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Qlodlibet

Giorgio Agamben
Gusto

Un luogo comune vuole che il gusto sia l'organo con cui


conosciamo la bellezza e godiamo delle cose belle. Die
tro questa pacifica facciata, il saggio di Agamben mette
invece a nudo la dimensione tutt'altro che rassicurante
di una frattura che divide immedicabilmente il soggetto.
All'incrocio di verita e bellezza, di conoscenza e piacere,
il gusto appare come il sapere che non si sa e il piacere
che non si gode. E, in questa nuova prospettiva, estetica
ed economia, homo cestheticus e homo a:conomicus, rive
lano una segreta e inquietante complicita.

ISBN 978-88-7462-722-6

Euro

ro,oo

II 111 11 1 11

9 788874 627226

Q!lodlibet 67

Giorgio Agamben

Gusto

Qtodlibet

Gusto

Questo studio e stato originariamente pubblicato


in Enciclopedia Einaudi, vol. 6, Einaudi, Torino 1979.

2015 Quodlibet sri


Macerata, via Santa Maria della Porta, 4 3
www.quodlibet.it

r. Scienza e piacere
In opposizione allo statuto privilegiato as
segnato alia vista e all'udito, nella tradizione
della cultura occidentale il gusto e classificato
come il senso piu basso, i cui piaceri l'uomo
condivide con gli altri animali (Aristotele, Eti
ca Nicomachea, IIr8a) e alle cui impressioni
non si mescola nulla di morale (Rousseau,
r78r, p. 303). Ancora neUe Lezioni sull'este
tica di Hegel (r8I7-I8 29), il gusto e opposto
ai due sensi teoretici, vista e udito, perche
non si puo degustare un'opera d'arte come
tale, perche il gusto non lascia l'oggetto libe
ro per se, rna ha a che fare con esso in modo
realmente pratico, lo dissolve e lo consuma
(Hegel, r8r7-r8 29, p. 696). D'altra parte, in
greco, in Iatino e neUe lingue moderne che
da esso derivano, e un vocabolo etimologi
camente e semanticamente connesso con la

IO

GUSTO

sfera del gusto che designa 1'atto della cono


scenza: 11 sapiente e cosi chiamato da sapo
re (Sapiens dictus a sapore) poiche, come il
gusto e atto alla distinzione del sapore dei
cibi, cosi il sapiente ha la capacita di cono
scere le cose e le loro cause, in quanta, tutto
cio ch'egli conosce, lo distingue secondo un
criteria di verita suona ancora nel secolo
xn un'etimologia (libro x, 240) di Isidoro di
Siviglia; e, nelle lezioni del I 872 sui filosofi
preplatonici, il giovane filologo Nietzsche
nota a proposito della parola greca soph6s,
saggio: Etimologicamente essa appartiene
alla famiglia di sapio, gustare, sapiens il gustan
te, saphes percepibile al gusto. Noi parliamo di
gusto nell'arte: per i Greci, l'immagine del gu
sto e ancora piu estesa. Una forma raddoppiata
Sisyphos, di forte gusto (attivo); anche sucus ap
partiene a questa famiglia (Nietzsche, I 8 72I873, PP 2 5 3-2 5 4).
Quando, nel corso dei secoli xvn e xvm,
si comincia a distinguere una facolta specifi
ca cui sono affidati il giudizio e il godimento
della bellezza, e proprio il termine gusto,
opposto metaforicamente come un sovrasen
so all'accezione propria, che si impone nella
maggior parte delle lingue europee per indi
care quella forma speciale di sapere che gode

GUSTO

II

dell'oggetto bello e quella forma speciale di


piacere che giudica della bellezza. Con la
consueta lucidita, Kant individua infatti fin
dalle prime pagine della Critica del giudizio
(I 790) l' enigma del gusto in un'interferen
za di sapere e piacere. Egli scrive a proposito
dei giudizi di gusto:
Sebbene questi giudizi non contribuiscano per
nulla alla conoscenza delle cose, essi appartengo
no nondimeno unicamente alla facolta di cono
scere e rivelano un'immediata relazione di questa
facolta col sentimento del piacere ... Questa re
lazione e proprio cio che vi e di enigmatico nella
facolta del giudizio.
(Kant, I790, p. 6)

Fin dall'inizio il problema del gusto si


presenta cosi come quello di un altro sa
pere (un sapere che non puo dar ragione
nel suo conoscere, rna ne gode; nelle paro
le di Montesquieu 1'applicazione pronta e
squisita di regole che neppur si conoscono
- Montesquieu, I7 5 5, p. 73 5 ) e di un altro
piacere (un piacere che conosce e giudica, se
condo quanto e implicito nella definizione del
gusto di Montesquieu come mesure du plai
sir): la conoscenza del piacere, appunto, o il
piacere della conoscenza, se neUe due espres-

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GUSTO

sioni si da al genitivo un valore soggettivo e


non solo oggettivo.
L'estetica modema; a partire da Baumgarten,
si e costruita come un tentativo di indaga
re la specialita di questo altro sapere e di
fondarne l'autonomia accanto alia conoscen
za intellettuale (cognitio sensitiva accanto a
quella logica, intuizione accanto a concetto).
In questo modo, configurandone il rapporto
come quello di due forme autonome all'in
terno dello stesso processo gnoseologico,
essa lasciava perc) nell'ombra proprio il pro
blema fondamentale, che, come tale, avrebbe
meritato di essere interrogato: perche la co
noscenza e cosi originalmente divisa e per
che essa intrattiene, altrettanto originalmen
te, un rapporto con la dottrina del piacere,
cioe con l'etica? Ed e possibile una riconci
liazione della frattura che vuole che la scien
za conosca la verita, rna non ne goda e che il
gusto goda della bellezza, senza poteme dar
ragione? Che ne e, cioe, del piacere della co
noscenza? Come puo la conoscenza godere
(gustare)? Nel presente studio, mentre si con
sidered 1'estetica nel senso tradizionale come
un campo storicamente chiuso, si proporra
invece una situazione del gusto come luogo
privilegiato in cui emerge alia luce la frattura

GUSTO

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dell'oggetto della conoscenza in verita e bel


lezza e del telos etico dell'uomo (che nell'etica
aristotelica appare ancora indiviso nell'idea
di una theoria che e anche teleia eudaimonia,
perfetta felicit3.) in conoscenza e piacere,
che caratterizza in modo essenziale la meta
fisica occidentale. Nella formulazione pia
tonica, questa frattura e, anzi, cosi originale,
che si puo dire che sia essa stessa a costituire
il pensiero occidentale non come sophia, rna
come philo-sophia. Solo perche verita e bel
lezza sono originalmente scisse, solo perche
il pensiero non puo possedere integralmente
il proprio oggetto, esso deve diventare amore
della sapienza, cioe filosofia.

2.

Verita e bellezza

Lo statuto differenziale della bellezza e


fondato da Platone nel Pedro nell'allegazione
che, mentre la sapienza non ha una immagine
che possa essere percepita dalla vista, alia bel
lezza e invece toccato il privilegio di essere
cio che vi e di piu visibile:
La bellezza, come s'e detto, splendeva di vera
luce lassu fra quelle essenze, e anche dopo la

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GUSTO

nostra discesa quaggiu l'abbiamo afferrata con


il piit luminoso dei nostri sensi, luminosa e ri
splendente. Perche la vista e il piu acuto dei sensi
permessi al nostro corpo; essa yero non vede il
pensiero (phr6nesis ouch horatai). Quali stra
ordinari amori ci procurerebbe se il pensiero
potesse assicurarci una qualche mai chiara im
magine (eidolon) di se da contemplare! Ne puo
vedere le altre essenze che son degne d'amore.
Cosl solo la bellezza sortl questa privilegio di
essere la piu apparente (ekphanestaton) e la piu
amabile (erasmiotaton).
(Pedro, 25 od)

Nella mancanza di eidolon della sapienza


e nella particolare visibilita della bellezza, cio
che e in gioco e, dunque, il problema metafi
sico originale della frattura fra visibile e invi
sibile, apparenza ed essere. 11 paradosso della
definizione platonica della bellezza e la visi
bilita dell'invisibile, 1'apparizione sensibile
dell'idea. Ma in questa paradosso trova il suo
fondamento e la sua ragion d'essere la teoria
platonica dell'amore, nel cui ambito il Pedro
svolge la trattazione del problema del bello.
La visibilita dell'idea nella bellezza e, in
fatti, 1'origine della mania amorosa, che il
Pedro descrive costantemente in termini di
sguardo, e del processo conoscitivo che essa

GUSTO

pone in essere, il cui itinerario e fissato da


Platone nel Simposio. Nello stesso Simposio lo
statuto di Eros nell'ambito della conoscenza
e caratterizzato come medio fra sapienza e
ignoranza e, in tal senso, paragonato all'opi
nione vera, cioe a un sapere che giudica con
giustezza e coglie il vero senza poterne, pero,
dar ragione. Ed e proprio questo suo caratte
re mediale che giustifica la sua identificazio
ne con la filosofia:
Ma non t'accorgi che c'e qualcosa di medio fra
sapienza e ignoranza? Che cosa? Giudica
re con giustezza, anche senza essere in grado di
darne ragione (logon dounai). Non sai che cio
appunto non e scienza - perche dove non si sa
dar ragione come potrebbe esservi scienza? Ne
ignoranza - giacche cio che coglie il vero come
potrebbe essere ignoranza? Orbene qualcosa di
simile e la giusta opinione (ortbe d6xa), qualcosa
di mezzo fra l'intendere e l'ignoranza (metaxy

phroniseos kaz amathias).


(Simposio, 202a)
Anche fra sapienza e ignoranza [Amore] si tro
va a mezza strada, e per questa ragione nessuno
degli dei e filosofo, 0 desidera diventare sapiente
(che lo e gia), ne chi e gia sapiente s'applica alia
filosofia. D'altra parte, neppure gli ignoranti si
danno a filosofare ne aspirano a diventare saggi,

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GUSTO

che proprio per questo l'ignoranza e terribile,


che chi non e ne nobile ne saggio crede d'aver
tutto a sufficienza; e naturalmente chi non av
verte d' essere in difetto non aspira a cio di cui
non crede d'aver bisogno. Chi sono allora, o
Diotima, replicai, quelli che s'applicano alla fi
losofia, se escludi i sapienti e gli ignoranti? Ma
lo vedrebbe anche un bambino, rispose, che
sono quelli a mezza strada fra i due, e che Amo
re e uno di questi. Poiche appunto la sapienza
lo e delle cose piu belle ed Amore e amore del
bello, ne consegue necessariamente che Amore
e filosofo, e in quanto tale sta in mezzo fra il
sapiente e l'ignorante.
(Ivi, 204a-b)

Sempre nel Simposio, l'itinerario amoroso


e descritto come un processo che va dalla vi
sione della bellezza corporea alla scienza del
bello (tou kalou mathema) e, finalmente, al
bello in se, che non e pili ne corpo ne scienza:
Questa bellezza non gli si rivelera con un volto
ne con mani, ne con altro che appartenga al cor
po, e neppure come concetto o scienza, ne come
risiedente in cosa diversa da lei, per esempio in
un vivente, o in terra, o in cielo, o in altro, rna
come essa e per se e con se, eternamente univoca.
(lvi, 2IIa-b)

Il compito paradossale che Platone assegna


alla teoria dell'amore e, dunque, quello di ga
rantire il nesso (l'unita e, insieme, la differenza)
fra bellezza e verita, fra cio che vi e di pili visi
bile e l'invisibile evidenza dell'idea. Appartiene
infatti alla pili profonda intenzione del pensiero
platonico il principio per cui il visibile (e quindi
il bello, in quanto cio che e pili apparente) e
escluso dall'ambito della scienza. Nel libro vn
della Repubblica, a proposito dell'astronomia,
Platone afferma esplicitamente che e impossi
bile cogliere la verita restando sul terreno delle
apparenze e della bellezza visibile. La bella va
ried delle costellazioni celesti non puo essere,
come tale, oggetto di scienza:
Questi ornamenti disposti nel cielo, poiche stan
no trapunti su uno sfondo visibile, bisogna sl
giudicarli i piu belli e considerarli i piu regolari
tra simili oggetti, rna molto inferiori ai veri, ri
guardo a quei movimenti che la vera velocita e la
vera lentezza compiono, secondo il vero numero
e in tutte le vere figure, l'una rispetto all'altra ...
Percio, continuai, gli ornamenti del cielo devono
servire da esempi per poter studiare quegli altri
oggetti. Un caso simile sarebbe quello di chi tro
vasse dei disegni tracciati o elaborati con partico
lare maestria da Dedalo o da qualche altro artista
o pittore. Vedendoli, un esperto di geometria li

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giudicherebbe bellissimi d'esecuzione, rna stime


rebbe ridicolo esaminarli seriamente per cogliervi
il vero concetto dell' eguaglianza o del doppio o
di qualche altro rapporto.

(Repubblica, 5 29c-e)

Per questa a ragione Simplicia, formulan


do cosi in qualche modo -nel suo commento
a Del cielo di Aristotele -il programma delle
scienze esatte, poteva configurare l'intenzione
piu propria dell'episteme platonica come un
ta phain6mena sozein, salvare le apparenze:
Ecco quale problema Platone proponeva ai
ricercatori in questa campo (l'astronomia):
trovare quali movimenti circolari e perfetta
mente regolari bisogna supporre per salvare
le apparenze presentate dagli astri erranti
(Duhem, 1 908, p. 3). Ma solo se si potesse
fondare un sapere delle apparenze in quanta
tali (cioe, una scienza del bello visibile), sareb
be allora possibile affermare di aver veramen
te Salvato i fenomeni. Vepisteme, di per se,
non puo che salvare le apparenze nei rap
porti matematici, senza pretendere di esaurire
il fenomeno visibile nella sua bellezza.
Per questo il nesso verita-bellezza e il
centro della teoria platonica delle idee. La
bellezza non puo essere conosciuta, la veri-

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ta non puo essere vista: rna proprio questa


intrecciarsi di una duplice impossibilita defi
nisce l'idea e l'autentica salvazione delle ap
parenze che essa attua nell' altro sapere di
Eros. Anzi, il significato del termine idea
(col suo implicito rimando etimologico a una
e-videnza, a un idein) e interamente contenu
to nel gioco (nell'unita-differenza) fra verita e
bellezza. Per questa, ogni volta che, nei dia
loghi sull'amore, sembra di poter afferrare la
bellezza, questa rimanda all'invisibile, cosi
come, ogni volta che si crede di poter strin
gere nell'episteme la consistenza della verita,
questa rimanda al vocabolario della visione,
a un vedere e a un apparire. Proprio perche
1'atto supremo della conoscenza e scisso in
tal modo in verita e bellezza e risulta tutta
via concepibile solo in questa scissione ( la
Sapienza e Sapienza delle COSe piu belle, il
bello e cio che vi e di piu apparente, rna
la scienza e scienza dell'invisibile), il sapere
deve costituirsi come amore del sapere o
sapere d'amore e, al di la tanto della cono
scenza sensibile che dell'episteme, presentar
si come filosofia, cioe come medio fra scien
za e ignoranza, fra un avere e un non-avere.
In questa prospettiva e significativo che,
nel Simposio, a Eros sia attribuita la sfera

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GUSTO

della divinazione. Poiche la divinazione era


appunto una forma di mania, cioe un sape
re che non poteva, come 1'episteme, rendere
ragione di se e dei fenomeni, rna concerne
va cio che in essi era semplicemente segno
e apparenza. La contrapposizione fra 1'or
the mania del sapere d'amore e l'episteme
rimanda ancora una volta al tentativo plato
nico di istituire un sapere altro e una sal
vazione dei fenomeni fra l'invisibilita. dell'e
videnza (la verid) e 1'evidenza dell'invisibile
(la bellezza).
La teoria platonica dell'amore non e, pero,
soltanto la teoria di un sapere altro, rna, an
che e nella stessa misura, la teoria di un al
tro piacere. Se l'amore e, infatti, desiderio
di possedere il bello (Simposio, 2o4d), se pos
sedere il bello e essere felici (eudaimon estai)
e se, d'altra parte, amore e, come si e visto,
amore del sapere, il problema del piacere e
quello del sapere sono strettamente connessi.
Per questo non e certo casuale che, nel File
bo, 1'analisi del piacere sia condotta di pari
passo a quella della scienza, e che il bene su
premo vi sia identificato come una mescolan
za (synkrdsis) di scienza e di piacere, di verita
e di bellezza. Platone distingue qui i piaceri
puri (hedonai katharaz) - quelli dei bei co-

GUSTO

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Iori, delle figure, di certi odori e dei suoni che possono essere mischiati con la scienza,
dai piaceri impuri, che non tollerano alcun
rapporto con la conoscenza. La mistione dei
piaceri puri e delle scienze pure e, pero, espli
citamente caratterizzata come opera della
bellezza, in modo che 1'oggetto supremo del
piacere come della scienza si rifugia ancora
una volta nel bello ( Cosl ora la potenza del
bene . . . si e rifugiata nella natura del bello 64e). La frattura della conoscenza che Piato
ne lasciava in eredita alia cultura occidentale
e, dunque, anche una frattura del piacere: rna
entrambe queste fratture -che caratterizzano
in modo originale la metafisica occidentale fanno segno verso una dimensione interme
dia in cui si tiene la figura demonica di Eros,
il quale soltanto sembra poterne assicurare
la conciliazione senza abolirne, insieme, la
differenza.
Solo se la si colloca su questo sfondo, solo
se, cioe, ci si rende conto di quale complessa
eredita metafisica sia gravida la scienza che,
sui finire del secolo XVIII, viene ingenua
mente a proporsi come scienza del bello
e dottrina del gusto, e possibile porre nei
suoi giusti termini il problema estetico del
gusto, che e, insieme, un problema di cono-

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GUSTO

scenza e di piacere, anzi, nelle parole di Kant,


il problema dell' enigmatica relazione del
conoscere e del piacere.

3 Un sapere che gode e un piacere che conosce


La formulazione del concetto di gusto, a
partire dal secolo XVI fino alla sua piena enun
ciazione nella copiosa trattatistica settecente
sca sul gusto e sul bello, tradisce quest'origine
metafisica nella segreta solidarieta di scienza
e piacere che essa presuppone. 11 gusto ap
pare infatti fin dall'inizio come un sapere
che non sa, rna gode e come un piacere che
conosce. Non e un caso se, come ha mostra
to Robert Klein ( 1 970), la prima apparizio
ne di questo concetto vada cercata piuttosto
nei trattati sull'amore e nella letteratura ma
gico-ermetica che nella letteratura artistica
propriamente detta. E in un singolare pass
del libro XVI della Theologia ( 1 6 1 3- 1 624), d1
Campanella, a proposito degli influsi degli
angeli e dei demoni sull'uomo, che s1 trova
una delle piu precoci apparizioni della me
tafora gustativa a significare una forma par
ticolare di conoscenza immediata:

GUSTO

23

Non enim discurrendo cognoscit vir spiritua


lis utrum daemon an angelus . . . sibi suadet . . .
aliquid; sed quodam quasi tactu et gustu et in
tuitiva notitia . . . quemadmodum lingua statim
discernimus saporem vini et panis.
(Non e infatti discorrendo che l'uomo spiritua
le si rende conto se un demone o un angelo . . .
lo convince . . . di una cosa; rna con una sorta di
tatto e di gusto e di avvertimento intuitivo . . .
come con la lingua subito avvertiamo il sapore
del vino e del pane.)
(Cit. in Klein, 1970, p. 377)

Ed e ancora Campanella, nella prefazione


alla Metafisica ( 1 638), ad opporre il ragiona
mento, che e quasi una saetta con cui rag
giungiamo il bersaglio da lontano e senza
gustarlo (absque gustu), una forma di co
noscenza per tactum intrinsecum in magna
suavitate. L'idea di una forma di conoscen
za altra, che si oppone tanto alla sensazione
che alla scienza, ed e insieme piacere e sape
re, e il tratto dominante delle prime defini
zioni del gusto come giudizio sul bello. U n
passo del Discorso delle ragioni del numeo
del verso italiano di Lodovico Zuccolo n
assume esemplarmente tutti gli elementi del

GUSTO

problema. A proposito della bellezza del


verso egli scrive:
La causa poi, perche una proporzione, o conso
nanza sia buona, e l'altra cattiva, per vigore di
mente humana non puo scorgersi. Tocca a darne
il giudicio ad una certa porzione dell'intelletto,
la quale per conoscere unita co' i sentimenti,
suole anco pigliare il nome di senso; onde hab
biamo in costume di dire, che 1' occhio discerne
la bellezza della Pittura, e 1' orecchia apprende
l'armonia della Musica. Ma veramente ne l'oc
chio, ne 1'orecchia sono giudici da se soli; che
cos! anche i cavalli, e i cani haverebbero quel gu
sto della Pittura, e della Musica, che sentiamo
noi; rna sibene una certa potenza superiore, uni
ta insieme con l' occhio, e con l' orecchia, forma
un cotal giudicio: la qual potenza tanto meglio
conosce, quanto ha pili d'acutezza nativa, o pili
di perizia nell'arti, senza pero valersi di discor
so. Bene ha conosciuto la mente humana, che un
corpo, per esser bello, richiede pili una propor
zione, che l'altra: rna, perche poi quella sia buo
na, e questa cattiva, ne rimane intiero il giudicio
a quella potenza unita co' i sentimenti, la qual
discerne senza discorso. Laonde diremo bene,
che la bocca per esempio debba havere tanto
di ampiezza di giro, di angoli, di apertura, e di
grossezza di labra, soavemente esposte in fuo
re, per rispondere di misura, e di proporzione

GUSTO
al naso, alle guance, agli occhi, alla fronte; e che
percio Lucrezia habbia bella bocca, e brutta Ca
milla: rna, perche poi fatta pili all'un modo, che
all'altro, sia di gusto, ne rimane giudice il sen
timento, inteso nella maniera dichiarata da noi;
e pero sarebbe follia il ricercarne altra ragione.
(Zuccolo, 1623, pp. 8-9)

Questa caratterizzazione per cosi dire in


negativo del gusto come sapere che non si
sa e perfettamente evidente nella definizio
ne leibniziana del gusto ( il gusto distinto
dall'intelligenza consiste nelle percezioni
confuse di cui non si potrebbe a sufficienza
rendere ragione. Si tratta di un qualcosa di
simile all'istinto) e nella sua osservazione
che i pittori e gli artisti, che giudicano assai
bene le opere d'arte, non possono pen) ren
der conto dei loro giudizi se non rimandan
do a un non so che (Vediamo che i pittori e
gli altri artefici -egli scrive nel De cognitio
ne, veritate et ideis [r684] -sanno bene che
cosa e stato fatto rettamente 0 malamente,
rna spesso non possono rendere ragione del
loro giudizio e dicono a chi li interroga che
nella cosa che non piace manca un non so che
[nescio quidJ).

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E tuttavia proprio questo senso vuoto che,


nel corso del secolo XVIII, acquista una posi
zione sempre piu assiale nel dibattito intellet
tuale. Se si sceglie come campione esemplare
della vasta trattatistica settecentesca sul gu
sto l'articolo incompiuto che Montesquieu
aveva scritto per l'Encyclopedie, si vede che
Montesquieu coglie qui col consueto acume
i due caratte_ri essenziali di quest'altro sape
re: 11 gusto naturale -egli scrive da una par
te -non e una scienza teorica; e l'applicazio
ne pronta e squisita di regole che neppur si
conoscono (Montesquieu, I 7 5 5 , p. 73 5 ). Il
gusto -egli afferma dall'altra -altro non e se
non la prerogativa di scoprire, con finezza
e prontezza, la misura del piacere che ogni
cosa deve dare agli uomini (ivi, p. 734). Egli
insiste piu volte su questi caratteri che fanno
del gusto qualcosa come la conoscenza del
piacere e il piacere della conoscenza; e, in un
passo signi:ficativo, accennando al carattere
arbitrario della costituzione dell'uomo ( Il
nostro modo di essere e del tutto arbitrario;
avremmo potuto essere fatti cosi come sia
mo, o diversamente: se fossimo stati fatti di
versamente, avremmo sentito diversamente
-ibid.), egli suggerisce che, se l'anima non
fosse stata unita al corpo, conoscenza e pia-

GUSTO

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cere non sarebbero stati divisi: Se la nostra


anima non fosse unita al corpo, conoscereb
be; rna probabilmente cio che conoscerebbe
le piacerebbe: invece ci piace quasi soltanto
cio che non conosciamo (ibid.).
In questa prospettiva, il gusto appare come
un senso soprannumerario, che non puo tro
var posto nella partizione meta:fisica fra sen
sibile e intellegibile, rna il cui eccesso de:fini
sce lo statuto particolare della conoscenza
umana. Per questo i :filoso:fi che tentano di
descrivere il gusto vengono a trovarsi nel
la situazione dell'immaginario viaggiatore
dell'Histoire comique des Etats et Empires de
Ia Lune ( I 649) di Cyrano de Bergerac, a cui
un abitante della Luna cerca di spiegare cio
che egli percepisce attraverso i suoi sensi:
N ell'U niverso vi sono forse un milione di cose
che, per essere conosciute, richiederebbero in
voi un milione di organi diversi fra loro . . . se io
volessi spiegarvi cio che percepisco con i sensi
che vi mancano, voi ve lo rappresentereste come
qualcosa che puo essere udito, visto, toccato,
odorato o assaporato, e tuttavia esso non e nulla
di tutto cio.

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GUSTO

Un tale senso, mancante (o soprannume


rario) e il gusto, che non si puo descrivere se
non per metafora; vero e proprio senso anti
metafisico, che permette cio che, per defini
zione, e impossibile: la conoscenza dell'appa
renza sensibile (del bello in quanto cio che
e pili apparente) come vera e la percezione
della verita come apparenza e piacere.
Se ora si esamina l'altra faccia di questo
senso soprannumerario, cioe il bello che ne
costituisce 1'oggetto, si vede che, nella trat
tatistica sei-settecentesca, esso si costituisce,
in perfetta simmetria col concetto di gusto,
come un significante eccessivo, che non puo
essere adeguatamente percepito da nessun
senso ne riempito da alcuna conoscenza. La
teoria del non so che, che, gia a partire dalla
seconda meta del secolo xvn, domina il di
battito sul bello, costituisce, da questo punto
di vista, il punto di convergenza della dottri
na del bello e di quella del gusto.
In rnolte produzioni non solo della natura - scri
ve il padre Feijoo nel suo El nose que (1733) -,
rna anche dell' arte, e forse dell' arte piu che della
natura, gli uornini trovano, oltre a quelle perfe
zioni che sono oggetto della loro cornprensione
razionale, un altro genere di rnisteriosa eccellenza

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che, lusingando il gusto, torrnenta l'intelletto. I


sensi lo palpano, rna la ragione non puo dissipar
la, e cos!, cercando di spiegarla, non si trovano
ne parole ne concetti che corrispondano alla sua
idea, e ci togliarno dalla difficolta dicendo che c'e
un non so che che piace, che innarnora, che incan
ta, senza che sia possibile trovare una spiegazione
piu chiara di questo rnistero naturale.
(Croce, 1902, p. 2 19)

E Montesquieu, collegando il non so che


come charme invisible alla sorpresa ( Talvol
ta nelle persone o nelle cose v'e una attrattiva
invisibile, una grazia naturale che nessuno ha
saputo definire, e che si e chiamata "un non
so che". Mi sembra che sia un effetto princi
palmente fondato sulla sorpresa - Monte
squieu, I 755, p. 7 45), finisce implicitamente
coll'identificare la bellezza e il piacere che ne
deriva con la pura e semplice percezione di
un'inadeguatezza fra la conoscenza e il suo
oggetto. Poiche, secondo la formulazione del
trattato Les passions de l'ame ( 1 649) di De
scartes, la meraviglia, definita come la prima
delle passioni, non e che una passione vuota,
che non ha altro contenuto che la percezione
di uno scarto e di una differenza fra 1'oggetto
e la nostra conoscenza:

JO

GUSTO

Quando, vedendo un oggetto per la prima volta ne


siamo sorpresi, o lo giudichiamo nuovo, o molto
diverso da quanta conoscevamo in precedenza, o
da quel che supponevamo dovesse essere, allora ce
ne meravigliamo e ne siamo stupiti; e poiche cia
puo accadere prima che ci rendiamo menomamen
te canto se 1' oggetto ci conviene o no, la meravi
glia mi sembra la prima di tutte le passioni: ed essa
non ha il suo contrario, perche se 1' oggetto che ci
si presenta non ha in se nulla che ci sorprenda, non
ne siamo per niente turbati, e lo consideriamo sen
za passwne.
(Descartes, r649, p. 436)

In questa prospettiva, il bello, come ogget


to del gusto, finisce con 1'assomigliare sempre
pili all'oggetto della sorpresa, che Descartes,
con espressione significativa, definiva appun
to come cause fibre: un oggetto vuoto, un
puro significante che nessun significato ha an
cora nempito.
Nell' articolo sul bello, che Diderot scris
se per 1'Encyclopedie, la purificazione e lo
svuotamento dell'idea di bellezza da ogni
possibile contenuto e spinta fino all'estremo.
Diderot definisce infatti il bello come tut
to cio che contiene di che suscitare nella mia
mente l'idea di rapporti (Diderot, 1 75 1 , p.
236). Questa idea di rapporto non rimanda,

GUSTO

JI

pero, ad alcun contenuto o significato pre


ciso (Quando dico: tutto cio che suscita in
noi l'idea di rapporti, non voglio dire che,
per definire bello un essere, sia necessario
valutare esattamente il tipo di rapporti che vi
sussistono -ivi, pp. 236-237) ne ricorda in
alcun modo l'idea di proporzione dell'este
tica classica: essa non e che la pura idea di
relazione in se e per se, il puro rimandare di
una cosa all'altra; in altre parole, il suo carat
tere significante, indipendentemente da qua
lunque significato concreto, che Diderot puo,
non a caso, esemplificare con le relazioni di
parentela, cioe con qualcosa che introduce
l'individuo in una serie di relazioni signifi
canti puramente formali.
Il rapporto in generale e un' operazione mentale
che considera sia un essere, sia una qualidt, in
quanta questa essere, o questa qualita, suppon
gono l'esistenza di un altro essere o di un'altra
qualita. Esempio: quando dico che Pietro e un
huon padre, considero in lui una qualita che pre
suppone 1' esistenza di un altro, quella del figlio;
e cosi per gli altri rapporti, quali che siano.
(Diderot, r7p, p. 24r)

GUSTO

GUSTO

L'uomo e modificato dai sensi, nessuno ne dubi


ta; rna non potendo distinguere le modificazio
ni, noi ne confondiamo le cause; noi attribuiamo
troppa o troppo poca influenza alle sensazioni;
e non vediamo che spesso esse non ci impressio
nano soltanto come sensazioni, rna come segni
o 1mmagm1. . .
(Rousseau, 178 1, p. 290)

Con un audace excursus antropologico, Di


derot riporta 1'origine dell'idea di rapporto (e
quindi del bello) al problema dell'origine e del
lo sviluppo della conoscenza umana in quanto
capacita di percepire una significazione:

Ma non appena 1' esercizio delle nostre facolta


intellettuali, e la necessita di provvedere ai no
stri bisogni con invenzioni, macchine ecc., ebbe
ro prodotto, nel nostro intelletto, le nozioni di
ordine, rapporto, proporzione, legame, connes
sione, simmetria, noi ci trovammo circondati da
esseri nei quali le medesime nozioni erano, per
cosl dire, ripetute all'infinito; non potremmo
fare un passo nell'universo senza che qualche
fenomeno le richiamasse; entrarono nei nostri
animi ad ogni istante e da ogni parte.
(Ivi, pp. 234 -235 )

Mentre Diderot definiva in questo modo


il bello come un significante eccedente (e,
implicitamente, il gusto come il senso della
significazione), Rousseau, nell' Essai sur l'o
rigine des langues ( I 78 I ) , separava in modo
analogo nelle nostre sensazioni e percezioni
cio che attiene all'azione fisica degli ogget
ti sui sensi dal loro potere in quanto segni,
e riconduceva il piacere che ci causa il bello
esclusivamente a questo secondo aspetto:

33

J
.

.I

Finche non si vorranno considerare i suoni che


per le vibrazioni che eccitano nei nostri nervi,
non si avranno affatto i veri principi della musi
ca e del suo potere sui cuori. I suoni, nella melo
dia, non agiscono soltanto su di noi come suoni,
rna come segni .. . Chi dunque vuole filosofare
sul potere delle sensazioni, cominci coll'esclu
dere, dalle impressioni puramente sensibili, le
impressioni intellettuali e morali che noi ricevia
mo per la via dei sensi, rna di cui essi non sono
che le cause occasionali . .. I colori e i suoni pos
sono molto come rappresentazioni e segni, poco
come semplici oggetti dei sensi.
(Ivi, pp. 300-30 3).

Nella sua formulazione pili radicale, la ri


flessione settecentesca sul bello e sul gusto
culmina cosi nel rimando a un sapere, di cui
non si puo rendere ragione perche si sostiene
su un puro significante ( Unbezeichnung, as
senza di significato, definira Winckelmann la

GUSTO

34

bellezza), e a un piacere che permette di giu


dicare, perche si sostiene non su una realta
sostanziale, rna su cio che nell'oggetto e pura
significazione.

GUSTO

J
<

'

'

La conoscenza eccedente

E nella Critica del giudizio di Kant (r790)


che la concezione del bello come significan
te eccedente e del gusto come sapere/piacere
di questo significante trova la sua espressio
ne pili rigorosa. Fin dalle prime pagine Kant
definisce, infatti, il piacere estetico come un
eccesso della rappresentazione sulla cono
scenza:
Ma quell' elemento soggettivo di una rappre
sentazione che non puo essere elemento di co
noscenza, e il piacere 0 il dispiacere congiunto
con la rappresentazione stessa: poiche con l'uno
o con l'altro io non conosco niente dell'oggetto
rappresentato. . . Quando il piacere e legato alla
semplice apprensione (apprehensio) della forma
di un oggetto dell'intuizione, senza riferimento
di essa ad un concetto in vista di una conoscenza
determinata, la rappresentazione non e riferita
all'oggetto, rna unicamente al soggetto; e il pia
cere non puo che esprimere altro che 1' accordo

35

dell' oggetto con le facolta conoscitive che sono


in gioco nel Giudizio riflettente, e in quanto
esse sono in gioco, e quindi soltanto una finalita
soggettiva formale dell'oggetto . . . Si giudica cioe
la forma dell'oggetto (non l'elemento materia
le della sua rappresentazione, come sensazione)
nella semplice riflessione su di essa - senza al
cuna mira a un concetto che se ne potrebbe ri
cavare - come il fondamento di un piacere per
la rappresentazione di un tale oggetto; e questo
piacere viene pure connesso con tale rappresen
tazione in modo necessaria, e quindi non solo
per il soggetto che apprende questa forma, rna
per ogni soggetto giudicante in generale. L'og
getto allora si chiama bello, e la facolta di giudi
care mediante tale piacere (e, per conseguenza,
universalmente) si chiama gusto.
(Kant, 1790, pp. 30-3 1)

La prospettiva dell'estetica tradizionale,


che vede nel gusto una forma di conoscenza
accanto a quella logica, ha spesso impedito di
vedere quel che pure Kant afferma qui con as
soluta chiarezza, e, cioe, che il bello e un'ecce
denza della rappresentazione sulla conoscenza
e che e proprio questa eccedenza a presentarsi
come piacere. Per questo, nella sua triparti
zione delle facolta dell'anima (Tutte le facol
ta o capacita dell'anima possono essere infatti

GUSTO

ricondotte a queste tre, che non si lasciano piu


a loro volta derivare da un fondamento comu
ne: la facolta di conoscere, il sentimento del
piacere e del dispiacere e la facolta di desidera
re -ivi, p. I6), Kant non riesce ad attribuire
ai giudizi di gusto un posto preciso, rna affer
ma che essi rivelano un'immediata relazione
della facolta di conoscere col sentimento di
piacere o dispiacere e che, anzi, questo rap
porto e proprio cio che vi e di enigmatico nel
principio della facolta di giudizio (ivi, p. 6). II
giudizio di gusto e, in altre parole, un'ecceden
za del sapere, che non conosce (un giudizio
con cui non si conosce nulla), rna si presenta
come piacere, e un' eccedenza del piacere che
non gode (La comunicabilita universale di
un piacere -scrive Kant -implica gia nel suo
concetto che il piacere stesso non debba es
sere proprio godimento -ivi, p. I64), rna si
presenta come sapere. Ma, proprio per que
sta sua situazione fondamentalmente ibrida,
esso e il termine medio che attua il passag
gio dalla pura facolta di conoscere, vale a
dire dal dominio dei concetti della natura, al
dominio dei concetti della liberta; allo stesso
modo che, nell'uso logico, rende possibile il
passaggio dall'intelletto alia ragione (ivi, p.
I 8). A questo statuto ibrido del gusto corri-

GUSTO

37

spondono puntualmente tanto l'impossibili


ta, per Kant, di definire il bello se non attra
verso una serie di determinazioni puramente
negative (piacere senza interesse; universalita
senza concetto; finalita senza scopo) quanto
quella di risolvere in modo convincente 1'an
tinomia del gusto, che, nella seconda sezione
della Critica del giudizio, egli aveva formula
to in questo modo:
1. Tesi: il giudizio di gusto non si fonda sopra

concetti, perche altrimenti, di esso si potrebbe


disputare.
2. Antitesi: il giudizio di gusto si fonda sopra
concetti, perche, altrimenti, non si potrebbe
neppure contendere, qualunque fosse la diver
sita dei giudizi (non si potrebbe pretendere alia
necessaria approvazione altrui).
(Ivi, p. 201)

Che il tentativo di risolvere questa anti


nomia mettendo a fondamento del giudizio
estetico un concetto col quale non si cono
sce nulla non sia soddisfacente, e dimostra
to dal fatto che Kant stesso si trovo costretto
a rimandare a un fondamento sovrasensibile
e ad ammettere, alia fine, che le sorgenti del
giudizio di gusto ci rimangono sconosciute:

GUSTO

GUSTO
Ora cade ogni contraddizione, quando io dico:
il giudizio di gusto si fonda su un concetto (di
un fondamento in genere della finalita soggetti
va della natura rispetto al giudizio), su un con
cetto attraverso il quale, e vera, nulla puo es
sere conosciuto e provato riguardo all' oggetto,
perche esso e in se indeterminabile e inutile alla
conoscenza; che, tuttavia, da al giudizio validita
per ognuno (restando in ciascuno il giudizio sin
golare, immediatamente concomitante all'intui
zione); perche, forse, il principia determinante
del giudizio sta nel concetto di cio che puo es
sere considerato come il sostrato soprasensibile
dell'umanita . . . Solo il principia soggettivo, cioe
l'idea indeterminata del sovrasensibile in noi,
puo essere mostrato come l'unica chiave per
spiegare questa nostra facolta di cui ci restano
sconosciute le sorgenti; rna non e possibile ren
derla comprensibile in altro modo.
(Ivi, pp. 202-20 3)

Poco oltre, Kant precisa il carattere di


questa idea estetica definendola ancora una
volta come un'immagine eccedente, una rap
presentazione, cioe, che non puo essere sal
vata nei concetti, cosi come le costellazioni
ricamate nel cielo non potevano essere salva
te nell'episteme platonica:

39

Come, in un'idea della ragione, l'immagina


zione con le sue intuizioni non raggiunge il
concetto data, cosl in un'idea estetica l'intel
letto, coi suoi concetti, non raggiunge mai l'in
tera intima intuizione dell'immaginazione, che
questa congiunge a una rappresentazione data.
Ora, poiche il riportare una rappresentazione
dell'immaginazione ai concetti, si dice esporla,
l'idea estetica si puo chiamare una rappresenta
zione inesponibile dell'immaginazione (nel suo
libero gioco ).
(Ivi, p. 2o6)

In queste parole di Kant e ancora presente


in tutta la sua enigmaticita l'originale fonda
zione platonica dell'idea attraverso la diffe
renza-unita di bellezza e verita. Come l'idea
platonica, cosi anche l'idea estetica kantiana
e tutta contenuta nel gioco fra una possibili
ta. e impossibilita di vedere (di immaginare),
fra una possibilita e un'impossibilita di co
noscere. L'idea e un concetto che non si puo
esibire o un'immagine che non si puo espor
re. L'eccedenza dell'immaginazione sull'in
telletto fonda la bellezza (l'idea estetica),
cosi come l'eccedenza del concetto sull'im
magine fonda il dominio del sovrasensibile
(l'idea della ragione).

GUSTO

Per questo, alia fine della sezione seconda


della prima parte della Critica del giudizio, il
bello si presenta come simbolo della morali
th e il giudizio di gusto rimanda a qualcosa
che e nel soggetto stesso e fuori di esso, che
non e ne natura ne liberta, rna e congiunto
col principio di quest'ultima, vale a dire col
soprasensibile, nel quale la facolta teoretica e
la pratica si congiungono in una maniera co
mune, rna sconosciuta (ivi, p. 2 1 7). In questo
rimando del gusto al sovrasensibile, si compie
ancora una volta il progetto platonico di sal
vare i fenomeni.
Ma, a differenza dell' estetica, che si andava
in questi stessi anni costituendo come scien
tia cognitionis sensitivae, lo statuto dell'idea
kantiana esclude (come gia in Platone) che vi
possa essere una scienza del bello:
Non vi e una scienza del bello, rna soltanto la
critica di esso, e non vi sono belle scienze, rna
soltanto belle arti. Difatti, se vi fosse una scienza
del bello, in essa si dovrebbe decidere scientifi
carnente, cioe con argornenti, se una cosa deve
essere tenuta per bella o no; cosi il giudizio sulla
bellezza, appartenendo alla scienza, non sarebbe
punto un giudizio di gusto. Per cio che riguar
da le belle scienze, e un non senso una scienza
che, in quanto tale, dev' essere bella. Perche se

GUSTO

41

ad essa, in quanto scienza, dornandassirno una


risposta in principi e dirnostrazioni, essa ce la
darebbe in sentenze di huon gusto (bon mots).
(Ivi, p. 163)

5.

Al di la del soggetto del sapere

Nelle pagine che precedono, il concetto


di gusto e stato interrogato come la cifra in
cui la cultura occidentale ha fissato l'ideale
di un sapere che si presenta come la cono
scenza piu piena nell'istante stesso in cui se
ne sottolinea l'impossibilita. Un tale sapere,
in cui verrebbe a suturarsi la scissione me
tafisica fra sensibile e intelligibile, e, infatti,
un sapere che il soggetto propriamente non
sa, perche non ne puo dare ragione, un senso
mancante o eccessivo, che si situa all'interfe
renza di conoscenza e piacere (di qui la sua
designazione metaforica col nome del senso
piu opaco), la cui mancanza o il cui eccesso
definiscono pero in modo essenziale lo sta
tuto della scienza (intesa come sapere che si
sa, di cui si puo dar ragione e che puo percio
essere appreso e trasmesso) e lo statuto del
piacere (inteso come un avere su cui non si
puo fondare un sapere).

GUSTO
L' oggetto

e il fondamento di questo sapere


che il soggetto non sa e designata come bel
lezza, cioe come qualcosa che, secondo la con
cezione platonica, si da a vedere (to kallos, il
bello, e la cosa pili apparente, ekphanestaton),
rna di cui non e possibile la scienza, rna solo
1'amore; ed era anzi proprio 1'esperienza di
questa impossibilita di afferrare 1'oggetto del
la visione come tale (di salvare il fenomeno)
che aveva spinto Platone a configurare l'idea
le della conoscenza non come un sapere in
senso etimologico (una sophia), rna come un
desiderio di sapere (una philo-sophia). Che vi
sia la bellezza, che vi sia un' eccedenza del fe
nomeno sulla scienza, cio equivale a dire: c'e
un sapere che il soggetto non sa, rna puo solo
desiderare, ovvero: c'e un soggetto del desi
derio (un phil6sophos), rna non un soggetto
della conoscenza (un soph6s). Tutta la teoria
dell'Eros in Platone e volta appunto a far co
municare questi due soggetti divisi.
Per questo a ragione Platone poteva ac
costare il sapere d'amore alla divinazione, la
quale presupponeva un sapere nascosto nei
segni, che non puo essere saputo, rna solo ri
conosciuto: questo significa quello (secon
do quanto i pili antichi testi divinatori enun
ciano nel puro vincolo grammaticale fra una

GUSTO

43

protasi e un'apodosi: se... allora...), senza


che vi sia alcun soggetto a questo sapere, ne
altro significato che il riconoscimento che
Vi e un significante, Vi e la significazione.
Cio che il divinante sa e, appunto, che vi e un
sapere che egli non sa (di qui 1'accostamento
alia mania e all'invasamento); ed e questo sa
pere che Socrate parafrasera identificando in
un non-sapere il contenuto del proprio sa
pere e ponendo in un daimon, cioe in un al
tro per eccellenza, il soggetto del sapere che
egli proferisce (nel Cratilo, la parola daimon
e accostata a daemon, colui che sa). La do
manda ultima cui il bello (e il gusto come
sapere del bello) rimanda e, dunque, una
domanda sui soggetto del sapere: chi e il sog
getto del sapere? Chi sa?
Ci e accaduto pili volte, nel corso di que
sto studio, esplicitando idee gia formulate dai
teorici sei-settecenteschi del bello e del gusto
(in particolare, da Diderot), di servirci dell'e
spressione significante eccedente. Que
sta espressione proviene da una teoria della
conoscenza che e stata elaborata nell'ambito
dell'antropologia, rna la cui rilevanza per una
riflessione sull'estetica non e sfuggita allo stes
so autore: intendiamo riferire alia teoria della
significazione che Levi-Strauss svolge a pro-

44

GUSTO

posito del concetto di mana nella sua Intro


duction a l'ceuvre de Marcel Mauss (r95o).
Com'e noto, Levi-Strauss postula un rap
porto di inadeguazione fondamentale fra la
significazione e la conoscenza, che si traduce
in una irriducibile eccedenza del significan
te rispetto al significato, la cui causa e iscrit
ta nell'origine stessa dell'uomo in quanto
Homo sapiens:
Le case [non hanna potuto mettersi] a signifi
care progressivamente. In seguito a una trasfor
mazione, il cui studio non e di competenza delle
scienze sociali, rna della biologia e della psicolo
gia, si e verificato un passaggio da uno stadia, in
cui niente aveva un sensa, a un altro, in cui ogni
cosa ne possedeva uno. Questa osservazione, in
apparenza banale, e importante, p erche questa
cambiamento radicale non ha contropartita nel
campo della conoscenza, la quale, al contrario,
e sottoposta a una elaborazione lenta e progres
siva. In altre parole, nel momenta in cui l'Uni
verso intero, di colpo, e diventato significativo,
non e stato, per questa, meglio conosciuto, an
che se e vera che l'apparizione del linguaggio
doveva precipitare il ritmo della sviluppo della
conoscenza. Esiste, dunque, una opposizione
fondamentale, nella storia della spirito umano,
tra il simbolismo, che offre un carattere di di
scontinuita, e la conoscenza, contrassegnata dal-

GUSTO

45

la continuita. Che cosa ne deriva? 11 fatto e che


le due categorie del significante e del significato
si sono costituite simultaneamente e solidal
mente, come due blocchi complementari, rna la
conoscenza, e cioe il processo intellettuale che
permette di identificare, gli uni rispetto agli altri,
taluni aspetti del significante e taluni aspetti del
significato - si potrebbe anche dire, di scegliere,
nell'insieme del significante e nell'insieme del
significato, le parti che presentano tra lora i rap
porti piu soddisfacenti di convenienza recipro
ca - si e messa in cammino molto lentamente. E
accaduto come se l'umanita avesse acquistato di
colpo un immenso dominio e il suo schema det
tagliato, insieme con la nozione del loro rappor
to reciproco, rna avesse impiegato dei millenni
per apprendere quali simboli determinati della
schema rappresentavano i diversi aspetti di quel
dominio. L'universo ha avuto un significato
molto prima che si sapesse che cosa significava;
cio e pacifica. Ma, dall'analisi precedente, risulta
anche che ha significato, fin dall'inizio, la tota
lita di cio che l'umanita puo attendersi di cono
scere. Cio che viene chiamato il progresso della
spirito umano e, in ogni caso, il progresso della
conoscenza scientifica, non poteva consistere
e non potra mai consistere che nel correggere
frazionamenti, nel procedere a raggruppamenti,
nel definire appartenenze e nella scoprire risor
se nuove in seno a una totalita chiusa e comple
mentare a se stessa [ ...].

GUSTO

Possiamo, percio, attenderci che il rapporto


tra simbolismo e conoscenza conservi caratteri
comuni nelle societa non industriali e nelle no
stre, anche se con accentuazioni diverse. Non si
scava un fosso tra le une e le altre, riconoscen
do che il lavoro di perequazione del significante
in rapporto al significato e stato perseguito in
modo piu metodico e rigoroso, a partire dalla
nascita e nei limiti di espansione della scienza
moderna. Ma dappertutto altrove, e costante
mente ancora presso di noi (e per lunghissimo
tempo certamente), permane una situazione fon
damentale che dipende dalla condizione umana;
l'uomo dispone, cioe, fin dalla sua origine di una
integralita di significante, che lo pone in grande
imbarazzo quando deve assegnarlo a un signi
ficato, dato come tale senza essere, per questo,
conosciuto. Tra i due c'e sempre una inade
guazione, che solo l'intelletto divino potrebbe
eliminare, e che si traduce nell' esistenza di una
sovrabbondanza del significante in rapporto ai
significati, sui quali essa puo collocarsi. Nel suo
sforzo di comprendere il mondo, l'uomo dispo
ne, dunque, costantemente, di un' eccedenza di
significazione (che ripartisce tra le cose, secondo
certe leggi del pensiero simbolico, il cui studio e
riservato agli etnologi e ai linguisti). Questa di
stribuzione di una razione supplementare - se e
lecito esprimersi cosl - e assolutamente necessa
ria affinche, in complesso, il significante dispo
nibile e il significato individuato restino nel rap-

GUSTO

47

porto di complementarita, che e la condizione


stessa dell'esercizio del pensiero simbolico.
Noi crediamo che le nozioni di tipo mana,
per quanto diverse possano essere, considerate
nella loro funzione piu generale (che, come ab
biamo visto, non scompare nella nostra menta
lita e nella nostra forma di societa) rappresenti
no esattamente quel significante fluttuante, che
costituisce la servitu di ogni pensiero finito (rna
anche la garanzia di ogni arte, di ogni poesia, di
ogni invenzione mitica o estetica), sebbene la
conoscenza scientifica sia capace, se non proprio
di arrestarlo, di disciplinarlo parzialmente.
(Levi-Strauss, 1950, pp. L-LII)

Possiamo, a questo punto, estendere le


considerazioni di Levi-Strauss a tutto lo sta
tuto del sapere nella cultura occidentale, dal
mondo antico a oggi. Se si riprende cosi, in
questa prospettiva, cio che Platone, alla fine
del libro vn della Repubblica, afferma a pro
posito dell'astronomia in quanto episteme (e
cioe, come si e visto, che essa non puo esau
rire nella sua spiegazione i fenomeni visibili
in quanto tali -le belle costellazioni ricamate
nel cielo -rna deve, invece, cercare i rapporti
numerici invisibili che essi presuppongono),
si puo, allora, dire che la scienza antica lascia
va necessariamente libero nei fenomeni cio

GUSTO

che in essi era pura apparenza (cioe, puro si


gnificante), aprendo accanto a se uno spazio
che poteva essere occupato senza contraddi
zione dalle scienze divinatorie.
L'esempio dell'astronomia e dell'astrologia
(che convivono cosi pacificamente nell'anti
chita) e chiarificatorio: la prima si limita, infat
ti, a spiegare i movimenti delle stelle e le loro
reciproche posizioni, in modo da salvare le
apparenze nel senso che Simplicio da a que
sta espressione, rna senza dar ragione, come
tali, delle belle figure che le stelle disegnano
nel cielo. Il fenomeno salvato dalla scienza
lascia quindi inevitabilmente un residuo libe
ro, un puro significante che 1'astrologia puo
prendere come proprio supporto e trattare
come un supplemento di significazione da di
stribuire a suo arbitrio.
Vi sono, cosi, nel mondo antico, due specie
di sapere: un sapere che si sa, cioe le scienze
nel senso moderno, che si fondano sull'ade
guazione del significante e del significato, e il
saper che non si sa, cioe le scienze divinatorie
(e le varie forme di mania elencate da Plato
ne), che si fondano, invece, sul significante
eccedente. Riprendendo la distinzione fra se
miotico e semantico che Benveniste ha formu
lato come la doppia significazione ineren-

GUSTO

49

te al linguaggio umano, si potrebbe definire


il primo come sapere del semantico - che ha
un soggetto e di cui si puo dar ragione -e il
secondo come un sapere del semiotico -che
non ha soggetto e che si puo solo ricono
scere. Fra questi due saperi, Platone pone
la filosofia che, da una parte, come mania,
si apparenta alia divinazione, rna, dall'altra,
percependo il fenomeno come bellezza, non
si limita a operare una distribuzione del si
gnificante eccedente, rna lo salva, grazie alia
mediazione di Eros, nell'idea.
A partire dal secolo xvn, la scienza mo
derna estende il proprio territorio a spese
delle scienze divinatorie, che vengono esclu
se dalla conoscenza. Il soggetto della scienza
si pone come unico soggetto della conoscen
za, negando la possibilita di un sapere senza
soggetto. Tuttavia, il tramonto delle scienze
divinatorie tradizionali non segna in alcun
modo la scomparsa del sapere che non si sa:
il crescente diffondersi del dibattito sul non
so che e sul gusto a partire dal Seicento e il
progressivo consolidarsi dell'estetica per tut
to il secolo XIX mostrano anzi che la scienza
non puo ne colmare ne ridurre il significante
eccedente. Se l'estetica -come sapere del si
gnificante eccedente (del bello) - non e, da

50

GUSTO

questo punto di vista, che un succedanea del


la divinazione, essa non e pen) il solo sapere
che, nell'epoca moderna, subentra all'eclisse
delle scienze divinatorie. Nel corso del seco
lo XIX anche le discipline filologiche prendo
no, infatti, coscienza della propria specificita
rispetto alle scienze della natura, fondando
esplicitamente il loro sapere e il loro metodo
in un circolo ermeneutico di tipo divinatorio
(il che significa, se ben si riflette, che la do
manda su Chi sa? nella lettura e nell'inter
pretazione di un testo -se l'interprete, !'au
tore o il testo stesso -non e una domanda a
cui sia possibile rispondere agevolmente).
Ma un'altra scienza - il cui processo di
formazione coincide cronologicamente con
quello della scienza del bello e che, a partire
dal secolo xvm, va acquistando un'importan
za crescente nel sistema del sapere -rivela, in
questa prospettiva, un'inaspettata affinita con
1' estetica, se e vero che il gusto non era sohan
to, come si e visto, un sapere che non si sa, rna
anche un piacere che non gode, rna giudica e
misura. lntendiamo parlare dell'economia po
litica. Poiche, come 1' estetica ha per oggetto il
sapere che non si sa, cosi 1' economia politica
ha per oggetto il piacere che non si gode. Se
essa comincia, infatti, con l'identificare come

GUSTO

51

proprio ambito quel piacere interessato che


Kant escludeva rigorosamente dai confini del
bello, l'insegnamento di Marx non e stato in
vece quello di mostrare (ponendo al centro
delle sue analisi, nel capitola I del Capitale
[I 867], la forma-valore e il carattere di feticcio
della merce) che essa si fonda, in realta, non
tanto sul valore d'uso (sull'utile, sul piacere
goduto), quanto sul valore di scambio, cioe su
cio che nell' oggetto non puo essere ne goduto
ne afferrato: sul piacere, appunto, che non si
ha? Come Simmel aveva intuito, definendo il
denaro (con un'espressione che ricorda singo
larmente la definizione del bello di Diderot)
come pura relazione senza contenuto, la
forma-valore, come il mana di Levi-Strauss, e
un valore simbolico zero, un puro significan
te che indica semplicemente la necessita di un
contenuto simbolico supplementare e di un
piacere supplementare, il cui calcolo costitu
isce 1' oggetto delle scienze economiche.
L'osservazione di Mallarme (1897), secon
do cui 1'estetica e 1' economia politica sono le
due sole vie aperte alla ricerca mentale, contie
ne allora qualcosa di pili che l'indicazione di
un'analogia superficiale: estetica ed economia
politica, homo cestheticus e homo a?conomicus,
sono, in un certo senso, le due meta, le due

52

GUSTO

frazioni (il sapere che non si sa e il piacere che


non si gode) che il gusto aveva cercato per
l'ultima volta di tenere unite nell'esperienza
di un sapere che gode e di un piacere che sa,
prima che la loro esplosione e la loro libera
zione contribuissero a mettere in moto quei
giganteschi fenomeni di trasformazione che
caratterizzano cosi essenzialmente la societa
moderna.
Alla fine del secolo xrx, un'altra scienza
viene a occupare il campo lasciato libero dalle
scienze divinatorie, una scienza che -in quan
ta definisce il proprio ambito col termine
inconscio - si fonda fin dall'inizio sull'as
sunzione che vi e un sapere che non si sa, rna
che si rivela in simboli e in significanti. Come
ha scritto colui che ha portato alle pili estreme
e rigorose conseguenze quanto era implicito
nell'originale appartenenza della psicanali
si al sapere del semiotico, 1'analisi e venuta
ad annunciare che c'e un sapere che non si sa,
un sapere che si sostiene sul significante come
tale . . . L'inconscio e la testimonianza di un sa
pere in quanto sfugge all'essere parlante (La
can, 1975, p. 8 8).
Se la psicanalisi rivela, in questa prospet
tiva, una essenziale prossimita con 1'estetica
(che il concetto di inconscio appaia per la pri-

GUSTO

53

rna volta in Leibniz ai limiti di quella cognitio


sensitiva confusa che 1'estetica definira come
proprio territorio, e certamente una prova di
questa prossimita), non meno essenziale e,
pero, la sua relazione con l'economia politi
ca. Poiche 1'Es (un pronome di terza perso
na, cioe un non-soggetto, dicono i linguisti),
che essa pone come soggetto del sapere che
non si sa, e anche il soggetto di un piacere che
non si gode. Riconoscendo l'inconscio come
luogo dell'economia del piacere, la psicana
lisi si situa al limite fra estetica ed economia
politica, fra il sapere che non si sa e il piace
re che non si gode, e tende a congiungerli in
un progetto unitario. (L'idea di un'estetica
guidata dal punto di vista economico, che
Freud formula nel capitola rr di Al di la del
principia del piacere [ 1 9 20], e, da questo pun
to di vista, certamente significativa).
Cosi, per vie diverse, la cultura moderna,
nella stessa misura in cui assisteva a un con
solidamento senza precedenti delle scienze
della natura, assisteva anche al costituirsi e al
rafforzarsi di nuove scienze del semiotico che
prendevano come oggetto il sapere che non si
sa e il piacere che non si gode. L'area del signi
ficante eccedente non solo non si riduce, rna,
in un certo senso, si allarga, quasi che, quanto

54

GUSTO

pili la scienza progredisce nel suo tentativo di


salvare le apparenze, tanto maggiore fosse
il residuo di significante eccedente (la quanti
ta di sapere che non si sa) che deve essere pre
so in carico dalle scienze divinatorie. Scienze
del semiotico e scienze del semantico, divi
nazione e scienza appaiono cos! strettamente
legate in un rapporto di complementarita, in
cui le une garantiscono la possibilita e il fun
zionamento delle altre.
La frattura fra significazione e conoscen
za, fra semiotico e semantico non e, infatti,
qualcosa che si e prodotto una volta per tutte
fuori dell'uomo, rna e una frattura dello stes
so soggetto del sapere, dell'uomo in quanto
Homo sapiens. Poiche, come essere parlante
e conoscente, l'uomo si tiene insieme nella
significazione e nella conoscenza, il suo sa
pere e necessariamente scisso e il problema
di chi conosca nella conoscenza (il problema
del soggetto del sapere) resta la questione
fondamentale di ogni teoria del conoscere.
Mentre appartiene alia pili profonda inten
zione della filosofia antica (come anche a
quella dell' Ethica spinoziana) l'assunto che
pone nell'Idea (o in Dio) il principia della
conoscenza, la filosofia e la scienza moderne,
a partire da Descartes, hanno invece cercato

GUSTO

55

di garantire l'unita del conoscere attraverso la


finzione di un ego cogito, di un Io, che, come
pura autocoscienza, si afferma come soggetto
unico del sapere. Ma e proprio questo sogget
to del sapere che il pili recente sviluppo delle
scienze umane e venuto a mettere in questio
ne. Tanto la psicanalisi -ponendo un Es come
soggetto del sapere che non si sa -, quanto lo
strutturalismo -istituendo nella struttura un
sapere inconscio categoriale senza riferimento
a un soggetto pensante -e la linguistica -iden
tificando nei fonemi un sapere indipendente
dal soggetto parlante -, fanno segno risolu
tamente verso un Altro come soggetto della
conoscenza. 11 problema diventa, a questo
punto, quello del passaggio fra questo sapere
che si sa e il sapere che non si sa, fra il sapere
dell'Altro e il sapere del soggetto. Ma, come
Benveniste ha mostrato che, nel linguaggio,
semiotico e semantico rappresentano due
mondi chiusi, fra i quali non c'e passaggio,
cos! fra il sapere dell'Altro e il sapere del sog
getto c'e uno iato che non si vede come possa
essere colmato. 11 programma freudiano, se
condo cui dov'era 1' Es, io devo essere, non
e qualcosa che possa essere attuato, se e vero
che l'Io e 1' Altro sono, in realta, necessaria
mente complementari.

GUSTO

Non e percio sorprendente che l'uomo mo


derno riesca sempre meno a padroneggiare un
sapere e un piacere che, in misura crescente,
non gli appartengono. Fra il sapere del sogget
to e il sapere senza soggetto, fra l'Io e 1'Altro,
si apre un abisso, che la tecnica e 1'economia
cercano invano di colmare.
Di qui anche l'impossibilita, per la semio
logia, di costituirsi come scienza generale del
segno, cioe come un sapere fondato sull'uni
ta di significante e di significato. Per costitu
irsi come tale, essa dovrebbe, infatti, ridurre
1'eccedenza del significante e suturare quella
scissione fra sapere del semiotico e sapere del
semantico, fra sapere che non si sa e sapere
che si sa, che e iscritta nella stessa nozione di
segno su cui essa si fonda. Per questo il caso
cosi imbarazzante per i linguisti -degli studi
di Saussure sui versi saturniani puo essere vi
sto come un paradigma del destino della se
miologia (Milner, 1 978): poiche il semiologo,
una volta riconosciuto che vi e nei significan
ti un sapere che non si sa e che si rivela negli
anagrammi, non puo che cercare di attribuire
ad esso uri soggetto che non potd mai essere
trovato per la semplice ragione che non c'e
mai stato. Un sapere che non fosse ne sape
re del semiotico ne sapere del semantico -o

GUSTO

57

che fosse entrambi nello stesso tempo -non


potrebbe che situarsi in quella frattura fra il
significante e il significato che la semiologia
ha, finora, rimosso e occultato.
A questo punto diventa forse visibile il
senso del progetto greco di una filo-sofia, di
un amore del sapere e di un sapere d'amore,
che non fosse ne sapere del significante ne sa
pere del significato, ne divinazione ne scien
za, ne conoscenza ne piacere, e di cui il con
cetto di gusto costituisce un'estrema, tardiva
incarnazione. Poiche solo un sapere che non
appartenesse pili ne al soggetto ne all'Altro,
rna si situasse nella frattura che li divide, po
trebbe dire di aver veramente salvato i fe
nomeni nel loro puro apparire, senza ne
riportarli all'essere e alla verita invisibile, ne
abbandonarli, come significante eccedente,
alla divinazione.
E questo sapere, in cui verita e bellezza co
municano, che, al culmine della filosofia gre
ca, Platone aveva fissato nella figura demoni
ca di Eros; ed e ancora questo sapere che, alle
soglie dell'eta moderna, era apparso ai poeti
del Duecento come intelletto d'amore nella
figura beatificante di una Donna (Beatrice) in
cui, finalmente, la scienza gode e il piacere sa. 11
mitologema di Eros e necessariamente iscritto

58

GUSTO

nel destino della filosofia occidentale, in quan


ta, al di la della scomposizione metafisica del
significante e del significato, dell' apparenza
e dell'essere, della divinazione e della scienza,
esso fa cenno verso una salvazione integrale dei
fenomeni. Sapere d'amore, filosofia, significa:
la bellezza deve salvare la verita e la verita deve
salvare la bellezza. In questa duplice salvazione
si compie la conoscenza.
Solo un tale piacere, in cui piacere e cono
scenza si uniscono, sarebbe veramente all'al
tezza di quell'ideale sapienzale, cioe gustativo,
che un trattato indiana di poetica, lo Specchio
della composizione (Sahitya-darpana), ha fis
sato nel concetto di sapore (rasa):
Sorto col principia luminoso, senza parti, bril
lante della sua propria evidenza, fatto di gioia
e conoscenza unite, libero da ogni contatto di
percezione altra, fratello gemello dell'assapo
ramento del brahman, vivente del soffio della
soprannaturale meraviglia, tale e il Sapore che
coloro che hanno la misura del giudizio gustano
come la propria forma di se, inseparabilmente.
(Daumal, 1968, p. r65 )

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Indice

I . Scienza e piacere

I3

2.

22

3 Un sapere che gode e un piacere che

Verita e bellezza
conosce

34

4 La conoscenza eccedente

4I

5 Al di la del soggetto del piacere

59

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22 Gianni Carchia, La favola dell'essere Commento al Sofista
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29 Clio Pizzingrilli, loa lo spaccapietre

30 Gilles Deleuze, Pourparler

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33 Eugenio De Signoribus, Memoria del chiuso mondo

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37 Yona Friedman, Utopie realizzabili

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39 Alexandre Koj eve, Kandinsky

62 Gilles Clement, Giardini, paesaggio e genio naturale

40 Gilles Clement, Manifesto del Terzo paesaggio

63 Enzo Melandri, I generi letterari e la lora origine

4 I Gunther Anders, Kafka. Pro e contra. I documenti delprocesso

64 Georges Perec, Pierre Lusson, Jacques Roubaud, Breve

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4 3 James George Frazer, La crocifissione di Cristo, seguito da

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65 Yan Thomas, Il valore delle case
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67 Giorgio Agamben, Gusto

44 Karl Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto

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4 5 Cesare Brandi, La fine dell'Avanguardia

QUADERNI QUODLIBET

46 Massimo De Carolis, Il paradosso antropologico


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48 Emilio Garroni, Creativita

2 Sergio Bettini, Tempo e forma. Scritti I9J 5- I977

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3 Antoine Berman, La prova dell'estraneo. Cultura e tra

Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili (Illustra


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50 Gianni Carchia, Nome e immagine. Saggio su Walter

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5 I Karl Marx, Introduzione alta critica dell'economia politica
5 2 Margherita Morgantin, Titolo variabile
5 3 Luca Zevi, Conservazione dell'avvenire. Il progetto oltre

gli abusi di identita e memoria

duzione nella Germania romantica


4 Alois Riegl, Antichi tappeti orientali
5 Jean-Christophe Bailly, L'apostrofe muta. Saggio sui ri

tratti del Fayum


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Christianita nella Cina


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I 2 Giorgio Agamben, Idea della prosa
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nella lontananza
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2 I Franco Fortini, Un giomo o l'altro
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2 3 Fernando Pessoa, Pagine di estetica. II gioco delle facolta

critiche in arte e in letteratura


24 Edouard Glissant, Poetica della Relazione
2 5 Enzo Melandri, Contra il simbolico. Dieci lezioni difilosofia
26 Alfonso Berardinelli, Casi critici. Dal postmodemo alia

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27 Daniel Heller-Roazen, Ecolalie. Saggio sull'oblio delle lingue
2 8 Alois Riegl, Grammatica storica delle arti figurative
29 Alexandre Koj eve, L'ateismo
30 At/ante della letteratura tedesca
3 I Louise Bourgeois, Distruzione del padre. Ricostruzione

del padre. Scritti e interviste I923 -2 ooo


32 Paolo Rosselli, Sandwich digitale. La vita segreta dell'im

magine fotografica
3 3 Rem Koolhaas, Singappore Songlines. Ritratto di una

metropoli Potemkin. . . o trent'anni di tabula rasa

34 Sigmund Freud, L'interpretazione delle afasie. Uno studio

critico
3 5 Daniel Heller-Roazen, II nemico di tutti. II pirata contra

le nazioni
36 Arnold I. Davidson, L'emergenza della sessualita. Episte

mologia storica e formazione dei concetti


3 7 Erwin Panofsky, Ercole al bivio e altri materiali icono-

grafici dell'antichita tomati in vita nell' eta modema


3 8 Matteo Ricci, Dieci capitoli di un uomo strano
39 Gilles Clement, II giardino in movimento
40 Julius von Schlosser, Storia del ritratto in cera
4 I Gottfried Wilhelm Leibniz, Obiezioni contra la teoria

medica di Georg Ernst Stahl. Sui concetti di anima, vita,


organismo
42 Daniel Heller-Roazen, II tatto intemo. Archeologia di una

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da David Cayley
44 Eugenio Gazzola, La Madonna Sistina di Raffaello. Storia

e destino di un quadro
4 5 Franz Rosenzweig, La Bibbia ebraica. Parola, testa, in

terpretazione
46 Stefano Catucci, Imparare dalla Luna
47 Sigrid Weigel, Walter Benjamin. La creatura, il sacra, le

immagini
48 Lu Yu, II canone del te
49 Claudia Castellucci, Setta. Scuola di tecnica drammatica

Finito di stampare nell'aprile 2015


presso o . GRA.RO. Roma
per conto delle e dizioni Quodlibet
-

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