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CASSESE RIASSUNTO

Diritto Internazionale
CAPITOLO 1: I CARATTERI PRINCIPALI
DELL'ORDINAMENTO GIURIDICO INTERNAZIONALE
1.1 I soggetti

Mentre nelle organizzazioni statali gli individui sono i soggetti giuridici primari e gli
enti sono soggetti giuridici secondari, nelle organizzazioni internazionali sono gli Stati
ad essere i soggetti primari e gli individui solo secondari.
Oggi la popolazione mondiale (6 mld di persone) sono ripartite tra circa 200 Stati.
Agli Stati si affiancano altri soggetti che per hanno una diversa e pi limitata
capacit giuridica a livello di relazioni internazionali: gli insorti, i movimenti di
liberazione nazionale, le organizzazioni internazionali e gli individui.
-Gli Stati e gli insorti sono i soggetti tradizionali delle relazioni internazionali. Solo in
un momento successivo hanno acquisito un status internazionale gli altri soggetti.
- stato normale dare uno status giuridico alle organizzazioni internazionali, in quanto
gli Stati hanno accettato di autolimitarsi per conferire alle organizzazioni internazionali
la gestione di alcuni compiti in nome e per conto propri.
-L'attribuzione di status internazionale ai movimenti di liberazione nazionale e agli
individui, invece, il risultato di un fattore ideologico, secondo cui si afferma il
principio di autodeterminazione dei popoli.
-Lo status giuridico internazionale agli individui, la conseguenza di una sempre
maggiore importanza dei diritti inviolabili degli individui, e col tempo anche di obblighi.

1.2 Produzione, accertamento e attuazione coercitiva del diritto.


Le tre funzioni fondamentali per uno Stato e cio Esecutivo, Legislativo e Giudiziario,
non sono riuscite ad uscire fuori dalla sfera statale. Infatti nessuna organizzazione
internazionale mai riuscita a centralizzare questi tre compiti che sono rimasti
suddivisi per i singoli stati, cos che le organizzazioni internazionali avvenissero
sempre a livello orizzontale.
Nel secondo dopo-guerra si voluto "accentrare" l'uso legittimo della forza armata. La
Carta delle Nazioni Unite ha imposto agli Stati il divieto di minacciare e usare la forza
nelle loro relazioni internazionali, salvo in caso di legittima difesa, e ha attribuito al
Consiglio di Sicurezza (CdS) il monopolio dell'uso legittimo della violenza armata.

1.3 Responsabilit collettiva e responsabilit individuale

Negli ordinamenti giuridici interni prevale la responsabilit individuale, secondo cui


l'individuo ad essere indicato singolarmente come violatore di una determinata norma.
Sono pochi i casi in cui sono diversi i soggetti ai quali attribuita la violazione sono
diversi da quelli che effettivamente sono i responsabili (responsabilit indiretta).
Negli ordinamenti internazionali, invece, la responsabilit individuale poco
considerata, a scapito della responsabilit collettiva, secondo cui uno Stato che ha
subito un illecito da parte di un altro Stato o soggetti o organi di un altro Stato, pu
rivalersi contro l'intera comunit, attraverso il pagamento di una somma di denaro da
prelevarsi nell'erario dello Stato, o in altre misure che possono colpire anche singoli
individui di quello Stato.
Solo ultimamente si sta rivalutando la responsabilit individuale anche a livello
internazionale, soprattutto a livello penale, e in particolar modo per i reati di guerra: a
pagare non sar (solo) l'intera comunit che ha commesso l'illecito, ma anche chi in

prima persona ha compiuto l'atto.

1.4 I rapporti con gli ordinamenti interni

Di norma, le norme internazionali, per essere effettive devono prima essere trasmesse
agli Stati che a loro volta le trasformano in norme nazionali.
"Il diritto internazionale come un feldmaresciallo che pu impartire ordini
unicamente ai generali, attraverso i quali tali ordini possono raggiungere la truppa;
perci, se i generali non trasmettono quegli ordini ai soldati, egli finir col perdere la
battaglia" (Triepel, 1923).

1.5 L'importanza del principio di effettivit

Il diritto internazionale un ordinamento giuridico realistico e pragmatico. Crea, cio,


le sue norme sulla base di fatti reali. tenuto molto in considerazione, pertanto, il
principio di effettivit.
Nel diritto internazionale tradizionale, addirittura, non erano accettate finzioni
giuridiche. E cos fu fino alla Prima Guerra Mondiale, in cui si inizia a cercare di far
prevalere la "legalit" sulla forza o sull'autorit di fatto (a partire dalla c.d. dottrina
Stimson). Ad oggi esistono dei principi ritenuti intrasgredibili.

1.6 La reciprocit come fondamento delle norme internazionali e


l'emergere di interessi solidali
L'organizzazione orizzontale che hanno le organizzazioni internazionali, in cui nessuno
domina sull'altro, fanno s che ogni Stato agisca sulla base di interessi individuali.
I trattati e i rapporti di tipo internazionale, in realt sono dei accordi bilaterali basati
sul principio della reciprocit. Essi si dicono di natura "sinallagmatica". Anche
accordi tra pi Stati o trattati pi complessi sono in sostanza pi accordi bilaterali
insieme. Infatti, in caso di violazione del trattato spetter solo allo Stato leso
richiedere un risarcimento.
Dal secondo dopo-guerra, per sono venuti a formarsi una serie di norme
consuetudinarie che costituiscono obblighi internazionali per ogni Stato. Sono 1)
obblighi che proteggono valori fondamentali per la comunit internazionale; 2)
obblighi di natura solidale; 3) ad essi corrisponde un diritto sostanziale che appartiene
ad ogni membro della comunit internazionale; 4) l'azione a tutela di tale diritto
esercitata per conto dell'intera comunit internazionale.

1.7 Il "vecchio" e il "nuovo" diritto internazionale

Dalla Seconda Guerra Mondiale il diritto internazionale ha subito importanti


trasformazioni. Nuovi soggetti hanno affiancato gli Stati, che sono aumentati con la
decolonizzazione. La sfera di libert di cui godevano, inoltre, si notevolmente ridotta
e contemporaneamente sono aumentati i trattati tra gli Stati. I vecchi istituti giuridici
coesistono ancora con i nuovi, ma solo per il tempo necessario al completo passaggio
al nuovo ordinamento.

CAPITOLO 2: L'EVOLUZIONE STORICA DELLA COMUNIT


INTERNAZIONALE
2.1 La nascita della comunit internazionale

Di norma si fa risalire la nascita delle comunit internazionali intorno al XVI secolo e in


particolar modo con la pace di Westfalia (1648) dopo la guerra dei Trenta anni.
Indubbiamente accordi di tipo diplomatico e consolare c'erano gi stati da molto
tempo prima, ma la peculiarit di questo periodo la struttura degli Stati che hanno
sottoscritto il trattato, molto pi simili ai nostri, rispetto a prima.
Il trattato di Westfalia riconosceva il protestantesimo a livello internazionale
(dissociando la dominazione del culto cattolico all'esistenza di uno Stato), legittimava
l'esistenza di molti piccoli Stati e consacrava una distribuzione del potere in Europa
che dur pi di un secolo.

2.2 Dalla pace di Westfalia alla fine della Prima Guerra Mondiale

2.2.1 La composizione della comunit internazionale


2.2.1.1 Gli Stati pi importanti
A partire dalla pace di Westfalia, sicuramente il centro dei rapporti internazionali si
sviluppava quasi esclusivamente tra gli Stati Europei. Questi a loro volta stringevano
rapporti con stati extra-europei, ma con l'avvento della rivoluzione industriale questi
Stati sono stati tagliati fuori dagli accordi. Con la colonizzazione dell'America, in poco
tempo anche gli Stati Uniti e i paesi dell'America Latina divennero principali fautori
dell'organizzazione internazionale.
2.2.1.2 Il sistema di capitolazioni e il colonialismo
Per lungo tempo i paesi non europei accettarono la superiorit dei paesi occidentali e
con essa anche le loro regole. L'"Occidente" svilupp due diverse tipologie di rapporti
con il "mondo esterno": le "capitolazioni" per i veri e propri Stati e il "colonialismo"
per quei territori in cui non esisteva un potere forte di controllo sul territorio. Le
capitolazioni erano dei trattati in cui si disciplinavano le condizioni di residenza degli
europei nei paesi non-europei, e in particolar modo 1) non potevano essere espulsi se
non con assenso del console; 2) potevano praticare il culto cristiano, e quindi erigere
chiese e cimiteri; 3) avevano libert di scambio e commercio senza alcuni dazi di
importazione ed esportazione; 4) non potevano essere oggetto di rappresaglie; 5) in
caso di controversie con altri cittadini europei, erano sottoposti alla giurisdizione del
console. Per quanto riguarda il colonialismo, gli Stati Europei avevano sviluppato una
serie di normative che facilitarono l'intromissione in territori di nessuno, cio in cui
essi non riconoscevano alcun potere.

2.2.2 La distribuzione del potere

In questo periodo nessuno Stato era riuscito a prendere il sopravvento sugli altri e la
competenza orizzontale aveva sempre resistito. Ovvio che c'erano una serie di Stati
pi influenti di altri. Un tentativo di bilanciare il potere fu effettuato nel 1815, dopo la
sconfitta di Napoleone, con il c.d. "Concerto d'Europa", costituito da una serie di
trattati che stabilivano 1) che le parti contraenti avrebbero adottato i precetti della
religione cristiana; 2) un'alleanza militare (la "Santa Alleanza") tra Austria, Russia,
Prussia e poi Francia, in cui si impegnavano ad accordarsi sulle misure da adottare in
caso di minaccia all'ordine costituito in Europa; 3) che per risolvere questioni di natura
di politica internazionale avrebbero adottato una serie di incontri tra i sovrani
interessati.
Dopo, per, le rivoluzioni successive e lo sviluppo dei movimenti nazionalistici, si
ripristin la tradizionale politica dell'equilibrio del potere, anche se per un po' gli
incontri tra i capi di Stato si susseguirono ancora.

2.2.3 I precetti giuridici tradizionali

Sempre in questo periodo stata coniata la parola diritto internazionale.


Le norme che si crearono in questo periodo hanno due caratteristiche principali.
Sicuramente hanno avuto l'influenza dell'idea cristiana e liberista dell'epoca, causa
della quale tutti gli Stati godono di pari potere, e in secondo luogo stata elaborata
esclusivamente dalle grandi potenze coloniali occidentali.
Un notevole contributo alla nascita e ai primi passi del diritto internazionale stato
dato da un gruppo di eminenti giuristi europei che nel 1873 fondarono l'Institut de
droit international. Da annoverare le prime importanti norme che influenzarono i
trattati degli Stati riguardano l'impossibilit di trattare schiavi o di utilizzare
determinate armi e la libert di navigazione.

2.2.4 Tentativi di limitare il predominio delle grandi potenze: la


dottrina Calvo a la dottrina Drago

2.3 Dalla Prima alla Seconda guerra mondiale

2.3.1 La svolta: la Prima guerra mondiale e le sue conseguenze


Per la prima volta un conflitto fu talmente grande da coinvolgere tutti i principali

membri della comunit internazionale. E fu proprio questo a mostrare il decadimento


dell'Europa come centro della politica internazionale. Infatti in quegli anni aveva preso
piede da una parte gli USA e dall'altra parte l'Unione Sovietica. L'Europa andava
perdendo tutti i suoi possedimenti coloniali e il suo declino si manifest in tutti gli
ambiti.

2.3.2 La divisione della comunit internazionale in seguito


all'emergere dell'URSS

Nel passato tutti gli stati non-europei si erano sottomessi alla dottrina
cristianoliberista
europea. A partire dal 1918, l'Unione Sovietica promosse una politica e
un'ideologia per la prima volta in contrapposizione con quella europea. Essa affermava
1) l'autodeterminazione dei popoli; 2) l'uguaglianza sostanziale degli Stati; 3)
l'internazionalismo socialista e il parziale rifiuto dell'ordinamento
internazionale, ma solo per la sua impostazione borghese-capitalistica.

2.3.3 Un esperimento di coordinamento collettivo dell'uso della


forza: la Societ delle Nazioni

Per evitare il verificarsi di una nuova Prima guerra mondiale gli Stati vincitori
istituirono un organo internazionale per la prevenzione delle ostilit: la Societ delle
Nazioni (1919). Con questa organizzazione non si proibiva l'uso della forza in toto,
ma si ponevano dei limiti alla guerra. Non erano per, vietate le misure coercitive
diverse dalla guerra. Se uno degli Stati membri veniva aggredito la Societ delle
Nazioni poteva solo esortare gli Stati ad intervenire, non obbligarli. Oltretutto il
principale motivo per cui la SdN fall, fu perch divenne lo strumento politico di
Francia
e Gran Bretagna.

2.3.4 I precetti normativi

In questo periodo non sono state prodotte norme di particolare rilievo. L'URSS era
isolata e si limitava a criticare le norme internazionali esistenti. Il settore che ebbe pi
successo fu quello della soluzione arbitrale e giudiziale delle controversie. Venne
creata nel 1921 la CPGI (Corte Permanente di Giustizia Internazionale) e furono
istituiti numerosi tribunali arbitrali ad hoc. Molti sono stati i ricorsi a questi istituti e
ci
ha permesso uno sviluppo del settore della normativa internazionale. Inoltre si
progressivamente andati verso un riconoscimento delle esigenze degli individui.

2.4 Dalla Carta delle Nazioni Unite alla fine della Guerra Fredda
2.4.1 Le conseguenze principali della Seconda guerra mondiale

Nel 1945 avvennero 3 fatti esemplari: lo scoppio delle bombe atomiche su Nagasaki e
Hiroshima; il 26 giugno a San Francisco fu adottata la carta delle Nazioni Unite; l'8
agosto nacque il tribunale militare di Norimberga. Questi accadimenti esaltarono la
tensione tra "forza" e "diritto": da una parte i Paesi potevano avere una forza
smisurata, dall'altra si cerca di frenare l'uso della violenza con ulteriori norme e
principi. Con la Carta delle Nazioni Unite si cerc di mirare al raggiungimento della
situazione non bellica come la situazione normale. In contemporanea si continu a
smantellare il residuo dell'impero coloniale, soprattutto grazie alle richieste della
popolazione, che vedevano con le colonie solo profitti per pochi e costi per tutti.

2.4.2 La creazione dell'ONU

Dopo la Seconda guerra mondiale gli Alleati sottoscrissero la Carta delle Nazioni Unite
in cui sostanzialmente allungavano l'alleanza bellica (soprattutto tra USA e URSS).
Come gli accordi internazionali precedenti l'ONU si occupava di garantire la pace tra le
nazioni. Un grande passo avanti si ebbe con il divieto per gli Stati anche solo di
"minaccia o dell'uso della forza armata". Si istituito, inoltre, il Consiglio di
Sicurezza che contava 11 membri (oggi 15) in cui per rimanevano a titolo

permanente USA e URSS (poi Russia). Per la prima volta alcuni stati erano considerati
superiori ad altri. Inoltre, nelle decisioni c' necessit dell'accordo del veto di cinque
membri permanenti. L'ONU usc indebolita gi dall'anno successivo con le bombe di
Nagasaki e Hiroshima, e negli anni successivi con la guerra fredda.

2.4.3 La composizione della comunit internazionale

La composizione dell'ONU rispetto a quella del 1815 o del 1919 praticamente


ribaltata. Nel secondo dopoguerra molti Stati si sono resi indipendenti e molti altri
hanno adottato la dottrina socialista dell'URSS. Nei rapporti internazionali URSS e i
tantissimi altri stati del terzo mondo avevano una numerosit tale da poter avere
sempre la maggioranza nelle decisioni dell'organizzazione. Ma l'enorme potere
economico e politico dei "pochi" paesi occidentali, ha sempre prevalso, soprattutto
grazie alla fitta rete di enti intergovernativi che si sono venuti a formare in quegli
anni.

2.4.4 La lotta per un nuovo diritto

La numerosit dei paesi del terzo mondo, per, ha saputo dare una svolta positiva a
tutto il contesto internazionale facendo adottare dall'ONU una serie di risoluzioni per
l'abolizione della discriminazione razziale e per il riconoscimento
dell'autodeterminazione dei popoli. Inoltre tutte le norme internazionali furono
riviste nella direzione di una maggiore presa di considerazione verso gli stati del terzo
mondo. Nel 1977, infine, il "gruppo dei 77" (formato dai paesi dell'Asia, dell'Africa e
dell'America Latina) cerc di rivoluzionare l'assetto economico della comunit
internazionale e ha ottenuto una raccomandazione, cio un atto giuridico non
vincolante.

2.5 Dalla fine della guerra fredda ad oggi

Dal crollo dell'Unione Sovietica, la Russia non riuscita a prendere il suo posto di
super-potenza all'interno delle relazioni internazionali lasciando da soli gli USA. Gli
USA adesso si ritrovano a fare sempre da mediatori, influenzando il parere
dell'organizzazione internazionale, per, solo verso ci che ritiene degno di nota. Non
sono mancate, infatti, le occasioni in cui, per esclusivo interesse degli USA, sia
intervenuta (anche militarmente) l'ONU. Quando gli USA non sono riusciti ad ottenere
l'appoggio dell'ONU sono ricorsi alla NATO e, talvolta, sono corsi da soli. Ci a
testimonianza dell'egemonia che gli USA hanno sul resto del mondo. Dal Secondo
dopoguerra alcuni Stati del terzo mondo si sono molto sviluppati (Brasile, Cina e
India), mentre il potere degli Stati occidentali andato sempre di pi scemando. La
fase attuale delle relazioni internazionali, inoltre, si sta orientando verso un ricorso ad
alleanze militari, come la NATO e la tendenza alla regionalizzazione. I paesi del terzo
mondo hanno abbandonato l'ideologia socialista, comprendendo che pi semplice
fare accordi con i paesi industrializzati piuttosto che convincere l'organizzazione
internazionale a prendere determinate posizioni.
Oggi, il diritto internazionale sta cercando di normalizzare ogni aspetto della vita e si
nota come le varie sfumature del diritto siano tra loro sempre pi strettamente
influenzate.

CAPITOLO 3: LO STATO E LA SUCCESSIONE TRA STATI


3.1 Lo stato come soggetto di diritto internazionale

Gli Stati sono i soggetti primari del diritto internazionale, cos come gli individui lo
sono per i singoli Stati. Ma governare un insieme di (relativamente) pochi soggetti
molto differenti tra loro un impresa ardua. Mentre gli individui acquistano il loro
status di soggetto giuridico alla nascita, difficile identificare il momento di nascita di
uno Stato. Per prassi uno Stato, per essere considerato tale dalla comunit
internazionale deve risiedere stabilmente in un territorio non gi occupato da un altro
Stato sovrano e deve avere una popolazione stabile che sottostia (per scelta) ad un
governo legittimo e sovrano. Sono molti i casi in cui una di queste caratteristiche

venuta a mancare. Si parla in tal caso di "failed States" o "collapsed States". In


questi casi l'organizzazione internazionale decide di intervenire per ristabilire la pace o
comunque per salvaguardare lo Stato in questione. Quella di intervenire una
decisione difficile in quanto bisogna far fronte alle conseguenze che si possono
sviluppare a livello globale.

3.2 Il riconoscimento di Stati


3.2.1 Gli effetti

difficile determinare lo status giuridico di uno Stato. Pu, per, risultare utile sentire
il parere degli Stati gi effettivi. Ma questa modalit ha molte critiche poich vedrebbe
la superiorit di alcuni Stati su altri e perch contrasta con il principio di effettivit, in
virt del quale le situazioni "effettive" sono considerate pienamente legittime. Ma il
riconoscimento di uno Stato da parte di altri mostra la volont degli Stati di voler
trattare politicamente, economicamente e giuridicamente con il nuovo ente.

3.2.2 La prassi

Mentre prima per dare lo Status giuridico internazionale ad uno Stato bisognava
considerare solo l'esistenza di un governo stabile che governasse su una popolazione
residente in un determinato territorio, negli ultimi decenni si sono sviluppate maggiori
richieste per tale approvazione. I nuovi Stati, infatti, devono rispondere anche di
eventuali comportamenti ritenuti inidonei all'accettazione nell'organizzazione
internazionale, come l'uso della forza per conquistare il governo, la politica pi o meno
razzista, la salvaguardia delle minoranze etniche e religiose, ecc. Quindi spesso capita
che i nuovi Stati preferiscano restare per un periodo in disparte e, magari,
intrattenere
relazioni solo con gli Stati che lo riconoscono tale.

3.3 Le regole fondamentali a protezione della sovranit e


indipendenza degli Stati
3.3.1 Sovranit e indipendenza
La sovranit di uno Stato il suo diritto ad esercitare in via esclusiva ed originaria,
entro una data porzione del globo, le funzioni dello Stato. Sostanzialmente la
sovranit statale coincide con l'indipendenza di uno Stato da un altro. Uno Stato,
infatti, pu essere considerato tale anche se economicamente dipendente da un altro
e pu sottostare alle norme internazionali, quando per, queste non lo rendano
assoggettato ad un altro. I poteri dello Stato sono ampi. Gli Stati posseggono il potere
di imperio sugli individui e sui beni presenti sul loro territorio, qualora per questi non
contrastino con le norme internazionali, e in particolare con quei principi di tutela della
persona e dell'ambiente imposti dalla comunit internazionale.

3.3.2 La tutela internazionale degli Stati e della loro sovranit

Il diritto internazionale consiste in norme volte ad assicurare la coesistenza degli stati


nel rispetto della loro naturale indipendenza. Non infatti concesso agli Stati di
interferire con la politica interna di altri, neanche qualora ci fosse una guerra interna
(a meno che i ribelli non facciano parte di un movimento di liberazione nazionale).
Inoltre non possono essere processati i funzionari statali che, in ambito delle relazioni
internazionali abbia commesso un illecito ufficiale. Infatti in questi casi lo Stato
stesso ad essere giudicato, mentre il funzionario o l'ente deve essere processato
all'interno dello Stato di appartenenza. Unica eccezione costituita dai crimini
internazionali. Oggi, la fitta rete di accordi che ci sono e di enti internazionali, c'
molta pi possibilit di alcuni Stati di influenzarne altri, tanto che si dovuti
intervenire con norme internazionali per delimitare i campi in cui era vietata alcuna
interferenza esterna. Uno dei pochi motivi in cui uno Stato pu intervenire su un altro
riguarda i diritti umanitari. In linea generale il diritto internazionale vuole mettere
sullo stesso piano tutti gli Stati e nessuno pu prevalere sull'altro.

3.4 Successione tra Stati

3.4.1 Successione in fatto


I mutamenti di sovranit su una data comunit territoriale, ossia la sostituzione di uno
Stato ad un altro nell'esercizio della potest d'imperio su una comunit territoriale
(c.d. successione in fatto tra Stati), pu portare all'estinzione di uno Stato in
favore di un altro (c.d. successione in fatto totale), oppure alla formazione di un
nuovo Stato, senza che vi sia l'estinzione di quello preesistente (c.d. successione in
fatto parziale).
La successione in fatto totale comporta l'estinzione di uno Stato sul cui territorio
avviene il cambiamento di sovranit e, in alcuni casi, la formazione di uno o pi nuovi
Stati. Si dice "incorporazione" la sostituzione di uno Stato preesistente con un altro
Stato sovrano che governi su tutto il territorio. Si chiama, invece "fusione" quando
due o pi Stati si estinguono e si viene a formare un unico Stato.
La successione in fatto parziale, invece, avviene nella mutazione di sovranit solo su
una parte di territorio. Vi pu essere una "scissione", ossia la perdita di sovranit su
parti di un territorio di uno Stato preesistente a vantaggio di un altro Stato
preesistente che inglober i territori distaccatisi. Vi pu essere anche la "cessione"
territoriale, ossia la cessione di alcuni territori da uno Stato ad un altro.

3.4.2 Successione giuridica

Nel caso delle cessioni bisogna valutare se vi una successione giuridica, cio se i
diritti e gli obblighi dello Stato predecessore si trasmettono allo Stato che si
sostituito al primo nel governo di tale territorio.
3.4.2.1 La successione nei trattati
In tutti i casi di successioni tra Stati, i c.d. trattati localizzabili, cio quelli che
impongono obblighi e conferiscono diritti soggettivi rispetto ad un determinato
territorio, non sono mutabili e continueranno ad esistere anche con il nuovo Stato (o i
nuovi Stati). Nel caso, invece, dei trattati non localizzabili esistono due casi, a seconda
che si tratti di incorporazione, fusione, scissione o cessione. Nel caso di incorporazione
o di cessione territoriale si applica il c.d. principio della mobilit delle frontiere dei
trattati, cio i trattati conclusi dallo Stato predecessore cessano di avere valenza in
quel dato territorio e si applicano i trattati dello Stato che ha preso governo nel
territorio. Nel caso, invece, della formazione di nuovi Stati vige il principio della tabula
rasa, secondo cui svaniscono tutti i trattati del vecchio Stato. Ultimamente i anche i
trattati in merito a diritti umanitari stanno diventando permanenti.
3.4.2.2 La successione rispetto ai beni, archivi e debito pubblico e
rispetto alle organizzazioni internazionali
Nella successione tra Stati, i beni e gli archivi vengono trasmessi automaticamente al
nuovo Stato, cos anche il debito pubblico. In quest'ultimo caso, se si tratta di
scissione o comunque vi la nascita di pi Stati, il debito viene diviso in maniera
equa. Non si tramandano, invece, i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali.
Nel tal caso il nuovo Stato dovr, se vuole, riproporre la sua candidatura
all'organizzazione internazionale a cui vuole aderire.

3.5 Successione tra governi

I cambiamenti rivoluzionari o extra-costituzionali di governo non hanno alcuna


incidenza sulla personalit di uno Stato; di conseguenza lo Stato che subisce tali
cambiamenti vincolato agli atti internazionali posti in essere dal Governo
precedente.

CAPITOLO 4: L'AMBITO SPAZIALE DI ESERCIZIO DELLA


SOVRANIT STATALE
4.1 Introduzione

Non si pu pensare uno Stato senza un territorio ben delineato entro il quale lo Stato
svolge quasi interamente la propria attivit. Tradizionalmente i confini erano delimitati
molto semplicemente: terra, mare e spazio aereo erano divisi in zone di competenza

esclusiva dello Stato. Le terrae nullius potevano essere prese da altri Stati, ma solo se
effettivamente governavano la popolazione residente e avevano intenzione di non
abbandonare il territorio. Ovviamente, con il passare del tempo, l'ente che possedeva
mezzi superiori di controllo di terra mare e aria, aveva pi possibilit e potere per
esercitare il proprio dominio su un pi ampio spazio. L'unica eccezione sempre stato
il mare aperto che fin dal XVI secolo sempre stato considerato bene comune e non
attribuibile a nessuno.

4.2 Il territorio

Il territorio statale la porzione di terraferma soggetta a dominio esclusivo di uno


Stato. Ad oggi non esiste pezzo di terra non assoggettato ad uno Stato, eccezion fatta
per l'Antartide.
Gli Stati sono autorizzati ad esercitare sul proprio territorio i poteri inerenti alla
sovranit, entro i limiti stabiliti dal diritto internazionale.

4.2.1 Modi d'acquisto del territorio

Le modalit per ottenere un altro pezzo di territorio sono le seguenti: 1) attraverso


l'occupazione di terrae nullius (cosa oggi impossibile); 2) la conquista di un territorio
(non accettata a livello internazionale perch non legittima); 3) l'accessione di un
nuovo pezzo di terra formatosi vicino a un territorio gi esistente; 4) la cessione
pacifica di un territorio da uno Stato ad un altro per mezzo di trattato.

4.2.2 Delimitazione delle frontiere: la dottrina dello"uti possidetis"

Nei paesi che si stavano decolonizzando si instaur la prassi di mantenere i confini dei
territori colonizzati. Cos si mantenne la struttura geografica, sia sud-americana, sia
africana, identica a quella per cui si erano accordati i coloni.

4.3 Gli spazi marini

In epoca recente il mare stato gradualmente suddiviso in varie porzioni, ciascuna


sottoposta ad uno specifico regime giuridico. Tutta la legislazione in merito racchiusa
nella Convenzione di Montego Bay .

4.3.1 Il mare territoriale

Il mare territoriale comprende quella parte di mare adiacente alle coste di uno
Stato, comprese le baie, i golfi e gli stretti. L'ampiezza delle porzioni di mare non pu
superare le 12 miglia dalla linea di base, che si pu calcolare con il sistema delle linee
rette. Un limite al passaggio controllato in queste acque costituito dal passaggio
inoffensivo delle navi mercantili e delle navi da guerra straniere, sempre che il loro
passaggio non arrechi pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato
costiero. Lo Stato non pu esercitare la propria giurisdizione penale in relazione a fatti
commessi a bordo della nave straniera ad eccezione di quando: 1) il reato di natura
tale da recare pregiudizio alla pace del paese o al buon ordine del mare territoriale; 2)
le conseguenze del reato si estendono allo Stato costiero; 3) l'intervento delle autorit
locali richiesto dal comandante della nave o da un agente diplomatico o funzionario
consolare dello Stato di bandiera della nave; 4) l'intervento necessario per la
repressione del traffico illecito di stupefacenti.

4.3.2 Le acque interne

Le acque interne comprendono fiumi, laghi e la parte di mare compresa nella linea di
base. Queste sono considerate al pari della terra ferma e di conseguenza sono sotto il
diretto controllo dello Stato. In queste acque non esiste il diritto di passaggio pacifico
per la navi da guerra se non su consenso dello Stato. Le navi straniere che transitano
in acque interne debbono sottostare alla legislazione dello Stato ospitante.

4.3.3 Le baie

Le baie sono le insenature ben marcate la cui penetrazione nella terraferma, in


rapporto con la larghezza della sua entrata, tale che le acque dell'insenatura siano
racchiuse dalla costa.

4.3.4 La zona contigua

La zona contigua si estende oltre il mare territoriale fino ad un'ampiezza massima di


24 miglia marine dalla linea di base. Questa zona stata costituita per consentire allo
Stato costiero di catturare coloro che commettano reati in mare territoriale e cerchino
di scappare prendendo il largo.

4.3.5 L'estensione del diritto di sovranit oltre il mare territoriale

Le nuove tecnologie hanno permesso di scoprire delle importanti risorse nel sottosuolo
marino, soprattutto lontano dalle coste degli Stati, sulla piattaforma continentale. Cos
le organizzazioni internazionali hanno deciso di lasciare libero l'accesso a queste zone.
In questo modo ricominciata la corsa allo sfruttamento illimitato del sottosuolo
marino. Solo per la zona extra-atmosferica, sulla carta, si deciso di adottare un
principio solidaristico di sfruttamento, cio di distribuzione equa delle risorse, ma
forse solo perch non si hanno ancora gli strumenti per poter delimitare la sovranit
statale.
4.3.5.1 La piattaforma continentale
Con la scoperta di risorse naturali nel sottosuolo marino si partiti con la corsa allo
sfruttamento di tali risorse anche in mari internazionali. Cos si dovuto legiferare
anche in merito alle piattaforme continentali che sono considerate degli Stati
costieri fino al margine esterno della piattaforma. Qualora non esistessero piattaforme
continentali (che hanno profondit di massimo 200 m) considerata piattaforma
continentale fino a 200 miglia dalla linea di base. Lo Stato vanta diritti concernenti lo
svolgimento di determinate attivit di sfruttamento delle risorse naturali sulla
piattaforma. Nel caso di piattaforma tra due o pi Stati vale il principio
dell'equidistanza.
4.3.5.2 La zona economica esclusiva
Anche la zona economica esclusiva arriva fino a 200 miglia dalla linea costiera di
base e d diritto agli Stati costieri all'esplorazione, sfruttamento e conservazione e
gestione delle risorse naturali.

4.3.6 Il mare internazionale

Oltre la zona contigua e la zona economica esclusiva c' il mare internazionale,


retto dal principio di libert di navigazione. Nell'alto mare ogni Stato ha libert di
navigazione e di sorvolo come anche di far passare cavi e tubature nei fondali marini,
oltre che libert di pesca e di ricerca scientifica.
Ogni Stato esercita in via esclusiva la giurisdizione sulle proprie navi. Tuttavia uno
Stato pu, con le sue navi da guerra, esercitare in casi eccezionali la propria
giurisdizione su navi di altre nazionalit; pu abbordare navi straniere per verificarne
la bandiera e che non siano impegnate in atti di rilevanza penale internazionale. Ogni
Stato pu inoltre inseguire e catturare navi sospettate di aver commesso un illecito
nel
mare territoriale di quello Stato.

4.3.7 Il fondo marino internazionale e la nozione di patrimonio


comune dell'umanit

Il fondo marino internazionale comprende il suolo e il sottosuolo dell'alto mare.


Nella seconda met del XX secolo, in vista delle risorse che si stavano scoprendo nel
fondo marino internazionale, fu coniata l'espressione "patrimonio comune
dell'umanit", secondo il quale 1) nessuno poteva avere il diritto esclusivo sulle
risorse; 2) si aveva l'obbligo di sfruttare queste risorse nell'interesse dell'umanit
(PVS compresi), 3) l'obbligo di condurre esperimenti e ricerche a fini pacifici; 4)
l'obbligo di tenere le esigenze della ricerca scientifica in debita considerazione; 5)
l'obbligo di proteggere adeguatamente l'ambiente.

4.4 Gli spazi aerei

Ogni Stato sovrano dello spazio aereo sovrastante il proprio territorio e il proprio
mare territoriale. Per quanto riguarda l'altitudine, si pu dire che comprende lo spazio

massimo dove un aereo riesce a volare. Ogni aereo pu attraversare lo spazio aereo
di
un altro Stato solo con il consenso dello Stato ospitante.

4.5 Lo spazio extra-atmosferico

Lo spazio extra-atmosferico quella parte del pianeta al di sopra di un'altezza


ancora non ben definita.
Prima si riteneva teoricamente per assodato che fosse di autorit statale anche lo
spazio extra-atmosferico, ma con i lanci spaziali di USA e URSS gli altri Stati
accettarono la superiorit tecnologica delle superpotenze e decisero
convenzionalmente di lasciare lo spazio extra-atmosferico libero, ma con principi
solidaristici. In questo caso, come per il mare aperto ogni sfruttamento di risorse,
purch non nocive per la popolazione mondiale, dovevano essere considerate
patrimonio dell'umanit.

CAPITOLO 5: I LIMITI DI ESERCIZIO DELLA SOVRANIT


PERSONALE
5.1 Introduzione

L'esercizio di sovranit di uno Stato nei confronti degli individui limitato dal diritto
internazionale e, ovviamente varia da Stato a Stato. Ogni Stato ha l'obbligo di
apprestare un particolare trattamento ai cittadini stranieri e di rispettare le immunit
internazionali degli Stati stranieri e dei loro organi.

5.2 Il trattamento degli stranieri e dei loro beni

5.2.1 La rilevanza della distribuzione tra cittadini e stranieri

L'appartenenza ad uno Stato determinata dall'istituto della cittadinanza. Ogni


Stato decide al suo interno chi pu essere considerato cittadino e con quali modalit si
pu acquisirne il titolo. Verso i suoi cittadini lo Stato ha diritti e doveri, ma verso lo
straniero deve sottostare a determinate regole volte ad un trattamento che non sia
inferiore a quello del cittadino stesso. Per determinare un cittadino, l'unica verifica per
lo Stato che esista un rapporto "effettivo" Stato/cittadino. Tale rapporto, oltre che
con le persone fisiche, si applica anche alle persone giuridiche.

5.2.2 Gli obblighi in materia di trattamento degli stranieri

I cittadini stranieri godono all'interno degli Stati di un trattamento dovuto a norme


internazionali volte per lo pi a tutelare la vita e l'integrit fisica dello straniero,
nonch dei suoi beni. Lo Stato territoriale non pu obbligare lo straniero ad adempiere
a obblighi di natura politica o militare, n pu impedire che egli si allontani per
rientrare nel proprio Paese o andare altrove. invece consentita l'imposizione di
obblighi di natura patrimoniale o di natura civica. anche ammesso l'esercizio della
potest punitiva qualora lo straniero commetta reato nello Stato territoriale. Il
diritto internazionale, nei casi di punibilit dello straniero nello Stato territoriale per
reati commessi in altri Stati non ancora arrivato ad una precisa definizione. Il
trattamento dello straniero deve essere non al di sotto di un certo standard (secondo
l'opinione dei paesi occidentali) generale, anche se il trattamento dei cittadini al di
sotto di tale standard. Secondo i PVS, invece, lo straniero deve essere trattato al pari
dei cittadini.

5.2.3 La protezione diplomatica


Nel caso di diniego di giustizia verso uno straniero, lo Stato di nazionalit dello
straniero pu intervenire in sua difesa attraverso la c.d. "protezione diplomatica".
La protezione diplomatica, per, un diritto dello Stato, e non del cittadino, anche se,
per prassi, lo Stato solito intromettersi nella difesa di un suo cittadino all'estero. Le
condizioni per tale esercizio sono due: innanzitutto lo straniero deve essere
effettivamente cittadino dello Stato che utilizza tale strumento e lo deve essere anche
durante la procedura; in secondo luogo il cittadino, prima di poter ottenere la

protezione diplomatica, deve avere effettivamente utilizzato tutti gli strumenti giuridici
dello Stato territoriale, per potersi difendere. Lo Stato di nazionalit pu intervenire
quando mancano tali strumenti giuridici o questi non sono necessari alla sua
assoluzione. Questo fenomeno non solo pu verificarsi per le persone fisiche, ma
anche per le giuridiche. In questo caso lo Stato che interviene quello di nazionalit
della societ, o anche dei soci, nel caso in cui sono i soci in prima persona ad aver
subito un illecito nello Stato territoriale.

5.2.4 Obblighi di trattamento degli stranieri e diritti umani

Agli obblighi degli Stati nei confronti degli stranieri delineati nella tradizionale
giurisdizione internazionale, si affiancano i trattati in merito ai diritti umani. Anche
se pu sembrare che la nuova disciplina sui diritti umani abbia scavalcato la vecchia
giurisdizione in materia dei comportamenti degli Stati nei confronti degli stranieri, si
nota che corrono su due binari paralleli. Da un lato, i diritti umani vogliono difendere
la persona in quanto essere umano, da qualunque tipo di attacco proveniente da
chiunque, mentre le normative antecedenti, attraverso opportuni trattati, vogliono
difendere il cittadino straniero dagli attacchi ripetuti da parte degli Stati (che
principalmente intendono, in questo modo, attaccare altri Stati).

5.3 Le immunit degli Stati stranieri

5.3.1 L'immunit della giurisdizione civile

La consuetudine impone agli Stati dall'astenersi ad esercitare la propria giurisdizione


civile nei procedimenti intentati contro uno Stato estero, senza il consenso di
quest'ultimo. Quindi esiste il diritto per gli Stati di invocare il diritto all'immunit
dalla giurisdizione civile di un altro Stato. Le motivazioni sono le seguenti: da un
lato va verso il rispetto dell'indipendenza reciproca degli Stati, dall'altro segue il
principio della separazione dei poteri, secondo cui le autorit di uno Stato non
possono interferire nella condotta della politica estera del proprio Stato.

5.3.2 L'immunit della giurisdizione in materia di rapporti di lavoro

Come per l'immunit giurisdizionale civile, anche per i rapporti di lavoro vi la


distinzione tra atti jure imperii, cio nell'attivit dello Stato come ente sovrano, e
atti jure gestionis, cio in attivit poste in essere dallo Stato a titolo privato.

5.3.3 L'immunit dalla giurisdizione cautelare ed esecutiva

L'immunit dalla giurisdizione cautelare ed esecutiva concerne la possibilit di


procedere a misure cautelari sui beni dello Stato estero, oppure a misure coercitive su
tali beni. Tale giurisdizione non collide e non coincide con l'immunit della
giurisdizione
civile.

5.3.4 L'immunit degli Stati esteri e violazione di norme di "jus


cogens"

Nel diritto internazionale si sono affermate delle norme di carattere generale


inderogabili, ossia che non possono essere derogate per mezzo di un qualsiasi tipo di
immunit, poich esse tutelano valori fondamentali della comunit internazionale nel
suo insieme, cio il c.d. jus cogens. In alcuni casi, infatti, possibile anche negare il
diritto all'immunit di uno Stato per violazioni di norme di jus cogens.

5.4 L'immunit funzionale degli organi di Stati esteri

Ogni Stato ha il diritto di esigere da un altro Stato che i comportamenti posti in essere
dai propri organi in tale qualit siano considerati fatti dello Stato e non dell'individuo,
e quindi coinvolgenti la sola responsabilit dello Stato secondo il diritto internazionale
(c.d. immunit funzionale). Tale immunit invocabile per tutti gli atti ufficiali
compiuti da un qualsiasi organo dello Stato. Esistono, per alcune eccezioni, in
particolare di fronte a gravi reati, per cui pu essere sottoposto a giudizio anche la
singola persona incaricata dallo Stato. La richiesta di questo tipo di immunit incontra
limiti anche nel caso di crimini internazionali.

5.5 Le immunit degli agenti diplomatici


Per quanto riguarda gli agenti diplomatici e le loro famiglie, questi godono, insieme ai
beni utilizzati per svolgere le loro funzioni, di una serie di immunit personali verso lo
Stato accreditario. Queste immunit hanno lo scopo di evitare influenze da parte dello
Stato accreditario e permettere agli agenti diplomatici di svolgere in tranquillit il loro
lavoro.

5.5.1 Il contenuto delle norme sulle immunit diplomatiche

Le immunit degli agenti diplomatici riguardano non solo la sua persona, ma


anche la sede diplomatica e l'abitazione privata dell'agente, nonch i beni in essi insiti
e quelli utilizzati per lo svolgimento delle sue funzioni. Lo Stato territoriale ha il dovere
di impedire che i locali della missione siano invasi o danneggiati. D'altro canto, per,
lo Stato accreditato ha l'obbligo di non utilizzare i locali della missione in maniera
incompatibile con le funzioni della missione stessa. In caso di abuso lo Stato
accreditario pu indicare i responsabili con "personae non gratae". Gli archivi, i
documenti, la corrispondenza ufficiale sia della missione che dell'agente diplomatico
non possono essere oggetto di misure coercitive da parte dello Stato territoriale.
L'agente diplomatico non pu subire in alcun caso la giurisdizione dello Stato
accreditario, n i suoi beni. Qualora, invece, l'agente diplomatico abbia la cittadinanza
dello Stato accreditario, o risieda permanentemente sul suo territorio l'immunit si
restringe solo agli atti e alle operazioni di tipo ufficiale. Ugualmente accade nel caso di
attivit fuori dall'ambito diplomatico dell'agente, cio nell'ambito di attivit personali e
completamente estranee a quella diplomatica. Inoltre le immunit diplomatiche
dispensano gli agenti e le missioni al pagamento di qualsiasi tipo di tassa dello Stato
territoriale.

5.5.2 L'abuso delle immunit diplomatiche

Nel caso in cui un'agente diplomatico o lo Stato accreditante abusino delle immunit
diplomatiche, lo Stato accreditario pu riconoscere il personale diplomatico come
"persona non grata" e rompere i rapporti diplomatici con lo Stato accreditante. Oppure
pu invocare l'intervento dello Stato accreditante affinch fermi l'abuso di immunit.
Qualora ci non avvenisse entro un determinato tempo prefissato, lo Stato
accreditario pu rifiutare di riconoscere alla persona in questione lo status di membro
della missione.

5.5.3 Presupposto e durata delle immunit diplomatiche


La durata delle immunit diplomatiche non coincide con il periodo di attivit
dell'agente, anzi si estende ad un periodo antecedente e successivo alla presa in
carico della missione.

5.5.4 Immunit diplomatiche e Stati terzi


L'obbligo di rispettare le immunit diplomatiche grava soltanto sullo Stato accreditario
e non su Stati terzi, che invece, qualora un agente diplomatico compia in esso un
reato pu essere convenuto in giudizio. Solo in due casi gli Stati terzi devono
rispettare l'immunit: nel caso di "ius transitus inoxii", cio nel passaggio del
diplomatico nel Paese per raggiungere un'altra destinazione e nel caso degli atti
compiuti a titolo ufficiale nell'esercizio della funzione diplomatica.

5.5.5 Le immunit dei capi di Stato e di governo e dei ministri degli


affari esteri

I capi di Stato e di Governo e i Ministri degli Affari Esteri, nell'esercizio delle loro
funzioni godono della immunit diplomatica. Fa ovviamente eccezione il caso di crimini
internazionali.

5.5.6 Le immunit degli agenti consolari

Gli agenti consolari svolgono funzioni pi limitate rispetto agli agenti diplomatici e di
conseguenza le loro immunit sono minori e riguardano solamente le attivit ufficiali.
Inoltre essi godono anche dell'inviolabilit personale e beneficiano di un'ampia

esenzione fiscale e di forme di esenzione dai diritti di dogana e dalla visita doganale.
Gli archivi, i documenti e i locali consolari sono inviolabili.

CAPITOLO 6: INSORTI, MOVIMENTI DI LIBERAZIONE


NAZIONALE E ALTRI SOGGETTI "SUI GENERIS"
6.1 I gruppi insurrezionali

6.1.1 Insurrezioni e soggettivit internazionale dei gruppi


insurrezionali

Le insurrezioni sono un fenomeno che nasce praticamente con la politica


internazionale, e tutt'oggi continuano a sussistere casi di questo tipo. In alcuni casi
possibile attribuire ai gruppi insurrezionali uno status internazionale, ma ovviamente a
scapito dello Stato in cui l'insurrezione si verifica. Per poter ottenere tale status, il
gruppo insurrezionale deve dimostrare di avere un controllo effettivo e responsabile
del territorio con un apparato organizzativo. Inoltre lo stato di insurrezione non deve
essere sporadico, ma continuato. Gli Stati terzi non possono appoggiare gli
insurrezionali, a meno che non si tratti di movimenti di liberazione nazionale, ma
possono sostenere, anche con le forze armate, gli Stati sotto attacco.

6.1.2 Il riconoscimento di belligeranza

Il riconoscimento degli insorti non deve essere confuso con il riconoscimento di


belligeranza, che pu essere effettuato solo quando gli insorti abbiano acquisito un
effettivo controllo del territorio e abbiano, una volta vinta la guerra civile, la possibilit
di instaurare uno Stato effettivo con apparati organizzativi e di responsabilit. Con il
riconoscimento di belligeranza al movimento degli insorti viene attribuito uno status
internazionale e la guerra civile dovr sottostare alle regole di diritto internazionale.

6.1.3 Riconoscimento e soggettivit internazionale del gruppo


insurrezionale

Per essere riconosciuto dal diritto internazionale, un gruppo insurrezionale deve avere
l'approvazione degli altri Stati. Ci deriva principalmente dal comportamento dello
Stato in cui avviene l'insurrezione. Infatti molto pi probabile che il movimento
venga riconosciuto nello status internazionale quando nel territorio stabilmente
occupato e governato dal movimento esistano persone di altri Stati. Altra possibilit
dei gruppi insorti di ottenere tale status la linea ideologico-politico-religiosa, ma
anche di collaborazioni militari che possono avere con altri Stati.

6.1.4 Carattere provvisorio del gruppo insurrezionale


Gli insorti presentano caratteristiche simili a quelle degli Stati, ma hanno natura
transitoria e dunque una capacit internazionale limitata, almeno finch non
sostituiscano per intero, o solo sul parte del territorio un altro Stato.

6.1.5 Le norme consuetudinarie applicabili agli insorti


Le norme consuetudinarie applicabili agli insorti sono scarse. Tra queste ci sono norme
in materia di trattati, secondo cui i movimenti insurrezionali possono stipulare accordi
con gli Stati terzi che hanno accettato il loro status internazionale. Gli insorti, inoltre,
devono garantire agli stranieri residenti nel territorio da loro controllato, il trattamento
derivato dal diritto internazionale. Se un cittadino sottoposto al controllo effettivo
degli
insorti risiede nel territorio di uno Stato che non ne ha riconosciuto lo status
internazionale, l'obbligo di tale Stato di proteggere l'individuo in questione opera con
riguardo al Governo dello Stato in cui in corso il conflitto. I ribelli devono garantire
agli organi di Stati esteri il trattamento previsto dal diritto internazionale. Le missioni
diplomatiche di Stati che non hanno accettato lo status internazionale degli insorti,
residenti nel territorio sottoposto a controllo degli insorti, possono trattare i
rappresentanti di tale movimento come normali cittadini.

6.2 I movimenti di liberazione nazionale

6.2.1 Guerre di liberazione nazionale

Le guerre di liberazione nazionale sono caratteristiche del secondo dopoguerra,


soprattutto nell'area africana. Rispetto ai movimenti insurrezionali, questi sono
garantiti dal diritto internazionale poich seguono il principio
dell'autodeterminazione dei popoli. Mentre i primi movimenti erano inerenti i
movimenti per la liberazione dai coloni, adesso mutata in parte la motivazione.
Infatti molti movimenti di liberazione nazionale nascono per difendere il territorio dai
Governi razzisti o stranieri.
6.2.1.1 Le origini "politiche" del principio
Il principio di autodeterminazione dei popoli ha definitivamente soppiantato l'ottica
tradizionale della sovranit statale, poich in questo modo uno dei principali parametri
di autorit degli Stati era la soddisfazione dei bisogni e l'accettazione da parte della
popolazione. palese che tale principio sta alla base della democrazia e ha dato il
colpo di grazia agli Stati multinazionali e coloniali.
6.2.1.2 Il contenuto normativo attuale
Nonostante la forte accettazione del principio di autodeterminazione dei popoli, questo
trova normazione solo in tre aree: come postulato anti-coloniale, come divieto
all'instaurazione e mantenimento di regimi di occupazione straniera e come condizione
per il pieno accesso al governo di tutti i gruppi razziali. Un popolo sottoposto a regime
militare di uno Stato terzo legittimato all'autodeterminazione. Il principio stabilisce il
metodo attraverso il quale gli Stati devono assumere decisioni concernenti i popoli.
6.2.1.3 Le conseguenze giuridiche
Gli Stati razzisti, militari stranieri, coloniali, sono obbligati a riconoscere
l'autodeterminazione dei popoli. I movimenti di liberazione nazionale, in questi casi,
vantano diritti maggiori a livello internazionale, rispetto agli Stati oppressori.
Innanzitutto possono richiedere il non intervento degli Stati terzi in favore dello Stato
oppressore, anzi, possono richiedere ad essi un aiuto (non bellico) nei loro confronti. Il
diritto internazionale vieta agli Stati terzi di aiutare gli Stati oppressori, e lascia libera
scelta di aiutare o meno i movimenti. I movimenti di liberazione nazionale, poi, sono
legittimati all'utilizzo della forza per reagire contro lo Stato oppressore.
L'autodeterminazione impedisce, inoltre, di considerare terrae nullius quei territori in
cui non presente un'autorit sovrana.
6.2.1.4 I limiti
Sotto il profilo normativo, il principio di autodeterminazione non previsto per i gruppi
etnici, religiosi e culturali. questo un forte limite a tale principio, soprattutto alla luce
degli avvenimenti odierni, ma, riprendendo Rooslvelt, un allargamento sproporzionato
del principio di autodeterminazione porterebbe al caos.

6.2.2 La soggettivit internazionale dei movimenti di liberazione


nazionale

A differenza dei movimenti insurrezionali, per il riconoscimento di status


internazionale ai movimenti di liberazione nazionale non c' bisogno del controllo
effettivo sul territorio. In molti casi, infatti, capita che questi vengano ospitati dagli
Stati limitrofi e da qui conducano le loro battaglie. Ovviamente l'obiettivo finale dei
movimenti l'acquisizione dell'autorit sul territorio, quindi l'elemento territoriale
acquista importanza, ma in prospettiva. Per acquisire lo status internazionale,
comunque, i movimenti hanno bisogno di un apparato organizzativo in grado di
gestire
le relazioni internazionali.

6.2.3 Le norme consuetudinarie applicabili ai movimenti di


liberazione nazionale

Tra le norme consuetudinarie applicabili ai movimenti di liberazione nazionale vi sono,


oltre al diritto all'autodeterminazione dei popoli, anche quello di stipulare trattati

internazionale e sono destinatari delle norme sulla protezione e immunit degli


individui che agiscono per conto loro.

6.3 Enti "sui generis"

Nella comunit internazionale esistono anche alcuni soggetti che hanno acquisito lo
status internazionale tramite avvenimenti storici o che non posseggono un territorio e
quello in cui agiscono parte di uno Stato sovrano. Si tratta, in molti casi di
microstati.

6.3.1 La Santa Sede

La Santa Sede costituisce l'organizzazione centrale della Chiesa Cattolica. Il suo


territorio nato con gli accordi presi con l'Italia nel 1929. a tutti gli effetti uno Stato
internazionale e come tale pu stipulare dei trattati (i c.d. concordati) con gli altri
Stati, prende parte alle relazioni diplomatiche e i suoi agenti godono dell'immunit
diplomatica.

6.3.2 Il Sovrano Ordine di Malta

Il Sovrano Ordine di Malta stato istituito durante le crociate e aveva un territorio a


s stante (Malta), spodestatogli da Napoleone nel 1814. Successivamente acquisto un
palazzo a Roma e una villa sull'Aventino. Il suo status internazionale ha
evidentemente ragioni storiche e in riguardo alle attivit umanitarie che da sempre lo
contraddistinguono. Tuttavia, gli stretti rapporti con la Santa Sede e il sempre
maggiore controllo di quest'ultima su di essa stanno portando alcuni ripensamenti da
parte di altri Stati.

6.3.3 Il Comitato Internazionale della croce Rossa (CICR)

Il CICR un'istituzione relativamente moderna, nata in Svizzera nel 1963 con scopi
umanitari. La sua sede a Ginevra gode dell'immunit internazionale e non pu essere
varcata dalle autorit svizzere senza l'esplicito consenso del Comitato. Il CICR
promuove la stipulazione di trattati multilaterali in materia di diritto internazionale nei
conflitti armati e prende contatti con gli Stati per indurli ad osservare tali trattati.
Qualora il CICR chiedesse ad uno Stato in guerra di accettare il loro aiuto, tale Stato
obbligato ad accettarlo.

CAPITOLO 7: IL RUOLO DELLE ORGANIZZAZIONI


INTERNAZIONALI E IN PARTICOLARE DELL'ONU
CAPITOLO 8: GLI INDIVIDUI E LE ORGANIZZAZIONI
INTERINDIVIDUALI
CAPITOLO 9: LE FONTI DI PRODUZIONE DELLE NORME
INTERNAZIONALI E LO "JUS COGENS"
9.1 Fonti di produzione giuridica e rapporti tra norme

Le fonti internazionali sono principalmente derivanti da consuetudini e dai


trattati. Tali fonti sono contemplate da due norme fondamentali: "consuetudo est
servanda", gli Stati devono rispettare le norme scaturite dal diritto internazionale;
"pacta sunt servanda", le parti devono rispettare gli accordi contenuti in un trattato.
Esistono altre fonti del diritto internazionale: i principi generali di diritto
riconosciuti dalle nazioni civili, e le decisioni giudiziarie adottate "ex aequo et
bono", ossia alla luce di principi di equit. Tra le fonti vi sono dei gradi di importanza.
Ci sono infatti delle fonti primarie, come le fonti consuetudinarie, dei trattati e quelle
unilaterali, e le fonti secondarie, che sono invece previste da norme prodotte da una
fonte primaria. Inoltre le fonti successive (di pari grado) modificano o abrogano le
fonti precedenti inerenti lo stesso tema, cos come le norme di carattere speciale
prevalgono su quelle di carattere generale. Oggi esistono dei valori "supremi" che non
sono negoziabili, n, quindi, modificabili in alcun modo e riguardano l'ordinamento
giuridico internazionale, il c.d. jus cogens.

9.2 Lo "jus cogens" internazionale


9.2.1 L'emergere della nozione

Le principali norme dello jus cogens, quindi inviolabili con altri mezzi, riguardano
l'autodeterminazione dei popoli, il divieto di aggressione, la proibizione del
genocidio, della schiavit, della discriminazione razziale e delle segregazioni
razziale (apartheid). La richiesta di istituire delle norme di jus cogens arriv dagli
Stati socialisti e dai Paesi del Terzo Mondo. Questi ultimi infatti volevano rafforzare la
condanna ai paesi coloniali e eliminare per sempre schiavit e discriminazioni razziali.
I Paesi socialisti, invece, vedevano con lo jus cogens, la speranza di una pace
duratura
tra le nazioni e di un pi ampio confronto. Solo Francia e, in maniera minore, la
Svizzera ebbero dei dubbi sull'istituzione di queste norme, ma tutti gli altri Stati, a
poco a poco e spinti dai paesi socialisti e i PVS accettarono tale ipotesi.

9.2.2 Lo "jus cogens" nella Convenzione di Vienna del 1969

Nel 1969, con la Convenzione di Vienna, gli Stati accettarono la concezione di jus
cogens, ma a condizione che lo Stato che invocava il carattere imperativo di tale
norma internazionale fosse pronto ad accettare in materia la giurisdizione obbligatoria
della Corte Internazionale di Giustizia (CIG). La Convenzione di Vienna del 1969
prevede all'art. 53 che un trattato nullo se, al momento della sua conclusione, esso
in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale (che pu
essere abrogata solo con una norma generale successiva della stessa natura). L'art.
64 continua dicendo che nel caso in cui emerga una nuova norma imperativa di diritto
internazionale generale, ogni trattato esistente che in contrasto con tale norma,
diviene nullo o si estingue. Quindi nel caso di controversia in un accordo tra due o pi
Stati in merito ad una norma di jus cogens questi possono ricorrere al parere della
CIG, o ad un arbitrato. Ma la nozione di jus cogens proveniente dalla Convenzione di
Vienna molto generica poich fa riferimento agli effetti giuridici di una norma e non
alla sua natura intrinseca. Comunque per poter modificare una norma di jus congens
c' bisogno dell'approvazione della maggioranza degli Stati. Pur se la loro natura
inderogabile dovrebbe essere accettata da tutti in via generale, questo metodo di
votazione dissuade uno Stato dall'opporsi ad una norma di tale fattezza.

9.2.3 La portata delle norme convenzionali sullo "jus cogens" e il


diritto consuetudinario

Le disposizioni della Convenzione di Vienna, per, presentano un forte limite poich la


richiesta di annullamento di un trattato per la violazione di norme di jus cogens, pu
essere effettuata solo da Stati che prendono parte sia alla Convenzione di Vienna sia
al trattato. Non quindi possibile per Stati terzi chiedere tale annullamento. Questa
prassi, per stata superata nel 1979 quando gli USA chiesero l'annullamento del
trattato tra URSS e Afghanistan, poich in una sua clausola, era previsto l'uso della
forza, vietato dallo jus cogens. Uno Stato che invoca l'annullamento di un trattato per
contrariet allo jus cogens, deve essere pronto a sottoporre le proprie pretese
all'accertamento giudiziale o arbitrale di un terzo. Inoltre, se lo Stato che procede con
tale richiesta non fa parte della Convenzione o del trattato in questione, pu vedersi
respinta tale richiesta dalla comunit internazionale.

9.3 L'individuazione della norme di "jus cogens"

Nella Convenzione di Vienna non si esplicitano, neanche a titolo esemplificativo, i casi


in cui esista una norma di jus cogens. Esiste un breve elenco, invece, nell'originario
art. 19 del Progetto di articoli sulla responsabilit internazionale degli Stati.
Nel testo di quest'articolo si faceva riferimento ad alcune norme che ponevano
obblighi "cos essenziali per la tutela degli interessi fondamentali della comunit
internazionale che la loro violazione era riconosciuta come crimine dalla comunit
internazionale nel suo complesso". In esso erano annoverate le norme che impongono

il divieto di aggressione, quelle che vietano il genocidio e l'apartheid, e


l'inquinamento massiccio dell'atmosfera e dei mari. Oggi potremmo aggiungervi
l'autodeterminazione dei popoli, il divieto della discriminazione e della tortura e
l'uso in generale della forza.

9.4 Gli effetti indiretti dello "jus cogens"

L'effetto tipico delle norme imperative di rendere nulli sin dal principio i trattati ad
esse contrari. Ma dalle norme di jus cogens scaturiscono anche altri effetti. possibile
che la CIG decida di abrogare solo l'articolo del trattato in cui presente la contrariet
alla norma di jus cogens, anche se lo Stato che ne ha richiesto il controllo deve
richiederlo sull'interezza del trattato. In materia di interpretazione, fra le varie
possibili
interpretazioni occorre optare per il significato pi conforme alle norme di jus cogens.
Lo jus cogens, inoltre, pu avere anche un'incidenza in materia di riconoscimento di
Stati, poich uno Stato che (anche al suo interno) produce norme contrarie allo jus
cogens, pu essere non pi legittimato dalla comunit internazionale. Ma tutte queste
misure non sono ancora mai state adottate poich nessuno Stato ha mai fatto ricorso
alla CIG per l'abolizione dei trattati.

9.5 La scarsa utilizzazione della nozione di "jus cogens" a livello


internazionale
La nozione di jus cogens non mai stata invocata dagli Stati, ma solo in alcune
occasioni dai tribunali internazionali. Questo principalmente perch le norme
imperative svolgono una funzione deterrente, nonch gli Stati ancora agiscono
esclusivamente per interesse nazionale e non internazionale.

9.6 Il ricorso alla nozione di "jus cogens" nella giurisprudenza e


nella legislazione interna

In rari casi la nozione di jus cogens stata utilizzata dalla giurisprudenza interna per
decidere il merito di una controversia. In realt si usata per giustificare la mancata
applicazione di norme di origine convenzionale.

CAPITOLO 10: LA CONSUETUDINE INTERNAZIONALE E LA


CODIFICAZIONE DELLE NORME CONSUETUDINARIE
10.1 Introduzione

I rapporti tra soggetti internazionali sono determinati principalmente da norme


consuetudinarie, che constano di due elementi fondamentali: una prassi
generalizzata e la convinzione che questa prassi corrisponda al diritto
vigente o sia dettata da impellenti esigenze politiche, sociali e economiche.
La norma consuetudinaria determinata dal comportamento degli Stati in relazione a
determinati fenomeni politici, sociali ed economici. In passato, al contrario, si riteneva
che queste norme consuetudinarie fossero il prodotto tacito della volont degli Stati.
Le norme di natura consuetudinaria, oggi, sono inviolabili.

10.2 Gli elementi della consuetudine

Per essere accettata come norma, la consuetudine deve rispondere a due


caratteristiche principali: deve essere una consuetudine diffusa e generalizzata
(elemento oggettivo) e deve essere accettata consapevolmente dagli Stati
(elemento psicologico). Il secondo caso pi difficile da stabilire. Uno Stato deve
essere consapevole che quella prassi che sta accettando, a livello internazionale sta
diventando una norma consuetudinaria, mutabile solo da un'altra della stessa natura.
Il fattore tempo relativo, poich dipende dalla convinzione degli Stati e dalla
fermezza con cui si formata la prassi.

10.2.1 Il ruolo dell'"usus"

importante notare che, quando sussistono forti divergenze d'interessi (economici o


politici), l'usus pu avere una grande importanza nella formazione di una norma

consuetudinaria.

10.2.2 Il diverso ruolo degli elementi della consuetudine in materia


di diritto nei conflitti armati

Nel Preambolo della II Convenzione dell'Aia del 1899, il giurista russo Martens inserir
la seguente clausola: "Fino a che non sar adottato un pi completo codice delle
regole applicabili ai conflitti armati, le popolazioni ed i belligeranti restano sotto la
salvaguardia e sotto l'imperio dei principi del diritto delle genti, quali risultano dagli
usi stabiliti fra le nazioni civili, dalle leggi d'umanit e dalle esigenze della coscienza
pubblica". In questo modo ha modificato la struttura delle norme consuetudinarie per i
casi di conflitti armati riuscendo a coniugare le esigenze dei paesi ricchi e di quelli
poveri. Con questa clausola l'usus non pi elemento fondamentale per l'accettazione
di una consuetudine. Viene invece maggiormente valorizzato l'elemento psicologico,
cio l'accettazione da parte degli Stati. Questo giustificato dal fatto che in questi casi
preferibile un approccio verso le esigenze umanitarie.

10.3 La rilevazione delle norme consuetudinarie


difficile identificare norme consuetudinarie. Queste devono provenire da un'attenta
analisi tratta dai documenti diplomatici degli Stati, dalle posizioni espresse da questi
ultimi in seno a conferenze multilaterali, dalla giurisprudenza internazionale, dalla
legislazione e giurisprudenza interni. Molto spesso, inoltre, capita che gli Stati
assumano deliberatamente determinati comportamenti per influenzare maggiormente
il diritto consuetudinario (il c.d. intervento volontario).

10.4 La portata generale delle norme consuetudinarie e la


dottrina dell'obiettore persistente
Secondo la vecchia concezione del diritto consuetudinario, perch esso fosse applicato
c'era la necessit di un accordo tacito di tutti gli Stati, il che era estremamente difficile
valutare. Inoltre esisteva la figura dell'obiettore persistente, ossia di quello Stato
che pi volte si opponeva a che tale norma non fosse accettata. Oggi le cose sono
cambiate, sia per l'orientamento pi solidale dell'organizzazione internazionale, sia per
l'aumento smisurato della partecipazione degli Stati agli accordi internazionali. Oggi,
infatti, la figura dell'obiettore non esiste pi, n avrebbe pi possibilit di esistere
(anche se probabilmente l'opposizione ad una norma consuetudinaria di uno Stato
influente pu rallentarne l'entrata in vigore o bloccarla). Una volta accettata la norma
come consuetudinaria dalla maggioranza degli Stati, questa diviene applicata per tutta
la comunit internazionale, anche per quelli Stati che non l'hanno sostenuta e per
quelli di nuova formazione che non hanno partecipato a tale accettazione.

10.5 Le c.d. consuetudini locali o particolari

L'esistenza di norme consuetudinarie si pu applicare anche a casi particolari regionali


e deriva dall'accordo tacito di due o pi Stati che abbiano accettato tale prassi in
quella regione. Oltre che caratteri oggettivi e soggettivi, come tutte le norme
consuetudinarie, le consuetudini particolari devono anche essere accettate da tutte
le parti interessate e provate dallo Stato che le invoca. Se tale Stato non riuscisse a
provarne l'esistenza la richiesta di norma consuetudinaria verrebbe respinta.

10.6 Il ruolo della consuetudine nella comunit internazionale


odierna

Dopo la Seconda guerra mondiale, il ruolo della consuetudine diminuito


drasticamente sia per la nuova prassi contrastante con la vecchia, sia per le esigenze
dei nuovi Stati entrati nell'organismo internazionale (quelli del Terzo Mondo e i Paesi
socialisti). L'elevato numero di componenti dell'organismo internazionale impedisce
sempre pi la possibilit che si affermi una prassi, anche se l'esistenza di numerosi
enti internazionali continua ad influire sulla creazione di tali norme. Anche in altri
settori le norme consuetudinarie sono molto rilevanti. il caso dei diritto del mare o di
aree in cui si delineano nuovi interessi economici. Invece, nei settori in cui vi sono

marcati conflitti politici e istituzionali e in cui nuovi bisogni della comunit


internazionale possono condurre a profondi disaccordi tra gli Stati, pu essere molto
difficile stabilire una disciplina per via convenzionale. Infine, un settore il cui ruolo del
processo di formazione di norme consuetudinarie molto importante concerne tutte
quelle parti del diritto consuetudinario che gli Stati di nuova indipendenza hanno
reputato "accettabili", ma bisognosi di modifiche e specificazioni.

10.7 La codificazione delle norme consuetudinarie


10.7.1 Le convenzioni di codificazione

A partire dagli anni '60 si sentita una forte richiesta di trascrivere quelle norme
consuetudinarie che regolavano i rapporti internazionali. Infatti molto pi utilizzato,
tra gli accordi, il metodo del trattato. Per fare ci necessario un processo di
codificazione, inteso come quell'insieme di azioni e procedimenti il cui scopo e
possibile risultato l'elaborazione di norme giuridiche vincolanti. Ma si pu
parlare di codificazione in merito a due diverse accezioni: la codificazione strictu
sensu, cio formulare in forma scritta le consuetudini che regolano i rapporti, e la
codificazione che intende influire sulle norme consuetudinarie, colmandone
alcune lacune e scegliendo l'accezione migliore.

10.7.2 Convenzioni di codificazione e diritto consuetudinario

Le convenzioni di codificazione possono avere tre effetti sul diritto consuetudinario: 1)


effetto dichiarativo, volto a contenere norme che si limitano a trascrivere le norme
consuetudinarie esistente; 2) effetto di cristallizzazione, le norme contenute in una
convenzione di codificazione possono portare a compimento il processo di formazione
delle norme consuetudinarie; 3) effetto di creare una nuova regola
consuetudinaria, inserita nella convenzione di codificazione.

10.7.3 Codificazione e risoluzioni non vincolanti


L'adozione di risoluzioni di carattere normativo, in molti casi pu sostituire in maniera
veloce una norma consuetudinaria, prima che le convenzioni di codificazione
intervengano in maniera pi dettagliata. Risoluzioni di questo tipo, anche se hanno
carattere giuridicamente non vincolante, esprimono un consenso generale degli Stati
su una determinata materia.

CAPITOLO 11: I TRATTATI INTERNAZIONALI


11.1 Introduzione

Il metodo maggiormente utilizzato per la creazione di norme internazionali quella del


trattato, o comunque di accordi stipulati in maniera volontaria e conseguenza di una
norma consuetudinaria. Le regole per la stipula di tali accordi sono previsti in un
importante strumento di codificazione, la Convenzione di Vienna del 1969, entrata
in vigore nel 1980. La Convenzione ha recepito norme all'epoca molto innovative:
innanzitutto ha posto un limite alla libert condizionata degli Stati in materia di
stipulazione (per es. sono nulli i trattati che violano norme di jus cogens); in secondo
luogo si orientata verso una maggiore democratizzazione, togliendo agli Stati pi
influenti il potere di giogare gli Stati pi poveri; in ultimo la Convenzione cerca di
garantire la prevalenza di valori internazionali su quelli nazionali, soprattutto
adottando un metodo di analisi delle norme oggettivo, cio nel rispetto di tutti e non
soggettivo con cui ogni Stato cercava di difendere la propria sovranit statale. La
Convenzione, comunque ha deciso di non avere carattere retro-attivo, ma di applicarsi
solo agli accordi successivi alla sua entrata in vigore.

11.2 La stipulazione, la formazione e l'entrata in vigore dei


trattati
11.2.1 La libert nella scelta delle modalit di stipulazione

Esistono molti metodi di stipulazione di trattati, ma nella prassi sono molto limitati. I
maggiormente utilizzati sono: la "forma solenne" con la quale il trattato siglato da

una firma formale da parte del capo dello Stato o da altra autorit nazionale
competente; la "forma semplificata", con cui la manifestazione di volont dello
Stato a ritenersi giuridicamente vincolato dal trattato avviene con la firma da parte del
plenipotenziario che ha negoziato il trattato. Con l'apposizione della firma da parte
degli Stati non si ratifica un trattato gi esistente, ma si d vita ad un nuovo trattato.
la Convenzione di Vienna del 1969 che ha al suo interno gli articoli che regolano le
modalit dei trattati (artt. 11-13). L'art. 11 accoglie il principio di libert dei modi di
stipulazione dei trattati ed elenca: la firma, lo scambio di strumenti che costituiscono il
trattato, la ratifica, l'adesione e qualsiasi altro mezzo. Uno Stato pu manifestare il
suo consenso ad un trattato (a cui, magari, non ha partecipato ai lavori di accordo)
attraverso la forma di "adesione" qualora il trattato stesso lo preveda.

11.2.2 L'"iter" di formazione

Per la stipulazione dei trattati, l'iter formativo ha sempre inizio con i "negoziati",
condotti dai plenipotenziari, ossia, rappresentanti dello Stato incaricati di intrattenere
le trattative, da parte degli organi nazionali. Ovviamente la procedura per rendere un
rappresentante dello Stato plenipotenziario non si applica per alcune cariche, come
quella di Capo dello Stato e di Governo e Ministri degli Affari Esteri, capi di missione
diplomatica (per trattati inerenti determinati argomenti) e rappresentanti di Stati
accreditati presso conferenze internazionali, ecc. (sempre limitatamente alla loro
missione). Se i negoziati vanno a buon fine, si passa alla fase della "adozione" del
testo. Secondo la Convenzione di Vienna l'adozione del testo deve avvenire
all'unanimit, e se si tratta di un trattato scaturito da una conferenza internazionale,
esso ha bisogno della maggioranza dei due terzi degli Stati (qualora questa stessa
maggioranza non preveda diversamente). All'adozione del testo segue la "firma" da
parte dei plenipotenziari. Nel caso di trattati con forma semplificata si passa
direttamente alla fase successiva; nel caso, invece, di trattati in forma solenne, dopo
la firma dei plenipotenziari si passa alla firma da parte del capo dello Stato. La fase
successiva lo "scambio degli strumenti della ratifica" che permette al trattato di
"entrare in vigore".

11.3 La competenza a stipulare i trattati nell'ordinamento


italiano

Il diritto internazionale lascia ogni Stato libero di decidere le modalit di formazione


dei trattati, premettendo che ad ogni inflazione manifesta il trattato sar giudicato
nullo.

11.3.1 La stipulazione in forma solenne

L'ordinamento italiano disciplina solo la forma solenne di stipulazione dei trattati,


quella, cio, in cui deve intervenire il capo dello Stato e per i trattati: 1) di natura
politica; 2) che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari; 3) che importano
variazioni del territorio; 4) che importano oneri alle finanze; 5) che importano
variazioni di leggi (art. 80 Cost.). Ma la firma posta da quest'ultimo non
considerata valida se non controfirmata dal Ministro proponente, che ne assume la
responsabilit (art. 89 Cost.). ovvio che la persona pi indicata alla ratifica dei
trattati internazionali non sia altro che il capo dello Stato, sia per le ragioni di
delicatezza e importanza dei temi, sia per la sua funzione di massimo esponente dello
Stato.
11.3.1.1 La natura dell'atto di ratifica da parte del capo dello Stato
Il capo dello Stato non tenuto a ratificare un trattato internazionale, anche se
ripresentato insistentemente dal Governo. Infatti l'effetto di un trattato non si
esaurisce con le maggioranze parlamentari, ma pu essere modificato solo in sede
internazionale. Un altro problema che si potrebbe verificare avviene quando il capo di
Stato firmi un trattato che si rivela successivamente essere contrario alle norme
Costituzionali interne. In tal caso il trattato non potrebbe pi avere seguito nello

Stato, con conseguente inadempienza dello Stato al trattato stesso a livello


internazionale.
11.3.1.2 La natura della partecipazione del Parlamento alla
formazione dei trattati
Secondo l'art.80 Cost. le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati
internazionali, quindi si rileva una piena compartecipazione delle Camere alla ratifica
dei trattati. Infatti, la ratifica da parte del capo dello Stato senza una legge di ratifica
delle Camere, rende nullo il trattato, con conseguenze in ambito internazionale. La
legge di autorizzazione alla ratifica pu naturalmente assumere la veste di legge
ordinaria o costituzionale, e non pu essere emanata n da una commissione
deliberante, n da un decreto legislativo, n da un decreto legge.
11.3.1.3 I trattati che necessitano di previa autorizzazione
parlamentare alla ratifica
Le cinque categorie citate nell'art. 80 della Costituzione Italiana riguardano aspetti
importanti della vita. Per questo non possono essere ratificati trattati in merito a
questi argomenti senza il consenso delle Camere. Con eccezione della parte
riguardante gli arbitrati e i regolamenti giudiziari, che deriva da una tradizione di
sovranit statale, gli altri tipi di trattato (tranne quello politico) sono intuitivi e
facilmente delineabili dato il loro contesto concreto. Per quanto riguarda invece il
movente politico in principio da escludere la possibilit che si riferisca alla politica in
generale, sia perch ricomprenderebbe anche gli altri tipi di trattato, sia perch tutti i
trattati anche se in minima parte, hanno una rilevanza politica. Quindi si pu ritenere
che essi comprendano qualunque trattato che abbia una diretta e manifesta rilevanza
per tutta la comunit statale.
11.3.1.4 Legge di autorizzazione alla ratifica e referendum abrogativo
L'art. 75 comma 2 della Costituzione vieta la possibilit di ricorso a referendum
abrogativo totale o parziale per i trattati internazionali. stato previsto ci per evitare
che una maggioranza della popolazione potesse, senza un dibattito costruttivo,
abrogare un trattato internazionale con le conseguenze di responsabilit
internazionale del nostro Paese.

11.3.2 La stipulazione in forma semplificata

L'art. 80 della Costituzione non prevede una forma semplificata di stipulazione dei
trattati ma enuncia cinque categorie in cui necessaria la firma del capo dello Stato e
l'approvazione con legge da parte delle Camere. Per tutti gli altri casi non enunciati
nell'art.80, quindi, si presuppone che possano essere trattati in forma semplificata,
cio, esclusivamente dal Governo. Ci, per, ha insorto il problema di un forte potere
nelle mani della maggioranza parlamentare che potrebbe evitare in questo modo il
controllo di costituzionalit da parte del capo dello Stato. Di norma per questioni
delicate, anche se non elencate nell'art. 80 si dovrebbe comunque far ricorso alla
forma solenne.
11.3.3 La competenza a stipulare delle Regione e delle Provincie
autonome
Dopo la riforma del titolo V della Costituzione le Regioni a Statuto speciale e le
Provincie autonome di Trento e Bolzano possono concludere accordi internazionali.
L'iter, per, estremamente rigido e complesso, poich la Regione deve presentare
alla Presidenza del Consiglio e al Ministero degli Affari Esteri comunicazione delle
trattative. Il Ministero degli Affari Esteri pu indicare i principi e i criteri da seguire
nella conduzione dei negoziati. Se il Governo accetta la trattativa, pu conferire alla
Regione o alla Provincia autonomi i pieni poteri ad ottemperare all'iter del trattato. Se
questo si svolge all'estero le agenzie diplomatiche e i consolati devono collaborare con
i rappresentanti della regione o delle province alla buona esecuzione del trattato. Data
la procedura cos complessa, di solito si procede non attraverso trattati internazionali,
ma con accordi con enti territoriali interni ad altro Stato per cui serve solo una

comunicazione e approvazione del Consiglio dei Ministri e del Ministero degli Affari
Esteri.

11.4 Le riserve ai trattati

Uno Stato che intende prender parte ad un accordo multilaterale, ma che reputi
alcune clausole troppo onerose, pu ratificare tale trattato "con riserva". Queste
riserve, che sono accordi unilaterali tra lo Stato che la richiede e gli altri Stati del
trattato, possono essere di due tipi: 1) sono eccettuative quando si intende
escludere nei propri confronti l'applicazione di alcune clausole; 2) sono
interpretative quando lo Stato intende modificare nei propri confronti
l'effetto giuridico di alcune norme del trattato precisando l'esatto significato
che esso le attribuisce.

11.4.1 La disciplina in materia di ammissibilit delle riserve


Per chiedere una riserva in un trattato necessario che lo Stato richiedente lo esprima
in fase di negoziazione, o in fase di approvazione, ma qualora il trattato preveda la
possibilit di ratifica. Nel passato non erano ammesse riserve nei trattati per il
principio di integrit dei trattati, ma l'entrata dei paesi socialisti e dell'elevato
numero dei paesi del Terzo Mondo il principio di integrit stato sostituito con il
principio della "universalit dei trattati".
11.4.1.1 Il parere della CIG sulle "Riserve alla Convenzione sul
genocidio"
Quando nel 1951 gli Stati socialisti chiesero delle riserve alla Convenzione sul
genocidio, inizialmente furono respinte per il principio di integrit dei trattati, ma
successivamente questa decisione fu rivista per le richieste previste nella convenzione
stessa e cio, un elevato numero di aderenti al trattato, l'universalit dell'ONU,
l'adozione della Convenzione secondo un voto di maggioranza (contrario al principio di
integrit, che vuole l'unanimit). Quindi si desunse che l'assenza di una norma che
autorizza le riserve in una convenzione multilaterale non implica l'inammissibilit delle
riserve, che vanno interpretate prendendo in considerazione molti fattori del trattato.
11.4.1.2 Le regole contenute nella Convenzione di Vienna
La Convenzione di Vienna delinea le modalit di richiesta e ammissione di una riserva.
Innanzitutto non possibile presentare una riserva qualora sia esplicitamente esposto
nel trattato. Se, invece esso previsto, non necessaria l'approvazione degli altri
Stati membri. Qualora uno Stato sollevi un'obiezione sulla riserva, il trattato non entra
in vigore fra lo Stato promotore della riserva e lo Stato che ha posto l'obiezione.

11.4.2 L'ammissibilit delle riserve ai trattati in materia di tutela


dei diritti umani

Per i trattati in materia di tutela dei diritti umani, le riserve hanno una procedura
particolare. Quando uno Stato presenta una riserva ritenuta inammissibile poich
vietata dal trattato o incompatibile con l'oggetto e lo scopo del trattato, la riserva
ritenuta invalida. Questo per garantire la preminenza dei principi di umanit sulla
sovranit statale. Ovviamente, prima di rendere invalida una riserva si cerca di
avviare un dialogo con lo Stato promotore della riserva.

11.4.3 La competenza a formulare riserve nell'ordinamento italiano

Nelle materie inserire nell'art.80 della Costituzione l'approvazione con legge da parte
del Parlamento non solo deve avvenire per la ratifica dei trattati internazionali, ma
anche su eventuali riserve. Il Parlamento potrebbe (ipotesi mai verificatasi) anche
inserire all'interno della stessa legge una riserva al trattato e, se il Governo ignorasse
questa riserva il trattato diverrebbe nullo, per manifesta violazione delle norme
interne.

11.5 Il rispetto dei trattati e la loro efficacia per gli Stati terzi

I trattati internazionali, una volta entrati in vigore, devono essere adempiuti dalle
parti

contraenti, infatti "ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere eseguito in
buona fede". Non si pu ricorrere al diritto interno per giustificare un'inadempienza del
trattato. Inoltre le regole del trattato non ricadono in alcun modo su Stati terzi che
non hanno preso parte al trattato a meno di diversa volont dello Stato.

11.6 L'interpretazione dei trattati

L'interpretazione l'attivit con la quale si intende chiarire il senso della portata di


una norma giuridica. L'interpretazione pu avere per oggetto solo norme scritte, tra
cui i trattati. In base al soggetto che intende interpretare, si possono distinguere
diversi tipi di interpretazione. Innanzitutto c' l'interpretazione che i singoli Stati
danno al trattato mediante le c.d. "dichiarazioni interpretative", o da parte degli
organi giudiziari al momento dell'applicazione del trattato. Pu essere inoltre fatta con
un accordo internazionale tra tutti gli Stati contraenti. In ultima analisi la competenza
ad interpretare una norma internazionale pu essere attribuita ad un giudice o arbitro
internazionale con conseguente giudizio vincolante (interpretazione giudiziale).
Nell'interpretazione non ci si pu discostare dal testo letterale e dalla volont espressa
dagli Stati contraenti nell'oggetto e scopo del trattato (interpretazione teleologica).
L'interpretazione, inoltre, deve essere effettiva, cio non sono ammissibili
interpretazioni tali da rendere le norme del trattato prive di significato. Le
interpretazioni devono essere autenticate in due o pi lingue, stabilendo che il testo
del trattato fa fede a ciascuna delle lingue.

11.7 Le cause di nullit

Nel diritto internazionale tradizionale le cause di nullit dei trattati ricoprivano un


ruolo
marginale ed erano in sostanza esclusivamente a vantaggio dei paesi pi influenti. I
casi di corruzione o di violenza per la firma di un trattato non erano causa di nullit. Si
poteva firmare un trattato per l'invasione di uno Stato e la sua spartizione. Le uniche
cause di nullit potevano consistere in: 1) violenza esercitata contro il
rappresentante dello Stato; 2) il dolo, ossia l'uso di mezzi fraudolenti per indurre
l'altra parte a firmare l'accordo; 3) l'errore materiale. Con la Convenzione di Vienna
del 1969 le cause di nullit sono state elencate, comprendendo ovviamente anche
quelle sopracitate. Esse possono ricondursi a tre principali categorie che tengono
conto: 1) della competenza, secondo il diritto interno, dell'organo che stipula il
trattato; 2) della regolarit della formazione della volont vincolante al
trattato; 3) della liceit dell'oggetto del trattato.

11.7.1 La violazione delle norme interne sulla competenza a


stipulare

L'art. 46 par.1 della Convenzione di Vienna stabilisce che un trattato considerato


nullo qualora si evidenza una "violazione manifesta di una norma di diritto
interno sulla competenza a stipulare. Il par.2 continua dicendo che una
violazione manifesta quando essa obiettivamente evidente per qualsiasi Stato
che si comporti secondo la pratica abituale in materia e in buona fede.

11.7.2 L'irregolarit nella formazione della volont a stipulare il


trattato

Gli art. 48, 49 e 51 della Convenzione di Vienna elencano tre ipotesi tradizionali di
nullit dei trattati, i c.d. vizi della volont: errore, dolo e violenza. L'art. 50,
invece, prevede l'ipotesi della corruzione. Quindi, un trattato che rientri in questi 4
casi, anche se stipulato dall'organo competente, rester nullo. Per quanto riguarda il
caso dell'errore, esso riguarda un fatto o una situazione che lo Stato (che chiede la
nullit) supponeva esistente al momento della conclusione del trattato e che costituiva
base essenziale al consenso dello Stato stesso, cio una falsa rappresentazione della
realt. Nel caso del dolo, invece, esso non ha natura specifica, date le molte
interpretazioni che la giurisprudenza attribuisce a tale espressione. La CID, infatti, ha

volutamente utilizzato il nome dolo per lasciare ampio margine di discrezione alla
giurisprudenza successiva e alla prassi. Altra causa di nullit del trattato deriva dalla
corruzione del rappresentante di uno Stato da parte di un altro Stato che ha
partecipato ai negoziati. Ovviamente sono esclusi gesti di pura cortesia e minimi
favori. Infine sono nulli i trattati conclusi grazie all'uso della violenza. Durante il
dibattito sulla Convenzione di Vienna gli Stati di nuova indipendenza hanno voluto (a
dispetto degli Stati occidentali) sottolineare che il termine violenza poteva riferirsi
anche ad ambiti politici ed economici.

11.7.3 L'illiceit del contenuto del trattato

L'art. 53 della Convenzione di Vienna prevede la nullit di un trattato, anche se


conclusosi con un iter formalmente corretto, che violi le norme di jus cogens, ossia
quelle norme internazionali generalmente riconosciute e inviolabili, modificabili solo
con altre norme generali di pari grado.

11.7.4 Ipotesi di nullit assolute e relative

Sono previsti due tipi di nullit: la assoluta e la relativa. La nullit assoluta di un


trattato riguarda i casi di violenza esercitata sul rappresentante statale, minaccia e
uso della forza contro lo Stato e il contrasto con una norma di jus cogens. In questo
caso qualsiasi Stato parte del trattato pu richiederne la nullit; il trattato diventa
nullo totalmente (e non solo in parte) a partire dal momento in cui stipulato; anche
l'acquiescenza degli Stati parte non pu sanare il trattato. Il caso invece di nullit
relativa comprende il dolo, la corruzione e la violazione manifesta delle norme interne
sulla competenza a stipulare. Pu essere invocato solo dallo Stato vittima dell'errore;
pu investire solo alcune clausole del trattato e pu essere risanato con l'acquiescenza
dello stato che ne ha richiesto la nullit. Anche in questo caso la nullit prende atto
dal momento della stipula del trattato. La prassi prevederebbe che anche Stati terzi
possano richiedere la nullit di un trattato a cui non hanno preso parte, nel caso in cui
contrastino con norme di jus cogens.

11.8 Le cause di estinzione e di sospensione

La Convenzione di Vienna elenca le possibili cause di estinzione e di sospensione di un


trattato. In primis un trattato pu essere estinto o sospeso in caso di violazione
sostanziale, cio di inadempimento del trattato, e pi precisamente nei casi di: 1)
ripudio del trattato non autorizzato dalla Convenzione di Vienna; 2)
violazione di una disposizione essenziale per la realizzazione dello scopo del
trattato. Nei trattati bilaterali tale inadempienza pu concludersi sia con una
sospensione che con una estinzione del trattato. Invece, nei trattati multilaterali la
scelta tra le due lasciata al comune accordo tra gli Stati parte. Pu essere causa di
sospensione o estinzione anche il mutamento radicale delle circostanze che
hanno portato al trattato e qualora queste circostanze incidano profondamene
sull'oggetto del trattato. Riguardo alle norme di jus cogens, qualora a livello
internazionale dovesse formarsi una nuova norma di tale fattezza, ogni trattato che
violerebbe tale norma diventerebbe nullo e si estinguerebbe. Altre cause di estinzione
possono essere quelle che operano in base alle disposizioni del trattato o per comune
volont delle parti e abrogazione espressa o tacita. Altra causa l'impossibilit
sopravvenuta dell'esecuzione. Tranne che per la causa di nuova norma di jus
cogens (art.64 della Convenzione di Vienna), per tutte le altre cause l'estinzione pu
avvenire solo su richiesta degli Stati contraenti il trattato. Per la sospensione, invece,
necessario che nel trattato sia previsto il caso di sospensione o si proceda con un
accordo sospensivo da parte degli Stati contraenti.

CAPITOLO 12: ALTRE FONTI DI PRODUZIONE GIURIDICA


12.1 Gli atti giuridici unilaterali degli Stati

Oltre alla consuetudine e ai trattati esistono altri atti giuridici unilaterali che non
danno

per origine a norme internazionali, ma prevedono comunque una determinata


conseguenza. La "protesta" una dichiarazione unilaterale con la quale si manifesta
opposizione ad un atto di un altro Stato; la conseguenza il non riconoscimento da
parte dello Stato che ha sollevato la protesta dell'atto dell'altro Stato. Il
"riconoscimento" un atto unilaterale con cui si considera legittima una determinata
situazione e ci implica l'impedimento di una contestazione successiva. La "rinuncia"
l'abbandono volontario di un diritto e deve essere espresso in forma chiara e
volontaria (anche tacita). La "notifica" l'atto con cui uno Stato informa un altro
Stato che una certa azione stata compiuta; ci implica che gli altri Stati non possano
comportarsi come se tale azione non fosse stata notificata. Infine c' la "promessa"
che l'unico atto unilaterale giuridicamente vincolante con cui si stabiliscono le regole
obbligatorie tra uno Stato e uno o pi altri Stati.

12.2 Le fonti previste da accordi

12.2.1 Gli atti vincolanti delle organizzazioni internazionali


Pu capitare che anche nei trattati internazionali siano poste le basi per procedimenti
di produzione giuridica. il caso dei trattati istitutivi di organizzazioni
internazionali (fonti secondarie). Un organo dell'organizzazione internazionale
autorizzato ad adottare parametri giuridici vincolanti, normalmente attraverso un voto
maggioritario. Gli Stati decidono di essere vincolati da regole scritte diverse da quelle
basate sul loro consenso diretto soltanto se hanno accettato in precedenza il processo
di produzione normativa contemplato nel trattato. Ovviamente le regole emanate
dall'organizzazione vincolano solo gli Stati parte dell'organizzazione e non Stati terzi.
Un esempio esauriente sicuramente quello della Carta delle Nazioni Unite che
prevede una serie di potenzialit giuridiche che ha il Consiglio di Sicurezza. Altra
organizzazione intergovernativa con poteri normativi l'ICAO (Organizzazione per
l'aviazione civile internazionale) e non ultimo il Consiglio d'Europa, il quale pu
emanare direttive (atti che impongono obblighi di risultato, talvolta produttive di
effetti diretti, che normalmente diventano vincolanti dopo la pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale delle Comunit), regolamenti (immediatamente applicabili nel
territorio degli Stati membri) e decisioni (atti di specifica natura, vincolanti a seguito
della loro notifica al destinatario).

12.2.2 Le sentenze emanate sulla base di principi di equit

Alcuni trattati attribuiscono ai tribunali internazionali il potere di emanare sentenze


non sulla base del diritto esistente, ma su principi di equit.

12.3 I principi generali di diritto riconosciuti negli ordinamenti


interni

Oltre alle fonti primarie e secondarie vi sono anche fonti di produzione del diritto
di carattere "sussidiario" che intervengono qualora non esistessero altre fonti a
regolare un determinato caso. Sono questi i "principi generali di diritto comuni
agli ordinamenti interni", diversi ovviamente dai principi generali del diritto
internazionale. Questi ultimi, infatti, tentano in linea generale di colmare eventuali
lacune del diritto internazionale ma non costituiscono una fonte di diritto
internazionale in senso stretto. I primi, invece, operano come fonte di produzione
giuridica che attinge ad altri ordinamenti effettuando una sorta di trasposizione
nell'ordinamento internazionale di alcuni principi propri di una giurisprudenza interna
per colmare eventuali lacune.

12.3.1 Il ricorso nel passato, ai principi di diritto interno


Fino agli inizi del '900 si adottato pi volte il ricorso a principi di diritto interno. Il
diritto interno a cui si rivolgevano, per, era esclusivamente quello dei paesi europei e
degli USA.

12.3.2 L'art. 38 dello Statuto della CPGI (Corte Permanente di


Giustizia Internazionale)

Secondo la formulazione finale dell'art. 38 dello Statuto della Corte Permanente di


Giustizia Internazionale, essa poteva applicare qualcosa di pi delle norme
convenzionali e consuetudinarie, e quindi non limitarsi al diritto creato dagli Stati.
Essa non poteva, per, applicare generici e vachi principi di giustizia obiettiva, ma
doveva ricorrere a principi chiaramente formulati negli ordinamenti giuridici degli Stati
(dominanti).

12.3.3 Il ruolo attuale dei principi di origine interna


Ultimamente, con la normazione di materie nuove, si dovuto fare di nuovo ricorso
alle giurisdizioni interne come sussidio al diritto internazionale, utilizzando
principalmente i principi generali di diritto riconosciuti dai principali sistemi giuridici
interni di common law e civil law. Ovviamente tali norme interne possono essere
traslate al diritto internazionale solo ove esso manchi e vi sia compatibilit con i
caratteri essenziali e strutturali dell'ordinamento giuridico internazionale.

12.4 L'incidenza di procedimenti che non costituiscono


tecnicamente fonti di produzione normativa
12.4.1 Le sentenze giudiziarie che non si fondano su principi di
equit

Le sentenze della CIG (Corte Internazionale di Giustizia hanno efficacia vincolante solo
per le parti in causa e limitatamente al caso di specie. Ci significa che non
contemplato il principio dello stare decisis, tipico degli ordinamenti di common law e
cio che le sentenze precedenti influenzano le successive. Per, in assenza di un
organo centrale di giurisdizione, con il tempo diventata una prassi quella
dell'attribuire molta importanza alle decisioni della Corte per le sentenze successive.
In alcuni casi la CIG si trovata anche a determinare nuove norme, con il tacito
consenso degli Stati.
12.4.2 La "soft law"
Negli anni recenti si manifestata la formazione di un fenomeno nuovo: la "soft law".
La soft law si forma all'interno di organizzazioni internazionali e concerne materie
quali diritti umani, le relazioni economiche internazionali e la protezione dell'ambiente.
Gli strumenti di soft law hanno tre principali caratteristiche. Innanzitutto trasmettono
tendenze moderne di cui le organizzazioni internazionali si fanno promotori, in
secondo luogo esse riguardano nuovi interessi della comunit internazionale e infine
per le questioni trattate non possibile raggiungere un accordo internazionale
vincolante. Ovviamente si tende a rendere la "soft law" come terreno fertile per una
prassi e una consuetudine che porti alla formazione di norme internazionali.

CAPITLO 13: L'ADATTAMENTO DEI SISTEMI GIURIDICI


INTERNI ALLE NORME INTERNAZIONALI
13.1 I rapporti tra diritto internazionale e diritto interno
13.1.1 Le principali impostazioni dottrinali

Nel regolare i rapporti tra diritto interno e quello internazionale, nel passato sono
state
elaborate tre principali teorie: quella monista, che vedeva la supremazia
dell'ordinamento interno su quello nazionale; la dualista, che vedeva l'ordinamento
internazionale indipendente da quello interno; la monista "internazionalista" che
invece vedeva la supremazia dell'ordinamento internazionale su quello nazionale.
Secondo la teoria monista l'ordinamento internazionale considerato come un
ordinamento statale esterno. Il diritto internazionale costituirebbe un insieme di linee
di comportamento il cui valore normativo cede tutte le volte che uno stato "potente" le
ritenga contrarie ai propri interessi. indubbiamente una teoria estremamente
nazionalista occidentalista, che vede la supremazia dell'autorit statale. La seconda
teoria quella dualista, principalmente avanzata dagli Stati anglosassoni, basati su

principi di common law. una teoria che mette sullo stesso piano gli ordinamenti
nazionali e internazionali anche se differiscono su molti punti come: 1) i soggetti a cui
si rivolgono, quello nazionale agli individui, quello internazionale agli Stati; 2) le fonti
di produzione normativa, con leggi parlamentari per quello interno e principalmente
consuetudini per quello internazionale; 3) il contenuto delle norme giuridiche poich il
diritto internazionale disciplina solo i rapporti tra gli Stati. In questo caso il diritto
internazionale non pu indirizzarsi direttamente agli individui, quindi una norma
internazionale deve trasformarsi ed adattarsi all'interno degli ordinamenti nazionali.
L'ultima teoria la monista "internazionalista" che considera gli ordinamenti statali
come un ordinamento giuridico unitario sottomesso a quello internazionale. Le norme
nazionali, in questo caso devono essere sempre conformi al dettato internazionale.
Inoltre la giursprudenza internazionale ha come utente finale gli individui e le sue fonti
non differiscono da quelle degli ordinamenti nazionali.

13.1.2 I moderni cambiamenti nei rapporti tra diritto internazionale


e ordinamenti giuridici interni
La teoria monista stata abbandonata per mancanza di fondamenta scientifiche.
stata invece utilizzata fino alla prima met del XX secolo la teoria dualista che,
attualmente si sta invece spostando verso la monista internazionalista. Infatti oggi il
diritto internazionale non pi cos nettamente separato da quello nazionale, anzi ha
molte volte influenzato gli ordinamenti interni in maniera radicale. Inoltre si sta
iniziando a rivolgere anche agli individui e non solo ai rapporti tra gli Stati, conferendo
loro diritti e obblighi.

13.2 Le norme internazionali in materia

L'applicazione delle norme internazionali negli ordinamenti nazionali dipende


esclusivamente dal comportamento degli Stati. Non esiste, infatti, una disciplina che
uniformi le modalit con cui gli Stati applicano al loro interno direttive internazionali.

13.2.1 La questione dell'esistenza di un obbligo generale di


adattamento

Gli Stati non sono obbligati, teoricamente, ad eseguire gli indirizzi e gli obblighi
internazionali. Per prassi, infatti, le disposizioni contenute nei trattati internazionali
richiedono espressamente agli Stati contraenti di emanare la legislazione necessaria
per l'attuazione delle norme stabilite dal trattato. Poi vi sono le norme di jus cogens
che richiedono che gli Stati adottino la normativa di adattamento necessaria alla loro
attuazione all'interno dei rispettivi ordinamenti. Le norme di jus cogens hanno tale
importanza da richiedere una garanzia di attuazione nei sistemi giuridici interni.
Qualora uno Stato non adempisse, in questi casi, a tale obbligo, sarebbe chiamato
dalla comunit internazionale a rispondere dell'illecito. Gli Stati, inoltre, non possono
invocare il diritto interno come giustificazione al mancato adattamento
dell'ordinamento ad una norma internazionale.

13.2.2 I meccanismi di adattamento

In assenza di una normativa in materia, non esiste alcun grado di omogeneit per
l'adattamento delle norme internazionali nei vari ordinamenti interni. Ogni Stato
decide da s le modalit ed riluttante ad accettare una disciplina internazionale in
materia.
13.2.2.1 Meccanismi di adattamento ed esigenze statali
Dalla met del '900 gli Stati hanno iniziato ad avere una volont sempe maggiore di
adattarsi agli ordinamenti internazionali. Secondo un'analisi degli ordinamenti interni
si notato che esistono due metodi principali di adattamento delle norme
internazionali. Il primo meccanismo l'"adattamento automatico permanente"
secondo cui una norma interna obbliga lo Stato e i suoi cittadini a vincolarsi alle
norme di diritto internazionale. Quindi una norma di diritto internazionale entra
direttamente nell'ordinamento interno e pu essere modificata nel caso di non

immediata applicabilit. Il secondo meccanismo l'adattamento ad hoc secondo cui


una norma internazionale entra in vigore nello Stato attraverso l'emanazione di una
specifica norma interna. Quest'ultimo meccanismo pu essere di due tipi: attraverso
un atto "legislativo ad hoc" che riformula interamente il contenuto delle norme
internazionali; l'"adattamento automatico ad hoc", che si limita a richiedere
l'applicazione automatica della norma internazionale nell'ordinamento statale.

13.2.2.2 Il rango delle norme internazionali nei sistemi giuridici


interni

Le norme internazionali hanno lo stesso rango delle norme interne, e possono


coincidere sia con norme ordinarie che costituzionali, a seconda della scelta fatta dal
legislatore nazionale sulla norma internazionale. Come tale essa subisce tutte le
regole delle norme interne secondo cui una norma di rango superiore prevale su una
di rango inferiore, una successiva di pari rango abroga quella precedente, una norma
successiva generale non modifica n abroga una generale precedente. Ovviamente se
una norma internazionale viene modificata o abrogata per una interna, lo Stato ne
dovr rispondere a livello internazionale. Alcuni Stati si dimostrano pi propensi a
dare
una garanzia maggiore alla legge internazionale dandole grando e copertura
costituzionale. In caso di Stato con costituzione flessibile, per, non si garantisce tale
copertura.

13.2.2.3 Le esigenze che guidano gli Stati nella scelta dei


meccanismi di adattamento al diritto internazionale

Gli Stati possono adottare due tipi di impostazione di adattamento all'ordinamento


internazionale. La prima l'impostazione nazionalista (o statalista), secondo la quale
si adotta il meccanismo dell'adattamento legislativo ad hoc e pone le norme
internazionali sullo stesso piano di quelle nazionali. La seconda l'impostazione
internazionalista che invece predilige il meccanismo di adattamento automatico
permanente o ad hoc e a garantire la prevalenza delle norme internazionali su quelle
interne. In questo caso, per, gli Stati devono garantire che l'organo legislativo non
sia privato delle proprie competenze ed eserciti una qualche forma di controllo sulla
conduzione di politica estera.

13.3 Adattamento al diritto consuetudinario e rango interno delle


norme consuetudinarie
13.3.1 Un esame comparato

Sono molti gli Stati che preferiscono un adattamento automatico permanente poich
comporta minori sforzi legislativi da parte del Parlamento. Infatti, nei casi di
applicazioni di leggi consuetudinarie internazionali il legislatore interno dovrebbe
constatare l'effettiva consuetudine a livello internazionale e disciplinare
conseguentemente una materia dettagliatamente. Nel caso di adattamento
automatico, invece, questo oneroso compito affidato ai giudici o agli altri organi
dello Stato preposti all'applicazione del diritto.

13.3.2 L'attuazione e il rango del diritto consuetudinario


nell'ordinamento italiano

13.3.2.1 L'articolo 10, 1 comma della Costituzione


L'ordinamento italiano, attraverso l'art.10 Cost. ha deciso di utilizzare il meccanismo
dell'adattamento automatico permanente, subordinando tutto l'ordinamento nazionale
a quello internazionale e garantendo una duratura vita alle norme internazionali. Ci
comporta che: 1) nell'ordinamento italiano si deve dare esecuzione a norme
internazionali generali attraverso la creazione automatica di norme interne a quelle
correlative; 2) le norme vigenti al momento dell'entrata in vigore della Costituzione
che fossero contrarie a consuetudini generali sono abrogate o debitamente modificate;
3) se per caso norme difformi dal diritto internazionale consuetudinario fossero

prodotte in futuro con normali procedimenti di legiferazione, tali norme dovrebbero


essere dichiarate illegittime; 4) se esistono norme suscettibili di duplice
interpretazione, una conforme e l'altra contraria a regole internazionali generali, si
deve preferire la prima interpretazione.
13.3.2.2 Il rango delle norme consuetudinarie immesse
nell'ordinamento in virt dell'art. 10, 1 comma della Costituzione
Dall'art. 10 della Costituzione non si riesce a desumere quale possa essere il rango
delle norme internazionali. La soluzione pi corretta segue un criterio secondo il quale
le norme consuetudinarie immesse automaticamente nell'ordinamento interno
possono avere valenza costituzionale, legislativa o regolamentare, a seconda che la
materia disciplinata sia regolata, nell'ordinamento interno, da norme costituzionali,
legislative o regolamentari. Si pu dunque dire che esiste un procedimento
polivalente. Un altro problema, del tutto teorico, se le norme internazionali con
valenza costituzionale possano modificare o abrogare norme costituzionali
preesistenti. Questo possibile, conformemente alla tesi generale secondo cui le
norme interne corrispondenti al diritto consuetudinario internazionale hanno la stessa
efficacia delle norme preesistenti. Il giudice costituzionale ha voluto per limitare
questa possibilit almeno per i principi fondamentali del nostro ordinamento
costituzionale , n sulla sovranit popolare, n sulla rigidit della Costituzione. Anche
le norme consuetudinarie appaiate a quelle regolamentari o legislative del nostro
ordinamento, per il loro carattere consuetudinario non possono essere abrogate da
leggi interne di pari grado e successive.

13.4 Adattamento ai trattati e rango interno dei trattati

13.4.1 L'orientamento degli Stati circa i meccanismi di adattamento


ai trattati

A differenza delle norme consuetudinarie, per quelle convenzionali, derivanti cio dai
trattati, gli ordinamenti nazionali decidono di volta in volta quale meccanismo di
adattamento utilizzare. Alcuni prevedono che i trattati internazionali diventino
operativi con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, in altri, invece, c' bisogno di
una legislazione ad hoc; in altri paesi ancora, come l'Italia, prassi utilizzare
l'incorporazione automatica. Il problema sorge con quei trattati contenenti norme non
immediatamente applicabili all'interno dell'ordinamento (non self-executing) che
hanno bisogno di una legislazione interna.

13.4.2 Il rango dei trattati internazionali e i rapporti con la


normativa interna successiva

Le scelte adoperate dagli Stati secondo il rango dei trattati internazionali negli
ordinamenti interni sono diverse. In generale si tende a rendere superiore il grado di
un trattato rispetto alle norme nazionali. Qualora esistessero norme interne dello
stesso grado dei trattati internazionali e contrastassero con questi, le prime di norma
subiscono una modifica di conformit verso il trattato.

13.4.3 Diritti individuali in caso di mancato adattamento ai trattati

Pu accadere che uno Stato parte ad un trattato non adotti la legislazione interna
necessaria all'applicazione delle norme del trattato con conseguente insoddisfacimento
dei diritti individuali scaturiti dal trattato stesso. Infatti gli Stati sono liberi di adottare
le condotte che preferiscono sul piano internazionale e di individuare il meccanismo
pi idoneo a risolvere i conflitti e le tensioni che possono sorgere.

13.4.4 L'adattamento dell'ordinamento italiano ai trattati e rango di


questi ultimi nell'ordinamento

13.4.4.1 La prassi dello "ordine di esecuzione"


In Italia l'adattamento alle normative dei trattati avviene attraverso un procedimento
di adattamento automatico ad hoc, ossia attraverso l'emanazione di apposite leggi
volte a recepire gli obblighi assunti dal nostro Paese sul piano convenzionale. Per i

trattati rientranti nelle categorie dell'art. 80 Cost, l'ordine di esecuzione solitamente


contenuto nella legge parlamentare di autorizzazione alla ratifica. Finch questa non
entra in vigore, l'ordine di esecuzione inoperante. Secondo quanto scaturisce
dall'interpretazione dell'art. 10, in realt non ci sarebbe bisogno di una legge ad hoc
per l'attuazione dei trattati, ma la prassi non ha dato seguito a questa interpretazione.
13.4.4.2 Le competenze delle Regioni e delle Province autonome in
materia di adattamento ai trattati
Con la modifica del titolo V della Costituzione le Regioni e le province autonome di
Trento e Bolzano provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi
internazionali, nelle materie di loro competenza, sempre nel rispetto delle leggi statali.
Ma un'interpretazione a questa legge violerebbe l'unit e indivisibilit dello Stato
italiano. Infatti non si capisce se si faccia riferimento a trattati conclusi o non. Si
presuppone, comunque, che l'attribuzione della competenza legislativa in materia di
politica estera competenza dello Stato, ma la competenza legislativa in materia di
rapporti internazionali delle Regioni competenza concorrente delle Regioni.
13.4.4.3 Il rango dei trattati nel sistema delle fonti
Il rango dei trattati nel sistema interno stato a lungo discusso. Bisogna distinguere
alcuni casi. Il caso dei trattati istitutivi delle Comunit Europee e dell'Unione Europea
e le norme che ne conseguono, pur se di grado legislativo hanno un rango superiore
alle leggi ordinarie interne. Per gli accordi in materia di trattamento degli stranieri vi
una copertura costituzionale (art.10 comma 2, Cost.). In questi casi l'incorporazione di
tali norme deve avvenire con legge e qualunque legge interna in contrasto con questa
costituzionalmente illegittima. Per tutti gli altri trattati la potest legislativa
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonch dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

13.5 Adattamento agli atti delle organizzazioni internazionali e


rango interno degli atti

Alcune organizzazioni internazionali sono autorizzate ad adottare atti vincolanti, che


possono essere meramente di rilevanza interna o produttivi di effetti esteri. In questi
casi devono essere recepiti dagli ordinamenti interni degli Stati parte. Molto importanti
anche l'attuazione dei regolamenti, delle direttive e degli atti adottati dagli organi
della Comunit Europea. Di norma, tranne in alcuni casi, si procede all'adozione di atti
di adattamento normativo ad hoc. Diversamente accade per i trattati istitutivi, i quali
stabiliscono che i regolamenti sono direttamente applicabili negli ordinamenti degli
Stati membri.

13.6 Prospettive stataliste e internazionaliste e meccanismi di


adattamento al diritto internazionale

Per capire l'intenzione internazionalistica degli Stati basta guardare il loro meccanismo
di adattamento all'ordinamento internazionale. Gli stati pi internazionalistici sono
quelli che assumono l'adattamento automatico permanente e considerano le norme
internazionali di rango superiore a quelle interne, a volte anche a quelle Costituzionali.
Purtroppo, per, a parte alcune eccezioni, ancora non si sta evolvendo il sentimento
nazionalista tradizionale poich uno stato preferisce evitare di assumere impegni
irrevocabili con legiferazione interna. Ma bisogna osservare che il diritto internazionale
si sta sempre di pi orientando verso l'imposizione di obblighi e diritti verso gli
individui, prima esclusivo appannaggio della sovranit statale.

CAPITOLO 14: LE PROCEDURE DI SOLUZIONE E


PREVENZIONE DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI
14.1 Introduzione

Ogni sistema giuridico ha norme che regolano le competenze dei tribunali per risolvere
le liti tra i membri di una comunit. Esistono pertanto procedimenti e tribunali penali e

civili, o anche arbitrati, scelti in base alla situazione che si presenta. A livello
internazionale, fino all'adozione della Carta delle Nazioni Unite del 1945 gli Stati
potevano utilizzare qualunque mezzo reputassero necessario alla risoluzione delle
controversie, anche la forza armata senza aver precedentemente cercato una
soluzione pacifica. Nel tempo si sono sviluppate diverse procedure per la dissoluzione
di controversie internazionali, evitando in tutti i modi l'uso della forza e della minaccia.

14.2 L'obbligo della soluzione pacifica delle controversie e la


libert degli Stati circa la scelta dei procedimenti di soluzione

Dopo la Seconda guerra mondiale e la Carta delle Nazioni Unite si affermato


l'obbligo generale di soluzione pacifica delle controversie. In realt era un accordo
tacito che col tempo si rivelata una prassi. Gli Stati, nella ricerca della soluzione di
una controversia devono cercare di non ricorrere ad azioni di attuazione coercitiva. In
realt non sono neanche obbligati a risolvere ad ogni costo la controversia. Essi hanno
inoltre l'opportunit di rivolgersi a organi autorizzati a dettare termini di regolamento,
qualora accettassero un obbligo da parte di un ente terzo.

14.3 I meccanismi di soluzione "tradizionali"

Tra i meccanismi tradizionali di soluzione delle controversie ci sono i cosiddetti


"procedimenti diplomatici" attraverso l'accordo tra le due parti e i "procedimenti di
tipo
arbitrale o giudiziale" in cui interviene un organismo preposto che emani una sentenza
vincolante. Bisogna per distinguere i termini soluzione ed estinzione. Con soluzione si
fa riferimento ad una nozione di tipo giuridico, vincolante per le parti e pu scaturire
da un accordo fra le parti o la sentenza emanata da un terzo. L'estinzione, invece, fa
riferimento alla mancanza successiva del contrasto tra gli Stati.

14.3.1 Meccanismi che favoriscono il raggiungimento dell'accordo


fra le parti

Il procedimento di soluzione della controversia preso in accordo tra le parti prende il


nome di "negoziato" ed caratterizzato dalla totale assenza di interferenza da parte di
un terzo. Raramente i negoziati portano alla effettiva determinazione dei fatti e si pu
verificare che il Paese pi potente possa facilmente esercitare pressioni sull'altro
Stato. Gli Stati in contesa, possono anche decidere di far partecipare alla soluzione
della controversia un terzo. In questo caso esistono pi possibilit di procedimenti:
l'inchiesta, i buoni uffici, la mediazione e la conciliazione. L'inchiesta un
procedimento che permette di conferire ad un organo internazionale l'accertamento
delle cause e dei fatti che hanno portato alla controversia. Saranno poi gli Stati a
decidere se rendere vincolante il giudizio di tale organo. L'effettiva constatazione dei
fatti, per, pu risultare un ottimo metodo per la soluzione della contesa. Gli altri
procedimenti sono divisi in base alla crescente importanza nella contesa dell'ente
terzo. Nel caso dei "buoni uffici" il terzo si propone di indurre le parti a sedersi al
tavolo dei negoziati. Nella "mediazione egli partecipa attivamente allo svolgimento dei
negoziati, promuovendo informalmente termini di regolamento. La "conciliazione",
invece prevede la partecipazione del terzo ai negoziati e propone ufficialmente i
termini del regolamento.

14.3.2 Meccanismi che si concludono con l'emanazione di una


sentenza vincolante

Gli Stati in contesa possono decidere di richiedere l'intervento di un organo giudiziale


per risolvere la loro controversia. In questo modo essi decidono comunque di
sottostare alla sentenza del giudice. Si distinguono nel caso i regolamenti giudiziari e
gli arbitrati. Nel primo caso l'organo giudicante un organo permanente (o
semipermanente),
la cui composizione, il diritto e la procedura sono prestabiliti. Nel caso
dell'arbitrato sono gli Stati che decidono di comune accordo tutti questi aspetti.

14.3.2.1 L'arbitrato e la Corte permanente di arbitrato


Nel periodo tra la Prima e la Seconda guerra mondiale le controversie tra gli Stati
venivano generalmente risolte tramite la Corte Permanente di Arbitrato (CPA), istituita
nel 1899 e ancora esistente. La CPA consiste in un numero di giudice al quale gli Stati
in controversia attingono per costituire un tribunale arbitrale, e un'infrastruttura
amministrativa che svolge le funzioni di segretariato (il Consiglio amministrativo
permanente e l'Ufficio internazionale). I modi per conferire giurisdizione alla CPA sono
due: 1) la stipulazione di un accordo tra le parti volto a sottoporre alla corte una
controversia (c.d. compromesso arbitrale); 2) l'introduzione in un trattato di una
clausola in virt della quale ogni parte contraente legittimata a sottoporre alla Corte
qualsiasi controversia relativa all'interpretazione e applicazione del trattato stesso
(c.d. clausola compromissoria).
14.3.2.2 La Corte permanente di giustizia internazionale e la Corte
internazionale di giustizia
La Corte Permanente di Giustizia Internazionale (CPGI), istituita nel 1929 era l'organo
permanente per la soluzione delle controversie ed stata sostituita dalla Corte di
Giustizia Internazionale (CGI) nel 1946. Diversamente dalla Corte Permanente di
Arbitrato (CPA) essa costituita da giudici permanenti e non a scelta tra vari giudici.
Non d (come la CPA) giudizi di natura politica, ma si basava solo su norme di diritto.
Inoltre la sua composizione non pu constare anche di politici (come per la CPA), ma
solo di giureconsulti e grandi giudici. La sua permanenza un segnale della volont
internazionale di voler garantire lo sviluppo logico ed armonioso del diritto
internazionale. La pi ampia accettazione da parte degli Stati della giurisdizione della
Corte facilitata dalla c.d. "clausola opzionale", in virt della quale ogni Stato decide
di sottostare alle decisioni della Corte.

14.3.3 Il ricorso ai meccanismi tradizionali di soluzione delle


controversie nella comunit internazionale odierna

In seguito all'affermazione del divieto di minaccia e uso della forza come soluzione
delle controversie sono aumentati considerevolmente i ricorsi a procedure tradizionali
di soluzione. L'inchiesta stata scarsamente utilizzata negli accordi bilaterali, ma
molto utilizzata in quelli multilaterali. La mediazione ha trovato attivit in molte e
importanti occasioni. Dopo la guerra fredda, inoltre, gli Stati hanno iniziato a fare
molto spesso ricorso agli arbitrati e organi giudiziari. Questi ultimi, in particolare sono
spesso convocati dagli Stati del Terzo Mondo e da quelli dell'ex blocco sovietico. Gli
Stati occidentali, invece, sono restii ad utilizzare questo organismo forse per una certa
sfiducia nelle soluzioni giudiziarie delle liti. Oltre alla CIG si sono create molti altri
tribunali internazionali, tutti diretti in settori diversi e con competenze diverse. Questo
aumento del numero di tribunali internazionali permanenti o semi-permanenti ha fatto
sollevare qualche dubbio sulla possibilit di pi e diverse sentenze in merito ad una
questione e si pensato di sollevare la CIG al vertice di tutti i tribunali, ma
obiettivamente la settorialit degli altri tribunali non permetterebbe casi simili.

14.3.4 Il rafforzamento e l'istituzionalizzazione dei meccanismi di


soluzione delle controversie tradizionali

Una importante conseguenza dell'obbligo di soluzione pacifica delle controversie il


tentativo di rafforzare e istituzionalizzare maggiormente il ricorso ai meccanismi di
soluzione tradizionali.
14.3.4.1 Procedure obbligatorie di conciliazione
Si sta ultimamente rafforzando sempre di pi la prassi di inserire all'interno dei trattati
delle clausole che obblighino gli Stati a trovare una soluzione nel caso di controversia
(c.d. conciliazione obbligatoria). Questo perch esistono due concezioni contrapposte
tra gli Stati: una parte infatti non vede l'importanza di stipula di accordi senza
conseguenze di natura giuridica in caso di mancato adempimento, e l'altra parte, che
non intende obbligarsi ad alcun procedimento di soluzione. Le conclusioni della

Commissione di conciliazione, infatti non sono vincolanti, ma una volta richiesto il suo
intervento, lo Stato accusato di illecito obbligato a sottoporsi ad esso.
14.3.4.2 Procedure obbligatorie di regolamento arbitrale o giudiziale
Ci sono casi in cui stato previsto l'obbligatoriet di ricorso, in caso di controversia, a
regolamento arbitrale o giudiziale. il caso della Convenzione di Vienna e della
Convenzione sul diritto del mare. In questi casi, per controversie non relative allo jus
cogens gli Stati sono obbligati a trovare entro 12 mesi dal sorgere della controversia,
una soluzione pacifica. In caso di mancato raggiungimento della soluzione pu
intervenire il tribunale che pu essere un arbitrato o giudiziario.
14.3.4.3 Il ruolo degli organi "politici" delle Nazioni Unite
Sono importanti gli organi politici dell'ONU quali CdS e AG poich, nelle controversie
internazionali fanno da mediatori tra le parti, invitandole a chiarire le rispettive
posizioni e cercare di ridurre le divergenze e, se necessario, raccomandare un'equa
soluzione.

14.4 I nuovi meccanismi per la prevenzione e la soluzione delle


controversie
14.4.1 Le procedure obbligatorie di soluzione delle controversie di
natura commerciale

La risoluzione delle controversie di natura commerciale, come derivato nell'ambito


dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC, 1994), ha una struttura complessa
e innovativa. Innanzitutto ciascuno Stato deve notificare all'OMC e alle altre parti
contraenti, l'adozione di politiche commerciali che possano pregiudicare l'applicazione
di norme sostanziali previste da accordi commerciali. Alla notifica segue la
"consultazione". Le altre parti contraenti devono prontamente rispondere alla richiesta
di consultazione mirando al raggiungimento di soluzioni soddisfacenti per le parti
coinvolte. Nel caso in cui le consultazioni non abbiano esito positivo possibile
richiedere i "buoni uffici" o la conciliazione dell'OMC. Nel caso in cui non si raggiunga
alcuna soluzione, una parte contraente pu richiedere la costituzione di un "panel" di
esperti indipendenti, cui presentare il reclamo. Il panel istituito dall'Organo per la
soluzione delle controversie (DSB - Dispute Settlement Body), formato dai
rappresentanti di tutti gli stati membri. Se le parti contendenti rifiutano la
composizione del panel, questo deciso dal direttore generale dell'OMC. Una volta
istituito il panel esamina le richieste delle parti contendenti. L'accertamento dei farri e
del diritto suddiviso in due parti. Il panel adotta un rapporto provvisorio (interim
report) che le controparti possono commentare e successivamente il panel adotta un
rapporto finale (final report) che trasmesso alle controparti e al BSD. Il rapporto
finale automaticamente adottato dal DSB, a meno che non decida il contrario.
Tuttavia ciascuna delle controparti pu impugnare il final report del panel e presentare
un appello all'Organo d'Appello (Appellate Body), che pu, per, decidere solo su
questioni di legittimit.

14.4.2 Il controllo internazionale

Oltre ai meccanismi di soluzione delle controversie, stato elaborato un altro


strumento per controllare, in corso, l'effettivo rispetto del trattato da parte degli Stati
contraenti. Si tratta di norma di un controllo periodico che non presuppone
necessariamente l'esistenza di un contenzioso. L'organo di controllo costituito dai
rappresentanti degli Stati parte del trattato e di norma le funzioni di sorveglianza sono
affidate a pi di un organo. La procedura di controllo, inoltre, non termina con una
soluzione vincolante, ma al massimo un'esortazione, per evitare di minare la sovranit
statale. La procedura di controllo si pu attuare tramite 4 modalit diverse: 1) l'esame
dei rapporti periodici da parte degli Stati ad intervalli determinati; 2) l'ispezione (da
parte di organi preposti); 3) il controllo effettuato attraverso un procedimento
contenzioso, dove le parti della controversia avviano un esame del caso; 4) il controllo

preventivo attraverso l'adozione di misure volte a prevenire la commissione di illeciti.

CAPITOLO 15: L'ILLECITO INTERNAZIONALE E IL REGIME


ORDINARIO DI RESPONSABILIT
15.1 L'evoluzione del diritto della responsabilit internazionale

Quando uno Stato commette un illecito a livello internazionale tutta la comunit a


doverne pagare le conseguenze. Certo, lo stato che l'ha commesso pu avere
conseguenze maggiori al suo interno e pu essere sfavorito in altre circostanze dalla
comunit. Nell'ultimo periodo si sta formando una nuova disciplina di responsabilit
internazionale che vuole sovrapporti a quella tradizionale.

15.1.1 La disciplina tradizionale


La disciplina tradizionale di responsabilit statale era molto scarna e basata
esclusivamente su qualche giudizio convenuto da arbitrati internazionali e dalla prassi.
In pratica essa stabiliva che lo Stato autore di un illecito era responsabile a livello
internazionale e doveva provvedere alla riparazione, e che lo Stato leso poteva reagire
all'illecito anche con l'uso della forza armata. In realt non erano mai stati determinati
i casi in cui poteva considerarsi un illecito, n tantomeno quali fossero le conseguenze
ad esso legate. Di norma, quando si verificava un contenzioso lo Stato leso poteva
richiedere alla controparte un risarcimento monetario o la c.d. soddisfazione
(presentazione ufficiale di scuse, ecc.). In effetti era quest'ultima la modalit pi
utilizzata. Quindi la soluzione del contenzioso avveniva in maniera bilaterale. Era
comunque tutto lo Stato a pagare la violazione a livello internazionale, anche per atti
commessi da enti o individui appartenenti ad esso. Solo in alcuni casi eccezionali era
solo l'individuo che veniva posto in giudizio a livello internazionale. Sono questi i casi
di pirateria e crimini di guerra.

15.1.2 La disciplina attuale

Grazie all'opera di codificazione attuata negli anni'50 si arrivati nel 2001 all'adozione
di un Progetto di articoli sulla responsabilit degli Stati. Nella disciplina attuale si
possono distinguere due norme: le c.d. "primarie", ossia l'insieme delle norme di
diritto internazionale che impongono obblighi di natura sostanziale, e le c.d.
"secondarie", un'insieme di norme che stabiliscono: 1) le condizioni per cui si pu dire
che si verificato un illecito; 2) le conseguenze giuridiche discendenti da quell'illecito.
Anche il grado di responsabilit pu variare in responsabilit "ordinaria", ossia quella
normalmente applicabile nei rapporti tra Stati a seguito della commissione di un
illecito, e la responsabilit "aggravata", che scaturisce da violazioni di norme
fondamentali della comunit. Anche la responsabilit individuale mutata rispetto alla
disciplina tradizionale. Infatti gli individui possono essere responsabili a livello
internazionale per violazioni gravi di diritto internazionale, commessi sia in tempo di
guerra che in tempo di pace.

15.2 L'illecito internazionale e i suoi elementi costitutivi

Nel regime "ordinario" di responsabilit, l'illecito internazionale si verifica con


l'esistenza di due fattori, uno di natura "soggettiva", secondo cui l'illecito commesso
da un soggetto attribuibile ad uno stato, ed uno di natura "oggettiva", secondo cui
l'illecito si realizza quando la condotta 1) contraria ad un obbligo internazionale e 2)
causa un danno materiale o morale ad un altro soggetto internazionale.

15.2.1 L'elemento soggettivo

15.2.1.1L'imputazione di un comportamento individuale allo Stato


Normalmente gli Stati agiscono per mezzo di individui. Esistono pertanto alcuni casi in
cui l'attivit illecita individuale ricade sullo Stato.
"L'attivit degli organi della Stato e gli atti ultra vires". Sicuramente un atto illecito
compiuto da individui che sono "organi" di uno Stato comporta la responsabilit dello
Stato stesso. Chiaramente l'organo deve aver agito in via ufficiale e non a titolo
privato, oppure deve contravvenire alle norme ricevute o pu aver agito per suo

conto, ma con mezzi e poteri propri della funzione pubblica.


"L'attivit svolta nell'esercizio di funzioni pubbliche". La responsabilit cade sullo Stato
anche per atti illeciti compiuti da individui che non sono "organi" dello Stato, ma
svolgono un ruolo importante nell'esercizio delle funzioni pubbliche.
"L'attivit dei c.d. organi di fatto". Ugualmente la responsabilit cade sullo stato per
illeciti commessi da individui che, pur non essendo organi dello Stato, nei fatti
agiscono per suo conto, cio agendo su istruzioni dello Stato o si comportano come
organi dello Stato. Per quanto riguarda i corpi militari, basta che lo Stato abbia un
controllo generale su di esso.
"Non imputabilit delle azioni compiute da privati e due diligence". In tutti gli altri casi
i reati commessi da individui non cade sulla responsabilit statale. Qualora invece si
dimostrasse che lo Stato abbia assunto nei confronti di tale illecito, un comportamento
omissivo, esso chiamato a rispondere solo dell'omissione.
15.2.1.2 Il problema della colpa
Per colpa si intende un atteggiamento psicologico dell'agente consistente nel dolo o
nella colpa grave. In generale i tribunali non si preoccupano di accertare
l'intenzionalit o la negligenza del dolo. Ci pu avvenire, di norma, quando uno Stato
si giustifica affermando l'assenza di colpa. In due casi, per, la colpa dell'agente ha un
ruolo importante, ossia quando: 1) uno Stato dirige e controlla un altro Stato a
commettere un illecito; 2) uno Stato costringe un altro Stato a un determinato
comportamento.

15.2.2 L'elemento oggettivo

15.2.2.1 L'antigiuridicit della condotta


Una condotta giudicata illecita quando contravviene ad un obbligo internazionale,
quale che sia la sua fonte. Se tale azione commessa prima dell'emanazione della
norma essa non comporta illecito. L'illecito pu avvenire sia per un'azione ("illecito
commissivo"), sia per un'omissione ("illecito omissivo") e pu avere carattere
istantaneo o continuo.
15.2.2.2 La questione del danno
Il danno pu essere materiale o morale. Il primo consiste in un pregiudizio di tipo
economico e patrimoniale agli interessi di uno Stato; il secondo il pregiudizio
arrecato alla dignit e all'onore di uno Stato. Secondo la CDI, per, il danno non
considerato nell'illecito, poich esso costituito solamente dalla lesione di un diritto
soggettivo. Quindi pu anche verificarsi il caso di un illecito senza che vi sia danno
materiale o morale. In realt il regime di responsabilit normalmente applicabile nella
relazione tra gli Stati a seguito di illeciti richiede la sussistenza di un danno materiale
o morale come necessario requisito oggettivo.

15.3 Le cause di esclusione dell'illiceit

Per accertare la responsabilit di uno Stato v presa in considerazione anche la


possibilit di motivazioni che escludano l'illecito. Queste sono: 1) il consenso, 2) la
legittima difesa, 3) le contromisure, 4) la forza maggiore, 5) l'estremo pericolo, 6) lo
Stato di necessit

15.3.1 Il consenso
Il consenso prestato da uno Stato esclude l'illiceit da parte di un altro a condizione
che esso: 1) sia stato prestato validamente, 2) sia chiaramente accertato e non sia
presunto, 3) sia stato dato dagli organi statali competenti, 4) sia antecedente alla
commissione dell'atto.

15.3.2 Le contromisure

Le contromisure costituiscono annullamento dell'illecito che appartiene alla categoria


delle misure di autotutela di uno Stato. Esse costituiscono la reazione ad un
qualunque atto illecito diverso dall'attacco armato.

15.3.3 La forza maggiore e l'estremo pericolo

Secondo il Progetto di articoli della CDI la forza maggiore "il verificarsi di una forza
irresistibile o di un evento imprevisto, al di fuori del controllo dello Stato, che rende
materialmente impossibile nelle circostanze del caso adempiere l'obbligo giuridico". La
forza maggiore non opera se la situazione di forza maggiore causata dallo Stato che
la invoca o lo Stato ha assunto il rischio circa il verificarsi di tale situazione di forza
maggiore. L'estremo pericolo, invece, una situazione in cui "l'autore dell'atto non ha
altro modo ragionevole, in una situazione di estremo pericolo, di salvare la propria
vita
o quelle delle persone affidate alle sue cure. Anche l'estremo pericolo non applicato
se causato dalla condotta dello Stato che lo invoca.

15.3.4 Lo stato di necessit

Lo stato di necessit si invoca quando tutto lo Stato ad essere in pericolo. Esso non
costituisce una circostanza escludente l'illecito a meno che la condotta altrimenti
illecita costituisca l'unico modo per salvaguardare un'interesse essenziale dello Stato
da un pericolo imminente e che questo comportamento illecito non danneggi
seriamente l'interesse degli altri Stati. Come per le altre cause di esclusione
dell'illiceit, anche questa non vede applicazione se lo stato di necessit Stato
provocato dallo Stato che lo invoca.

15.3.5 Circostanze di esclusione dell'illecito e risarcimento del


danno

Con un comportamento illecito, pur se non considerato tale per le cause sopracitate, si
deve comunque risarcire gli altri Stati per eventuali danni arrecati con tale
comportamento. Ci ovviamente riconsiderato per i casi di legittima difesa,
contromisure e consenso.

15.4 Il regime di responsabilit discendente dall'illecito


internazionale

Con la commissione di un illecito internazionale lo stato giuridico tra i due Stati


cambia
e lo Stato offensore deve tollerare che lo Stato leso ricorra a contromisure.

15.4.1 Gli obblighi dello Stato autore dell'illecito

Lo Stato che commette l'illecito sottoposti ad una serie di obblighi nei confronti dello
Stato leso. Innanzitutto deve cessare il comportamento illecito e deve provvedere alla
piena riparazione per i danni causati. Se esso rifiuta di effettuare la riparazione, deve
accedere in buona fede alle proposte di risoluzione pacifica avanzate dallo Stato leso.
Nel caso di danno materiale lo Stato che ha commesso il dolo deve provvedere alla
restituzione in forma pacifica, sempre che quest'ultima non sia materialmente
impossibile o che comporti un onere eccessiva rispetto al vantaggio che deriverebbe
dalla restituzione in luogo del risarcimento. In quest'ultimo caso si deve procedere ad
una "riparazione per equivalenza", cio coprire anche monetariamente i danni causati.
Nel caso in cui non si riesca a risarcire interamente il danno, lo Stato autore
dell'illecito obbligato a fornire la c.d. "soddisfazione", cio una riparazione per danni
non materiali. Questa forma di riparazione non deve essere sproporzionata rispetto al
danno subito, n assumere forme che umilino lo Stato responsabile. La soddisfazione
pu consistere anche nel pagamento simbolico di una modesta somma di denaro.
Altre somme di soddisfazione possono essere la punizione degli individui che hanno
commesso l'illecito.

15.4.2 Diritto, poteri e obblighi dello Stato leso


Per Stato leso si intende qualunque Stato che, in conseguenza della violazione di un
obbligo da parte di un altro Stato, subisca la lesione del correlativo diritto soggettivo e
un danno di carattere materiale o morale. lo Stato leso che pu far valere le
conseguente dell'illecito nei confronti dello Stato responsabile. La CDI individua 3
categorie di Stato leso: 1) in caso di violazioni di norme che istituiscono rapporti

basati sulla reciprocit; 2) in caso di violazioni di norme che pongono obblighi solidali;
3) leso lo Stato in ordine al quale la violazione ha un'incidenza particolare. Lo Stato
leso deve notificare a quello responsabile le sue pretese, specificando la condotta che
deve lo Stato deve adottare ai fini della cessazione dell'illecito e la forma che deve
assumere la riparazione.

15.5 Il ricorso a contromisure

In seguito ad un illecito internazionale lo Stato leso pu a sua volta commettere un


illecito verso lo Stato offensore attraverso le contromisure. Tuttavia sono legittime le
contromisure solo se presentano alcuni caratteri e sono adottate a seguito
dell'adempimento di specifici obblighi. Inoltre alcune contromisure sono vietate.

15.5.1 Presupposti, contenuto, natura e scopo

Il presupposto di legittimit di una contromisura la commissione di un atto illecito da


parte di un altro Stato. Allo Stato leso consentita l'adozione di contromisure, ma
solo
nei confronti dello Stato offensore e non di Stati terzi. Circa lo scopo delle
contromisure, in passato si avevano due opinioni differenti: la prima voleva che la
contromisura fosse necessaria per la cessazione dell'illecito e la riparazione dei danni
commessi; la seconda, invece, la intendeva in un'ottica esclusivamente riparatoria. In
quest'ultimo caso difficile valutare la proporzionalit delle contromisure contro
l'illecito. Infatti, per seguire questo principio di proporzionalit, la CDI si espressa in
favore della prima ipotesi (cessazione e riparazione). Nelle contromisure non pu
esserci forte sproporzione rispetto al danno subito. Secondo la CDI le contromisure
devono essere proporzionate "all'offesa subita, tenendo in considerazione la gravit
dell'atto illecito e i diritti coinvolti".

15.5.2 Adempimenti preventivi

Prima che lo Stato leso possa ricorrere a contromisure deve percorrere una serie di
adempimenti preventivi. Innanzitutto deve invitare lo Stato offensore a cessare il suo
comportamento illecito e provvedere alla riparazione. Nel caso di inadempimento,
sempre lo Stato leso deve proporre all'offensore l'avvio di negoziati. Ci deriva dal
principio di soluzione delle controversie per via pacifica. Solo se l'altro Stato rifiuta di
intraprendere i negoziati, lo Stato leso, che reputa che non ci siano altre soluzione per
la dissoluzione della controversia, pu ricorrere alle contromisure. Alcuni trattati
vietano (in modo implicito o esplicito) il ricorso alle contromisure, adottando invece un
giudice internazionale.

15.5.3 Limiti circa il contenuto

Ci sono alcuni limiti che lo Stato leso deve tenere in considerazione nel momento
dell'adozione delle contromisure. Sicuramente vietato l'utilizzo della forza o la
minaccia. Inoltre nelle contromisure non possono essere violati obblighi in materia di
diritti umani e diritto internazionale umanitario, o comunque le regole che proteggono
interessi e bisogni fondamentali degli esseri umani. Non possono, poi, essere violate
norme di jus cogens e lo Stato che sta adottando le contromisure deve comunque
rispettare i propri obblighi 1) in materia di procedure di soluzione delle controversie
applicabili nei rapporti con lo Stato offensore, 2) in materia di inviolabilit degli agenti
diplomatici.

15.5.4 Durata delle contromisure

Lo Stato leso che sta adottando contromisure obbligato a cessarle qualora l'illecito
sia stato sospeso e la controversia sia stata sottoposta ad una procedura di
regolamento arbitrale o giudiziale.

15.5.5 Contromisure e ritorsioni

Le contromisure non si devono confondere con le ritorsioni che sono comportamenti


inamichevoli (che non violano il diritto internazionale) in conseguenza di un illecito o
di un comportamento inamichevole di un altro stato. Le ritorsioni devono rispettare

due condizioni. Devono risultare proporzionali all'illecito subito e devono cessare con il
venir meno del comportamento scorretto dell'altro Stato.

CAPITOLO 16: VIOLAZIONI DI OBBLIGHI SOLIDALI E


REGIME DI RESPONSABILIT AGGRAVATA
16.1 Introduzione

La prassi internazionale dimostra che, attualmente, per illeciti di norme generalmente


riconosciute e di jus cogens, ci sono dei meccanismi di risposta pi importanti rispetto
ad un illecito di responsabilit "ordinaria". Si parla in questo caso di responsabilit
aggravata. Tale regime di responsabilit si differenzia da quello ordinario in merito ai
"presupposti" del rapporto di responsabilit, ai "soggetti legittimati" ad invocare la
responsabilit e al "contenuto" del rapporto di responsabilit. consentito, in alcuni
casi, una reazione collettiva o popolare all'illecito.

16.2 I presupposti per l'applicazione del regime di responsabilit


aggravata
16.2.1 L'elemento oggettivo e l'irrilevanza del danno

16.2.1.1 Lo specifico contenuto della norma violata


Per corrispondere ad una responsabilit aggravata l'illecito commesso da uno Stato
deve entrare nel gruppo di norme internazionali di "natura solidale", cio quelle norme
che tutelano i valori fondamentali della comunit internazionale. La violazione di tali
obblighi pu essere di diversa gravit: pu essere "minoris generis" o una violazione
grave e le conseguenze possono essere diversificate.
16.2.1.2 L'irrilevanza del requisito del danno
La violazione di norme di natura solidale rende irrilevante la sussistenza del danno, il
quale requisito fondamentale in caso di responsabilit ordinaria. Infatti la violazione
di una norma in regime di responsabilit aggravata pu non comportare un danno
materiale o morale a un altro Stato, ma comunque di importanza tale da richiedere
un'azione volta a ripristinare l'ordine giuridico violato.

16.2.2 L'elemento soggettivo e la rilevanza della colpa

Nel caso di responsabilit aggravata bisogna dimostrare che lo Stato che ha


commesso l'illecito, abbia agito dolosamente o con colpa grave. Ma difficile inadgare
sull'atteggiamento doloso di uno Stato, quindi secondo un primo orientamento si
indaga sull'attitudine psicologica dell'individuo che ha tenuto il comportamento
scorretto per conto dello Stato. In questo caso la volont dello Stato coinciderebbe
con quella dell'individuo. Nel caso di una pi ampia partecipazione all'illecito, per,
difficile attuare questa pratica. Per questo si preferisce identificare la volont dello
Stato con quella dei suoi organi supremi e in assenza di prove dirette circa la politica
scorretta degli organi supremi, possibile desumere l'esistenza del dolo dello Stato da
elementi di fatto.

16.2.3 L'inoperativit delle cause di esclusione dell'illecito e l'uso


legittimo della forza armata

Nel caso di responsabilit aggravata non sussistono le circostanze di esclusione


dell'illiceit come per la responsabilit ordinaria. Vi sono solo due eccezioni per quanto
riguarda l'uso della forza: la "legittima difesa" e l'"autorizzazione da parte del
Consiglio di Sicurezza dell'ONU".

16.3 Il contenuto del regime di responsabilit aggravata

Le differenze tra responsabilit aggravata e ordinaria stanno anche nei soggetti attivi
(cio coloro che possono invocare l'illecito) e il contenuto del rapporto di
responsabilit.

16.3.1 I soggetti legittimati ad invocare la responsabilit aggravata

Nel caso di responsabilit aggravata tutti gli Stati possono in qualunque momento e
senza aver subito danni, invocare la violazione di una norma consuetudinaria

internazionale.

16.3.2 Gli obblighi dello Stato autore dell'illecito


Lo Stato che ha commesso un illecito in responsabilit aggravata deve, come per la
responsabilit ordinaria, cessare l'illecito, offrire assicurazioni e garanzie di non
ripetizione e riparazione del danno. I soggetti a cui sono rivolti questi obblighi sono
tutti gli Stati e non solo uno, anche se nel caso di danno materiale ad un solo Stato,
questo pu richiedere un risarcimento in forma bilaterale.

16.3.3 Diritti e poteri degli altri Stati

Gli Stati diversi da quello che commette l'illecito hanno il potere di richiedere la
cessazione dell'illecito e le garanzie e assicurazione che tale illecito non si riverifichi.
Nell'ipotesi in cui l'illecito abbia causato danni ad un determinato Stato, ogni Stato
legittimato a chiedere la cessazione dell'illecito e il risarcimento del danno subito verso
quello Stato. Nel caso in cui, invece, non ci sono Stati che hanno subito danni, gli altri
Stati possono chiedere la riparazione a beneficio degli individui che hanno subito le
conseguenze sfavorevoli dell'illecito. Se il comportamento illecito non cessa, gli altri
Stati possono rivolgersi alle organizzazioni internazionali competenti, sia di carattere
universale (NU), sia regionali. Quando la reazione ha carattere grave e sistematico, gli
altri Stati devono adempiere alcuni obblighi specifici: 1) non devono riconoscere come
legittima la situazione creata dall'illecito; 2) non devono prestare aiuto o assistenza
allo Stato responsabile ai fini del mantenimento della situazione discendente
dall'illecito; 3) devono cooperare nella misura possibile ai fini della cessazione
dell'illecito.

16.4 La reazione pubblica e collettiva: l'adozione di sanzioni da


parte del consiglio di Sicurezza
A seguito di violazioni di norme consuetudinarie internazionali, il CdS dell'ONU pu
decidere di adottare sanzioni di tipo economico (e non). In questo caso gli Stati
possono violare obblighi giuridici derivanti da un trattato, o adottare comportamenti
leciti, ma di natura inamichevole. Lo scopo di tale sanzione di costringere lo Stato
offensore a cessare il comportamento illecito. Questo tipo di sanzione non vuole solo
danneggiare in campo economico lo Stato offensore, ma vuole anche riunire gli Stati
in un'azione di pubblica delegittimazione dello Stato accusato.

16.4.1 I presupposti dell'azione del CdS e violazione di norme che


pongono obblighi solidali

Il CdS un organo politico cui la Carta delle Nazioni Unite affida la responsabilit
principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. esso ha il
compito di raccomandare e decidere le misure che debbono essere adottate in
presenza di tre situazioni: minaccia della pace, violazione della pace e atti di
aggressione. Nel sistema della Carta non esistono organi con la competenza di
accertare la legittimit delle delibere adottate ai sensi della Carta. Questo perch gli
Stati intendevano garantirsi un'ampia possibilit di azione attraverso il CdS. E
comunque tutte le delibere del CdS, oltre a raggiungere la maggioranza richiesta,
possono essere bloccate dall'esercizio del c.d. diritto di veto (voto negativo da parte di
uno dei membri permanenti).

16.4.2 L'adozione di sanzioni

Accertata l'esistenza di una delle tre cause di intervento del CdS, questo pu
intervenire adottando misure non implicanti l'uso della forza, le c.d. sanzioni. Meno
forza coercitiva ha una sanzione e pi spesso viene utilizzata. Questo per evitare che i
5 membri permanenti del CdS siano tra loro in dissenso, infatti, sono state pensate
forme di condanna o pressione blande, che servono per lo pi ad esprimere il dissenso
da parte della comunit internazionale. Inoltre, tali misure hanno diversa efficacia a
seconda del sostegno che concretamente ricevono dagli Stati, per il semplice fatto che

possono essere attuate, spesso, solo per il tramite di apparati statali. Negli ultimi
anni,
con il terrorismo internazionale il CdS ha deciso spesso di non adottare misure
sanzionatorie nei confronti di interi Stati (poich potevano causare gravi danni alla
popolazione innocente), ma di utilizzare "sanzioni intelligenti" ("smart sanctions")
verso individui o gruppi di individui.
16.4.2.1 Le sanzioni economiche e altre misure sanzionatorie "tipiche"
Le sanzioni di carattere economico decise dal CdS si sono susseguite negli anni, ma la
loro incisivit spesso era molto ridotta per il poco sostegno internazionale (spesso
Stati offensori erano aiutati da altri Stati). Tuttavia, se adottate in maniera universale,
queste sanzioni possono causare gravi danni ai settori pi vulnerabili della popolazione
civile, infrangendo a volte anche le norme sui diritti umani. Per questo il CdS ha
provveduto ad includere eccezioni di carattere umanitario, allo scopo di permettere il
flusso di beni e servizi essenziali destinati a scopi umanitari. Gli organi internazionali,
come il CdS, quando adottano sanzioni collettive contro uno Stato, devono valutare se
queste sanzioni possono causare violazioni gravi ai diritti sociali, economici e culturali
dei membri pi deboli della popolazione civile. Qualora si accerti che siano stati violati
tali diritti per via della sanzione, il CdS deve subito provvedere ad adottare tutte le
misure necessarie per alleviare le sofferenze dei gruppi vulnerabili.
16.4.2.2 Il non riconoscimento di situazioni illegittime
Nelle occasioni in cui anche con le sanzioni il CdS non riesce a far cessare lo Stato
nell'illecito, si pu procedere attraverso il "non riconoscimento di situazioni
illegittime".
Ci si basa sull'idea che ogni azione contraria a certi valori fondamentali
comunemente accettati dalla comunit internazionale non debba essere legittimata in
alcun modo. Lo scopo isolare lo Stato autore dell'illecito , costringendolo a
modificare la situazione condannata.
16.4.2.3 La creazione di tribunali penali ad hoc
Il CdS in due occasioni ha istituito tribunali penali internazionali per perseguire e
punire coloro che avevano perpetuato crimini internazionali nel corso di un conflitto
armato: nel 1993 per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia (ICTY) e nel 1994 per il
Ruanda (ICTR).

16.5 Il ricorso alla forza armata contro lo Stato responsabile

In casi eccezionali previsti nella Carta delle NU previsto il ricorso alla forza armata
per la cessazione della violazione di una norma.

16.5.1 L'aggressione armata e la legittima difesa individuale e


collettiva

Nel caso in cui uno Stato aggredisca militarmente un altro Stato, questo secondo pu
a sua volta difendersi con la forza e gli altri Stati possono accorrere in suo aiuto. Ma
questo istituto comporta notevoli problemi.
16.5.1.1 La nozione di aggressione
Costituiscono atti di aggressione le seguenti fattispecie: 1) invasione o attacco armato
del territorio di un altro Stato o l'occupazione militare, o ogni annessione del territorio
con l'uso della forza; 2) il bombardamento da parte delle forze armate di uno Stato,
nel territorio di un altro Stato; 3) il blocco navale dei porti e delle coste di uno Stato
da parte delle forze armate di un altro Stato; 4) l'attacco contro il territorio, il mare
territoriale o le forze aerei o navali di un altro Stato; 5)l'uso delle forze armate di uno
Stato dislocate nel territorio di un altro Stato in virt di un accordo con lo Stato
ricevitore; 6)il fatto che uno Stato acconsenta all'utilizzazione del proprio territorio per
perpetrare atti di aggressione contro uno Stato terzo; 7) l'invio di bande armate,
gruppi irregolari o mercenari che compiono azioni armate contro un altro Stato. Non
chiaro se la legittima difesa sia ammissibile in caso di aggressione armata c.d.
indiretta, cio quando uno Stato organizza, assiste, incita, finanzia, istiga o tollera

attivit sovversive dirette contro un altro Stato.


16.5.1.2 Gli altri requisiti del diritto di legittima difesa
La legittima difesa un diritto "naturale", ma deve rispettare alcune regole: 1) la
vittima dell'attacco non deve occupare il territorio dell'aggressore, a meno che non
risulti necessario per bloccare il perseverare dell'aggressione; 2) l'azione di legittima
difesa deve cessare non appena il CdS abbia adottato misure efficaci per la fine
dell'attacco armato; 3) la legittima difesa deve cessare quando essa abbia raggiunto il
suo obiettivo.
16.5.1.3 lecito il ricorso alla legittima difesa preventiva?
Nell'epoca moderna cruciale rispondere a questa domanda. In realt sarebbe pi
opportuno che gli attacchi preventivi rimangano vietati poich sono suscettibili di
condurre facilmente ad abusi, basandosi su una valutazione unilaterale
necessariamente soggettiva e arbitraria.
16.5.1.4 La legittima difesa collettiva
Ogni Stato pu ricorrere all'uso della forza per soccorrere uno Stato vittima di un
attacco armato, ma solo previo consenso o richiesta da parte dello Stato da
soccorrere.

16.5.2 L'autorizzazione all'uso della forza da parte del CdS e le


operazioni di "peace-enfocement"

16.5.2.1 L'autorizzazione del CdS agli Stati ad utilizzare la forza


armata
L'esercito delle Nazioni Unite non mai stato istituito, cos il CdS pu solo autorizzare
gli Stati ad usare la forza armata. Il CdS ha, inoltre, gradualmente operato un
collegamento tra crisi umanitarie e situazioni di minaccia della pace (per poter agire);
ha quindi autorizzato gli Stati all'utilizzo della forza armata anche al fine di garantire
un ambiente sicuro per lo svolgimento di missioni umanitarie.
16.5.2.2 Le operazioni di "peace-enforcement" delle Nazioni Unite
Nel 1956 con la collaborazione di USA e URSS sono state istituite delle forze di
peacekeeping
(i caschi blu), utilizzate per la prima volta per redimere i conflitti della crisi di
Suez. In quell'occasione tali forze erano riunite nell'UNEF (Forza di emergenza delle
Nazioni Unite). Le forze in questione sono composte da personale militare messo a
disposizione dagli Stati membri dell'ONU e sono dislocate in aree di crisi con il
consenso dello Stato ospitante. Sono sotto il diretto controllo del CdS, anche se in
alcuni casi pu intervenire l'AG. La direzione esecutiva e il comando sono attribuibili al
Segretario Generale. Queste forze inoltre non hanno il potere di coercizione, ma
possono ricorrere alle armi sono in legittima difesa e devono sempre agire in maniera
neutrale e imparziale.
16.5.2.3 L'uso della forza nell'ambito di accordi o organizzazioni
regionali con l'autorizzazione del CdS
La Carta delle Nazioni Unite prevede la possibilit che il CdS autorizzi accordi o
organizzazioni regionali ad intraprendere azioni coercitive.

16.6 I diritti e i poteri degli Stati in caso di inerzia del Consiglio


di Sicurezza
Qualora di fronte alla violazione di una norma di natura solidale il CdS non adottasse
alcuna misura, gli Stati possono portare la questione ad altri organi competenti come
l'AG. Tuttavia, quando l'illecito ha carattere grave e sistematico gli altri Stati hanno
degli obblighi precisi (in caso di responsabilit aggravata), come l'adozione di
contromisure pacifiche a carattere individuale. Se pi Stati agiscono in maniera
individuale c' bisogno di un coordinamento. Non possibile, invece, per questi Stati,
agire con la forza armata.

16.7 L'applicazione del regime aggravato di responsabilit nella

prassi
Non si ancora del tutto sviluppato il grande potenziale derivante dal regime
aggravato di responsabilit, soprattutto per la riluttanza degli Stati a non interessarsi
a questioni in cui non hanno interessi individuali da tutelare.

16.8 Il rapporto tra regime ordinario e aggravato di


responsabilit
Nel caso di violazioni gravi e sistematiche delle norme contenute in trattati che
tutelano interessi fondamentali si pu incorrere nella regime aggravato di
responsabilit In questi casi gli Stati devono astenersi dal ricorrere a azioni su base
individuale, ma di utilizzare il meccanismo a garanzia predisposto dal trattato.

16.9 Il regime di responsabilit aggravata nel Progetto di Articoli


della Commissione di Diritto Internazionale

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