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ANTICHE PAROLE DI OGGI

DI GUIDO GERBONI
INDICE

- Ottobre

- Notte Esplose

- Sulla Linea
“In vita da Bardo

in barba alla vita,

non mi ho mai conosciuto così

squinternato…”
OTTOBRE

Cercando approdi che non derivino ammassi


desideravo essere preveggenza di me
non l'imprevisto decalogo
il previsto crollo ai beni,

avevamo le dita scornate,


le rampe volavano sodo
mi ripetevo la calma,
ma l'impeto era sfrondare i tombi,
scrostare i chiodi all'intonaco
sfoderare occhi dal tricipite
la carne attaccata alle ossa, le fibre verticali, le tirature ai
muscoli
il sangue vascolare
d'impeto pulsava copulando

la mano destra monca alla sinistra


si scompaginava in salmi
le gesta per impianto vocale
per voluttà dei pani
non moltiplicati.

Mi si impari il perché delle cose, quello vero


mi si lasci contare le pietre
mi si lasci anche andare dove non so
dove mi portano i piedi, dove divago sonnambulo giù per le strade

se non fosse per altro


sapere
dove andare
NOTTE ESPLOSE

La tua musica come un polso che astiene la febbre


sgombra l'inessenziale alle cose
le inonda al minimo perfetto di luce
un immenso come di illuso
non meno amato
un ombra che acceca
in piena
traboccante luna
sigilla,

le foglie gracidano

Quella notte esplose


a noi giganti
che invadevamo le strade
prendevamo a cuore
la vista illuminata riconquistata
alla nuova disposizione delle cose
ancora le fiamme
pulsavano dall'esplosione
la città frantumata
in ogni dove
implacabile

come da una primitiva visione

Come se d'improvviso ritrovassi il parabrezza


dove finito spiaccicato come un insetto
il canto di vertebre franasse
in frantumi,
come se da una scena all'altra
ci fosse un passaggio improvviso
un accelerazione a gravità otto volte dieci
da punto a piano
dall'invisibile alla trasparenza
dal me sognato
sgretolato in polvere d'umano
nell'attimo finale
di un amen verticale
SULLA LINEA

Sulla linea d'onda del sole


ancor prima di sbucare
sedevo all'ora in cui
ancora non ero il punto di stallo

e tenendo lo sguardo fuori quota


il cielo scorto alle montagne
rivolto in prossimità di una improvvisaalba
assorto in un minimo degrado
di splendore sperando

che esploso accadesse


in punta massima
quasi il desiderio rifacendo gli orizzonti al cielo

svelasse

il sapere qualcosa
di dove eravamo veramente
prima di perderci

II

La matrice metallica vibrava all'urto


delle dimensioni nucleari,
il vento scibile tendeva il sole
la geometria rovesciata del mondo
il cielo in tintura di iodio
tenero lo sguardo
tante vite radenti senza un filo di ragno
appese
una porta dagli stipiti rotti
che ogni corrente strapazza
III

Al bar dei cedri declinavamo


dove i limoni liquori
inforcavano a noi
e i semi nocciola tritati
zucchero di canna

e chi ho accanto
non ho cantato abbastanza

IV

una femmina d'uomo


nella totalità del mare
unica quasi punto umano
assorbiva ogni irradiazione,

e seguendo la linea delle sue forme


l'acqua saltava lumidisguardi
di impreziosite fragranze

Pendo dalle tue labbra,

fin da bambino
quando il pongo insegnava le mani
inventavo vegetazioni incommensurabili
ascoltavo ad ogni incredulità
le conoscenze segrete
animate a oltranza
il chierico che mi istruiva
la seduzione dell'amante invisibile
la promessa in sposa
che tenta il fiato sospeso
che dispiega a forza le apparenze
lo sguardo innestato di bachi
gli spifferi cospargono le strade
invadono l'aria
VI

I campi dove cospiravamo


le nostre intimità
come fioriamplessi allacciati
e il sacrificio non aveva il sapore dell'amaro
ed eravamo come vergini trafitte
l'uno nella grazia dell'altro.

Tolta la levata da un pugno di inchiostro


pendula nel passaggio del giorno
la nostra inconsolabile visione
ci rinfilza il rosario dal collo
ci piangono a lutto i vocaboli
ci perdiamo in parafrasi
la semplicità del verbo
il dirsi a noi
sciogliendosi
dell'insperato

VII

Mentre la finestra è un guado


i lampioni perlustrano una mancanza
il buio circospetto al silenzio
la scena consueta
le auto parcheggiate,
i vuoti di strada, le case sovrannaturali
le luci artificiali,
pensandoti, il respiro sgranato

la tua assenza che si dilata

VIII

Un barattolo di identità di vetro


parcheggio libero sonante
spiffera il vento
un laudatum a te
naturale
IX

Amavamo
accampare le nostre parole
in strani gesti
un che di definitivo
quasi una stilla
a filo d'osso,
una fibra primitiva,
il tessuto muscolare
nel pieno vigore del sangue
nel pieno irrompere dello Spirito

l'anima in contemplazione,

so tutto ciò
che mi invento
di sapere

Ora che non più la casa risuona


della tua presenza
e sono abbandonato qui
senza di te, senza poterti più accarezzare
ricevere le tue attenzioni, i tuoi richiami,
i tuoi sguardi di vita,
ora
è l'ora in cui mi perdo,
un baratro dove ricordare è piangere,
dove andare avanti è solcare un mare di troppo,
essere in un altra sponda che tutto ha lasciato alle spalle
diseredato, sciagurato all'oblio di mille fauci,

e la prospettiva è un punto morto

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