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L’emissario
del Lago di Nemi
2
2010
MAGGIO
MAGGIO 2010 - N. 2
SOMMARIO
L’emissario
del Lago di Nemi 3
I risultati della campagna di indagine 2007-2008
di M. Placidi
EVENTI pag. 31
di Marco Placidi
SUMMARY. The Emissarium of Lake Nemi - The two emissaria of Lake Albanus and Lake Nemi in the Castelli
Romani are engineering works that have aroused interest among scholars because the few bibliographical sources
available never have allowed a complete and satisfactory understanding. In particular the emissarium of Lake
Nemi suffers from the lack of historical and literary sources, if one leaves out the meagre documentation put
together on the occasion of its reuse for the recovery of the ships of Caligula by Ucelli in 1928 – 1932. In recent
decades the emissarium of Lake Nemi has been studied first by Cappa and then more thoroughly by Castellani
whose studies ended in 2006, the year of his death. Since 2008 the Centro Ricerche Speleo Archeologiche (CRSA)
is undertaking a study campaign of the emissarium of Lake Nemi with the aim to integrate the research of
Castellani and draw a conclusion. In the article a few interpretations concerning the excavation of the two
bypasses are being proposed. The first bypass was most likely created after part of the tunnel had collapsed and
the second one to solve the problem of water infiltration and dispersion into the ground. As to the inlet (incile),
i.e. the monumental entrance , the presence of some vertical slots suggests that these could have served to insert
panels to block the flow of water in order to allow the launch of the Caligula’s ships.
I
retta del contesto storico nel quale venne decisa la
due emissari dei laghi di Albano e Nemi, ai Castelli
loro costruzione.
Romani, zona a est di Roma, all’apparenza realiz-
zazioni quasi gemelle1, ad uno studio più attento L’emissario di Nemi, in particolare, soffre da sempre
ed approfondito si rivelano due prodotti dell’inge- della mancanza di fonti storiche e letterarie, se si esclu-
gneria idraulica antica assai diversi e sicuramente con de la comunque magra documentazione realizzata in
caratteristiche funzionali abbastanza distinte. occasione del suo riutilizzo, per il recupero delle navi
di Caligola nel 1928-323 a cura dell’ing. Ucelli.
Sono opere che spesso hanno suscitato l’interesse de-
gli studiosi2, soprattutto negli ultimi decenni, perché Quest’opera venne studiata, negli ultimi decenni, prima
le poche fonti bibliografiche a disposizione non han- da Cappa e poi più profondamente da Castellani4, i cui
no quasi mai permesso una comprensione completa e studi si fermarono al 2006, anno della sua scomparsa.
1. Anche se l’emissario di Albano è probabilmente più recente di quello di Nemi di almeno un secolo. (Secondo Livio e Plutarco sarebbe stato aperto
al tempo della conquista di Veio intorno al 390 a.C.)
2. Castellani e Dragoni 1992; Caloi, Cappa e Castellani 1994; Castellani 1999; Castellani e Caloi 2000; Castellani et al 2002; Cappa 2002; Castellani e
Dragoni 2003; Castellani et al 2003.
3. Con l’eccezione di Strabone.
4. Nel 2006 il prof. Castellani aveva già fatto un quadro preciso degli aspetti più importanti dell’opera idraulica, evidenziando, nei risultati di
studio, sia gli aspetti chiari e inconfutabili sia quelli dubbi e ancora aperti che avrebbero necessitato di ulteriori approfondimenti. Proprio questi
aspetti irrisolti hanno costituito il punto di partenza dello studio che, nel corso di questi ultimi due anni, è stato condotto dal Centro Ricerche
Speleo Archeologiche.
5. Il pavimento della discenderia si trova a 335,60 m. s.l.m. (punto al cancelletto di ingresso) e la quota del piano di campagna attuale, dove si
trovano le mura del primo recinto del santuario datate al II – I sec. a.C., a 336,34 m. s.l.m. La differenza di 0,70 m. è sicuramente trascurabile e
dovuta al riempimento di terreno nel punto dove si è misurata la quota della discenderia.
6. All’emissario si potrebbe quindi attribuire una datazione altrettanto antica.
Due squadre iniziarono quindi lo scavo rispettivamente dai propri pozzi di partenza verso l’interno del colle, con
un andamento rettilineo e una pendenza calcolata sulla base della distanza effettiva e del dislivello totale dispo-
nibile10 (fig. 2-d). La direzione di scavo venne mantenuta utilizzando la luce naturale che filtrava dall’esterno11.
A valle di questo punto, dopo qualche decina di metri, si provvide a far ondulare la direzione del condotto sia verso
un lato che verso l’altro, in modo da restringere la luce dello speco (fig. 2e) e assottigliare così la sorgente luminosa,
favorendo in tal modo la maggiore precisione nel mantenere rettilineo l’andamento di scavo del condotto12.
Mentre la squadra proveniente dal lato del lago procedeva spedita nella realizzazione del condotto, incontrando ma-
teriale relativamente poco duro e favorevole allo scavo, diversamente accadeva a quella proveniente da Ariccia che,
dopo un primo apparente strato di piroclastite13 anch’esso morbido, trovava una spessa lente basaltica14 molto più
dura, che rallentò enormemente l’avanzamento dei lavori. Per accelerare le attività di scavo si decise di realizzare una
7. La distanza tra la base del pozzo e l’ingresso della discenderia è pari a 24,90 m. (misurazione del cunicolo inclinato dall’esterno fino alla base del
pozzo).
8. Distanza dall’uscita di valle Ariccia 42 m. e altezza 12 m. (l’altezza è misurata dalla base del pozzo, ma lo sbocco all’esterno risulta ostruito per cui
potrebbe trovarsi un interro di superficie non determinabile in questa fase).
9. Da notare che mentre per il canale sul lato Ariccia il condotto all’uscita non presentava alcuna problematica realizzativa, se non quella di mantenere
l’allineamento con la cultellatio esterna, per quello sul lato lago la realizzazione di un canale fortemente in pendenza come quello della discenderia,
difficilmente si prestava a misurazioni di precisione. La presenza di un ulteriore canale che diparte dal pozzo e si sviluppa in direzione 149° rispetto
al N magnetico (leggermente in direzione del lago) è quasi certo che sia funzionale alla realizzazione della discenderia, visto che si sviluppa per una
lunghezza di circa 30 m. (lunghezza sicuramente parziale per l’enorme materiale di riempimento che quasi lo occlude). Per avere un quadro più
preciso della funzionalità di tale condotto si dovrebbe procedere ad una ripulitura dei materiali detritici contenuti all’interno.
10. Come tutte le opere di trasporto dell’acqua, la pendenza effettiva finale si perfeziona con uno scavo supplementare del fondo dopo che i due fronti
di scavo si sono incontrati. Nella fase iniziale si cerca di stare sempre al di sopra della quota di funzionamento calcolata.
11. Per il fronte proveniente dal lato di Ariccia tale ipotesi è corretta, mentre per il fronte del lato lago questo non è stato possibile in quanto la discenderia
inclinata non permetteva di far entrare la luce. Si utilizzò probabilmente una fonte luminosa artificiale (un braciere contenente un fuoco all’interno)
in asse con il pozzo, che ne costituiva la canna fumaria.
12. Sia sulla base del pozzo della discenderia che su quella di Ariccia è stata effettuata dal nostro staff una prova sperimentale, consistente nel proiettare
un faro in direzione dell’interno del canale ed effettivamente, proseguendo verso l’interno, la luce restava visibile per un lunghissimo tratto del
condotto, spostandosi a N se ci si accostava sulla parete S e viceversa.
13. La piroclastite o deposito piroclastico, è una roccia sciolta o cementata di origine vulcanica composta da particelle più o meno piccole (dal limo
alla ghiaia) spesso soffiate. Questo materiale proviene da eruzioni vulcaniche di tipo esplosivo e può essere messo in posto con vari meccanismi. Il
più comune è quello della nube ardente o “piroclastic flow”. Esempi di rocce piroclastiche cementate sono i tufi mentre per quelle sciolte si può far
riferimento alle pozzolane. (Fonte Wikipedia)
14. Il basalto è una roccia effusiva di origine vulcanica, di colore scuro o nero con un contenuto di silice (SiO2) relativamente basso (minore del 50%
solitamente). Esso proviene da un magma solidificatosi velocemente a contatto dell’aria o dell’acqua ed è la principale roccia costituente la parte
superiore della crosta oceanica. I magmi basaltici si formano per fusione da decompressione del mantello terrestre. (Fonte Wikipedia)
La prima è attraverso un
canale completamen-
te colmo di materiale
di risulta e tamponato
(fig. 4), che sembrereb-
be piuttosto essere un
tentativo palese di ag-
giramento della lente
Fig. 5 Il secondo canale, a valle del secondo
basaltica incontrata lun- bypass, probabilmente più idoneo all’ipotesi di
essere la discenderia supplementare.
go lo scavo del condot-
to principale (vedi nota
23. Quattro se si considera il probabile canale oggi tamponato, esistente sulla parete opposta – lato S.
24. Immediatamente a valle di questo bypass si notano, nel condotto principale, due scanalature contrapposte. Queste vennero probabilmente
utilizzate per inserire una paratoia al fine di favorire il deflusso dell’acqua dal canale principale verso il bypass.
Sembra evidente che questi Fig. 8c – L’evidenza in un tratto più a valle, del punto di contatto tra
piroclastite e basalto.
quattro bypass rappresentino
altrettante frane prodottesi in
punti non coperti dalle precedenti diramazioni, ma è Anche per questo bypass, si vuole proporre una pos-
lecito supporre che in questo tratto di galleria i crolli sibile ipotesi alternativa.
siano stati nel tempo ancora più numerosi e che, nel-
Durante le numerose ispezioni che hanno porta-
la maggioranza dei casi, si siano verificati nello spazio
to alla realizzazione di questo studio, si è notato
compreso tra gli accessi più distanti degli stessi bypass,
che l’acqua proveniente dalla sorgente del primo
poiché in sito non si evidenziano scavi ulteriori.
bypass, arrivata al termine del secondo, molto spes-
Nella sua ispezione preventiva dell’emissario, finalizza- so sparisce misteriosamente incanalandosi nel sot-
ta al suo riutilizzo, Ucelli trovò questo tratto talmente tosuolo.
compromesso da crolli e da impedimenti allo scorrere
dell’acqua, che optò per la realizzazione di una vera Il punto esatto in cui l’acqua scompare coincide con il
e propria galleria in mattoni, che bonificasse in modo punto di contatto tra la piroclastite morbida e quella
permanente tutto il tratto a rischio. più dura (fig. 8c) che precede la lente basaltica che di
25. Per stabilire con certezza la natura e la direzione di scavo di questo canale bisognerebbe rimuovere la tamponatura esistente.
26. Per scavo ‘alla cieca’ si intende uno scavo effettuato senza alcun riferimento esterno e senza l’utilizzo della mappatura derivante dalla cultellatio.
27. Il materiale in cui questo tratto è stato scavato è infatti particolarmente friabile e incoerente, quindi la preoccupazione dei realizzatori è stata quella
di accompagnare il più possibile l’andamento del canale, diminuendo al massimo l’impatto dell’acqua sulle pareti.
28. Ancora oggi tale riempimento preclude un confronto preciso e diretto, finalizzato a confermare le ipotesi di quanto sopra riportato.
A seguito di un possibile interesse di Cesare per il cul- Per accorciare i tempi si decise perciò di optare per una
to di Diana Nemorense31 è probabile che si decidesse soluzione a dir poco geniale. Dall’interno dell’emis-
di restaurare e ampliare il santuario32. Ovviamente per sario, partendo da un punto ben definito si abbas-
realizzare la monumentalizzazione del complesso era sò il livello del pavimento del canale, arrivando fino
necessario creare un asse viario , che garantisse un fa-
33
alla profondità prestabilita corrispondente alla nuova
cile avvicendamento sia di uomini che di materiali. quota di livello cui si volevano far arrivare le acque del
lago (fig. 9a - b – il pozzo è segnalato in verde).
Poiché l’orografia delle sponde del lago non consen-
tiva la realizzazione di un comodo accesso, verosi- Da questo nuova quota partirono due squadre di scava-
milmente si decise di abbassare il livello di sfioro del tori: la squadra A, verso Ariccia, per riallineare la pavi-
lago per far emergere la parte settentrionale, che si mentazione del canale al nuovo livello e una seconda, la
presentava discretamente pianeggiante permettendo squadra B, in direzione del lago, con l’obiettivo di incon-
l’installazione di un asse viario e di un campo di stoc- trarsi con una terza squadra di scavo, la C. Quest’ultima
caggio per materiali. dopo il pozzo verticale limitrofo alle acque del lago e
un canale orizzontale intercettò la squadra B35.
Poiché l’asse viario e il campo d’appoggio erano opere
indispensabili e primarie per l’ampliamento del San- Si era così riusciti ad abbattere i tempi di realizzazione
tuario, l’abbassamento del livello dell’acqua del lago della modifica ad un terzo del previsto, utilizzando tre
era un’attività da realizzare con estrema urgenza. squadre di scavo anziché una.
Per abbassare il livello del lago alla nuova quota di sfio- Una volta emersa la parte settentrionale del bacino
ro si sarebbe potuto procedere, molto semplicemente, lacustre si procedette alla realizzazione della strada36
approfondendo ulteriormente lo scavo della prima di- e del cantiere per i lavori di restauro e ampliamento
scenderia, ma questa soluzione avrebbe consentito uno del santuario di Diana Nemorense. Con la realizzazio-
scavo che utilizzava un solo un fronte (fig. 9a - a) men-
34
ne della copertura dell’incile la modifica venne final-
tre i lavori dovevano realizzarsi velocemente. mente terminata.
36. Da notare che la parte più depressa della strada oggi visibile,
all’interno del Museo delle Navi Romane si trova a quota 328,095
m. s.l.m., per cui appena a 4,30 m. al di sopra della quota dell’incile.
Anche la villa c.d. di Cesare si trova ad una quota immediatamente
superiore a quella dell’incile, per cui la datazione di questa modifica
è riconducibile a tale periodo.
37. Oggi sono ancora visibili consistenti resti di questi filtri.
38. In questo contesto non verrà trattato l’approfondimento sulle navi
di Caligola.
39. Ringrazio F. Baldi per l’intuizione avuta relativamente a questa
ipotesi.
REFERENZE
I
n una zona boschiva, non lontana dal Lago di ti dell’Aqua Traiana note a lui, e tra le altre appare
Bracciano, sul confine dei comuni di Manziana e anche il “Fosso che si diceva di Fiora”, una sorgente
Bracciano, si trova, nascosto tra la vegetazione, definita “smarrita”2. La chiesetta di S. Fiora non è,
il rudere della chiesetta rupestre di S. Fiora, ben in ogni modo, menzionata nel testo; sembra più che
noto agli abitanti della zona. La sua storia è stata rac- probabile che l’Autore non abbia avuto conoscenza
contata recentemente da uno storico locale manzia- diretta del luogo, bensì citi fonti scritte contempora-
nese, Livio Vecchiarelli, che ha riconosciuto le origini nee o precedenti.
romane del monumento e la sua funzione1.
L’archeologo Rodolfo Lanciani, nella sua opera Le ac-
qve e gli aqvedotti pubblicata sul finire dell’Ottocento,
Storia della (non-)scoperta
a proposito dell’Acquedotto Traiano, si limita a ripor-
L’autore settecentesco Alberto Cassio, nel suo li- tare le indicazioni raccolte dal Cassio più di cento anni
bro Corso dell’acque antiche elenca tutte le sorgen- prima3. Negli anni Trenta del secolo scorso, l’archeolo-
1 Cfr. L. Vecchiarelli, Manziana. La terra, la gente (Roma 1989) vol. 2, pp. 155-168, in particolare pp. 158-159. Si ringrazia il dr. Flavio Mariani
(Manziana) per la segnalazione di questa pubblicazione (febbraio 2010).
2 A. Cassio, Corso dell’acque antiche portate da lontane contrade fuori e dentro Roma sopra XIV. acquidotti, e delle moderne, e in essa nascenti,
Coll’Illustrazione di molte Antichità che la stessa Città decoravano, da passati scrittori ed antiquarj non conosciute, opera divisa in due parti. Parte
prima (Roma 1756) pp. 167-174, in particolare p. 170.
3 R. Lanciani, I comentarii di Frontino intorno le acqve e gli aqvedotti. Silloge epigrafica aqvaria (Roma 1880; Estratto dagli Atti della R. Accademia
dei Lincei, Memorie della Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, vol. 4, seduta del 18 gennaio 1880) pp. 162-168, in particolare p. 163.
4 E.B. van Deman, The Building of the Roman Aqueducts (Washington 1934; Carnegie Institution of Washington, Publication No. 423). - I.A.
Richmond (ed.), T. Ashby, The Aqueducts of Ancient Rome (Oxford 1935); traduzione italiana: T. Ashby, Gli acquedotti dell’antica Roma (Roma
1991; Studi e Materiali dei Monumenti Comunali di Roma).
Fig. 1 S. Fiora, schizzo dello stato attuale del vano centrale dell’esedra (© Giuseppe Curatolo, 2007)
11 Si ringrazia per la segnalazione l’arch. Alessandro Mantovani e l’arch. Luca Maggi (Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del
Lazio), durante il sopralluogo del marzo 2008.
(G.C.)
17 Sull’Aqua Traiana cfr. di recente E.M. Steinby (ed.), Lexicon Topographicum Urbis Romae, vol. 1 (Roma 1993) pp. 70-72 (P. Virgili). - Ibid., vol. 5
(1999) p. 226 (C. Bruun).
18 Cfr. per queste ultime G. Lugli, La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio (Roma 1957) p. 600-604.
19 Cfr. il recente riassunto sulla tipologia dei c.d. santuari della sorgente in P. Gros, L’architecture romaine du début du IIIe siècle av. J.C. à la fin du
Haut-Empire, 1. Les monuments publics (Paris 1996) pp. 440-444. - W. Letzner, Römische Brunnen in der westlichen Reichshälfte (Münster 1990;
Charybdis, vol. 2) pp. 98. 170-171. 213-215. Le affermazioni di quest’ultimo autore non sono però sempre molto chiare.
20 Cfr. R. Naumann, Der Quellbezirk von Nîmes (Berlin - Leipzig 1937; Denkmäler Antiker Architektur, vol. 4). - U.W. Gans, Der Quellbezirk von
Nîmes. Zur Datierung und zum Stil seiner Bauten. Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung 97, 1990, pp. 93-
125. - Letzner (ved. nota 19) pp. 500-501 no. 432. - Gros (ved. nota 19) 440-441.
21 Cfr. F. Rakob, in: T. Kraus, Das römische Weltreich (Berlin 1967; Propyläen Kunstgeschichte, vol. 2) p. 182 no. 78. - F. Rakob, Das Quellenheiligtum
in Zaghouan und die römische Wasserleitung nach Karthago. Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung 81,
1974, pp. 41-89. - Letzner (ved. nota 19) pp. 411-413 no. 267. - Gros (ved. nota 19) pp. 442-443. - G.J. Whightman, Sacred Spaces. Religious
Architecture in the Ancient World (Leuven - Paris - Dudley, MA. 2007; Ancient Near Eastern Studies, suppl. 22) pp. 576-578 (interpretazione
erronea come „water and healing sanctuary“ e „Sanctuary of the Nymphs .. sited at a sacred spring“, senza menzionare minimamente
l’evidente scopo pratico dell’impianto, vale a dire la captazione dell’acqua per l’acquedotto per Cartagine).
22 Cfr. S. Gsell - C.A. Joly, Khamissa, Mdaourouch, Announa, 1. Khamissa (Alger - Paris 1914) pp. 85-98; tav. 10. - Rakob 1974 (ved. nota 21) pp. 85-
86. - Letzner (ved. nota 19) p. 414 no. 270-271 (?). - Gros (ved. nota 19) pp. 442-443.
23 Cfr. H. Saladin, Rapport sur la mission faite en Tunisie en 1882-1883. Archives des Missions Scientifiques et Littéraires 13, 1887, pp. 1-225, in
particolare pp. 151. 153-154. - Rakob 1974 (ved. nota 21) pp. 85-86. - Letzner (ved. nota 19) p. 413 no. 269. - Gros (ved. nota 19) pp. 442-443.
24 Cfr. Rakob 1974 (ved. nota 21) pp. 85-86. - Letzner (ved. nota 19) p. 413 no. 268. - Gros (ved. nota 19) pp. 442-443. - Gli ulteriori confronti, elencati dal
Letzner, non possono essere presi qui in considerazione, in quanto le indicazioni sono troppo vaghe: Letzner (ved. nota 19) pp. 502-503 no. 434-437.
25 Cfr. G. Lugli, Nymphaea sive musaea. Osservazioni sopra un gruppo di monumenti repubblicani in Italia in rapporto con l’architettura ellenistica.
in: Atti del IV Congresso Nazionale di Studi Romani, 1935, vol. 1 (Roma 1938) pp. 155-168, in particolare p. 156.
26 Cfr. finora H. Manderscheid, Dulcissima aequora. Wasserbewirtschaftung und Hydrotechnik der Terme Suburbane in Pompeii (Leuven 2009;
BABESCH. Annual Papers on Mediterranean Archaeology, suppl. 13) p. 123 con la nota 609.
27 La fritta o blu egizio è il più antico pigmento di sintesi conosciuto, la cui origine è legata alle tecnologie metallurgiche e di fabbricazione del
vetro. Questo tipo di materiale, oggetto di studi ed approfondite ricerche fin dall’800, è costituito da un silicato doppio di rame e calcio, la cui
caratterizzazione è andata definendosi con il progredire delle tecniche analitiche. Il componente principale è la cuprorivaite (CaCuSi4O10), che
può essere sintetizzata intorno agli 850-900°C cuocendo per circa 20 ore una miscela di rame, carbonato di calcio, silice e fondenti, e che può
essere accompagnata da una fase vetrosa blu di composizione simile, ma ricca di elementi alcalini (gli stessi fondenti aggiunti per abbassare
la temperatura di fusione). È documentato già a partire dalla IV dinastia (III millennio a.C.), anche se probabilmente la sua scoperta è più
remota. Dall’Egitto si diffuse a oriente, raggiungendo Creta e l’antica Grecia per poi estendersi a tutto l’impero romano, dalla Gran Bretagna fino
all’Africa settentrionale e all’Asia Minore. Nel suo momento di massima diffusione era commercializzato con nomi e prezzi differenti, a seconda
dell’intensità del colore (che dipendeva dalla percentuale di cuprorivaite in esso contenuta). Dopo la caduta dell’impero la sua diffusione regredì
enormemente, ad eccezione di alcune aree bizantine dove, con ogni probabilità, venne dato fondo a scorte prodotte in precedenza. La scomparsa
del blu egizio nel mondo occidentale avvenne su larga scala in un periodo relativamente breve, attorno al V-VI secolo d.C. (anche se è stato
riscontrato in dipinti più tardi, come in quelli della Basilica Inferiore di S. Clemente e di S. Maria Antiqua a Roma, di Castelseprio o di S. Vincenzo
al Volturno, tutti datati tra l’VIII e il IX secolo) e non è facile da spiegare, in quanto non sembrano esistere motivazioni tecnologiche alla base
dell’interruzione della sua fabbricazione, descritta in maniera dettagliata nel I secolo a.C. da Vitruvio, de archit. VII.11. - Cfr. sul blu egizio M.C.
Gaetani - U. Santamaria - C. Seccaroni, The use of Egyptian Blue and Lapis Lazuli in Middle Ages. Studies in Conservation 49, 2004.
28 Dallo stato di conservazione della cornice in stucco, si è portati a pensare che doveva trattarsi di un dipinto su tela o tavola, o di un rilievo fittile,
in ogni caso di un’opera facilmente asportabile. Lo stacco o strappo di un affresco avrebbe lasciato segni evidenti di tale operazione.
Considerata l’importanza del monumento nonché il sembra, con un altro vano. L’ambiente era coperto con
suo precario stato di conservazione, c’è da augurarsi una volta a crociera con lucernario centrale, crollata
che esso possa essere messo in sicurezza al più pre- per circa la metà. Nella parte crollata della volta, che
sto. Le successive operazioni di scavo, rilievo, studio giace su uno strato d’interro e che è quasi completa-
e restauro saranno necessarie per rendere fruibile mente ricoperta di vegetazione, si è conservata l’altra
un sito raro dal punto di vista storico-archeologico metà del lucernario. La costruzione in opus caemen-
e particolarmente suggestivo nella sua collocazione ticium e laterizio è di buona fattura. Il modulo della
naturalistica. muratura è databile al periodo traianeo. Per quanto è
visibile del manufatto, in questo momento, vale a dire
La recentissima scoperta di un altro rudere di periodo
senza scavo, non è possibile sviluppare un’ipotesi vali-
romano evidenzia, infatti, in modo chiaro il ricchissimo
da sulla sua funzione.
patrimonio culturale della zona in questione: ad una
distanza di circa 150-200 m in linea d’area da S. Fiora, Un breve survey della zona ha inoltre evidenziato la
in direzione nord-est, si trova un fabbricato romano, presenza di molti frammenti di mattoni, tegole e cop-
sfuggito, a quanto sembra, all’attenzione di tutti gli pi nonché di marmi, in parte pregiati. A breve distan-
autori che si sono interessati della zona . Il rudere si
29
za dal manufatto è stato osservato anche un tratto di
presenta interrato per più della metà della sua altezza. muro in opus reticulatum. Tutto ciò fa ipotizzare la
È identificabile la parete dritta di un vano, lunga 6 m presenza di altri manufatti d’epoca romana nelle im-
circa, con una nicchia semicircolare al suo centro. Sul mediate vicinanze.
lato sinistro, si è conservato il breve tratto di una pare-
te con cortina muraria in laterizio, collegata, a quanto (G.C. - H.M. - M.C.T.)
29 Si ringrazia il dr. Flavio Mariani per la segnalazione del monumento (febbraio 2010).
SUMMARY. Sarteano. The tomb of the chariot from hell - In October 2003 during an annual excavation
campaign at the necropolis of Pianacce, not far from the historical centre of this Tuscan town, a great discovery
was made: a tomb dating from the last decades of the fourth century BC with an extraordinary cycle of frescoes
in a perfect state of conservation. The tomb, cut out in the travertine, is five metres deep and has a 20 metre
long dromos. The pictorial decoration with vivid and bright colours on a white plaster background stands out for
the originality of its iconographic themes. The most interesting picture is the one on the left side of the corridor
where one sees a figure with a grim and unnerving face leading a chariot drawn by lions and griffons. According
to scholars this is a representation of Charun, equivalent to the Greek Charon, who accompanies the souls into
Hades. Close to the threatening Charun is a fresco of an extraordinary three-headed snake, one of the many
monsters that populated the underworld in the Etruscan funerary imaginary of that time (second half of the
fourth century BC). This fascinating funerary chapel was most likely commissioned by an aristocratic family for the
burial of its members. In fact, a touching family scene is visible beyond a niche in the corridor: the fresco shows
two deceased, perhaps father and son, at a banquet in Hades.
D
all’estate del 2000 Il Museo Civico Arche- la seconda metà del VI all’inizio del II sec. a. C.. Si trat-
ologico di Sarteano con il locale Gruppo ta, insieme alla necropoli della Palazzina e a quella
Archeologico Etruria svolge, in regime di delle Tombe, dell’area sepolcrale riferibile alla zona
concessione di scavo al Comune, delle cam- insediativa posta lungo il tracciato che dal territorio
pagne nella necropoli delle Pianacce, posta a meno di di Sarteano conduceva al centro egemone di Chiusi a
un chilometro dal centro storico di Sarteano, lungo la partire dalla fase arcaica, ovvero quando si delinea lo
strada che porta a Cetona. spostamento dalle sedi di altura come Sferracavalli e
soprattutto Solaia, occupate intensivamente tra il tar-
La necropoli etrusca, già indagata nel 1954 da Gugliel-
do villanoviano e il tardo orientalizzante.
mo Maetzke che vi aveva messo in luce due strutture
di cui una monumentale, ha restituito ad oggi sedici Questa occupazione copre tutti i costoni rocciosi che,
tombe (di cui tredici rese visitabili), scavate nel traver- dall’altopiano di Sarteano degradano verso le valla-
tino con lunghi dromoi, talvolta muniti di nicchie, e te dell’Astrone e dell’Oriato che si aprono sulla Val
camere quadrangolari con una cronologia che va dal- di Chiana, ed ha un’estensione impressionante con
1. La tomba è stata pubblicata sul LXX volume di Studi Etruschi con il contributo dal titolo “La tomba della Quadriga Infernale di Sarteano” e nel
volume “La Tomba della Quadriga Infernale della necropoli delle Pianacce di Sarteano”, nella collana dei Quaderni dei Musei Senesi, edizioni
Erma di Bretschneider, Roma 2006, cui si rimanda per ogni riferimento bibliografico. Questo testo è tratto in parte dall’articolo comparso sulla
Rivista dell’Accademia dei Rozzi di Siena del 2006. Tutto quello che viene realizzato a Sarteano nel campo dell’archeologia, in collaborazione con
la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, si deve agli sforzi dell’Amministrazione Comunale e all’entusiasmo dei volontari del
Gruppo Archeologico Etruria.
La dimostrazione di questo eccezionale valore delle delfini che si tuffano nelle onde correnti nella parte
sepolture sarteanesi è testimoniata dalla scoperta av- inferiore sopra uno zoccolo rosso; sulla parete sinistra
venuta nell’ottobre 2003: una tomba databile agli ulti- della camera con un serpente a tre steste di grandi di-
mi decenni del IV sec. a. C. con uno straordinario ciclo mensioni ed infine sul frontone della parete di fondo,
pittorico in ottimo stato di conservazione. sempre a sinistra, con un ippocampo.
La tomba, ubicata tra la n. 7 e la n. 8, coeve e con La prima scena, che è quella più complessa, costitui-
i dromoi convergenti, presenta un corridoio scoperto sce un vero unicum iconografico nell’arte etrusca e
intagliato nel travertino di 19 metri di lunghezza con rappresenta una figura vestita di rosso, con capelli
quattro nicchie simmetriche nella sua parte centrale. arancio, volto di colore bianco con caratteri singolari
e arcigni, naso adunco, grande occhio spiritato e una
La porta introduce in un corridoio lungo 7 metri che dà
zanna fuoriuscente dal labbro inferiore, che conduce
accesso ad una camera a pianta quadrangolare di me-
un carro, anch’esso rosso nei parapetti e con timone a
tri 3,50 per 3,80. A metà del lato sinistro del corridoio
testa di grifone.
si apre una nicchia che originariamente doveva avere
di fronte un vano simmetrico delle stesse dimensioni, Il carro è condotto da quattro animali, tenuti da briglie
ma che ha subito una devastante distruzione in epoca rosse nelle mani dell’auriga, posti in sequenza alterna-
post classica, come tutto il lato destro della camera di ta: due grifoni crestati di rosso e due leoni con crinie-
fondo. Sul lato sinistro la decorazione pittorica si svi- ra gialla-arancio a fiamme, tutti e quattro con corpi
Questa parte della figurazione pit- la presenza, pur non esclusiva, di che dovrebbe essere più espres-
torica è caratterizzata da una serie coppie maschili sulle klinai, legate sione di affetto da ricondurre alla
di linee preparatorie incise che non da rapporti di parentela, come di- sfera familiare, forse un saluto in
sono state seguite nel successivo mostrano le iscrizioni delle tombe occasione del ricongiungimento
sviluppo della linea di contorno e orvietane che invece nel caso di tra un padre e un figlio, piutto-
del colore, alcune anche in maniera Sarteano sono completamente as- sto che riferibile alla sfera erotica.
Al di sotto prosegue il fregio con delfini e onde marine mentre scompaiono sia il meandro superiore che il
correnti e lo zoccolo rosso che delimitava anche la sce- fregio con delfini e onde. A tutta parete su fondo
na della quadriga. La scena dei banchettanti prosegue bianco è raffigurato un enorme serpente a tre teste,
a destra su quello che ora sembra un pilastro sporgen- impostate su lunghi colli che si uniscono al corpo av-
te, ma che, prima della distruzione operata anche in volto in un’unica grande spira dalla quale fuoriesce
quel settore, era solo l’originario accesso sinistro alla la coda; il tutto con uno spettacolare contrasto cro-
camera di fondo, come dimostrano i resti sul pavimen- matico tra il verde delle squame, il giallo della pancia
to e sul soffitto. e il rosso fiammeggiante delle pupille, come sempre
con un forte uso della linea di contorno nera. Le te-
L’immagine è quella di un giovinetto, presumibilmen-
ste, due delle quali con denti digrignanti, sono munite
te un servitore che partecipa all’adiacente scena di
di una cresta rossa e di una lunga barba triangolare.
banchetto, vestito con una tunica trasparente e che
L’enorme mostro a tre teste, come consuetudine delle
tiene in mano un colino per filtrare il vino. Il volto gio-
fiere infernali, è una chiara allusione all’ambito cto-
vanile con corti capelli chiari ricorda molto quelli dei
nio, ed è una presenza simbolica ricorrente nella cera-
servitori della tomba Golini I di Orvieto, in particolare
mografia e nella pittura parietale della seconda metà
del suonatore di doppio flauto. La figura è interessata
del IV sec. a. C..
nella parte centrale da un’ampia lacuna di forma cir-
colare nella quale, con particolare accanimento, è sta- Serpenti compaiono nelle raffigurazioni del Gruppo
to asportato anche un grosso strato del banco di tra- di Vanth e nelle tre tombe dipinte orvietane, ma in
vertino sottostante. Il colum dal lungo manico, tenuto dimensioni molto ridotte rispetto al nostro, o come
verticalmente, è raffigurato di profilo in colore giallo, attributi di demoni nella tomba degli Hescana e nella
ma la linea preparatoria circolare chiarisce l’intenzio- Golini I o nel frontone come nella Golini II in cui sono
ne originaria di rappresentarlo frontalmente. raffigurati barbati, ma con corpo semplice disposto
Per le note di riferimento cfr.: A. Minetti, La tomba della Quadriga Infernale di Sarteano, in Studi Etruschi LXX, 2004 (2005), p. 135 ss.; Eadem, Sarteano:
l’eccezionale scoperta di una tomba dipinta nella necropoli delle Pianacce, in Rivista dell’Accademia dei Rozzi, Siena, marzo 2005; Eadem, La tomba della
Quadriga Infernale nella necropoli delle Pianacce a Sarteano, Collana dei Quaderni della Fondazione Musei Senesi, Roma, L’Erma di Bretschneider 2006;
Eadem, La tomba dipinta di Sarteano, Atti delle giornate di studio: Pittura ellenistica. Immagini, letture, messaggi, a cura di M. Torelli, Perugia marzo 2006,
in Ostraka 16,1 2008, pp. 79 ss.