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Divertiamoci!

Dicono che si fossero conosciuti tutti ad una festa in casa di uno. La festa era in collina, nella
dependance della villa di un industriale, abitata dai figli, uno studioso e posato che quella sera non
c’era e l’altro, tutto all’opposto, svogliato e vizioso che quella sera c’era, ed era l’organizzatore.
Romeo si era imbucato alla festa: si era trovato in una taverna tanto grande che accusava la
curvatura del globo. Una delle pareti della taverna era una vetrata scorrevole del tutto aperta che
dava sul cortile con piscina. Essendo estate faceva caldo assai, essendo le due di notte ed essendo
scorso molto alcool ed essendo stati consumati etti di fumo ed essendo state aspirati da alcuni
almeno due metri di polverina bianca, l’atmosfera era molto vivace. Nella piscina sguazzavano
alcuni in biancheria sola e Romeo aveva notato con compiacimento che alcune erano ragazze,
all’interno, seduti in poltrone o sdraiati su vecchi divani, circoli di persone fumavano, bevevano,
amoreggiavano, cantavano. Due scopavano in un angolo buio. Romeo lo capì dagli ansimi. Poi si
era sentito un rumore di vetri rotti, erano volate un paio di bottiglie, bicchieri, era partito un quadro
e poi un tavolino ed uno aveva sollevato una poltrona e l’aveva lanciata rompendola. Sandy Marton,
dallo stereo, aveva cantato imperterrito per tutto il lasso di tempo della distruzione. Ci fu rissa
poiché i partigiani del padrone di casa, con lui stesso urlante vendetta, si erano scagliati contro i
rompitori. Qualcuno aveva chiamato la polizia che era corsa di corsa, forse perché la famiglia
proprietaria della casa era importante assai e ricca vieppiù. Romeo si era schierato dalla parte del
padrone di casa, considerando un delitto disfare tutta quella roba bella, gli aveva evitato di essere
accerchiato dai rompitori e si era preso un paio di pugni. Quando era arrivata la polizia c’era stato
un fuggi fuggi generale. Tanti, ebbri di gioia distruttiva, si erano tuffati nei boschi ed erano sfuggiti,
altri erano rimasti travolti dalla fuga, altri erano scappati in motorino, ed i loro fari sciabolavano le
tenebre. Romeo si era messo tranquillo vicino alla piscina ed aveva visto una ragazza rimasta
dentro. Lei aveva visto lui, e, sperando in una via d’uscita alla situazione in cui si trovava, gli aveva
chiesto aiuto. Di vista lo conosceva, e non aveva la faccia da bastardo, anzi. In breve lei, privata
anche della biancheria da uno scherzo pesantuccio, e dell’abitino dalla folla spaventata aveva
bisogno di copertura per uscire. Anche lei si era imbucata. Lui si era levato la felpa e si era
procurato un asciugamano griffato lasciato ai bordi della piscina. Lei era uscita veloce come una
mangusta e, coperta da lui, si era asciugata e messa la felpa. Accanto a loro passarono di corsa in
tre, che si erano attardati a sradicare una giovane pianta di ciliegio. Dopo poco tornarono indietro e
si fermarono.
“Dove cazzo andiamo?”
“Chenneso, mica è casa mia”
“Sono dappertutto, i bastardi, il frocio ha chiamato il Battaglione San Marco, altro che la polizia.”
Romeo non aveva niente di personale contro i rompitori, che gli erano anche simpatici, almeno per
il principio per il quale distruggevano le convenzioni sociali, se non proprio per il modo col quale lo
facevano, per questo, dopo avere ripassato mentalmente quel poco che conosceva della casa, disse
loro: “Vi conviene andare nella sauna, lì c’è una finestra sul bosco.”
I tre lo guardarono con tanto d’occhi.
“Bravo lui.”- disse uno
“A buon rendere.”- disse un altro.
I tre schizzarono in sauna, in mezzo agli astanti i quali non si erano accorti di nulla di quanto era
successo fuori, grazie ad un impianto stereo autonomo che, a differenza del fratello maggiore
all’interno della casa, non era stato beccato dal volo di una bottiglia di Cointreau. Aprirono la
finestra e sparirono nel bosco, dopo aver saltato agilmente una rete.
Poco dopo, guidando quattro poliziotti dalle grinte cattive, arrivò il giovin padrone di casa.
“No, loro no- fermò i poliziotti che stavano per arpionare Romeo e la ragazza- mi hanno aiutato. Tu
non hai visto nessuno, amico?”
“Sono scappati nella sauna, erano in tre.”
“Presto!” i cinque erano corsi dentro, accolti dalle urla di panico delle signorine discinte e dai
ruggiti indignati dei loro cavalieri. C’era stato un gran casino, poi la ragazza aveva detto:

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“Senti, io mi chiamo Ramona e sono nella merda: sono minorenne, senza vestiti e documenti, se mi
portano in questura così, mio padre mi accoppa. Tu puoi aiutarmi ancora?”
Romeo si era calato nella parte del cavaliere senza troppe difficoltà, anche aiutato da quello che
aveva visto di Ramona nuda.
“Io sono Romeo, farò quello che posso, tanto per cominciare…”
Fece quattro passi e raccolse una cosa: era un portafogli rosa coperto di disegnini naif che aveva
notato poco prima nel raccogliere l’asciugamano. “E’ forse il tuo?”
Ramona si illuminò: “Ma chi sei, il figlio segreto del mago Silver e di Moira Orfei ?” Lo abbracciò
e lo baciò, nell’alzare le braccia, la felpa di Romeo era salita di quel che bastava per attirare
l’attenzione di un poliziotto.
“E’ stata solo fortuna”- si schermì Romeo.
“Ehi voi due, documenti.”
“Appunto.”
Ramona, viola in viso, glieli porse, il poliziotto guardò la carta di identità e non disse niente, poi
guardò quella di Romeo, e disse:
“Parente?”
“Figlio”
“Tuo padre lo sa che frequenti certi giri?”
“Lo sa, ma è al mare e non può impedirmelo. Comunque ho diciotto anni.”
“E lei ?”
“E’ amica mia.”
“E le mutande?”
“Per favore…”
“Vabbuò. Però dopo le deposizioni vi riaccompagno a casa io. Restate a tiro.”
“Ma io ho il motorino.”- protestò Rocco.
“A casa con un Ciao, in due non ci andate, con me nei dintorni. Se preferisci portiamo a casa solo
lei.”
Romeo guardò Ramona, lei gli lanciò una muta preghiera.

“Dove abita, signorina Delsanto?”


Il poliziotto aveva fermato la macchina fuori dal parco di una casa nascosta dagli alberi, casa di
Romeo.
“Io vorrei scendere qui” pigolò Ramona.
“Sarei tenuto a riaccompagnarla a casa” – disse il poliziotto a Romeo.
“Me ne occupo io” – disse Romeo.
“Ok, me ne lavo le mani. Farai il bravo, vero?”
“Sì, sì” – Romeo scese e, dopo avere armeggiato un po’ con le chiavi, aprì il cancelletto e sparì
nell’oscurità con Ramona.
La macchina si allontanò, recando a bordo un poliziotto che sorrideva alla gioventù.
“Pensavo di darti dei vestiti.”
“Ottima idea, ma non ti ho detto proprio tutto.”
“Come sarebbe a dire?”- disse Romeo, l’inquieto
“Stai tranquillo, semplicemente, i miei non mi aspettano a casa, per stanotte.”
“Sicura?”
“Sì, ero venuta alla festa con delle ragazze conosciute da poco, delle villeggianti. Avrei dovuto
restare a dormire da una di loro, ma poi le cose sono andate come sai e sono tutte sparite, per di più
erano fra quelli che rompevano, e non ci tenevo a seguirle. E non potevo, come ricorderai.”
Il cuore di Romeo accelerò un filo.
“I vestiti posso darteli lo stesso, anche femminili, ho una sorella della tua taglia, più o meno. E sono
solo in casa.”
“Posso dormire qui?”
“Puoi.”
La casa di Romeo era grande, ed aveva due piani.
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“Posso sapere cosa fa tuo padre?”
“Il magistrato.”
“Aaaah, tutto si spiega.”
“Già.”
Salirono verso la stanza di Romeo, che prese un accappatoio e lo porse all’ospite.
“Puoi mettere questo, è il mio.”
“Dove dormo?”
“Ci sono quattro stanze ed un divano letto.”
“Non posso stare nel tuo letto?”
“Ed io?”- chiese Romeo, l’ingenuo
“Tu pure.”
“Ah, beh”

Il sorgere del sole li colse abbracciati nel letto di Romeo. Romeo si svegliò per primo e guardò
Ramona: l’immagine della tranquillità, dormiva rannicchiata in posizione fetale, respirando piano.
Proprio bellina, accidenti. Si chinò e le sussurrò all’orecchio: “Colazione?” “Krapfen” – rispose lei
pigramente.
Romeo si rivestì ed andò al vicino bar. Prese un caffè ed ordinò due krapfen, uno alla crema ed uno
alla marmellata, poi ci pensò meglio e ne chiese altri due. Sì, grazie, un sacchetto. Pagò ed uscì nel
caldo mattutino.
Fra le voci ed i rumori della strada gli parve di sentire un: “Ehi, tu.”, ma, rincoglionito dal poco
sonno e proiettato al ritorno fra le braccia di Ramona, non ci fece caso. Al secondo richiamo, più
forte, non potè fare a meno di girarsi a guardare. Ad uno dei tavolini fuori del bar sedevano,
stravaccati sulle sedie, tre ragazzi suppergiù della sua età. Uno di essi era sporto verso l’esterno, e
chiamava Romeo agitando un braccio lampadato, gli altri due guardavano da tutt’altra parte, poco
interessati. Le facce dei tre non gli erano nuove, ma non era sicuro, quindi aspettò. Quello che
agitava il braccio si alzò e gli si avvicinò cordialmente, gli strinse la mano libera e lo scosse per una
spalla.
“Ti ricordi di me?”
“Mica tanto.”
“Ieri notte…”
“Ah, sì, ho capito, siete quei tre che…”
“Ecco, bravo, non specifichiamo. Sta di fatto che ti dobbiamo il culo.”
“Bontà vostra.”
“Vieni che ti offriamo da bere.”
“No, mi dispiace, ma non posso proprio, ho un impegno pressante.”
“ Ci offendiamo.”
“È un peccato, ma è veramente urgente.”
“Famiglia?”
Romeo fece per dirgli di farsi i cazzi suoi, ma l’educazione ed il desiderio di non cercare rogne lo
fermarono, a stento.
“No.”
“Ho capito: quella tipa di ieri notte.”
“Ti ha mai detto nessuno che a farsi i cazzi propri si vive più a lungo?” sibilò Romeo citando un
film.
“Honny soit qui mal y pense”
“Cosa?”
“Paco, lascialo perdere.” Uno degli altri due si era alzato e si era avvicinato, il terzo si era messo gli
occhiali a specchio e si faceva i cazzi suoi alla grande.
“Io sono Lillo, lui è Paco, quell’altro che fa finta di non esistere è Glamùr.”
“Io sono Romeo.”
“Bona, Romeo. Ti siamo molto debitori, ci vorremmo sdebitare, ma non ti costringiamo a far nulla
che non vuoi. Se una sera passi al Tranche de Vie ti offriamo da bere”
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“Va bene.- fece un passo indietro - Ciao.”
Si strinsero la mano, e Romeo se ne andò, col dubbio se avesse fatto bene a dar loro retta.
Sembravano simpatici, ma non si sa mai.
“Voi siete scemi.” disse Glamùr agli altri due che si erano seduti.
“Ma che cazzo dici, ci ha aiutati.”
“Non stavamo mica giocando a nascondino, ci inseguiva la pula, e solo gli stronzi se ne vantano e lo
raccontano in giro.”
“Ma noi siamo stronzi.”- disse Paco
“E ce ne fottiamo della pula.”
“Molto stronzi anche loro.”
La cameriera era arrivata con le birre.
“…eccoci….”

Romeo tornò a casa. Ramona dormiva ancora. Mai avuto qualcosa di tanto bello nel letto.
“Ehi”- le disse all’orecchio.
“Hai un sacchetto in mano?”- borbottò lei.
“Sì”
“Mettilo giù.”
“Perché?”
“…e fidati...fatto?”
“Sì”
“Yeah!”
Ramona saltò fuori dalle coperte, abbracciò Romeo, lo rovesciò sul letto e gli tirò su la maglietta,
coprendogli gli occhi.
“Ma che fai?”
“Mi hai vista nuda mentre eri vestito una volta di troppo, quindi ti spoglio per ristabilire giustizia.”
“Tu sei matta.”
“Taci, uomo delle mie brame.” Rise lei levandogli i calzoni.
Seguì un breve assolo per risatine ed ansimi leggeri
“Adesso che siamo pari – disse lei sedendoglisi soxra – è giusto dirti che mi piaci da impazzire.”
“Anche tu, ma io non ti ho spogliata per dirtelo.”
“Era una questione di giustizia, te l’ho già detto.”
Passarono la mattina insieme, Ramona si pappò tutti e quattro i krapfen e chiamò a casa. Dopo
averle prestato, dietro espressa richiesta, dei vestiti del fratellino, Romeo l’accompagnò, abitava
vicina, e sotto casa si salutarono.
“Per adesso non ti presento i miei genitori, ma ci rivediamo, vero?”
“A meno che tuo padre non venga trasferito all’estero, direi di sì.”
“E se tuo padre viene trasferito in Sicilia?”
“Ho diciotto anni - disse Romeo, tronfio – e comunque lui non intende farsi trasferire.”
Bacino, saluto, e Romeo tornò a casa. Pensa un po’: abitare vicino ed avere bisogno di una festa del
cazzo per conoscersi.

Per pranzo Romeo si prese una pizza e la mangiò in giardino, tutto tranquillo, aspettando che il
telefono squillasse.
Squillò: la mamma dal mare.
Squillò: amica della mamma che non sapeva che la mamma era al mare.
Squillò: amica di Romeo con problemi di cuore, no, non esco, vieni qua tu. Due ore di sfogo, con
Romeo che pudicamente nascose il proprio stato di grazia, ma alla fine non resse e raccontò tutto,
con il risultato che l’amica se ne era andata ancor più sola con la sua pena.
Finalmente Ramona. Che non poteva uscire, quella sera, ma se lui la fosse andata a trovare…
Arrivò la sera, che Romeo passò da Ramona, per andarsene verso mezzanotte.

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Nessuno lo aspettava a casa, non aveva particolari impegni e nulla gli impediva di girare
tranquillamente per la cittadina, senza pensare a niente, solo godendosi il sopracitato stato di grazia.
Cammina, cammina Romeo arrivò sul lungolago, e si riempì i polmoni dell’aria profumata d’estate.
Non aveva sonno, né particolari motivi per stare in giro, e puntò verso casa. Lungo la strada
incrociò il Tranche de Vie, gli passò a fianco senza pensare a niente, quando una scusa per stare in
giro lo chiamò.
“Ma cazzo, insisti?” disse Glamùr a Paco, vedendo Romeo diretto verso di loro.
“E quanto rompi, una birra e via.”
“È una stronzata, ma due stronzi non posso aspettarmi di più.”
“E allora vattene a fare il cazzo che ti pare.”
“Sono qui appunto perché non ho un cazzo di meglio da fare.”
Arrivò Romeo.
“È ancora valida l’offerta?”
“Chiaro che si”
“Siediti.”
“Vado al cesso.”
“Glamùr ha proprio rotto.”
A Romeo non fregava delle loro beghe, e fece finta di niente.
“Tu comunque ti meriti una birra, come la vuoi?”
“Piccola bionda”
“Sara!”
Una cameriera più carina che altro sculettò fino da loro.
“Sì, Paco?”
“Una bionda speciale.”
“Ma io…”
“Sta’ buono, quando offro io si beve e non si finge. Sei astemio?”
“Tutt’altro, ma stasera non ne ho voglia.”
“Mica ti si vuole ubriacare”
“Vabbuò, vedremo.”
“Abbiamo fatto un bel casino, l’altra sera, vero?” disse Paco.
“Proprio.”
“Tu non hai scassato niente, ci ho fatto caso, perché ci hai aiutato?” chiese Lillo.
Romeo guardò altrove, poi parlò:
“Il padrone di casa mi sta istintivamente sui coglioni, ma non fino a picchiarlo. Disfargli un po’ di
casa era meritato. Mica va in rovina.”
“Perché l’hai difeso?”
“Odio la prepotenza di gruppo. Lui è uno stronzo, okay, ma non è linciandolo che si cambia il
mondo.”
“Vuoi cambiare il mondo?” insinuò Paco.
“Non volevo che tanti ne pestassero uno solo, tutto qua. Comunque la distruzione così, a gratis, non
mi piace.”
Romeo aveva tirato una mina, Lillo guardava la sua birra e Paco la strada, e non rispondevano.
“Non volevo mettervi in imbarazzo”- disse Romeo, dato che non gli era ancora arrivata la birra.
“Il piacere della distruzione è ebbrezza creativa.” – disse Paco.
Romeo tacque, guardando il tavolo, combattuto fra il senso di trionfo datogli dall’averli messi in
imbarazzo, cosa non del tutto involontaria, ed il senso di colpa per averlo fatto.
“Lo diceva Bakunin.”- proseguì Paco.
“E chi era?”- chiese Lillo.
“Un russo, credo.”
“Ah. –disse Lillo, poi tacque per un attimo guardando in aria, poi parlò - Guarda, come hai detto
che ti chiami?”
“Romeo.”

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“Ecco, Romeo, hai ragione. Come hanno ragione i nostri professori. Ma non esiste niente di più
interessante da fare. Non siamo mica pentiti di averti offerto la birra.”
“Io voglio solo capire perché voi vi divertite così, ed io no. A me piace leggere, giocare a calcio,
parlare, se ho voglia di spaccare qualcosa spacco la legna o al limite meno il mio fratellino.”
“Platini non gioca più nella Juve e la Juve fa schifo.” Disse Lillo
“Cosa dobbiamo dirti? Un cazzo, non sei il nostro psicologo, e anche se fosse, chi se ne
fregherebbe? Qualcuno pagherà, non noi, e anche se fossimo noi, chi se ne fotte?”
“Nessuno.- disse Romeo poco prima di bere il primo sorso di birra, che gli era arrivata in un
bicchiere più grande della media e più piccolo del litro- ed io vi salverei comunque il culo se i
poliziotti vi corressero dietro. Siamo tutti ragazzi.”
“Solidali, come tali.” Disse Paco
“Noi non spacchiamo la legna perché non abbiamo legna. Se tu finissi la legna, cosa faresti?”-
chiese Lillo.
“Alzerei le spalle”- disse Romeo alzando le spalle.
Dicono che in quel momento tornò Glamùr.
“Ce ne andiamo?”
“Dove?”
“All’Alfiere, a ballare.”
L’Alfiere era un locale all’aperto, chiuso d’inverno, d’estate, dopo l’una di notte, nei giorni feriali,
l’ingresso era gratuito. Romeo si sentì ballerino per un attimo, ma dati i rapporti fra lui ed i tre,
preferì tacere.
“Vieni anche tu?”- disse Paco.
“Mah, beh, non so….(ballare, ballare)”
“Decido io: vieni”- disse Glamùr.
“Okay.”
Lillo e Paco si guardarono, ma non si dissero niente.
Se ne andarono, Glamùr andò verso una golf e la aprì. Salirono tutti, Romeo pensando alle
raccomandazioni di sua madre senza dar loro retta.
Non salire in macchina con degli sconosciuti!
Glamùr partì con una sgommata galattica, tenne la macchina in controsterzo e prese la corsia giusta.
Romeo, seduto dietro con Paco inorridì, ma tenne duro.
“Non ti preoccupare, guida così, ma non è pericoloso.”
Glamùr prima delle curve faceva ondeggiare la macchina per farle a maggiore velocità possibile, e
Romeo guardava il lago nero sulla destra con la morte nel cuore.
“Perché non apriamo la capote?”- disse per dir qualcosa.
Glamùr rallentò ed aprì la capote.
“Contento?”
“Gioisco, grazie”Il viaggio procedette tranquillo, ma, nel piazzale davanti alla discoteca, Glamùr,
per posteggiare, tirò il freno a mano. La macchina derapò, fece un testacoda, Glamùr mollò il freno
ed accelerò per riprendere la macchina, ce la fece e si infilò in un parcheggio largo non troppo.
Scesero, Lillo restò vicino a Romeo.
“Crede di impressionarmi ?”
“Boh.”
“Vabbè, c’è riuscito.”
L’una era appena passata, e, a quanto videro da fuori, il movimento era buono, circa ottimo. Nella
discoteca si entrava per un cancello in un’alta ringhiera. La biglietteria era un gabbiotto subito a
destra dell’ingresso, all’interno il bigliettaio sonnecchiava guardando una piccola tv in bianco e
nero. Oltre l’ingresso, sempre sulla destra, c’era il bar: una baracca coperta da una tenda che
comprendeva anche i tavolini intorno, i buttafuori, che spiccavano per massa e grinta feroce, erano
appoggiati al bancone e si guardavano intorno con occhi da gattoni. La pista era grande, circolare,
fatta di piastrelle rosse di similcotto. Opposta all’entrata c’era la consolle, riparata dalle intemperie
climatiche da una tenda rossa appesa ai grossi rami di una quercia che si sporgevano fino oltre la
ringhiera, e dalle intemperanze del pubblico da una rete da pollaio. Le casse erano otto ed erano
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sistemate attorno alla pista. La ringhiera comprendeva, attorno alla pista, anche delle zone di bosco
rubate alla vegetazione circostante. Entrati che furono, Glamur andò verso un gruppetto misto di
ragazzi lacostati ed iniziò a parlare con loro. Paco e Lillo restarono con Romeo, il quale , limitato
nelle decisioni dal dipendere da loro per tornare in città, aspettava giusto che loro facessero
qualcosa per decidere cosa fare.
“Ma quante belle fighe, madama Dorè- accennò Paco- no, Romeo?”
“Tante sì, ma io...”
“Amor ch’a nullo amato amar perdona.”
“Eh?”
“Niente. Dante.”
“Balliamo.” disse Lillo.
Ballarono, loro tre, più o meno in circolo, senza guardarsi in faccia, cecando gruppi femminili ai
quali mischiarsi. Ci furono gli Hong Kong Syndacate, Feargal Sharkey, Guesh Patti, ancora Sandy
Marton, Samantha Fox, Dan Harrow, Tom Hooker, i Pic Nic at the Whitehouse, ed un certo
Jovanotti: un allegro spilungone che si vedeva su Dee Jay Television . Durante questi, Paco guardò
Lillo che annuì. Lillo indicò a romeo tre ragazze le quali, senza infamia e senza lode, ballavano a
poca distanza da loro.
“Hai voglia di fare un po’ di scena?” gli urlò nell’orecchio.
“E voi?”
“Noi più che scena, ma siamo solo in due!!”
“Ok”
“Te la sei proprio meritata, quella birra.” Romeo sorrise e, nella dolce aria di luglio, i tre iniziarono
ad avvicinarsi alle tre, dribblando altri gruppi, restando compatti, cercando attenzione. Iniziò un
valzer di sguardi. Come nei sogni più belli, subito si crearono tre centri di interesse reciproco. Paco
la bionda, Lillo la mora prospera, Romeo la mora magra. Romeo, ad onor del vero, restava sulle
sue, aggrappato al ricordo di Ramona, mentre la ragazza, che non intendeva andare in bianco e non
lo trovava repellente, gli stava discretamente addosso. Lillo, Paco e rispettive, oppure, a seconda dei
punti di vista, Diana, Laura e rispettivi, lasciarono ben presto la pista per infrattarsi, Romeo faceva
finta di niente, sperando che quell’altra non insistesse. Ma ella insistette. Finiti gli sguardi e perso il
contatto visivo, gli si avvicinò ed approfittando di un lento, lo brancò e gli si attaccò, mentre quelli
che dieci anni dopo si sarebbero chiamati “singles” lasciavano la pista, e gli amici a godersi la
fortuna.
“Embé?” disse lei con alito al mughetto.
“Cosa?”
“Non facciamo niente?” e sembrava sinceramente dispiaciuta.
“Non me la sento.”
“Sei frocio?”
“No, sono.. impegnato”
“E allora?”
“Come allora?”
“Le mie amiche sono sparite coi tuoi amici, io chi sono, la figlia della serva, Cenerentola? Cosa gli
racconto domani?”
“Che hai trovato un ragazzo onesto.”
“No. uno sfigato!”
Romeo, provocato in un senso dalle parole ed in un altro dalle forme della ragazza, si arrabbiò: le
prese la testa, se la avvicinò e la baciò, lei ci mise del suo e ne uscì un bacio serio, che portò Romeo
a scorrerle una mano sulla schiena con conclusione su una chiappa. La cosa gli piacque, a livello
solo meccanico, ma gli piacque proprio. Anche a lei, che in parte godeva dell’avere vinto le sue
resistenze.
“Vedi che se ti impegni ce la fai?” insinuò, perfida.
“Non mi sono molto impegnato. Ti accontenti?” il cuore gli batteva come i pistoni di un’Alfa
Romeo in seconda.
“Forse. Andiamo nel boschetto?” e si spostò leggermente verso l’esterno della pista.
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Ramona era decisamente meglio, e Romeo avrebbe pagato qualcosa per averla lì in quel momento
per portarla nel boschetto a fare l’amore. Ma neanche questa era da buttare, anzi, ad una parte del
suo corpo che lui non pensava potesse essere tanto difficile da ignorare, piaceva proprio tanto. Si
sapeva marionetta, ma non gli fregava, del resto stava recitando un copione inserito nel suo corredo
genetico, ed il compenso per la recitazione gli faceva gola. Nelle sue mani erano rimaste curiosità
che lei sembrava dispostissima a soddisfare.
Qualche amico di Ramona poteva averlo visto baciare la bellina sconosciuta, e le voci corrono, la
loro storia poteva essere già compromessa. Ma non di amore si trattava, solo di sesso, il suo pisello
lo sapeva benissimo e gli gridava: “All’arrembaggio, tigre.”. Decise che delle conseguenze se ne
sarebbe occupato a tempo debito.
“Andiamo” disse tirando gentilmente per un braccio la ragazza che voleva avere qualcosa da
raccontare alle amiche, e tentando di coprirsi il volto come un mafioso arrestato per salvare le
apparenze.
Quando furono nell’ombra complice, bruciando entrambi sotto i vestiti, l’ultimo pensiero razionale
che gli passò per la testa fu che anche lui avrebbe avuto qualcosa da raccontare a Paco e Lillo. I suoi
nuovi amici ?
Ombra complice, si diceva. Nel rincorrersi di mani e movimenti ritmici, alla ragazza non pareva
vero che quello studentello fosse così focoso, per parte sua Romeo faceva fatica a credere di essere
coinvolto di persona in una cosa del genere, e di non essere solo spettatore ad una storia d’amore
che stava subendo una pausa di sesso.
Compiuto l’atto, in piedi, la ragazza era in orbita. Romeo, passato il crescendo che aveva portato
all’emissione, si sentì improvvisamente di merda: ansimava, aveva un crampo al polpaccio, era tutto
storto. Si accorse di avere le mani sotto il culo nudo della ragazza, e le ritirò subito (che schifo
quella carne nuda così, a gratis), lei, le gambe molli, gli si appese al collo:
“Reggimi ancora un po’, sennò casco…”
Le braccia lungo i fianchi, Romeo resistette all’impulso di spingerla via, ma appena sentì che si
reggeva da sola si staccò con una certa rudezza. Lei non ci fece caso e si appoggiò ad un albero, col
fiato grosso e le piccole tette nude che salutavano la luce della luna.
“Ma chi sei, Satana?”
“Nessuno- disse Romeo, tetro, rinfoderando la causa del suo malumore – non sono nessuno.”
“Complimenti comunque.”
“Torniamo indietro.”
“Aspetta, come ti chiami?”
“Nessuno, te l’ho detto.”
La ragazza si rimise a posto il vestito, poi ci ripensò, corse vicino a Romeo e gli mise un seno in
mano, Romeo la respinse.
“Come vuoi. Dirò alle mie amiche che nessuno mi ha scopata.” E rise.
“Te l’avevo detto che sono impegnato.”
“Sta’ buono, e comunque complimenti alla fortunata.” Fece per chiedergli se solo in circostanze
come quelle fosse tanto appassionato, ma non lo volle provocare.
Tornando in pista, lei fischiettava ed aveva occhi da lupa. Lui non riusciva, nel complesso, ad essere
soddisfatto come lo era il suo pisello.
“Ciao” le disse, andando verso Lillo e Paco che stavano al bar.
“Ciao- disse lei allegramente, senza mettere ipoteche sul futuro- e grazie!”
Romeo voleva tornare a casa, solo quello, anzi, prima sarebbe andato a tirare sassolini alla finestra
di Ramona fino a svegliarla, e si sarebbe arrampicato fino da lei e…
“Chi si vede.”
“Com’è andata?”
“A voi?”
“Io non mi posso lamentare” disse Paco.
“Io neppure”- disse Lillo giocherellando con un paio di slip femminili.
“Ma dai.”- disse Paco battendogli una mano sulla spalla.
“E tu, Romeo?”
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“Il pensiero di Giulietta ti ha lasciato libero?”
“Torniamo?”- gemette Romeo.
“Guarda che non è grave, un giorno ti tirerà ancora.” Ghignò Glamùr che si era avvicinato.
Romeo non raccolse, e non rispose. Inutile insistere, sarebbero tornati quando Glamùr avesse
voluto, e più insistente si fosse mostrato, più si sarebbe allontanata la partenza. Si guardò intorno in
cerca di conoscenti che tornassero in città, ma poi guardò Glamùr di sottecchi. Quanto gli stava
sulle palle. Odioso il suo sorriso compatto e luminoso, la sua faccia larga e sana, le spalle larghe ed
il fisico tosto che gli facevano passare la voglia di prenderlo a pugni. E poi era bastardo, di quelli
che ti fottono appena possono, e se non possono come avvoltoi aspettano, godono del male degli
altri e temono il proprio. Vigliacco e senza etica, di quelli che trovano una donna solo perché ne
esaltano il lato masochista. Invidiabile, tutto sommato.
Assorto nelle sue critiche, Romeo non notò un movimento dalla parte opposta della pista: la ragazza
scopata da nessuno era malamente strattonata da un tipo sui venticinque anni. Alla domanda:
“Cos’hai fatto?” Lei rispose: “Niente, non ho fatto niente, con nessuno”, tentò di resistere mentre lui
la fissava con occhi di furia, ma poi si era messa a ridergli in faccia. L’altro si era incazzato ed al
grido di: “A me nessuno mi prende per il culo”, aveva tentato di strapparle a scossoni la
confessione. Lei aveva negato: nulla vidi, nulla sentii, nulla feci, e soprattutto nulla presi. Infine un
terzo incomodo, spione, si frappose, non fece il nome, ma puntò il dito. Tutto furia il cornuto partì
senza correre, fendendo la folla di danzatori come un coltello il burro. Essendo di altezza
lievemente superiore alla media, teneva lo sguardo fisso su Romeo. Paco si accorse con la coda
dell’occhio dell’interruzione del movimento regolare della gente, vide il vendicatore, seguì il suo
sguardo e lo vide puntato sul meditabondo Romeo.
“Romeo” – disse, ma non ci fu risposta
“Romeo” ridisse sporgendosi verso di lui in mezzo a Lillo e Glamùr. Quest’ultimo si girò, vide,
capì, spinse via Paco e disse: “Adesso ci divertiamo.”
“Romeo”- gridò Paco.
Romeo alzò la testa e la volse, senza espressione, verso Paco, sperando nel ritorno, ma non volendo
scoprirsi. Il pugno, cattivo e geloso, lo colse dove l’occhio diventa tempia e lo abbattè come una
marionetta alla quale siano tagliati i fili.
Paco ruggì indignato e balzò come una pantera sul vendicatore, Lillo lo seguì, e Glamùr, urlando
“Rissa!!” spinse con tutte le forze un ragazzo che gli dava le spalle contro un gruppo che parlava,
drink in mano.
Rissa fu.
Allegro come una farfalla, Glamùr saltellava qua e là distribuendo calcioni alle spalle e cazzotti di
fronte. Un gruppo di tre biondastri saltava addosso agli isolati e li legnava, alcune ragazze si
picchiavano, i pacieri venivano travolti da turbini di gambe e braccia, iniziarono a decollare
bicchieri e tavolini.
Poi entrarono in azione i buttafuori.
La rissa arretrò, ma non si arrese. I buttafuori non avevano fretta e metodicamente scioglievano i
gruppetti, isolavano i più facinorosi e li colpivano in zone studiate per produrre il massimo danno
col minimo segno. E funzionava.
Visto l’andazzo, Glamùr corse verso le casse e ne sfondò due a calci. Un buttafuori lo vide e lo
inseguì. Lui fece una linguaccia e scappò velocissimo, travolgendo tutto e tutti, buttandosi dietro
tavolini e ragazze per rallentare la corsa del colosso. Guadagnò l’uscita e, nascosto nell’ombra,
puntò verso la macchina, prudentemente imboscata in un posteggio defilato. Si cercò le chiavi in
tasca, non le trovò e disse “Cazzo!”
Paco e Lillo avevano steso il vendicatore e recuperato Romeo, esanime. Erano usciti dalla discoteca
e gli avevano messo la testa sotto una fontana. Romeo si era svegliato.
“Romeo, ci sei, quante sono queste?”- disse Lillo agitandogli sotto il naso le cinque dita della mano
destra
“Te la sei scopata, quella?”- disse Paco.
“Ma che cazzo te ne frega?” ringhiò Romeo emergendo dal mal di testa
“Sta bene.”
9
“Sì, me la sono scopata e sto di merda perché di quella della festa sono innamorato e mi sento un
verme e mi hanno preso a pugni non so perché. È giustizia poetica, lo so.”
“Ti hanno dato anche un paio di calci mentre eri a terra.”
“Secondo me è solo sfiga.”
Romeo si accorse che gli dolevano le costole, anche se non capiva da che parte, ed una gamba.
“Bastardi”- gemette.
“Ti si sta gonfiando un occhio.”- disse Paco.
“Mettili- disse Lillo porgendo a Romeo un paio di occhialini da sole tondi-e trattali bene, me li sono
portati in giro per tutta l’Europa con l’Interrail.”
Romeo infilò gli occhiali.
“Meglio non fare troppa pubblicità”- disse.
“Andiamo in città prima che arrivi la Polizia, presto dov’è Glamùr?.”
“Non lo so”
“Scommetto che se ne è andato, il rotto in culo.”
“Secondo me no- disse Lillo- gli ho preso le chiavi della macchina.”
“Grande, andiamo.”
Arrivati alla macchina, Glamùr saltò fuori dall’ombra.
“Ho perso le chiavi”- disse.
“Le ho trovate io”
Glamùr strappò le chiavi a Lillo con una faccia molto cattiva.
“Grazie, andiamo.”
Romeo restò indietro.
“Vieni” gli disse Paco.
La macchina partì sgommando mentre Romeo era ancora mezzo fuori. Lillo lo prese per un braccio.
0-100 in dieci secondi. Romeo urlò, Lillo e Paco urlarono. Glamùr rideva, la macchina imboccò la
statale a lago a tutta velocità.
“Rallenta, stronzo”- urlò Lillo.
Glamùr fece finta di non sentire, allora Paco lo prese per il collo e strinse forte. Glamùr guardò
nello specchietto retrovisore, vide Romeo con i piedi nell’abitacolo, una mano che annaspava
nell’aria e le mani di Lillo che gli tenevano l’altro braccio. Visti gli occhiali neri scalò ed inchiodò.
Romeo volò dentro, picchiò la testa contro la testa di Lillo che lo mollò, rimbalzò sul sedile e rotolò
fuori dalla macchina fin nel fosso a lato della strada.
“Figlio di putt..”
Glamùr tirò un pugnone nelle palle a Paco che si raggomitolò, poi, ruggendo, ripartì. Perse il
controllo della macchina, per un attimo sul viso gli si dipinse un’espressione spaventata, frenò con
la frizione premuta, la Golf fece un testacoda, Romeo alzò la testa e, come da bambino quando
giocava con le macchinine, la vide capottarsi un paio di volte e strisciare sull’altra corsia. Arrivò
sparata una macchina dall’altra parte, una Station Wagon che frenò, si girò, ma non si fermò. Ci fu
un botto. E poi il silenzio. La Station Wagon non era molto danneggiata, si rimise in moto e ripartì,
nessuno era sceso. Se ne erano fregati. La Golf sembrava il cartoccio di carta stagnola di un panino
dopo che hai mangiato il panino e da lei non si levava neanche un fiato. Si sentiva solo qualcosa
gocciolare.
Romeo si guardò attorno. C’era una cabina del telefono. La raggiunse, fece il 113, disse
dell’incidente calcando molto sui toni drammatici, lesse un cippo stradale per segnalare la posizione
ed aspettò, non sapendo assolutamente cos’altro fare, la testa vuota.
Sua madre lo avrebbe sgridato.
In lontananza una sirena, il suono e la luce.
Romeo, sopraffatto dall’orrore delle leggi della fisica applicate alla circolazione stradale, iniziò a
piangere silenziosamente, si infilò gli occhiali di Lillo e scappò nei prati accanto alla strada..

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Porto occhialini da sole tondi, tanto rigati che sembra che ci sia stesa sopra una garza. Non è che da
nuovi fossero molto più chiari, no, i Ray Ban sono comunque tutt’altra cosa, ed anche le lenti
Polaroid. Però vuoi mettere un regalo?
Siedo su una panchina, situata in un piazzale situato in cima ad una collina a panettone situata in
posizione panoramica rispetto ad un lago di misura giusta per non essere scambiato per mare ne’
definito una pozzanghera. Certo, rispetto agli oceani…
Indosso vestiti vecchi, giovanili, ma consumati dall’uso. Non puzzo troppo perché una doccia non
fa mai male. Alle mie spalle alberi di tiglio ed una chiesetta molto raccolta. Modello origini, dicono,
modello Porziuncola, e difatti ci stanno i francescani che ricchissimi non sono. Non sembrano.
Chissà.
Mi fa male un ginocchio, i calzoni sono lacerati e sporchi di sangue. Ho zoppicato fino a qui, ma ci
sono arrivato lo stesso. Il motivo per il quale ho un ginocchio offeso e me ne sto qui, all’alba, solo e
senza compagnia corrisponde a quello che nei prossimi giorni farà un gran rumore. Per nulla,
ovviamente.
Ci sono rimasti in tre, o più. Ne’ pirati, ne’ briganti, non andavano a Girgenti, ma son tre.
Sono qui davanti alla chiesa, scritto minuscolo, chiesa, perché non sto parlando della comunione fra
tutti i credenti, ma di un semplice edificio abitato da belle persone. Credo.
Chissà perché, poi, ho voglia di levarmi le All Stars e mettere dei sandali. E vestirmi di sacco. Che
sia perché sono pronto e svelto come una patata? Non può essere successo tutto per caso, avrei
dovuto sentirlo nell’aria, fare qualcosa. Ma cosa? Le patate non portano sandali, ma spesso vestono
di sacco. Okay, okay, tana alla metafora. Libera la lingua e vai giù di allitterazione.
Il gomito pure mi fa male, il sinistro, la camicia è lacerata ed i lacerti sono sporchi di sangue,
proprio come i calzoni.
Ramona forse mi cerca, forse lo sa, forse no, e non lo sa. Ma lo saprà. Forse li conosceva, forse se
ne è fatto uno. Ci manca solo la gelosia. La vorrei qui con me, ma non è il momento. A egregie cose
accendon l’animo l’urne dei forti, o Pindemonte.. E le camere ardenti degli ospedali?
Adesso dovrei entrare in chiesa, anzi nel convento. La chiesa dà adito ad un convento. Le ferite mi
bruciano, sono lacero contuse, dovrei disinfettarle, ma sono tanto stanco, sto per addormentarmi
qui.
Sono morti. Tre. Finita, stop, alt, bona lè. Loro sono morti ed io sto qui bel bello col sopracciglio
che mi sanguina ad aspettare l’alba. Ho un buco dentro, sorge il sole e mi viene da piangere perché
per loro stamattina non sorge. Ho perso l’affetto e l’abitudine, mi hanno strappato un dente.
Dove sei, Ram? Voglio i tuoi baci, voglio il tuo corpo dolce, voglio te, voglio vivere, voglio
scoparti.
Adesso mi alzo. Ecco fatto. Ma quanto mi gira la testa, ehi ehi, vedo in bianco e nero, perché sudo
freddo? Mamma, che esperienza: lo choc.
Ramina, sto male, soccorrimi.

Già quando si era alzato era malfermo: teneva le gambe larghe, ma piegate, ed ondeggiava, il
braccio destro pendeva inerte, Alzò il viso verso il cielo appena albeggiato, e nella fredda luce
estiva delle cinque di mattina cadde per terra come se non avesse più motivi per stare dritto. Le
gambe si piegarono, la schiena si inarcò, la testa gli cadde sul petto ed il tutto raggiunse il lastricato.
Una figura incappucciata uscì dal convento fischiettando alla bella giornata. Vide Romeo per terra
Dopo pochi minuti, cinque frati tarchiatelli ed efficienti corsero fuori con una barella. In seguito ad
un sommario check – up (braccio malconcio, ahi ahi) caricarono il ragazzo con incomparabile
delicatezza e sparirono nel fresco ventre dell’edificio.
Il tutto senza spaventare neanche un passero; difatti il loro canto non cessò.

Fra i frati ce n’era uno che si intendeva di pronto soccorso, abilità maturata sui campi dove era stato
bambino. Il ragazzo non aveva niente di rotto, fu spogliato e le sue ferite pulite e rabberciate. Messo
a letto. Doveva solo dormire. A scanso di equivoci, il prete chiamò l’ospedale e si consultò con un
medico il quale lo rassicurò, ma fu molto frettoloso perché nella notte c’era stato un incidente e

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c’era da lavorare. Punto da vaghezza il prete chiamò i carabinieri. Un giovane tenente disse di
tenerlo lì ed avvertire appena si fosse svegliato.

Romeo si svegliò alle due. Chiese un telefono e chiamò sua zia. Sua madre aveva telefonato alla zia
già sette volte, ed era in viaggio per la città. “Quando chiama, rassicurala.- disse dopo averle
raccontato a grandi linee quello che era successo - Io sto bene, adesso vado dai carabinieri.”
Prima di raggiungere il tenente che lo aspettava fuori dalla chiesa, Romeo chiese di fare un’altra
telefonata.
“Dove cazzo sei stato tutta la notte?”- lo aggredì Ramona.
Romeo, con tono dimesso,. le raccontò quasi tutto e le professò amore totale, Ramona ammutolì.
“Ci possiamo vedere?”
“Sto andando dai Carabinieri, puoi venire in caserma.”
“Sì.”
Il tenente gli fece delle domande già in macchina, Romeo rispose la verità, tutta, senza esitazioni,
stava anche per rivelare chi aveva rubato la marmellata della nonna, dodici anni prima. Il tenente gli
chiese di levarsi gli occhiali da sole, Romeo lo fece ed il tenente gli disse di rimetterseli pure
In caserma gli fecero le stesse domande, e lui rispose le stesse cose. Furono gentili. Alla fine romeo
chiese cos’era successo.
“Ci sono rimasti in due.” Romeo impallidì.
“Il guidatore e un passeggero, l’altro è messo male, ma se la caverà, non sappiamo i nomi perché
erano senza documenti, ma non ci vorrà molto. Tu li sai?.”
“Solo i soprannomi”- li disse.
“Stiamo cercando l’altra macchina, se li becchiamo sono cazzi loro.”
“Paco o Lillo Paco o Lillo Paco o Lillo – pensò Romeo- quale sarebbe meglio, ma che cazzo sto
pensando?”
“Non sapevo cosa fare.”- disse Romeo a mezza voce, rotta.
“Sta’ buono e vai a casa. Tu sei stato bravo. Ti faremo sapere qualcosa. Comunque conosciamo tuo
padre.”
Romeo fece un mezzo sorriso.

Paco o Lillo?
Doveva vergognarsi di questo pensiero? Doveva vergognarsi di non provare niente per la sorte di
Glamùr? Erano solo ragazzi, erano solo come lui, e due di loro giacevano morti spezzati, perduti al
mondo ed al futuro. Riusciva a vedere solo la morte che lui aveva scampato per un soffio. La sorte
lo aveva baciato in fronte. Perché lui non disfava gli arredi alle feste? Morte che si comporta come
il padrone di casa. Perché era figlio di un magistrato? Morte che si comporta come un poliziotto o
un carabiniere. Perché amava Ramona? Morte che si comporta come Donna Letizia. Perché la
aveva tradita di corpo con una graziosa sconosciuta? Morte che si comporta come una ruffiana.
Morte puttana che si è concessa a chi l’ha corteggiata.
Il fantasma di Glamùr sarebbe tornato a tormentarlo oppure tutto era finito fra le lamiere della golf?
Tante cose erano finite fra quelle lamiere. Temette che, da allora in poi, invece di immaginarsi
come sarebbe stata a letto ogni persona piacente che incontrava, si sarebbe immaginato come
sarebbe stato dopo la morte.

Entrò un giovane carabiniere:


“C’è una ragazzina che chiede di tale “Romeo”. Non sa il cognome.”
“Io lo so, cioè, sono io.” Ramona.
“Vai, vai.”
Romeo corse fuori ed abbracciò Ramona, andarono a casa sua a piedi, anche se lui un po’zoppicava.
Da casa chiamarono l’ospedale, Cristiano Paclini era ricoverato lì, prognosi riservata, poteva
ricevere visite, gli orari…
Paco o Lillo?

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Chiamò la madre da un Autogrill. C’era sciopero dei treni e l’autostrada era ingorgata, erano lei e la
sorella di Romeo, il fratellino ed il padre erano rimasti al mare. Sarebbero arrivate a sera inoltrata.
“Non serve, sto bene.”
“Dopo torni con noi.”
“Mai.”
“Resto lì, allora.”
“Guarda che me la posso cavare anche da solo.”
“Per chi mi prendi, per la Contessa Ugolina? Finchè non ti vedo vivo e sano io da lì non me ne vado
neanche se cala Cristo!.”
Romeo riattaccò con il broncio, sperava nella mediazione della sorella per rispedire la madre al
mare dopo qualche giorno, e nel fatto che la madre raccogliesse il grido di dolore di Martino, il
fratellino, orbato dell’affetto più caro per motivi pretestuosi. Tutto era da giocarsi, comunque.
Paco o Lillo?
Tornò da Ramona, e la abbracciò.
“Arrivano verso le nove, puoi stare qua?”
Poteva e voleva.

Aveva una clavicola ed una gamba rotte, il labbro spaccato, un taglio sulla testa, ma era vivo e tale
sarebbe restato a lungo. La mattina dopo, Romeo e Ramona, con la madre di Romeo che non c’era
stato verso di farla stare a casa erano in ospedale, ma no, niente visite, per ora. Ma ieri avevano
detto…. Spiacente, ma oggi è così.

Romeo, lo scornato, tornò verso casa. Ramona lo abbracciava, e lui pensava che senza di lei sarebbe
caduto. Sua madre li guardava quasi storto, sentendo di aver perso il suo bambino. Almeno, per
un’altra donna.

Romeo e Ramona si chiusero in camera di Romeo, lui le appoggiò la testa in grembo, e lei non
parlò. Stettero così per molto tempo, senza bisogno di parole.
E Romeo non pensava a niente.

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