Scrollai la testa. Non volevo pensare a quel momento. Poi come di colpo
mi vennero in mente le parole di Danny. "Affrontare il tuo dolore." Non sapeva
nulla di me, per lui tutto era facile. Aveva forse lui vissuto ogni giorno con lei?
aveva forse sulla coscienza il peso della sua morte? Aveva forse visto lui il suo
corpo fermo immobile, impassibile. Morto. No. Lui no. ERo io. Io avevo questo
tormento dentro. Basta. Basta. Qualcosa urlò nella mia testa. Mi avvicinai a
nonno, cancellando il mio triste ricordo. Eccola la sua mano che tanto mi
piaceva, piena di rughe e così vissuta, avvicinai la sedia e la presi, mi
appoggiai di lato lentamente per non causargli nessun dolore e non svegliarlo.
Restai qualche minuto a pensare poi forse presa dalle mille emozioni
contrastanti di quel giorno mi lasciai andare accanto a nonno. una lacrima
cadde dal mio viso, non mi preoccupai di asciugarla nessuno mi vedeva. E poi i
ricordi mi accompagnarono nei miei sogni. Per la prima volta da molto tempo
non più tormentati come sempre.
Nel cuore della notte mi svegliai di soprassalto. l'orologio indicava le due!
Accidenti Anne doveva essersi preoccupata. Ma mi voltai e lei era dietro il
vetro. Io mi spostai e in quel momento cadde sulla sedia una coperta che
avevo sulle spalle, non mi ero nemmeno accorta di averla indosso. Chi aveva
messo quella coperta? Un infermiera di certo. Mi stiracchiai e notai che la mano
di nonno si era spostata sulla mia chissa forse si era svegliato per un attimo e
mi aveva trovato lì. Alzandomi cercai di non fare troppo rumore.
"Lo sapevo che saresti crollata."
"Non sono crollata!!!" Bugiarda. "Ora andiamo a casa vero?" Scoppiò a ridere.
Era venuta a prendermi probabilmente aveva chiamato un infermiera e gli era
stato detto che dormivo in camera di nonno. Ero stanca. E la schiena era
distrutta le sedie dell'ospedale erano veramente scomode. Mi cinse sulle spalle
e ci avviammo all'uscita.
"Grazie per la coperta." Era stata lei ovviamente.
"Non sono stata io." mi fermai guardandola sorpresa. "Te lo giuro sono arrivata
da dieci minuti e l'infermiera mi ha detto che ti ha trovato così." Non era stata
l'infermiera, non era stata Anne, e di certo nonno non si era ripreso
miracolosamente per mettermi una coperta sulle spalle. Quella coperta... per
un attimo la mia mente penso a una persona. No non poteva essere lui. Era
uscito dall'ospedale. Non era di certo tornato per mettermi una coperta sulle
spalle! Ma allora chi. Ero spaesata.
"Stai bene?" Anne vedeva che ero davvero perplessa. Mi sfregai le braccia si
stavo bene.
"Andiamo a casa." Restai in silenzio per tutto il tempo. Continuavo a pensarci.
Perchè fissarsi su qualcosa di così banale? Perchè era un gesto carino. Perchè
una piccola parte di me sperava che quel gesto carino venisse da una certa
persona. Le possibilità erano pari a zero, ma ero famosa per credere nelle
cause perse.
Fu quello il pensiero che mi accompagnò quella notte. E il primo della mattina
dopo. Forse avrei scoperto che era stata un altra infermiera o chissà quale altra
sciocchezza ma per quelle ore amavo credere che tutto fosse così. E la mattina
dopo quando entrai in biblioteca e me lo trovai seduto a un tavolo a leggere un
sorriso strano comparve sul mio volto. Lui o non lui. Dovevo ringraziarlo. E
avrei trovato un modo per scoprire se c'entrava qualcosa con quel gesto. Per
mia sfortuna si piazzò davanti a me Maggie. Domande di routine sulla salute di
mio nonno, io potevo restare a casa a riposare e tante altre parole che
nemmeno ascoltai. Oscurava la presenza di Danny davanti ai miei occhi. Alla
fine la ringrazia per le attenzioni e mi divincolai. Mi avvicinai a lui. Stava
leggendo un libro, sembrava completamente immerso quasi titubante passai
vicino a lui. Un passo dopo l'altro così lentamente che una formica mi avrebbe
battuto. Volevo che lui mi chiamasse, non volevo sembrare sfacciata.
"Ariel!" Centro! Mi voltai sorridente.
"Ciao!" mi indicò la sedia accanto alla sua e accettai entusiasta.
"Come sta tuo nonno? " Ecco il primo punto a mio sfavore. Se la coperta era
opera sua vuol dire che aveva visto nonno nel letto perfettamente stabile.
Peccato.
"Meglio, molto meglio. Mia sorella e' molto fiduciosa e io con lei." Calò il
silenzio. Era normale in fondo non c'erano molti argomenti tra noi tranne quelle
poche parole scambiate il giorno prima. "Volevo ringraziarti per ieri. Davvero.
Non avrei potuto passare quelle ore da sola." Lui sorrise, io ebbi un sussulto.
Era la cosa più bella che avessi mai visto. Ma ordinai al mio cuore di smetterla
di comandarmi, dovevo cercare un appiglio per capire una volta per tutto se
c'entrava qualcosa con la coperta."Volevo cercarti quando sono uscita dalla
camera di mio nonno per dirtelo ma non ti ho trovato più." A volte le bugie le
sapevo dire davvero bene! sotto al tavolo incrociai le dite. Perchè poi? Ero un
caso perso.
"Oh mi spiace. Sono andato via dopo averti salutato." Speravo non avesse
notato la delusione nel mio volto ma la sua voce sembrava davvero sincera. E'
stato belle crederci per una notte.
"Non e' un problema. Ho comunque trovato il modo di parlarti in biblioteca! E
per la prima volta senza disastri!" Cercai di ridere per tirarmi su. "Oggi andrai
dalla piccola Hope?” improvvisamente notai un cambiamento nella sua
espressione, sembrava distratto, assente. Si guardava intorno smarrito, se non
lo avessi avuto davanti giurerei che mi sembrava gli mancasse l’aria. Si sentì
un colpo forte. Mi voltai di scatto verso l’entrata della biblioteca. Era ancora
quel teppista. Sebastian. Quel ragazzo era il bulletto del quartiere non avevo
ancora intuito perché ma Maggie mi aveva avvisato adorava fare i dispetti
nella biblioteca. Era irritante ricordo la prima volta che lo vidi con la sua ara
smorfiosa e indifferente, spesso mi chiedevo cosa lo spingesse a disturbare la
pace che regnava in quel posto. Purtroppo tutti erano abituati. Maggie andò
subito da lui come al solito a chiedergli di andarsene ma lui urlava e sbraitava
cose senza senso. Io chiamai la sicurezza che era nell’ala adiacente
dell’università. Pochi minuti e avremmo risolto.
Sebastian:”Non vi piace un po’ di movimento? Siete così monotoni qui.” Disse
scaraventando a terra uno scaffale di libri. Mi percorse un brivido di rabbia. Lo
detestavo. E l’avevo visto troppe volte nonostante fossi li da poco.
Ariel:”Non hai di meglio da fare che venire a disturbarci?” dissi guardandolo
dritto negli occhi. “Se qui c’è qualcuno di monotono quello sei tu. Non sei più
un diversivo qui, sei solo patetico.“ Non ribatteva sembrava perplesso. L’avevo
forse zittito? Fece un profondo respiro e sembrava volesse continuare, sentiì
mormorare qualcuno dietro di me, mi ricordai di Danny mi rivoltai. Danny era
nascosto dietro uno scaffale piegato su se stesso. Camminai velocemente da
lui. Con una mano stringeva la maglia all’altezza del cuore. Mi spaventai. Gli
misi una mano sulla spalla.
Ariel:”Danny che ti succede?” Dall’altra parte della stanza sentìì la voce
irritante di Sebastian.
Sebastian:”Sei già scappata novellina?” Mi ripetevo di stare calma di non
cedere alla provocazione. Ero più preoccupata per Danny.
Danny:”Sto bene. Devo andare via di qui.” Non capivo. Il suo volto era
sofferente, agitato, in preda a un forte dolore. Voleva andare via… perché?
Ariel:”Ti porto fuori di qui. Coraggio.” Feci per accompagnarlo verso l’uscita, ci
avvicinammo a Sebastian che bloccava il passaggio.
Sebastian:”Ospitate anche i moribondi ora?” sarcasticamente.
Ariel:”Smettila!! Tu, il tuo stupido modo di fare non porta a niente! Esci da
questa università vai a fare il teppista da un’altra parte!” Danny si era liberato
dal mio braccio mentre urlavo contro Sebastian. Lo sentivo sussurrare soltanto
una cosa “Non vicino a lui… ”
Sebastian:”Se sono qui c’è un motivo.” Disse quasi sfidandomi. E io mi
avvicinai al suo mento.
Ariel:”Non esiste un motivo al mondo per giustificare il tuo comportamento!”
Sebastian mi guardò dritto negli occhi, i suoi occhi neri così intensi , mi
spaventò.
Sebastian:”Non è a te che devo dare le mie spiegazioni.” Abbassò il tono.
Arrivò l’uomo della security a portarlo via. Lo conoscevano bene ormai, ma lui
la faceva sempre franca. Maggie si scusò con tutti per l’incidente. Io le fece
l’occhiolino. Mi guardai intorno qualche secondo dopo, Danny non era più lì.
Non era in quella stanza. Chiesi del ragazzo che si era sentito male ma nessuno
sembrava aver visto dove fosse andato. All’uscita c’era Sebastian come aveva
potuto abbandonare la biblioteca? Non trovavo una risposta alle mie domande.
Ma soprattutto per quale motivo era così preda di dolore? Non aveva senso.
Girai ogni singolo scaffale della biblioteca, di Danny non c’era alcuna traccia.
Era sparito, svanito, scomparso. Lui e la sua mano stretta al cuore. Non sapevo
che fare. Adesso ero io a sentirmi smarrita.

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