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Design strategico

"Design: non è solo questione di forma"; questo il titolo di un articolo di Philip Kotler1 nel quale
l'autore rilevava incomprensioni e malintesi, da parte del management, sul ruolo del design in
azienda. Una incomprensione che oggi, dopo quasi trent'anni, sembra ancora persistere: molti
imprenditori e moltissimi manager continuano a vedere nel designer uno stilista, attivo
generalmente in settori lifeware, quelli, cioè, dei prodotti dedicati alla casa e alla persona. Talvolta
l'imprenditore articola qualche altro ruolo per il design e alla domanda "in quale area il design
apporta valore alla sua azienda?" risponde, oltre l'ovvio della forma del prodotto, citando l'usabilità,
la comunicazione dell'identità e del brand e, per finire, altri aspetti di diverso tipo, dalla creazione
di siti web fino al progetto dei requisiti ambientali dei prodotti industriali. Aziende premiate a
livello europeo grazie a best practice di uso del design, dimostrano che il design si può applicare a
diversi settori (non solo lifeware) e dimostrano anche che una strategia di design non guarda solo
alla realizzazione di un prodotto bello e di qualità, ma anche all'identificazione di un'identità
precisa, una focalizzazione efficace, una tensione collettiva verso la progettualità: quella tensione
che alcune ricerche inglesi su aziende tessili design oriented chiamano silent design e che la
straordinaria verve comunicativa di Tom Peters definisce design mindfulness. Kotler presenta la sua
visione sul ruolo strategico del design spingendosi a formulare - in analogia con il marketing - un
vero e proprio design mix:
"il design è un processo che cerca di ottimizzare sia la soddisfazione del cliente sia il profitto
dell'impresa attraverso l'uso creativo degli elementi principali del design (la performance, la qualità,
la durabilità, l'apparenza, il costo) in connessione con i prodotti, gli ambienti, l'informazione e la
corporate identity". Kotler propone ai manager un pezzo di riflessione in più: il design deve
intervenire in azienda in connessione tra più aspetti, coordinando la pluralità mediale (edifici, logo,
prodotti, servizi, scelte distributive, display) con cui l'impresa si presenta sul mercato, definendo la
propria identità, ma dando anche forma alla propria strategia.
Il design strategico è il corpo disciplinare ed operativo che ha come oggetto di progetto (e di
coordinamento) proprio questa pluralità. Il nome con cui il design strategico definisce questo
insieme di elementi è sistema-prodotto: non basta avere un prodotto di qualità (estetica e produttiva)
perché lo stesso deve essere completato da una strategia di comunicazione coerente, da un progetto
di servizio efficace, dalla scelta di un giusto canale distributivo, da un corretto display del prodotto.
La combinazione di questi elementi è anche antidoto contro fenomeni di commodityfication: si può
clonare con facilità un prodotto di successo, ma è meno facile riuscire a replicare - allo stesso modo
- una strategia comunicativa, una innovazione distributiva, un servizio ad hoc. Il sistema prodotto è
anche sistema di senso: il consumatore non compra più un prodotto perché ha qualità ma perché
condivide il sistema di valori che l'impresa, attraverso il sistema prodotto, è riuscita a comunicargli.
Allenarsi ad una visione di sistema consente al designer strategico, peraltro, di individuare percorsi
inediti di innovazione come dar forma ad un canale distributivo originale per una serie di prodotti.

Strategia e design

La strategia di design si sposta su un piano cognitivo e se si focalizza sulle competenze che il


design può mettere a disposizione di un'organizzazione aziendale. Il designer, infatti, ha capacità
che sono oggi preziose per il management. È la situazione che lo consente: l'imprevedibilità dei
mercati e la maturità dei consumatori, richiedono all'impresa un approccio interpretativo e una
maggiore dose di visione. Il designer si configura allora, in aziende lungimiranti, come il "pilota
visionario" del management: in questa cornice di senso, risale di fatto l'organigramma, e da mero
"datore di forma" si trasforma in potenziale attore strategico. La visione è il risultato di un mix di
capacità. Come quella, ad esempio, di essere molto vicino al cliente perché il design è sempre dalla
parte del sistema dell'utenza. Ogni sua proposta prende spunto dalle esigenze (e dai sogni) delle
persone in contesti reali, quelle stesse esigenze che la gente già percepisce per sé ma che non è in
grado di esplicitare, perché non ha argomenti e strumenti e perché usa modelli interpretativi
reiterati. Il designer sa osservare e lo fa in modo sia implicito (perché, come nel design italiano,
anch'egli condivide i medesimi contesti di vita10) che esplicito, adattando strumenti derivati
dall'osservazione sociale ed. Il design ha inoltre la capacità di fluidificare conoscenza dentro i team
e nei team dei decisori (quelli, ad esempio, dello sviluppo prodotto) perché sa visualizzare in tempo
reale le proprie idee come quelle altrui e renderle argomento di discussione facilitando lo sviluppo
dei concetti. Il pensiero organizzativo contemporaneo definisce la strategia come un processo
interattivo tra i diversi attori dell'organizzazione, un processo finalizzato a costruire significato.

Il design strategico si differenzia dal più classico design di prodotto, perché allarga la sua azione al
sistema di prodotti e servizi che nel loro insieme danno soddisfazione a una determinata domanda di
benessere. E' come passare dalla progettazione di una macchina alla progettazione della mobilità, in
un determinato contesto. Perché progettare a livello di sistema ci permette di avere innovazioni più
radicali e, potenzialmente, maggiori vantaggi anche sotto il profilo ambientale. In particolare, il
design strategico sposta l'attenzione oltre il prodotto, alla progettazione degli attori del sistema
stesso e cioè alla progettazione di nuove forme di partnership tra imprenditori, tra imprenditori e
utenti e anche organizzazioni istituzionali o altri attori sociali cercando, nel caso in cui sia
sostenibile, quelle configurazioni che portino a un sensibile riduzione dell'impatto ambientale.
Di questo argomento, in maniera più o meno approfondita, se ne parla da 10-15 anni, quindi non è
una fatto così nuovo. Il problema, come sempre quando si fa ricerca, è passare da un'ipotesi - quella
dell'interesse in termini di sostenibilità - a una dimensione più operativa: dell'occuparsi di che cosa
vuol dire progettare questi sistemi e quali sono i metodi e gli strumenti operativi che possiamo dare
a un designer per raggiungere questo scopo. Il primo master di design strategico nato al Politecnico
di Milano 5 anni fa, aveva un duplice obiettivo: quello di dire al mondo esterno che esisteva questa
figura professionale e di darle i necessari strumenti operativi.

Principi Di Design Strategico


di Joshua Porter

1) La Tecnologia E’ Al Servizio Degli Esseri Umani


Troppo spesso le persone si autoaccusano per i difetti della tecnologia. Quando i loro pc vanno in
crash, dicono “Devo aver fatto qualcosa di stupido”.
Se un sito web è disegnato male, dicono “Devo essere stupido. Non ci riesco”. E potrebbero anche
reiniziare a sfogliare un libro per principianti per riuscirci.
Questo è terribile! Le persone non dovrebbero percepire una sensazione di fallimento quando
usano la tecnologia.Come il cliente, l’utente ha sempre ragione. Se il software va in crash, è un
fallimento di chi ha concepito quel software. Ciò non significa che il designer debba nascondere la
testa per la vergogna…ma semplicemente trasformarla in un’opportunità di apprendimento!

2) Il Design non è Arte


L’arte riguarda l’espressione personale. Riguarda la vita, le emozioni, i pensieri e le idee
dell’artista.
Riguarda ben poco ciò che fa chi la osserva; non è richiesta un’attività da parte loro ma solo
l’apprezzamento. La pratica dell’arte non richiede un pubblico. E’ un’attività necessaria per
l’artista, e solo per l’artista.
Invece il Design riguarda l’suo. Il designer ha bisogno di qualcuno che usi (non solo apprezzi) ciò
che crea.
Il Design non raggiunge il suo obbiettivo senza qualcuno che lo utilizzi. Il Design aiuta a risolvere i
problemi umani.
La lode più alta che possiamo conferire ad un Design è non tanto che sia bello, come facciamo
per l’Arte, quanto che si utilizzi bene.
A differenza dell’Arte, il Design è sempre contestuale. E’ importante quando un design viene
creato conoscere anche il contesto nel quale sarà utilizzato: quale problema dovrebbe risolvere? E
per chi? Ed in quale momento? Ecco perchè il design è così collegato alla tecnologia…e dato che la
tecnologia cambia rapidamente, così deve avvenire ai nostri design.
Un design che funzionava dieci anni fa, forse oggi non sarebbe nemmeno degno di considerazione.
La storia è piena di design splendidi che non sono più necessari.
Un grande Design dipende dal periodo storico nel quale viene fatto e dal problema che intende
risolvere. Ma non l’Arte. L’Arte non ha tempo.
Quando alle persone piace l’Arte, dicono “Mi piace”. Se gradiscono il Design dicono “Funziona
bene”. Questo non è un caso.

3) L’Esperienza Appartiene all’Utente


I designer non creano esperienze, creano prodotti per l’esperienza. In questa sottile distinzione
sta tutta la differenza, dato che colloca il designer al servizio dell'utente, non viceversa. Ciò non
esclude l'innovazione, né impedisce ad un designer di andare oltre a ciò che viene considerato
all'avanguardia. Significa solo che l'esperienza di un design non avviene semplicemente perché è il
designer a dirlo; succede quando è l’utente ad accorgersene.
L’esperienza ultima è qualcosa che avviene a livello degli utenti, ed appartiene a loro. La
posseggono.

4) Un Design Eccellente E’ Invisibile


Un’interessante proprietà di un eccellente è che viene dato per scontato. Funziona così bene che
dimentichiamo lo sforzo creativo necessario per realizzarlo.
A volte, come per il cucchiaio, l’oggetto è talmente semplice da sembrare ovvio, e ci
dimentichiamo che c’è stato un momento nella storia in cui non era così. Altre volte, come per le
automobili, l’oggetto è talmente sofisticato e semplice da usare che scordiamo tutti i milioni di ore
necessari per arrivare a questi punti. E’ un peccato…ogni grande progetto ha una storia ricca di
avvenimenti. E ogni design ha dietro uno o più progettisti che hanno provato a rendere la terra un
posto migliore risolvendo uno o più problemi.
Un cattivo design è palese perchè complica l’uso da parte dell’utente. E’ poco maneggevole,
difficile e complesso.
E’ più facile notare un cattivo design che un buon design. Ci colpisce subito con forza.
A causa del suo successo, il design è spesso invisibile.

5) La Semplicità è l’Ultima Sofisticazione


Semplicità significa percorrere una strada: sapere cosa tenere e cosa buttare via…viene fuori
come per magia quando funziona, perché nessun elemento di complessità viene trasferito agli
utenti…solo la semplicità.
Slow food

Le finalità
Slow Food nasce nella città di Bra, in provincia di Cuneo e si pone come obiettivo la promozione
del diritto a vivere il pasto, e tutto il mondo dell'enogastronomia, innanzitutto come un piacere.
Fondata da Carlo Petrini e pensata come risposta al dilagare del fast food e alla frenesia della vita
moderna, Slow Food studia, difende e divulga le tradizioni agricole ed enogastronomiche di ogni
parte del mondo.
Slow Food, attraverso progetti (Presidii), pubblicazioni (Slow Food Editore), eventi (Terra Madre)
e manifestazioni (Salone del Gusto al Lingotto di Torino, Cheese a Bra e Slow Fish a Genova) si è
impegnata per la difesa della biodiversità e dei diritti dei popoli alla sovranità alimentare, battendosi
contro l'omologazione dei sapori, l'agricoltura massiva, le manipolazioni genetiche. Attraverso la
rete di associati che si incontrano, si scambiano conoscenze ed esperienze, Slow Food ha inteso fare
del godimento gastronomico anche un atto politico, sottolineando come dietro a un buon piatto ci
siano scelte operate nei campi, sulle barche, nelle vigne, nelle scuole, nei governi.

Lo statuto
Per lo statuto di Slow Food Italia sono scopi dell'associazione:

1. far acquisire dignità culturale alle tematiche legate al cibo ed alla alimentazione;
2. individuare i prodotti alimentari e le modalità di produzione legati a un territorio, nell'ottica della
salvaguardia della biodiversità, promuovendone l'assunzione a ruolo di beni culturali;
3. elevare la cultura alimentare dei cittadini e, in particolare, delle giovani generazioni, con l'obiettivo
del raggiungimento della piena coscienza del diritto al piacere ed al gusto;
4. promuovere la pratica di una diversa qualità della vita, fatta del rispetto dei tempi naturali,
dell'ambiente e della salute dei consumatori, favorendo la fruizione di quei prodotti che ne
rappresentano la massima espressione qualitativa;
5. sollecitare l'attenzione dell'opinione pubblica verso le tematiche ambientali ed in particolare verso
la salvaguardia della biodiversità e delle tradizioni culinarie.

Il Manifesto
Il 10 dicembre 1989, all'Opéra-Comique di Parigi, nasce ufficialmente il movimento internazionale
per la Difesa e il Diritto al Piacere. Sottoscrivono il Manifesto delegati provenienti da: Argentina,
Austria, Brasile, Danimarca, Francia, Germania, Giappone, Italia, Olanda, Spagna, Stati Uniti,
Svezia, Svizzera, Ungheria, Venezuela.
La sua forma archetipa, apparsa sulla newsletter "Rosmarino" nel novembre 1987, è firmata dagli
storici 13 padri fondatori: Folco Portinari, Carlo Petrini, Stefano Bonilli, Valentino Parlato, Gerardo
Chiaromonte, Dario Fo, Francesco Guccini, Gina Lagorio, Enrico Menduni, Antonio Porta, Ermete
Realacci, Gianni Sassi, Sergio Staino.
« Questo nostro secolo, nato e cresciuto sotto il segno della civiltà industriale, ha prima inventato la
macchina e poi ne ha fatto il proprio modello di vita.
La velocità è diventata la nostra catena, tutti siamo in preda allo stesso virus: la vita veloce, che
sconvolge le nostre abitudini, ci assale fin nelle nostre case, ci rinchiude a nutrirci nei fast food.
Ma l'uomo sapiens deve recuperare la sua saggezza e liberarsi dalla velocità che puà ridurlo a una
specie in via d'estinzione.
Perciò, contro la follia universale della "fast life", bisogna scegliere la difesa del tranquillo piacere
materiale.
Contro coloro, e sono i più, che confondono l'efficienza con la frenesia, proponiamo il vaccino di
un'adeguata porzione di piaceri sensuali assicurati, da praticarsi in lento e prolungato godimento.
Iniziamo proprio a tavola con lo Slow Food, contro l'appiattimento del fast food riscopriamo la
ricchezza e gli aromi delle cucine locali.
Se la "fast life" in nome della produttività ha modificato la nostra vita e minaccia l'ambiente e il
paesaggio, lo Slow Food è oggi la risposta d'avanguardia.
È qui, nello sviluppo del gusto e non nel suo immiserimento, la vera cultura, di qui può iniziare il
progresso, con lo scambio internazionale di storie, conoscenze, progetti. Lo Slow Food assicura un
avvenire migliore.
Lo Slow Food è un'idea che ha bisogno di molti sostenitori qualificati, per fare diventare questo
moto (lento) un movimento internazionale, di cui la chiocciolina è il simbolo. »

Progetti
Università di Scienze Gastronomiche

L'Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo, frazione di Bra (CN), e Colorno (PR) è stata
fondata da Slow Food nel 2004, in collaborazione con le regioni Piemonte e Emilia-Romagna.
Carlo Petrini e Massimo Montanari sono i principali ideatori e promotori di questa realtà, il cui
obiettivo primario era quello di promuovere l'educazione gastronomica a e la cultura del cibo. Si sta
attivando il corso di Laurea Specialistica nel settore ittico a Genova, terza sede dell'ateneo.

Terra Madre

Il progetto più importante portato avanti da Slow Food è Terra Madre - incontro mondiale delle
Comunità del cibo, giunto nell'ottobre 2006 alla sua seconda edizione: cinquemila contadini,
pescatori, allevatori di tutto il mondo che si riuniscono all'Oval di Torino per discutere di sovranità
alimentare, difesa della biodiversità, diritto a un cibo più buono, pulito, giusto. Esso è la naturale
evoluzione di progetti in difesa della biodiversità come l'Arca del Gusto (un censimento di prodotti
alimentari locali minacciati dall'estinzione), dei Presìdi (progetti sul territorio che hanno lo scopo di
sostenere concretamente questi prodotti) e il Premio Slow Food per la biodiversità.Nel 2002, per
sostenere questi e altri progetti nel sud del mondo, Slow Food ha promosso la nascita della
Fondazione Slow Food per la biodiversità.

Slow Food Editore

Slow Food è anche una casa editrice ("Slow Food Editore"), che pubblica guide, asSaggi, manuali,
itinerari, che scandagliano lo scibile della cultura enogastronomica. Il best seller è Osterie d'Italia,
sussidiario del mangiar-bere all'Italia: una guida alla migliore cucina di tradizione regionale italiana
e un viaggio in circa 1700 tappe all'insegna della convivialità e dei piaceri dello Slow Food. Inoltre,
Slow Food Editore pubblica la rivista Slowfood, che arriva agli oltre 35000 soci italiani in otto
numeri l'anno.

Presidii di Slow Food

Il progetto Presidii di Slow Food nasce nel 1999 come naturale evoluzione dell'Arca del Gusto per
il recupero e la salvaguardia di piccole produzioni di eccellenza gastronomica minacciate
dall'agricoltura industriale, dal degrado ambientale, dall'omologazione. Anche se questa sorta di
certificazione non è ufficiale (è assegnata da un comitato scientifico di Slow Food), i criteri di
definizione sono simili a quelli di certificazioni come "Indicazione Geografica Protetta" IGP e
"Denominazione di Origine Protetta" DOP, ma con un disciplinare di produzione molto più rigido.
Il tentativo è di sostituire al criterio di una selezione dei prodotti fatta dagli organi pubblici, un
riconoscimento che si basa solo sulla fiducia nella serietà delle scelte fatta da una Associazione
internazionale.

Palma
Monastero delle Benedettine
Costruito tra il 1653 e il 1659, inglobò il primo Palazzo ducale e accolse con la regola cassinese
anche le figlie di Giulio, II duca di Palma, e in seguito anche la moglie Rosalia Traina. Si trova su
una semicircolare e impervia gradinata, in una piazza quadrata con le strade che si incrociano nel
luogo che un tempo era segnato dalla colonna con la croce. Venne inaugurato il 12 giugno 1659.
Il monastero ha un aspetto semplice con finestre prive di decorazioni. Sul cortile interno, invece, si
affacciano delle finestre decorate in stile barocco. All'interno il parlatorio ha volte a botte da cui si
accede ad un giardino ricco di alberi in cui è sistemata una scultura della Madonna con San
Benedetto.
Le suore custodiscono, inoltre, la Madonna della Colomba Rosata. Ancora oggi è uno dei pochi
monasteri di clausura in Sicilia, il cui accesso è impedito quasi a chiunque.
La moglie Rosalia Traina, prima duchessa di Palma, decide di entrare in monastero insieme alle
figlie, col nome di Suor Maria Seppellita e lì rimane sino alla sua morte. Il monastero era stato
fortemente voluto da una delle figlie del Duca, Isabella Tomasi (la Beata Corbera del Gattopardo).
Nel Monastero Benedettino le monache stanno ancora dietro le grate della clausura a confezionare i
"mandorlati rosa e verdognoli", eccellenti per dolcezza, forme e colori, a raccontare le storie della
"beata Corbera", mostrando la lettera ed il sasso del diavolo, prove inconfutabili di uno
straordinario prodigio avvenuto in questi luoghi. La lettera e il sasso infatti, sarebbero stati inviati
dal demonio in persona per tentare Suor Maria Crocifissa della Concezione (Isabella Tomasi, figlia
di Giulio, noto come il Santo Duca). Anche l’autore de"Il Gattopardo", giunto qua in visita nel
1955, ricevette una profonda impressione dalla visita al Monastero tanto da nascondere l’estatica
figura della suora sua antenata dietro la Beata Corbera del suo romanzo. La Beata Suor Maria
Crocifissa è sepolta nella chiesetta del Monastero.
È soprattutto nel periodo pasquale che a Palma di Montechiaro, la Donnafugata del romanzo "Il
Gattopardo", esplode la produzione dei biscotti ricci di mandorla.  Si possono acquistare nelle
pasticcerie locali e anche nel Monastero delle Benedettine dove, ancora oggi, le monache di
clausura li preparano alla stessa maniera con cui venivano fatti i mandorlati che le loro antenate
offrivano al Principe di Salina.
Monastero delle benedettine con la sua cappella del SS. Rosario famosa per la presenza all’interno
del sacrario di una piccola ruota di legno che ancora oggi (anche se con funzione diversa) viene
utilizzata dalle superstiti monache di clausura, per farvi passare squisiti dolci che sapientemente
preparano seguendo antiche ricette gelosamente custodite.

Palma
Palma di Montechiaro sorge su una collina sulla fascia litoranea, poco distante dal capoluogo
Agrigento. Il ritrovamento di reperti archeologici risalenti al II millennio a.C. e la presenza di
numerose tombe sicane dimostrano che in questo territorio, fin da tempi remoti, vi furono
insediamenti umani i cui abitanti erano dediti all'agricoltura ed alla pastorizia.

Nel XII secolo a.C., i rodio-cretesi che popolavano la fascia costiera tra Gela e Palma, a scopo
difensivo, fortificarono i siti di Castellazzo e Piano del Vento, punti strategici dai quali è visibile
tutta la costa. Il primo atto della storia di Palma, solo nel 1865 la città si chiamerà Palma di
Montechiaro, è la costruzione del Castello Chiaramontano (1353), che si staglia lungo la costa a
metà strada tra Punta Bianca e la foce del fiume Palma, ad opera di Federico Prefoglio che di lì a
poco passò ai Chiaramonte, da cui prese il nome. L'atto di fondazione della città di Palma porta la
data del 25 aprile 1637.

Nello stesso documento si rileva che a fondare la città fu Carlo Caro Tomasi dopo avere ottenuto il
16 gennaio 1637 la "licentia populandi" dal re Filippo IV di Spagna. Il 3 maggio 1637 fu posta la
prima pietra. La scelta del luogo dove sorse la città fu davvero felice se, non appena mezzo secolo
dopo, l'abate Saint-Non nel suo Voyage pittoresque ebbe a scrivere "Questa graziosa cittadina è
molto popolata ed ha una posizione incantevole: i dintorni sono pieni di giardini deliziosi e tutto
questo paese è in genere d'una abbondanza enorme di vigneti, di coltivazioni e di ogni sorta di
alberi da frutta..."

La città di Palma venne fondata il 3 maggio 1637 nella baronia di Montechiaro, dai fratelli gemelli
Carlo, Barone Tomasi, e Giulio, che pochi anni dopo gli sarebbe subentrato nel titolo. L'effettivo
artefice della fondazione fu però un potente zio dei gemelli, Mario Tomasi de Caro, Capitano del
Sant'Uffizio dell'Inquisizione di Licata, e governatore della stessa città, da cui provenivano anche
Carlo e Giulio Tomasi. Anche egli, insieme a suo cugino sacerdote Carlo de Caro era presente alla
posa della prima pietra della Chiesa della Vergine del Rosario.

Il progetto della città, disegnato secondo un ideale pianta ortogonale, e ricordato da una relazione
redatta dall'astronomo e primo arciprete di Palma Giovan Battista Odierna. In una tela che si
conserva nella sacrestia della Chiesa Madre, si rede raffigurato l'Odierna al suo tavolo di Studio con
sullo sfondo, bene in evidenza, un disegno a pianta quadrata col titolo “Chronologia Terrae
Palmae”.

Il paese sorge su un'altun rocciosa da cui domina la vallata sottostante che si protende fino al mare.
Spiccano in primo piano, ben visibili dallo scorrimento veloce che attraversa la vallata, i monumenti
storici del secondo palazzo ducale, (1659), la bellissima Chiesa Madre, (1666), in cima ad una larga
scalinata e il Monastero delle Benedettine, (1637) primo edificio della città.

I primi abitanti di Palma vennero da Ragusa, città natale dei Tomasi, e da Agrigento, Licata, Naro,
Caltanissetta. A difesa della città dagli attacchi provenienti dal mare dei pirati saraceni il duca Carlo
fece costruire, dopo avere ottenuto il permesso da Filippo IV di Spagna, una torre che dedicò a San
Carlo. È da registrare che Palma, dopo pochi anni dalla fondazione, ebbe un notevole aumento
demografico tanto che nel 1652 furono censite 2.470 abitanti e 473 abitazioni.

La fondazione ex novo di città nella Sicilia del XVI e XVII secolo è fenomeno di grandi
proporzioni; nel caso di Palma, il motivo della fondazione era una campagna di legittimazione di
una famiglia nobiliare emergente ma ancora insufficientemente radicata nel territorio e
nell'aristocrazia della Sicilia; Il capostipite, Mario Tomasi, era giunto in Sicilia al seguito di
Marcantonio Colonna, che lo aveva nominato Capitano d'armi di Licata, solo nel 1585. Solo il suo
matrimonio con Francesca Caro di Montechiaro aveva segnato la sua accettazione nell'alto ceto.
L'acquisizione da parte di Carlo, Barone dal 1616, della Licentia Populandi nel 1637 con la
conseguente elevazione al titolo di Duca di Palma, è un evidente passo nella stessa direzione. Poco
dopo Carlo Tomasi, dalla salute fragile e da sempre attratto dalla vita religiosa, lascia il ducato e la
fidanzata Rosalia Traina, nipote del potente Vescovo di Agrigento al fratello Giulio, per entrare
nell'Ordine dei Chierici Regolari Teatini.

La dote della Nuova Duchessa, numerosi feudi e un largo patrimonio liquido, permettono il
definitivo consolidamento della Famiglia Tomasi nei più alti strati dell'aristocrazia Isolana, di cui
alla fine doveva risultare tra le più durature famiglie: è ben noto che il penultimo dei Tomasi di
Lampedusa Giuseppe, autore del Gattopardo possedeva ancora vaste seppur sterili proprietà nella
zona di Palma, e che vi ambientò gran parte delle vicende del suo romanzo, appena mascherandone
il nome in "Donnafugata".

Pur nel generale clima di fervore religioso della Sicilia della Controriforma la famiglia Tomasi
spiccava. Palma, infatti, già dalla fondazione fu concepita come un luogo fortemente spirituale, una
Nuova Gerusalemme.

Il duca Giulio (detto il Duca Santo), dopo aver cresciuto nel fervore religioso i 6 figli avuti dalla
moglie nel casto matrimonio, ottenne dal Papa lo scioglimento in vita del matrimonio dalla moglie e
la separazione, dopo aver rinunciato al ducato e alle gioie del matrimonio, si ritira per poter vivere
gli ultimi anni delle sua vita da eremita. La moglie Rosalia Traina, prima duchessa di Palma, decide
a sua volta di entrare in monastero insieme alle figlie, col nome di Suor Maria Seppellita e lì rimane
sino alla sua morte. Il monastero era stato fortemente voluto da una delle figlie del Duca, Isabella
Tomasi (la Beata Corbera del Gattopardo).

Il duca preferì donare addirittura il suo palazzo e la sua cappella privata,e costruirsi un altro palazzo
ai piedi della chiesa Madre. Isabella, entrata nel monastero col nome di Suor Maria Crocifissa della
Concezione divenne una celebre mistica, punto di riferimento dei nobili della Sicilia e non per il suo
fervore religioso e il suo grande misticismo, nella sua biografia si ricordano innumerevoli tentazioni
da parte del demonio, e lettere colme di fede e devozione. Una causa di beatificazione è da anni in
corso. Nel frattempo alla Tomasi è stato concesso il titolo diVenerabile. Dei due fratelli maschi il
maggiore seguì lo zio fra i Teatini, e diventerà infine cardinale. È oggi venerato dalla Chiesa come
San Giuseppe Maria Tomasi, le sue spoglie si conservano a Roma in Sant'Andrea della Valle. Il
fratello minore sposò la figlia del principe di Aragona e visse appena il tempo di dare un erede.
Muore infatti a 17 anni.

Al seguito dei Tomasi arrivò a Palma don Giovanni Battista Hodierna, di Ragusa, insigne pioniere
della scienza ed intellettuale. Anche nell'edificazione della città l'aspetto religioso è preponderante;
trent'anni dopo la fondazione Palma conta solo 4.630 abitanti, ma vanta ben dieci chiese, più il
Monastero del SS. Rosario, Il santuario extra moenia del Calvario meta di processioni, sedici
sacerdoti ed altrettanti chierici, e le chiese risultano al visitatore tutte ben tenute e dotate di ricchi
arredi, tutti assolutamente conformi ai dettami del recentissimo Concilio di Trento; ingenti somme
sono spese nell'acquisto di reliquie, che d'altronde attraggono pellegrini anche da luoghi lontani.
L'organizzazione della società laica era basata sulle confraternite.

Chiesa Madre

Tra tutte le chiese di Palma quella che riveste maggiore importanza è la chiesa Madre che, posta in
cima ad una ampia scalinata, rappresenta una delle opere più significative del barocco siciliano.
Essa sorge ove prima era situata la chiesa di San Giuseppe che, fondata nel 1644 dal ragusano D.
Vincenzo Ottaviano, venuto a Palma con i Tomasi, fu demolita. A ricordo fu costruita nella nuova
chiesa una cappella consacrata a San Giuseppe.

L'atto di fondazione della chiesa Madre è datato 2 ottobre 1666. Il disegno fu di Angelo Italia che
contribuì anche alla costruzione della cappella del Crocifisso nel Duomo di Monreale. La
realizzazione della Chiesa fu affidata al palmese Francesco Scicolone, l'ingegnere che
sovraintendeva ai lavori tale Pennica di Agrigento.

La facciata, realizzata con conci di pietra delle cave del Casserino, è costituita da un portale centrale
fiancheggiato da due colonne sormontate da un frontone spezzato e da due portali minori ai cui lati
si ergono due alti torri campanarie.

L'interno del Duomo, vasto, a tre ampie navate con cupola sul transetto, rivela un movimentato
scenario decorativo in stucco di sapore neoclassico. In fondo alla navate è l'ampio presbiterio, cinto
da splendide inferriate e due ricche cappelle intitolate al SS. Sacramento e alla Madonna del
Rosario.

Nella prima cappella a sinistra è l'urna contenente le reliquie di San Traspadano donate a Carlo
Tomasi, nel 1666, dal cardinale Sforza Pallavicini. Numerose sono le reliquie conservate tra le quali
quelle di Santa Cecilia martire, San Luciano, San Bonifacio, San Pio, Sant'Emiliano, Sant'Elia, San
Clemente, San Celso.

L'altare maggiore è opera del palermitano Giuseppe Allegra; la cantoria dell'organo in legno
scolpito è di Calogero Provenzani, padre di Domenico.

Numerosi e pregevoli sono i dipinti custoditi nella chiesa e che sono stati realizzati da Domenico
Provenzani, Gaspare Serenario e Raffaele Manzelli. Disposti a croce ai lati del Duomo furono
costruiti i due oratori del SS. Sacramento e della Vergine del Rosario.

Calvario

All'ingresso del paese, dopo il parco archeologico della Zubbia, si scorge la collina detta "Calvario"
con i ruderi dell'antica chiesa di Santa Maria della Luce (1650), anch'essa dalle forme barocche.

Il Calvario segna spiritualmente l'ambiente e la storia di Palma. Infatti, Giulio Tomasi volle
riproporre nella realtà locale il percorso di Gesù dal palazzo di Pilato al Golgota, collegando in un
itinerario ideale segnato da stazioni, il centro abitato con la solitudine della collina del Calvario. Il
Santo Duca, otteneva, come per i pellegrini della Terra Santa, l'indulgenza plenaria per quanti
avessero percorso il tragitto sino alla collina del Calvario, dove nella chiesa di Santa Maria della
Luce era custodita una copia della Sacra Sindone donata a Carlo Tomasi, Primo duca di Palma e
teatino a Roma, dall'infanta Maria di Savoia. Tale reliquia oggi viene conservata nella Chiesa del
Collegio.

L'eremo fu inizialmente abitato dai preti Romiti e successivamente dall'ordine dei Mercedari,
preposto al riscatto dei cristiani prigionieri dei pirati.

Inoltre, per la sua possente struttura, quasi di fortezza e per la sua posizione dominante, serviva
come punto privilegiato per l'osservazione dell'ampia valle del fiume Palma e della costa.

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