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VIOLENZA SULLE DONNE MIGRANTI

Alcuni articoli di Barbara Spinelli

Sanaa, una di noi.


Uccisa perch libera.
di Barbara Spinelli
L'Altro, 17.09.2009
La forza di rompere le catene e scegliere la propria felicit ha un prezzo, che ogni donna rischia di
pagare quando prende in mano il timone della propria vita.
Che si tratti di scegliere di amare un uomo che odora di altri profumi o prega un altro dio, che si
tratti di lasciare un uomo che soffoca le nostre aspirazioni nella tomba della quotidianit della fede
che porta al dito, che si tratti di volere un figlio sapendo che quello stronzo che ci ha assunte user
quella lettera in bianco che ci ha fatto firmare stroncando la nostra carriera, che si tratti di voler
diventare velina costi quel che costi, quando una donna decide e afferra in mano la propria
esistenza, spesso paga un prezzo troppo alto, un surplus di sofferenza, di morte, fisica, psicologica e
sociale, in quanto donna.
Femminicidio. La prima causa di morte per le donne nel mondo, in Italia. La prima causa di
infelicit. Femminicidio: ogni pratica sociale discriminatoria o violenta, rivolta contro la donna in
quanto donna, nel momento in cui la stessa sceglie di autodeterminarsi e di non aderire
passivamente al ruolo sociale scritto per lei dalla societ patriarcale (brava madre, moglie, figlia,
oggetto sessuale), posto in essere col fine di annientarla fisicamente, psicologicamente, nella sua
libert e posizione sociale.
Sanaa era una di noi.
Quello che ci accomuna tutte che prima o poi, in qualche forma, ci troveremo a dover combattere,
faccia a faccia con lodio di un maschio incapace di accettare la nostra capacit di scegliere in
autonomia cosa fare della nostra vita, del nostro corpo.
Noi lo sappiamo, che il resto -colore della pelle, religione, depressione, passione, disoccupazione-
solo una giustificazione apparente di questo odio, la circostanza in cui esso si manifesta, non certo
la causa fondante.
Sanaa uccisa prima di tutto perch ha disobbedito a suo padre. Ha pagato con la vita. Come Irene,
uccisa dal padre in agosto perch non gli piacevano le sue amicizie e le sue serate a base di eroina.
Come la figlia di Giorgio Stassi, che in maggio si vista ammazzare da suo padre il ragazzo perch
non voleva che si vedessero. Come Sabrina, che in aprile ha visto il padre Pier Luigi Chiodini
abbattere a sprangate il ragazzo che lui non voleva per lei davanti ai suoi occhi. Qualche nome, per
non dimenticare. Perch comodo rimuovere facce, nomi, storie di altre di noi che hanno pagato
con la vita le loro scelte di libert, o lincapacit di liberarsi da uomini che le opprimevano.
Se facile riconoscere il razzismo, sembra che ci sia un impegno collettivo per rimuovere
lesistenza del sessismo.
Facile parlare di omicidi culturali, guerra di religione, e ignorare sistematicamente che dietro ogni
donna morta per amore, o per religione, c un uomo che lha uccisa convinto che lei non avesse
diritto di scegliere da sola.
E violenza di genere, che trova la sua causa nel mancato riconoscimento da parte dellassassino del
fatto che quella donna che ha davanti non una sua appendice, un essere sottoposto al suo volere,
ma una Persona la cui dignit e libert di scelta va rispettata. Una Persona con cui mettersi in
relazione, non da correggere, proteggere, educare o punire.
Non importa se gli uomini dicono che ci ammazzano per amore, per vendetta, per onore, o per
giustizia divina.

Non importa se a chi governa fa comodo strumentalizzare queste giustificazioni per stringere la
morsa del controllo sociale e portare avanti politiche securitarie.
Che lo facciano per forza di numeri, ma non con la nostra connivenza, non in nostro nome.
Noi ci siamo per ribadire che la nostra vita e la nostra libert di scelta hanno un valore assoluto,
sempre.
E che non ci devono essere giustificazioni per nessuno: n per il padre geloso n per il padre
fondamentalista.
Sicurezza e violenza sulle donne
La repressione dellaltro non pu passare attraverso il corpo delle donne.
Pubblicato sullo speciale di Carta del 25/11/2007
Barbara Spinelli
Valentina Stamerra
Gli ultimi fatti di cronaca ce lo confermano: la ricerca di consenso passa anche attraverso il corpo
delle donne. La rappresentazione distorta offerta dalle principali testate giornalistiche, linteresse
morboso per il mostro straniero sbattuto in prima pagina, non si pu ridurre soltanto ad un problema
di stereotipi, che pure permea abbondantemente i media italiani, ma indubbiamente copre una pi
ampia operazione di consenso, che vorrebbe individuare nel diritto delle donne ad una vita libera
dalla violenza, come gi fu per quelle afgane ad una vita libera dal velo, le ragioni di una guerra
giusta contro i migranti, gli irregolari, i lavavetri, laltro: dunque, lennesimo problema connesso
alla sicurezza, alla legalit cofferatianamente intesa. Le donne non ci stanno: a pi riprese hanno
gridato il loro no deciso, per impedire lennesima strumentalizzazione del corpo delle donne come
luogo di conflitto, di tutela, di riscrittura di regole di sconfinamento ed esclusione. Far percepire
allopinione pubblica il problema della violenza sulle donne come un problema di insicurezza,
connesso al degrado ed alla illegalit, al rischio di stupro da parte di persone che non hanno nulla
da perdere, implica compiere una operazione doppiamente falsa: non solo si nega la realt dei dati,
che vuole la famiglia come il luogo pi insicuro per le donne per il numero di violenze agite dai
maschi intimi (padri, mariti, ex) in tale contesto, ma si coglie anche loccasione per spostare
lattenzione dalla necessit di un intervento strutturato, volto a consentire leffettiva ed immediata
tutela delle donne che vogliono uscire da situazioni di violenza, e ad incidere profondamente sul
tessuto sociale, culturale, ed istituzionale, per eradicare le prassi discriminatorie, per convenire
piuttosto ad una soluzione legislativa di stampo emergenzialistico e meramente repressivo, che
rimanda unimmagine maschile di una donna bisognosa di protezione e controllo.Il tentativo in atto
gravissimo a livello di principio, per questo prontamente contrastato dalle donne: sulla base di una
concezione distorta di legalit, patriarcale e paternalistica, si declassa la violenza degli uomini (tutti,
la violenza non ha passaporto) sulle donne ad un problema di ordine pubblico, che non riguarda i
nostri uomini ma sempre laltro, negandone la matrice culturale patriarcale sessista, dunque
negando la necessit di una profonda modifica nelle relazioni tra i generi.La negazione della
soggettivit e della autodeterminazione delle donne, viene usata come arma a doppio taglio per
negare non solo l accoglienza, ma anche la presenza stessa in Italia di clandestini e non, con il
duplice risultato di porre in essere politiche discriminatorie nei confronti dei migranti, ma anche
politiche di genere protezionistiche, ed in quanto tali riproduttive di quegli stereotipi che nei
secoli hanno voluto la donna oggetto di tutela / protezione / controllo e non soggetto
autodeterminato la cui dignit, senza se e senza ma, sempre e comunque, va rispettata, anche dalle
istituzioni.Questa deriva securitaria, o il suo politicamente incauto tentativo, avviene nonostante il
Comitato per lapplicazione della CEDAW gi dal 2005 sottolinei che alcuni gruppi di donne, tra
cui le ROM e le immigrate, si trovano costrette in una posizione vulnerabile ed emarginata,
specialmente per quanto riguarda listruzione, limpiego, la salute e la partecipazione alla vita

pubblica e ai processi decisionali, e richiede che vengano poste in essere misure concrete per
leliminazione della discriminazione contro quei gruppi di donne maggiormente vulnerabili, tra cui
le ROM e le immigrate per promuovere il rispetto nei riguardi dei loro diritti umani con tutti i
mezzi disponibili, comprese misure speciali temporanee. Eppure il pacchetto sicurezza in
discussione, alcune delle sue parti stanno passando, assoggettando basilari garanzie di dignit
previste dal nostro ordinamento a logiche securitarie o legalitarie, in una interpretazione
inaccettabilmente restrittiva e deviante dei principi costituzionali, che nega un principio
fondamentale del nostro ordinamento, quello espresso negli articoli 2 e 3 della Costituzione, il
principio solidaristico, che la nostra Carta rivolge rivolto a vantaggio di tutti, cittadini e non,
nellottica egualitaria ed inclusiva che Essa promuove. Crediamo che in un Paese dove la situazione
tale non si pu e non si deve in alcun modo negare solidariet, appartenenza, presenza, a nessuno,
perch significa discriminare, incitare allodio razziale, fomentare conflitti civili, tanto pi se ci
fatto in nome di una concezione astratta e fortemente discutibile di legalit e amor patrio.

LItalia a chi la ama: campagna di Alleanza nazionale


Rivedere le proprie priorit?
Barbara Spinelli
11/08/2007
Il Paese delle donne online - http://www.womenews.net/spip3/spip.php?article824

Proponiamo la riflessione di Barbara Spinelli, dellassociazione Giuristi Democratici, sulla


campagna di Alleanza nazionale contro limmigrazione clandestina.
Limmigrazione clandestina fa male alle donne. Nessuna solidariet, senza legalit. LItalia a chi
la ama.
Non so perch, ma quando per la prima volta ho avuto modo di vedere questa nuova campagna
pubblicitaria di AN per sensibilizzare le istituzioni sul problema dellimmigrazione, della
solidariet e della legalit, mi subito tornato in mente lo spezzone di Harry Potter e la camera
dei segreti in cui Hermione, a fronte della necessit cogente di fare la pozione polisucco, unico
modo per cercare una via di uscita alla morte certa che toccher ai mezzosangue se il trio non riesce
a richiudere la camera dei segreti, esclama Non possiamo fare la pozione polisucco! Potremmo
rimanere uccisi o peggio potrebbero espellerci da Hogwarts! e Ron, scambiandosi uno
sguardo significativamente attonito con Harry, controbatte Hermione, dovresti rivedere le tue
priorit !!!.
Gi, perch parlare di sconcerto poco davanti al ribaltamento delle priorit, basato peraltro su
una summa di stereotipi, che questa campagna pubblicitaria propone.
In primis: Limmigrazione clandestina fa male alle donne. Perch mai operare una scala
gerarchica che quantifichi il dolore di chi versa situazioni di clandestinit? Perch mai specificare
che essa fa male, nello specifico, alle donne? E a quali donne ci si riferisce? Forse a quelle italiane,
che si presume vittime di violenza gratuita da parte di immigrati favoriti nel commettere crimini
dalla loro clandestinit?
Ecco che il link tra donne immigrazione solidariet - legalit appare in questa campagna
pericolosamente disegnato. Questa campagna, cos come la proposta di aprire una Commissione

dinchiesta sulle condizioni di vita delle donne immigrate presenti in Italia, parte da presupposti non
condivisibili, pericolosamente forieri di odio sociale, perch riproducono uno stereotipo che si fatica
ad abbattere anche ripetendo quotidianamente quello che le statistiche attestano e confermano: la
maggior parte delle violenze sulle donne non agita per strada da parte di immigrati clandestini, ma
in casa, per mano di coniugi, amici, familiari, parenti.
Non si pu ridurre il problema della violenza sulle donne solo a un problema di stupri su strada, e
quindi di sicurezza, e tantomeno, sempre sulla base di questa distorta concezione di legalit,
patriarcale e paternalistica, si pu negare non solo l accoglienza, ma anche la presenza stessa in
Italia di clandestini ( perch se limmigrazione clandestina fa maleinvece LItalia a chi la
ama..).
Questo significherebbe non solo porre in essere politiche discriminatorie nei confronti dei migranti,
ma anche promuovere politiche di genere protezionistiche, ed in quanto tali riproduttive di quegli
stereotipi che nei secoli hanno voluto la donna oggetto di tutela / protezione / controllo e non
soggetto autodeterminato la cui dignit, senza se e senza ma, sempre e comunque, va rispettata. In
un Paese come il nostro, dove il Comitato per lapplicazione della CEDAW sottolinea che alcuni
gruppi di donne, tra cui le ROM e le immigrate, si trovano costrette in una posizione vulnerabile ed
emarginata, specialmente per quanto riguarda listruzione, limpiego, la salute e la partecipazione
alla vita pubblica e ai processi decisionali, e richiede che vengano poste in essere misure concrete
per leliminazione della discriminazione contro quei gruppi di donne maggiormente vulnerabili, tra
cui le ROM e le immigrate per promuovere il rispetto nei riguardi dei loro diritti umani con tutti i
mezzi disponibili, comprese misure speciali temporanee, ebbene in un Paese dove la situazione
tale non si pu e non si deve in alcun modo i negare solidariet, appartenenza, presenza, a nessuno,
perch significa discriminare, incitare allodio razziale, fomentare conflitti civili, tanto pi se ci
fatto in nome di una concezione astratta e fortemente discutibile di legalit e amor patrio. Mi pare
infatti che in queste poche righe ci si arroghi con troppa facilit la facolt di disegnare confini di
giudizio e di accoglienza troppo stretti, troppo discriminanti, in uninterpretazione
inaccettabilmente restrittiva e deviante dei principi costituzionali: si nega infatti un principio
fondamentale del nostro ordinamento, quello espresso negli articoli 2 e 3 della Costituzione, il
principio solidaristico, che la nostra Carta rivolge rivolto a vantaggio di tutti, cittadini e non,
nellottica egualitaria ed inclusiva che Essa promuove.
E impensabile tentare di assoggettare una delle basilari garanzie di dignit previste dal nostro
ordinamento a logiche securitarie o legalitarie: piuttosto un dovere inderogabile di solidariet
politica, economica e sociale, richiesto a tutti, e rivolto a vantaggio di tutti, cittadini e non. Sono
manifesti gli stereotipi alla base delle proposte politiche che si celano dietro queste poche righe,
ed a me pare anche manifesta la pericolosit di veicolare al pubblico messaggi di questo tipo, non
solo perch profondamente in contrasto con i principi che ispirano la nostra Costituzione, ma anche
perch profondamente offensivi della dignit di tutte le donne, gli uomini, gay, lesbiche, bisessuali,
transessuali, migranti, apolidi, cittadini, persone, che rivendicano, in quanto esseri umani, il rispetto
della propria dignit, che rivendicano pari dignit sociale aldil delle loro condizioni personali e
sociali. Ecco perch, rinnegando lidea di una cittadinanza a strati, mi chiedo se non sia il caso
che i promotori di questa campagna oltre a ritirare questa campagna discriminatoria, ripensino al
loro approccio alle questioni di genere e dei rapporti con i migranti. Condividendo quanto affermato
da Heidi Giuliani, ritengo non porti a nulla di costruttivo un uso distorto del femminismo, in
chiave etnocentrica e coloniale; una assurda etnicizzazione del crimine; un universalismo dei
diritti umani usato in chiave razzista; una spinta a processi identitari contrari alle possibilit di un
dialogo transculturale che permetta a ciascuno/a, migrante e nativa/o, di costruire nelle relazioni una
propria individualit nuova e in movimento. Sarebbe piuttosto il tempo di abbandonare stereotipi
razzisti e nazionalisti e capire invece come affrontare le sfide del multiculturalismo: anche io

come Habermas sempre pi spesso mi interrogo sulla capacit dellindividuo postmoderno di


rimpiazzare lo stadio nazionale della democrazia e della normativit repubblicana (Volkgenossen)
e quindi il richiamo ossessivo ad una legalit meramente formale- con uno stadio istituzionale
cosmopolitico e sopranazionale ( Weltinnenpolitik ) che sia in grado di abbracciare al proprio
interno il pluralismo (subpolitico e culturale) delle forme di vita e di equiparare giuridicamente
identit etiche diverse, prendendo distanza dalla cultura di maggioranza e dal suo tentativo
isterico di produrre individui a una dimensione sotto legida del falso mito del progresso
autopoietico di diritti individuali universali.
Ci possibile secondo Habermas solo attraverso il diritto, che deve essere guidato da principi
costituzionali universalistici, e deve sostituire il concetto di giusto al concetto di bene, in
modo tale da scindere il concetto di cittadinanza da quello, comunque presente, di appartenenza del
cittadino a unidentit collettiva di tipo subpolitico (etico , culturale , o religioso), in modo tale da
garantire una solidale coesistenza di estranei fondata sulla legalit universale e astratta del diritto
positivo. Dunque, per chi afferma Nessuna solidariet, senza legalit, non forse il caso di
rivedere le proprie priorit ?

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