Sei sulla pagina 1di 22

Percorso didattico:

titolo

letteratura italiana:
Gabriele d’annunzio, il rapporto con la musica, la pioggia nel pineto.

Storia:
Musica e politica dal fascismo alla seconda guerra mondiale

Filosofia:
La presenza musicale nella vita e nell'opera di Nietzsche, l’amicizia con Wagner, la nascita della
tragedia, l’esaltazione della vita e della figura di Dionisio.

Storia dell’arte:
Kandinskij, il colore come la musica.

Latino:
Sant’Agostino, De Musica.

English literature:
Joyce, Ulysses

Geografia Astronomica:
L’armonia dell’universo, il moto dei pianeti nel sistema solare.

Fisica:
Impulsi e onde, i suoni.
La musica

Nell'antica Grecia con musica si intendeva una qualsiasi arte, medica, scientifica, letteraria, che
aveva come ispiratrice una dea detta "Musa".
Successivamente il termine musica è stato associato all'arte dei suoni; più specificatamente è basata
sulla combinazione gradevole ed espressiva dei suoni.
Gli elementi essenziali della musica sono due:
il suono, che è un fenomeno acustico prodotto dalle vibrazioni periodiche ed armoniose dei corpi
elastici;
il ritmo concerne, invece, i rapporti di durata dei suoni in relazione agli accenti.
La musica, come anche la matematica e la geometria, parla attraverso un linguaggio unico ed
universale che permette di tradurre in segni i suoni prodotti dai vari strumenti e le diverse melodie.
Le vibrazioni che la musica produce sono in grado di essere comprese da qualunque individuo
indipendentemente dal ceto sociale o dall'etnia e di esprimere sensazioni ed emozioni talmente forti
da scuotere le corde più intime dell'animo umano.
Come il cibo costituisce l'alimento necessario alla sopravvivenza del nostro corpo, l'arte e la musica
possono essere similmente paragonate al nutrimento emotivo del nostro spirito.

Un corda che vibra produce un suono. Una corda di sessanta centimetri, produce un suono che
convenzionalmente viene chiamato DO (UT per i latini), ed è il suono centrale di tutte le scale
musicali. Do rappresenta il suono della Terra mentre RE (RA per gli egizi) è il suono prodotto dal
Sole. Questo tipo di conoscenza risale alla scuola pitagorica. La scuola pitagorica, appartenente al
periodo presocratico, fu fondata da Pitagora a Crotone intorno al 530 a.C. La scuola di Crotone
ereditò dal suo fondatore la dimensione mistica dei suoi allievi-adepti attraverso la conoscenza
(gnosi) della matematica, l'astrologia, la fisica e la medicina la musica e la filosofia. Andando a
ritroso le prime testimonianze risalgono a Pitagora che secondo Giamblico era in grado di udire
l'armonia degli astri come in stato di trance. Secondo la teoria pitagorica, la stoffa dell'Universo era
composta di ritmi, numeri e proporzioni; e considerando che gli intervalli musicali quali l'ottava, la
quinta, la terza si potevano ottenere facendo vibrare corde le cui lunghezze erano frazioni intere
della lunghezza della nota fondamentale, lo stesso si poteva dire per il cosmo come sistema
armonico, i cui sette "pianeti" conosciuti (Sole, Luna e i cinque pianeti visibili) potevano essere
messi in corrispondenza con le sette note naturali.

Benchè la musica sia un’arte la musica stessa concettualmente si regge assolutamente su rapporti
matematici, quindi scientifici, che vengono rappresentati da frazioni. Ad esempio l’ottava, o la
quarta sono rapporti 1:4 1: 1:2; 2:3 di una corda do è =Sol. Ogni pianeta corrisponde quindi ad una
nota, Secondo il racconto dello storico Plinio, nel modello pitagorico abbiamo una precisa
corrispondenza tra distanze astronomiche ed intervalli musicali, così che considerando per esempio
che la Terra emetta un do, nota base della moderna scala musicale, si ascolterebbe la seguente
successione di note: do, re, mib, mi, sol, la, sib, re. Ma questo avviene ovunque non solo nel sistema
solare. A 250 milioni di anni luce il buco nero della galassia NGC 1275 emette un "sì" talmente
basso da non poter essere udito da orecchio umano. In un'immaginaria tastiera di pianoforte lunga a
piacere la nota si trova 57 ottave sotto il "do" centrale. Il suono emesso dal buco nero ha una
lunghezza d'onda di 36 mila anni luce e con la sua possanza scalda la gigantesca nube di gas e
polveri che circonda il buco nero. La nota celestiale è prodotta, secondo Andy Fabian di Cambridge,
autore della "osservazione", dalla tremenda energia liberata dal buco nero che increspa i gas che gli
fan corona. E' consolante che la scienza moderna torni a parlare di una sorta di musica delle sfere,
che accompagna l'osservazione dei cieli da qualche millennio prima di Cristo. Già Dante nel
Paradiso raccoglieva un'eredità secolare quando cantava:

"Quando la rota, che tu sempiterni


Desiderato, a sé mi fece atteso,
Con l'armonia che temperi e discerni,
Parvemi tanto, allor, del cielo acceso
De la fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso". (Par I, 76-81)

Questa mistica unione di armonia prodotta dalla "girazione"(modulazione) delle sfere celesti con la
luce onnispandente si ritrova in Cicerone, che a Scipione Aureliano fa ascoltare, durante il sonno, la
medesima musica, e che gli fa chiedere, stupito:

(Somnium Scipionis, 18)

"Ma che suono è questo, così intenso e armonioso, che riempie le mie orecchie?". "È il suono",
rispose, "che sull'accordo di intervalli regolari, eppure distinti da una razionale proporzione, risulta
dalla spinta e dal movimento delle orbite stesse e, equilibrando i toni acuti con i gravi, crea accordi
uniformemente variati; del resto, movimenti così grandiosi non potrebbero svolgersi in silenzio e la
natura richiede che le due estremità risuonino, di toni gravi l'una, acuti l'altra".
Anche Keplero, sulla soglia ancora spuria della scienza meccanicistica moderna, dà per scontata
l'armonia del mondo:

"Duo sunt, quae nobis harmonias in rebus naturibus patefaciunt, vel lux vel sonus" (Harmonice
Mundi, liber V caput IV)

L’Astrologia è un’antichissima “arte” che studia le relazioni tra l’uomo e gli astri, uno strumento
dialettico basato sull’analogia, che ha basi profondamente scientifiche in quanto si basa su
effemeridi, ovvero la posizione esatta degli astri, ed i rapporti tra di loro in senso musicale e di
armonia. Quando un astrologo eventualmente pronuncia un “Saturno contro” descrive delle energie
reali che possono avere determinati effetti legati alla sensazione che da quella determinata
frequenza produce opposta da un altra non compatibile. La musica produce emozioni ed un Saturno
contro può produrre determinati effetti che sono facilmente riscontrabili, infatti Saturno viene da
sempre ritratto come malinconico, triste. Il fatto che l’astrologo possa descrivere un tale evento non
gli conferisce alcun potere se non quello della rappresentazione artistica e dell’interpretazione.
Anche se qualcuno la definisce “scientifica” od una scienza, non è corretto chiamare l’astrologia
scientifica secondo i canoni condivisi dalla comunità scientifica, e che si rifanno al metodo
galileano, non è corretto definirla tale sempliecemente perché è un prodotto misto e mistico, arte-
scienza.
Jung ha spesso parlato dell’effetto “sincronicità” che significa legami nascosti tra eventi non
apparentemente consequenziali di causa ed effetto. Nel 1665 il fisico e matematico olandese
Christiian Huygens, uno dei primi a postulare la teoria ondulatoria della luce, osservò che,
disponendo a fianco e sulla stessa parete due pendoli, questi tendevano a sincronizzare il proprio
movimento oscillatorio. Dai suoi studi deriva quel fenomeno che oggi tutti chiamiamo 'risonanza'.
Nel caso dei due pendoli, si dice che uno fa risuonare l'altro alla propria frequenza.
Per lo stesso principio, se si percuote un diapason, che produce onde alla frequenza fissa di 440 Hz,
e lo si pone vicino a un secondo diapason 'silenzioso', dopo poco anche questo incomincia a vibrare.
La risonanza può essere utilizzata anche nel caso delle onde cerebrali. Studi che si sono serviti
dell'elettroencefalogramma hanno mostrato una grande correlazione tra lo stimolo che proviene dal
mondo esterno e le onde cerebrali. Inizialmente, le ricerche in questo campo utilizzavano
soprattutto la luce; poi, si e' passati ai suoni ed alle stimolazioni elettromagnetiche. Quindi il
cervello, sottoposto a impulsi (visivi, sonori o elettrici) di una certa frequenza, cerca di sintonizzarsi
sulla frequenza di detto impulso. Il fenomeno umano si chiama 'risposta in frequenza'. Per esempio,
se l'attivita' cerebrale di un soggetto e' nella banda delle onde beta (quindi, nello stato di veglia) e il
soggetto viene sottoposto per un certo periodo a uno stimolo di 8 Hz (onde alfa), il suo cervello
tende a modificare la sua attività in direzione dello stimolo ricevuto e quindi si rilassa e raggiunge
la pace e l’armonia. Astrologicamente queste sono frequenze piacevoli di Sole e Venere, mentre la
violenza emette frequenze superiori, quelle di Marte ed Urano. Ma tutto questo parlare sulla
RISONANZA va ben oltre il puro gioco, infatti possiamo avere una risonanza meccanica, elettrica,
ottica, magnetica, nucleare, delle varie particelle, ma anche una risonanza della malattia o della
salute, della gioia o del dolore. Indagando il fenomeno della risonanza sugli esseri viventi entriamo
nel campo della "biorisonanza". Lo stato di malattia è uno squilibrio energetico con presenza di
frequenze anomale da rapportare ai vari fattori che hanno determinato la rottura dell’equilibrio
armonico delle frequenze dello stato di salute.
Secondo le antiche filosofie mistico-esoteriche, ma anche secondo le concezioni più avanzate della
fisica moderna, l’Universo è un unico grande sistema permeato da numerosissimi campi di energia
interdipendenti tra loro.
Ogni evento che accade in un dato istante ed in una determinata coordinata spaziale, sia essa a tre o
più dimensioni, si ripercuote su tutta il sistema; ecco perchè é verosimile immaginare che il
movimento degli astri e le attività umane si possano correlare.

Per Sun Tsien, storico cinese della fine del secondo secolo avanti Cristo, la musica lega cielo e
terra:

"I riti e la musica manifestano la natura del cielo e della terra; penetrano fino alle virtù delle
intelligenze soprannaturali, fanno scendere gli spiriti che stanno in alto e permettono di salire a

quelli che stanno in basso".

Nell’Olimpo greco la “competenza” sulla musica viene assegnata ad Apollo, figlio di Zeus e di Leto
e fratello gemello di Artemide. Il suo strumento è la lira o cetra, che egli ottiene da Ermes in cambio
della mandria che questi gli aveva inizialmente rubato. Oltre che della musica, Apollo è il dio della
luce, della profezia, della medicina e della guarigione, ma anche della poesia. In che modo dunque
la musica, la luce, la poesia entrano in relazione tra di loro? Nel gusto per la misura e l'equilibrio,
nel rifiuto dell’eccesso e della deformità, e dunque nel privilegio per gli aspetti più razionali della
bellezza. Armonia. Si tratta dunque di un’emanazione (estetica o di valore) del logos divino sulla
Terra.

Altri menino vanto


delle parole che hanno scritto:
il mio orgoglio
sta in quelle che ho letto"

(J.L. Borges)
D’annunzio
Gabriele D'Annunzio o d'Annunzio come usava firmarsi è stato uno scrittore, poeta,
militare e politico italiano, simbolo del Decadentismo ed eroe di guerra. Soprannominato il
Vate cioè "il profeta", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889
al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. Sia in letteratura che in politica lasciò
il segno ed ebbe un influsso sugli eventi che gli sarebbero succeduti.
Egli nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese, che vive grazie alla ricca
eredità dello zio Antonio D'Annunzio. Compie gli studi liceali nel collegio Cicognini di
Prato, distinguendosi sia per la sua condotta indisciplinata che per il suo accanimento
nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua
prima raccolta poetica Primo vere, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce
successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881,
iscrittosi alla facoltà di Lettere, si trasferisce a Roma, dove, senza portare a termine gli
studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo,
collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e
orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane
D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.
Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 hanno grande
risonanza la fuga e il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da
cui nasceranno tre figli, ma che, a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al
1890. Compone i versi l'Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa
polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in
due parti L'Isottèo e La Chimera (1890).
Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il piacere (1889), che si colloca al
vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai
creditori si allontana da Roma e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo
Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida
miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il
poeta, dal quale ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa
delle difficoltà economiche, anche Napoli.
Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti. Nel 1894
pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e
dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L'innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo
della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori dall'Italia.
Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo
e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice
Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e
avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera ('97), Sogno d'un
tramonto d'autunno, La città morta ('98), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901),
La figlia di Jorio (1903).
Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la
destra e si unisce all'estrema sinistra (in seguito non verrà più rieletto). Nel '98 mette fine
al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei
pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme
alla Duse, poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle
della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi: Maia, Elettra, Alcyone (1903).
Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il
romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova
amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia.
Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita
mondana della belle époque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della
Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina,
musicata da Mascagni, e anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film
Cabiria (1914).
Nel 1912, a celebrazione della guerra in Libia, esce il quarto libro delle Laudi (Merope. il
quinto, Asterope, sarà completato nel 1918 e i restanti due, sebbene annunciati, non
usciranno mai). Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna
in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e,
traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite
imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un
occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921.
Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene eroe nazionale partecipando a celebri
imprese, quali la beffa di Buccari e il volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra,
conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia,
alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città,
instaurandovi una singolare repubblica, la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo
Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa
diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso
Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel museo-mausoleo
del Vittoriale degli Italiani. Qui, pressoché in solitudine, nonostante gli onori tributatigli
dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una
malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938.

Il rapporto con la musica


E’interessante scoprire un lato meno conosciuto di Gabriele D'Annunzio: il suo rapporto
estetico-ritmico-sensuale con la musica, in particolare, attraverso un'opera come il
Notturno (1918), composta in prosa durante un particolare momento di sofferenza del
poeta, costretto alla cecità, che i medici credevano senza ritorno. Ed è proprio il Notturno
a poter essere considerato una grande composizione drammaturgica, la tragedia dell'uomo
D'Annunzio, dell'eroe sofferente che raggiunge, forse, momenti di poeticità anche più alti
rispetto addirittura alle sue liriche più famose.
Un'opera in prosa che potrebbe benissimo essere trasposta sul palcoscenico. Il rapporto tra
Gabriele D'Annunzio e la musica fu caratterizzato da un legame intenso, che in ogni caso
non intaccò il primato delle lettere, ma forse si affiancò alla naturale propensione per la
poesia, superando le conoscenze e l'interesse per le arti figurative. Già in tenera età, infatti,
il D'Annunzio si esercitò sulla tastiera del pianoforte paterno, sotto la guida del maestro
Odoardo Chiti; Gabriele, tuttavia, non riuscì mai a superare le difficoltà tecniche per
essere considerato un vero "genio" musicale sia nell'esecuzione, sia nella composizione.
Così egli poteva ammirare nel 1882 l'amata Elda Zucconi dicendo che era in grado di
suonare "…con un impeto di tenerezza il 'Notturno' sublime di Chopin".
Sugli "Esperimenti" di acquisizione delle tecniche per eseguire musica, gli scritti di Romain
Rolland servono per chiarire lo stato d'animo del D'Annunzio e i suoi inutili tentativi: "…
gli suonai al pianoforte musiche di ogni epoca…fu colpito da alcuni Canti Gregoriani…e
l'Adagio dell'ultimo Quartetto di Beethoven lo portò alle lacrime…La sera, quando era
solo, provava a tentoni a improvvisare".
Questa "impotenza" a realizzare personalmente il discorso musicale non gli impedì,
probabilmente con l'aiuto di un musicista di talento rimasto sinora ignoto, di difendere con
sicurezza Wagner contro le tesi di Nietzsche nel 1893 sul giornale "la Tribuna" e poi, nel
1894, di approfondire con eccezionale intuito il Tristan und Isolde nelle prime pagine del
Trionfo della morte; e ancora di analizzare la struttura della sinfonia dell'opera Arianna di
Benedetto Marcello.
Il D'Annunzio, quindi, era soprattutto un appassionato, un amante della musica e in
particolare di quella di Beethoven, come è dimostrato nelle pagine del Notturno.
Al di là della collaborazione artistica con il melodramma del Novecento in veste di
librettista - il che era parte della volontà auto promozionale di un D'Annunzio manager,
agente di se stesso che si faceva pagare anticipi e sovvenzioni - e qui, a proposito,
ricordiamo La figlia di Iorio di Alberto Franchetti del 1904, Le Martyre de Saint Sebastien,
musicato da Claude Debussy nel 1911, la Parisina di Pietro Mascagni del 1913, la
Francesca da Rimini di Domenico Zandonai del '14, il Sogno d'un tramonto d'autunno di
Malipiero del '14, la Fedra di Ildebrando Pizzetti del '15, autore quest'ultimo anche
dell'incompiuta Gigliola e de La figlia di Iorio, omaggio tardivo, che risale al 1954, del
musicista al poeta - il D'Annunzio rimase un assiduo frequentatore di concerti, un animo
fortemente sensibile alle forme musicali.
Così i suoi scritti "diaristici" (Faville, Notturno e le Cento e cento e cento e cento pagine
del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire), dove la "prosa notturna"
raffigura un ridimensionato eroe, un uomo anche assalito da paura, malinconia, dolore,
angoscia, e dove la poesia alta lascia il posto a una prosa musicale sincera e a una voglia
di confessare le proprie emozioni, costituiscono una ricerca interiore raffigurata spesso
con immagini e tagli impressionistici: "Ricercando me stesso, non ritrovavo se non la mia
malinconia. Ricercando il mio silenzio, non ritrovavo se non la mia musica", si legge nel
Notturno.
E appunto nel racconto dei suoi mesi di "clausura" e privazione della luce, nel suo diario
"notturno" s'intravede un D'Annunzio poeticamente musicista, con forme liricamente sciolte
e risultati in prospettiva "moderni", più vicini al nostro sentire. Scriveva Alfredo Gargiulo
nel suo saggio uscito sulla "Ronda" nel 1922: "Così, assai probabilmente, nella sua
intenzione il 'Notturno' dovette svolgersi, sì, come racconto più o meno realistico di quelle
vicende, ma anche come una specie di composizione musicale, un seguito tutto legato di
motivi". Il giudizio del Gargiulo si amplia poi in modo deteriore: "Fu illusione: anche se
alla parola 'musica' si attribuisce il senso traslato, che solo le conviene allorché si tratta di
poesia. A meno che si vogliano chiamar 'musicali' soprattutto i passaggi, rapidi o graduali,
dai momenti di pena a quelli di sollievo; poiché tanto e non più la preoccupazione musicale
del poeta mi pare riesce a ottenere".
E continua: "Sarebbe da osservare, piuttosto dove la musica ha nuociuto senz'altro agli
elementi e rapporti della figurazione poetica. Le divagazioni, i corpi estranei (uno fra tutti:
il pezzo sui violoncelli), hanno un'origine puramente musicale".
E Gargiulo sentenziò infine: "Qualcosa che qui si distingue, fece in realtà tutt'uno con la
musicalità, nei propositi strutturali; e cioè la tendenza impressionistica".
Tuttavia gli eccessi impressionistici, che portano con sé inevitabilmente una costruzione ad
effetto, di tono artificioso, sono compensati dalla trasfigurazione, nella lotta contro la
morte e contro le tenebre, di un D'Annunzio che raggiunge lo stadio "uomo" e la poesia
realmente eroica, dove l'eroe è un sé più umano.

La pioggia nel pineto


"La pioggia nel pineto", pubblicata nell'Alcyone,descrive una passeggiata in pineta durante
la quale il poeta e la donna che è con lui vengono colti da un violento acquazzone, che
ridona loro un senso di intensa vitalità.La poesia è pervasa da una grande sensualità, da
una sorta di meravigliosa ebbrezza che afferra i due personaggi quando la pioggia si
abbatte su di loro.Si osservi la prima parola della poesia "Taci" : con essa il poeta invia
Ermione(la donna che è con lui) ad abbandonarsi completamente alla vita naturale, ad
ascoltarne in silenzio il suono; poco dopo più avanti dirà "Ascolta". Tutti e due si sentono
inaspettatamente parte viva del mondo naturale,immedesimati nella stessa natura, come se
fossero intimamente uniti agli alberi, alla vegetazione grondante che circonda i loro corpi:
i pini, i mirti, le ginestre e i ginepri.Domina in tutto ciò un forte senso di panico:questo
termine deriva da Pan , che è appunto la divinità della natura.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Nel pineto si scatena una vera musica, i cui strumenti sono la pioggia,le foglie,le piante, le
cicale, le rane. Alla musica naturale corrisponde la musica del testo che presenta un
incalzante ritmo ternario costruito su versi brevissimi e brevi come il trisillabo, il senario e
il novenario.Numerose le figure retoriche che contribuiscono all'effetto musicale del testo :
la brevità scandita richiede l'uso frequentissimo dell'enjambement, che già nei primi sette
versi è presente sei volte.Il ritmo è veloce ma spezzato, anche per via dei numerosi segni di
interpunzione e delle parole - verso :lontane, divini, silvani, leggieri, novella. La
prevalenza delle "i" nei nomi delle piante concorre a rendere più acuto il suono del testo
che imita la pioggia.Vistosissima (anafora) è la ripetizione dei vocaboli:su tutti domina la
parola "piove", ma rilevante è anche l'iterazione di "Ascolta".
Filosofia
Escursus sulla filosofia della musica
.

L'attenzione che alla musica di Nietzsche hanno dedicato storici, biografi, filosofi, critici
musicali e musicisti può essere ricondotta in parte alla volontà di ripercorrere le ragioni del
conflitto con Wagner: un antagonismo che mette in campo una complessa serie di fattori
difficilmente riducibili ad un denominatore comune.

Ad un ulteriore livello si riconosce il carattere equivoco di molte riflessioni consegnate ai


frammenti postumi. Ambiguità che riguarda il fatto che la musicografia nietzscheana sembra
muoversi in un campo di forze dominato da due principali finalità:

• valutare l'opera nei suoi fondamenti stilistici e in riferimento ad alcune scelte poetiche
illuminando il suo rapporto con una visione del mondo
• considerare la music alla luce di alcune reazioni di interesse psicologico indotte
nell'ascoltatore.

Tali finalità, con il tempo hanno lasciato scorgere il loro valore antinomico.
Nel delineare un tracciato dell'origine e della decadenza del Musikdrama, Nietzsche si serve di
nozioni ambivalenti: apollineo e dionisiaco esprimono due modelli artistici, due esemplari scelte
poetiche. Nietzsche ha fatto costantemente ricorso a questi diversi piani argomentativi, finendo
per far apparire problematica la loro fusione.

L'esperienza che illumina il panorama degli anni universitari di Nietzsche è l'incontro con
Wagner avvenuto l'8 novembre 1868 in casa dell'orientalista Hermann Brockhaus. Il contatto
con l'uomo che gli sembrava raffigurare il più alto ideale di artista del suo tempo, che aveva
realizzato capolavori come il preludio del Tristano e l'ouverture dei Maestri cantori, finisce per
rappresentare una chiave di volta nella formazione della personalità del giovane filologo.
L'influsso si lascia avvertire chiaramente nelle conferenze lette a Basilea nel 1870. Già nel
collegio di Pforta, Nietzsche aveva introdotto un parallelo fra la tragedia e il dramma musicale
wagneriano; ora nella prima conferenza, impiega esplicitamente il termine Musikdrama per
designare l'antica tragedia e confrontarla con il grand'opéra, considerato la sua moderna
caricatura. La polifonia dell'alto Medioevo sarebbe responsabile di aver inibito un adeguato
sviluppo della tecnica musicale dei greci. La decadenza si riflette nel passaggio dalla monodia
corale all'armonia e al contrappunto: artifici che, adulando l'occhio invece di catturare
l'orecchio, riflettono una atrofia del gusto.

Nella seconda conferenza, la fine del pessimismo tragico è interpretata come conseguenza di
un atteggiamento razionalista che ha il suo campione nella dialettica di Socrate. Araldo della
chiarezza apollinea, Socrate è il simbolo di un processo degenerativo interno alla cultura greca.
Al pessimismo tragico e inconsapevole con cui gli eroi esprimevano le forze vitali, subentra
l'ottimismo che ha di mira l'equazione di virtù e felicità. Espulso dalla tragedia, l'elemento
musicale prende il via di uno sviluppo autonomo.
A polarizzare negativamente questo elemento è la nostalgia per l'unione originaria delle arti,
idea che si accompagna ad una implicita stigmatizzazione dell'opera moderna.

Nell'inedito su La visione dionisiaca del mondo, scritto nell'estate del 1870, è più evidente il
proposito di riformulare questi temi alla luce della contrapposizione Apollo - Dionisio.
Nell'impianto generale del discorso si avverte l'influsso di Schopenhauer, che sembra
orientare anche la volontà di identificare nella musica una divisione interna fra l'elemento
ritmico-spaziale e quello sonoro.
La Nascita della tragedia espone in modo ancora più chiaro l'influenza esercitata dagli scritti
di Wagner. Wagner aveva individuato nelle sue sinfonie un passaggio dialettico caratterizzato
dall'armonia assoluta della musica cristiana, subordinato alla necessità di un inveramento del
dramma musicale.
A Nietzsche non piace molto questa spiegazione, dal suo punto di vista, così come in quello di
Schopenhauer, la poesia va considerata seconda... almeno in senso metafisico. Al centro di
questa filosofia si riconosce la tesi relativa all'impossibilità di conoscere la volontà al di fuori
dell'apparenza. Quest'ultima perde i connotati della secondarietà per configurarsi come
un'emanazione necessaria della forza originaria. In altre parole, non basta separare la musica
dalle altre forme di espressione artistica, bisogna farla apparire come un nucleo capace di
rappresentare la dinamica interna del sentimento.
Ecco che allora titanico e barbarico finiscono per coincidere: vi sono passi che mettono sullo
stesso piano la ritmica, l'armonia, la dinamica e ciò indica che dionisiaco e apollineo non sono
poi così estranei l'uno all'altro.
La dicotomia fa da sfondo anche alla Quarta inattuale. Qui traspare un sentimento di
profonda devozione per il maestro capace di invertire il corso della storia, la cui opera si
oppone all'opprimente dilagare della cultura odierna.
Nella interpretazione dei drammi musicali wagneriani l'accento cade sui grandi quadri
mitologici, talmente perfetti da funzionare come un sistema di pensiero. Costruiti
espressamente per il popolo, i drammi si prestano ad essere tradotti in concetti dall'"uomo
teoretico". E' il musicista a farsi filosofo cercando di trasmettere le emozioni fondamentali che
avvengono nell'intimo dei personaggi rappresentativi del dramma.

Dopo aver annunciato il congedo dalla metafisica attraverso la delineazione di una storia dei
sentimenti morali e una critica della vita religiosa, Umano, troppo umano (1878) affronta il
problema dell'"anima degli artisti e degli scrittori" allargando il discorso alla cultura moderna.
Si delinea uno schizzo storico: con l'avvento dell'illuminismo, il sentimento un tempo coltivato
dalla religione s' è riversato nella sfera secolarizzata dell'arte. In tale contesto la musica
sembra correre un principale rischio, quello di "corrompere lo sguardo del libero pensatore". La
critica coinvolge la tendenza dei musicisti moderni a improvvisare, ovvero a scartare
quell'autentico lavoro della composizione su cui si erano fondati i capolavori del passato.
Questo processo si può leggere anche nello sviluppo delle altre arti: impegnato a cogliere i
significati e i simboli, l'ascoltatore finisce per rendere i suoi sensi più ottusi.
In Opinioni e sentenze diverse (1879) e Il viandante e la sua ombra (1880), poi riuniti nel
secondo volume di Umano troppo umano, l'alternativa a questo processo consiste nel
riabilitare il carattere di parvenza dell'arte.
Gli aforismi de Il viandante e la sua ombra approfondiscono la linea di demarcazione che
separa lo stile tragico dallo stile romantico.
La musica di Friedrich Nietzsche

Stando alla testimonianza dell'albergatore presso cui alloggiava a Torino, la


crisi finale della malattia di Nietzsche, quella che lo gettò una volta per tutte
nelle tenebre della follia, fu preceduta da un lungo e forsennato suonare il
piano. Il fatto apparentemente marginale può invece avere una certa rilevanza
nel definire il rapporto intimo e continuo di Nietzsche con la musica. Non la
musica teorizzata dello "spirito della musica" e del dionisiaco, ma quella vissuta
di chi la musica sa non solo pensarla, ma anche suonarla e, come nel caso di
Nietzsche, scriverla. Musica che diventa manifestazione di un'interiorità che
non può esprimersi solo verbalmente.
In questo senso la presentazione, sia pure molto circoscritta, di alcune pagine
musicali composte da Nietzsche, può assumere il valore di una testimonianza
incomparabile sull'uomo Nietzsche, molto più che sul filosofo.
A ben ascoltare infatti, si potrebbe quasi dire che tra la filosofia e la musica di
Nietzsche l'unico legame è quello di essere state concepite dalla stessa
persona, quasi a segnalare una discrasia forte tra una sfera intellettuale di
lucidissimo e raffinato razionalismo e di straordinaria potenza, che si muove in
un'aria estremamente rarefatta, e una sfera emotiva fondamentalmente, ma
anche quasi ingenuamente passionale e, perché no, tenera.
Vero è anche però che laddove nella filosofia emergono non solo la profondità
e l'originalità, ma anche la "professionalità" che hanno fatto di Nietzsche un
maestro del pensiero contemporaneo, in musica Nietzsche è palesemente
amatoriale. Un amatore raffinato, anche dal punto di vista tecnico, ma certo
non in grado di eguagliare lo sforzo creativo dei musicisti della sua epoca che
vede compositori di estremo valore e anche di notevole portata innovativa,
basti pensare non solo alla coppia antipodica Wagner-Brahms, ma anche a
Debussy, a Berlioz, a Scrijabin, per citare solo i nomi più ovvii. E tuttavia, la
musica di Nietzsche non è mero sfogo sentimentale. Se forse è eccessivo
considerare Nietzsche come uno degli anelli di quel processo di sviluppo e
dissoluzione della musica tardoromantica che conduce all'atonalismo, non si
può nemmeno trascurare la presenza di alcune interessanti intuizioni
armoniche che forzano i limiti dell'ambientazione brahmsiana entro cui le
pagine musicali di Nietzsche sembrano per lo più muoversi. Quelle stesse
intuizioni che probabilmente portarono il classicissimo, ma anche "avvelenato",
Hans von Bulow a definire impietosamente alcune composizioni nietzscheane
"il peggior stupro di Euterpe" che gli fosse capitato di sentire. Certo si tratta
delle composizioni di un dilettante, ma sostanzialmente di forma alquanto
classica, o quantomeno canonica per la sua epoca con una tradizionale dominio
della linea tematica, piuttosto cantabile, su una base armonica per lo più non
particolarmente originale, ma neppure così inascoltabili. Viene allora il sospetto
che ciò che urtasse il famoso direttore d'orchestra e pianista, fossero proprio
certe libertà armoniche, di effetto abbastanza duro e stridente, che, pure nella
approssimazione della tecnica compositiva del filosofo, alludevano a sviluppi
dissolutorii dell'armonia classica prossimi a manifestarsi in tutta la loro potere
rivoluzionario.
Nietzsche dissolutore e innovatore anche in musica, allora? Probabilmente no.
Forse solo un'ulteriore manifestazione di quella sensibilità estrema per i
movimenti epocali, anche minimi, che costituisce il fondamento della raffinata
analisi critica della modernità che Nietzsche pratica nelle sue opere filosofiche.
Una capacità di ascoltare e di auscultare i più minimi fremiti di una cultura,
quella europea, che prolifera per disgregazione, la cultura della décadence.

Metafisica ed esistenza nella concezione


della musica
.
La ricostruzione del pensiero di Nietzsche sulla musica, sebbene trovi tracce e spunti in tutte le
sue opere, può realizzarsi compiutamente solo nella Nascita della tragedia. L'arte ha il
compito di produrre la conoscenza delle cose, ossi di presentare il mondo nella trasparenza
delle idee platoniche che lo determinano. La musica supera questo livello: in quanto riflesso
dell'essenza delle cose, essa precede ogni forma di oggettivazione. Anche se non oltrepassa il
diaframma dell'apparenza, la musica definisce con il suo simbolismo una forma di universalità.
La parentela con tutte le forme di volontà, intese come rappresentazioni che lasciano trasparire
la propria essenza, è ciò che garantisce alla musica estrema comprensibilità. I sentimenti non
sono il soggetto della musica, ma costituiscono l'esemplificazione con la quale la musica
prende forma nella nostra intuizione.
Lo schema metafisico mutuato da Schopenhauer definisce il dominio della musica su tutti gli
elementi che compongono la nostra rappresentazione del mondo. Non ponendo alcun oggetto
reale tra noi e la musica, non comporta necessariamente un abbandono delle immagini. La
musica viene definita da Nietzsche come stimolo della capacità immaginativa e in quanto tale
fa sì che il mondo dell'apparenza torni a noi per altre vie:

Chi si abbandona completamente all'impressione di una sinfonia, è come se si vedesse passare


davanti tutti i possibili fatti della vita e del mondo e tuttavia quando ci riflette, egli non sa
indicare nessuna somiglianza fra questi suoni e le cose che gli sono passate per la mente. (Il
mondo come volontà e rappresentazione, trad. di P. Savj-Lopez e G. De Lorenzo, Bari, Laterza,
1979, Vol II, § 52, p. 352)

Questo rappresenta un elemento fondamentale per la comprensione dell'arte. La musica si


esprime come forza generativa appunto perché si carica di immagini della stessa natura di
quelle oniriche, ma che non toccano l'essenza della musica stessa.
Il potere dionisiaco esercitato alla musica sull'ascoltatore implica l'oblio di ogni esperienza
ordinaria, ossia come il dispiegarsi del mito. Mito e musica hanno in comune la sospensione del
tempo fenomenico e questo dà all'individuo eternità e grandezza. E' su tale base che
acquistano senso tutte le definizioni negli scritti di Nietzsche che consegnano la musica ad una
dimensione eterna.
La musica, la quale va oltre le idee, anche dal mondo fenomenico è del tutto indipendente, e lo
ignora, e potrebbe in certo modo sussistere quand'anche il mondo non fosse:il che non può
dirsi delle altre arti (Il mondo come volontà e rappresentazione, trad. di P. Savj-Lopez e G. De
Lorenzo, Bari, Laterza, 1979, Vol II, § 52, p. 346)

Questa definizione non è altro che la dichiarazione de valore assoluto della musica.
Abbandonando il terreno della metafisica, si possono seguire le proiezioni della musica
nell'ambito della società e della storia. Il contesto in cui Nietzsche colloca storicamente il
nucleo originario della musica è il coro. Il coro (con i suoi componenti, i satiri) costituisce la
dimensione autentica della musica, introduce la prospettiva di una specie di religione naturale,
di una giustificazione del mondo derivante dalla contemplazione della natura.
Ciò che qui emerge è che il coro non svolge la funzione tipica dell'apollineo, di velare
illusoriamente il substrato crudele, di illusione e di morte della società ma, configurandosi
come veicolo del dionisiaco, sembra portare a compimento quel "talento filosofico" che rivela la
reale visione del mondo. Le articolazioni costitutive del coro riescono infatti a cogliere gli istinti
naturali nel momento del loro dispiegarsi, secondo processi specifici, nelle forme peculiari del
prodotto artistico: è all'interno della struttura del coro che si crea quel vortice metafisico nel
quale la natura diventa arte.
La caratterizzazione specifica del coro e della tragedia greca è una esperienza che consiste
nella fusione di singoli individui, finalizzata alla costituzione di una entità sovrapersonale, di un
unico immane individuo che rende possibile una visione epidemica, collettiva della musica. Il
superamento dell'elemento transitorio, personale ed individuale costituisce anche il carattere
essenziale del mito.

Soltanto dal punto di vista del coro si spiega la scena e la sua azione. Solo in quanto il coro
non è che la rappresentazione della massa dionisiaca esaltata, solo in quanto ogni spettatore si
identifica nel coro, esiste nel teatro greco un mondo di spettatori. L'espressione di Schlegel a
proposito dello "spettatore ideale" deve ora dischiudersi a noi in un senso più profondo. Il coro
è lo spettatore idealizzato, in quanto esso è l'unico osservatore, l'osservatore del mondo di
visioni della scena. (Frammento 9 [9], in Frammenti postumi 1869-1874, Opere di Friedrich
Nietzsche, Milano, Adelphi, 1973, parteI, p.279)

Qui vi è il tentativo di riabilitare lo spettatore, liberandolo dal ruolo di osservatore, è lo


spettatore restituito alla totalità del coro. Ascoltare, comprendere, significa in tale ambito porsi
nel flusso della musica, svolgere noi stessi la funzione di meccanismi semantici, essere nello
stesso tempo rappresentanti e rappresentati, contenuto e forma.
Il luogo comune di collocare la musica nella dimensione della comprensibilità immediata, qui
perde senso e si dissolve. Comprendere la musica significa penetrare in un simile circolo e
parlare di musica significa concepirla in un senso assoluto.
L'idea della musica assoluta capovolge la concezione, ereditata dalla tradizione operistica, che
intende la musica strumentale come forma deficitaria e incompleta. In tale ottica la musica
vocale si pone sullo stesso livello di fruizione della musica strumentale.
Il musicologo e il
musicista
.

Che la musica abbia avuto un ruolo insostituibile nello spirito della civiltà tedesca è cosa
evidente. Non deve perciò stupire il fatto che un illustre esponente di questa civiltà, Friedrich
Nietzsche, si sia occupato di musica non solo da un punto di vista filosofico, bensì anche
pratico, w , se non certo al livello dei grandi compositori a lui contemporanei, senz'altro con
una competenza più che dilettantistica.

L'esperienza musicale niciana si sviluppa nell'universo familiare, in età precocissima; è del


nonno materno la consuetudine di organizzare in casa propria, secondo un uso assai diffusi in
Germania, esecuzioni private di musiche anche impegnative; ed il padre è ricordato dalla
moglie come abile improvvisatore pianistico. L'improvvisazione pianistica costituisce infatti il
pilastro su cui si appoggia la competenza musicale del filosofo tedesco, e per cui essa sarà più
apprezzata.

A Naumburg, dove soggiorna dal 1851 al 1858, Nietzsche ha occasione di frequentare il salotto
del Consigliere Krug, punto d'incontro anche di famosi musicisti; da alcuni suoi scritti del '58
sembra affiorare l'intenzione di dedicarsi esclusivamente alla musica. Gli studi proseguono poi
a Pforta, dove entra nel coro del Collegio Cistercense.

Negli anni immediatamente successivi, la preferenza niciana accordata alle esperienze più
classiche trapassa in un avvicinamento alla "nuova musica", precedentemente detestata:
Berlioz, Liszt, Wagner. Fino ad ora, infatti, la sua produzione musicale - tralasciando numerosi
frammenti ed abbozzi, tra cui una Messa - si è accentrata principalmente nei campi cameristici
del Lied (su testi di Groth, Rückert, Eichendorff, Petofi, Chamisso, Lou Andreas-Salomè, Byron,
oltre che propri) e della musica pianistica. Il suo carattere risente nettamente dell'impronta
schubert-schumanniana, tanto nella cantabilità melodica quanto nella preferenza accordata alla
forma degli Albumblätter, composizioni brevi ed essenziali. Il discorso armonico rivela qui
l'inesperienza di uno studio prevalentemente autodidattico; ma le ombre lisztiane e
wagneriane lo portano a complicarsi nelle opere seguenti, tra cui il poema sinfonico
Ermanarich (1861). Si propone infatti un percorso tonale più ampio e più fluttuante, articolato
in accordi dissonanti non risolti, ritardi, appoggiature, modulazioni improvvise.

A Lipsia dal 1865 al 1868, apprezzato conoscitore di musica, Nietzsche diviene critico musicale
per la Deutsche Allgemeine. Nel 1868 incontra personalmente Richard Wagner, col quale avvia
un'amicizia destinata a sfociare più tardi in polemica insanabile. Nel 1871 elabora un'opera per
pianoforte a quattro mani, i Sylvesterklange, definendola "manifestazione dionisiaca" (è dello
stesso anno la pubblicazione della Nascita della Tragedia) e la dona a Cosima Wagner quale
regalo di Natale. L'accoglienza con cui essa viene accolta dai coniugi Wagner è piuttosto
tiepida; nel 1872 Nietzsche riceve una dura critica da parte del direttore d'orchestra Hans von
Bülov per una successiva elaborazione della stessa opera, i Manfredklange. E' evidente che
anche sulla base di questi giudizi sfavorevoli Nietzsche si risolve a dedicare alla musica uno
spazio solo più teorico nel percorso filosofico che proprio dalla musica, in La nascita della
Tragedia, si è schiuso.

In questa complessa opera, l'essenza della tragedia classica (in particolar modo eschilea e
sofoclea) viene identificata in una diade di principi complementari: il dionisiaco e l'apollineo. Il
primo esprime la vera realtà dell'esistenza umana, fatta di dolore e di contraddizione, espressa
dalle amare parole di Sileno: "Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché
mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te
assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in
secondo luogo migliore per te è - morire presto". (1)

L'ebbrezza parossistica dei riti dionisiaci è il modo attraverso cui l'uomo può accettare questa
realtà. Tuttavia a lui è data anche la possibilità di rifugiarsi in un mondo di fantasia, di sogno,
di belle forme: appunto l'apollineo, la cui massima espressione fantastica sono le perfette
divinità dell'Olimpo, nelle cui umane vicende l'uomo può identificarsi. E l'apollineo si identifica,
nella tragedia di Euripide, con il socratico: con il mondo della logica e dell'evidenza, che
sostituisce il piacere della conoscenza razionale a qualsiasi altro tipo di piacere, l'ottimismo del
sapere al pessimismo dell'accettazione (in senso - ancora - schopenhaueriano), fino al limite in
cui il razionale brucia i suoi limiti e si autodistrugge, convertendosi nel suo contrario.

La scultura e la poesia epica sono espressioni dell'apollineo; esse creano immagini, sogni; il
dionisiaco, per contro, trova la sua espressione più compiuta nella musica. La musica nasce da
un'identificazione totale dell'artista con "l'uno originario, col suo dolore e la sua
contraddizione"; il prodotto di quest'identificazione è puro, non riducibile a concetti ed
immagini.

Sono idee che risentono nettamente dell'estetica di Schopenhauer, oltre che di una
consapevolezza immediata ed essenziale della musica quale solo un improvvisatore, ancor più
che un compositore, può avere.

Nietzsche identifica una rinascita tragica, quale sintesi di apollineo e dionisiaco, nel Tristano e
Isotta di Wagner, dedicatario dell'opera. Tuttavia altrove entra in contraddizione, in quanto
afferma che la musica tollera solo con grande difficoltà, al suo fianco, elementi apollinei quali la
parola e l'impianto scenico dell'opera, o i "programmi" che nella seconda metà dell'Ottocento
sembrano essere divenuti indispensabili per qualsiasi espressione di musica sinfonica, anche
d'età precedente.

In effetti, da un altro scritto niciano coevo, Musica e parola, affiora un'estetica musicale del
tutto incompatibile con la poetica wagneriana del Wort-Ton-Drama. Viene qui infatti affermata
la priorità espressiva della musica sul testo, contrariamente al principio wagneriano secondo
cui la musica deve essere solo il mezzo per conseguire il fine, il dramma: "Mettere la musica
completamente al servizio di immagini, e di concetti, utilizzarla come mezzo allo scopo di dar
loro forza e chiarezza, questa è la strana arroganza del concetto di "opera"; (...) Perché la
musica non può mai diventare un mezzo anche se la si violenta, se la si vessa, se la si
tormenta; come suono, come rullo di tamburo, ai suoi livelli più rozzi e più semplici essa
supera ancora la poesia e la abbassa ad un proprio riflesso. (...) Certamente la musica mai può
diventare mezzo al servizio del testo, ma in ogni caso supera il testo; diventa dunque
sicuramente cattiva musica se il compositore spezza in se medesimo ogni forza dionisiaca che
in lui prende corpo, per gettare uno sguardo pieno d'ansia sulle parole e sui gesti delle sue
marionette." (2) Prosegue affermando che i migliori operisti sono coloro che meno danno peso
alle esigenze drammatiche del libretto, e che la musica drammatica perde ogni significato
dionisiaco, svilendosi a simbolo, a richiamo per la memoria (riferimento involontario ai
Leitmotive wagneriani?)

Alcuni studiosi hanno ravvisato in questa incompatibilità estetica di fondo la vera radice della
rottura tra il musicista ed il filosofo, che avrà cospicui echi nelle corrispondenze e in due scritti
posteriori, Il caso Wagner w Nietzsche contra Wagner (1888), realizzati a Torino ormai sotto
l'ombra della follia. (3)

E la musica, l'orgasmo dionisiaco è tutto ciò che resta a Nietzsche negli ultimi anni della sua
vita. A Jena, vegliato dalla madre, trascorre il tempo improvvisando furiosamente al
pianoforte, in stile wagneriano, si dirà.

Nata dalla musica, così nella musica si conclude la peripezia esistenziale niciana, alla quale
Thomas Mann si ispirerà per informare le vicende biografiche del musicista Adrian Leverkühn,
simbolo eclatante dell'essenza e delle contraddizioni dello spirito tedesco.
I Lieder
.
I Lieder composti da Nietzsche si presentano come un blocco compatto all'interno della sua
produzione musicale: un nucleo di nove Lieder scritti nel breve periodo novembre - dicembre
1864, preceduto da quattro prove significative che si collocano fra il 1861 e il 1863 e seguito
dall'unico Lieder su testo proprio nel 1865. Sono quindi brani scritti fra i diciassette e i ventun
anni che testimoniano un precoce talento musicale. Essi rimasero tutti inediti (ad eccezione di
Gebet an das Leben e sono stati raccolti e pubblicati per la prima volta da Georg Gohler,
Musikalische weke von F. Nietzsche. Erster Band. Die Lieder, Leipzig, 1924.
Ora compaiono in diverse raccolte, ma la trattazione più dettagliata di questi brani si legge in
Luisa Moradei, La musica di Nietzsche. Proposte di analisi, Padova, Zanibon, 1983, pp. 19-66.

Non è la concentrazione nel tempo che giustifica l'immagine di un blocco compatto, quanto
l'inserimento di questi Lieder nel flusso continuo del Lied romantico. Nietzsche infatti dimostra
infatti di conoscere e saper padroneggiare la koinè liederistica forgiata da Schubert e da
Schumann e di essere in grado di piegarla alle esigenze espressive sollecitate dai testi, che per
altro sono del tutto convenzionali.
Si pensa che questa produzione abbia una sua ragion d'essere anche senza essere
necessariamente riportata ad un vissuto dell'autore. Questo perchè il Lieder esprime già di per
sé uno stato d'animo che è un mascheramento del significato del testo nella musica.
Colpisce inoltre la varietà di situazioni espressive dei nove Lieder del 1864, giustificata non
solo dal diverso contenuto dei testi, ma anche dal rimando a modelli differenti di Lied, che
hanno poi vivificato tutta l'esperienza del Lied romantico.
Già il primo Lied, Mein Platz vor der Tur, si presenta come un aggregato che denuncia la sua
derivazione Schubertiana. Qui viene coniugato il ritorno del motivo iniziale con aperture
declamatorie, funzionali alla drammatizzazione. Balza all'occhio come la musica amplifichi e
arricchisca di risonanze profonde un testo all'apparenza assai povero di suggestione. Ma
dobbiamo considerare come questa funzione amplificatoria, faccia parte dello statuto stesso del
Lied romantico.
Da Geht ein Bach nasce come pezzo pianistico in coppia con So lach doch mal.
Per Beschworung, su testo di Puskin, egli sceglie una struttura strofica: l'invocazione all'amata
morta, che si trasforma in un rito d'evocazione del suo spirito, memore di una scena centrale
del Manfred di Byron, viene potenziata dalla ripetizione strofica.
I quattro Lieder su testo di Sandor Petofi meritano una breve presentazione del poeta. Petofi fu
un poeta originale, capace di sintetizzare in pochi versi una riflessione o di cogliere in
un'immagine naturalistica una metafora dell'esistenza umana. Nelle sue poesie si sente
l'influenza della poesia popolare magiara. Le sue liriche si diffusero in Europa sull'onda
dell'entusiasmo risorgimentale per il poeta soldato morto in battaglia. Il giovane Nietzsche non
si sottrae a questa tendenza, ma le quattro poesie che ha scelto esplorano una ampia varietà
di situazioni.
I tre Lieder su testo di Camisso, completano la gamma di situazioni espressive: troviamo infatti
il tono epico-arcaico della ballata in Ungewitter, il tono elevato, mosso nel canto e scandito da
incalzanti terzine in Ger und gerner, e quello raccolto in Das Kind an die erloschene Kerze.
Da uno sguardo genrale ai Lieder composti alla fine del 1864 emerge una sicura padronanza
dei mezzi tecnici e la consapevolezza di inserirsi in una tradizione che aveva nell'ultimo
Schubert il suo nume tutelare. In Junge Fischerin l'unico elemento veramente nuovo è la
fluidità della scrittura pianistica arricchita da ardite sperimentazioni armoniche.
Nel dicembre del 1865 Nietzsche abbozza un Lied si testo di Byron, Sonne des Schlaflosen,
tratto da Melodie ebraiche. Anni dopo, nell'agosto del 1882, trasforma un brano concepito per
pianoforte a quattro mani, l'Hymnus an die Freundschaft, in un Lied col testo di Lou Salomé,
Gebet an das Leben. L'amico Peter Gast ne appronterà una versione per coro e orchestra nel
1887.

L'esperienza liederistica si esaurisce tutta nella produzione giovanile.

Storia
Musica e politica dal fascismo alla seconda guerra mondiale

Sono molte le domande da porsi sul tema, vasto e complesso, dei rapporti che legarono musica e
politica dall’inizio del regime fascista alla seconda guerra mondiale. Lo studioso che ha analizzato
in maniera più esauriente queste problematiche, è Harvey Sachs, nel suo libro “Musica e regime”,
pubblicato in Italia nel 1995. Quanto il governo fascista si sia interessato alla vita musicale
italiana e chi, in particolare era maggiormente responsabile della politica musicale; come e quanto
cambiò la politica nei confronti di musica e compositori stranieri e quanta influenza ebbero il
razzismo e l’alleanza con la Germania sul mondo musicale, sono le principali questioni affrontate
da questo autore. Nessuno, prima di Sachs, se non Fiamma Nicolodi,1 nel 1984, si era occupato di
questo argomento, forse perché, fino ad allora, la memoria di quel periodo era ancora troppo viva
e i tempi non sembravano ancora maturi per affrontare queste problematiche.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, nacquero nuove tendenze compositive, con una
maggiore proposta di musica strumentale, in opposizione al genere del melodramma
dell’ottocento. Questo era, a grandi linee, il quadro che si presentava in Italia nel 1922, anno in
cui Mussolini salì al potere. Egli, credendo profondamente nel proprio genio di statista, tentò di
assumere il controllo di ogni aspetto della vita sociale e culturale italiana, e così anche in ambito
musicale. Sembra indubbio il grande amore di Mussolini per la musica (egli stesso suonava il
violino): a volte esternava la sua grande passione per Beethoven, pur volendo essere considerato
un modernista; ma poi, nel 1931, inviò direttive perché fossero favorite più che le esibizioni di
solisti, quelle di “orchestre sinfoniche la cui esecuzione dà un’idea anche della disciplina collettiva
della massa.” Anche la musica doveva servire a trasformare gli italiani in un popolo rude e
militaresco, allontanandolo da ogni forma di inutile sentimentalismo. Così anche la musica fu
sfruttata per trarne ogni possibile vantaggio politico.

Ma come e da chi era governata la vita culturale italiana? Il segretario del PNF, Achille Storace,
era ritenuto ignorante e privo di interesse per ogni forma di arte che non contribuisse
all’esaltazione del regime. A capo del Ministero della pubblica istruzione, da cui dipendevano
anche i conservatori musicali, era stato posto inizialmente (dal 1922 al 1924) il filosofo Giovanni
Gentile, che pur essendo di ideologia fascista non esitò ad assumere intellettuali contrari alla
politica di governo. Egli tentò di varare un programma di riforma della scuola che però, ritenuto
dai suoi successori troppo elitario, fu presto abbandonato per preferire una sempre maggiore
educazione dei giovani nella fede del fascismo. Forse la maggiore innovazione si fondò
sull’introduzione del canto corale fra gli insegnamenti delle scuole elementari. Quasi
contemporaneamente al varo delle leggi razziali, nell’autunno del 1938, si tenne a Venezia un
convegno per definire le necessità della scuola italiana in campo musicale. Bottai, allora Ministro
dell’Educazione nazionale, sostenne che “l’Italia dell’Impero attende dai compositori italiani
un’arte che sia all’altezza del presente momento storico, che sia, cioè, significativa della più
schietta virtù della stirpe”.
Fu il Ministero della cultura popolare (Minculpop) ad esercitare l’influenza più profonda sulla vita
musicale italiana, attraverso l’Ispettorato per il teatro, divenuto poi Direzione generale dei teatri e
della musica. Questo dimostra anche quanto fosse considerata importante la musica, in tutte le sue
espressioni, per la propaganda di regime. Furono istituiti il Sindacato nazionale fascista dei
musicisti, con ampie competenze a livello nazionale, da cui dipendeva il Fondo nazionale di
assistenza, ed infine nacque la Corporazione dello spettacolo, posta sotto la giurisdizione del
Ministro delle corporazioni. Queste erano le principali strutture che governavano la vita musicale
italiana. Il fascismo giunse a governare le attività di tutte le istituzioni musicali, dalle scuole ai
conservatori, ai teatri, ai festival ed ai concorsi. La politica fascista non modificò sostanzialmente i
programmi di istruzione scolastica e professionale dei musicisti, ma l’autarchia e l’antisemitismo
influenzarono certamente tutto il sistema.

La canzone popolare
Il genere musicale della canzone diventò un fenomeno di massa dall’inizio del novecento grazie al
diffondersi del più importante e innovativo mezzo di comunicazione dell’epoca: la radio. Ma fu
proprio con la seconda guerra mondiale che le trasmissioni radiofoniche vennero utilizzate
ampiamente per la propaganda, non solo attraverso i notiziari ed i bollettini ufficiali, ma anche per
mezzo delle canzoni.
In Italia, alla vigilia della guerra, i possessori di apparecchi radiofonici erano circa 1.200.000,
mentre in Germania addirittura 12.000.000. La radio assunse un ruolo fondamentale nella
propaganda di guerra, annunciando alla folla radunata nelle piazze, ai reparti militari e alle
fortunate famiglie che possedevano un apparecchio, le principali tappe politico-militari del
conflitto. L’attenzione delle autorità politiche e di quelle militari, per questo strumento di
comunicazione fu sempre molto alta. Le truppe erano dotate di apparecchi ricetrasmittenti, sia per
promuovere programmi dedicati ai militari, sia per vigilarne l’operato ai fini della sicurezza
militare, sia per battere la contropropaganda del nemico.
Con l’entrata dell’Italia in guerra, la trasmissione radiofonica dedicata alle forze armate diventò,
da settimanale, quotidiana e, con il progredire del conflitto lo spazio dedicato alla guerra e ai
combattenti aumentò ulteriormente. Alla fine del 1942, le trasmissioni speciali di guerra
raggiunsero il loro numero massimo con un programma dedicato a tutti i combattenti, oltre a
programmi per i feriti di guerra, per le notizie da casa e trasmissioni dedicate ai congiunti dei
militari. Inoltre, nei vari teatri operativi e nei territori occupati, andavano in onda particolari
programmi diffusi dalle stazioni locali.
Le trasmissioni radio non sempre raggiunsero i fini propagandistici desiderati: alcuni programmi,
come il Commento ai fatti del giorno di Appelius, riscosse scarso successo fra i militari.
La storiografia ha studiato l’evolversi del conflitto attraverso ogni genere di documento scritto e
anche attraverso i documentari ed i filmati di guerra, ma raramente sono state prese in esame le
canzoni. Queste ci permettono di ricostruire un itinerario psicologico e sociologico attraverso le
trasformazioni dei sentimenti sia pubblici che privati durante gli anni di guerra.
Inizialmente le canzoni alimentarono euforia e false speranze che si trasformarono, con il protrarsi
del conflitto, in dubbio e incertezza. I testi delle canzoni furono via via sempre più retorici per
mascherare o minimizzare gli insuccessi e le sconfitte militari. Il regime cercò con ogni mezzo di
sostenere il morale delle truppe al fronte e per assicurarsi l’appoggio della popolazione nella
produzione bellica, sia ricorrendo ad immagini patriottiche sia diffondendo canzonette di svago.

I canti del fronte interno


L’entrata in guerra venne vista tutto sommato con ottimismo e la convinzione generale era che si
trattasse di un conflitto breve e vittorioso: nessuno si rendeva ancora conto ancora che era appena
iniziata una nuova guerra mondiale. L’Inghilterra, sola a combattere contro le potenze dell’Asse,
sembrava non avere alcuna possibilità di successo quando le truppe italiane attaccarono la
Francia sulle Alpi Occidentali e l’Inghilterra in Africa.
La propaganda di regime svolse un enorme lavoro per guadagnare l’appoggio entusiastico delle
masse e la radio ebbe un ruolo determinante anche attraverso l’uso della canzone.
Immediatamente la censura iniziò una vera e propria campagna di epurazione della canzone da
qualunque genere melodico di provenienza straniera, in particolare americana.
L’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) dipendeva direttamente dal Ministero per la
Cultura Popolare, nella cui Direzione Generale Propaganda era inquadrato l’Ispettorato per la
radiodiffusione; ogni sera alle venti si trasmettevano insieme ai bollettini di guerra, canzonette che
inneggiavano all’eroismo, alla lotta e alla vittoria. L’idea della morte era sempre rappresentata o
come un evento remoto difficilmente realizzabile, in modo da sottolineare l’invincibilità del soldato
italiano, o come l’estremo e glorioso sacrificio per il trionfo della Patria.
I compositori italiani, posti sotto strettissimo controllo dal regime, facevano a gara nel comporre
brani per eccitare l’animo sia dei civili sia dei militari al fronte.
La canzone più nota di questo periodo era Vincere (datata proprio 10 giugno 1940), chiaro
esempio dell’esaltazione generale dei primi mesi di guerra. Nel testo si trovavano richiami alla
Roma imperiale, simboli di riscossa e di rivincita dell’Italia in campo internazionale. Lo scopo di
questo motivo era evidente: esaltare l’animo del popolo e la figura di Mussolini, cui veniva
attribuito un alone divino. Non solo la parola Vincere era ripetuta tre volte nel ritornello, ma
venivano riproposte anche alcune frasi significative del Duce in occasione della dichiarazione di
guerra del 10 giugno 1940. Il discorso iniziava con: Combattenti di terra, di mare e dell’aria! E la
canzone riecheggiava così: E vinceremo in cielo, terra e mare! Così veniva poi ripresa la parte
finale del proclama: Vincere! Vincere! Vincere! …. È la parola d’ordine d’una suprema volontà
(La parola d’ordine è una sola…. Vincere!).

Dopo dodici mesi, tutti avevano compreso che non si sarebbe trattato di una “guerra lampo” ed i
nemici erano ben identificati, ma la figura di Mussolini iniziava a perdere lo stampo divino,
ritornando ad essere “colui che comanda”. Ma lo scopo finale: Vincere, rimaneva un imperativo.
La caratteristica principale delle canzoni di questo periodo era proprio ubriacare le menti con la
continua iterazione di frasi e parole con un ritmo quasi ossessivo, che non doveva lasciare spazio
alla riflessione. I temi sono sempre i medesimi: colpire il nemico con i bombardamenti, avanzate
inarrestabili, glorie future e onore ristabilito. In ogni caso, la fiducia era totale nei confronti della
potenza dell’alleato tedesco.

Consapevoli della superiorità inglese in campo navale, i tedeschi puntarono tutto sull’aeronautica:
iniziò così la terribile “battaglia di Inghilterra”, fra la RAF e la Luftwaffe. Londra fu seriamente
colpita dai bombardamenti e Coventry completamente distrutta. Mussolini non voleva perdere
questa occasione ed inviò al più presto un corpo di spedizione aereo, formato da 75 bombardieri e
da 100 aerei da caccia. Gli apparecchi, troppo antiquati, non potevano reggere il confronto ne’
con quelli nemici, ne’ con quelli alleati, ma la politica fascista doveva tenere nascoste alla
popolazione le reali condizioni delle forze armate. Per questo il ruolo della propaganda si rivelava
primario, proponendo sempre motivi spavaldi.

Si voleva far credere che le nostre forze aeree fossero in grado di seminare morte e distruzione sul
nemico più acerrimo del regime, l’unico che rifiutava ostinatamente di arrendersi: l’Inghilterra.
Non solo gli Inglesi si trovavano in competizione per il controllo del Mediterraneo, ma anche nella
propaganda e nell’informazione. Si scatenò anche una guerra fra le emittenti
radiofoniche: l’EIAR e Radio Londra, quest’ultima ascoltata clandestinamente da tutti gli
oppositori del regime e da coloro che “volevano saperne di più” sull’andamento del conflitto. Le
trasmissioni di Radio Londra venivano studiate a tavolino da esperti della comunicazione e
preparate secondo un codice del dire e del non dire, senza però cedere mai alla menzogna; per
questo diedero molto filo da torcere alla propaganda di regime.

Potrebbero piacerti anche