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Introduzione di Paolo Landi al proprio libro, “Impigliati nella rete”.

È necessario dire subito che della Rete non si può fare a meno ed è giusto che sempre se ne mettano
in luce le possibilità mai sperimentate prima e le potenzialità, come è senz’altro utile elencarne gli
aspetti positivi. Ma l’informazione attuale sul Web oscilla tra l’esaltazione di massa, accompagnata
da una sorta di richiesta di adesione acritica ai suoi meccanismi e lo sdegnoso e, a volte, snobistico
rifiuto di pochi e isolati detrattori, spaventati più che altro dalle sue degenerazioni politiche,
psicologiche e sessuali.
Mi è sembrato utile soffermarmi sulle contraddizioni più evidenti della Rete, certo non per
rifiutarla bensì per mettere in guardia chi la frequenta da ogni possibile abuso. Mi piacerebbe che
questo libro, in certi punti così critico nei confronti del Web, fosse letto come un gesto di speranza
verso le possibilità dell’intelligenza e dell’animo umani, come una spinta a usare le tecnologie più
che farsi usare da esse, cosa che sempre più spesso accade.
Mi piacerebbe lanciare la sfida – ai genitori, agli insegnanti, agli educatori in genere, ma
anche ai ragazzi – per un’educazione (e un’auto-educazione) alla diversità invece che
all’omologazione forzata delle mode. Ciò che questo libro mette davvero sotto accusa non è tanto la
Rete in sé quanto la nostra società e la sua infatuazione per l’intelligenza capitalistica delle nuove
tecnologie: vengono osannate più che altro quelle che esaltano il profitto ottenuto senza troppe
sottigliezze etiche e la moltiplicazione dei consumi, mascherati spesso dietro a false ideologie di
progresso.
Se qualcuno si accorge che il re è nudo non vuol dire che il re smette di essere un re.
Liberata dai suoi orpelli ideologici, la rete non è altro che uno strumento di informazione e di
intrattenimento. Prenderà il posto della vecchia tv e finiremo per frequentarla senza ipocrisia, senza
la falsa coscienza di partecipare ad una apoteosi della democrazia. Con la consapevolezza, semmai,
di essere parte di un processo di globalizzazione – economica e culturale – più sofisticato.
Impareremo ad usarla, come abbiamo imparato a usare il telefono, l’asciugacapelli, il
microonde, il fax, senza soggezione, senza per forza farci abbagliare da mitologie che, alla prova dei
fatti, mostrano la loro inconsistente fragilità. La tecnologia sarà allora un mezzo per vivere meglio e
non l’ambiente nel quale per forza dobbiamo vivere.

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