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Capitolo 14 del libro “impigliati nella Rete” di Paolo Landi.

A cosa serve un’insegnante, un maestro, un professore nell’era di Internet? Se tutto può trovarsi lì,
se proprio lì si può accedere a informazioni immensamente più ampie e più approfondite di quelle di
cui dispone un insegnante, a cosa serve la scuola? L ruolo di chi deve trasmettere nozioni è ormai
minacciato dai discorsi che circolano in modo casuale e disordinato nella Rete e dall’enciclopedia
summa di tutte le enciclopedie, Wikipedia, quella che viene costantemente aggiornata dal
contributo dei suoi frequentatori, che possono aggiungere voci, integrarne o modificarne altre. Pare
più produttivo intrattenersi sui milioni di blog piuttosto che ascoltare una lezione in un’aula
universitaria o troppo affollata o deserta. Nei blog (tematici, di attualità, scientifici, personali) si
trovano molte informazioni. Se uno dei compiti della scuola, e dei docenti, era assicurare il dialogo –
perché, come si diceva una volta, quel che fa di una classe una buona classe non è che vi si imparino
nozioni ma che vi sia scambio, dialogo continuo – oggi questo compito se lo è assunto la Rete. Ogni
secondo nasce un nuovo blog su Internet: poche volte espressioni di intelligenza e creatività, molto
spesso sgabelli dove qualcuno sale ad arringare la folla di un malinconico Hyde Park. Sulla particolare
forma di ignoranza alimentata da internet non si è ancora riflettuto abbastanza. Gli esperti dicono
che la blogsfera finisce sempre più per influenzareil modo in cui i consumatori prendono decisioni di
acquisto. Il “diario” che diventa, ancora una volta, “negozio” conferma il sospetto di una Rete in cui
si scrive magari tanto ma per consultarsi, con chi li ha già comprati, sull’acquisto di un telefonino, di
una moto, di una videocamera digitale.
Pochi si preoccupano, nel redigere il loro blog quotidiano, di affinare il loro senso delle arti e
di allargarlo alle possibilità multimediali del mezzo che pure stanno usando, di riflettere sui vantaggi
e gli svantaggi dell’interattività, di misurarsi con il grande scoglio che Primo Levi indicava a un
giovane scrittore: vinta la paura della pagina bianca l’importante sarà avere qualcosa da dire e
trovare il modo per dirlo. E poi dov’è il “nuovo” in Internet? Cosa c’è di davvero nuovo o inusitato?
Quali sono i contenuti all’altezza della tanto sbandierata rivoluzione tecnologica? Sembra tutto
infotainment, quel neologismo creato per la tv generalista e che si adatta perfettamente alla Rete,
strapiena di informazioni e di intrattenimento.
A immagazzinare informazioni, purchè si abbia buona memoria, sono capaci tutti. Ma
decidere quali vadano ricordate e quali no è l’arte sottile che Internet non insegna. La Rete ci dice
“quasi tutto”, salvo come cercare, filtrare, selezionare, accettare o rifiutare certe informazioni. Il
senso di queste scelte può darlo solo la scuola che invece, per un complesso di inferiorità o per pura
ignoranza, qualcuno vorrebbe modellare sulle tre I di Internet, Inglese e Impresa, per fare coincidere
finalmente educazione e mercificazione, come se già le elementari fossero un apprendistato al
consumo di massa.

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