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Jules Renard

Pel di Carota
(1894)
LA FAMIGLIA LEPIC
Ogni sera accadeva la stessa cosa. Felice ed Ernestina, i fratelli maggiori
di Pel di Carota, appena ultimata la cena, uno a destra e l'altro a sinistra del
tavolo di cucina, leggevano o fingevano di studiare, con le mani chiuse a
pugno contro gli orecchi, per non udire alcun rumore che potesse distrarli.
E ogni sera, regolarmente, la mamma diceva:
Vuoi vedere che Onorina s' dimenticata di chiudere il pollaio?
Nessuno le rispondeva. Onorina, la serva, era gi a letto e Felice Lepic, il
maggiore dei tre figlioli della signora Lepic, impegnato com'era nella
lettura e sordo ad ogni voce, non poteva rispondere all'appello della madre.
Ernestina non alzava neppure la testa dal libro: chiudere il pollaio non era
cosa adatta ad una ragazzina quando c'erano in casa due fratelli maschi.
Pel di Carota, mi hai udita?
E la signora Lepic pronunciava quel vezzeggiativo, con cui il pi piccolo
dei suoi figli era stato battezzato sin da quando era in fasce a causa di quel
ciuffo ribelle di capelli rossi, con una sorta di tenerezza, assai rara nella sua
voce, fino a che il piccolo Pel di Carota, intento a qualche gioco sotto la
tavola, non lasciava vedere quei suo musetto lentigginoso per ripetere, come
ogni sera:
Mamma ... ma io ho paura!
Paura di che? Vorrai scherzare! Fila, fila, giovanotto, le galline non
aspettano che te per dormire in pace ...
Pel di Carota un bambino a cui i complimenti e le buone parole fanno
sempre un curioso effetto. Un po' orgoglioso, per natura, ama sentirsi lodare
e la sua timidezza si arma di audacia quando occorre dar prova di coraggio
anche se, come spesso accade, quell'audacia una virt soltanto apparente
poich, nell'intimo. Pel di Carota resta un coniglietto tutto tremori e
trepidazioni per cose da nulla.
Dunque, Pel di Carota, ti decidi?
E scomparsa dalla voce della mamma quella piccola vena di dolcezza e il

suo atteggiamento fa intuire che uno scappellotto sta per giungere a destino.
Fatemi almeno lume dichiara il piccolo ometto che si attarda a
stringere la cinghia dei pantaloncini, con un gesto di sicurezza, come se
stesse agganciandosi al fianco una spada.
Felice non si muove, la mamma ha le mani sui fianchi in attesa di
mandare ad effetto una minaccia sottintesa nelle sue parole e soltanto
Ernestina, pi seccata che impietosita, si alza per prendere una candela e
accompagnare il fratellino fino in fondo al lungo corridoio buio che porta sul
retro della casa, al cortile oltre il quale il piccolo pollaio costruito sulla
fiancata del fienile. Ernestina precede il fratello ma, fatti pochi passi, una
folata gelida spegne la candela.
Il buio si fa pi profondo appena scompare la debole fiammella.
Prosegui da solo ordina Ernestina io torno di l.
Pel di Carota sente i capelli rizzarsi sulla sua testa. La camicia gli si
incolla addosso per un sudore improvviso, un tremore alle gambe lo
inchioda al pavimento e gli par d'essere cieco in tutto quel nero cos fondo.
Il corridoio un buco senza fine, come un pozzo. Egli, che lo percorre, di
giorno, centinaia di volte, non riconosce nessuna pietra, nessuna scabrosit.
Che fare? Non pu restar l l'intera notte: deve andare. Muove un piede,
poi un nuovo passo lo porta avanti e, come se dentro di lui fosse scattato un
congegno, si butta a casaccio verso il fondo del corridoio, come lo
inseguisse una torma di lupi affamati. Afferra a caso il gancio della porta e
quando la porta si spalanca, una ventata d'aria fredda lo avvolge come in un
sudario. Il cielo nero, ma qualche stella ammicca lass e la traversata del
cortile, col viso rivolto in alto, meno paurosa di quanto credeva.

Il chiocciare delle galline una voce amica. Quando compare sulla porta
del pollaio, Pel di Carota avverte una certa agitazione, lungo la stanga su cui
le galline stanno accoccolate calde di sonno e un fiato d'aria tiepida lo
investe come una carezza. In un battibaleno l'uscio sprangato e Pel di
Carota torna verso casa, come se avesse le ali ai piedi. Ansante, giunge alla
porta del corridoio, rimasta spalancata: quasi calmo l'accosta, la spranga e vi
si appoggia contro. Una debole luce viene dalla cucina e Pel di Carota in
quel breve tragitto si ritrova padrone di s, orgoglioso di s, vittorioso come
chi esce da una cruenta battaglia e con un mezzo sorriso di compiacimento
verso se stesso, quasi che uno stendardo sventolasse in suo onore e lo
precedesse per osannarlo, entra in cucina. S'aspetta rallegramenti, parole di
lode, ma lo accoglie un silenzio indifferente e immutabile, come ogni sera.
Felice legge, Ernestina non si volta nemmeno a guardarlo e la mamma

riposa accanto al focolare.


Pel di Carota, ritto al centro della cucina, di cui sente il beneficio della
luce e del calore che vi regna, aspetta una parola, un cenno, una occhiata.
Ma nessuno bada a lui.
Dopo attimi, lunghi come secoli, con la voce di sempre, annoiata e
perentoria ad un tempo, la madre dice:
Andrai tu, Pel di Carota, ogni sera, a chiudere il pollaio. E fa' che non
accada pi che io debba rammentartelo.
***
Com'era e cos'era Pel di Carota?
Una curiosa combinazione di sfrontatezza e di pudore, di egoismo e di generosit, di infingardaggine e di solerzia. Cos appariva a chi si fosse
proposto di osservarlo e studiarlo, ma nessuno in casa Lepic si poneva
problemi di questo genere e il bambino, poco vezzeggiato e meno seguito,
amava lasciarsi cullare da queste sue alterne tendenze lasciando che, di volta
in volta, luna o l'altra avesse il sopravvento.
E poich, generalmente, le buone intenzioni non sono mai tali da porre in
evidenza i sentimenti che le generano, soltanto le cattive attitudini
sottolineano il carattere e il temperamento di un ragazzo: il che, per Pel di
Carota, equivaleva ad una etichetta sfavorevole e allarmistica, posta come
indice di pericolo sulla sua personcina insignificante, gracile e priva di
qualunque attrattiva.
La stessa madre, se fosse stata interrogata in proposito, non avrebbe saputo dare miglior giudizio a carico di quel fanciullo tanto estroso e a volte
svanito da farlo considerare meno dotato di intelligenza di quel che
realmente fosse. A scuola se la cavava discretamente: senza infamia e senza
onore.
Con i fratelli viveva in buona armonia, anzi ne subiva le anghere, forse
per amore, con una sottomissione che non deponeva a favore del suo amor
proprio.
Nei giochi che giocano tutti i ragazzi non eccelleva mai. Si limitava ad
eseguirli e basta: senza entusiasmo, come se si trattasse di una necessit a
cui doveva sottoporsi, come ci si sottopone a tutte le cose che, in capo ad un
giorno, i ragazzi debbono portare a termine.
Lui stesso, forse, non si capiva: tentava a volte di farlo, ma si perdeva in
congetture tali che gli davano il capogiro.
Suo padre, il perfetto ed autorevole signor Lepic, era il pi comune uomo
fra gli uomini comuni di questa terra.

Lavorava, provvedeva alla famiglia nei limiti delle sue possibilit, senza
slanci e senza fantasia. Amava la caccia e per udirlo parlare, seppure molto
misuratamente, bastava chiedere qualche spiegazione sulle armi, sui passi
dei volatili, sulle zone pi favorevoli. Altri argomenti non occupavano la sua
mente.
Pel di Carota, che un giorno, chiss per quale impulso, aveva battuto violentemente il capo di una pernice ferita, estratta dal carniere paterno,
uccidendola, era salito di un gradino nella considerazione del signor Lepic
che, giudicando il figliolo un essere freddo, duro, senza cuore, si
compiaceva, ogni volta che rientrava dalla caccia, di obbligarlo a
quell'ingrato compito cui Pel di Carota, con lo stomaco in subbuglio, si
prestava unicamente perch vedeva, cosa assai rara, l'interesse di tutta la
famiglia polarizzato su di lui.
E quando qualche uccello agitava ancora la testa in modo penoso e rabbrividiva agonizzando, la madre o il padre, a seconda di chi assisteva a quel
pietoso spettacolo, si affrettava a dire:
Dunque, Pel di Carota, che aspetti a finire quelle povere bestie?
E Pel di Carota, che rabbrividiva pi della selvaggina morente, per un
residuo di quella dignit che lo investiva come una dote di non comune
merito, afferrava fra le manine sudate e gelide quei corpicini tiepidi,
convulsi, con le ali palpitanti e compiva quella triste bisogna con un groppo
in gola, sforzandosi di nascondere le lacrime che gli offuscavano la vista.
Felice ed Ernestina, quando accadevano queste cose, incrudelivano contro
il fratellino con parole sferzanti:
Sei peggio di un carnefice, tu! Un boia, sei, un boia!
Ma Pel di Carota, che li sapeva incapaci di fare altrettanto, vedeva nei
loro occhi una scintilla di invidia e questo per la sua piccola anima,
inconsapevole e compressa, era un premio che valeva la pena di guadagnare
a cos caro prezzo.
La stessa signora Lepic commentava questi fatti senza un briciolo di compassione per quel suo figliolo tanto piccolo e tanto crudele:
inaudito! Come faccia ad avere tanto sangue freddo e compiere
gesti cos stomachevoli con tanta indifferenza, non so spiegarmelo. In quei
momenti non mi par neppure che possa essere mio figlio. Di che pasta sar
mai fatto? Dove trova tanto coraggio e tanta raffinata crudelt?
Questi episodi, se pur non frequenti, mettevano attorno a Pel di Carota un
curioso alone di distacco da tutti gli altri ragazzi della sua et. Qualunque
cosa egli facesse o dicesse, perfettamente intonata alla sua giovinezza
inesperta, assumeva, perch detta o fatta da lui, un tono diverso dal normale
significato, come se tutto ci che passava per il suo cervello dovesse

colorirsi di colori speciali ed apparire sfocato o pi nettamente delineato,


agli occhi di chi lo giudicava, a seconda del proprio potere giudicante.
***
Piccoli fatti insignificanti, cose d'ogni giorno, quando si innestavano nei
gesti o nelle parole di Pel di Carota, assumevano proporzioni fuori dal
comune.
Spesso, la sera, dopo cena, quando la famiglia restava alcune ore nella cucina, sotto la lampada o accanto al fuoco, leggendo o conversando sotto
voce, per non disturbare il signor Lepic intento a far conti o a sfogliare un
giornale, Piramo, il cane di casa Lepic, accucciato nel suo angolino preferito,
accanto al caminetto, improvvisamente, senza ragione, si metteva a guaire,
prima sommessamente, poi pi acutamente, fino ad abbaiare furioso.
Taci, bestiaccia! brontola il signor Lepic.
Silenzio, stupido! bercia la signora Lepic minacciando il cane con
una scopa.
Piramo tace, per un poco, poi riprende in sordina un brontolio ringhioso,
insopportabile.
Inutile picchiarlo, intimargli silenzio. Appiattito al suolo, Piramo mostra i
denti e il pelo gli si arriccia sull'arco della schiena.
Ernestina spaventata. Il signor Lepic furioso. Felice protesta contro
quell'infernale fracasso. Nessuno si rende conto di che cosa induca il cane,
sempre cos tranquillo, a dar segni tanto evidenti di stizza repressa.
Pel di Carota, che s'abbrustolisce le gambe alla fiamma del focolare, si alza e afferma, con importanza:
Forse fa cos perch sente avvicinarsi un pericolo ...
E senza che nessuno lo esorti, esce dalla cucina per andare a vedere che
cosa accade nel cortile.
Tutti lo guardano sbalorditi. Quegli sguardi sono per il fanciullo pi entusiasmanti di una fanfara. In realt egli ha paura, una paura che lo agghiaccia
e gi vede, nel cortile, vagabondi, ladri, assassini, pronti a sgozzare l'intera
famiglia Lepic. Ma il suo prestigio di bambino coraggioso in ballo e, paura
o no, egli deve andare, deve mostrare all'intera famiglia che lui, e lui
soltanto, ha il coraggio necessario per affrontare quel pericolo che minaccia
tutti.
Ecco, il solito corridoio buio, freddo, con le sue pietre sconnesse fatte
apposta per farlo inciampare, ma Pel di Carota, con le manine protese in
avanti, come un cieco, riesce a giungere fino alla porta.
Trova il catenaccio e lo trae faticosamente fuori dagli anelli fino a farlo

cigolare per l'impegno che pone nel far tutto il rumore possibile. Resta un
attimo, soltanto, ritto al centro della gran porta spalancata e scruta
nell'oscurit riconoscendo la sagoma del carro abbandonato al centro del
cortile. Sa che non c' nessuno, lo sa di certo, ma ha paura ugualmente.
Quando chiude piano la porta e vi si sofferma contro, prima di far nuovamente scorrere il lungo catenaccio, sa di aver barato, perch il suo coraggio
una specie di truffa ai danni di chi lo crede capace di qualunque ardimento.
Egli sa di ingannare i suoi che lo credono intento a frugare in ogni angolo,
attorno alla casa, in cerca di chi sa quali insidie, mentre, incollato alla porta,
aspetta e si obbliga a far s che passi il tempo necessario perch il suo
comportamento sia coronato da successo.
Sente, dentro le scarpe sdrucite, l'alluce ancora dolente per i calci affibbiati al cane, senza che nessuno lo abbia veduto, e quando certo che
giunto il momento di rientrare, manovra sul catenaccio senza piet, per far
tutto il maggior rumore possibile.
Fischietta, tossisce, sternuta mentre si avvia alla cucina e, spalancando la
porta, annuncia:
Non c' nessuno!
Anche il padre, insieme agli altri, lo guarda attonito.
Il cane avr sognato dichiara riprendendo il suo posto accanto al
fuoco lo fa spesso. un cane stupido, non ci badate.
Il calore della fiamma gli asciuga il sudore freddo che gli cola attorno al
collo e scende gi, lungo la spina dorsale, come la lama di un pugnale.
Il trucco gli riesce sempre e la paura si pasce di questa certezza che gli
consente di ingannare le persone adulte, quelle persone che guardano a lui
come a un essere inutile e meschino ma che, di fronte a queste prove di
audacia, certamente modificano in meglio il loro giudizio.
Piramo ha ripreso a dormire, tranquillo. Gli altri tacciono e nemmeno una
parola uscita dalle loro labbra per compiacersi del coraggio di cui Pel di
Carota ha fatto sfoggio.
Ma egli sa che si stanno chiedendo di che materia sia fatto quel suo
corpicino gracile e mal costruito e di questi loro pensieri egli si fregia, come
di una medaglia.
MATERASSI AL SOLE
Ma nelle giornate di Pel di Carota non si inserivano soltanto le prove
esibizionistiche. Ogni medaglia ha il suo rovescio e, ai molti difetti, che
nella bilancia pesano assai pi delle scarse manifestazioni spettacolari, due
colpe, soprattutto, segnavano una riga nera a suo demerito.

Russare e bagnare il letto.


Quando era pi piccino, alcuni anni fa, nella grande camera della signora
Lepic, gelata anche nel mese di agosto, vi erano due enormi letti: uno tutto
per il signor Lepic, che amava rivoltarsi fra le lenzuola e che non tollerava
accanto a s, come invece si verifica in tutte le famiglie di questo mondo, la
propria moglie, ed un altro, pi piccolo, in cui dormivano Pel di Carota e la
madre.
Pel di Carota sapeva che la mamma non sopportava quel suo russare senza
fine e per non perdere la possibilit di dormire accanto a lei, fin da piccino,
ogni sera, appena coricato, tossicchiava, si ispezionava le fosse nasali per accertarsi che fossero perfettamente sgombre, si schiariva la gola e respirava
adagio soddisfatto di quel suo respiro lieve, senza sibili.
Ma, appena il sonno si impadroniva di lui, ecco, come se venisse azionato
un congegno, dalla bocca, dal naso, senza sosta, assordante, quel rumore
infernale riempiva la stanza e saliva di tono ad ogni tirar di fiato come se
l'aria, aspirata dai suoi polmoni, passasse attraverso un complicato
meccanismo.
Appena dorme russa diceva la madre russa cos strepitosamente
che non si pu credere che sia un russare degno di una creatura umana.
Credo che lo faccia apposta diceva parlando di lui con qualcuno per il
gusto di essere noioso e fastidioso anche quando dorme.
E, ogni sera, appena spento il lume, Pel di Carota si addestrava a respirare
adagio, sempre pi adagio, fino a sentire il cuore pulsargli in gola e chiudeva
gli occhi convinto di essere riuscito a sottrarsi a quel ronfare strepitoso,
quando due unghie, aguzze e implacabili, si chiudevano sulle sue magre
natiche svegliandolo di soprassalto.
La signora Lepic aveva scelto questo sistema come rimedio per poter
prender sonno essa pure. E Pel di Carota, tra la veglia e il sonno, rotolava
contro il muro, la testa quasi a toccare le ginocchia, le manine aperte a difesa
delle sue povere natiche tutte lividi, pronte a parare il pizzicotto successivo,
e cos, fino all'alba, tra sussulti e sonnolenza insoddisfatta, la notte
trascorreva.
A volte, un'unghiata pi feroce gli strappava un grido che destava il
pacifico signor Lepic, il quale non tollerava quei bruschi risvegli e si
sfogava a sacramentare, contro la moglie, contro il figlio, contro l'intera
famiglia che non capiva come un povero uomo, che lavorava tutto il santo
giorno, non avesse neppure il beneficio di dormire a causa di una moglie
nervosa e di un figlio tanto malvagio ed insolente da pregiudicare la serenit
della famiglia, con quelle sue stupide manie di far tutto ad oltranza, anche
russare.

In quelle notti cos tormentate, Pel di Carota piangeva con la faccina


affondata nel cuscino, perch la mamma non lo udisse, e pregava il buon Dio
che gli togliesse quel ridicolo vizio di russare o gli suggerisse il mezzo per
poterlo eliminare.
Pel di Carota, quando si verificavano queste clamorose proteste, capiva
che, prima o poi, avrebbero mandato ad effetto la minaccia che da tempo
pesava sul suo capo: mandarlo a dormire in una stanza da solo.
Sapeva quale stanza fosse quella a lui destinata e paventava il giorno in
cui avrebbe dovuto rassegnarsi a trascorrervi le notti, padrone di russare fin
che ne avesse avuto voglia.
Era una stanza che serviva da sgombero, piccola, stipata di mille cianfrusaglie in cui, quasi certamente, i topi avevano pianta stabile, anche se, nelle
sue frequenti esplorazioni, non ne aveva mai veduti. Ragni, e piccoli
animaletti pallidi di cui non conosceva il nome, si annidavano qua e l sulle
pareti ma i topi non comparivano mai. Si udiva un rosicchiare lieve lieve,
come il ticchettio di un orologio e quando aveva asserito che erano topi, lo
avevano assicurato che non erano nella stanza, ma nel tetto, su nelle travi,
oltre l'intonaco del soffitto, ma egli non ne era rimasto molto convinto.
Quel triste giorno sarebbe venuto, lo sapeva e lo paventava. Come poteva
far capire alla madre che aveva paura a dormire da solo in quella stanzetta
isolata dal resto della casa?
E come poteva dirle che quando dormiva nel suo letto e sentiva il suo
tepore e il suo respiro, si sentiva confortato e protetto?
Se avesse trovato il coraggio per fare capire alla madre queste cose si sarebbe sentito rispondere:
Paura? Tu paura? Non dire sciocchezze. Tu non hai paura di nulla, sei
soltanto un ragazzo fastidioso e ti piace turbare il mio sonno e il sonno di tuo
padre con quei barriti da elefante che fanno tremare i muri della stanza.
Ormai sei grande, devi dormire da solo, basta con le moine e le suppliche.
Sono indegne di te. Mi hai annoiato abbastanza con le tue suppliche e i tuoi
lagni.
E un giorno, un brutto giorno, Onorina e la madre portarono un materasso
rifatto di fresco in quella famosa, orribile stanza. Con l'obbligo, sanzionato
da tutta la famiglia, di dormire da solo per poter russare quanto e come gli
pareva, i guai di Pel di Carota non ebbero fine.
Un ben pi grave conflitto sorse fra il suo cervello e le necessit del suo
corpo.
All'et che gli altri ragazzi s'accostano alla Prima Comunione, candidi d'anima, gentili, educati e pieni di contegno, Pel di Carota si trov a dover
risolvere un problema avvilente e tale da lasciarlo mortificato per giornate

intere.
La prima volta che bagn il letto, quel famoso letto in cui dormiva da
solo, fu scusato e qualche risata pose fine al suo rossore.
Ud la mamma, quando metteva il materasso al sole, dire con Onorina:
Avr sognato, quel pigrone, d'essere comodamente sistemato in altro
luogo e ... continuando a dormire e a sognare, ha combinato questo guaio.
Felice e Ernestina non hanno mai fatto una cosa simile, nemmeno quando
erano pi piccini. Pel di Carota un piccolo sudicione, senza amor proprio.
Speriamo che non capiti ancora.
Invece capit, purtroppo, e capit molto spesso.
Pel di Carota era convinto che in lui qualche cosa non funzionasse e
poich alle risate di commento della prima malaugurata bagnatura si
sostituirono parole grosse, minacce, offese degradanti, il povero ragazzo non
riusciva a capire perch, proprio a lui, nell'incoscienza di un sonno profondo,
mai conosciuto prima di allora, senza risvegli bruschi e pizzicotti
improvvisi, dovesse capitare quello strano fatto tanto incontrollabile.
Quello che, sopra ogni altra cosa, lo poneva in uno stato di inferiorit che
lo accasciava come una malattia e gli paralizzava gesti e parole, era il
disprezzo e la derisione che leggeva negli occhi del fratello, mentre
Ernestina, fingendo di non saper nulla, non risparmiava frecciate e allusioni,
ridacchiando nel vedere il suo materasso e le lenzuola al sole e scostandosi
da lui come se fosse un essere immondo.
Schiacciare il capo a una pernice ferita, fingere di non aver paura ad andare, ogni sera, a chiudere il pollaio, mettere in fuga ipotetici banditi, erano
glorie scontate.
Quel materasso al sole era la sua croce, il suo golgota, il suo supplizio.
Ogni sera, prima di andare a letto, Pel di Carota si ingegnava a prendere
tutte le precauzioni del caso.
A tavola non beveva neppure una goccia d'acqua e, specialmente d'estate,
la sete era un tormento indicibile.
Prima di coricarsi, girava intorno alla casa, quando andava a chiudere il
pollaio, e mentalmente pregava il suo angelo custode di liberarlo da
quell'incomodo liquido che stazionava dentro di lui e che non intendeva
uscire. Ma veniva l'ora di andare a letto e non accadeva che di rado quella
benedetta e tanto attesa liberazione.
A volte, il padre ed anche Felice, ridendo e spassandosela un mondo alle
sue spalle, davano il buon esempio e lo invitavano a fare altrettanto.
Pel di Carota ci si metteva di buona volont e gli pareva che la cosa fosse
immensamente facile e quando i due, sghignazzando, domandavano:
Tutto bene, Pel di Carota?

Dalla siepe a cui s'era accostato partiva una voce tutt'altro che fiera ad assicurare:
Tutto bene.
Ma era una solenne bugia.
Contenendo una stizza che lo faceva fremere fino ad odiarsi accendeva,
insieme agli altri, la sua candela e s'avviava sgomento alla sua stanza.
Si spogliava, s'inginocchiava sul nudo pavimento per pregare, e a piedi
nudi, convinto che il freddo fosse un buon alleato, aspettava la madre.
Essa entrava, come ogni sera, tenendo ben in vista un recipiente utile ad
evitare che il letto ricevesse la consueta pioggia e sempre con parole
piuttosto dure ripeteva gli stessi insegnamenti:
Impara a non essere pigro, appena lo stimolo ti avverte, non poltrire
nel letto, svegliati, scendi, provvedi a quel che occorre: io sono stufa,
arcistufa di queste tue prodezze notturne e se non ti correggi ti mander a
dormire nel fienile, capito? questa era la sua buonanotte.
Pel di Carota diceva di s, di s, con la testa, che le parole gli si gelavano
nella strozza, e la madre soffiava sulla candela, gli rimboccava le coperte e
se ne andava chiudendo la porta a chiave sapendo che aveva paura a dormir
solo.
E l'incubo notturno rimaneva a vegliare accanto a lui come un nemico implacabile, deciso a distruggerlo.
Mio Dio pregava Pel di Carota con gli occhi gi grevi di sonno
mio Dio, fa' che io mi svegli ...
Ma raramente ci accadeva.
Qualche volta scendeva a patti con se stesso ed era convinto che una
ignota malattia s'annidasse nel suo corpo e si ostinava a supporre che le
persone adulte dovessero sapere di che rimedio aveva bisogno. Il fatto di non
sottoporlo ad una visita medica e ad una cura adatta riteneva che fosse a
causa del loro palese disinteresse per lui e questo lo addolorava pi di
quanto non facessero le risatine amare e le parole offensive.
Una notte, il diavolo ci mise la coda e tutto and a rovescio. Si svegli,
come se una mano lo avesse scosso ed avvert, impellente, quel certo
bisogno.
Se ne rallegr come di una vittoria e salt gi dal letto senza indugio.
La stanza era buia. La candela la lasciavano sul comodino ma non gli lasciavano gli zolfanelli, per timore di un incendio, sapendolo tanto sbadato.
Si inginocchi a terra e tenendosi con una mano alla sponda del letto,
cominci a ispezionare il pavimento, sotto al letto, per afferrare quel certo
recipiente. Ma per quanto la sua mano si allungasse a destra e a sinistra e
percorresse l'intero spazio del pavimento occupato dal letto, non trov nulla.

Si arrest cercando di ricordare se, anche quella sera, sua madre aveva
compiuto il consueto gesto. Non ricordava.
Torn a ispezionare il pavimento, palmo a palmo, ma non trov nulla. Intanto, quel certo bisogno urgeva in modo quasi spasmodico. Che fare?
Rest in piedi nella stanza buia, col freddo che saliva dal pavimento lungo
le sue gambette esili, a riflettere: la mamma si era forse dimenticata di
portare quel che cercava?
La porta della sua stanza era chiusa e mai pi avrebbe destato tutta la casa
per quella ridicola necessit di cui la pi elementare educazione insegnava di
non parlare mai.
La finestra munita di inferriata impossibile utilizzarla perch non guarda
in corte, ma s'affaccia sul salotto buono e, proprio sotto, c' il divano e il
tappeto di cui la mamma tanto orgogliosa. E poi, anche se guardasse
altrove, quella finestrella troppo alta e nella stanza non c' neppure una
sedia ...
Torna a esplorare con ambedue le braccia sotto al letto, spera sempre di
trovare quel che affannosamente cerca e, pi il tempo passa, pi si rende
conto che l'irreparabile deve accadere.
Dove? Non sul pavimento: la mamma se ne accorgerebbe subito, al mattino, appena entrata e chi sa quale diluvio di parole inaugurerebbe quel nuovo
sistema di scarico.
A forza di rigirarsi nella stanza buia Pel di Carota ha perduto
l'orientamento, piange di rabbia, incalzato da quel bisogno che non ammette
ritardi. Vaga ancora per il poco spazio che la stanza gli offre e di colpo, le
mani appoggiate alla mensola di un caminetto in disuso, lascia che quel che
lo angustia fluisca interamente da lui come un male che si placa goccia a
goccia.
Una quasi felicit lo investe mentre ritorna verso il letto, un letto asciutto,
ancora tiepido del suo tepore e vi si accuccia beato lasciando che il sonno lo
accolga nel suo grembo, sicuro di poter dormire fino al mattino senza che
quel tarlo roda il suo cervello e gli impedisca di abbandonarsi alla
beatitudine di un sereno riposo.
Dorme ancora, di un sonno profondo, quando al mattino la signora Lepic
entra nella stanza, arricciando il naso con una smorfia di disgusto che non
preannuncia nulla di buono.
Su, poltrone, svegliati!
Strappa le lenzuola e le coperte con un gesto sicuro, come sempre, certa di
trovare la prova dell'infamia, di cui percepisce l'odore.
Il letto asciutto e Pel di Carota ha due vispi occhietti sorridenti come chi
pienamente sicuro e soddisfatto di s.

Ma quell'odore, allora?
La signora Lepic ha buon naso e presto scopre la fonte di quel fetore che
la sconvolge. Un grido risuona nella stanzetta e le sue braccia, come due
clave colpiscono Pel di Carota che ancora sorride.
La mamma picchia di rado ma, quando picchia, ha le braccia possenti e
pare che strizzi il bucato tanto ad ogni colpo ci si sente come maciullati.
Pel di Carota si difende tenendo le braccia alzate contro la testa e tenta di
giustificarsi:
Mamma! Mamma ... ho cercato sotto al letto, non c'era ...
Ma, chiss perch, la mamma continua a tempestarlo di pugni e a strillare:
Le patate, le patate ...
Di che patate si tratta? Pel di Carota riesce a guardare, oltre il letto, il luogo del suo misfatto. L sotto, nel cavo del caminetto, sono riposti due sacchi,
che egli non aveva mai notato abituato com' a vedere, riposte nella stanza a
lui destinata, le cose pi varie.
Gi, le patate; le patate son l in quei due sacchi bernoccoluti e una ampia
macchia scura denuncia il suo delitto.
Pel di Carota piange disperato: non tanto per le botte quanto per quelle patate che rappresentano la sua rovina presso tutta la famiglia, una rovina che,
per mesi e mesi, come una condanna peser sul suo capo senza possibilit di
appello.
La mamma uscita dalla stanza, ed egli ne ode la voce lungo il corridoio,
squillante e accusatrice, a cui fanno eco scoppi di risa e di bestemmie.
La sente rientrare nella stanza e resta raggomitolato nel letto con il capo
fra le braccia, pronto a subire altri manrovesci, quando avverte un certo
trapestio sotto al letto mentre la mamma grida a perdifiato:
Bugiardo! Bugiardo! Hai detto che non c'era, sotto al letto, e questo,
questo, cos'? Che cosa ho mai fatto al Cielo per meritare un figlio come te,
sudicione, bugiardo, infingardo e senza un briciolo di amor proprio!
Pel di Carota, ritto in mezzo alla stanza, tremante nella camicia da notte,
guarda sotto al letto, affascinato. Quel che ha tanto cercato l, con la sua
aria tronfia e mortificante. Ma c'era veramente stanotte?
Ecco di nuovo la mamma e dietro di lei ciabatta Onorina. Portano secchi,
scope, strofinacci e inondano il caminetto e la stanza intera come se fosse
scoppiato un incendio.
Pel di Carota s' vestito in tutta fretta sotto le occhiate compassionevoli di
Onorina che lo guarda come qualche cosa di repellente e di disgustoso,
mentre la mamma continua a salmodiare:
Sei un miserabile! Un figlio senza buon senso, snaturato! Vivi come le
bestie: dessero un vaso a una bestia, imparerebbe a servirsene ma tu, no! Tu

ti avvoltoli, come un maiale, nel tuo sudiciume: stanco di annaffiare il letto,


gironzoli per la stanza e depositi quel che ti ingombra dove pi ti piace. Dio,
Dio mio perch proprio a me toccato un simile castigo? Morr pazza,
pazza, per colpa di questo figlio impudente, questo figlio che la mia
dannazione...
Pel di Carota continua a guardare sotto al letto: quel vaso bianco e vuoto
lo abbaglia. Pi lo guarda pi si convince che alla notte non c'era. No, non
poteva esserci. Ricorda d'essersi sdraiato lungo disteso sul pavimento e di
aver mosso le braccia in ogni direzione. Se c'era non poteva non incontrare
la sua liscia rotondit che ora lo accusa e pensa: Povera mamma! Ieri sera
lo ha dimenticato, ha sempre tante cose da fare. E stamane, non ha voluto
ammettere la sua dimenticanza e l'ha posto l sotto, di nascosto, per farmi
sentire il peso della mia vergogna ancor pi duramente: povera mamma! Che
tristo figlio son io....
Ma ai rimproveri della mamma, alla sua giusta indignazione, ben peggiore
lo scherno dei fratelli che lo attendono in cucina con l'aria di chi non sa
nulla mentre un sorrisetto di scherno guizza sulla loro faccia.
E suo padre? Suo padre ha un viso afflitto come di chi deve sopportare un
ingiusto castigo. Non parla, lo guarda da capo a piedi, come per misurare
quanto grande la sua disgrazia ed esce di casa con un passo pesante, come
se trascinasse un fardello troppo grave.
Non risponde al timido buongiorno del figlio: lo ignora e Pel di Carota
resta l, inchiodato al pavimento, piccolo e scialbo in quella grande cucina
che il mattino luminoso rende pi spaziosa, mentre dal tavolo, dove Felice
ed Ernestina stanno facendo colazione, parte una serie di piccoli rumori
soffocati, alternati da parole sussurrate a mezza bocca e da schiocchi di
lingua contro il palato, un concerto in sordina di cattiveria e di disprezzo che
affligge il colpevole pi delle dure parole materne.
Oh, perch nessuno, nessuno, gli offre un briciolo di piet affettuosa, perch a nessuno viene in mente che non sia colpa sua se accadono fatti cos
riprovevoli?
La sua vergogna dilagher per tutto il vicinato.
I familiari afflitti racconteranno le sue malefatte come una calamit a cui
non possono sottrarsi e riceveranno parole di conforto. Guarderanno lui
come una bestiola priva di ogni raziocinio e se anche si far piccolo, piccolo,
troveranno ugualmente il modo di piantargli in faccia quei loro occhi dallo
sguardo sarcastico e insolente che corre sulla pelle come la punta di una
frusta.
Pel di Carota se ne va per i campi, digiuno. Nessuno l'ha invitato a far colazione.

Ogni sasso che incontra sul viottolo, lo raccoglie e lo lancia lontano, con
una stizza e una violenza, come se dovesse, ogni volta, colpire la faccia di
chi lo accusa di un peccato che, in coscienza, sa di non aver commesso. Se
ne va, sotto il sole, con le mani in tasca, con quella sua andatura dinoccolata
domandandosi perch, proprio a lui, debbano capitare cose cos incontrollabili.
Pensa d'essere malato, d'un inguaribile male, ma non piange, si rassegna e
scalcia nella polvere e, ad ogni calcio, scuote dalle sue spalle il peso di tante
parole dure, di tanti sguardi di repulsione, di tanti sorrisetti ironici, fino a
sentirsene liberato al punto che, fatto dietro front, torna verso casa e sulla
soglia della cucina, alla madre ed a Onorina che lo guardano in tralice,
chiede, con la voce di sempre, come se nulla fosse accaduto:
Non si mangia, stamane?
Divora la sua zuppa di latte in silenzio poi, risciacquata la tazza, si avvia
di nuovo verso i campi, fischiettando.
La madre piange: decisamente quel figlio non ha un grammo di amor proprio in quel suo cervello bislacco.
Quando torna, a mezzogiorno suonato, si lava le mani, saluta il padre, gi
seduto a tavola, e sbircia i fratelli con quei suoi occhietti da topo in continuo
agguato. Nessuno fiata.
Quando giunge in tavola il melone, un melone fresco e fragrante che fa
voglia a vederlo, la madre distribuisce le fettine e quando tocca a Pel di
Carota, il piatto da portata vuoto.
Non c' pi melone per te dice la signora Lepic ma a te, come a
me, il melone non piace.
Pel di Carota pensa che non ha mai enunciato una simile accusa contro il
melone e pensa che si tratti di una forma di castigo, per quanto sappia che,
anche in altre occasioni, gli vengono imposti gusti e disgusti senza che il suo
parere abbia mai influenzato tali decisioni.
Quasi sempre, quando in tavola c' del formaggio, la signora Lepic dice:
Pel di Carota non ne prende, sono sicura.
E Pel di Carota, per non contrariare la mamma, dal momento che lei sicura che di formaggio lui non ne vuole, si guarda bene dal dichiarare che una
fettina, anche piccola, la gradirebbe. Il suo amore, la sua ubbidienza, fatta
di queste piccole trascurabili cose e sono cos piccole che nessuno le rileva,
nessuno le apprezza e Pel di Carota ne pago ugualmente, perch bisogna
pure in qualche modo dimostrare che si capaci di voler bene.
Che cosa pu rappresentare una rinuncia tanto trascurabile se fatta per
compiacere chi gi tiene puntati i suoi strali per scovare sempre pi gravi
mancanze nelle pieghe di un carattere cos difficile da capire? Questo pensa

Pel di Carota in attesa che gli altri si alzino da tavola, per aiutare a
sparecchiare, come suo preciso compito ogni giorno.
Porta queste bucce di melone ai conigli lo esorta la madre e a Pel
di Carota non pare vero di ubbidire, solerte e premuroso. S'avvia tenendo il
piatto con ambo le mani, bene in bilico perch le bucce non si rovescino e
quando entra sotto il tettuccio della gabbia dei conigli, gli animaletti gli si
affollano intorno, con i musetti umidi e le orecchie ritte:
Ehi, un momento, piccoli ingordi, un momento, facciamo le parti, non
vorrete tutto voi, spero!
Nella gabbia dei conigli, Pel di Carota, piccino com', ci si trova a suo
agio. Il puzzo non lo disturba, siede su un mucchio di cardi rosicchiati e
distribuisce ai conigli i semi del melone e le bucce che non conservano
neppure uno strato di polpa gialla perch, in quel residuo del frutto, Pel di
Carota affonda volentieri i suoi dentini, riservandosi altres di bere il dolce
succo che resta sul tondo del piatto, mentre i conigli fanno ressa attorno a lui
disputandosi le bucce che, dopo averle accuratamente ripassate, egli
distribuisce loro.
Nella gabbia dei conigli Pel di Carota si attarda, anche quando il piatto dei
rifiuti completamente vuoto. Ama restar l accovacciato ad accarezzare
quelle morbide bestiole che gli dimostrano una certa confidenza, malgrado la
loro estrema timidezza, e lascia che gli si accostino fiduciose come se
trovasse in quella loro familiarit motivo di affettuosa protezione.
la tranquilla ora della siesta. Tutto tace all'intorno. Dai buchi delle tegole sconnesse filtra qualche raggio di sole e Pel di Carota deve fare uno sforzo
per uscire da quel buio andito fresco, per timore di addormentarsi fra i
conigli.
LA CARABINA
Raramente, con il fratello Felice, Pel di Carota lavora nell'orto. Possiedono entrambi una zappa: quella di Felice stata fatta su misura ed adatta
alla sua statura. La zappa di Pel di Carota l'ha fabbricata lui stesso ed di
legno, non di ferro come quella del fratello, che penetra nella terra arida
senza sforzo. Ma Pel di Carota fiero della sua zappa e lavora di buzzo
buono gareggiando con Felice, restando al suo fianco, in linea retta, per
dimostrare che il suo solco non resta indietro da quello che sta tracciando il
fratello.
Ad un tratto, chiss come e chiss perch, un colpo di zappa di Felice
prende Pel di Carota in piena fronte.
Il sangue sgorga copioso e, alle sue grida, tutti accorrono per portare soc-

corso a Felice che svenuto alla vista del sangue.


Con molte cautele Felice viene trasportato in casa e coricato sul letto mentre tutti si affannano a cercare i sali, l'aceto, e lo spruzzano d'acqua fresca
perch rinvenga.
In quel trambusto si sono dimenticati di Pel di Carota, che si bendato alla meglio la sua ferita mentre il sangue continua a inzuppare la fasciatura.
Il signor Lepic, al vederlo cos conciato, ha commentato:
Ti sei fatto aggiustar per le feste ...
E la sorella Ernestina, che finalmente si decisa a fasciarlo in modo acconcio, al veder la ferita ha esclamato:
La zappa t' penetrata nella fronte come nel burro ...
Ma Pel di Carota non ha strillato, nemmeno quando lo hanno medicato
con qualche cosa che, sul taglio, frigge e brucia come un tizzone acceso. Gli
uomini non piangono, si dice, mentre gli altri osservano che quel minuzzolo
d'uomo fatto in modo che non avverte neppure il dolore fisico.
Intanto, Felice ha aperto un occhio, poi l'altro e va ripigliando lentamente
colore e tutti se ne rallegrano ed una gran pena esce dal loro cuore.
Mamma Lepic, che fino a quel momento non ha aperto bocca, presa dallo
spavento, mentre rincuora il figlio maggiore si duole che sia cos sensibile e
impreparato ad affrontare le avversit della vita e guardando Pel di Carota
che, ai piedi del letto, assiste alla lenta ripresa del fratello, non pu far a
meno di esplodere, con quel suo tono stizzoso e insofferente:
Ma non potevi star attento, ed evitare questo guaio?
E Pel di Carota si chiede come poteva stare attento se ha sentito quel
colpo senza neppur vedere la zappa nel suo improvviso balzo verso la sua
povera fronte.
E si chiede ancora come ha potuto, Felice, che era alla sua destra, in linea
parallela con lui, deviare la traiettoria del suo arnese, fino a colpirlo.
E tante altre cose si chiede ancora, ma rinuncia a risolvere tutti quei problemi che si affacciano alla sua piccola mente. Gli sembrano sproporzionati
alla sua capacit di intendere il perch certe cose capitino proprio e soltanto
a lui.
La testa gli duole, la fasciatura troppo stretta. Si passa una mano su quel
turbante che la sorella gli ha arrotolato attorno alla testa continuando a
dichiarare che lo rende oltremodo buffo. Sente che la superficie della
fasciatura asciutta ed certo che presto guarir e, forse, una cicatrice
rester a solcare la sua fronte, come una di quelle indelebili tracce di cruenti
duelli di cui si ornano i cavalieri di cappa e spada dei suoi romanzi preferiti.
***

Un giorno, il signor Lepic ha portato a casa una carabina. una bellissima


carabina di precisione, lucente e di fattura accurata, una carabina che Pel di
Carota ha lungamente sognato di possedere.
Il signor Lepic ha presentato la carabina ai figlioli dicendo loro:
Una carabina basta ad entrambi. I fratelli, quando si vogliono bene,
sanno dividere ogni cosa.
Certo, pap pronto ad affermare Felice. Anzi, basta che Pel di
Carota me la presti ogni tanto. Puoi consegnarla a lui.
Pel di Carota ha la gola asciutta ma non dice n si n no; ha imparato a
non fidarsi delle premure del fratello e teme sempre che nascondano qualche
secondo fine.
Il signor Lepic mostra la carabina in ogni sua parte, ne elogia la
perfezione e la funzionalit e si affretta a dimostrare come calzi a pennello
nel suo fodero di panno verde, raccomandando di non trascurare mai questa
necessaria previdenza, perch la polvere e la ruggine non la deteriorino.
Chi la porter per primo? chiede soddisfatto dell'interesse con cui i
figli seguono ogni suo movimento.
Cedo l'onore a Pel di Carota risponde Felice.
Pel di Carota fa un passo avanti, emozionatissimo. Il padre accomoda la
carabina sulla spalla del figlio e rivolto a Felice gli dice:
Bravo. Mi piace che tu sia gentile con il tuo fratellino. Mi ricorder di
questa tua buona disposizione verso di lui. Ed ora andate a tare un primo
giro di prova. Divertitevi e non bisticciate.
Possiamo prendere il cane? chiese timidamente Pel di Carota con
gli occhi sfavillanti dal piacere di sentire il peso della carabina sulla sua
spalla.
No. Niente cane. Farete il cane a turno, un po' per ciascuno. Del resto i
cacciatori abili non hanno bisogno di cane: essi non feriscono la preda, l'ammazzano e non resta altro compito che raccoglierla e metterla nel carniere.
La mattinata splendida. Non c' un alito di vento e il cielo cos azzurro
che, contro quel chiarore, sar facile mirare anche a un moscerino.
Pel di Carota e Felice se ne vanno. Hanno gli abiti di ogni giorno e non
hanno stivali adatti a camminare sulla terra arsa della brughiera. L'orlo dei
loro pantaloni tocca i calcagni ma spesso il signor Lepic, che un cacciatore
provetto, ha assicurato che il vero cacciatore non ha bisogno di abiti adatti e
che c' maggior soddisfazione a inciampare nella terra arata e a scivolare
nella mota quando solo la mira alla selvaggina deve polarizzare l'attenzione
del cacciatore: pi fango si dissecca sul bordo dei calzoni, pi un cacciatore
appare rispettabile, come se esibisse un trofeo in pi.

Felice cammina a fianco del fratellino e gli dice:


Son certo che non tornerai con le pive nel sacco.
Spero risponde a mezza bocca Pel di Carota che ancora non sa
capacitarsi di quella buona disposizione del fratello nei suoi riguardi.
Il prurito e il peso che sente nel cavo della spalla su cui si incolla il calcio
della carabina lo rende tanto fiero che crede d'essere aumentato di statura,
tanto s'avvia diritto e con passo sicuro.
Passa un branco di passeri. Pel di Carota si ferma e resta immobile a
seguire quel volo facendo cenno a Felice di star fermo. Il branco svolazza da
una siepe all'altra. I due cacciatori si tengono curvi e si avvicinano senza
rumore. Il branco vivacissimo, non sosta un attimo, pigola e si posa qua e
l. Felice si alza di scatto e impreca contro il fratello minore che non ha
saputo approfittare di quella bella occasione. Pel di Carota, che ha il
batticuore, ha tuttavia la pazienza, che la prima virt del cacciatore. Non
vuole sprecare un sol colpo senza dimostrare la sua bravura. Sembra che i
passeri, dopo averlo burlato con quel volare disordinato, ora lo aspettino.
Imbraccia il fucile e mira ma, in quell'istante, Felice gli abbassa di colpo
la canna della carabina verso terra e dichiara:
Non sparare, sei troppo distante.
Credi? mormora Pel di Carota intimidito dalla sicurezza con cui il
fratello lo ha ammonito.
Perdiana! Se non sai misurare le distanze, come vuoi poter adoperare
una carabina di precisione? A stare curvi pare sempre di esserci sopra e,
invece, si distanti dal bersaglio.
E Felice, rabbioso per l'incompetenza di Pel di Carota, si alza di scatto. Il
branco dei passeri si disperde, rapido, contro l'azzurro del cielo.
Un solo passero rimasto in cima ad un sottile rametto di un albero che si
piega sotto il suo piccolo peso e lo fa dondolare.
A questo si pu sparare sussurra Pel di Carota sono certo che
alla giusta distanza.
Presto, passami la carabina.
Felice l'imbraccia, mira, spara e il passerotto cade.
Pel di Carota ha gli occhi velati di lacrime. Non vede neppure dove il passero caduto. Sembra un gioco di prestigio: un attimo fa la carabina era
nelle sue mani ed ora deve fare il cane.
Che aspetti? Corri a raccogliere quel passero. Non ti decidi mai nelle
tue cose. Se aspettavi ancora, anche quel passero ci sfuggiva sotto il naso!
Pel di Carota s'avvia a passi lenti e il fratello gli grida:
Che? Fai il broncio, adesso? Tu o io fa lo stesso, no? L'ha detto anche
nostro padre. Io l'ho ammazzato oggi, tu lo ammazzerai domani.

Pel di Carota tiene nelle mani che gli tremano dal dispetto e dalla delusione quel povero uccellino ancora tiepido e con voce che il pianto trattenuto
rende afona propone:
Se andassimo subito a cercare un altro passero ... potrei provare oggi
stesso.
No, oggi no. tardi. Dobbiamo tornare a casa. Tieni tu il passero, te
lo regalo e la mamma te lo cuciner. Ficcalo in tasca e lascia che sporga il
becco. Cos si vedr che abbiamo colpito nel segno.
I due ragazzi s'avviano. Pel di Carota ha di nuovo la carabina sulla spalla
ma, quel peso, non gli da pi alcun piacere.
Sulla soglia il padre, che li ha visti venire, li aspetta. Vedendo Pel di
Carota, ancora con la carabina a tracolla, esclama:
Ma come? Ancora tu, porti la carabina? L'hai portata sempre tu?
Sempre.
Che c' nel vostro carniere?
Pel di Carota fruga nella sua tasca e mostra il passerotto che sembra ancor
pi piccolo di quando lo ha raccolto da terra. Le piumette si sono appiccicate
al suo corpicino ormai freddo e Pel di Carota lo lascia cadere, con disgusto.
Poi, senza aggiunger parola se ne va verso i campi. Ormai sa che cosa rappresenta la carabina per lui. Un peso sulla spalla e niente altro. Forse, col
tempo, molto, molto tempo, quando Felice si sar stancato di quel giocattolo
nuovo, lo lascer adoperare anche a lui, ma la carabina non sar pi cos
lucida, esatta e funzionante. Felice non ha cura di ci che gli appartiene e
tutto ci che tocca subisce il danno della sua indifferenza.
Succede sempre cos, per tutte le cose, libri, giocattoli, tutto ci che Felice
possiede, prima o poi, passa di propriet del fratello minore, ma in quali
condzioni? I libri sono scuciti, perdono le pagine, sono pieni di macchie, di
strappi e i giocattoli risultano sempre mancanti delle principali
caratteristiche che, in origine, formavano lo scopo e l'interesse per cui il
giocattolo era stato ideato. Ma che importa?
Anche i vestiti smessi da Felice passeranno a Pel di Carota e, anche se la
mamma provvede ad adattarli, son sempre frusti e rappezzati, scoloriti e
sdruciti e non si adattano mai alle sue spalle, alle sue braccia e penzolano sul
suo corpicino magro, con quell'aria mortificata e vuota che assumono i panni
appesi ad asciugare.
A far dimenticare a Pel di Carota questi tristi pensieri ci pensa una talpa:
una talpa nera come uno spazzacamino che attraversa di corsa il sentiero.
Pel di Carota con mossa abile riesce a catturarla e a legarle una zampa.
Per qualche tempo ci giuoca, poi gli viene la cattiva idea di lanciarla in aria e
poi riacchiapparla, ma la bestiola si dimena tanto in fretta che muta la

direzione della sua caduta e resta al suolo, inerte, appiattita, come morta.
Ha una gamba spezzata. Pel di Carota inorridisce al vedere una piccola
macchia di sangue sulla pietra bianca su cui la talpa si abbattuta.
La raccatta, con le lacrime agli occhi, rosso e tremante come se avesse
compiuto un delitto. Ora sa che deve avere il coraggio di ucciderla, per non
farla soffrire. Mentalmente chiede scusa alla bestiola che sussulta contro il
palmo della sua mano poi, coprendosi gli occhi con un braccio, la getta a
terra, violentemente, sicuro di averla uccisa e di dar tregua al suo soffrire.
Quando apre gli occhi la talpa ancora li, tutta fremente, e il ragazzo rabbrividisce mentre raccoglie un sasso per schiacciarle la testa, come ha visto
fare dai contadini che distruggono quelle divoratrici insaziabili.
Ma ad ogni colpo di pietra il suo cuoricino sussulta e quando finalmente
vede quel nero corpicciuolo immobile, sente un sudore freddo colargli lungo
la schiena ed una nausea feroce sconvolgergli lo stomaco.
Come brutta, la vita!
IL CAMPO D'ERBA MEDICA
Ma, in verit, non poi sempre brutta.
Ci sono giornate radiose, giornate in cui tutto fila per il verso giusto, in
cui nessuna talpa attraversa la strada e nemmeno una lumaca cade sotto le
suole delle scarpe.
In quei giorni tutto va per il meglio e qualsiasi cosa si faccia riesce alla
perfezione.
In una di quelle giornate felici, Pel di Carota e il fratello tornavano dai
vesperi.
Si affrettavano di buon passo verso casa poich era l'ora della merenda e
gi sentivano in bocca il gusto di una fetta di pane ben spalmata di burro e
marmellata.
Veramente, Pel di Carota, in generale, fa merenda con una fetta di pane
solo, perch vuol dimostrare che un uomo che non ha bisogno di burro e
marmellata come una donnicciola ma, quel giorno, sa che ci sar anche per
lui una tetta di pane larga pi del suo palmo, abbondantemente guarnita.
La storia di voler mangiare pane solo, quando gli altri se lo condiscono
senza lesinare, fa parte di quel curioso atteggiamento con cui Pel di Carota
desidera che gli altri si accorgano di quanto egli sia pi bravo e pi
economo, nonch privo di golosit. Ma gli altri, di fronte a queste sue
stranezze, lo giudicano un bambino che vuol essere bizzarro ad ogni costo e
non fanno caso a queste sue ostentazioni, che classificano come un difetto, e
non certo come una virt.

Il pane, con burro e marmellata, morbido sotto i denti, mentre il pane solo asciutto e s'ingroppa in bocca, e non vuole andar gi se non lo si
annaffia con bicchieri d'acqua e Pel di Carota, a volte, pur di finirla con quel
pezzo di pane che si scelto con troppa crosta, si ingozza di bocconi cos
grossi che lo costringono a masticare con tali smorfie e contorcimenti delle
mascelle che, specialmente la madre, guardandolo sbalordita, non pu fare a
meno di gridargli:
Non sai neppure mangiare come un cristiano, alla tua et! E un peccato
mortale mangiare il pane come fai tu! Offendi la grazia del buon Dio, con
quel modo di azzannare il pane come un lupo famelico!
S, la mamma ha ragione. Oggi manger con garbo la sua bella fetta di pane, burro e marmellata, come fanno Felice ed Ernestina, e al solo pensare
alla merenda si sente lo stomaco vuoto come un pozzo senza fondo.
Ma la porta di casa chiusa. Felice, irritato, inutilmente scuote la
maniglia e tira calci. La casa silenziosa.
Dove sono andati?
Non lo so.
Ma quando torneranno?
Non lo so.
Non sai mai niente, tu. Origli a tutte le porte e non sai mai niente. Pel
di Carota sbadiglia. Tutte le pietre del cortile, sotto al sole, gli sembrano
enormi fette di pane luccicanti di burro fuso.
Felice ad un tratto dichiara:
Io non voglio morir di fame. Voglio mangiare e subito, magari solo
erba, come una capra.
Erba? Ottima idea! Io ci sto esclama Pel di Carota che non avverte,
nella proposta del fratello, lo scherzo che intende fargli.
Erba, sicuro, erba. Si mangia l'insalata, no? Campano gli asini e le
mucche, senza pane e senza carne? Perch non possiamo mangiare erba
anche noi?
Bene dichiara Pel di Carota andiamo, l'erba medica tenera
come l'insalata ed buona anche senza olio e aceto.
Vuoi scommettere propone Felice che io di erba medica ne
mangio e che tu non sei capace di mangiarne?
Perch tu s e io no?
Scherzi a parte insiste Felice scommetti?
Ma perch non domandiamo ai vicini una fetta di pane, prima che
torni la mamma?
Ah! Ti tiri indietro, non vuoi scommettere, non vuoi mangiare come
me l'erba medica?

Andiamo.
Pel di Carota s'avvia verso il prato di erba medica che sfoggia sotto ai loro
occhi un verde tenero e appetitoso. Entrano nel verde pi folto, divertendosi
a trascinare i piedi ed a schiacciare gli steli molli, tracciando sentieri al loro
passaggio.
Si fermano in mezzo al campo e si lascian cadere bocconi in quella profumata frescura.
Come si sta bene! dichiara Felice lasciandosi solleticare la faccia
dalle foglioline e disponendosi a nuotare in quell'erba come in uno stagno.
Pel di Carota imita il fratello e, con movimenti regolari delle braccia e
delle gambe, sincronizzati come nel nuoto, procede in quel verde groviglio
d'erba fresca, lieto di vedere, dietro di lui, un solco di steli piegati al suolo
che, dopo il suo passaggio, non si rialzano pi.
Si diverte a pensare alla faccia che far il massaro, il giorno dopo, scoprendo quell'interminabile incrocio di sentieri entro la compattezza del prato,
chiedendosi che bestia di razza sconosciuta sia passata attraverso l'erba
medica per lasciar solchi cos profondi.
Guarda dice Pel di Carota al fratello guarda come filo!
Mi nasconde completamente, tanto alta quest'erba! grida Felice,
una volta tanto con voce cordiale, divertito da quella ginnastica nuova e
dalle sensazioni di frescura e di abbandono che si sono impadronite di lui.
Appoggiati sui gomiti seguono con gli occhi le gallerie leggere scavate
dalle talpe che serpeggiano a fior di terra con diramazioni che si dipartono
dalla galleria principale, come fanno le venature di una foglia e, di tanto in
tanto, quasi a contatto del terreno, entro quel verde folto, occhieggiano
fiorellini mai visti, di un tenero colore rosso viola e campanule bianche e
azzurre, tanto piccole e tremule che pare quasi impossibile possano rimaner
ritte sullo stelo tanto sottile.
In tutto quell'uniforme e compatto mareggiare di erba medica, i ragazzi
scoprono qua e l piccole zone, completamente pelate, percorse da una barba
di filamenti rossi allacciati fra loro.
la cuscuta roditrice, la pianta parassita della buona erba medica, una peste vegetale che divora le radici e le soffoca sul nascere. In quegli spazi
rotondeggianti le talpe hanno scavato curiosi gruppetti di tane, come piccole
tazze rovesciate, unite le une alle altre s da sembrare minuscoli villaggi
indiani.
Ogni scoperta genera nei due ragazzi motivi di commento e di osservazione che li rende loquaci; le domande e le risposte si intrecciano senza
quell'acredine che normalmente spunta fuori quando i due fratelli si parlano.
Ad un tratto, Felice, che avverte quella cordialit verbale, cos rara, quasi

pentito di tanta confidenza, rammenta a Pel di Carota la scommessa e


dichiara:
Ora basta con le scorribande fra l'erba. Abbiamo deciso di far merenda
con l'erba medica, ed io ne ho gi assaggiato qualche boccone e l'ho trovato
squisito.
Pel di Carota, che in tanta felicit aveva dimenticato l'appetito e la
promessa di gareggiare con il fratello in quel pasto di eccezione, incomincia
a masticare il primo ciuffetto di foglie tenere raccolte sulla cima di uno stelo
intatto.
Ti piace?
buona, un po' amara, ma buona ...
Bada di non toccare la mia parte e Felice fa un gesto circolare con
il braccio quasi a delimitare il tratto d'erba che intende divorare.
Pel di Carota lo vede ingozzarsi di foglioline e masticarle con evidente
soddisfazione e tenta di fare altrettanto.
Ma non vede che il fratello, appena la sua bocca piena di erba medica, si
affretta a sputarla, mentre Pel di Carota, ligio alla promessa, la mastica
adagio, ne fa una pallottola, la succhia e la inghiotte con mille smorfie,
poich trova che ha un sapore, oltre che amaro, strano e disgustoso pi di
una medicina.
Ma bisogna imparare anche a nutrirsi di erba medica e poich lo fa Felice,
perch non pu farlo anche lui?
Al primo boccone ne segue un secondo, un terzo, ed ogni volta par che lo
stomaco si rifiuti di accogliere quel grumo nauseante, ma Pel di Carota sa di
poter comandare al suo stomaco e mastica e inghiotte le cime dell'erba ogni
volta che vede il fratello fare altrettanto.
S' levata una brezza leggera che alita dolci soffi sulla faccia sudata di Pel
di Carota, in preda ad uno sconvolgente malessere. Ad ogni folata di vento,
le sottili foglie dell'erba medica vengono capovolte e lasciano vedere onde di
grigio argento e tutto il campo percorso da brividi, proprio come la
superficie di uno stagno.
Felice strappa bracciate d'erba, se ne avvolge la testa, finge di rimpinzarsi
ed imita il rumore delle mascelle di un vitellino inesperto ed ingordo. Pel di
Carota lo giudica esperto della vita, padrone del suo essere fino a poter
superare quello sconvolgimento mentre in lui il sapore dell'erba medica
diventa sofferenza e ripugnanza.
I denti stridono, la saliva scomparsa dalla sua bocca, anche il naso si fa
partecipe di quella ripulsa e gocciola una specie di lacrime che gli occhi si
son rifiutati di lasciar colare. Ma ormai si fa sera. Felice si stancato di quel
giuoco e la faccia del fratellino, congestionata e pallida, lo impressiona.

Ti senti male?
No, no.
Come al solito, hai voluto strafare. Ne hai mangiata troppa ed ora
stenti a digerirla. Io, vedi, che ho mangiato come una persona normale, non
ne risento affatto. Sto benone. Ti prometto che non dir a nessuno che hai
fatto una scorpacciata di erba medica. Non voglio che ti giudichino pi
goloso di quel che sei.
Vanno verso casa e Pel di Carota sente un tale rimescolio dentro di s che
fatica persino a camminare.
Piano piano la nausea si affievolisce e dallo stomaco salgono ondate di
un'acqua amara che, senza farsi vedere dal fratello che cammina avanti a lui,
getta fuori ad ogni rigurgito.
In tavola gi pronto per la cena.
L'odore del cibo fumante d a Pel di Carota un turbamento che disgusto
per tutto ci su cui si posano i suoi occhi.
Ma si siede a tavola imperterrito e quando la madre gli si avvicina per
mettergli nel piatto la sua cena, fa un gesto con la mano per rifiutare.
Siamo alle solite! Questo non ti va, quest'altro non ti piace, nessuno
pi schizzinoso di te. Guarda Felice ed Ernestina, essi sono sempre contenti
di tutto. Tu, che cosa vuoi? Lingue di pappagallo? Figlio mio, se non ti piace
la cena, questo quel che passa il convento. Andrai a letto a pancia vuota.
Anche il padre ha brontolato qualcosa al suo indirizzo e Pel di Carota si
guarda attorno: tutti mangiano di buon appetito, anche Felice, che non
risente affatto della scorpacciata di erba medica. Solo a lui quel pasto
stravagante ha fatto male. Decisamente non robusto come il fratello.
Inutile voler competere con Felice, ogni volta accade la stessa cosa. Chi
perde nel confronto sempre lui.
***
Da un po' di tempo le cose in famiglia vanno abbastanza bene. Le notti
trascorrono tranquille, all'asciutto, quel maledetto bisogno non insorge pi a
tormentare Pel di Carota che, dopo la indigestione dell'erba medica, ormai
dimenticata, ha ripreso quota e gioca e sfaccenda per casa, sempre pronto
a,ubbidire a qualsiasi richiesta della mamma.
Anzi, Pel di Carota si stupisce che, da un po' di tempo, nessuno si interessi
di lui, n in bene n in male, e chiss perch gli viene in mente che bisogna,
di tanto in tanto, fare qualche cosa di clamoroso per attirare l'attenzione
degli altri sulla sua insgniifcante personcina.
Un giorno, a tavola, senza motivo, dichiara:

Io non bevo pi.


Questa uscita, sulle prime, non raccoglie l'interesse di nessuno, poich
credono che abbia detto non bevo pi riferendosi al momento presente.
Ma quando la mamma, come a! solito, a fine pasto, gli mesce due dita di
vino, Pel di Carota si affretta a precisare:
Grazie, mamma. Ho detto che non bevo pi.
Come sarebbe non bevo pi? Che altro capriccio t' saltato in
mente? Tanto di risparmiato: il vino lo berr qualcun altro, visto che tu non
ne vuoi.
Ernestina e Felice lo guardano con un sorrisetto pietoso. Quel loro fratellino davvero una ne fa e una ne pensa. Per quale stranezza non vuol pi bere?
Per tutta la giornata Pel di Carota non beve. La temperatura dolce ed egli
si stupisce di non sentir sete e si rallegra al pensiero che pu imporre al suo
corpo ci che lui vuole e che la sua volont ha un potere sconfinato anche
sui normali bisogni a cui gli altri non si sanno sottrarre.
fiero di questa constatazione e la giudica una vittoria su se stesso, una
specie di prova a cui gli altri assisteranno sbalorditi e meravigliati. Si
chiederanno come mai un ometto come lui, gracile e sprovveduto in
apparenza, abbia tanta forza di volont e tanto potere da proibirsi di bere
senza risentirne alcun danno.
Il giorno appresso, la signora Lepic, apparecchiando davanti a Pel di
Carota, domanda:
Bevi, oggi, Pel di Carota?
No mamma, grazie, non ho sete.
Allora non ti metto in tavola il bicchiere. Se avrai sete lo prenderai da
te, nella credenza.
La sera e il giorno seguente, il posto di Pel di Carota non ha che il piatto e
le posate. Niente bicchiere.
Indubbiamente egli si aspettava che padre, madre e fratelli, stupiti per
questa sua rinuncia al bere, si chiedessero, preoccupati, che sorta di malanno
lo avesse colto per non sentire, come tutti i cristiani, il bisogno di bere.
Invece nessuno se ne d pensiero, nessuno in ansia per questo suo innaturale proposito, tutt'al pi serve a suscitare frasi scherzose e allusioni che
muovono il riso.
Persino il signor Lepic, che a tavola non parla mai, un giorno esclama:
Vivere senza bere una qualit molto rara. Ti servir in avvenire se
mai ti troverai solo e sperduto nel deserto e senza cammello.
E Felice, fra le risa di tutti, spiega:
Il cammello ha sempre una buona riserva d'acqua per chi muore di sete. Basta sgozzarlo e recuperare una sacca che ha nello stomaco ...

Ma tutti son convinti che beva di nascosto e lo lasciano fare quel che
vuole senza minimamente preoccuparsi.
Poi viene il momento delle scommesse:
Star una settimana senza che si scopra a bere afferma Ernestina
vuoi scommettere?
Io credo che non resister pi di tre giorni: vedrai, fino a domenica...
Dove vuoi che vada a levarsi la sete? Al fiume?
Pel di Carota che ha sentito i loro discorsi giura di non aver mai bevuto di
nascosto e afferma con importanza, furbescamente:
Io non berr mai pi. Guardate i conigli, i porcellini d'India, bevono
forse? Eppure vivono bene, perch non dovrei vivere altrettanto bene io?
Giusto, tu e un porcellino d'India fate un paio ...
Ma Pel di Carota si intestardito a far vedere cosa vale: intenzionato a
tener duro, oltre il massimo limite della resistenza.
La signora Lepic continua ad ignorare il suo bicchiere, quando apparecchia, e Pel di Carota si guarda bene dal reclamarlo.
Accetta, con animo indifferente, le frecciate ironiche e le rare parole di
ammirazione per quella sua inutile bravata di cui comincia a sentire un certo
fastidio: la pelle secca, la gola arsa, lo stomaco dolente.
Ma lui si aspettava un'altra reazione alla sua trovata. Lui voleva vedere la
madre e il padre preoccupati, ansiosi, voleva che lo portassero dal dottore,
che si dessero da fare per toglierlo da quella sua cocciuta decisione.
Di tanto in tanto li sente dire:
matto o beve di nascosto.
Egli si limita a mostrar loro la lingua perch si accertino che umida e rosea e, alla fine, quel minimo di interesse dimostrato per questa sua nuova
esibizione cade nel nulla.
Intanto Pel di Carota, nel suo intimo, ha constatato che non c' nulla di
impossibile a questo mondo. Si era preparato ad una dolorosa privazione,
con quella sua straordinaria trovata, e si accorge che ne avverte solo qualche
lieve incomodo.
Cos il suo spettacolare progetto si riduce a un miserevole fallimento. Che
lui beva o non beva non interessa nessuno. L'acqua l, nel secchio,
freschissima, e pu averne fin che ne vuole. Nessuno lo priva di due dita di
buon vino a fine pranzo. Se non lo vuole, padronissimo, se ha sete berr e
metter la parola fine alla gradassata che non gli ha portato n gloria n il
tanto sospirato interesse da parte di chi gli vive attorno.
In casa Lepic non usano perdersi in congetture su quel che i figli pensano
o non pensano. Mamma Lepic e pap Lepic han ben altro da fare! I figli non
mancano di nulla: che vuole dunque quel mezzo soldo di cacio di Pel di

Carota con tutte le sue trovate senza alcun profitto?


I REGALI
Anche l'episodio della trombetta serv a mettere in evidenza quanti contrasti e quali inibizioni maturavano in quella testolina sventata di Pel di Carota.
Il signor Lepic fece un viaggio a Parigi, per affari.
Quando ritorn tutti gli si fecero attorno, appena si apprest ad aprire i!
baule, perch, di norma, egli tornava sempre dai suoi viaggi nella capitale
con un regalino per tutti.
Ora che il coperchio del baule sollevato, il signor Lepic non si affretta:
tiene le mani dietro la schiena e gusta gi il piacere che procurer ad ognuno
con ci che ha scelto interpretando i desideri e le aspettative di tutti.
Per primo, guarda Pel di Carota con malizia e poi gli chiede:
Tu, che cosa preferisci, una trombetta o una pistola?
Pel di Carota, di natura prudente piuttosto che temeraria, preferirebbe una
trombetta.
Una trombetta non scoppia fra le mani, da una trombetta, a soffiarci con
garbo, pu uscirne una arietta allegra, una festosa nota di buon umore.
Ma sa che i ragazzi della sua et non si sentono abbastanza importanti se
non si divertono con spade, armi, ordigni di guerra ed giunto anche per lui
il momento di dichiarare la bellicosit dei suoi istinti.
Suo padre aspetta una risposta. Conosce i ragazzi e sa che cosa sceglier
Pel di Carota.
Preferisco la pistola, pap afferma arditamente Pel di Carota guardando il padre con aria di superiorit non scevra da un pizzico di
importanza.
Ah! sospira il signor Lepic preferisci una pistola? Ebbene sei
cambiato, evidentemente, ma la pistola non per te.
Immediatamente, Pel di Carota si corregge:
Pap, facevo per ridere. Io non posso vederle, le pistole. E una bella
trombetta, quel che desidero, credimi, e ti far vedere come mi divertir a
soffiarci dentro e a ricavarne delle belle ariette.
Non ha nemmeno finito di parlare che la signora Lepic interviene:
Niente trombetta, imparerai cos a dir bugie ed a mortificare tuo padre
che ha scelto proprio una trombetta come giocattolo adatto alla tua et. Se ti
piacciono le trombette, perch hai detto subito che volevi la pistola? Devi
imparare ad essere sincero e coerente. Questo ti serva di lezione. Guardala,
la tua trombetta, guardala bene.
davvero una bella trombetta, tutta d'oro, con due nappine rosse e una

bandella frangiata d'oro. Una trombetta vera, non una di quelle di latta che si
usano a carnevale.
Pel di Carota non ha mai posseduto nulla di cos bello e sta per allungare
le manine quando la mamma riprende il suo discorso:
Ora l'hai guardata abbastanza e ricordati che non la vedrai pi. Ed ora
fila, va' in cucina e soffia sul fuoco, perch si ravvivi, con lo stesso fiato che
avresti sprecato per la trombetta.
Che fare? Piangere di stizza non conterebbe nulla, n conterebbe insistere
per far s che la mamma retroceda dalla sua decisione. Meglio mostrarsi
uomini capaci di sopportare le avversit della vita; con questi pensieri
profondi Pel di Carota lascia gli altri attorno al baule ad attendere il dono a
loro destinato e se ne va in cucina, sospirando e scrollando le spalle
cosicch, come sempre, tutti lo giudicheranno indifferente e scontroso, senza
che nulla lo scuota da quella sua inguaribile apatia.

La trombetta riposer in alto, nell'armadio della biancheria, dove la mamma si affrettata a riporla, avvolta nelle sue nappine rosse e nella bandierina
con la frangia d'oro e non far mai udire, una sola volta, la sua voce.

Rester confinata sull'alta pila delle lenzuola che odorano di bucato chiss
per quanto tempo, inaccessibile, muta come la tromba del giudizio
universale.
***
Dentro di s Pel di Carota se ne rammaricava e se ne doleva pi di quanto
lasciasse intendere ma, per una sorta di orgoglio mal coltivato, per un pudore
dei propri sentimenti, inutile ed errato, quando sarebbe stato tanto facile
essere se stesso, senza inibizioni, senza controlli, senza disciplina, quel
guscio tutto spine che formava il suo carattere lo chiudeva in una corazza di
cinica indifferenza e gli negava quella comprensione e quello slancio di
simpatia cui segretamente aspirava.
Se qualcuno l'avesse preso in disparte, ogni volta che si verificavano queste incresciose circostanze, e gli avesse spiegato dove era il male e dove
stava il bene avrebbe dovuto sorgere in lui, come da una polla d'acqua viva,
una certezza d'intuito limpido e sano, senza storture e senza pregiudizi e
avrebbe imparato quale giusta strada occorre percorrere perch la vita sia
meno avara con le sue creature.
Avrebbe potuto ascoltare la voce della saggezza e della logica e avrebbe
cominciato a veder le cose dal punto di vista della realt e a non soffrire pi,
d'una sofferenza sempre pi acuta, per quel groviglio in cui si dibatteva.
Ma nessuno si prendeva la briga di aprirgli gli occhi e lui pensava di non
essere amato: e sbagliava di grosso.
Perch lo amavano, forse a modo loro, un po' ruvidamente, ma lo amavano ed egli non voleva vederlo, non voleva scoprire quella piccola fonte di
gioia, che con il suo modo di fare, anzich essere una sorgente di letizia,
diveniva una pozzanghera torbida come la riduceva il fango e la polvere che
egli lasciava accumulare su tutte le cose migliori, per quel gusto malato di
sentirsi incompreso, burlato, estraneo alla vita degli altri.
* **
La domenica, per esempio, era sempre una giornata particolare. La signora Lepic pretendeva che i suoi figli andassero alla messa in perfetto ordine.
Ernestina era incaricata di farli belli e presiedeva, fin dal mattino, alla loro
toeletta rischiando di far tardi a prepararsi essa stessa.
Sceglieva le cravatte, ispezionava le unghie e le limava quando erano
spezzate e rosicchiate, distribuiva i libri di preghiere, i fazzoletti candidi, i
guanti ma, soprattutto, amava impomatarli a dovere con una brillantina

abbastanza costosa e molto profumata.


Pel di Carota, ubbidiente suo malgrado, si sottoponeva volentieri a tutte
quelle attenzioni, con un sentimento di dolcezza che lo commuoveva, ma
quando si trattava della brillantina cominciava a dar segni di impazienza e a
tentar di sottrarsi a quella odiosa operazione.
I suoi capelli, duri e ribelli, sotto quello spesso strato untuoso, sulle prime
si adagiavano ubbidienti ma poi si vendicavano.
Il calore del sole scioglieva a poco a poco quella viscida copertura e,
prima al sommo del capo, poi sull'intera testa, ciuffetti rossi, come le barbe
del granoturco, si rizzavano qua e l come spine e la testa di Pel di Carota,
vista controluce, pareva la groppa di un istrice infuriato.
Ogni domenica, Pel di Carota, quando Ernestina lo avvolgeva in un asciugamano e cominciava a frizionargli la testa, se ne restava chino e borbottava:
Dammene poca, Ernestina, per piacere, dammene poca. Lo sai quel
che succede: appena la brillantina si scioglie, il mio capo sembra un campo
di stoppie sotto il gelo.
Ma Ernestina non intendeva ragioni.
Quel servizio domenicale alla testa dei fratelli era una operazione che la
riempiva di orgoglio perch riusciva, con pettine, spazzola e brillantina, specialmente per quanto riguardava Pel di Carota, a fare dei veri e propri
capolavori di ordine e di estetica.
Anche Felice odiava la brillantina ma neppure lui poteva sottrarsi a quell'infernale mania della sorella, la quale, alle proteste del fratello, barava e
prometteva:
Sta' quieto, adopero solo spazzola e pettine. Tu hai i capelli morbidi e
setosi, non sono come quelli di Pel di Carota, che nemmeno il cemento li fa
stare a posto. Guarda, il vasetto della brillantina sulla mensola, oggi per te
non lo tocco neppure.
Poi, mentre Felice stava a capo chino, ravvolto nell'asciugamano, Ernestina svelta svelta, versava la brillantina semisolida su quella massa di capelli
ondulati e s'impegnava a far la riga diritta e a sistemare il ciuffo sulla fronte.
Felice, quella domenica, senza diffidenza, non verific, passandoci una
mano, se la sua capigliatura fosse in ordine e non s'accorse della brillantina
abbondantemente distribuita anche sulla sua testa che effondeva il suo
profumo in tutta la stanza. Credette che fosse quella messa in capo a Pel di
Carota, tutto contento che, una volta tanto, non fosse toccata a lui.
La sorella gli allung i guanti di filo bianco e lo aiut a calzarli ed egli se
ne and mentre Ernestina, soddisfatta, esclamava:
Brilli come un principe!
Bast questa parola per mettere in allarme Felice.

Lo specchio gli rimand l'immagine di un damerino impomatato e lustro


come l'ala di un corvo e la sua stizza fu tale che, senza por tempo in mezzo,
afferr la caraffa piena d'acqua che era sul tavolo, a portata di mano, e
tranquillamente se la vuot in testa mentre, senza scomporsi, diceva alla
sorella che lo guardava inorridita:
Ti avevo avvertito: niente brillantina, ed io non ammetto che mi si
prenda in giro.
Poi rest l, grondante d'acqua, con i capelli che gli ciondolavano sul viso,
con l'abito della domenica ridotto in uno stato pietoso, continuando
imperioso ad asserire, rivolto ad Ernestina:
Devi imparare a tue spese che gli uomini non vanno mai burlati e
questo serva una volta per tutte. Quel tuo puzzolente vasetto di brillantina
puoi gettarlo nel letamaio. D'ora in poi i miei capelli li sistemer da me,
capito?
Pel di Carota ha guardato tutta quella scena esterrefatto.
Felice, ai suoi occhi, un modello di saggezza e di saper vivere e poich
glielo mostrano sempre come il pi fulgido esempio della cortesia e della
buona educazione, si rende conto che cos che deve agire un uomo d'onore,
negando soprusi e imposizioni.
Che cosa sarebbe accaduto se si fosse permesso lui di fare un gesto
simile?
Rabbrividisce al solo pensiero della reazione e delle busse che un simile
atto di protesta avrebbe causato. Ma Felice, evidentemente, ha coraggio da
vendere e non teme rappresaglie. cos che ci si deve comportare: con
fierezza e dignit.
Impara, impara, Pel di Carota, prendi nota e l'avvenire sar tuo!
Questi pensieri e questa risoluzione lo fanno ridere di gusto, tanto di gusto
che la madre, indispettita per quel che ha fatto Felice, per non sfogare su di
lui la sua collera, prende a scapaccioni Pel di Carota e la brillantina fa le sue
vendette: ad ogni colpo i capelli si rizzano a grumi e la sua testa assume un
aspetto tanto buffo che anche la madre nasconde il riso che le increspa la
bocca.
Quel giorno, in attesa che Felice si cambiasse d'abito, fecero tardi alla
messa e l'intera domenica parve dominata da una cattiva sorte.
Il pranzo domenicale, sempre molto importante come s'usa nelle buone famiglie borghesi, fu un vero disastro.
La carne era dura e tigliosa, mal cotta e troppo salata; il dolce s'era appiattito a causa del forno troppo caldo e una delle preziose bottiglie di vino
domenicale, sturate sempre con molta attenzione, fin in un fiotto purpureo,
tutto schiuma, sulla tovaglia ricamata e la signora Lepic quasi svenne a

quella vista. Come Dio volle l'ora della siesta rinfranc gli spiriti e il signor
Lepic, destatosi di buon umore, alle quattro del pomeriggio, dal suo ventilato
giaciglio posto sotto ai noccioli, si sent propenso ad accompagnare i figli al
fiume per un buon bagno.
Pel di Carota corse a prendere le mutandine: le sue nere mutandine di lana
ruvida e scolorita e quelle a righe rosse e azzurre di Felice e, tenendole sulla
spalla, fu il primo ad avviarsi, fischiettando, lungo il viottolo che conduceva
all'ansa del fiume in cui erano soliti fare il bagno.
allegro, Pel di Carota, decisamente allegro, tanto allegro che salta e corre ed invita il fratello a conversare:
Credi che sar calda, l'acqua?
Non lo so.
Faremo una bella nuotata, no?
Non ne ho voglia.
Ma la settimana scorsa mi avevi promesso ...
Taci e smettila di cianciare: mi dai ai nervi. E Pel di Carota,
mortificato, tace.
Ha scavalcato per primo il muretto che lo separa dalla riva del fiume, con
un salto agile e ben misurato, ed ora, sulla riva scoscesa, guarda gi, verso
l'acqua che scorre dolcemente di un bel colore verde-azzurro che invita ad
immergersi nella sua frescura. Ma di colpo, l'allegria di Pel di Carota sfuma
insieme ai riflessi dell'acqua perch ora, dopo aver fatto tanto il gradasso,
giunto il momento di tuffarsi e di restare a galla, per il tempo regolamentare
che scandir l'orologio di pap Lepic, sempre molto scrupoloso in quei che
riguarda ogni esercizio fisico a scopo igienico.
Felice si gi spogliato: ecco, si tuffa e gi s' impadronito del fiume in
cui diguazza, in lungo e in largo, con bracciate precise, in un turbinio di
schiuma argentea attorno a cui si formano leggere onde concentriche.
Pel di Carota comincia a spogliarsi, in disparte, al riparo di un cespuglio,
per nascondere non tanto la sua magrezza quanto quel tremore che lo ha
preso alle gambe al pensiero di immergersi in quell'acqua che ora gli incute
spavento, come un nemico sconosciuto che tenda un agguato.
Si toglie i panni ad uno ad uno, indugia a piegarli diligentemente, li depone sull'erba, uno sull'altro, come in un cassetto del canterano, allaccia le
stringhe delle scarpe, infila le mutandine con ancora indosso la camicia
appiccicata alla pelle per un sudorino che gli fa sentire d'essere come una
caramella avvolta in una carta attaccaticcia e aspetta, aspetta: che cosa
aspetta?
Pel di Carota chiama il signor Lepic tanto ti ci vuole a
spogliarti?

Sono pronto, pap...

Ha percorso a piedi nudi il piccolo tratto che lo separa dal fiume e, seduto
per terra, immerge l'alluce e s'attarda a provare la temperatura dell'acqua. Poi
si friziona lo stomaco e sente la pelle nuda raggrinzirsi sotto le sue dita, forse
la sua digestione non ancora ultimata e ha sentito dire che, bagnarsi in
quelle condizioni, significa andar verso la morte.
Malgrado giudichi la sua vita grama, Pel di Carota non ha voglia di
morire in un cos splendido giorno caldo e luminoso e facendo appello a
tutto il suo coraggio si lascia scivolare, aggrappandosi alle radici che
sporgono dal terreno e che lo graffiano lungo i polpacci.
Quando meno se ne accorge, l'acqua gli arriva al ventre ed in procinto di
scappare perch quell'acqua, attorno al suo corpicino tiepido, fredda e gli
pare uno spago bagnato che lo avvolga come una trottola e s'aspetta, da un
momento all'altro, di frullare, trascinato dalla corrente, proprio come una
trottola impazzita.
La zolla su cui si appoggiano i suoi piedi cede, improvvisamente. Pel di
Carota precipita sul fondo, annaspa, si raddrizza, beve, tossisce, sputa, torna
a tossire semisoffocato, accecato, stordito.
in quell'attimo che suo padre lo scorge ed esclama:
Bravo, Pel di Carota, tuffati a pi riprese, non c' nulla di pi salutare!
Ma a Pel di Carota ronzano le orecchie e la testa par che gli scoppi. Cerca
qua e l dove potere, con un minimo di rischio, fingere di nuotare ma
quasi non ricorda pi la sincronia dei movimenti che lo terranno a galla e,
come un ranocchio, muove le braccia con le ginocchia puntate sulla sabbia
del fondo e il fondo della schiena galleggia a fior d'acqua come un cocomero
messo al fresco.
Felice intanto, al largo, si esibisce in virate veramente perfette e, per
fortuna, gli sguardi di pap Lepic, assai compiaciuti, sono fissi sul figlio
maggiore e Pel di Carota non soggetto ad ironiche constatazioni sulla sua
goffaggine.
Ma quando gli capita di guardare nella pozza in cui Pel di Carota continua
a girare su se stesso come una foglia morta, pap Lepic non pu fare a meno
di consigliare:
Alza la testa, figlio mio, e muoviti adagio, con le palme aperte e non
con i pugni chiusi. E muovi le gambe in armonia con il tuo respiro, ti
affaticherai meno ...
Pel di Carota vorrebbe ribattere che nuotare senza muovere le gambe pi
difficile che in qualunque altro modo, ma il padre si gi allontanato e
osserva Felice venire verso riva a lunghe bracciate armoniose.
Attento, Pel di Carota, esclama Felice con dieci bracciate ti

raggiungo! Comincia a contarle!


Conto dice Pel di Carota con i denti che battono fra loro per il
freddo. Uno, due, tre ...
Una valanga lo sommerge: Felice gli addosso e lo tiene sotto di s,
avvinto alle sue gambe, e i polmoni di Pel di Carota son vicini a scoppiare.
Basta! grida ad un tratto il signor Lepic basta! Salite a bere un
goccetto di rum ...
Di gi? fa Pel di Carota con una vocetta dimessa come chi
impedito a continuare un divertimento estremamente piacevole.
Ho detto basta e basta sia. Pare impossibile, tu sei sempre il solito testardo. A dar retta a te dovrei lasciarti in acqua una intera giornata. Non sei
mai contento di quel che ti si concede...
In effetti, Pel di Carota con la sua protesta quasi sincero.
Ha preso confidenza con l'acqua e, malgrado il freddo, sarebbe disposto a
dare una dimostrazione di resistenza ad oltranza, non si sente pi pesante
come piombo, una strana leggerezza lo fa volteggiare nell'acqua come una
piuma e una specie di frenetico eroismo gli mette voglia di sfidare quel
liquido elemento come se a lui fosse affidato l'incarico di salvar qualcuno da
morte certa. E questo pensiero gli sembra cos elevato che finge addirittura
di pescare un annegato sul fondo e si immerge e riesce a tenere gli occhi
aperti sott'acqua tanto da vedere chiaramente i ciottoli del fondo ...
Vuoi salire, s o no? Se non ti spicci, Felice beve tutto il rum.
Pel di Carota risale adagio, come chi costretto con violenza ad abbandonare un luogo incantato. A lui il rum non piace, ma non sia mai detto che
rifiuti di berlo, dimostrandosi inferiore a Felice che d prova di gustarlo
come un nettare, da vero uomo.
Qua il mio rum, non cedo a nessuno la parte che mi spetta!
E trangugia il fondo della piccola fiaschetta come un vecchio soldato.
Hai le caviglie sporche afferma il padre guardandolo da capo a
piedi ed accorgendosi che quel suo figlio, gocciolante di acqua, pare una
cavalletta, tutto gambe e braccia com', sgraziato e senza un briciolo
d'armonia nei movimenti legnosi con cui s'avvicina a balzelloni come se
camminasse sui carboni ardenti.
Non sono sporche, pap, solo terra.
Felice giace al sole, ravvolto nel solo asciugamano disponibile ormai
completamente intriso d'acqua.
Pel di Carota si accontenta di una cocca, ancora asciutta, per strofinarsi la
pelle tutta brividi: ha mal di capo, la gola arsa, ma ride a crepapelle per far
eco alle risate del padre e del fratello. Non sa che quel ridere senza ragione
l'ha suscitato lui, perch di lui che si burlano, dei suoi piedi grandi e

deformati, del suo ciuffo rosso calato sulla fronte come una benda sudicia,
del suo corpicino legnoso, della sua pelle pallida e accapponata, della sua
comica bruttezza.
ONORINA
A Pel di Carota piaceva, nei pomeriggi di sole, restarsene a oziare all'ombra, nel retro della cucina, seduto sul gradino ad ascoltare il chiacchierio di
sua madre e di Onorina sempre in faccende.
Quel giorno, Onorina era particolarmente verbosa e la signora Lepic ne
approfittava per farle dire ci che, forse, la vecchia serva non aveva voglia di
confessare.
Quanti anni avete, Onorina!
Ne avr sessantasette a Ognissanti, signora.
Siete vecchia, ormai.
Ma gli anni non mi pesano, ancora. Fin che si pu lavorare gli anni
non contano. Io non sono mai stata malata e credo che un cavallo abbia
meno resistenza di me, alla fatica.
Penso che morirete d'un colpo, Onorina. Una sera, tornando dal fiume,
con la gerla dei panni del bucato, la sentirete improvvisamente pi pesante
del solito, vi accorgerete che la carriola sar pi dura da spingere e vi
inginocchierete fra le stanghe, con il naso sulla biancheria bagnata e
resterete l... dimentica di tutto ...
Che buffa immagine, signora Lepic! Mi fa ridere, non mi mette paura,
le gambe e le braccia sono ancora buone e se Dio vorr chiamarmi, mi
chiami pur cos, come avete detto voi, sar un bel modo di andarsene da
questo mondo...
State diventando curva.
Perch a star curva la schiena non duole, specialmente quando son
china davanti al lavatoio ...
Anche la vista vi molto diminuita. un po' che me ne sono accorta.
Ma no, signora mia! Ci vedo ancora bene come quando andai sposa!
Come mai, se ci vedete ancora tanto bene, queste stoviglie sono cos
appannate?
l'armadio che umido.
L'armadio ha forse le dita? Guardate, qui ci sono le impronte chiarissime
delle vostre larghe dita ...
Ma io non vedo niente, signora.
Ecco: non vedete perch la vista non pi buona come dovrebbe. E
quello che vi sto dicendo, Onorina. Cercate di capirmi. Non dico che siate

meno zelante e meno attenta di un tempo, ma siete pi lenta, invecchiate,


ecco. Anch'io invecchio, tutti invecchiamo, e quando questo capita, la buona
volont non serve pi. Scommetto che, a volte, vi par di avere come un velo,
davanti agli occhi.
Ma no, no, vi assicuro. Non vedo mai torbido come se avessi la testa
immersa in un secchio d'acqua...
Vi pare, vi pare, Onorina. Giusto ieri avete dato al signor Lepic un bicchiere sporco invece di un bicchiere pulito. Non ho detto niente, per non
mortificarvi, anche il signor Lepic non ha detto niente, ma vede tutto e tace,
per bont d'animo. Non quell'uomo indifferente che sembra. Vede tutto e
nulla gli sfugge. Ha respinto il bicchiere col dito e ha pranzato senza bere un
sol goccio. Io stavo male per voi e per lui...
Diamine, signora Lepic, ma vi pare che fosse il caso di far
complimenti con la vostra serva? Bastava dire: Onorina, cambiate questo
bicchiere, ed io lo cambiavo.
Non questa, la questione, Onorina. A farla corta, la vista vi scema
ogni giorno, e ormai i lavori di un certo impegno non sono pi per voi. Non
un gran male e, senza badare all'aumento della spesa per il vitto ed il
salario, sarei disposta a prendere qualcuno che vi dia una mano...
Signora Lepic! Ma io non mi rassegner mai ad avere una donna fra i
piedi, dopo tanti anni che sto con voi...
Allora, cosa posso fare?
Lasciatemi andare avanti cos fino a che non morir.
Morire? Ma voi ci seppellirete tutti, sana come siete, ed io ve lo
auguro, ma come faccio a contare sulla vostra morte per essere servita a
dovere?
Ma non vorrete mica licenziarmi per un piatto asciugato male ed un
bicchiere sporco?
Chi ha parlato di licenziarvi, Onorina? Suvvia, non fate quella faccia,
siete tutta rossa e agitata. Non si pu parlare da buone amiche, dunque? Non
posso farvi una giusta osservazione?
Signora mia, osservazioni fatemene fin che volete, il vostro diritto,
ma non mandatemi via, finirei sul sagrato della chiesa a chiedere
l'elemosina...
E va bene: non parliamone pi, ma cercate di stare attenta a quel che
fate perch io non posso arrivar dappertutto da sola!
Sentite, signora Lepic: il giorno che m'accorger d'esser di peso e di
non essere pi capace nemmeno di aggiungere acqua al paiolo sul fuoco,
senza rovesciarne una goccia, sar io stessa che chieder d'andarmene: va
bene?

Va bene, va bene, Onorina. Sia come non detto. Ma non dimenticate

che accanto al nostro focolare ci sar sempre un piatto di minestra per voi.
Oh! grazie, signora Lepic, grazie...
Questa lunga conversazione, Pel di Carota se l'era goduta parola per parola, come se fosse stato seduto in un palco a teatro.
Egli aveva molta simpatia per la vecchia Onorina, la sola che, nei suoi riguardi, avesse qualche parola buona e qualche carezza fatta di nascosto, e al
pensiero che potesse andarsene, si sentiva triste, anche perch la vecchiaia e
i mendicanti erano due cose che riuscivano sempre a intenerirlo.
Ma, nella sua testina, un altro pensiero si faceva strada.
Era giusto che la sua mamma, che sfacchinava giorno e notte senza mai
un po' di riposo, continuasse, per piet della povera vecchia Onorina, a veder
raddoppiato il suo lavoro?
Se Onorina non era pi in grado di essere veramente di aiuto, perch non
si rassegnava a vedere per casa una servetta giovane e svelta?
A Pel di Carota, chi sa perch, l'idea di una servetta giovane e allegra, in
quella casa sempre tanto silenziosa e severa, metteva un pizzico di
buonumore.
Poich non vero che il destino cammina da solo, ma bisogna aiutarlo e
indirizzarlo nel verso giusto, Pel di Carota cominci ad arzigogolare come e
quando avrebbe potuto, a quel destino che doveva portare in casa l'allegria di
una servetta canterina e spensierata, dare una spinta in direzione favorevole
ai suoi desideri.
Oltre ai suoi desideri se ne sarebbe avvantaggiata Onorina, con un valido
aiuto e, soprattutto, ne avrebbe goduto la mamma che poteva, finalmente,
dedicarsi alla lettura, al ricamo, alle funzioni religiose, a tutte le cose
insomma che quel gran da fare in casa non le permetteva mai.
L'ultima frase di quel lungo colloquio gli girava nella testa come fa un
motivo musicale che non si riesce a far tacere n a dimenticare.
Onorina aveva detto: il giorno che m'accorger di non essere capace
nemmeno di aggiungere acqua al paiolo sul fuoco senza rovesciarne una
goccia.... Questo ritornello era il motivo predominante che Pel di Carota
sentiva ronzare in testa ogni volta che vedeva Onorina, piegata in due sotto il
peso del secchio colmo fino all'orlo, rovesciarlo con una mano nel paiolo,
appeso alla catena del focolare, senza che neppure una goccia d'acqua
sfrigolasse sulle braci.
Pel di Carota, al momento buono, sapr uscir dall'ombra e con giudizio
prender in mano il timone degli eventi.
Sa che deve agire con cautela, senza incoraggiamenti, senza speranza di
ricompensa. La ricompensa maggiore l'avr nel suo cuoricino quando vedr

Onorina, la mamma e la nuova servetta, finalmente d'accordo sulla divisione


del tempo e dei lavori che la casa richiede.
D'estate, l'acqua del paiolo bolle senza scopo, serve solo per rigovernare
dopo i pasti e il suo leggero sibilo Onorina non lo sente pi e neppure
s'accorge quando il borbotto del bollore si arresta perch, sotto la pancia del
paiuolo, annerito e screpolato, fumano due ceppi pressoch spenti.
Le chiesero:
Onorina, perch scaldate l'acqua quando non vi occorre? Bruciate la
legna come se non costasse nulla. Non sapete quanti poveretti gelano
d'inverno per mancanza di legna? Eppure siete una donna economa...
Ma Onorina scuoteva il capo. Aveva sempre visto il paiolo dondolare
attaccato alla catena e sempre, con qualunque stagione, l'acqua borbottare
sul fuoco e a quel borbotto non sapeva rinunciare.
Era la viva voce della cucina e se, bollendo, l'acqua evaporava, Onorina
non aveva neppur bisogno di staccare il paiolo dal fuoco. Con un gesto
sicuro, con la sicurezza che viene da ci che si fatto migliaia e migliaia di
volte, versava nel paiolo un secchio d'acqua, senza spanderne una sola
goccia, cos, come si infila una perla in un ago, a colpo sicuro.
Pel di Carota conosceva quella sicurezza di Onorina e sapeva che difficilmente avrebbe compiuto gesti sbagliati rendendo necessario un aiuto.
Ma un giorno, lo sbaglio ci fu, e fu uno sbaglio clamoroso.
Tutta l'acqua cadde sul fuoco e una nuvola di cenere, come una bestia
stuzzicata che va su tutte le furie, invase la cucina con l'acre odore della
legna bruciata sfrigolando con un fracasso superiore ad ogni immaginazione.
In quella nuvola che la invest e quasi la nascose, si ud il suo lagno:
Madonna santa, credevo che il diavolo uscisse di sottoterra!
Con le mani bruciacchiate dalla vampata, gli occhi chiusi, Onorina cerc,
nella notte del camino fuligginoso, la fida catena a cui, caso strano, il paiolo
non faceva da contrappeso.
Il paiolo, il paiolo non c' pi! ansimava la povera donna come se
cercasse un amico scomparso.
Chi pu aver staccato il paiolo dalla catena, mentre s'avviava nel cortile a
portare una grembiulata di bucce di mela ai conigli?
Intanto comparsa la signora Lepic, severa e calma, per rendersi ragione
di quel frastuono e di quel fumo acre.
Che cosa stato, Onorina, tutto questo baccano?
Il paiolo, signora, il paiolo non c' pi... Ho corso il rischio di arrostire
viva. Dove pu essere andato il paiolo? Chi pu averlo toccato? E perch
l'ha tolto da suo gancio?
Ma come posso aver fatto una cosa simile, se non lo faccio mai?

La vecchiaia, Onorina, gioca brutti scherzi alla memoria. Fatevi animo

e aiutatemi a lavare queste macchie che imbrattano il pavimento e spalancate


la porta perch esca il fumo...
Onorina si d da fare ma non ha pace. sicura, sicurissima di non aver
sganciato il paiolo dalla catena e continua a protestare la sua innocenza.
Infastidita da tante parole, la signora Lepic, che s'era ripromessa un breve
sonnellino pomeridiano, ad un tratto esplode:
Basta, Onorina. Basta. Mi buttate bellamente un secchio di acqua sul
fuoco, combinate questo guaio e volete anche che vi si dia ragione. Non intestarditevi: ammettete piuttosto la vostra balordaggine e la vostra vista
difettosa e rassegnatevi a riconoscere che non ci si pu pi fidare della
vostra opera.
Ma Onorina non intende ragioni.
Quando compare sulla soglia della cucina Pel di Carota, che poco prima
gironzolava attorno alla tavola, Onorina lo investe:
Sei stato tu, piccola canaglia, sei stato tu a giocarmi questo tiro birbone. Le orecchie dovrei tirarti, e fartele diventare lunghe come quelle d un
somaro: far scherzi di questo genere alla vecchia Onorina che ti vuol
bene...monellaccio!
Pel di Carota la guarda con un musetto appuntito dallo stupore quasi che
non capisse il perch di quel fiume di parole a lui dirette.
Allora mamma Lepic, con un vigore difensivo che non ha mai adoperato
per scagionare il figlio, neppure quando la ragione era dalla sua parte,
rimbecca Onorina, con tono autoritario.
Onorina, non degno di voi! Come potete prendervela con un
ragazzino irresponsabile, che non ha neppure la forza di staccare il paiolo.
Via, ammettete la vostra distrazione e ricordate il discorso che mi faceste:
Il giorno in cui non sar pi capace ecc. ecc. e non dimenticate che
affermaste che, quel giorno, ve ne sareste andata da sola.
E la signora Lepic esce dalla cucina evidentemente infuriata.
Onorina piange e Pel di Carota la guarda e non sa che cosa dire. Le va
vicino e la povera vecchia, dimentica di averlo incolpato, se lo tiene accanto
e lo accarezza con le sue mani ruvide, come se, accarezzando lui, potesse
accarezzare tutta la casa da cui dovr andarsene, prima o poi.
Pel di Carota sente il cuore battergli in fretta in fretta e non sa se batte cos
per il rimorso o per aver portato a termine una prodezza, che rester ignota,
ma cambier il volto alla casa.
Piccino mio dice Onorina con voce venata di pianto povero
piccolo Pel di Carota, cosa sar di te, quando non ci sar pi nemmeno la tua
vecchia Onorina? Chi ti allungher, di nascosto, qualche fetta di torta? Chi

aggiuster gli strappi dei tuoi pantaloni? Chi laver i tuoi fazzoletti sporchi
di grasso di ruote perch nessuno se ne accorga e ti castighi?
Come difficile non lasciarsi vincere dalla commozione, come penoso
aver commesso un misfatto e non poterlo in alcun modo cancellare dalla memoria!
Pel di Carota sta per piangere ma non vuole, non vuole perch convinto
di aver agito a fin di bene. Onorina vecchia, non ci vede, si affatica pi del
bisogno, il suo respiro si fa sempre pi affannoso, anche adesso, a sentirsela
cos vicina, avverte quel curioso fischiare in sordina, che esce dalla sua
bocca come esce l'aria dal mantice del maniscalco.
E se Pel di Carota, all'improvviso, chiamasse la mamma e le dicesse:
Mamma, sono stato io!
Che cosa accadrebbe? Forse Onorina riacquisterebbe la vista e le forze
perdute? E la mamma, si rassegnerebbe a tenere quella vecchia serva ormai
incapace di esserle di aiuto? No, la mamma ha bisogno di chi la sollevi dal
peso della casa e Onorina deve capire che giunto il momento di far fagotto.
E queste riflessioni agiscono su Pel di Carota come una assoluzione e,
quasi quasi, mendica un sorriso di approvazione dalla stessa Onorina che
comincia a calmarsi e a guardare al suo domani con un po' di fiducia
nell'aiuto del buon Dio.
Gli scrupoli di Pel di Carota si sono dispersi, come si disperso il fumo
che ha invaso la cucina.
Nessun rimorso, nessun pentimento s'affacciano pi alla sua mente, anzi,
si sente mondo e puro, come uno strumento di giustizia. Ha dato un colpo di
timone al destino: ecco tutto.
Il destino: bisogna pur che qualcuno lo indirizzi sulla giusta strada, altrimenti che cosa non combinerebbe il destino, quell'imponderabile destino che
mette sempre il naso nelle faccende altrui e spesso si diverte a cambiare il
corso degli eventi?
AGATA
A prendere il posto di Onorina fu chiamata una sua giovane nipote: Agata.
Pel di Carota, osservando con curiosit la nuova venuta, capiva che
l'attenzione di tutta la famiglia si riversava su quella piccola zoticona, il che,
per lo meno per qualche giorno, distoglieva da lui la consueta dose di
rimproveri e di castighi che, senza risparmio, piovevano quotidianamente
sulle sue spalle.
Agata non sa far nulla e pare anche poco propensa ad imparare, malgrado
la pazienza con cui la signora Lepic le tiene gli occhi addosso e la guida con

le parole e con i gesti.


Queste mimiche divertono Pel di Carota, che gironzola silenzioso fra la
cucina e il cortile, esaminando tutto quel che Agata fa e come lo fa e
gongola quando vede quella povera figliuola impacciata anche soltanto a
strofinare il pavimento e ad osservare, quasi sdraiata a terra, se lucido
come la signora Lepic vuole che sia.
Agata, dice la signora Lepic si bussa, prima di entrare, non
occorre per che sfondi le porte con i pugni. Si fa cos, con leggerezza, con
garbo...
E Pel di Carota trova che molto buffo veder la mamma picchiare col pugno chiuso contro la porta e far rifare il gesto a Agata pi e pi volte, fino a
che la mano maldestra della ragazza non riesce a dare la giusta intonazione a
quel picchiare. A Pel di Carota sembra la cosa pi facile di questo mondo!
Agata parla forte, ride forte, cammina forte, rumorosa se beve o se mangia e la sua gran voglia di far tutto bene crea il caos dove c' ordine, sporca
dove pulito, bagna quel che asciutto, e pare che in tutte queste cose ci
metta una sorta di fantasia innovatrice degna di un umorista.
Il primo giorno che Agata serv a tavola, fu uno spasso e le risate, soffocate per educazione e per le occhiate che la mamma distribuiva ai ragazzi,
furono oggetto di successivo divertimento, soltanto a rammentare tutte le
cose pi impensate che si verificarono.
La famiglia Lepic mangia sempre alla tavola grande di cucina, quando
non ha ospiti, apparecchiata con cura, e la distribuzione dei piatti, delle
posate, dei bicchieri fu, per Agata, la lezione pi difficile da imparare.
Prima si siede il signor Lepic: spiega il tovagliolo, si avvicina il piatto da
portata che sta al centro del tavolo, si serve di carne e di salsa, si versa la
birra e comincia a mangiare, con gli occhi chini, masticando senza far
rumore.
La signora Lepic serve i ragazzi: prima Felice, che sempre molto
affamato e che riceve la maggior porzione; poi Ernestina, che arriccia
sempre il naso qualunque sia il cibo che le mettono sul piatto; infine Pel di
Carota, che riceve la sua parte dopo che si servita la mamma; quel che
resta sul piatto, viene passato alla domestica.
Agata, il primo giorno, rest impalata, in mezzo alla cucina, con il piatto
da portata ben serrato nelle mani e con le dita immerse nell'unto residuo
senza saper che cosa fare. Inutilmente la signora Lepic le fece cenno che
poteva sedere al suo posto, nel tavolo accanto all'acquaio, e mangiare in
pace, ma la ragazza non cap e rest in quella ridicola posizione fino a
quando la signora Lepic, perduta la pazienza, non si alz da tavola per
condurla al suo posto e farla sedere, dopo averle posto fra le dita una

forchetta e fatto cenno che poteva portarsela alla bocca.


Al momento di cambiare i piatti Agata ne combin d'ogni colore.
Al gesto della signora Lepic diede una interpretazione cos totale che non
si limit a togliere i piatti sporchi ed a sostituirli con altri puliti, ma, come un
ciclone, prese a sparecchiare come se il pasto fosse finito e sparirono in un
lampo, davanti ad ognuno, piatti, bicchieri e posate; la signora Lepic, con le
mani nei capelli, non url, per rispetto al marito, ma s'affrett, agitatissima, a
riparare al malfatto sotto gli occhi stupiti del signor Lepic che si chiedeva
come mai fosse stata assunta una servente tanto sciocca e sprovveduta.
Agata, rossa e scalmanata, va e viene dalla tavola all'acquaio come
invasata: si sente in colpa ma vuol dimostrare che far di tutto per imparare e
quando il signor Lepic annoda il tovagliolo e s'avvia in giardino per fumare
una sigaretta, Agata, che ha visto davanti al suo piatto sparire l'ultimo
boccone di pane, animata da sacro zelo, per dimostrare che le attenzioni
sono il suo punto forte, credendo che il padrone s'alzi da tavola per prendere
il pane, quasi lo rincorre tenendo fra le braccia una pagnotta intera, tolta
dalla madia, e gliela offre, a braccia tese, come si offre lo scudo a un
cavaliere che parte per la guerra.
Poi, vedendo il signor Lepic scomparire senza degnarla di uno sguardo,
oltre la porta del giardino, Agata resta l, immobile, inebetita, con quella
ruota di pane offerta a braccia tese, come la pubblicit di una fabbrica di
salvagente.
Come non ridere, e a non finire, malgrado le occhiate di mamma Lepic?
I ragazzi si sganasciarono, letteralmente, e la povera Agata, finalmente
conscia della sua goffaggine, prese a singhiozzare senza ritegno, con alte
grida, come se la frustassero.
* **
Pel di Carota, che era tanto frequentemente l'oggetto delle altrui beffe, fu
il solo che comprese lo stato d'animo della giovane ed inesperta Agata e,
appena vide che era rimasta sola in cucina, le si avvicin con fare
confidenziale:
Sei rimasta male, eh? Ma non ti scoraggiare. Imparerai col tempo...
Ma che cosa avevano, tutti?
Niente. Ridevano, erano allegri. Bisogna pur ridere qualche volta, no?
Ma ridevano di me.
Altri giorni li vedrai ridere di me.
Di lei, signorino Pel di Carota?
Non chiamarmi mai signorino: capito? Chiama signorino mio fratello

Felice, signorina mia sorella Ernestina, signora la mamma e signore il pap,


ma io sono Pel di Carota e basta.
Ho capito, grazie.
Ed ora, sta' attenta, ti metto al corrente di quel che devi fare tu e di
quel che devo fare io.
Per carit, non mi dica niente: ho la testa come un pallone.
Lo dico per il tuo bene, sono tutte cose facili: ascolta. La mattina,
appena alzato, vado ad aprire la cuccia del cane e gli porto la zuppa... Ma la
zuppa la prepari tu, con la rigovernatura dei piatti, ma se ci metti qualcosina
di pi il cane ed io te ne saremo grati. La sera, chiamo il cane con un fischio
e lo rinchiudo: se fa tardi resto ad aspettarlo, ma se mi vien sonno, tu potrai
farmi compagnia. Tutte le sere, spetta a me di andare a chiudere il pollaio. Io
sono coraggioso e non ho paura del buio: nel buio ci vedo come un gatto e
non inciampo mai nei carri che sostano nel cortile. Tu devi tirar su i secchi
dal pozzo, lavare ben bene la verdura che, se ho tempo, posso andare a
raccogliere io nell'orto; se tu hai da fare, allora io tengo la matassa del filo
che la mamma dipana. Devi lavare i panni nel fiume, lo sai? E li devi lavare
anche se piove. Qualche volta tenevo l'ombrello aperto sul capo di Onorina,
ma lei preferiva ripararsi con un sacco perch io mi distraevo e lei si
bagnava la testa. Ecco tutto. Quando saremo in collegio, mio fratello, mia
sorella ed io, avrai meno da fare. Hai capito tutto?
Agata, ad ogni frase rispondeva:
S, s, s.
Stava per allontanarsi quando Pel di Carota riprese:
S, siamo brava gente: chiedilo ai vicini e ti diranno che Ernestina di
una dolcezza angelica, Felice un giovane che promette molto, il signor Lepic
un uomo retto, saggio e giusto, la signora Lepic una donna rara, una madre
amorosa, una cuoca perfetta, una padrona di casa come poche. Ti diranno
anche che il peggiore di tutti sono io, forse hanno ragione, ma man mano che
cresco mi corregger. Non chiamarmi signorino, te l'ho gi detto, ma non
darmi del tu, voglio sentirmi, almeno con te, un pochino importante.
Agata annu e gli sorrise. Aveva un sorriso dolcissimo e gli occhi le brillavano con una punta di furberia; Pel di Carota se la sent alleata.
IL CIECO TISSIER
In casa Lepic fare la carit era una istituzione, ma una istituzione soggetta
a regole fisse oltre le quali non si doveva assolutamente andare.
Tissier, un povero vecchio cieco, aveva un giorno fisso per comparire alla
porta dei Lepic e la signora Lepic, chiss perch, non lo aveva in simpatia

ma, per non perdere la sua fama di brava signora caritatevole, tentava di
accoglierlo con una cortesia che lasciava troppo spesso trapelare la sua
irritazione nel trovarselo fra i piedi.
Pel di Carota queste sensazioni le avvertiva come se avesse antenne per
captarle, come certi insetti che sentono arrivare il pericolo prima ancora di
averlo vicino.
Tissier bussava all'uscio discretamente, con la punta del suo bastone, e bastavano quei leggeri toc, toc, toc, distanziati a rendere nervosa la signora
Lepic che non si tratteneva da dire:
Buon Dio! Eccolo di nuovo, ma che cosa vuole?
Vuole i suoi dieci soldi precisava pap Lepic sollevando il capo dal
giornale il suo giorno. Fallo entrare.
Era sempre Pel di Carota che, servizievole, si precipitava alla porta, ma il
cieco era titubante a varcare la soglia e il vecchio e il ragazzo restavano uno
di fronte all'altro senza parlare fino a quando la signora Lepic, irosa per il
freddo che entrava nella cucina ben riparata, non scostava Pel di Carota e,
afferrato per un braccio il cieco con mala grazia, lo traeva oltre la porta per
poterla chiudere con un tonfo sgradevole.
Buongiorno a tutti! diceva allora il cieco venendo avanti preceduto
dal bastone che si spostava a balzi sul pavimento. Buongiorno a tutti!
Invariabilmente, nessuno gli rispondeva. Non era per scortesia, ma perch
in casa Lepic le cerimonie non erano in uso, specialmente quando, come in
questo caso, non fruttavano nulla.
Sempre con i suoi passettini incerti il cieco attraversava la cucina in direzione del camino, il cui calore lo investiva, fino a quando non incontrava la
sedia, sempre la stessa sedia, a destra degli alari.
Pel di Carota alcune volte aveva avuto un cattivo pensiero: togliere quella
sedia per vedere che cosa avrebbe fatto il cieco. Ma non poteva mai mandare
a buon fine quel suo progetto perch era troppo evidente che rappresentava
una intenzione malvagia e poich in famiglia erano troppo convinti che lui
fosse malvagio e senza cuore, non poteva, no, non poteva dare una prova
cos palese di questa sua riprovevole tendenza.
E non era malvagit che lo consigliava ma soltanto curiosit, la curiosit
di vedere come si sarebbe comportato il cieco, che attraversava la cucina
come se ci vedesse quando, non trovando la solita sedia, al solito posto,
avrebbe dovuto cercarne un'altra per potersi sedere e bere in pace quel
bicchiere di vino che, ogni volta, centellinava con un piacere che modificava
i tratti del suo volto.
Pel di Carota guardava il cieco appoggiare il bastone accanto a s, tendere
la destra per ricevere la moneta che vi lasciava cadere il signor Lepic, subito

assorbito nuovamente dal suo giornale, senza neppur rispondere alle parole
di ringraziamento del poveretto che, prima di intascare la moneta, la
accarezzava sempre a lungo, con i polpastrelli sopra l'effige, per accertarsi
che fosse veramente una moneta da dieci soldi.
Ora la mano del vecchio tesa per ricevere il bicchiere del vino.
Ogni cosa si svolge automaticamente, nel pi assoluto silenzio e Pel di
Carota, accoccolato in un angolo, ad un tratto scorge fluire, dagli zoccoli del
cieco, un rivoletto d'acqua fangosa. E la neve che si scioglie e imbratta il
pavimento che mamma Lepic tanto fiera di saper mantenere lustro come il
pavimento di un salotto.
Attorno ai piedi del cieco si formata una pozza: Pel di Carota, con un fuscello, fa diramare da quella pozza mille piccoli rivoletti che corrono per la
cucina ubbidienti alla direzione che Pel di Carota impone, mediante sapienti
ritocchi, alla riserva rappresentata dalla pozza centrale, che s'allarga sempre
pi.
Mamma Lepic, seduta dall'altra parte e intenta al suo lavoro di cucito, non
avverte quella profanazione del suo nitido pavimento; tuttavia, gi seccata
di sopportare la presenza del vecchio a fianco del camino, fermo come una
cariatide e senza l'evidente intenzione di andarsene, tanto sta caldo e
confortato dal vino che va deglutendo con un rumore fastidioso, a piccoli
sorsi, sempre pi piccoli, per far durare pi a lungo il contenuto del
bicchiere.
Tissier, ora che avete avuto i vostri soldi, vi siete riscaldato e riposato,
non credete sia meglio andarvene per il vostro giro? Ormai cala la sera...
Signora mia, per me sera anche il mattino: il buio non mi sgomenta
mai. E questo vino mi corre per le ossa come un balsamo ...
Il signor Lepic volta il giornale e Tissier, a quel fruscio, si anima tutto:
Che notizie, signor Lepic, che notizie?
Le solite, vecchio mio: politica, sporca politica.
Tissier un fanatico raccoglitore di quel che sente dire nei suoi lunghi giri
quotidiani. Sa tutto di tutti e le opinioni degli altri le fa sue e se le cucina
secondo la sua povera testa svanita e confonde quel che c' di buono con i
soprusi, ma ama parlarne e far sfoggio di sapienza.
Mi ascolti, signor Lepic, le racconto l'ultima sudiceria...
Lepic non lo ascolta neppure ma Tissier parla e parla, si sgela e si stira,
come se anche il suo sangue si liquefacesse come la neve dei suoi zoccoli.
Pare che trasudi dalle membra, dai vestiti una specie di liquido oleoso che
gli schiarisce il viso e non gli fa pi quella pelle arsa che d alle sue mani
l'aspetto di vecchi pezzi di legno.
La pozza, attorno ai suoi piedi, si ingrandita e Pel di Carota ha continua-

to a stuzzicarla con il bastoncino, disegnandole intorno canali e canaletti che


la fanno simile a un enorme granchio nero sul candore del pavimento.
Ma la signora Lepic ha toccato il vertice della sopportazione. Con una
manovra abile, sfiora il cieco, lo urta con il gomito, lo costringe ad alzarsi e
lo allontana dal benefico calore del camino.
Il cieco, imperterrito, continua a biascicare le sue parole senza nesso e non
accenna ad andarsene.
Con un colpo di piede, leggero ma ben assestato, la signora Lepic gli fa
cadere il bastone. Il pover'uomo annaspa, con le braccia tese come se il
bastone dovesse piovere dal soffitto. Pel di Carota si intenerisce, raccatta il
bastone e fa per porgerglielo, ma uno sguardo della madre lo agghiaccia.
Essa ha spostato Tissier, sempre con colpi di gomito, verso la porta e la
spalanca.
Sentendosi investire dal freddo il cieco capisce che deve andarsene; a un
cenno di mamma Lepic, Pel di Carota gli mette il bastone fra le mani e gode
nel vedere quel povero viso rasserenarsi.
Prima di chiudere la porta, mamma Lepic, quasi gridando, come se fosse
sordo, gli ripete:
Arrivederci, arrivederci: state attento a non perdere i soldi e ritornate,
la settimana prossima, se siete ancora al mondo!
Il cieco se ne va, il suo bastone batte leggero contro il muro e la figura,
squallida sotto il cielo grigio, affronta il vento che soffia gelato e gonfia lo
scialle tutto buchi e rappezzi che lo rende simile a un pipistrello.
Pel di Carota rimasto sull'uscio a guardarlo allontanarsi e non sa se prova pena o voglia di ridere.
Ma un urlo lo toglie dalle sue riflessioni:
- Chiudi quell'uscio, svelto e vieni qua. Dobbiamo far dei conti io e te,
piccola carogna!
La mamma ha visto il pavimento imbrattato ed ha capito che tutti quei rivoletti e quei ghirigori fangosi sono opera sua. Ha gi le maniche rimboccate
e lo sguardo furioso:
Guarda, guarda che cosa hai fatto! Con la lingua dovrai pulire, con la tua
sudicia lingua di ragazzo impossibile e malvagio! Il mio pavimento, il
mio pavimento ridotto come un letamaio!
Lo ha afferrato per la collottola e lo piega verso il pavimento per mettere
in atto la sua minaccia. Forse lo farebbe, avrebbe il coraggio di farlo,
indignata e fuori di s com' di fronte a tanta sporcizia, ma pap Lepic,
infastidito da quegli strilli, piega il giornale e strilla anche lui:
Maledizione! Ma che casa questa? Non un attimo di silenzio, non un
minimo di pace, come pu un pover'uomo, stanco e infreddolito, che rientra

dal lavoro, trovare il conforto di leggere il suo giornale?


Mamma Lepic tace. Pel di Carota si rannicchia in un canto fra la credenza
e la madia. Agata compare munita di stracci e di scopa. Poco dopo la cucina
torna silenziosa, luminosa e calda e il primo rumore l'acciottolo dei piatti
che preannuncia la cena.
Pel di Carota rimasto quieto nel suo angolino ma la sua testa un
vortice di mille pensieri: se dovesse trascriverli, come in un compito in
classe, suonerebbero press'a poco cos:
La mamma non stata affatto gentile con il povero mendicante cieco.
Non vedeva l'ora che se ne andasse mentre lui si crogiolava al calduccio
beatamente, perch forse, durante ogni giorno, difficilmente gli capita di
potersi sentire tanto felice. Io ho fatto male ad allargare quella pozza
d'acqua, ma era cos divertente veder quei canaletti scorrere via e non
pensavo affatto al pavimento e alla sporcizia che se ne determinava. Ma
dovr pur fare qualche cosa anch'io perch venga sera. La mamma dovrebbe
capirle queste cose e non minacciare e gridare e far tanto chiasso per cos
poco. Anche pap ha ragione. Non si rispetta mai il suo desiderio di silenzio
e di pace. Leggere il giornale, per un uomo adulto, una cosa importante:
chiede che nessuno lo disturbi, altrimenti tutte quelle parole si confondono
nella sua testa. Ma, per quel che mi riguarda, le busse verranno o non
verranno? La mamma ha allentato la sua stretta appena s' fatta udire la voce
del babbo ed io credo che le sia rimasto un certo pizzicorino nelle dita, e
prima o poi, dovr sbarazzarsene a mie spese. Per fortuna ora di cena ed io
ho appetito.
Ma che cosa triste e difficile la vita!
CAPODANNO
Nevica. Ma deve nevicare perch la festa di Capodanno risulti perfetta.
Al mattino, quello sfarfallio bianco mette di buon umore e quasi non
lascia avvertire il freddo quando Pel di Carota saltellando s'avvia verso la
vasca del giardino, per quella lavatina di faccia quotidiana che le buone
maniere indicano come indispensabile purificazione a schiarire la vista dopo
tante ore di sonno.
L'acqua gelata: ha una crosta sottile di ghiaccio che sembra una lastra di
vetro, messa a protezione della superficie di quel liquido tanto prezioso per
l'igiene come dice sempre il pap. Un pugno ben assestato fa scricchiolare
quel sottile velo verdognolo e le schegge si disperdono cadendo sul fondo.
Pel di Carota, come al solito, ha dimenticato il sapone. Si lava senza sapone tanto, a detta di tutti, lui sempre sporco e allora tanto vale che il sapone

non si consumi per quella sua faccia che non vuol mai sembrar pulita, forse a
causa delle tante lentiggini che, d'inverno, sono di colore meno intenso che
non d'estate, ma, tuttavia, non scompaiono mai.
Finge di lavarsi la faccia: quell'acqua gelida, in verit, dovrebbe mettere
addosso un calore pi sano di quello che emana il camino, cos dicono, ma a
Pel di Carota l'esperimento non riesce mai.
Vispo e fresco, entra in casa e si mette dietro il fratello maggiore:
Ernestina apre la fila, come si conviene alla cerimonia degli auguri, ed la
prima a pronunciare il suo discorsino:
Buongiorno pap, buongiorno mamma, vi auguro un felice anno,
buona salute e il paradiso alla fine dei vostri giorni!
Il signor Lepic e la signora Lepic, in abito di gala, son ritti al centro della
cucina, non come chi sta aspettando, ma come chi si trova l per puro caso, e
accolgono gli auguri e gli abbracci con deferenza, come sovrani che si
degnano di accettare gli omaggi del loro popolo.
Anche Felice ha preparato il suo discorso, ma lo pronuncia in fretta, senza
enfasi, come un uomo che non si lascia intenerire da queste formalit:
Vi auguro buon anno di tutto cuore, prosperit e benessere per tutti, salute e raccolti soddisfacenti.
E tende la mano, lui, non una femminuccia che distribuisce abbracci e
baci e questo suo atteggiamento, dignitoso e virile, lascia assai compiaciuti i
genitori.
Ora tocca a Pel di Carota. Lui sa che la commozione non gli
consentirebbe di spiccicare una parola e preferisce scriverle le sue parole di
augurio. Ha gi la lettera pronta, nascosta nel berretto, che s' tolto appena
entrato in cucina e che sta rigirando fra le mani, senza trovar il coraggio di
estrarre la busta.
una busta grande, con l'indirizzo tracciato in bella calligrafia, senza
sgorbi e senza macchie: ai miei genitori spicca su tutto quel candore.
In un angolo un uccello raro, dalle piume dai colori sgargianti, con un
brillo d'oro e d'argento, pare spiccare un volo verso i destinatari della
lettera.
Forse a Pel di Carota la mano trema un po' nel porgere la sua missiva alla
signora Lepic che la prende e l'apre con cura.
Dentro c' un foglio di carta con un alto orlo di pizzo e fiori variamente
colorati, in pieno sboccio, anch'essi spruzzati d'oro e d'argento.
La penna, a causa di quel pizzo in rilievo, s' impuntata, qua e l, ma in
complesso la lettera scritta davvero in modo diligente.
E a me, Pel di Carota, niente? chiede il padre.
per tutti e due; balbetta il ragazzo c' scritto sulla busta: ai miei

genitori...
Questo significa che vuoi pi bene alla mamma che a me. Prova un po'
a guardare se nelle tasche c' posto per questa bella moneta da mezzo franco;
ma anche se c' posto, rester vacante, imparerai cos a riconoscere chi il
padrone di casa...
Ma pap, aspetta ... la mamma quando avr letto la lettera te la passer
perch anche tu...
La mamma ha finito di leggere e commenta:
C' stile, ma scrivi cos male che la met delle parole non si legge.
Ecco, pap, dice premuroso Pel di Carota leggi tu, ora...
E ritto, in mezzo alla cucina, piccolo e minuto, guarda verso il signor
Lepic che ha inforcato gli occhiali. Aspetta una parola, una sola e segue
attentamente la faccia del padre per leggervi che cosa prova, ma il signor
Lepic, riponendo gli occhiali nel taschino e mettendo la lettera sul tavolo,
dice:
Ah, ah! e si allontana.
Ora la lettera l sul tavolo, non serve pi: di tutti e di nessuno. Felice
ed Ernestina la prendono, la leggono, cercano errori d'ortografia ma non
trovano nulla e si limitano a dire:
Potevi adoperare un pennino nuovo: non si vedono i chiaroscuri e la
tua calligrafia veramente infantile e senza personalit.
Pel di Carota riprende la sua lettera, se la rigira fra le mani e par quasi
chiedere:
C' nessuno che la vuole conservare?
Poi, filosofo come sempre, la rimette nella busta e l'adagia sul fondo del
suo berretto pensando che forse, ad Agata, quell'uccello dalle penne cos
splendide e quella carta tutta ornata di pizzo far grande impressione. Agata
non sa leggere e quel che c' scritto non conta nulla.
Dopo la colazione, una colazione assai pi ricca di quella che viene
consumata ogni mattina, con cioccolata bollente, focacce, burro e
marmellata, il momento della distribuzione dei doni.
Per Ernestina c' una bambola, una bambola grande come una bambina,
tutta vestita di seta, con gale al fondo della veste e sul cappello, posato su
tanti riccioli biondi che sembrano capelli veri. Ha un visino roseo e felice e
due grandi occhi azzurri che si muovono e guardano di qua e di l quando
Ernestina muove la bambola. Le manca davvero soltanto la parola.
Ernestina l'accoglie fra le braccia con gridi di felicit. Sembra che si tratti
della prima bambola che riceve da quando nata e per essa dimentica tutte
quelle altre bambole, altrettanto belle, che giacciono neglette, allineate sul
cassettone, in camera sua.

Fra pochi giorni, pensa Pel di Carota, anche quella meraviglia se ne star
lass, con le altre, a lasciarsi divorare dalla polvere. Per Felice c' una
scatola di soldatini di piombo, pronti a combattere a piedi o a cavallo. Non
mancano salmerie, cannoni, aggeggi per costruire fortezze e baluardi.
Felice guarda con uno strano viso tutta quella paccottiglia che troppo
lontana dai suoi desideri e dalle sue speranze. Forse si aspettava un orologio,
un portafoglio, qualche cosa, insomma, di pi adatto alla sua et: chi gioca
pi con i soldatini, ormai? Ma quella scatola, che farebbe tanto felice Pel di
Carota, avr la sua tomba, come la bambola di Ernestina, in un cassetto
profondo e nessuno la vedr mai pi.
Pel di Carota aspetta: sa che qualcosa ci sar anche per lui e trepida e sospira per l'ansia.
mamma Lepic che lo toglie dalle pene dichiarando:
Per te, Pel di Carota, c' una bella sorpresa.
Davvero, mamma: me l'aspettavo!
Allora se te l'aspettavi non pi una sorpresa, inutile farti vedere di
che si tratta.
Ma, mamma, dicevo cos, per dire: Dio mi castighi se lo so! Alza la
mano, per giurare che non sa nulla di nulla.
Allora la signora Lepic apre la credenza e vi fruga a lungo.
Pel di Carota sembra che abbia un attacco di asma, tanto il suo fiato gli
esce rumorosamente dalla boccuccia aperta.
Finalmente, lenta e misteriosa, la signora Lepic, da un gran cartoccio, toglie una pipa di zucchero, una grossa pipa rossa e lucida che riposa in una
scatola di cartone giallo.
Pel di Carota raggiante. Una pipa, una pipa di zucchero! Far morire di
invidia i suoi fratelli! La toglie con delicatezza dalla scatola e si avvicina il
cannello alla bocca. dolce ma non la sfiora neppure con la lingua, per
paura che si liquefaccia e perda la sua forma perfetta. La tiene tra due dita,
impettito, piega la testa a sinistra, fa la bocca tonda, finge di aspirare con
forza e poi, guardando il soffitto, emette una inesistente nuvola di fumo ed
esclama:
una buona pipa, tira bene.
E se ne va con aria di importanza mentre i genitori e i fratelli lo guardano,
con un misto di compassione e di ironia, girare attorno alla tavola con la sua
pipa rossa accostata alle labbra che, di tanto in tanto, emettono sbuffi di
fumo.
Dolce serenit delle vacanze di fine d'anno! Come basta poco per essere
felici! A volte le piccole cose sono le pi gradite.
Ernestina e Felice con i loro doni si sono appartati nelle loro stanze, dopo

aver ringraziato molto cerimoniosamente i genitori, mostrandosi soddisfatti


dei loro doni che, in realt, non li hanno affatto accontentati.
Ma i genitori sanno che cosa desiderano i figli?
Evidentemente hanno poca fantasia. Bambole, soldatini di piombo, pipe di
zucchero: non offre altro il mercato?
Ernestina avr lungamente sognato un paio di guanti, un copritesta di pizzo, un paio di scarpette scollate, ma queste cose non trovano mai posto nei
programmi dei genitori. I genitori non vedono i figli crescere e se li
immaginano sempre piccoli anche quando debbono allungare loro le vesti e i
pantaloni e pretendono che sappiano di greco e di latino.
Non mancanza d'amore non accorgersi che crescono e che i loro gusti e
le loro aspirazioni cambiano, mancanza di spirito d'osservazione.
Ma i genitori osservano sempre i figli con una lente alla rovescia e li
vedono pi piccoli di quel che sono in realt come se avessero paura di
vederli crescere perch significa perderli, come la chioccia perde i pulcini
quando non vogliono pi dormire sotto l'ala materna.
Pel di Carota, per mamma e pap Lepic, ancora un pulcino sotto la loro
ala ed forse per il timore che anche lui se ne vada da quel rifugio che, nei
suoi confronti, sono pieni di pretese e di imposizioni e, convinti di fare il suo
bene, gli rendono la vita amara.
IN COLLEGIO
Felice e Pel di Carota andranno al collegio San Marco.
La vita del collegio per i due ragazzi una parentesi indispensabile e vi si
assoggettano secondo il loro temperamento. Felice con indifferente alterigia,
Pel di Carota con le sue stramberie e il suo carattere duttile e malleabile che,
a volte, ne fa la vittima dei compagni e, a volte, lo spasso e l'oggetto della
loro affettuosa cordialit.
Le lezioni durano quasi tutta la giornata. Il tempo della ricreazione molto limitato; la rivincita, i ragazzi se la prendono di sera, nelle camerate, per
quel bisogno di sfogare in movimento e in chiacchiere i lunghi silenzi e la
fatica dell'immobilit fra i banchi della scuola.
Ogni sera, alla solita ora, c' l'ispezione dei dormitori. Il Direttore del collegio San Marco molto scrupoloso ed esige che la disciplina sia
rigorosamente osservata.
Passa per le grandi stanze in cui si allineano i lettini, con il suo assistente,
e osserva tutto senza averne l'aria. Sembra che faccia una passeggiata fra
quei letti, ma vede subito se un allievo non coricato come si deve. Nessuno
fiata e quando l'inserviente, che segue il Direttore come un cane segue il

padrone, a coda bassa, si alza in punta di piedi per attenuare l'erogazione del
gas e lasciare una fiammella tremolante entro il tubo di vetro, sempre sporco
di fuliggine, il momento in cui, come una esplosione, da ogni letto volano
coperte e cuscini e il chiacchiero, le corse fra letto e letto diventano
frenetiche.
Raramente l'ispezione si ripete.
Pare quasi che il Direttore e il personale del collegio sappiano quel che
accade nelle camerate, tanto impossibile che quel bruso, quei tonfi, quelle
corse a piedi nudi non destino nessun allarme. Forse fa parte del programma
pedagogico lasciare che i ragazzi si scatenino, per circa un'ora ogni sera, pur
sotto il timore d'essere scoperti e castigati. Se non esistesse tale timore, il
bruso diverrebbe assordante, senza ritegno e si sarebbe costretti a reprimere
e a castigare.
Ma fino a che si tratta di concedere quell'ora di vacanza straordinaria,
contenuta e prudente, si pu chiudere un occhio.
Direttore, professori e assistenti hanno certo il ricordo di quel che accadeva nelle camerate dei loro collegi e, in forza di quel piacevole ricordo,
mostrano una certa tolleranza e fingono di non sentire e di non sapere.
La camerata di Pel di Carota mista di piccoli e grandi. I piccoli fan lega
tra loro, ma i grandi, spesso, vogliono farla da padroni e i piccoli si
ribellano.
Soprattutto Marseau, uno dei grandi, fa il prepotente: vuole le cose a modo suo e distribuisce scappellotti piuttosto pesanti.
E il capo camerata, Marseau, e dovrebbe dare il buon esempio, invece il
pi indisciplinato di tutti.
Fuma, racconta storielle audaci, gioca a carte, s'azzuffa per un nonnulla ed
ha, di tanto in tanto, improvvise simpatie per l'uno o per l'altro; sdegnando
gli amici precedentemente beneficati dalla sua autorit, pretende che il
preferito sia trattato con tutti i riguardi ed sempre pronto a baruffare ed a
menar pugni senza ragione.
Per un periodo prese Pel di Carota sotto la sua protezione, poi, chiss perch, lo abbandon come un paio di vecchie ciabatte per dedicarsi ad un altro
ragazzo e farne il suo protetto.
Pel di Carota non ha digerito questa ingiustificata ripulsa. Bisognoso d'affetto, s'era legato a Marseau con profonda amicizia e si sentiva protetto
come nessuno lo aveva mai protetto prima di allora. Sapersi ora scaduto
dalla considerazione di Marseau una faccenda che lo accora.
Marseau un ragazzo robusto, audace, di parola facile, sa mettere a tacere
chiunque gli dia fastidio, bravo a scuola, bravo in palestra, legge libri
difficili e li sa raccontare molto bene, la matematica il suo forte e un

teorema spiegato da lui diventa facile come un gioco.


Tutti lo ammirano e tutti lo corteggiano, lo viziano, lo colmano di doni, si
sottomettono al suo volere, si accusano per lui, cedono a lui i dolci che
ricevono da casa, si prestano a fargli dei favori e, quando parla, lo ascoltano
a bocca aperta, come un oracolo.
Pel di Carota, quando era il suo preferito, godeva per riflesso di questa palese sottomissione di tutto il dormitorio, e sapeva che, fino a quando
Marseau fosse rimasto il suo paladino, nessuno avrebbe potuto torcergli un
capello n fargli scherzi, n metterlo in difficolt con gli insegnanti. Ora che
il volubile Marseau lo ha messo da parte, si sente scaduto dalla
considerazione di tutti e ricade in quel mutismo e in quella apatia che fanno
di lui un ragazzo bizzarro, scostante, che non invoglia nessuno ad offrirgli
simpatia.
E Pel di Carota ne soffre.
Una mattina, durante la sosta davanti ai lavabi, operazione che consiste
nel passarsi sul viso le cocche degli asciugamani umidi, Pel di Carota,
invelenito contro Marseau, senza ragione gli dice parole offensive.
Le sillabe gli escono dalla bocca quasi sibilando e investono l'offeso come
scudisciate; i due ragazzi si azzuffano.
Ma il sorvegliante, giunto in tempo per la solita ispezione, ha compreso
che stato Pel di Carota a provocare il compagno e, per punirlo e
giustificare la punizione, trova che ha le mani sporche perch non si lavato
con cura e lo obbliga ad andare dal Direttore a confessare i suoi torti, come
prescrive la disciplina del collegio e le norme che lo regolano.
Pel di Carota tenta invano di dimostrare che quel colore violaceo che ha
sulle mani mal lavate effetto dei geloni; il sorvegliante, che ha una
particolare simpatia per Marseau, non deflette e Pel di Carota dovr andare
dal Direttore a confessare la sua negligenza.
Il Direttore sempre mattiniero. Prepara nel suo studio il corso di storia
che, a tempo perso, impartisce alle classi superiori ed intento a seguire su
una antica carta geografica un immaginario itinerario storico, schiacciandolo
con le sue grosse dita sullo spesso tappeto del tavolo: qui avvenne la caduta
dell'Impero romano, l i Turchi conquistarono Costantinopoli, ecc... e
quando immerso in questi pensieri, il Direttore non ama essere disturbato.
Non ancora del tutto abbigliato. Porta una ampia veste da camera ricca
di alamari e di cordoni che, disposti attorno alla sua mole, paiono le
decorazioni di una colonna dorica. un uomo dedito alla buona tavola,
pesante nei movimenti. La sua pelle lustra trasuda grasso, ed ha una voce
forte, imperiosa, che mette soggezione.
Pel di Carota, dopo aver bussato varie volte, ha finalmente avuto il per-

messo di varcare quella soglia tanto temuta.


Ora sta l, ritto davanti al Direttore, con il berretto fra le gambe per poter
muovere liberamente le braccia e non sa come cominciare la sua
confessione, essendo riuscito a stento a pronunciare un timido
buongiorno.
Il Direttore lo guarda, poi la sua voce terribile esplode:
Che cosa c'? Che cosa vuoi?
Il sorvegliante, signor Direttore, mi ha mandato a dirle che ho le mani
e gli orecchi sporchi, ma non vero: guardi!
Coscienziosamente ancora una volta si sottopone all'altrui giudizio, prima
mostra il palmo, poi il dorso e ripete il movimento di rovesciar le mani pi e
pi volte, poi agita la testa, da sinistra verso destra e viceversa perch i suoi
orecchi possano esser visti in piena luce.
Il Direttore non ha neppure guardato quelle mani che sfarfallano sotto il
suo naso, n quella testa che si agita, ma esclama:
Tu dici che non vero? Ebbene, avrai quattro giorni di stanzino, per
punizione.
Ma signor Direttore, guardi le mie mani! Guardi i mei orecchi! Il
sorvegliante ce l'ha con me! Non sono sporche! solo a causa dei geloni che
hanno questo colore!
Ah! Dichiari che il sorvegliante ce l'ha con te: ebbene, i giorni di
stanzino saranno otto, in luogo di quattro!
Pel di Carota non disarma, al massimo prender uno schiaffo in quanto
non raro che il Direttore, con quelle mani poderose, distribuisca ceffoni
che mandano l'allievo a gambe all'aria.
Ma anche capitato che gli allievi, che conoscono l'uomo e la sua
lentezza, riescano a scansare il manrovescio: il che provoca sempre un
traballamento di quella enorme massa carnosa che, nella foga, perde
l'equilibrio, con grande spasso della scolaresca che trattiene a stento le risa.
Signor Direttore insiste Pel di Carota mi creda, vero che il
sorvegliante ce l'ha con me e le mie mani non sono sporche, le guardi, per
piacere, le guardi, sono scure a causa della pelle rovinata dal gelo...
Il Direttore, che non ammette repliche, appoggia i grossi pugni sull'orlo
del tavolo, si alza a met dalla poltrona, come se volesse investire Pel di
Carota in pieno petto, e mugola:
Via via! Otto giorni, ho detto, ora basta!
E il Direttore aspetta di vederlo sgattaiolare fuori dalla stanza come un topo che si districato dalla trappola. Tutte le pieghe del suo collo, in quella
posizione, si sono riunite e formano una collana su cui troneggia la testa, di
sbieco.

Pel di Carota, a vedersi fissato cos, si disorienta. Vorrebbe ancora parlare, ma la sua gola secca e le mani, a stento, riescono a recuperare il
berretto, che tiene ancora stretto fra le gambe. Si curva, come in un inchino,
poi, piano piano, camminando a ritroso, con mille precauzioni per non urtare
nei mobili, raggiunge la porta ed esce chiudendola adagio, con una lentezza
esasperante.
Nel corridoio silenzioso e vuoto tenta una capriola, batte malamente la testa e, stordito, si commuove su se stesso e dichiara:
Nessuno, nessuno mi vuol bene!
* **
Otto giorni da trascorrere nello stanzino sono una punizione veramente
grave per un paio di mani non perfettamente pulite. Pel di Carota si aggira in
quel breve spazio come una povera bestiolina in gabbia, il freddo lo morde,
la stizza lo scuote come una febbre maligna, le ore non passano mai e
quando ode, nel cortile, le grida dei compagni durante la breve ora di
ricreazione, s'arrampica fino a raggiungere i vetri della finestrella, su cui
l'inferriata segna una croce. La sua testa rossa e arruffata, il suo faccino
pallido punteggiato di lentiggini e sudicio di lacrime vorrebbe sorridere ai
compagni, ma quel sorriso sembra una smorfia. Nessuno guarda lass,
nessuno gli fa un cenno amichevole, nessuno gli grida una parola di
conforto, nessuno si cura di lui.
Vita di collegio! Punizioni ingiuste, lezioni senza fine, dispetti,
pettegolezzi, pugni dati e ricevuti negli angoli bui, meschinit e prepotenze,
istinti crudeli che affiorano, timore di mostrarsi cortese per non essere
giudicato sciocco o, quel che peggio, falso e traditore.
Le regole, sempre le regole; regole per dormire, per mangiare, per studiare, per pregare, regole ad ogni passo, vecchie regole di cui trasudano le
pareti, i banchi, il pavimento e, forse, anche il cielo, lass.
*

La sola cosa piacevole la quotidiana passeggiata, quando il tempo lo


consente, ma il tempo congiura spesso e le uscite sono rare.
una cosa gradevolissima, nelle poche giornate serene, camminare per le
vie che circondano le mura del collegio; se poi comincia a piovere, come
accade spesso in quel paese umido e nebbioso, una spruzzata d'acqua leggera
rinfresca come una benedizione.
Un giorno, rientrando dalla passeggiata, Pel di Carota, che camminava a

capo chino assorto nei suoi consueti pensieri poco allegri, si sent dire:
Guarda! C' tuo padre, Pel di Carota.
Era vero. Piaceva, al signor Lepic, fare una sorpresa ai suoi ragazzi, di
tanto in tanto.
Era l, suo padre, piantato sul marciapiede, dall'altra parte della strada, le
mani dietro la schiena, la sigaretta in bocca, a scrutare, uno per uno, ogni
viso della lunga fila.
Felice e Pel di Carota, quasi correndo, escono dai ranghi e gli si precipitano incontro per salutarlo e fargli' festa. Pel di Carota, che sempre si
emoziona a questi incontri inaspettati, tenta di darsi un tono disinvolto ed
esclama:
Parola, pap! A tutti pensavo fuor che a te.
Tu pensi a me solo quando mi vedi.
Pel di Carota vorrebbe ribattere con qualche frase affettuosa, ma non trova
nulla, talmente rammaricato di aver detto quelle parole cos poco opportune cui il padre non ha risparmiato una osservazione che lo mortifica.
Felice lo abbraccia e Pel di Carota si dispone a fare altrettanto, ma a causa
della sua statura, pur alzandosi sulle punte dei piedi, riesce soltanto a
sfiorargli la barba con le labbra. Il padre, quasi meccanicamente, solleva la
testa, come se volesse sottrarsi a quel bacio, poi, istintivamente, s'abbassa e
Pel di Carota, che mirava alla gota del padre, sbaglia la direzione e si ritrova
sotto le labbra il naso paterno, si scansa e bacia il vuoto: non insiste, turbato
com', si fa piccolo e guarda in terra cercando di spiegarsi il perch di quella
fredda accoglienza e finisce per pensare: pap non mi vuol bene come ne
vuole a Felice.
Non vero. Il padre ama entrambi nello stesso modo, ma quel figlio sempre cos sventato, incapace di accoglierlo con l'entusiasmo che si aspettava,
lo innervosisce e fa s che se lo senta come estraneo, senza un briciolo di
tenerezza spontanea. E, nell'uno e nell'altro, si formano pensieri che
congelano ogni slancio, ma nessuno dei due fa uno sforzo per avvicinarsi
all'altro.
Succede sempre cos.
L'uno si propone di saltargli al collo e di soffocarlo di carezze, l'altro desidera stringersi al petto quel figlioletto tanto refrattario ad ogni dimostrazione
d'affetto ma, quando si trovano vicini, si rinnova quella improvvisa
freddezza che agisce in pieno contrasto con il reciproco sentimento.
Ora, come sempre, si passa agli interrogatori scolastici.
Prima tocca a Felice che, ad ogni domanda, ha una risposta pronta e
soddisfacente, mentre Pel di Carota gi trema al pensiero di quando toccher
a lui.

E tu, monello, come vai col greco?


Dipende: meglio nella versione, ma nello scritto meno bene. Sai, pap,

nella versione ci si butta un po' a indovinare...


Ma tu devi saperle, le cose, non indovinarle.
S, s, giusto, le so, ma poi, quando son l con la penna in mano...
E nel tedesco?
Discretamente, pap: ma difficilissimo da pronunciare...
Male! Se dovessimo dichiarare guerra, come farai a sconfiggere i Prussiani, se non capirai la loro lingua?
Pap scherza, pap di buon umore, pap un caro pap che vuol bene
anche a Pel di Carota e Pel di Carota se ne rinfranca tutto.
Hai ragione, pap: mi ci metto di buona voglia. Tu parli sempre di
guerra per spaventarmi ed io credo che la guerra aspetter, a scoppiare, che
io abbia imparato il tedesco!
E nell'ultima composizione, come sei stato classificato? Speriamo tu
non sia in coda...
In coda, pap, bisogna pur che qualcuno ci sia...
Vedo. Volevo portarvi a pranzo con me, ma poich non mi dai notizie
confortanti, pazienza! Non voglio distogliervi dallo studio.
Felice si affrettato a spiegare che ha l'intera giornata libera da qualunque
lezione.
E tu, Pel di Carota? chiede il padre.
Pel di Carota sa che non deve dire bugie e confessa:
Qualche ripassatina...
Bene, ripassa, ripassa: ne hai bisogno. Vedr di trattenermi fino a domenica e faremo insieme un buon pranzetto.
Felice il pi deluso. Per colpa di quello scioccherello di Pel di Carota si
vede sfumare sotto il naso una buona mangiata in trattoria, cosa che a lui fa
sempre tanto piacere.
Ma la delusione di Felice, l'ostentato silenzio di Pel di Carota non ritardano gli addii. venuto il momento di lasciarsi.
Pel di Carota gi teso ed inquieto: si sta chiedendo se suo padre gradir
o meno il bacio che intende dargli.
deciso: lo sguardo fisso, si avvicina sulle punte dei piedi, ma il padre gli
tende la mano e quasi scostandolo dice:
Finirai col cavarmi gli occhi, con quella penna sull'orecchio. Non
potresti toglierla quando mi abbracci? Osserva, ti prego, che io mi tolgo la
sigaretta di bocca.
Oh, pap, mi dispiace. Hai ragione. Son tanto abituato a tener la penna
cos a portata di mano, che non m'accorgo neanche di averla. Me ne

dimentico, ecco. E non pensavo, pap che fosse la penna a farti paura...
E, confortato, Pel di Carota ride come se avesse scoperto un tesoro: finalmente sa perch suo padre ha spostato il capo quando voleva baciarlo...
Ah! ridi, ridi pure, piccolo demonio! Ridi al pensiero di aver rischiato
di accecarmi col tuo pennino, eh?
Pel di Carota non ride pi e mentre suo padre si allontana e Felice lo
saluta con la mano, egli non ha neppur la forza di sollevare il braccio.
Poi, di corsa, insegue Felice che l'ha lasciato solo sull'orlo del marciapiede
e raggiunge la fila dei ragazzi, che si snoda gi verso le mura del collegio,
con gli occhi appannati di lacrime.
LE VACANZE
I signorini e la signorina Lepic tornano per le vacanze.
Mamma e pap Lepic, con gli abili migliori, sono in attesa della diligenza
che riporta, nella loro casa tanto silenziosa, i figlioli lontani.
Pel di Carota li ha gi visti e si chiede se il caso di saltar dalla vettura e
correre loro incontro, ma poich Felice ed Ernestina mostrano pi dignit,
egli esita e, quando il veicolo si ferma, Pel di Carota l'ultimo a scendere.
Felice ed Ernestina lo hanno sorpassato e stanno dividendosi abbracci e
carezze mentre a lui tocca attendere che il vetturino abbia scaricato le loro
sacche da viaggio.
Quando Pel di Carota giunge presso i genitori e dice:
Oh, mamma, oh, paparino!
Come? rimbecca la signora Lepic. Alla tua et dici ancora
paparino? Babbo, devi dire al signor Lepic, non paparino. Ma che cosa
impari, buon Dio, se non sai neppure stringergli la mano?
Dignitosamente lo bacia in fronte, spingendolo verso il padre che gli
tende una mano.
Chiss perch, a lui toccano sempre queste spiacevoli cose. Ha il dono, lo
riconosce, di creare situazioni assurde in cui, chi ci rimette, sempre lui.
Filosoficamente inghiotte l'amaro che ha in gola e s'avvia verso casa, trascinando la sacca pi pesante, quella di Ernestina. Ma contento di essere in
vacanza, contentone!
Quante, quante cose far in quei lunghissimi benedetti giorni! La scuola
comincer soltanto il 2 ottobre e la partenza allora sar ben triste,
Pel di Carota rammenta come fu triste, piena di confusione, di addii, di lacrime, la precedente partenza.
Gli par di udire ancora i sonagli della diligenza e rivede la signora Lepic
buttarsi sui figliuoli, stringerli in una bracciata sola, mentre lui, Pel di

Carota, troppo piccolo per essere compreso nell'abbraccio, rest fuori in


attesa del suo turno.
Ma nessuno bad a lui mentre si stavano sistemando i bagagli. Gli avevan
gi fatto cenno di salire e Pel di Carota si teneva con la mano appesa alle
cinghie dell'imperiale, un piede su, un piede gi, aspettando un abbraccio
materno. Ma l'abbraccio non venne, e allora, con una mano tesa, si affrett a
dire:
Arrivederci, madre mia!
Beh! pagliaccetto, che cosa ti credi di essere? Che cosa ti costa
chiamarmi mamma come gli altri? S' mai vista una cosa simile? Ancora con
le labbra che sanno di latte e il moccio al naso, vuol fare l'originale...
Gli diede un bacio in fronte ed uno scapaccione.
E, dopo, nella vettura, Felice ed Ernestina, a vederlo piangere, si misero in
mente che a lui non piacesse andare in collegio e, per tutto il viaggio, non
fecero altro che ridere alle sue spalle.
* **
Ricordi, ricordi belli e ricordi brutti. Si seminano lungo la strada come
pianticelle grame, qualcuna attecchisce, qualche altra no e, neanche a farlo
apposta, attecchiscono sempre quelle peggiori.
Tutte le volte che i ragazzi ritornano dal collegio, la signora Lepic per prima cosa provvede ad un bagno scrupoloso, ed gi pronta una tinozza
fumante in cui i due ragazzi saranno immersi contemporaneamente.
Sa quanto ne hanno bisogno, dopo tanti mesi in cui stato curato il loro
cervello ma non la salute del loro corpo. D'altra parte non esiste nessun
regolamento che obblighi i collegi a far fare il bagno agli allievi e, specie
durante la stagione fredda, una precauzione saggia per evitare infreddature.
I piedi di Pel di Carota sono sempre pi neri di quelli di Felice. Non che
quelli di Felice siano bianchi, ma pur vivendo insieme, seguendo lo stesso
regime, respirando la stessa aria, non si capisce come mai Felice riesca ad
essere meno sporco del fratello minore.
Pel di Carota, pieno di vergogna, immerge nell'acqua calda quei suoi piedi
che neppur lui riconosce, tanto sono dello stesso colore dei calzini, e tenta di
confonderli con quelli del fratello maggiore che li ha gi immersi nel fondo
della tinozza.
L'acqua, un momento fa limpida, un po' per il sapone, un po' per la sporcizia che affiora, forma alla superficie un velo oleoso, orribile a vedersi.
Uscito dal bagno, sentendo la pelle che respira, levigata e morbida anche
sotto le dita, gli pare di aver lasciato nell'acqua una vecchia pelle, rugosa e

grigiastra, come fanno le lucertole che escono dalla pelle con i colori pi
vividi e i movimenti pi rapidi. bello tornare a casa. Specialmente i primi
giorni, tutto fila nel modo migliore.
II cibo di casa squisito, le lenzuola fresche, l'aria inebriante come un
liquore, gli abili leggeri non danno alcun impaccio e la vita bella,
immensamente bella!
Pel di Carola gusta tutte queste cose a piccole dosi, come un dolce che si
teme di veder finire nel piatto.
Pap Lepic e mamma Lepic sono di buon umore. Anche se le pagelle di
tutti e tre non sono di piena soddisfazione, quel che conta sono le
annotazioni di pugno del Direttore.
Il signor Lepic rilegge spesso quelle annotazioni e ripete quel che riguarda
Felice: Sventato, ma intelligente: riuscir e finge di borbottare ma, in
fondo, quel riuscir lo riempie di soddisfazione.
Nella pagella di Pel di Carota detto: si distingue, quando vuole, ma non
sempre, vuole e l'idea che quello scricciolo di figliolo si distingua anche
se si distingue solo quando vuole una cosa che diverte la famglia.
E guardano colui che si distingue e s'accorgono che cresciuto ma s'
imbruttito. Forse dipende dai capelli. Quella massa di capelli, stopposa e
rossastra, lunga ed incolta. Bisogna sfoltirla, educarla e il signor Lepic vi
affonda la mano, con un gesto affettuoso che ha, per Pel di Carota, un
significato di estrema importanza.
Ma nel maneggiare quell'intrico il signor Lepic si accorge che in quella
selva c' una fauna che crepita sotto le sue unghie e ritrae la mano con
ribrezzo.
Pidocchi!
La signora Lepic costernata.
Dovevo immaginarmelo! esclama inorridita. Ernestina, presto,
corri a prendere una catinella. Qui, figlia mia, c' un ingrato lavoro per te.
Ernestina arriva munita di una catinella, un pettine fitto, una boccetta di
aceto e la caccia ha inizio.
Pettina me, prima grida Felice con voce isterica me li avr
attaccati, vedrai!
Si gratta furiosamente e chiede a gran voce l'acqua per annegare quella
ipotetica famiglia che alberga sul suo capo, ma Ernestina lo ammonisce:
Sta fermo, ora vedremo.
Gli ha messo un asciugamano intorno al collo e lo tiene a testa bassa, sul
pelo dell'acqua e abile e paziente fruga qua e l quasi dispiaciuta di non
trovare nulla.
Scosta i capelli, maneggia il pettine a fondo, mentre Felice muove le gam-

be e mostra i pugni a Pel di Carota.


Pel di Carota aspetta paziente il suo turno.
Ho finito, Felice, dice Ernestina non c' nulla. Ora conteremo
quelli che ha in testa Pel di Carota.
Al primo colpo del pettine fitto, Pel di Carota vede galleggiare sull'acqua,
su cui Ernestina gli tiene china la testa, un numero considerevole di piccoli
puntini scuri che si agitano e pare che nuotino in cerchio. Ho trovato un
nido! grida Ernestina rallegrata da quella scoperta. Non era un nido: era
un colpo dato a caso in quella specie di formicaio.
Tutti circondano Pel di Carota, Ernestina si fa in quattro, il signor Lepic,
con le mani dietro la schiena e una smorfia di schifo, segue quella
operazione con evidente curiosit, la signora Lepic caccia strilli lamentosi:
Oh, oh! Ci vorrebbe un badile, un rastrello...
Felice agita il catino sotto gli occhi di Pel di Carota e si diverte a vedere
quelle zampette sottili, come ciglia recise, agitarsi al contatto dell'aceto.
Ma davvero. Pel di Carota dice mamma Lepic con tono accorato
non si riesce a capirti. Alla tua et, vada per i piedi neri, pazienza, non
danno gran fastidio, ma lasciare che i pidocchi ti divorino senza reclamare,
senza chiedere l'aiuto dei maestri, restare indifferente a sentirti mangiare
vivo da quelle schifose bestiole, inconcepibile. Hai la testa tutta graffiata e
insanguinata ... di che cosa sei fatto, buon Dio. che figlio ... che figlio ...
come posso aver meritato un simile castigo?
Mamma, dichiara Pel di Carota il pettine che mi graffia e fa
sanguinare la mia zucca ...
Ah! E il pettine? Bel modo di ringraziare tua sorella per quell'ingrato
servizio che ti sta facendo. Hai sentito Ernestina? Il signorino tanto
delicato che si lagna della pettinatrice. Da' retta, figliola, abbandona questo
martire volontario al suo verminaio e lascia che io divorino...
Ho finito, mamma. Ora la testa finita, Domani far una verifica per
il caso che qualche uovo, sfuggito alla cattura, non prolifichi.
Brava, bambina mia! Quanto a te, piccolo sudicione, meriteresti che ti
obbligassi a mettere il catino esposto sul muro del giardino. Tutto il paese
dovrebbe sfilarci davanti e vedere che figlio ho e compiangermi e
svergognarti!
Pel di Carota prende il catino, lo mette al sole, e vi sta accanto, come se
gli facesse la guardia. Neanche a farlo apposta, passa Maria Nannetta, che,
ogni volta che vede Pel di Carota, si sofferma a guardarlo con i suoi occhietti
miopi e maliziosi, scuotendo la testa ricoperta da una cuffietta nera.
Che cos' questa roba? domanda Maria Nannetta. Pel di Carota non
risponde e la donna si china sul catino.

Sono lenticchie? Proprio non ci vedo bene. Pietro, mio figlio,


dovrebbe decidersi a comprarmi un paio di occhiali. E tu, Pel di Carota, che
fai con gli occhi scuri e tanto imbronciato? Scommetto che ti hanno sgridato
e messo in castigo. Dammi retta, io non sono tua nonna, ma ti compiango ...
Pel di Carota si assicura che la mamma non possa sentirlo ed esclama:
E con questo? Voi cosa c'entrate? Impicciatevi dei fatti vostri e
lasciatemi in pace!
La sera, dopo cena, la conversazione verte sempre sui voti di scuola.
Pel di Carota, - dice in tono bonario il signor Lepic mentre si sta
sparecchiando la tavola l'anno scorso non hai dato buona prova, come
speravo. Anche il Direttore dice che potresti fare e fare assai meglio. Forse
dipende dal fatto che perdi troppo tempo a leggere quei libri pieni di stupide
fantasticherie. Hai buona memoria, hai voti abbastanza soddisfacenti
nell'orale, ma trascuri i compiti scritti. Pel di Carota, bisogna mettere
giudizio...
Stai certo, pap. Ammetto che l'anno scorso mi sono un po' lasciato
andare. Ma ti prometto che l'anno prossimo sgobber, sul serio, non ti
prometto di essere il primo della classe, ma ci sar molto vicino.
Bene, provati. il tuo dovere, per i sacrifici che noi facciamo.
Ma non pretendere troppo, pap: non ce la far in geografia e in
tedesco n in fisica n in chimica. Ci sono ragazzi bravi che impossibile
superare. Ma sar il primo in composizione francese, se mi ci metto, vedrai,
pap, sarai fiero di me. Se poi non ce la faccio, anche se non avr niente da
rimproverarmi, vuol dire che esclamer fieramente, come Bruto: O virt,
non sei che un nome!.
Che cosa hai detto? chiede Felice alzando il capo dal libro che sta
leggendo.
Non ho capito precisa Ernestina.
Nemmeno io afferma la signora Lepic ripeti un po'?
Non ho detto niente, mamma quasi si scusa Pel di Carota.
Come niente? Hai addirittura declamato! Hai anche minacciato il cielo
con un pugno ed eri rosso di collera ... Scommetto che ti hanno sentito anche
in paese. Ripeti subito quella frase, che tutti ne possano trar profitto!
Mamma, non ne vale la pena...
Ma hai parlato di qualcuno, di chi parlavi?
Non lo conosci, mamma.
Ragione di pi. Ti proibisco di fare lo spiritoso: fa il piacere di ubbidire, e subito.
Parlavo con pap, mi dava dei consigli da amico e non so come m'
venuta l'idea di chiamare a testimone la virt come fece quel romano che si

chiamava Bruto ...


Ebbene? Ti ho forse chiesto di darmi il Per? Ti chiedo di ripetere a
me, tua madre, una frase che hai detto a tuo padre e spero che la tua
reticenza non significhi che mi credi incapace e tanto incolta da non capirla.
Vuoi che la ripeta io? dice pronto Felice.
No. Prima lui, poi tu e confronteremo. Su, Pel d Carota, spicciati. Pel
di Carota quasi balbetta, con voce piagnucolosa:
Viirtuu, non seeei che unnn nooome!
Roba da ammattire! Io non cavo nulla di buono da questo monello!
Finge di essere confuso, per nascondere la sua insolenza! Si lascerebbe
coprire di botte piuttosto che far un piacere a sua madre.
Ecco, mamma: guarda come ha detto: Se non riesco primo in
composizione francese (Felice fa l'imitazione del fratello roteando gli occhi,
gonfiando le gote, picchiando i piedi) esclamer come Bruto: (alza le mani
al soffitto) 0 virt (lascia ricadere le braccia) non sei che un nome. Ecco!
Bravo Felice, mi rallegro con te. Pel di Carota, non posso che
deplorare la tua cocciutaggine, in quanto l'imitazione non vale mai
l'originale.
Ma, Pel di Carota, interviene Felice sei sicuro che sia stato
Bruto a dire quella frase? Non piuttosto stato Catone?
Sono certo che stato Bruto Pel di Carota quasi esclama. Poi
si gett sulla spada prtagli da un amico e mor.
Hai ragione. Anzi mi ricordo che Bruto simulava la pazzia con l'oro di
una verga asserisce Ernestina con aria di competenza.
Scusa, Ernestina, ti sbagli. Confondi il mio Bruto con un altro.
Sar. Ma la signorina Sofia, che tiene il corso di storia, vale quanto il
tuo professore.
Basta, non bisticciate, ora. L'importante di avere un Bruto in famiglia
dichiara la signora Lepic. Noi lo abbiamo e ci basta. Ammirate il
novello Bruto, orgoglio della nostra casata! Parla latino come un vescovo
e rifiuta di ripetere, come Paganini. Guardatelo: visto di faccia mostra
patacche su una giacchetta inaugurata stamattina, visto di schiena mostra
strappi nei calzoni, che ve ne pare? Oh, Signore! Abbiamo un Pel di
Carota-Bruto! S, una razza di piccolo bruto!
***
Quell'anno, durante le vacanze, Pel di Carota chiese ed ottenne che lo lasciassero in pace, per studiare, leggere o dormire, nelle ore canicolari del
giorno, nello stallino, una stanzetta che faceva parte del fabbricato rurale,

nel quale erano successivamente vissuti galline, conigli, maiali, secondo


l'ordine e il capriccio dei vari allevamenti.
Lo stallino adesso era vuoto e dalla sua apertura, senza porta, si entrava
magnificamente, chinando la testa.
Alcune esili ortiche ne ornavano la soglia e se Pel di Carota le guardava
disteso bocconi, gli parevano una foresta.
Una polvere sottile copriva il pavimento di terra battuta, le pareti, in pietra
viva, stillavano umidit e Pel di Carota sfiorava il soffitto con i cappelli; ma
l si sentiva a casa sua, indipendente, padrone e poich non aveva pi l'et
per giocare con i giocattoli, entro quel buco in perpetua ombra si divertiva a
spese della sua immaginazione.
Il divertimento principale consisteva nello scavare con le mani, come con
la cazzuola, la sottile polvere del pavimento e formare una specie di catino
entro cui sedere, con le spalle appoggiate al muro liscio e Fresco, le gambe
piegate, le mani sulle ginocchia, raccolto come certi santoni indiani, in
preghiera.
Non potrebbe occupare meno spazio di cos e in quella posizione dimentica il mondo, non lo teme pi e potrebbe scuoterlo, da quelle ore di statico
isolamento, soltanto uno scoppio di tuono.
Tutto attorno a lui, in quella specie di eremitaggio, acquista incalcolabile
valore.
Sul soffitto un moscerino s' impigliato in una ragnatela e vibra e si dibatte per liberarsi. Il ragno scivola lungo il filo: ha il ventre bianco, come la
mollica del pane, e il dorso scuro e le zampette in movimento, tanto rapido
che pare resti un attimo sospeso nell'aria, raggomitolato. Poi, come se si
rotolasse, si slancia, chiude la stella delle sue zampette, stringe la preda. Pel
di Carota fa per lanciarsi e distruggere tutto quel lavoro, con una passata
della sua mano, rapida, ma troppo tardi. Il ragno risale, appeso al filo che
ha lasciato calare da un invisibile punto del soffitto e scende e sale per
costruire una nuova ragnatela: una nuova trappola.
Ad un tratto, nel cortile risuona un richiamo:
- Pel di Carota! Pel di Carota!
Possibile che non si possa restare in pace a covare i propri pensieri?
Pel di Carota non risponde. Si raggomitola, come ha visto fare al ragno,
nel fondo pi scuro dello stallino, l dove chi vien dalla luce, anche se si
affaccia, non pu vederlo, e se ne resta quieto, come una lepre braccata.
Pel di Carota! Pel di Carota!
La voce si allontanata, ma quel richiamo ha rotto l'incantesimo. I pensieri, le fantasticherie corrono via, ma poi, come acqua stagna, formano una
pozzanghera.

***
Anche lo stallina non consente l'isolamento: meglio andare a pescare. Si
pi distanti dalla casa ed pi facile essere lasciati in pace, soprattutto se
si indispensabili come Pel di Carota a cui, a differenza di Felice o di
Ernestina, ci sono sempre mille incombenze da affidare.
Pel di Carota ha sentito dire che per pescare i gamberi non c' niente di
meglio che la carne del gatto.
Non le trippe di pollo, non gli scarti di macelleria, ai gamberi piace la carne di gatto e abboccano con una sollecitudine mai vista con nessun'altra
esca.
Pel di Carota conosce un gatto, un gatto di nessuno, vecchio, malato, spelacchiato.
Ne va in cerca e lo invita nel suo stallino.
Ha rubato in cucina una tazza di latte e la offre al gatto con la cortesia di
un ospite premuroso.
Potrebbe anche accadere che un topolino schizzasse fuori da qualche parte, per integrare quel pasto, ma, per il momento, offre al gatto una tazza di
latte in cui ha mescolato anche qualche cucchiaino di zucchero.
Ha posato la tazza in un canto e, accarezzato il gatto, lo spinge verso la
tazza, lo blandisce con paroline tenere, lo vezzeggia e osserva, felice, i rari
colpetti di lingua che, un po' diffidente, il gatto d alla bianca superficie del
latte.
Rinfrancato da quel buon sapore di latte, il gatto non perde tempo. Pel di
Carota si intenerisce e dice:
Poveraccio, goditelo fino in fondo! E il gatto gli d retta: e come!
Vuota la tazza fino in fondo, ne lecca gli orli, l'asciuga a colpi di lingua,
poi si lecca il muso.
Tu ne vorresti un'altra tazza eh? Ma non ho potuto avere che questa.
Con tentati... tanto pi che...
Ma come pu mandare ad effetto il suo piano? Come pu puntare la carabina verso quella testa che lo guarda con tanta fiducia?
Pel di Carota non un novellino. La sua carabina ha gi ammazzato
uccelli selvatici e sa come si fa. Ma a quegli uccelli non ha offerto una tazza
di latte n stato a guardarli sorbirlo beatamente, come quella povera
bestiolina di nessuno e con la fame arretrata.
I gamberi possono fare a meno della sua carne.
Meglio dormire, sognare un po'.
E sogna di passeggiare lungo un ruscello nel quale traspaiono, come attra-

verso un pizzo formato dalle piante, innumerevoli raggi di luna. Sull'acqua


paiono aghi, diritti e dorati, come i ferri con cui le donne fanno la calza.
Sulle piccole reti per gamberi, la carne di gatto fiammeggia, come se fosse
fosforescente.
La nebbia, sul prato, striscia opaca come una massa fibrosa, forse nasconde dei fantasmi. Pel di Carota non ha nulla da temere da nessun fantasma.
Neanche dal fantasma di un gatto. Un bue si avvicina, trotterellando. Si
ferma, sbuffa, riparte e resta nell'aria l'eco dei suoi quattro zoccoli che
scalpitano. Che pace, se il ruscello non chiacchierasse cos fitto!
Quel bisbiglio dell'acqua, a lungo andare, in tanto silenzio, d ai nervi e fa
pensare a un'assemblea di donnette ciarliere. Pel di Carota, come se volesse
picchiare l'acqua, per farne tacere il mormorio, alza il bastone di una rete, ed
ecco, fra i giunchi appaiono gamberi enormi.
Usciti dall'acqua crescono ancora: diventano giganteschi.
Vanno verso Pel di Carota, con il loro buffo passo a ritroso e via via ingigantiscono, luminosi, lustri d'acqua sulla corazza bruna e maculata.
Pel di Carota, paralizzato dall'angoscia, non pu scappare e vede che i
gamberi, quei gamberi mastodontici, lo circondano, minacciosi. S'alzano per
azzannarlo alla gola, con le loro pinze protese. Ci che conta, nei sogni, la
possibilit di svegliarsi proprio quando l'incubo si fa insopportabile.
Pel di Carota si scuote, sudato, ha sete, deve uscire dal suo stallino,
respirare aria pura, dimenticare l'orrore di quei gamberi che lo volevano
assalire.
Poco dopo fischietta, al di l del prato.
***
Il bello delle vacanze che ci si pu permettere piccole evasioni.
Oggi il giorno in cui Pel di Carota ha avuto il permesso di salire dal
pastore. Gli hanno detto che all'ovile sono giunti agnellini nuovi.
Quando entra nell'andito delle pecore, sulle prime gli par di vedere soltanto delle palle bianche che saltellano.
Sembrano bambini che ruzzano in una stanza di ricreazione, con gridolini
e mossette; una di quelle candide palle precipita fra le gambe di Pel di
Carota, tanto che egli ne prova un certo disagio.
Un altro agnellino, pi ardito, la un salto verso l'abbaino da cui penetra
poca luce, se ne spaventa e Pel di Carota ride a quella evidente, ingenua
paura.
I suoi occhi si abituano gradatamente all'oscurit del locale e tutti i particolari si fanno chiari ai suoi occhi.

Paiol, il pastore, ogni mattina conta due o tre agnelli in pi, poich
quello il periodo delle nascite.
Paiol trova goffi e sperduti gli agnellini appena nati; accanto alla madre,
tremanti sulle gambe che non li reggono ancora, sembrano scolpiti nel legno.
Pel di Carota li guarda e, specialmente i pi piccini, non osa neppure
accarezzarli.
Loro, sono pi arditi: gli leccano le scarpe, gli posano le zampe anteriori
addosso e hanno un fuscello d'erba fra le labbra, come se volessero
offrirglielo. Quelli pi adulti, che hanno una settimana di vita, corrono a zigzag, instancabili, mentre quelli che contano un solo giorno hanno gli
occhietti semichiusi e se tentano di alzarsi ricadono sulle gambe davanti e
restano l, come se fossero in ginocchio.
Pel di Carota, che un osservatore per istinto, vede tutto questo e non sa
dare un nome ai sentimenti che tutto ci suscita in lui.
Un agnellino, nato allora allora, si trascina verso la madre, ma essa lo respinge a colpi di testa.
Che pessima madre nota Pel di Carota.
Succede fra le bestie, come fra gli uomini spiega Paiol.
Forse quella pecora non gli vuol bene, vorrebbe darlo a balia...
Accade anche questo. A pi d'uno bisogna dare il poppatoio, un
poppatoio quasi come quello che si usa per i bambini. Si compera in
farmacia. Ma questa operazione dura soltanto pochi giorni, perch la madre
s'intenerisce e finisce per volere il suo piccolo allattato da s e non dal
poppatoio.
Paiol sa tante cose sulla vita, sui capricci, sulle abitudini delle pecore e
spiega a Pel di Carota:
Per domarle, si prendono per le spalle e si isolano in una gabbia con
legata attorno al collo una cravatta di paglia per riconoscere la pecora nel
caso che fuggisse.
E poi? chiede Pel di Carota.
Piano piano diventa ragionevole e l'agnellino, che l'ha seguita, le sta
vicino tutto fremente, poi si alza sulle deboli gambe, si lamenta, cerca di
poppare e, finalmente, la pecora ribelle ritrova sentimenti materni e dopo
tutto Fila in perfetto ordine.
Ma non si potrebbe aggiunge Pel di Carota dare un agnellino a
un'altra madre, se sua madre non lo vuole allattare?
Lo rifiuterebbe afferma Paiol che sa tutto sulle pecore, ma non
vuole, evidentemente, scendere nei dettagli.
Intanto, dai quattro angoli della stalla, i belati delle madri si incrociano
con quelli pi deboli degli agnellini.

Per le orecchie di Pel di Carota sono belati senza sfumature, ma per le pecore e gli agnelli hanno risonanze inconfondibili ed ogni agnellino si
precipita verso la madre, senza errore.
Qui torna a confermare Paiol nessuna madre ruba un agnello a
un'altra madre.
E l'istinto della famiglia spiega Pel di Carota sembra incredibile
in questi batuffoli di lana. Eppure ... Come si spiega? Forse con l'odorato e la
finezza del loro naso ...
Paragona profondamente gli uomini alle pecore e vorrebbe conoscere che
sentimenti provano le madri per i figli e i figli per le madri.
Ma queste sono cose che non pu chiedere a Paiol.
Ormai tutti gli agnellini poppano avidamente. Le madri mangiano pacifiche, indifferenti.
Fuori dall'ovile, Pel di Carota attratto dall'abbeveratoio in cui vede sul
fondo frammenti di catene, cerchi di ruote, un badile consunto e
accartocciato.
E proprio pulito il vostro truogolo, Paiol dice con aria ironica
con tutta questa ferraglia arricchite il sangue delle vostre pecore!
Dici proprio giusto, Pel di Carota risponde Paiol. Tu, forse non
prendi le pillole ricostituenti?
Offre a Pel di Carota di assaggiare quell'acqua ferruginosa e salutare e,
per meglio confermare il suo principio, getta nell'abbeveratoio altri pezzi di
ferro che trova in giro.
Pel di Carola rifiuta, cortesemente.
Paiol vorrebbe fargli un regalo, ma non ha nulla da dargli. Ad un tratto gli
chiede, come ispirato:
Vuoi una zecca, Pel di Carota?
Una zecca? Volentieri! e Pel di Carota ringrazia in anticipo senza
sapere che cos' una zecca.
Paiol fruga nella folta lana di una pecora madre e prende, con le dita, un
insetto giallo, tondo, polposo, grasso e ben pasciuto.
Intanto Paiol spiega che ne basterebbero solo due, di quelle zecche, per divorare come una prugna la testa di un bambino.
Mette l'insetto nel cavo della mano di Pel di Carota, che lo guarda con un
certo disgusto e non sa se deve ridere o esserne nauseato.
Un cattivo pensiero lo investe. Che cosa accadrebbe se mettesse quell'animaletto nel collo o nei capelli di Felice o di Ernest ina?
Intanto, nel palmo della sua mano l'insetto sta lavorando e gi attacca la
pelle. Pel di Carota sente pizzichi lievi alle dita, come se vi cadessero dei
ghiaccioli, pizzichi che salgono verso il polso, poi, su. su, fin verso il

gomito, come se il parassita si moltiplicasse e stesse per rodere il suo braccio


lino alla spalla.
Bisogna punirlo. Pel di Carota chiude la mano e stringe e schiaccia fino a
quando non sente sulla pelle un umore viscido. Allora si asciuga la mano
sulla groppa della pecora, senza che Paiol se ne accorga e non si senta
mortificato per come ha rifiutato il suo dono. Se gli chieder che cosa ne ha
fatto, dir d'aver perduto la zecca.
Nell'ovile i belati si sono a poco a poco affievoliti.
Fra un po' non si sentir altro rumore che quello sordo del fieno masticato
lentamente. Mentre Pel di Carota si allontana dall'ovile, ormai buio, d un
ultimo sguardo allo stanzone caldo e maleodorante e vede un mantello di
pelle di capra appeso a una rastrelliera: sembra un uomo, immobile, rimasto
solo a badare le pecore.
La giornata finita.
Pel di Carota s'avvia di buon passo verso casa, contento del diversivo che
quella giornata gli ha procurato.
Ha imparato molte cose, ed ora, come fanno le pecore con il fieno, quelle
cose le mastica ad una ad una e ne trae il succo delle sue riflessioni e si
trova, nei suoi ricordi, come un agnellino quando, piccino, s'accostava alla
mamma per averne il tepore e una carezza. Ma la mamma, presa da mille
faccende, da mille pensieri, come fanno le pecore, lo curava, lo imboccava,
ma non aveva tempo, povera donna, di perdersi in moine.
Bisogna studiare gli animali, pensa Pel di Carota, per capire gli uomini.
E questo protondo pensiero lo accompagna mentre corre a balzelloni un
po' fischiando, un po' cantando, verso la sua casa di cui, da lontano, gi
scorge il lume acceso, sul desco apparecchiato per la cena.
IL PADRINO
Le vacanze consentono mille e mille passatempi piacevoli.
A volte la signora Lepic lascia che Pel di Carota vada a trovare il padrino.
Il padrino di Pel di Carota un vecchio, burbero in apparenza, solitario e,
a modo suo, contento di vivere lontano da tutti.
Ha un debole per Pel di Carota e la mamma, che lo sa, consente spesso
che Pel di Carota resti qualche giorno con lui; allora quel curioso individuo,
che non parla con nessuno, che non vuol bene a nessuno, con il suo
figlioccio diventa una pasta tutto zucchero.
Sei qui, paperino?
S, padrino risponde Pel di Carota, senza nemmeno abbracciarlo.
Hai preparato la lenza?

Non basta una per tutti e due?


No, non basta: voglio pescare da solo.
Pel di Carota si dirige verso la stalla e trova la sua lenza gi preparala.
Il padrino lo tormenta sempre in quel modo, ma il solo modo con cui
riesce a dimostrare il proprio affetto; Pel di Carota lo sa, conosce il gioco e
non se la piglia mai se riceve risposte brusche. Conosce le piccole manie del
vecchio, a cui molto affezionato, e i loro rapporti non sono turbati da
screzi, perch l'uno conosce l'altro, in forza di una curiosa affinit di pensieri
e di sentimenti, che si manifestano in un modo tutto particolare.
Se il padrino dice no, Pel di Carota sicuro che vuol dire di s e se dice di
si allora pacifico che vuol dire di no. Non bisogna mai prendersela, con lui.
Del resto, Pel di Carota filosofo e pensa: se gli fa piacere far cos,
padronissimo, a me non d fastidio.
E sono due grandi amiconi.
Pi il padrino invecchia, pi si diverte a far dispettucci e Pel di Carota,
che via via che cresce si fa ragionevole e capace di capire la natura umana,
quasi si rallegra a dargli corda e a vederlo tutto felice quando egli finge di
sbagliare.
Il vecchio, di solito, cucina per s una volta alla settimana. Ma quando ha
presso di s Pel di Carota, mette sul fuoco un pentolone di fagioli con un bel
pezzo di lardo e, per cominciare bene la giornata, lo obbliga a bere un
bicchiere di vino schietto.
Ha le sue idee in fatto di nutrimento e non sono del tutto peregrine se, come ne fa fede la sua vecchiaia arzilla e lucida di mente, si ottengono risultati
cosi positivi.
Vanno a pescare insieme.
Il padrino, seduto sulla riva, dipana metodicamente la sua lenza e assicura
con grandi pietre le sue enormi canne destinate a pescare pesci grossi.
Non pesca altro che pesci grossi e, man mano che ne afferra uno, lo fascia
in un tovagliolo e lo depone al fresco sull'erba avvolto come un pupo.
Mi raccomando, Pel di Carota, non tirare mai se il sughero non
scomparso tre volte.
Perch tre volte?
La prima non significa nulla: segno che il pesce mordicchia. La
seconda cosa seria: il pesce inghiotte. La terza la prova sicura che il
pesce non scappa pi. Ricordatelo e impara a non tirar mai su prima del
tempo giusto.
A Pel di Carota piace immensamente la pesca ai ghiozzi.
Si scalza, entra nel fiume, muove con i piedi il fondo fangoso e sabbioso e
intorbida l'acqua. I ghiozzi sono pesci stupidi ed accorrono ad ogni lancio o

Pel di Carota quasi sempre ne tira su uno.

felice ed ha appena il tempo di gridare al padrino;


Sedici, diciassette, diciotto!
Quando il sole alto sulle loro teste, padrino e figlioccio lasciano la pesca
e rincasano per mangiare.
Pel di Carota si rimpinza di fagioli bianchi mentre il padrino gli fa notare:
Non c' niente di pi nutriente e sano dei fagioli bianchi.
vero, sono buoni risponde Pel di Carota a bocca piena.
Ma devono essere ben cotti, spappolati, come questi. Preferirei addentare il ferro di una zappa che un fagiolo che scricchiola sotto i denti, come
un pallino di piombo nell'ala di una pernice.
Questi si sciolgono contro il palato. Di solito, anche la mamma li
cucina bene, ma questi sono pi buoni.
Il padrino gongolante.
Sono contento, paperino, di vederti mangiare di gusto. Scommetto che
a casa non ti danno da mangiare abbastanza.

Dipende dall'appetito della mamma, padrino!


Come sarebbe a dire?
Se lei ha fame, anch'io mangio a saziet. Quando si serve, serve anche
me e la razione la stessa. Quando ha finito lei, ho finito anch'io.
Ma se tu hai pi fame di lei. perch non ne chiedi ancora?
presto detto, ma ...
Sei un merlo! Ecco che cosa sei!
Ma tenersi un po' di fame non male!
Storie! I ragazzi debbono mangiare.
Ma io mangio, padrino ...
Io che non ho figli, leccherei il muso di una scimmia, se la scimmia
fosse mia figlia! Guarda un po' come il mondo!
Pel di Carota ride al pensiero della scimmia e poi, improvvisamente
rabbuiato, si chiede: perch ha parlato di una scimmia? Forse che io ho il
muso di una scimmia?
Ma, a pancia piena, le riflessioni e i pensieri si dissolvono presto e anche
quel pensiero vola via, lesto lesto.
La loro giornata si chiude nella vigna.
Il padrino zappa e Pel di Carota lo segue, passo passo, e osserva con quale
precisione egli incide nel terreno riarso un solco profondo. La terra,
grigiastra in superficie, dove passa la zappa si fa scura, umida, nutrita.
Quando stanco, Pel di Carota si sdraia sulle fascine di sarmenti, accatastate lungo la vigna.
Vi resta a lungo, con gli occhi al cielo, succhiando fuscelli di giunco, in
pace, felice, ninnato dai colpi della zappa che si susseguono, uguali, con una
piacevole monotonia, mentre l'aria, tiepida e fresca insieme, passa sul volto
come una carezza.
Per Pel di Carota dormire dal padrino non cosa molto piacevole a causa
dei materassi di piuma: la camera fresca, ma tutta quella piuma in cui si affonda come nell'acqua, dopo poco mette il corpo in sudore e Pel di Carota
smania dal caldo e, malgrado il sonno e la stanchezza, non riesce ad
addormentarsi.
Ma siccome dormire dal padrino significa dormire lontano da casa, per
Pel di Carota essere suo ospite gi un'avventura e anche se lo inzuppa il
sudore, quel fastidio compensa tutto il resto, e la completa libert che gode e
l'affettuosa premura del vecchio non la cederebbe per nulla al mondo.
Spesso il padrino gli chiede:
Ma tua madre, dunque, ti fa tanta paura?
Sono io, forse, che non gliene faccio abbastanza...
Come sarebbe a dire?

Vedi, padrino, quando mamma vuol somministrare una lezione a mio


fratello Felice, per qualche sua marachella, lui balza su un manico di scopa,
le si pianta davanti, fa il buffone e lei si calma di botto.
Non sai fare altrettanto anche tu?
Io non so prenderla dal lato dei sentimenti. Del resto mamma dice
sempre che la natura di Felice tanto suscettibile che, ad usare con lui la
maniera forte, non si otterrebbe niente.
E la maniera forte, con te, come funziona?
Beh! Cos e cosi...
Prova anche tu a metterti a cavalcioni di una scopa.
Non ne ho il coraggio.
Sei un debole, ecco.
No, padrino. Spesso, con Felice, mi sono accapiglialo, per davvero o
per scherzo. Mi so difendere come lui, anzi, meglio di lui, perch alla fine
sempre lui che le busca, fiaccone com'!
E allora?
Allora, niente. Io non mi so vedere davanti alla mamma armato di
scopa. Lei crederebbe che io gliela porto e passerebbe dalle mie mani alle
sue. Magari mi direbbe grazie, prima di adoperarla...
Ho capito. Basta, adesso dormi, paperino!
Ma non riescono a chiudere occhio n l'uno n l'altro. Pel di Carota soffoca, si dimena, cerca aria, e il vecchio se ne accorge e ne ha pena.
Quando Pel di Carota, stanco di smaniare, sta per assopirsi, il padrino lo
prende per un braccio e lo scuote:
Sei qui, paperino?
S, padrino.
Il Signore sia lodato.
Ma dove credevi che fossi?
Stavo sognando. Sogno spesso di te e della fontana.
Gi, la fontana.
Te ne ricordi ancora?
Come se ci fossi.
Povero paperino, appena ci penso tremo tutto.
Come potrei scordarlo, padrino, se ogni volta che vengo da te me lo
rammenti?
Fu un brutto giorno, quello, per me. Mi ero addormentato sull'erba e
tu ti trastullavi sull'orlo della vasca.
Il vecchio, completamente sveglio, rivive quella triste storia.
Scivolasti, non so come, dentro la vasca, strillavi, smaniavi e io,
sciagurato, non sentivo nulla.

Non pensarci pi, padrino ...


C'era acqua appena per affogare un gatto, ma tu non facevi niente per
tirarti su.
Forse stavo bene dov'ero!
Ma perch non ti aiutavi? Quello fu il guaio. Che cosa pensavi in quel
momento?
Ma padrino, come vuoi che mi ricordi che cosa pensavo?
Ma qualche cosa dovevi pur pensare, se non avevi voglia di tirarti su.
Nella mia testa i pensieri sono sempre cosi balordi...
Finalmente il tuo sciaguattare mi svegli. Era ora. Oh! Paperino,
paperino mio, che spavento. Eri bianco come la salvietta con cui ti asciugai.
Ti cambiai, ti misi il vestito della festa di Bernardino.
Quello me lo ricordo... mi pungeva come se fosse tessuto di ortica.
Bernardino non aveva una camicia pulita da prestarti e ti misi il
vestito di lana direttamente sulla pelle.
Mi sentivo come ravvolto nel crine, me lo ricordo benissimo.
Oggi ne rido. Ma allora! Quando penso che bastava un minuto, un secondo di pi e tu eri fritto...
Oggi non sarei qui.
Taci, non dirlo neppure. Quante me ne sono dette, sapessi!
Ma perch ci pensi ancora?
Da allora, lo penso e lo sogno ogni notte. Non ho pi fatto una bella
dormita. Il sonno perduto il mio castigo, me lo merito.
Io non me lo merito... vorrei tanto dormire, padrino.
Hai sonno?
S, tanto, tanto sonno.
Dormi, allora, paperino.
Se vuoi che mi addormenti, lascia la mia mano. Te la dar ancora, appena sei sveglio. E poi... scosta la tua gamba: per via dei peli, se sento che
qualcuno mi tocca, non posso dormire.
Il sonno li vince entrambi e nella stanza, in cui gi balugina la prima luce
dell'alba, due respiri si incrociano. Quello lieve di Pel di Carota sembra l'eco
del pesante respiro del vecchio.
***
Quel risveglio, quel chiacchierio, quel ricordare la caduta di Pel di Carota
nella fontana, sono elementi che non aiutano il sonno.
I due dormono, ma sono agitati, si rivoltolano nelle piume e, a un tratto, il
padrino dice:

Dormi, paperino?
No, padrino.
Hai voglia di alzarti?
Perch no? Fuori gi chiaro.
Alziamoci, allora. Andremo a lombrichi.
Buona idea: mi piace cercar lombrichi.
In un battibaleno sono vestiti e pronti per uscire.
Fuori c' una luce soffusa, tra il giorno e la notte. Il padrino accende la
lanterna, ma nel giardino la lanterna pare spenta, tanto la luce che diffonde
smorta in quell'incerto biancore che spegne il buio a poco a poco.
Pel di Carota porta la lanterna, ii padrino una scatola di latta per met piena di terra umida.
la scatola in cui si conservano le riserve di lombrichi per la pesca. Li copre di muschio umido, e non mai sprovvisto di quelle esche tanto ghiotte
per i pesci.
Specialmente dopo una giornata di pioggia, la raccolta dei lombrichi
sempre molto abbondante.
Bada a non calpestarli dice il padrino a Pel di Carota cammina
adagio e guardati attorno. Se non temessi di raffreddarmi, camminerei con i
soli calzerotti perch i lombrichi hanno l'udito fine e, al minimo rumore, si
rintanano nei buchi pi profondi.
Come si fa, allora, per catturarli?
Bisogna che siano lontani dalla loro casa. Allora facile agguantarli,
con un colpo sicuro, e stringerli poco perch non sguscino via.
E se si spezzano?
Allora non valgono nulla. Muoiono e fan marcire gli altri che sono
nella scatola e i pesci disdegnano l'esca che non fresca e sana.
Ma io ho visto dei pescatori pescare con pezzetti di lombrichi e non
con lombrichi interi.
Sbagliavano. Non si pescano grossi pesci altro che con vermi vivi, che
si divincolano nell'acqua.
Forse il pesce crede che il lombrico scappi e lo insegue...
Bravo, paperino! proprio cosi. Il pesce, quando li vede vivi, li
rincorre e li divora, senza alcun sospetto.
Ma a me scappano i lombrichi: non riesco ad atterrarli.
Ha le mani impiastricciate della loro bava e un senso di nausea in fondo
allo stomaco.
Non fare quella faccia schifata. Il verme non sporco. la cosa pi
pulita di questo mondo. Non mangia che terra. Se lo schiacci non ributta che
terra. Io sento che ne mangerei...

Ti cedo la mia parte...


Guarda quanti ne ho catturati, io! Sono belli lunghi e grassi. Fatti in
gratella e spalmati sul pane...
Oh! Padrino, mi togli l'appetito per un giorno intero!
Perch, credi di non averne mai mangiati, tu?
Pel di Carota si sente scombussolare tutto. Con prontezza afferma:
Io non ne ho mai mangiati, ti assicuro.
E quelli delle susine, per esempio?
Ma, padrino, con questi ragionamenti tu fai inorridire tutti. Se ti
sentisse la mamma! Ma penso che sappia che ti piace fare questi discorsi
perch fa una certa faccia a nominarti...
Ah, s? Ci ho gusto, ecco.
E il vecchio ridacchia fra s come se fosse una prodezza riuscire a generare disgusto solo parlando di certe cose.
Intanto, ha alzato la lanterna e guarda verso l'albero delle susine e piega
un ramo carico di frutti.
Prendi, dice a Pel di Carota sono pi dolci bagnate dalla guazza
notturna. Mangiale tranquillo. Sono sane. Quelle bacate le manger io...
Sei di gusti semplici, tu. Andiamo perfettamente d'accordo, ci
intendiamo a perfezione.
Il padrino inghiotte le susine, nocciolo e tutto, ma Pel di Carota sa che non
sono bacate. Al vecchio piace far vedere che superiore a certe stupidaggini.
Pel di Carota, che vuol darsi delle arie e imitare le sue vanterie, precisa:
Imparer anch'io a mangiare le susine bacate. Solo ho paura che dopo
si senta il fiato che puzza...
Ma non fanno puzza: senti il mio fiato. E alita in viso al figlioccio.
E vero: puzzi solo di tabacco. Di quello puzzi sul serio, ma non mi d
noia, lo ti voglio un gran bene, padrino, e tu lo sai, ma te ne vorrei ancor di
pi se tu non fumassi la pipa...
Oh, paperino, paperino, ma non lo sai che il tabacco mantiene sani?
Sar, ma puzza.
Tacciono perch i lombrichi non si nascondano.
Pel di Carota ha escogitato un sistema di caccia che lo diverte e non lo
disgusta. Solleva con delicatezza i sassi e, quando sotto un sasso vede un
lombrico, lui che ha la vista buona, fa un cenno al padrino che si china a
raccogliere quel tubicino roseo, molle e vivo che si divincola fra le sue dita.
A questo mondo basta un po' di iniziativa, pensa Pel di Carota,
pienamente soddisfatto del modo con cui ha risolto la raccolta dei lombrichi
che gli evita di toccare quelle cosine flaccide e oleose.

***
L'ospitalit del padrino potrebbe durare anche l'intero periodo delle vacanze, ma sempre solo una breve parentesi che si chiude entro pochi
giorni.
A casa Lepic si crucciano, quando Pel di Carota resta troppo a lungo presso quel vecchio solitario ed eccentrico. Tollerano la simpatia che dimostra al
ragazzo, forse in funzione di una ipotetica eredit, visto che al mondo non ha
pi nessuno e la sua vigna una delle pi belle della zona, ma temono, per
contro, che quel bizzarro vecchio influenzi il ragazzo con le sue stravaganze,
tanto pi che Pel di Carota, in quanto a stravaganze, ne ha gi una dose che
non ha bisogno di rinforzi.
Ma a Pel di Carota, malgrado quel che si pensa del padrino a casa sua, il
soggiorno presso di lui va molto a genio.
Trova che molto confidenziale sentirsi chiamare paperino o anatroccolo
e si sente a suo agio, sia quando il padrino gli rivolge la parola come ad un
adulto, sia quando si sente oggetto di piccoli scherzi benevoli, di innocui
sotterfugi o di ingenue marachelle, che il padrino architetta sempre con
l'intenzione di far s che lui non si lasci prendere dalla noia e non si accorga
di aver per compagno un vecchio carico di anni e di acciacchi.
Paperino, mi ringiovanisci! dichiara il padrino quando scorrazzano
instancabili sulle rive del fiume in cerca di acque pescose.
Infatti, accanto al ragazzo, il suo passo si fa pi svelto, la sua risata pi
sonora e quel silenzio che egli osserva per l'intero anno, quando Pel di
Carota con lui si scioglie in una parlantina vivace, con immagini
pittoresche ed episodi divertenti.
Il padrino sa tutto, di tutti. Le sue storie non finiscono mai: c' la nota triste, la nota allegra; il comico e il macabro a volte vanno a braccetto e, alla
fine, c' sempre la morale, che come un sigillo impacchetta tutta la storia e la
riduce alle proporzioni della realt.
Pel di Carota accanto al padrino si sente importante, si sente qualcuno. Se
parla ascoltato, se chiede ha risposta, se tace si sente chiedere perch non
ha nulla da dire, se mangia con buon appetito il vecchio si rallegra, se ha
poca fame qualcuno si preoccupa, e le giornate volano in un clima di
reciproca allegria.
A volte, a Pel di Carota pare che il padrino con le domande pi semplici si
adoperi per frugare nella sua corazza quasi a cercare una crepa, una crepa
che nessuno vede, ma che il padrino sente che c' e nella quale vorrebbe
poter trovare il mezzo di scalfire, senza procurare dolore, ma per far s che
esca quella goccia di veleno che egli ha capito che vi si annida sotto.

un gioco sottile e pericoloso a cui Pel di Carota ora si sottrae, ora si


abbandona, con riservatezza, con pudore, come accade in confessione.
Ma il padrino sa come ammannirgli la sua esperienza e come abituarlo, a
piccole dosi, a vedere il marcio dove si nasconde. La sua tenerezza si palesa
con modi bruschi, ma tutto, rimproveri, consigli, si veste di estrema
semplicit e Pel di Carota si sente iniziare ai misteri della natura intera e
della vita stessa con mano abile, e prova il compiacimento e la gioia di un
assetato che scopre una fresca sorgente.
Ma le cose belle e piacevoli destino che durino poco.
A casa, appena sono trascorsi due o tre giorni, reclamano il suo ritorno.
Addio lunghe ore di pesca, addio caccia ai lombrichi, addio scorpacciate
di frutta, lunghi ozi nella vigna a vedere i grappoli che s'indorano e maturano
al sole, addio lunghe soste a tavola col piatto colmo di vivande appetitose e
il bicchiere sempre pieno di vinello frizzante!
Addio padrino, non mi terrai pi la mano, nel sonno, quando affondi nel
tuo letto di piume. Ma torner, torner, torner, dicono gli occhi di Pel di
Carota, che sono pi luminosi perch le lacrime, che non vuol piangere,
fanno da lente alle sue iridi chiare.
Addio, paperino mio! Torna presto!
Il padrino ha alzato una mano: non si sa se voglia salutarlo o benedirlo, e
Pel di Carota gli si getta fra le braccia e lui china la sua testa, cespugliosa di
barba mal rasala, verso la testolina rossa e arruffata del suo figlioccio che lo
bacia con trasporto, senza neppur sentire quel puzzo di pipa di cui, spesse
volte, si lagnato.
GIOCHI PROIBITI
Matilde gioca spesso con Pel di Carota.
una bambinetta della sua et che abita poco distante e che a Pel di Carota piace perch timida e sottomessa.
Ma un giorno, Ernestina, sempre maligna e sospettosa, corre dalla mamma
e dichiara:
Mamma, sai che Pel di Carota sta giocando agli sposi con la
Matildina? Sono laggi, nel prato, e Felice della partita, figurati che li sta
vestendo! Ma un gioco proibito, non ti pare?
Infatti Matilde ferma, immobile, e Felice la sta acconciando con lunghi
tralci di vitalba fiorita. Ha in testa una corona e sembra proprio una sposina
con i fiori di arancio.
Si pavoneggia e trascina sul prato una coda di foglie luccicanti in cui Felice ha intrecciato papaveri e bacche di biancospino.

Felice soddisfatto della sua opera e raccomanda a Matilde:


Non ti muovere! Sei bellissima e adesso tocca a Pel di Carota essere
abbigliato in modo degno della sua sposa.
Anche Pel di Carota scompare sotto i tralci della vitalba, di cui hanno saccheggiato la siepe fiorita con tanti fiori che potrebbero formare un infuso bastante a curare le coliche di tutta una vita.
Pel di Carota non ha voglia di ridere. Prende la sua parte con una seriet
che mette addosso a Felice la voglia di continuare quel gioco proprio per
l'importanza con cui vi si sottopongono i due ragazzi investiti della parte che
viene loro assegnata.
Hanno il viso che si addice alle cerimonie. Sanno che ai funerali bisogna
essere tristi dal principio alla fine, mentre ai matrimoni la seriet d'obbligo
solo fino dopo la messa. A messa finita, chi pi ilare e giocondo di una
coppia di sposi?
Felice li guarda soddisfatto e ordina:
Datevi la mano e venite avanti adagio, compostamente.
Vengono avanti, discosti quel tanto che basta, ma Matilde inciampa nello
strascico e allora lo tira a s, lo solleva, lo tiene con dita leggere come se
fosse di raso e di velo.
Pel di Carota, galante, aspetta e poi si riavvicina e i due sposini avanzano
sul prato, molto dignitosamente.
Felice li precede e muove le braccia per dare ritmo alla loro andatura, si
finge il sindaco e li saluta, poi finge d'essere il prete e li benedice, poi
assume il ruolo di un amico intimo che si congratula con loro e porge auguri
di felicit.
Poi, Felice il violinista che rallegra la cerimonia nuziale e con due bastoni incrociati e il viso atteggiato a profonda ispirazione si inebria della
melodia che va zufolando in sordina.
Attenta! grida Felice a Matilde. Non scomporre il velo!
E tu rivolto a Pel di Carota cerca di avere un passo pi marziale,
sei uno sposo, non un becchino!
I ragazzi ridono, si divertono a quel gioco e quando Matilde strilla, perch
un viticcio della vitalba le strappa i capelli, Felice, ormai stanco di quella pagliacciata, strappa corone e strascico e sentenzia;
Siete marito e moglie, adesso, baciatevi! Pel di Carota e Matilde si
guardano, muti.
Avanti! Che matrimonio se non vi scambiate un bacio! Loro esitano
e Felice incalza:
Ma come, che razza di sposi siete? Quando ci si sposa, ci si bacia, ci si
accarezza, non si sta l, impalati, come gatti di marmo. Su, dunque, un bacio,

un bel bacio, via!


Con fare sprezzante si burla dei due poveri ragazzi e della loro goffaggine.
Vuol lasciare intendere che lui, di certe cose, ne sa pi di quanto la sua et
comporti. Fa l'uomo esperto, il giovanotto che sa gi dire parole d'amore e
d il buon esempio allo sposo troppo timido stampando un grosso bacio sulla
faccina di Matilde tutta rossa ed emozionata.
Cos, cos si fa, Pel di Carota, non star l come un papero!
Ma s, cosa credi? Tanto si fa per ridere, lo so.
Poi, Pel di Carota si fa coraggio. Cerca, attraverso la corona di vitalba che
pende tutta da un lato, il viso di Matilde, ferma al centro del prato, come una
statua, e la bacia su una guancia e per ripagarsi della figura che gli ha fatto
fare il fratello, mormora alla bambina:
Si fa per ridere, ma io mi sposerei davvero con te!
Allora Matilde gli restituisce il bacio, impacciata e rossa come una mela
matura.
Felice se la ride beato e per mortificarli esclama:
Guarda, guarda, come diventano rossi i due piccioncini! Che scemi,
siete color di fuoco, ma che cosa credete?
Io non credo un bel niente risponde seccato Pel di Carota e tu
piantala di ridere a quel modo. Io non sono diventato per niente rosso: sono
sempre rosso, io! E tu, sghignazza fin che ti pare, tanto non sarai tu a
proibirmi di sposare Matilde, quando sar grande, se la mamma contenta.
Giusto. Ecco la mamma che viene: chiedilo a lei!
La mamma ha spinto il cancello e sta attraversando il prato con un passo
che non prevede niente di buono.
Dietro le viene Ernestina, tutta fiera di aver fatto la spia, quasi che. alle
spalle della madre, si stesse compiendo un sacrilegio.
Passando lungo la siepe, la mamma ne ha staccato una bacchetta e va togliendone le foglie lasciandovi le spine, e intanto avanza come un uragano.
Attenti ridacchia Felice lo spettacolo continua! E se n va verso
il fondo del prato a far da spettatore.
Pel di Carola non si muove d'un passo. Non un vigliacco lui e poi, in coscienza, che cosa ha fatto di male? Tutto quel gioco stato suggerito da
Felice e lui si prestato di buona grazia insieme a Matildina, povera
innocente. Sta bene, le prender come al solito e poi sar finita, tanto
qualcuno deve pur rimetterci e far vedere a Matilde con che coraggio le
busca e come ardito nell'affrontare il nemico.
Matilde s' allontanata, appena un poco, continua a strapparsi di dosso le
ultime vitalbe e piange in silenzio, come una vedovella.
Pel di Carota riuscito a mormorarle:

Non aver paura, conosco la mamma; se la far con me. tu non c'entri
ed io non tremo, vedi!
Fra le lacrime, Matilde ha risposto:
Si, ma la tua mamma lo dir alla mia mamma e la mia mamma mi picchi era!
Ti corregger. Non bisogna dire mi ha picchiato, ma mi ha corretto:
come per t compiti delle vacanze. Ti corregge spesso la tua mamma?
Qualche volta. Dipende da quel che ho fatto...
lo invece sono corretto molto spesso perch molto spesso, almeno secondo il parere dei grandi, sbaglio.
Ma io non ho sbagliato...
Appunto, e non piangere, sciocchina!
La signora Lepic li, accanto a loro. Ha rallentato la sua andatura, man
mano che si avvicina, mentre Ernestina, per paura che le tocchi un colpo di
rimbalzo, si tenuta pi distante, come sull'orlo di un cerchio entro cui
vedr concludersi l'azione punitiva.
Pel di Carota s' piantato davanti a Matilde che adesso singhiozza fra i resti delle sue vitalbe selvatiche. La bacchetta s'alza pronta a fischiare e Pel di
Carota sta a braccia incrociate, come un martire votato al supplizio.
pallido, ha ritirato la nuca fra le spalle, s' rimpicciolito, e la bacchetta
giunge sui polpacci nudi che scottano ma non si sposta e fra una bacchettata
e l'altra, sospira:
Non ci si pu nemmeno divertire!
* **
Il giorno dopo Pel di Carota incontra Matilde piuttosto imbronciata, la
quale lo investe:
La tua mamma ha fatto la spia alla mia e mi sono buscata un bel
ceffone. E tu?
Oh, io non mi ricordo pi di nulla: guarda, non ci sono nemmeno i
segni sulle mie gambe. Ma tu non meritavi d'essere corretta, che cosa avevi
poi fatto?
E tu, allora?
Tutta colpa di Felice e di Ernestina. Loro si divertono e noi ci
rimettiamo. Sai che dicevo sul serio quando ti dicevo che quando sei grande
ti sposo?
Beh, anch'io mi sposerei con te.
Io ti potrei anche di sprezzare, perch tu sei povera e io sono ricco, ma
non aver paura, ti stimo.

Sei ricco, Pel di Carota? E fin dove, sei ricco?


I miei hanno, per lo meno, un milione,
Quanto un milione?
Un milione molto e i milionari non arrivano a spenderlo mai tutto.
1 miei, invece, si lamentano che non hanno mai soldi.
Oh! Per questo anche i miei. Tutti si lagnano, per farsi compiangere e
per far tacere gli invidiosi. Ma io so che siamo ricchi. Ogni primo del mese
mio pap resta a lungo in camera sua e chiude la porta a chiave. Io sento
sempre stridere la serratura della cassaforte: sembra una raganella, quando
canta alla sera, gi nello stagno. Il babbo, per aprire la cassaforte, sa una
parola che nessuno sa, n la mamma, n mia sorella, n mio fratello.
Nessuno.
E tu la sai?
Io solo la so: ed il mio segreto. Con quella parola il babbo apre la
cassaforte, piglia i quattrini e li conta. Non dice niente, li fa tintinnare, cosi li
sente la mamma, che sta dietro la porta, mentre lui la crede vicino ai fornelli.
Poi la mamma scappa, lui esce dalla stanza e viene in cucina e fa finta di
niente. Succede cos tutti i mesi ed un pezzo che dura, segno che c' pi di
un milione nella cassaforte.
E quella parola, com'?
Non stare a domandarmelo: sarebbe fatica sprecata. Se ci sposeremo
te la dir, a patto che tu mi prometta di non ripeterla mai a nessuno.
Dimmela subito, te lo prometto subito che non lo dir a nessuno.
Non posso. un segreto di famiglia. Se te la dicessi sarei un traditore.
Sei un bugiardo. Non la sai quella parola. Te la sei inventala questa
storia. Se la sapessi me la diresti.
Tu puoi anche non credermi, ma io la so.
Non la sai! Non la sai!
Scommettiamo che la so?
Scommettiamo cosa?
Un bacio.
Matilde guarda Pel di Carota con gli occhi grigi socchiusi, sorniona, come
una gatta.
Ci sto. Dimmi quella parola.
Ma giuri che dopo ti lascerai baciare?
La mamma mi proibisce di giurare.
Allora, niente parola.
Me ne infischio, della tua parola: l'ho indovinata! L'ho indovinata! Pel
di Carota, spazientito, precipita le cose.
Senti, tu non hai indovinato un bel niente. In ogni modo mi contento

del tuo s, anche se non giuri. La parola per aprire la cassaforte lustucr.
Ora lasciati baciare.
Matilde si tira indietro e poi ride a lungo, soddisfatta.
Lustucr, lustucr, ma che parola ? canterella Matilde girando in
tondo.
Tuttavia ritiene di aver appreso un segreto, data l'aria di mistero con cui
Pel di Carota ha pronunciato quella curiosa parola, e prova gusto a ripeterla:
Lustucr, lustucr. Ma davvero, non ti sei pigliato gioco di me, come
al solito?
Poi, quando vede Pel di Carota avvicinarsi deciso senza rispondere,
scappa e ride, ripetendo lustucr con voce stridula tino a che non
scomparsa.
Ad un tratto, dal finestrino della scuderia, un servitore mette fuori la testa,
sghignazza e mostra i denti e al veder Pel di Carota sconcertato dalla sua
inattesa apparizione lo avverte:
T'ho visto e ho sentito tutto. La volevi baciare, eh! Ma lo dir alla tua
mamma: cominci presto a insidiare le ragazzine, tu!
Ma, Pietro, non hai capito che era un gioco? Lustucr un nome
falso, l'ho inventato io; non so nemmeno come fatta la cassaforte di mio
padre...
Stai tranquillo, del tuo lustucr non me ne importa niente. Non
quello che dir a tua madre, ma il resto...
Che resto?
S, il resto, il resto! T'ho visto, prova un po' a dire che non t'ho visto
che volevi baciare la piccola Matilde? Stasera, quando lo sapranno a casa
tua, ti tireranno gli orecchi fino a farteli diventare pi grandi di quel che non
sono gi.
Sei maligno: t'ho detto che giocavamo. Non giocavi, tu, quando avevi
la mia et?
L'uomo ride con un riso di gola, che pare un nitrito, e Pel di Carota non sa
che cosa replicare: sente che in quel riso c' qualche cosa che lui non afferra
ma che cattivo e torbido e si fa tanto rosso che il colore dei suoi capelli
sembra spegnersi. Si allontana, con le mani in tasca, tirando su dal naso per
non piangere mentre si chiede:
Ma perch, poi, i grandi vedono del male dappertutto? Lentamente si
avvia verso casa e si mette a giocare da solo, nel mezzo del cortile.
Sa che sua madre, quando lo pu vedere dalla finestra, soddisfatta e in
attesa che quel malvagio vada a riportare chi sa quali cose, resta l perch,
tenendolo d'occhio e vedendolo tranquillo, la madre non creda alle parole di
nessuno.

Ma ci si annoia a non far niente e ancor di pi a fingere di giocare ed


con gioia che vede spuntare il suo amico Remigio.
Remigio un ragazzo della sua et, zoppica, ma vuol sempre correre cosi
che si trascina dietro la gamba sinistra che non raggiunge mai la destra, e
farebbe ridere, se non facesse pena.
Remigio ha con s un paniere e dice;
Vieni con me, Pel di Carota? II mio babbo mette la canapa nel fiume e
noi gli daremo una mano e pescheremo i girini con i panieri.
Domandalo alla mia mamma risponde Pel di Carota.
Perch io?
Perch a me non dar il permesso.
Compare, appunto, la signora Lepic dietro la finestra chiusa.
Signora le dice Remigio per cortesia, permette che porti Pel di
Carota a pescare i girini?
***
La signora Lepic s'avvicina di pi ai vetri e finge di non aver udito. Remigio, paziente, ripete la domanda quasi gridando. La signora Lepic ha capito,
muove le labbra ma i due ragazzi non afferrano la sua risposta. Essa se ne
avvede e allora, con la testa, fa ripetutamente cenno di no.
Non vuole. Ma perch non stai qui? Ci divertiremo anche qui.
Oh, nemmeno per sogno! Preferisco andare a pigliare i girini, il tempo
bello, ne prender a panierate...
Aspetta un momento, la mamma dice sempre di no, sulle prime, poi ci
ripensa e, a volte, cambia idea.
Aspetto un quarto d'ora: non di pi.
Restano li, al centro del cortile, impalati, senza parlare, sempre guardando
dalla parte della porta che d sul retro, con una piccola speranza. Poco dopo,
Pel di Carota d di gomito a Remigio:
Che cosa ti dicevo?
Infatti la porta si apre e la signora Lepic scende il gradino con un paniere
in mano, ma si ferma sospettosa.
Ah! Sei ancora li, Remigio? Pensavo che te ne fossi gi andato. Dir a
tuo padre che invece di andarlo ad aiutare, perdi tempo, cosi ti sgrider.
Signora, stato Pel di Carota che mi ha detto di aspettare.
Ah! Davvero? Aspettare che cosa?
...il suo permesso...
Pel di Carota finge di disinteressarsi della cosa, non dice niente, d calci ai

sassi, schiaccia l'erba con i piedi, guarda da un'altra parte.


Eppure, mi pare precisa la signora Lepic che non sia nelle mie
abitudini cambiare idea.
Torna in casa col paniere con il quale Pel di Carota avrebbe dovuto andare
a pescare i girini e che aveva vuotato apposta delle noci fresche che
conteneva.
Pel di Carota guarda Remigio correre verso il fiume, e quasi lo invidia per
quella libert di movimenti, perch forse a causa della sua gamba pi corta
gli consentono di scorrazzare come vuole, senza limitazioni, senza chiedere
permessi, quasi che i genitori, a vederlo muoversi e saltare, riescano a
dimenticare quanto infelice.
La giornata, per Pel di Carota, ormai sciupata e non tenta nemmeno di
divertirsi: pensa ai girini, alla gioia di affondare il paniere nell'acqua, adagio,
per raccoglierne tanti.
Ha perduto una bella occasione e adesso vengono i rimpianti.
Li aspetta, li sente salire dentro di s, come una ondata di freddo, di noia,
di sbadigli, e resta solo nel cortile vuoto e comprende che anche quello un
castigo, un castigo che funziona da s, senza botte, ma tanto, tanto difficile
da mandar gi.
La signora Lepic ha visto che Pel di Carota s' pettinato, ha messo la cravatta nuova, ha inondato le scarpe di saliva e le ha stropicciate a lungo con la
spazzola.
Dove vai?
Vado a spasso con pap.
Ti proibisco di andare, altrimenti...
La sua mano destra sta gi indietreggiando per prendere l'abituale slancio
e Pel di Carota si accosta alla pendola, medita, e dice piano, quasi a se
stesso:
Ho capito.
Quando compare il signor Lepic, sempre frettoloso come sua abitudine,
si guarda attorno, in cerca del figlio. Gli vuol bene, ma non se ne pu
occupare, ha sempre troppo da fare...
Andiamo?
No, pap.
Come no? Non vuoi venire?
Vorrei, ma non posso.
Spiegati: perch non puoi?
Non c' niente: non vengo, ecco.
Una delle tue solite stravaganze, eh? Che bestiolina sei! Non si sa mai
da che parte prenderti. Vuoi, non vuoi: sta' pure a casa, caro, io non ti

obbligo; sei padrone di annoiarti e di piagnucolare a tuo agio, m'era parso


che fossi cos entusiasta di accompagnarmi...
La signora Lepic che ha assistito alla scena, s'avvicina al figlio:
Povero caro! gli passa una mano nei capelli e glieli tira, quasi affettuosamente. Eccolo, si scioglie in lacrime perch il suo pap (guarda di
sottecchi il signor Lepic) vorrebbe portarlo con s e lui non se la sente. La
mamma non ti tormenterebbe e non insisterebbe. Capirebbe che tu non vuoi
e ti lascerebbe fare di testa tua.
Il signor Lepic, forse, non l'ha nemmeno udita: ha scrollato le spalle e si
allontanato di buon passo.
Nella testa di Pel di Carota, questa volta, passa una considerazione molto
amara che, in poche parole, pu essere espressa cos: Non tutti possono
essere orfani .
Ma quasi si pente di un pensiero tanto brutto e, per scacciarlo, si toglie la
cravatta, la ripone e, senza rimpianto per le scarpe pulite con tanta cura,
corre per il prato tanto in fretta che gli manca il respiro, e si lascia cadere,
ansante, sull'erba gi molle di rugiada.
CACCIA E PESCA
Quasi per rimediare alla scena del giorno prima pap Lepic porta Pel di
Carota a caccia.
Quando va a caccia, prende con s uno dei figli, a turno, ed oggi spetta a
Pel di Carota portargli il carniere.
Il signor Lepic un camminatore instancabile e Pel di Carota mette una
appassionata testardaggine nel seguirlo senza lagnarsi.
Le scarpe, inadatte per quelle marce, gli sbucciano i piedi e gli
tormentano gli alluci, che sono diventati pi lunghi e non trovano lo spazio
adatto dentro la punta delle scarpe, s che diventano rossi e gonfi e paiono
piccoli martelli.
Se il signor Lepic uccide una lepre, a! principio della caccia, dice invariabilmente:
Lasciamola alla fattoria o nascondiamola in una siepe, la prenderemo
al ritorno.
Ma Pel di Carota, premuroso:
No, pap, preferisco portarla.
Cosi gli capita, per un giorno intero, di portare due lepri e cinque pernici.
Infila allora la mano e il fazzoletto sotto la cinghia del carniere, per alleviare
la spalla indolenzita, e cammina storto a causa del peso. Ma se incontra
qualcuno, fiero di voltargli la schiena, per lasciargli vedere che buona

caccia ha fatto suo padre e, per un momento, dimentica quanto lo affatichi


quel carico.
Ma, quando non si piglia niente o si piglia poco, si stanca di pi perch la
vanit non lo sostiene.
Aspettami qui gli dice a volte il signor Lepic.
Perch, pap?
Perch voglio battere questo campo,
Hai visto qualche cosa?
No, ma aspettami, non si sa mai.
Pel di Carota si sente escluso e resta fermo e ritto sotto al sole. Osserva il
padre che percorre il campo, solco per solco, zolla per zolla, lo fruga, lo
livella, come se fosse un erpice, batte con il fucile le siepi, i cespugli, i cardi
selvatici e anche Piramo, il cane, alla fine non ne pu pi, cerca l'ombra, si
sdraia un poco e ansima, con la lingua penzoloni.
Pel di Carota, intanto, pensa: non c' niente di niente. Perch mai si ostina
a battere, a frugare, a schiacciare le ortiche? Se io fossi una lepre, rintanata
in fondo al fosso, mi guarderei bene dal muovermi con questo caldo e con il
rumore che fa mio padre per stanarla! In sordina, accaldato e sudato com',
maledice la caccia, l'ostinazione di suo padre e non ricorda pi l'entusiasmo
con cui s' allontanato da casa per quel giorno tanto atteso.
Frattanto il signor Lepic ha scavalcato un altro steccato per battere, coscienziosamente, un campo d'erba medica l accanto: prover una gran
delusione se, dopo tanto affaticarsi, non trover nemmeno un leprotto.
Mi dice di aspettarlo mormora Pel di Carota ed ecco che poi
dovr corrergli dietro per raggiungerlo, tanto lui si allontana. E una giornata
cominciata male. Il carniere quasi vuoto, pap trotta, suda, gli verr
l'affanno, sfianca il cane e torneremo a casa stroncati di fatica e a mani
vuote. Sarebbe lo stesso se restassimo seduti.
Pel di Carota un po' superstizioso. S' messo in mente che ogni volta che
tocca l'orlo del suo berretto Piramo in allarme, in ferma col pelo arruffato e
la coda tesa. Il signor Lepic pronto, con il fucile imbracciato, e Pel di
Carota, rigido, con una emozione che lo soffoca, aspetta che si avveri quel
che significa aver toccato l'orlo del suo berretto: due pernici prendono il
volo!
Decisamente, quella toccatina all'orlo del berretto un sistema infallibile,
fa prodigi: se poi Pel di Carota alza il berretto e lo lascia ricadere, fatalmente
una lepre fila via e il signor Lepic fa cilecca.
Pel di Carota, dentro di s non si spiega questo fenomeno e lo giudica
frutto del caso, ma, in fondo, ci gira attorno a quel pensiero e si sente in
possesso di un potere soprannaturale. Ma, per fortuna, il gesto troppo spesso

ripetuto non sorte lo stesso esito con tanta frequenza, il che costringe Pel di
Carota a considerare che la fortuna e il caso si stancano facilmente di
assistere qualcuno e. piano piano, dirada i segnali propiziatori e si convince
che anche le superstizioni sono storie e non hanno alcun significato positivo.
Hai visto che colpo? domanda orgoglioso il signor Lepic
soppesando una lepre ancora calda. Che c' da ridere?
merito mio, se l'hai ammazzata!
Davvero? E perch mai?
Perch mi sono toccato l'orlo del berretto.
Ah, capisco! Il tuo berretto fatato: basta che tu lo tocchi che le lepri,
come ad un richiamo, escono dalla tana: cos?
Non voglio pretendere di non sbagliarmi mai, ma spesso...
Fammi il santo piacere di non contar bubbole. Se ti sta a cuore la tua
reputazione di ragazzo di spirito, non sballarle mai cosi grosse specialmente
ad orecchi estranei. A meno che tu non intenda burlarti di me...
Giuro di no, pap. Credimi. Hai ragione, sono uno sciocco e scusa se
dico sciocchezze.
La caccia continua.
Pel di Carota, pi stanco, ora che si sente anche stupido per quel che ha
detto a suo padre, cerca di seguirne i passi con rinnovato zelo, anche se le
gambe gli fanno male.
Tenta di camminare al pari del padre, ponendo i piedi dove li pone lui, ma
la lunghezza dei passi paterni proporzionata alle sue gambette lo stanca di
pi.
Di tanto in tanto si riposa: coglie una mora, una pera selvatica, qualche
prugnola che allega i denti e sbianca le labbra ma ha il potere di calmare la
sete che, lungo il cammino, si fatta prepotente.
La sete gli fa ricordare che, nella tasca del carniere, c' una borraccia di
acquavite. Ne beve un sorso, poi un altro sorso e, sorso dopo sorso, quasi la
vuota da solo.
Il signor Lepic, inebriato dalla caccia, non pensa certo alla borraccia dell'acquavite e Pel di Carota, preso da rimorso per quelle bevute, forse anche
un pochino ebbro, glielo ricorda:
Vuoi un sorso di acquavite, pap? Il vento gli porta il brontolio
negativo.
Pel di Carota tracanna il sorso che suo padre ha rifiutato e poco dopo la
borraccia vuota e la testa gli gira. Fatica a tener dietro alle orme paterne,
tanto pi che si accorge di far doppia strada perch cammina a zig-zag e non
riesce a tenere la direzione giusta.
Ma l'aria fresca e quel camminare senza sosta lo aiutano a smaltire i fumi

dell'acquavite ed allora un pensiero preoccupante lo coglie alla sprovvista:


come pu dire a suo padre d'aver scolato il contenuto della borraccia?
A un tratto si ferma: infila un dito nell'orecchio, lo agita con forza, lo tira
fuori, poi finge di ascoltare e grida al signor Lepic:
Pap, pap, m' entrata una mosca nell'orecchio!
Tirala fuori risponde il padre senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
E andata troppo in fondo. Non la raggiungo pi. La sento ronzare!
Lasciala ronzare, morir da s.
Ma se deponesse le uova, pap? Se facesse il nido?
Cerca di ammazzarla con la cocca del fazzoletto.
E se ci versassi un po' di acquavite, per annegarla?
Versaci quello che vuoi, ma spicciati e taci!
Pel di Carota applica all'orecchio la bocca della borraccia e la vuota completamente: caso mai suo padre reclamasse una bevuta, potr sempre dire
che l'acquavite andata perduta per togliere dal suo orecchio quella
maledetta mosca: certo il signor Lepic non potr dubitarne!
Poco dopo, quasi correndo, col bavero della giacchetta bagnato dalle ultime gocce di acquavite, Pel di Carota, tutto vispo e allegro, raggiunge il
padre:
Sai pap, non la sento pi, la mosca. Deve essere morta, annegata dall'acquavite.
E vero: l'intelligenza e la furberia possono risolvere problemi assai ardui,
se uno ci si mette di impegno.
E la caccia continua e l'instancabile signor Lepic marcia imperterrito.
Mettiti qui dice a Pel di Carota il posto migliore. Io batto il
bosco col cane, faremo alzare le beccacce. Quando sentirai pit pit. aguzza gli
orecchi ed apri bene gli occhi. Le beccacce ti passeranno sulla testa.
Pel di Carota tiene il fucile coricato sulle braccia, fiero che, finalmente,
suo padre gli consenta di sparare qualche colpo. Alle beccacce prima d'ora
non ha mai sparato e la cosa lo emoziona parecchio.
Ha ucciso una quaglia, una volta, ha spiumato una pernice e sbagliato una
lepre col fucile del signor Lepic, ma alle beccacce non ha mirato mai.
Ricorda quando uccise la quaglia, per terra, sotto il naso del cane in
ferma: dapprima la guardava senza vederla, pareva una pallottola color terra.
Il signor Lepic gli aveva detto sottovoce: tirati indietro, sei troppo vicino,
ma lui istintivamente aveva fatto un altro passo avanti: cosi mir e scaric
l'arma a

bruciapelo e la pallottola grigia scomparve nella terra. Della quaglia,


fracassata, non pot raccogliere che alcune piume e il becco insanguinato.
Pel di Carota sa che la fama di un giovane cacciatore si consacra con la
prima beccaccia. Bisogna che questa possibilit che suo padre gli offre
faccia epoca nella sua vita.
Il crepuscolo ha una luce ingannevole, le cose si muovono con un profilo
fumoso e il volo d'un moscerino turba il silenzio come l'avvicinarsi di un
tuono.
Pel di Carota teso e vorrebbe gi avere in palmo la gloria.
Quella ardua prova gli fa battere il cuore tanto in fretta che teme ne odano
i tonfi persino le beccacce.
I tordi, tornando dal prato, filano rapidi Fra le querce. Li prende di mira,
per farsi l'occhio, ma non spara. Con la manica terge la canna del fucile
appannata dal suo fiato che sa ancora di acquavite e, ad ogni foglia secca che

trotterella qua e l, il suo cuore d un tuffo.


Finalmente: due beccacce!
Il loro volo appesantito dai lunghi becchi fiacco: s'alzano, s'inseguono,
volteggiano sul bosco che freme.
Fanno pit pit come ha detto il signor Lepic, ma cos fievolmente che Pel
di Carota non certo che si tratti proprio del verso giusto e che si stiano
dirigendo dalla sua parte. Sbatte gli occhi in fretta. Vede due ombre che gli
passano sulla testa.
Col calcio del fucile appoggiato sul ventre, quasi a casaccio, spara in aria.
Una delle due beccacce cade, a becco in gi. L'eco disperde la formidabile
detonazione ai quattro lati del bosco. Pel di Carota raccatta la beccaccia con
l'ala spezzata, l'agita gloriosamente, respira l'odore della polvere da sparo,
Piramo accorre, precedendo il signor Lepic, il quale cammina con il suo
solito passo. Non si raccapezzer dalla meraviglia, pensa Pel di Carota
pronto a ricevere le lodi paterne.
Ma il signor Lepic, scostando i rami, compare e dice, con voce calma, al
figlio ancor tutto fremente:
Ma perch non le hai ammazzate tutte e due?
***
Oggi la pesca stata assai buona.
Nel cortile, Pel di Carota sta togliendo le scaglie ai pesci: ghiozzi,
arborelle e persino pesci persici.
Li squama con un coltello, gli apre il ventre, fa scoppiare sotto il tacco
delle scarpe le vescichette doppie e trasparenti, tutto con gesti sicuri, da
pescatore provetto. Mette da parte le interiora per il gatto e lavora in fretta,
chino sul secchio colmo di acqua, badando a non bagnarsi.
La signora Lepic, che ha gi udito gli echi di quella eccezionale pesca, si
avvicina per dare un'occhiata.
Meno male dice compiaciuta stata davvero una buona
giornata, oggi! Quando vuoi, sei davvero bravo.
Gli fa una lieve carezza sul collo e sulle spalle ma, ad un tratto, ritrae la
mano lanciando un acuto grido di dolore. S' infilzata un amo in un dito.
Accorre Ernestina, Felice la segue ed ecco che compare il signor Lepic.
Che c'? Fai vedere...
Le si fanno intorno tutti e tre, premurosi, mentre la signora Lepic strilla
stringendosi il dito fra le pieghe della sottana cos che l'amo penetra pi
dentro ancora.
Felice ed Ernestina la sostengono e la conducono in casa, mentre il signor

Lepic le ha preso il braccio ed ha sollevato la mano in modo che tutti


possano vedere il dito e di che cosa si tratta. L'amo ha attraversato il
polpastrello.
Quando il signor Lepic tenta di toglierlo !e grida aumentano di tono:
Oh, non cosi, non cosi!
L'amo, infatti, da una parte trattenuto dalla piccola freccia e dall'altra
parte dall'anellino e il signor Lepic, che ha inforcato gli occhiali, dichiara
che bisogna spezzare l'amo per estrarlo, ma al pi piccolo tocco, su quel
fragile ago, che non si riesce a prendere, la signora Lepic d in strida acute.
Stanno forse strappandole il cuore?
D'altronde l'amo di acciaio e non facile spezzarlo, per cui il signor Lepic dichiara che si deve, per forza, tagliare la carne del dito.
S'assesta gli occhiali e, con un temperino, comincia a passare la lama sul
polpastrello del dito, tanto debolmente, che non lo scalfisce neppure. Si fa
forza, suda, e quando sprizza un po' di sangue, la signora Lepic geme e non
sta ferma, e tutti tremano.
Ernestina si raccomanda al padre che faccia presto, Felice detta consigli e
il signor Lepic spazientito, imbarazzato, si fa coraggio, prende la lama
mentre la signora Lepic gli grida:
Boia! Boia!
Poi, per fortuna sviene e in quella tregua il signor Lepic fruga fra il
sangue e riesce a togliere quel maledetto amo.
Pel di Carota, pallido e tremante, non ha aperto bocca. Al primo grido della madre s' spaventato e avrebbe voluto fuggire, poi rimasto seduto sulla
soglia e, piano piano, s' avvicinato al gruppo, sotto la lampada e tenendosi
la testa con le mani tenta di spiegarsi come sia accaduto un fatto simile.
Forse, buttando la lenza, l'amo gli si impigliato nella schiena e la madre,
nel!'accarezzarlo, se l' infilzato nel dito.
Ecco perch, in ultimo, non abboccavano pi!
Questa soluzione quasi io consola e poich nel frattempo la madre si alquanto calmata pensa che. fra poco, sar lui a gridare perch inevitabile
che ci si vendichi su di lui di tanto male.
Sono corsi anche i vicini.
Finalmente riappare la signora Lepic pallida, quasi orgogliosa di aver sopportato tanto coraggiosamente tutto quel male: cammina tenendo davanti a
s il dito accuratamente fasciato e sorride agli intervenuti, li rassicura, poi,
rivolta a Pel di Carota, quasi con dolcezza mormora:
M'hai fatto male, sai? Ma non ti castigo, non me la prendo con te. Non
ha mai parlato con quel tono a Pel di Carota che, meravigliato, alza la
testa e guarda quel dito, avviluppato in pannolini candidi, gonfio e

imbottito come quelle bamboline di cenci che i poveri fanno alle loro piccine
e gli occhi, asciutti, gli si riempiono di lacrime.
La signora Lepic si china su lui e lui fa il solito gesto di ripararsi la testa
con il gomito ma lei, generosa, lo abbraccia davanti a tutti.
Pel di Carota non si raccapezza e piange come una fontana. Inutilmente
gli dicono di smetterla, che tutto finito, che lui perdonato; i singhiozzi di
Pel di Carota raddoppiano.
Che stupido ragazzo! esclama la signora Lepic ai vicini. Se
qualcuno lo sente penser che lo sgozzano!
Intanto esibisce l'amo e tutti lo esaminano con curiosit. Uno dice che
del numero otto e dell'acciaio pi duro che si trovi in commercio.
Mamma Lepic ha riacquistato la sua parlantina e si compiace di essere al
centro della curiosit altrui.
Li per li, lo avrei strozzato. Se non gli volessi tanto bene a questo
figlio sempre distratto e disordinato, chi sa che cosa gli avrei fatto. Mi
sentivo tirare in cielo, da quell'amo!
Ernestina propone di andarlo a sotterrare in giardino, in un buco profondo,
ma Felice interviene:
Ma no! Dallo a me. Lo terr io per pescare! Un amo intinto nel sangue
della mamma mi porter fortuna. Vedrete che pesca! I pesci accorreranno
grossi come una delle mie gambe!
E, intanto, scuote Pel di Carota, il quale, sempre oltremodo stupito di aver
evitato il castigo, esagera il suo pentimento, spreme dalla gola gemiti rauchi
mentre la sua faccia bruttina, faccia da schiaffi, come sempre gli dicono, si
lava di lacrime: ma anche le lacrime non fanno scomparire le efelidi.
UNA MONETA D'ARGENTO
Hai perduto niente, Pel di Carota?
No, mamma.
Come fai a dire di no se non ti frughi nemmeno in tasca?
Pel di carota rovescia le tasche perfettamente vuote e le scuote dalle
briciole e dai minuzzoli che si celano sul fondo lasciandole pendere, ai due
lati dei calzoni, come due orecchie d'asino.
Ah, s, mamma, dammelo!
Che cosa debbo darti, se non hai perduto niente?
Quello che hai trovato.
Ma tu sai quello che ho trovato?
No.
Allora perch dici dammelo?

Perch tu me lo hai chiesto e se me lo hai chiesto sicuro che hai


trovato una cosa mia.
Dimmi che cosa, allora.
Non lo so. Dimmelo tu che cosa hai trovato.
Ti ho interrogato a caso e ho indovinato. Dunque hai perduto qualche
cosa e non vuoi dirmi che cosa . Che cosa hai perduto?
Non lo so, mamma.
Bada! Stai per dire una bugia. Divaghi come un pesciolino spaventato.
Rispondimi con calma. Che cosa hai perduto?
Non lo so.
Allora, se non lo sai, non hai perduto nulla. Forse la tua trottola?
Proprio. Non ci pensavo pi. Ho perduto la trottola, mamma.
No. La trottola te l'ho presa io, la settimana scorsa.
vero.
Hai anche poca memoria. Allora, che cosa hai perduto?
Non lo so mamma: forse il mio coltello.
Un coltello? E da quando in qua tu giri con un coltello in tasca. Chi te
lo ha dato?
Nessuno.
Allora perch parli di un coltello, se non hai mai avuto un coltello?
Dicevo cosi, per dire...
Caro mio, da questo imbroglio non usciamo pi se non mi dici la
verit.
Ma, mamma, non lo so...
Ma ragiona e non farmi perdere la testa. Siamo qui, soli, perch non
mi dici la verit? Ti interrogo come una amica e sono pronta a capire e a
perdonare. Un ragazzo che vuol bene alla mamma le confida ogni cosa.
Scommetto che hai perduto una moneta. Non lo so. Ma ne sono quasi sicura.
Non negare: ecco, diventi rosso.
Mamma, quella moneta era mia.
Chi te l'ha data?
Il mio padrino, la settimana scorsa.
Che moneta era?
Non me lo ricordo.
Ecco un'altra bugia.
Ma, mamma, quella moneta era mia. Se l'ho perduta peggio per me,
una seccatura, una cosa spiacevole, ma pazienza! D'altronde sai che io non ci
tengo affatto: una moneta pi, una meno...
Senti, senti! Che chiacchiera hai messo fuori tutto ad un tratto. E io,
buona donna, sto qui a darti retta. Dunque una moneta per te non conta nulla

eh? Bel senso del risparmio che hai tu! Non pensi al dispiacere che ne avr il
tuo padrino, che ti vizia e ti coccola, quando sapr che tu perdi quel che ti
regala e non ne fai nessun conto?
Facciamo conto che io l'abbia spesa, come mi pareva e piaceva.
Dovevo tenerla d'occhio tutta la vita?
Anche lo spiritoso, fai! Pagliaccio! Non la dovevi n perdere n
sprecare, senza chiedere permesso. Non l'hai pi, peggio per te. Ne ho
abbastanza delle tue bugie e ne terr conto. Adesso fila, prima che perda la
pazienza...
S, mamma...
E non fare l'originale, con me. Non dire s mamma mentre in cuor
tuo chi sa che cosa pensi. E ti proibisco di andartene canticchiando e
fischiettando, come fai sempre, dopo aver scrollato le spalle, quando si cerca
di inculcare in quella tua zucca balzana buoni principi. Non attaccano con
me i tuoi modi spavaldi da carrettiere spensierato...
Pel di Carota se ne va a passeggiare in giardino.
Quella faccenda del ritrovamento di qualche cosa che sua e che la mamma non ha voluto svelargli, lo indispettisce e lo amareggia.
Tira calci ai sassi del vialetto, ma si vede osservato dalla madre, oltre i vetri e, allora si china, finge di cercare fra l'acetosella o nella sabbia fine.
Quando vede che la mamma scomparsa, smette di cercare e continua a
camminare con il naso in aria.
Evidentemente ha perso una moneta. Ma quando? E che moneta era? E
perch l'ha perduta?
Possibile che non rammenti un fatto cos importante: una moneta, una bella moneta d'argento, lui che non ne ha quasi mai, come pu averla perduta?
E proprio sua madre l'ha ritrovata. Ma dove, ma quando?
A volte c' gente distratta che non cerca nulla e invece trova magari
monete d'oro. Lui tanto distratto che non ricorda di aver posseduto una
moneta d'argento e non ricorda nemmeno di averla perduta. Se lui
camminasse per terra fino a consumarsi i ginocchi non troverebbe nemmeno
uno spillo.
Stanco di girellare e di cercare non sa neppure lui che cosa, Pel di Carota
torna a casa.
Tenter di portare nuovamente sua madre sul discorso della cosa misteriosa perduta e ritrovata e chiss che non sia tanto fortunato da comprendere di
che cosa si tratta.
Ma la signora Lepic non in casa.
Pel di Carota la chiama:
Mamma! Mamma!

Nessuno risponde. Sar uscita.


Pel di Carota si aggira per la casa vuota e, sorpreso, si accorge che il
tavolino da lavoro della mamma rimasto aperto. Sa che fra le lane, gli aghi,
i rocchetti di colori diversi, la mamma tiene il danaro per la spesa quotidiana
e, infatti, Pel di Carota scorge alcune monete.
Che razza di diavolo gli mette in corpo quella tentazione? Egli sa,
osservatore com', che quelle monete dormono spesso dimenticate e si
imbucano da un angolo all'altro senza che la mamma le conti.
Ce ne sono tre, no, forse quattro o anche otto. Bisognerebbe rovesciare il
cassetto, frugare fra i rocchetti e i gomitoli, per contarle tutte. E poi, come
pu la mamma verificare se ne manca una, una sola?
La tentazione grande e, questa volta, la tentazione per Pel di Carota si
veste di furba strategia; deciso egli allunga una mano, prende una moneta e
scappa.
Non ha la sensazione di aver rubato. Non ha nemmeno la paura di essere
scoperto. sempre cos vigile e attento a non farsi cogliere in fallo ma,
questa volta, senza riflettere, ha agito sconsideratamente e non si preoccupa
di quel che pu accadere.
Fila via, diritto, esce di casa a passo svelto e si inoltra fra i vialetti del
giardino, Intanto pensa: come si pu perdere una moneta e dove? Se ci si
sdraia bocconi sull'erba o anche soltanto se ci si siede facile che una
moneta esca di tasca e si nasconda fra quell'erbetta folta come il pelo di una
capra.
Infatti, si sdraia bocconi e l'erba gli fa il solletico sotto al naso intanto che
striscia e si arrotola, capricciosamente, descrivendo cerchi irregolari, come
se avesse gli occhi bendati.
Ecco fatto, la moneta uscita di tasca e sta l, grigia fra il verde e basta un
lieve colpo di tacco per infossarla nella terra e nasconderla fra l'erba.
Ora trovarla sar facile, conosce il punto.
Quando la mamma ritorna, Pel di Carota lascia che essa lo veda girellare
su quella striscia di prato e, certo d'essere udito, ad un tratto esclama:
Mamma, mamma! L'ho trovata!
Anch'io risponde seria la madre.
Come mai? Eccola!
E agita la mano che regge la moneta mentre corre verso casa. La porge
alla madre che, a sua volta, ne tiene una uguale fra le dita e mostrandogliela
appena, dice:
Eccola, la mia!
Fa un po' vedere?
Fa vedere tu la tua a me.

Pel di Carota esamina le due monete e la madre fa altrettanto, sempre seria e imbronciata.
Che strano! afferma Pel di Carota che non si sente pi tanto sicuro
di aver escogitato il trucco adatto ed insiste:
lo l'ho trovata in quel pezzo di prato, ai piedi del pero. Ci sar passato
sopra venti volte, senza vederla. Luccicava, credevo che fosse un pezzo di
carta, una violetta bianca. Quasi non mi fermavo a guardare meglio. Quando
l'ho vista bene, quasi non osavo prenderla. Mi sar caduta di tasca un giorno
che mi rotolavo sull'erba, facendo il matto. Vieni mamma, vieni nel prato a
vedere dove si nascondeva quella sorniona di moneta! C' ancora il segno
nella terra fresca. Pu ben dire di avermi fatto ammattire!
Questa io l'ho trovata nella tasca dell'altra tua giacca. Nonostante i
miei consigli dimentichi sempre di vuotare le tasche quando ti cambi giacca.
Ho voluto darti una lezione d'ordine, di economia, di buon senso per
insegnarti il valore del danaro, che non si lascia mai in giro per le tasche.
T'ho lasciato cercare perch tu impari a tue spese. Ma bisogna credere che
chi cerca trova. Infatti tu hai trovato una moneta ed ora ne possiedi due. Sci
ricco. T' andata bene: ma ti avverto, il danaro non fa felice nessuno.
Allora posso andare a giocare, mamma?
Certo e divertili. Prendi le tue due monete ora e conservale in un posto
adatto.
Oh! Mamma, una mi basta. Anzi ti prego, mettila via finch non ne
avr bisogno.
Niente affatto. Tieniti !e tue due monete e riponile. Sono tue, no?
Una te l'ha data il padrino, l'altra l'hai trovata sotto il pero e, a meno che il
proprietario non si faccia avanti, anche quella tua. Chi l'avr mai perduta?
Mi sto lambiccando il cervello. Chiss di chi . Tu, che cosa ne dici?
Ma, mamma, non saprei.
Prova a pensarci.
Ci penser domani.
Che sia del giardiniere?
Vuoi che glielo vada a domandare?
Un momento: riflettiamo. Non si pu sospettare tuo padre di essere
cosi sbadato da perdere una moneta senza accorgersene e senza dirlo. Tua
sorella i suoi soldi li custodisce nel salvadanaio, Tuo fratello non fa a tempo
a perderlo il danaro, che gli si scioglie fra le mani. Dopo tutto, potrei averlo
perduto io...
Mi stupirei, mamma, tu sei cosi ordinata nelle tue cose...
A volte, i grandi sono distratti, come i bambini, specialmente quando
hanno tanti pensieri e tanti problemi da risolvere come me. In ogni modo

affar mio. Basta. Non ci pensare pi. Vai pure a giocare in giardino.
Grazie, mamma.
Non ti allontanare troppo, per: voglio dare un'occhiata al danaro
della spesa che nel cassetto del mio tavolino da lavoro.
Pel di Carota, che stava per uscire, si volta, segue per qualche passo la
mamma che s'allontana, poi, di colpo, la sorpassa e le si pianta davanti, in silenzio, porgendole una guancia. La mano destra gi alzata e sta per
prendere la solita rincorsa.
Ti conoscevo bugiardo, ma fino a questo punto no.
Mamma!
Hai anche il coraggio di supplicare! Ora dici le bugie a due alla volta.
E come le dici bene! Con che garbo e che fantasia...
Mamma!
Si comincia col rubare un uovo e si finisce per rubare un bue. Poi si
assassina la propria madre.
E a sottolineare queste affermazioni, vola il primo schiaffo.
IDEE PERSONALI
Il signor Lepic, Ernestina e Felice, insieme a Pel di Carota, si attardano, di
sera, accanto al caminetto.
Vegliano e guardano bruciare un bel ceppo e le quattro sedie dondolano
sulle gambe di dietro, quasi con lo stesso ritmo.
Chiacchierano di tutto un po' e poich la signora Lepic impegnata in
un'altra stanza, Pel di Carota trova il coraggio di esprimere le sue idee
personali, con un fervore che ammutolisce tutti, tanto pi che l'argomento
piuttosto bollente e, esposto come lo espone lui, diventa rischioso,
Per conto mio dice con un certo sussiego i gradi di parentela
non significano proprio nulla, sono senza senso, senza sostegno.
Ah, s? fa il padre incuriosito. Va' avanti, mi piace sentirli
esporre
le tue teorie.
Per esempio, pap, tu sai che io ti voglio bene e sai quanto te ne
voglio. Ma sai perch ti voglio bene? Perch sei il mio migliore amico,
perch ti ammiro, ti so onesto, lavoratore, coraggioso, buono e generoso. Ma
non perch sei mio padre. Io considero la tua amicizia, la tua protezione, il
tuo affetto, come un favore che tu mi concedi, ma non come una cosa che mi
dovuta e che tu sei
obbligalo a darmi.
Bene, bene e poi?

E io? chiede Ernestina,


E io? fa eco Felice.
Stessa cosa afferma Pel di Carota.
E cio? Spiegati, per favore.
Beh, il caso vi ha fatti mio fratello e mia sorella. Perch dovrei
esservene riconoscente? Chi ha colpa se tutti e tre siamo dei Lepic, nati e
cresciuti in questa casa? Era forse inevitabile? Non vedo perch io debba
esservi grato ed ossequiente in forza di una parentela che io non ho chiesto e
che giudico involontaria. pi importante, molto pi importante, che io vi
voglia bene perch tu, Ernestina, sei con me buona e gentile e qualche volta
mi aiuti e mi difendi. Della vostra protezione, delle vostre cure, io vi sono
grato ed da questa gratitudine che nasce il mio affetto, ma non dal fatto che
ci chiamiamo Lepic e siamo nati e cresciuti insieme.
Obbligatissima dice Ernestina ed ha un sorrisetto canzonatorio
come commento a tutto quello sproloquio.
Ma dove vai a pescare certe idee dell'altro mondo? chiede il padre
tra il burbero e il divertito a sentire il suo rampollo parlare con tono cosi
dottorale.
Non dico niente di strano: io parlo in linea generale, senza
personalismi e se la mamma fosse qui lo ripeterei anche a lei. Le moderne
teorie...
Io credo che, di tronte alla mamma, non diresti un bel niente!
esclama Felice che sente il terreno franare sotto i piedi del fratellino,
E perch no?
Provaci.
Ma insomma, che male c' in quello che ho detto? Allora non mi avete
capito e si che siete pi grandi di me e certe cose dovreste afferrarle subito...
Va' avanti, va' avanti...
Non sono senza cuore e voi non dovete falsare il mio pensiero. Anzi,
da quel che vi ho detto, dovreste capire che io vi voglio bene per le vostre
doti morali e questo un bene spontaneo, sincero, logico. Ecco, logico,
questa la parola che cercavo. Se io vi volessi bene solo perch tu sei mio
padre, tu mio fratello, tu mia sorella, sarebbe un bene comandato non un
bene sbocciato e sentito intimamente...
Non adoperare parole pi grosse di te, figliolo mio dice il signor
Lepic, preparando la candela per andare a letto. Se, alla tua et, io avessi
detto a mio padre la quarta parte di tutte le sciocchezze che hai snocciolato
tu, sai che cosa mi sarebbe capitato? Come minimo una pedata e uno
scapaccione e questo proprio per dimostrarmi che ero suo figlio e, come tale,
dovevo beccarmi l'una e l'altro. Non cercare, alla tua et, di volerla sapere

pi lunga degli altri e non ti imbottire quella tua povera testa di idee tanto
balorde e malsane. La famiglia una istituzione sacra e tu le manchi di
rispetto e bestemmi con codeste tue arzigogolazioni...
Ma, pap, bisogna pur dire qualche cosa, per far passare il tempo... del
resto, sei stato tu a rammaricarti perch noi non esponiamo mai le nostre
idee personali...
Meglio star zitti che dire simili stupidaggini. Va', va' a letto, che
tardi. Buona notte, figlioli.
E il signor Lepic s'avvia con la sua candela accesa. Felice lo segue e
lancia un saluto a Pel di Carota:
Buona notte, commilitone!
Quando la volta di sua sorella, Ernestina si fa grave nel dirgli:
Buona notte, sciocchino. Sono tua sorella, non una amica, ricordatelo,
ma una sorella pu essere anche una amica, se ha un fratellino ragionevole e
saggio.
Pel di Carota resta solo davanti al fuoco che lentamente si spegne.
Ieri, non pi tardi di ieri, il signor Lepic !o aveva consigliato di riflettere,
anzi gli aveva detto:
Si dice ... si fa ... ma che mai si'? Quel si vuol dire tutti e nessuno e
tulli lo stesso che nessuno. Tu ripeti troppo a pappagallo quello che senti
dire o quello che leggi, senza approfondire il vero senso delle cose. Sforzati
di pensare con la tua testa, metti fuori le tue idee personali, una volta tanto,
non ti far bello con le penne del pavone, citando a proposito o a sproposito
quello che ti sta attorno, tanto per cominciare...
Ecco: la prima idea che ha osato esprimere, ha avuto davvero un bel successo! Lo hanno guardato come se il suo cervello fosse bacato.
Pazienza!
Pel di Carota copre il fuoco con la cenere. Allinea lungo il muro le sedie,
d uno sguardo alla pendola, come se la salutasse, e si ritira nella sua stanza,
quella stanza che tutti chiamano della cantina perch vi d la porta che
conduce in cantina.
una stanza in cui i ricordi di Pel di Carota a volte si affollano e a volte si
perdono, come nebbia.
D'estate e una stanza fresca e gradevole, tanto che vi si conserva la
selvaggina anche per una settimana.
L'ultima lepre gocciola ancora sangue lungo il muro e il sangue si raggruma su un piatto. Ci sono corbe piene di grano, e a Pel di Carota piace
affondarvi le mani e rimestarvi con le braccia nude fino al gomito.
Vi mettono, di solito, gli abiti della famiglia intera, appesi agli attaccapanni, prima di essere riposti, a seconda delle stagioni. Gli fanno sempre una cu-

riosa impressione. Paiono dei suicidi che si siano impiccati li, dopo aver
nascosto la testa e messo le scarpe, bene in fila, sull'asse che sovrasta i pioli.
Qualche volta, non sa perch, quella stanza, isolata dal resto della casa, gli
incute paura.
Stasera no.
Non d una occhiata sotto al letto, come fa certe sere, non lo spaventano
le ombre che il chiarore della luna disegna contro le pareti bianche, n il
pozzo del giardino, che si vede sotto la finestrella, che pare scavato apposta
perche qualcuno ci faccia dentro un tuffo.
Avrebbe paura se pensasse di avere paura ma non ci pensa.
In camicia dimentica di camminare sui calcagni per sentire meno il freddo
del pavimento di piastrelle rosse.
A letto, guarda le bozze dell'intonaco che l'umidit ha gonfiato e gli pare
di scorgere strane facce che lo fissano con una smorfia ironica: forse
nemmeno quelle facce condividono le sue idee personali sulla famiglia, ma
almeno gli insegnano, mediante quei sorrisetti compassionevoli, che le idee
personali bisogna tenersele per s.
Per Pel di Carota, guardarsi attorno, studiare, analizzare, cercare di capire
anche le pi piccole cose, diventato un gioco che lo diverte pi di ogni
altro gioco.
Gli altri, quelli di casa, quando lo vedono cosi assorto, senza far niente,
scuotono la testa come di fronte a un insolubile problema, a uno di quei
problemi che scoraggiano anche il pi paziente dei solutori.
Stupido non , almeno stando ai risultati scolastici, malato nemmeno,
poich mangia, dorme, corre e salta come una lepre. Ma che cos'ha, dunque,
per essere cos diverso da tutti gli altri ragazzi della sua et?
Inutile interrogarlo. D risposte cosi evasive e cos sconcertanti che disarmano.
Meglio lasciarlo tare quel che vuole. l'et del trapasso, dicono le
persone anziane, pigrizia, dice la madre, esibizionismo, affermano Felice
ed Ernestina, e solo pap Lepic non si pronuncia, ma forse perch lui il
solo che, restando a lungo fuori di casa, non in grado di essere un
osservatore profondo di quel suo figliolo che giudica balordo ma che, in
fondo in fondo, trova nel suo cuore un posticino di preferenza.
***
Da un pezzo Pel di Carota, seduto sul muretto del giardino, tiene d'occhio
la foglia pi alta del pioppo grande.
Fantastica aspettando di vederla muovere.

Dal punto in cui si trova, a guardarla, pare gi staccata dall'albero, si direbbe che viva libera, senza gambo, avulsa dal ramo da cui si nutrita.
Ogni giorno, al primo sole, si fa d'oro e raccoglie l'ultimo raggio, lo assorbe, per vestirsi di quella luce e risplendere, Gi a mezzogiorno pareva morta.
Immobile, senza un tremolio, senza una vibrazione.
Si stacca? Non si stacca?
Pel di Carota la tiene sotto controllo, quasi spazientito da quella immobilit innaturale. Sa che dovr staccarsi, volteggiare e cadere e si stupisce che,
pi grande delle altre, non abbia gi volato verso la terra su cui marcir,
Sotto la foglia irrigidita un'altra foglia, pi piccola, s' mossa, come presa
da un brivido. Altre foglie sembra che abbiano raccolto quel piccolo segnale
e, anch'esse, fremono e pare che diano alle altre foglie, pi in basso, un
avvertimento, cos che, dall'una all'altra, come una rapida trasmissione, si
verifica quel leggero tremolio silenzioso.
Pel di Carota alza gli occhi verso il cielo.
Laggi, lontano, ai confini con l'orizzonte, compare un orlo bruno, come di una calotta
che avanzi con un impercettibile moto ondoso.
Un velo d'aria avvolge il pioppo e altri strati d'aria, quasi inavvertibili, contagiano le
foglie del faggio, della quercia, degli ippocastani e di tutti gli alberi del giardino, gi
presaghi di quel che apportatrice la calotta bruna che si spinge avanti, come un
coperchio, con il suo orlo cupo in netto contrasto contro il chiarore del cielo.
Solo la foglia, che Pel di Carota di tanto in tanto fissa, non partecipa a
quell'improvviso tremore che ha contagiato i rami sottili e zittito gli uccelli.
Il merlo, che gettava qualche nota a casaccio, tace e si nascosto. La tortorella che
pochi attimi prima versava dalla sua gola variopinta, a scatti, il suo monotono tubare,
quieta e gira la testa a destra e a sinistra in cerca di chi sa che cosa. Anche la gazza,
intollerabile e fastidiosa, tiene la coda abbassata e sta appollaiata su un ramo come in
allarme.
La livida calotta continua la sua lenta invasione senza arrestarsi e, a poco a poco, il
ciclo lascia che essa ricopra di nero il suo azzurro e chiuda ogni passaggio perch l'aria
non penetri e soffochi la natura inquieta.
Pare che s'abbassi sulla campagna circostante, quasi cedendo sotto il proprio peso e,
sulla punta del campanile lontano, si ferma come per paura che la guglia aguzza procuri
uno strappo nel suo compatto tessuto.
Pel di Carota, come un filo d'erba, pi piccolo di un filo d'erba, pi piccolo del pi
piccolo insetto, sente gravare quella pressione come un panico sconosciuto che gli toglie
il respiro, mentre ode, lontano, i primi clamori confusi che trovano eco nel battito
disordinato del suo cuore. Gli piace osservare la natura, sondarne i misteri, tentare di
capire forze e improvvisi mutamenti, coordinati da segreti comandi di un potere
soprannaturale, e sentirsi partecipe di tutto il bene e di tutto il male di cui cielo e terra
sono incontrastati padroni non mai soggetti al volere degli uomini.
La luce s' fatta livida e in quel grigiore le masse degli alberi si sono fattescure e
corrucciate e in fondo a quel confuso arruffio di toni violacei, quasi fiabeschi, Pel di
Carota immagina nidi pieni d'occhiaie bianche e vuote, di becchi adunchi pronti a

ghermire.
Gi le corone degli alberi si tuffano in quel nero e si scuotono come teste
improvvisamente destate da un lungo sonno. Le foglie turbinano, a branchi, tornano
all'albero da cui sono state divelle come se volessero chiedere proiezione, impaurite,
quasi volessero riagganciarsi ai rami che restano nudi.
Le foglie leggere della betulla scortecciata paiono lamentarsi, quelle della acacia
sospirano, quelle dell'ippocastano fischiano e quelle dei rampicanti gorgogliano
rincorrendosi sul muro,
Lontano, sotto i meli, scossi dal vento, i frutti cadono con tonfi sonori sul terreno
riarso che vibra come un tamburo.

Il ribes sanguina di gocce rosse e il ribes nero lascia colare gocce che
sembrano di inchiostro.
Nell'orto i cavoli agitano le loro grandi foglie concave come enormi orecchie tese a captare i rumori e le cipolle, appese ad asciugare, cozzano
insieme e si spaccano.
Che cos'hanno mai? Che cosa significa questa improvvisa follia a cui partecipa anche l'erba che s'affloscia ora a destra, ora a sinistra, ondeggiando?
Non tuona. Non grandina. N un lampo squarcia il cielo n una goccia
d'acqua disseta la terra assetata.
Quel nero tempestoso, quella notte silenziosa giunta in pieno giorno,
genera panico, terrore.
Pel di Carota ne spaventato e conquistato insieme.
Guarda affascinato quel caos senza nome che ha sconfitto il sole e la
calotta che s'abbassa inesorabile, come a serrare la terra in una morsa
infernale.
La tempesta entra in lui, gli benda gli occhi, gli comprime il cervello, lo
scuote come un filo di paglia, gli urla negli orecchi, gli afferra il cuore e lo
accartoccia, lo appallottola come una cartaccia che svolazza lungo la strada
fra un turbinio di polvere.
Una fascia dolorosa lo stringe e improvvisamente si dissolve. Un soffio
d'aria lo accarezza, lo blandisce, gli restituisce il respiro, e Pel di Carota se
ne disseta come da una sorgente.
La nera calotta s'allontana: un orlo di luce dorata appare in tutto quel buio
e non fa pi schermo al sole che lascia piovere luce e tepore sulla natura che
si ridesta come da un sogno pauroso.
Pel di Carota gioisce, si stira, si sente vivo, felice.
Ed intorno a lui il merlo riprende a cantare, la tortorella si rigira come una
trottola e tuba, e i fiori rialzano le loro corolle e paiono di un colore pi
splendente.
Le foglie cadute giacciono le une sulle altre, in mucchietti sparsi, paghe di
un desiderato riposo.

LA RIBELLIONE
Pel di Carota?
Si, mamma.
Sii bravo: va fino al mulino a prendermi una libbra di burro.
No, mamma.
Cosa? Hai detto di no? Poche storie. Fila e svelto. Ti aspetteremo per
andare a tavola.
No, mamma, non vado al mulino.
Avanti, non scherzare, non ho tempo...
Ho detto che non ci vado.
Ma allora, non sogno? Che cosa capita? Ti rifiuti di ubbidirmi?
S, mamma.
Basta. E la prima volta che ti rifiuti di farmi un piacere. Cosa accade?
Niente, mamma. Non ci vado.
Ti permetti di disubbidire a tua madre?
A mia madre, si.
Sarebbe bella. Vuoi spicciarti, si o no?
Ho detto di no.
Ma insomma, vuoi star zitto e filare?
Sto zitto: ma non ci vado.
Ripeti!
Non ci vado.
La signora Lepic in piedi sulla scala, con le braccia al cielo: trasecolata.
Pel di Carota tace, immobile.
la prima volta che osa dire di no a sua madre. La cosa inaudita. Fosse
stato intento a giocare e non volesse abbandonare il gioco, quel suo diniego
avrebbe una giustificazione, se non ammessa, plausibile. Ma l fermo,
seduto a terra, che gira i pollici, con gli occhi semichiusi, morto di noia.
Che rivoluzione sta verificandosi?
La madre strilla come se chiamasse aiuto e Pel di Carota alza gli occhi, la
squadra dall'alto in basso e non si muove.
Ernestina, Felice grida la madre. Venite, venite! Venite a
vedere! Chiamate il pap, chiamate Agata, chiamate la gente che passa! In
casa Lepic c' un fenomeno degno di essere ammirato! Ma venite, dunque,
correte!
Pel di Carota ora ritto in mezzo al cortile, isolato, sorpreso di sentirsi
saldo davanti al pericolo, pi sorpreso ancora di constatare che la signora
Lepic non lo ha picchiato fin dal primo no che ha mormorato con voce

ferma.
Ma, evidentemente, la cosa cosi grave per mamma Lepic che lei ci si
smarrisce.
Rinuncia ai soliti gesti intimidatori, allo sguardo acuto e bruciante che
agisce come una punta incandescente sulla pelle del figlio.
Fa uno sforzo per contenersi, ma le labbra le tremano sotto la pressione
dell'ira repressa e le parole sibilano come frustate:
Ho pregato gentilmente mio figlio di farmi un favore, di fare una
passeggiatina, in attesa dell'ora di cena, di arrivare soltanto fino al mulino e
volete sapere che cosa mi ha risposto? Mi ha detto di no, un no tondo e
schietto, una cosa da non credere. Domandateglielo, potreste credere che mi
sto inventando questo enorme, inconcepibile rifiuto ad ubbidirmi.
Nessuno chiede conferma. L'atteggiamento di Pel di Carota dispensa tutti
dal fargli ripetere quel no che ha il sapore di una vera e propria ribellione.
Ernestina, conscia del peggio che accadr da un minuto all'altro, gli si accosta, teneramente, e gli bisbiglia qualche parola all'orecchio. Pel di Carota
non si scuote, ed essa insiste:
Stai attento. Finir male. Ubbidisci a tua sorella che ti vuol bene: fallo
per amor mio.
A Felice par d'essere a teatro.
Questi spettacoli sono il suo spasso preferito. Non cederebbe il suo posto
di osservazione a nessuno n farebbe un solo passo per modificare le cose.
Non si rende conto che, se Pel di Carota si emancipa e non pi lo schiavetto servizievole di sua madre, molte delle incombenze che fino ad ora, con
zelo e ubbidienza, ha portato a termine, toccheranno anche a lui, perch la
mamma non il tipo da rinunciare a quei mille piccoli favori a cui
abituata.
Ma, a questo. Felice ora non pensa.
Ieri ancora disprezzava il fratello minore per quella sua accondiscendenza
servile ed ora si sentirebbe di incoraggiarlo.
Gli ha dato del pulcino nella stoppa troppe volte per non sentirne un pizzico di rimorso. In questo momento lo considera da pari a pari, lo stima ma.
soprattutto, si diverte un mondo e pregusta le conseguenze di quella
insubordinazione.
Siccome la fine del mondo afferma sempre con quel tono aspro
la signora Lepic io non me ne impiccio: me ne lavo le mani. Qualcun
altro prenda la parola e si incarichi di domare questa bestiola che,
improvvisamente, mostra la sua ferocia. Vi lascio di fronte, padre e figlio,
sbrigatevela voi!
Si allontana quasi barcollando tanto la collera la scuote.

Pap dice allora Pel di Carota, in piena crisi, con la voce strozzata,
una voce che, improvvisamente, ha cambiato registro e gli esce dalla gola
con una inflessione nuova e cos virile che egli stesso ne sconcertato.
Pap, se tu mi comandi di andare a prendere una libbra di burro al mulino, ci
vado, immediatamente, ma ci vado perch me lo chiedi tu, pap, come un
amico chiede un favore a un amico. Ma mi rifiuto di andarci per la mamma
perch mi chiede le cose come le chiede alla serva.
Il signor Lepic non si sente lusingato da quella preferenza, anzi si
dimostra seccato. I conflitti di questo genere, in famiglia, intorbidano
l'atmosfera che lui ama resti sempre limpida e senza nubi. La patria potest,
esercitata in questo campo, gli sembra un sopruso, specialmente quando
richiesta per una libbra di burro e di fronte a una platea che ascolta e giudica
da punti di vista diametralmente opposti.
Pap Lepic fa qualche passo nell'erba, scrolla le spalle, volta la schiena e
torna in casa, senza aver aperto bocca.
Per il momento la questione s' fermata l.
***
La sera la cena si svolta assai silenziosa.
La signora Lepic non ha partecipato: s' ritirata in camera sua dichiarandosi indisposta e s' messa a letto.
Ognuno ha mangiato col capo chino sul piatto e quando Agata comincia a
sparecchiare, visto che il signor Lepic, come ogni sera, annoda il tovagliolo,
Felice e Ernestina sono rimasti seduti guardandosi con imbarazzo.
Chi viene a passeggio con me, fin sulla strada vecchia?
L'invito del signor Lepic evidentemente rivolto a Pel di Carota che si fa
rosso rosso e, appoggiata la seggiola accanto al muro, come sempre, segue
docilmente il padre, mentre Felice e Ernestina aprono i loro libri e si
dispongono a leggere.
Per un po' padre e figlio camminano in silenzio.
L'inevitabile inizio della conversazione non pu non generare, date le circostanze, che un senso di freddezza e di ritegno.
Pel di Carota va facendosi le domande che ritiene gli sottoporr il padre e
si va preparando le risposte.
E pronto a mantenere fermo il suo punto. fortemente scosso, per non
rimpiange nulla. Quell'episodio ha avuto una ripercussione tale su lui e gli
ha procurato una cos forte emozione, che nulla pu scombussolarlo pi di
quanto non lo sia gi.
Il timbro della voce del signor Lepic, che si prepara a parlare, lo rassicura:

Che cosa aspetti a spiegare e giustificare la tua recente condotta che


ha addolorato tanto tua madre?
Pap, debbo essere sincero con te. grave quel che ti dir, ma debbo
dirtelo. Non voglio bene alla mamma!
Ah! E per qual motivo? E da quando?
Per tutto!
E poi?
Da quando la conosco.
Ma ti rendi conto di quel che stai dicendo? E che cosa dici per
giustificarti?
Sarebbe troppo lungo, se io ti spiegassi. Forse non mi capiresti.
Non ti capirei? Pu non capire un padre il proprio figlio?
Ma tu, se mi vuoi bene, non ti sei mai accorto di nulla?
E di che cosa dovevo accorgermi? Ti teneva il broncio, ma aveva le
sue buone ragioni, immagino.
Non mi vuol bene. Mi esaspera pensare che si creda soltanto che io o
lei tacciamo il broncio. Non broncio: scontento. mancanza di affetto.
Ma scontento di che? Che affetto ti manca?
Sono scontento di tutto e forse lo anche la mamma, per quel che mi
riguarda, ed io soffro per come mi giudicate, tutti. Pel di Carota, per voi,
anche per te pap, non pu nutrire sul serio un rancore. Se fa il broncio, voi
tutti dite, lasciatelo stare. Quando gli sar passata uscir dal suo cantuccio,
calmo, rasserenato. Non fate mostra di badargli. una cosa da niente, gli
passer.
Va bene, e poi?
E poi, pap scusami, ma ti par cosa da niente che io non sia mai niente
e nulla per nessuno? Non badategli, la parola d'ordine. Nessuno pensa che
io mi senta pieno di rabbia violenta, che anche a me capiti di sentire il
bisogno che qualcuno mi chieda: che cos'hai Pel di Carota? Se sono
bugiardo, villano, disubbidiente, lo sono perch non mi si prende mai per il
verso giusto. Le offese non le dimentico.
Ma via, via. ti pare il caso di fare il processo a delle punzecchiature di
nessun conto?
No, non posso dimenticare, Tu non sai quasi niente. Tu non sei
sempre a casa.
il mio lavoro che mi costringe ad allontanarmi, lo sai.
Lo so, lo so, pap. I tuoi affari ti assorbono, i tuoi fastidi devi
risolverli da solo. Ma la mamma non ha altro che me, come gatta da pelare,
scusa il paragone. Dio mi scampi dal pigliarmela con te. Certo, se ogni volta
facessi la spia. e ti raccontassi questo e quello, tu potresti capirmi meglio ...

ma ti rattristerebbe e tu non hai bisogno d'essere triste per causa mia.


Ma che cosa c' da capire: fanciullaggini, niente altro!
Tu mi proteggeresti, pap. Se me lo comandi, a poco a poco, posso
vuotare il sacco di tutte le mie amarezze passato. Vedrai che non esagero: ho
la memoria buona. Ma per ora, pap, ho bisogno di un consiglio.
Che consiglio?
Come posso separarmi dalla mamma?
Quale sarebbe, secondo le, il mezzo pi semplice?
Non lo so.
Ma ti rendi conto che con la mamma ci resti solo il tempo delle vacanze? Ti sembra un periodo cosi lungo?
Lasciameli passare in collegio, quei mesi, farei pi progressi anche a
scuola.
un privilegio riservato agli allievi poveri. Si penserebbe che ti
abbandono. Del resto, perch pensi soltanto a te? A me, per esempio, la tua
compagnia mancherebbe.
Verresti a trovarmi, pap.
I viaggi costano, Pel di Carota.
Ma quando fai i tuoi viaggi di affari...una piccola deviazione...
No. Basta con le sciocchezze. Io ti ho trattato esattamente come tuo
fratello e tua sorella. Intendo continuare cosi e desidero che tu ti tolga dalla
testa tante idee sbagliate...
Tronchiamo gli studi, pap. Col pretesto che ti costo troppi soldi,
tirami fuori dal collegio, mi trover un mestiere...
Ah, s? Che mestiere, per esempio? Vuoi fare l'apprendista calzolaio?
Qualunque cosa. Guadagner da vivere, sar libero.
Troppo tardi, ragazzo mio. Ho fatto sacrifici per farti studiare e non li
lascer mai andare a inchiodare ciabatte.
Pap... se ti dicessi che ho tentato di uccidermi?...
Esageri, sciocchino! Non ci si uccide alla tua et per una sgridata della
mamma.,.
Pap... anche ieri sai, pensavo di impiccarmi...
E invece eccoti qui. Alza la testa con fierezza e impara a non tirare
sempre la coperta dalla tua parte, come si suol dire. Tu pecchi di egoismo.
Vorresti tutto per te. Vedi cattive intenzioni dove c' solo il desiderio di
insegnarti a stare al mondo e di un granello di sabbia fai una montagna.
Pap, ascoltami, lo vedo mio fratello felice, Ernestina felice, la
mamma non li tratta mai duramente e se, come dici tu, la mamma non prova
nessun piacere a tormentarmi, perch con me si comporta in modo diverso
che con loro?

Tu sei il pi piccino, le mamme si sentono mamme solo con i pi


piccoli, gli altri, man mano che crescono, sfuggono alla loro tenerezza ...
dominante.
Ma se fosse cosi, perch non mi accarezza mai? Perch non mi bacia?
Perch tu sei spinoso come un riccio e non ti lasci accarezzare n
dimostri di desiderarlo.
Non vero, lo vorrei tanto...
Oh, piccolo campione dell'umana specie, mia testolina quadra,
possibile che tu debba ragionare solo con i piedi? Credi di poter veder chiaro
lino in fondo ai cuori, tu? Credi davvero di capire ogni cosa? Di giudicare
tutti e tutto?
Quello che mi riguarda, si, pap. Almeno mi sforzo.
Allora, bambino mio, rinuncia ad essere felice. Quando si come te,
pronti a vedere tutto sotto una lente d'ingrandimento, anche le cose buone
sembrano guaste. Ti avverto che non sarai mai pi felice, n ora n mai, mai!
Capisco...
No: non capisci. Se capissi non avremmo fatto questo lungo discorso.
Rassegnati e corazzati, se questi sono i tuoi pensieri. Preparati a divenire
maggiorenne per rinnegare la tua famiglia e cambiar vita...
Il tono del signor Lepic s' fatto alquanto sostenuto. Pel di Carota tace e il
padre continua:
Frattanto impara ad aver la meglio. Fai tacere la tua sensibilit, non
essere scontroso, villano, disubbidiente, Rispetta se vuoi essere rispettato.
Ma ai crucci degli altri io penser domani. Oggi, pap, voglio
giustizia per me.
Che giustizia ci pu essere per chi disubbidisce a un ordine? Come
puoi pretendere di aver ragione, se ti metti dalia parte del torto?
Ma quando il vaso colmo ... pap!
Storie. Procura che non sia mai colmo. Metti in chiaro le cose che ti
amareggiano e non le masticare fino a che diventano fiele...
Ma io non voglio bene alla mamma...
Per queste sciocchezze?
Per tante cose, pap, tante cose che mi hanno addolorato anche
quando ero piccino...
Tu lavori di fantasia...
La mamma non affettuosa con me!
Lo forse con me?
A queste parole Pel di Carota alza gli occhi verso suo padre. Considera a
lungo quella faccia dura, la barba folta nella quale pare che la bocca si sia
nascosta, scomparsa, per punirsi di aver parlato troppo.

La fronte tutta una ruga, all'angolo degli occhi pieghe profonde si diramano a raggiera come le zampe d'oca, le palpebre sono abbassate come se
dormisse camminando.
Per un po' Pel di Carota gli cammina al fianco, silenzioso.
Infatti, cosa sa lui di suo padre?
Cosa sa di quanto sia felice o infelice? Se lo mai chiesto? Sa che lavora,
che provvede alla famiglia, che burbero ma in fondo ama tutti e protegge
tutti e pensa al benessere di tutti.
Ma fino a che punto amato? Dai figli? Dalla moglie?
Pel di Carota sospira e, quasi inavvertitamente, prima sfiora la mano del
padre poi la stringe e sente che, a quella stretta, risponde una stretta
amichevole, cordiale.
Un calore nuovo gli corre per le vene e allora, col pugno chiuso, quasi a
minacciare l'intero villaggio che giace laggi dove brillano pochi lumi
esclama:
Che sporca vita! Che burla la vita, vero, pap?
Rincasano, tenendosi a braccetto, come due vecchi amici che rientrino un
po' brilli dal l'aver sostato all'osteria.
Il vino dell'amicizia, quando genuino, d alla testa.
LE VACANZE SONO FINITE
A sfogliare l'album di fotografie di casa Le pic di solito ci si meraviglia.
Ernestina e il fratello Felice sono ritratti in tutte le pose, ritti, seduti, con
l'abito della festa, insieme o da soli, allegri o seri, sempre sullo sfondo di
ricchi scenari, tutti colonne, nuvole in fuga, tendaggi e grandi vasi di piante
esotiche.
Se qualcuno chiede:
E Pel di Carota?
Avevo delle fotogralie di quando era bambino, risponde la signora
Lepic ma era talmente bello che me le hanno portate via e non ne ho
salvata nessuna.
Forse il fatto dipende dalle poche fotografie che sono state fatte o da una
dimenticanza nell'inserirle nell'album. Se qualcuno chiede:
Ma perch continuate a chiamarlo Pel di Carota? forse a causa dei
suoi capelli gialli?
Ha l'anima ancora pi gialla dice la signora Lepic con un mezzo
sorriso per dare alla frase un tono spiritoso.
E sempre, quando parla del figlio pi piccolo, si sofferma volentieri a sottolinearne i difetti:

Con quel naso a patata, non so proprio a chi somigli. Ha poi quel
curioso modo di succhiare la saliva fra i denti, che sono piuttosto radi, e non
s'accorge che fastidio procura a chi lo ascolta. Non c' verso che impari a
camminare come si deve. Si diverte a trascinare i piedi nella polvere come se
avesse le scarpe strette. Non parliamo poi della pulizia personale: ha sempre
gli orecchi e il collo d'un colore azzurrino, di natura assai dubbia. Che
pazienza ci vuole con questi figlioli! Speriamo che, crescendo, muti carattere
e si faccia un bravo ometto: cosi com' non posso certo dirmi fiera di lui.
E continua per un pezzo le sue lagnanze:
Se non si sta attenti, si ingozza di qualunque cosa gli si ponga davanti.
Non ha il senso del gusto, non affatto schizzinoso, tutto gli va bene, purch
riempia la pancia. E di una timidezza sconcertante. Quando lo si presenta a
qualcuno, volta via la faccia, tende la mano a fatica, si fa piccolo, piega le
gambe e, appena pu, si eclissa. privo di slanci affettuosi. Se io gli
chiedessi: Dammi un bacio! sapete che cosa risponderebbe: Oh, mamma,
non ne vale la pena!
Cambier, signora, cambier! Non si crucci. Non n il primo n l'ultimo ragazzo scontroso e difficile. Generalmente sono questi caratteri chiusi e
diffidenti che, quando maturano, danno soddisfazioni maggiori.
La signora Lepic sospira delusa. Sperava di essere compassionata per avere un figlio cos e cos, invece la sua interlocutrice, in bella maniera, le ha
detto che ha torto.
***
Pel di Carota?
Si?
Ti sembra una risposta, si? Si dice, che vuoi mamma? Impara l'educazione almeno, se non vuoi imparare la cortesia.
Sii! Mamm ...
E non rispondere a bocca piena come un qualunque bifolco!
No, mamma: scusa.
Pel di Carota ha inghiottito il boccone senza masticarlo e quasi soffoca.
Lo sai che non hai ancora imparato a metterti le mani in tasca come si
deve? A parte il fatto che le tue tasche sono sempre il ricettacolo d ogni
possibile porcheria, te ne servi con tale garbo che ne sformi l'imboccatura.
Sai cosa faccio? Te le cucio, cos eviter di inquietarmi ogni volta che le
guardo.
E cos, ogni giorno, anche dopo la famosa sfuriata e l'avvenuta riconciliazione con abbracci furtivi e qualche lacrimuccia, vera o finta da ambo le

parti, il tempo passa e si avvicina il momento di ritornare in collegio.


Le vacanze sono finite.
Bisogna dare uno sguardo alla cartella, una ripassata generale alle varie
materie, una fuggevole scorsa al diario delle vacanze che mette, nero su
bianco, pensieri, considerazioni, giudizi il pi delle volte tanto affrettati e
senza fondamento che, a soffermarci si, verrebbe voglia di fare a pezzi il
quaderno e rifare tutto da capo, in bella calligrafia e senza nessuna
rivelazione veramente intima, reale e sofferta.
Saggiamone insieme qualche brano:
Il mio padrino mi ha detto: Dire le bugie un difetto, e le bugie sono
sempre inutili perch, prima o poi, si sa la verit e ci si guadagna solo la
vergogna di averle dette.
Mio fratello ha finito a stento gli studi e mio padre gli ha chiesto: Sei
nell'et in cui devi decidere per il tuo avvenire. Che cosa ti piacerebbe
fare? Mio fratello ha risposto: Niente!. Se lo avesse chiesto a me, forse
avrei risposto la stessa cosa.
Mi piace giocare alle palle di neve e sono molto bravo a nascondere
nella neve qualche sasso: a mirare giusto c' pi soddisfazione. Anche
sdrucciolare sul ghiaccio mi piace e mi diverte vedere andare gli altri a
gambe levate. Quando si gioca a rimpiattino, mi nascondo cosi bene che
nessuno mi viene a cercare e si dimenticano e continuano a giocare da soli.
Abbiamo misurato la nostra statura. Ernestina accanto a Felice ha
barato: ho visto che si alzata in punta di piedi. Io ho preso esempio da lei
ed ho piegato leggermente, le ginocchia perch mi piace essere il pi
piccolo e restare anche pi piccolo di statura.
Ho dato un saggio consiglio alla nostra servetta, Agata. Le ho detto: "Per
andare d'accordo con la signora Lepic non parlare mai dei suoi, figli, n
bene n male. Se ne parli bene, sospetter che tu sia d'accordo con loro per
qualche cosa che non va bene, se ne parli male penser che ti hanno vista
fare qualche cosa che non dovevi fare.
La mamma non tollera che nessuno mi sgridi o mi punisca. Una. vicina
mi ha minacciato e la mamma si arrabbiata e mi ha liberato dalle sue
mani con una furia che mi ha dato un senso di profonda riconoscenza. Ma,
purtroppo, appena siamo stati fuori portata dagli, sguardi della vicina, la

lezione che meritavo me l'ha impartita lei.


Pierino ha una mamma che lo coccola e lo accontenta in tutto. Sorride se
lo vede piluccare dal piatto con. le dita le patate fritte, tollera che mangi, la
frutta acerba senza sbucciarla, che succhi le pesche, sbrodolandosi la
camicia, che. si asciughi la bocca, dopo aver bevuto, con la manica della
giacca, finge di dargli uno scapaccione e. invece, se lo stringe vicino e lo
sbaciucchia sulla faccia, cominciando dalla punta del naso. Pierino un
bambino molto felice.
A volte, i miei fratelli, Ernestina e Felice, quando sono stufi di giocare
con i loro giocattoli, me li. prestano e lasciano che mi diverta un po' da
solo. Ma debbo sempre far finta di non divertirmi troppo perch ho sempre
il timore che me li chiedano indietro.
La mamma un giorno mi ha chiesto: Vuoi pi bene a babbo o a me?.
Ma come si fa a rispondere a una simile domanda? Ho risposto:
Ugualmente, a tutti e due. La mamma rimasta male, ma se avessi detto:
Voglio pi bene al pap lei si sarebbe offesa e se. avessi detto: Voglio
pi bene a te, avrei offeso il pap. Non bisogna mai fare domande cosi
difficili e rischiose.
Un giorno mi sentivo tanto triste che decisi di morire. Misi la lesta in un
secchio d'acqua e ve la tenni immersa fino a che non sentii le orecchie
ronzare e le gambe farsi molli e pesanti. Ma la mamma ha dato una pedata
al secchio e mi ha salvato la vita. Ma invece di chiedermi perch volevo
morire, mi ha picchiato di santa ragione, affermando che sono senza
giudizio e capace solo di darle dei dispiaceri.
Per farmi un complimento la mamma mi ha detto: Se non li mangiano i
maialini, diventerai un giovanotto coi fiocchi! ed io non mi avvicino pi al
truogolo, come facevo prima, per paura che i maialini, sempre cos
affamati, mi addentino sul serio.
veramente un diario bislacco. Per fortuna nessuno lo legger ma, se per
caso, il professore dovesse chiedergli che cosa ha scritto nel diario, Pel di
Carota ha gi pensato che si affretter a dire che l'ha dimenticato a casa e
che lo porter in occasione delle prossime vacanze.
Avr cos il tempo necessario per trascriverlo tutto e si far in quattro per
trovare dei pensierini adatti ad un bambino della sua et, dei bei pensierini

pieni di buon senso e di considerazioni sagge.


E si ricorda che un giorno voleva scrivere nel diario: Se io avessi un cavallo di legno, come quello che regalarono a Felice per le feste, tanti anni fa.
mi piacerebbe inforcarlo e filar via, lontano.
E, un'altra volta, voleva scrivere: Per dimostrare che non mi importa
niente dei rimproveri io me ne vado zufolando, ma se incontro la mamma e
la mamma mi guarda, mi taglia il fischio in bocca e non fischio pi. E poi:
Dicono che quando uno ha il singhiozzo, bisogna farglielo passare con la
paura. Io non so se sia vero, ma le poche volte che ho avuto il singhiozzo, se
la mamma mi guardava, mi passava subito.
Tutte le volte che, per una qualunque ragione, veniva sgridato o castigato,
tentava di confessare sul diario le ragioni del suo malumore o del suo pentimento.
Ma ne risultava un tale pasticcio di parole e di pensieri che il solo
abbozzo buttato gi in brutta copia a rileggerlo era talmente insipido,
sciocco e senza significato, che non valeva la pena di metterlo in pulito.
Fra le cartacce, aveva trovato, mettendo ordine, un foglietto di carta su cui
aveva tracciato queste parole: Non ho ancora imparato a soffiarmi il naso.
Tutte le volte che prendo dalla tasca un fazzoletto mi viene fatto di
adoperarlo dalla parte dell'orlo. Questo fa indispettire la mamma che mi ha
mostrato tante volte come si fa e come si deve adoperare un fazzoletto.
Quando ho il raffreddore, mi piace essere unto a dovere con del grasso e
mentre la mamma mi strofina e mi impiastriccia, Felice ed Ernestina fanno
mille boccacce ma io non mi sottraggo a quella operazione e credo che sia
vero ci che la mamma afferma e cio che, quando si ha il raffreddore, il
cervello si libera da tutto ci che lo ingombra.
No, no, evidentemente quel diario bisognava nasconderlo e non portarlo a
scuola. Era troppo compromettente lasciare giudicare agli altri i suoi pensieri
segreti: non li avrebbero mai capiti.
***
Dopo quella famosa conversazione col padre, Pel di Carota cerca tutte le
occasioni per stargli vicino.
Ama fare da anello di congiunzione fra il padre e la madre, anche nelle
piccole cose.
Pel di Carota?
S, pap risponde sempre con gran premura.
Porta questa camicia alla mamma; vedi, manca un bottone!
Subito, pap.

Con la camicia, stesa davanti a lui come una bandiera, Pel di Carota si avvicina alla madre:
Mamma ...
Che c'? Che fai con quella camicia? Vuoi insudiciarla?
Manca un bottone, vedi . E nella sua voce c' una piccola sfumatura
di rimprovero. Infatti, una buona moglie non mette nel cassetto del marito
una camicia priva di un bottone.
Ah, s? Manca un bottone? E ho forse bisogno dei tuoi ordini,
scimmiotto? Tu complotti con tuo padre contro di me. Basta un nulla perch
vi sentiate solidali nel mortificarmi.
Ma, mamma...
Taci. Scommetto che l'avete fatto saltar via insieme, quel bottone, per
darmi la patente di incapace.
Ma, mamma, non vero...
So, so, che cosa bolle nel tuo cervello...
Mamma Lepic prende il cestello da lavoro e si dispone ad attaccare il bottone, ma non ha ancora sfogato il suo malumore:
Se un giorno non ci fosse pi tuo padre, che bene o male mi protegge
e prende le mie difese, tu chiss come mi ridurresti, con quella tua aria da
superuomo. Bada, Pel di Carota, che i figli come te, che non risparmiano la
madre, finiscono per piantarle un coltello nel cuore o buttarla sul lastrico...
Ma, mamma!
Va', va', ecco, il bottone attaccato, ma ricordati che io so quel che
dico e che soltanto con l'umilt che si dimostra a una madre rispetto e
considerazione.
Questo sarebbe uno di quei momenti in cui Pel di Carota sentirebbe il
bisogno di fischiettare, allontanandosi, ma ci rinuncia perch sente la voce
del padre che tuona, spazientita, per quella benedetta camicia che nessuno si
decide a portargli.
***
ormai tempo di preparare i bagagli: si ritorna in collegio.
Gli addii, le raccomandazioni non hanno fine, ma sono sempre le stesse
parole, le stesse inutili parole che amareggiano, anzich allietare, le ultime
ore che si trascorrono in famiglia.
Pel di Carota si guarda attorno come per imprimersi nella mente le cose
che, nella solitudine del collegio, verranno a confortarlo ogni volta che se le
richiamer alla memoria.
L'albero che fa ombra alla poltrona su cui suo padre schiaccia un sonnelli-

no, a fine pranzo, il chioccolio della fontanella, !a siepe di ribes che ha


perduto le foglie, il ciuffo della vitalba selvatica, ormai ridotto ad un
ammasso di sterpi secchi e senza vita, sono le cose che, pi di ogni altra, gli
restano nel cuore.
Ci passa accanto: qui allunga una mano, l d una pedata, pi oltre scrolla
un arbusto e ne fa cadere le ultime foglie gi accartocciate dal vento
autunnale.
E il suo saluto alle cose un saluto che esprime mentalmente, senza che
nessuno se ne avveda, un saluto in cui mette tutto il suo affetto, quell'alieno
che, dentro di lui, lievita come fa il pane nella madia, e che nessuno vuole,
nessuno raccoglie, nessuno gli chiede.
CORRISPONDENZA
E il fatto incredibile accadde,
Mai il postino s'ra fermato cos spesso a casa Lcpic e quando consegnava
quelle lettere con l'indirizzo del signor Lcpic e la specifica personale sul
lato destro della busta, la signora Lepic, che riconosceva la calligrafia del
figlio, lasciava la lettera in bella vista e ardeva dalla curiosit di saperne il
contenuto.
A volte, gli affari di pap Lepic lo tenevano lontano da casa vari giorni e
la lettera spiccava bianca contro il mobile scuro della cucina e pareva che da
essa emanasse un fluido che era veleno per la signora Lepic.
Il pi delle volte, il signor Lepic apriva la lettera, la leggeva e un sorriso
illuminava la sua faccia bonaria; porgendo il foglio alla moglie,
invariabilmente diceva:
Ma ha dell'estro, quel figliolo!
La signora Lepic non degnava la lettera di uno sguardo. Per leggerla e
soppesarne le parole, aspettava che il marito fosse uscito: non voleva lasciar
vedere la sua ansia di conoscerne il contenuto,
Mentre la leggeva, anch'essa si lasciava schiarire la faccia da un sorriso,
ma non si capiva mai se fosse di compatimento o di soddisfazione.
Suo figlio, per lei, restava un enigma, un impasto di cattiveria, di buone
intenzioni mal espresse, di fantasia e di infingardaggine, uno sconcertante
animaletto che non si sapeva come ammaestrare per ricavarne qualcosa di
buono.
Non si chiedeva mai se la colpa di quel suo gramo prodotto materno avesse sede nel suo cuore e nella sua incapacit di circondarlo d'amore e di comprensione. Lo aveva curato quando era stato malato, lo aveva nutrito, lo
aveva fornito di abiti a seconda della stagione, aveva tentato di insegnargli le

buone maniere, di fornirgli esempi e di ammannirgli prediche.


Ma non lo aveva mai baciato, non lo aveva mai tenuto amorosamente fra
le sue braccia. Aveva troppo da fare: una casa, tre figli, un marito esigente,
dei contadini infidi, una serva vecchia e inutile od una serva giovane ed
inesperta.
Che cosa si pu pretendere da una donna a cui giunge un figlio alla soglia
della vecchiaia?
Naturalmente, ogni volta che Pel di Carota scrveva al padre, il signor
Lepic era costretto a rispondere.
Questo faceva parte della promessa e non bisogna mai mancare ai patti,
fra uomini d'onore.
Il pi delle volte si trattava di letterine brevi, di pensieri buttati gi, a casaccio, senza ordine e senza un preciso fine.
Ma poich a Pel di Carota quelle missive davano conforto, pap Lepic
non intendeva sottrarsi al piacere d procurare al figlio la soddisfazione di
sentirsi importante e di ricevere risposta.
Molte lettere andarono disperse, ma dalla lettura delle poche rimaste che
andavano e venivano, dal collegio a casa Lepic, emerge un cos schietto
senso d comprensione e di calore umano, che vale la pena di tentare di
capire, tra le righe, il carattere dell'uno e dell'altro.
Un filo conduttore teneva avvinti padre e figlio, da quella famosa sera in
cui entrambi avevano tentato di chiarire sentimenti e aspirazioni.
Pel di Carota era nella fase pi critica per un ragazzo che si affaccia alla
vita: le sue cognizioni erano informi, egli era una pasta molle in cui tutto
pu lasciare una impronta destinata a orientare verso il bene o verso il male.
Pap Lepic conosceva questo stato d'animo: si rivedeva ragazzo con i suoi
problemi e i suoi dubbi e, per quanto stava in lui, voleva che il figlio ne
fosse liberato a tempo e senza patirne.
Ecco alcune di quelle lettere:
Caro pap,
le spedizioni di pesca delle vacanze mi hanno messo gli umori in
movimento. Sulle cosce mi spuntano foruncoli grossi come chiodi. Sono a
letto. Sto supino e l'infermiera mi applica dei cataplasmi. Finch il
foruncolo non scoppiato mi fa male. Dopo non ci penso pi. Ma si
moltiplicano come pulcini. Per uno che guarisce ne spuntano tre. Del resto
spero che si tratti di cosa senza importanza.
Il tuo affezionato figliolo.

Caro Pel di Carota.


siccome ti stai preparando alla Prima Comunione e frequenti il
catechismo, saprai che l'umanit non ha aspettato te per avere qualcuno
tormentato dai chiodi. Ges Cristo ne ebbe ai piedi e alle mani. Non se ne
mai lagnato e s che i suoi erano chiodi davvero! Coraggio.
Il tuo pap.
Caro pap,
ho il piacere di comunicarti che mi spuntato un dente. Nonostante la
mia et, penso che si tratti di un precoce dente del giudizio. Spero che non
sar il solo e che mi aiuti a compiacerti con la buona condotta, la diligenza,
e i voti sulla pagella.
Il tuo affezionato figliolo.
Caro Pel di Carota,
proprio quando spuntava il tuo dente, uno dei miei si messo a
tentennare. S' risolto a cascare ieri mattina, cos se tu hai un dente di pi
tuo padre ne ha uno di meno. Perci nulla cambiato: il numero dei denti,
in famiglia, rimane invariato.
Il tuo pap.
Caro pap,
pensa che ieri era il compleanno del professore di latino e che i miei
compagni, unanimi, mi avevano designato per presentargli gli auguri di
tutta la classe.
Lusingatissimo mi metto a comporre con tutta cura il discorso nel quale
inserisco alcune appropriate citazioni latine.
Modestia a parte ero soddisfatto. Lo copio in bella su un gran foglio di
carta protocollo e, giunto il gran giorno, spinto dai compagni che mi
dicono: Vai, su, fatti avanti! colgo il momento che il professore non
guarda e mi avvicino alla cattedra.
Ho appena spiegato il foglio e pronuncio, a voce alta:
Venerato Maestro!
che il professore s'alza infuriato e grida:

Fila al tuo posto e spicciati!


Figurati se non alzo i tacchi e corro a sedermi. Frattanto i miei amici si
nascondono dietro i libri e il professore mi ordina, furibondo:
Traduci la versione!
Caro pap, cosa te ne pare? Non sono un ragazzo sfortunato? Giudica tu.
Il tuo affezionato figliolo.
Caro Pel di Carota.
quando sarai deputato ne vedrai delle belle! A ognuno la sua parte. Se
hanno messo il tuo professore in cattedra perch, probabilmente, sia lui a
pronunciare dei discorsi e non perch stia ad ascoltare i tuoi.
Il tuo pap.
Caro pap,
sono stato a portare la tua lepre al signor Legris, professore di storia, e
geografia. M' sembrato proprio che il regalo gli facesse piacere. Ti
ringrazia molto. Siccome ero entrato con l'ombrello bagnato, me lo prese di
mano lui stesso e lo riport nell'atrio. Poi chiacchierammo di varie cose. Mi
disse che se voglio posso portar via il primo premio di storia e geografia
alla fine dell'anno. Ma vuoi credere che sono stato in piedi tutto il tempo e il
signor Legris. il quale, del resto, stato amabilissimo, non mi ha nemmeno
indicato una sedia?
S tratta di scortesia o di distrazione?
Non lo so e sarei curioso, caro pap, di sentire la tua opinione.
Il tuo affezionato figliolo.
Caro Pel di Carota,
protesti sempre, protesti perch il professore di latino ti manda a sedere,
protesti perch quello di storia e geografia ti lascia in piedi. Forse sei
ancora troppo giovane, per pretendere dei riguardi: forse il professore di
storia e geografia, se era seduto dietro un tavolo, data la tua modesta
statura, ti avr creduto seduto.
Il tuo pap.

Caro pap,
sento che vai a Parigi e partecipo alla gioia che proverai visitando la
capitale che anch'io vorrei vedere e dove ti seguir col pensiero. Capisco
che i miei impegni scolastici non mi consentono questo viaggio, ma
approfitto dell'occasione per pregarti di comperarmi un paio di libri. 1 miei
li so a memoria: sceglili come vengono, in fondo si equivalgono tutti.
Tuttavia mi piacerebbe particolarmente la Henriade di Francesco Maria
Arouet di Voltaire e la Nouvelle Heloise di Giangiacomo Rousseau. Se me li
porti (i libri non costano niente a Parigi) ti garantisco che non cascheranno
nelle mani del prefetto.
Il tuo affezionato figliolo.
Caro Pel di Carota,
gli scrittori di cui parli erano uomini come me e te. Puoi fare, anche tu
quello che hanno fatto loro: scrivi dei libri, poi li leggerai.
Il tuo pap.
Caro Pel di Carota,
sono assai stupito della tua lettera di stamane. Invano la rileggo. Non il
tuo solito stile. Parli di strane cose che non mi sembrano n di tua n di mia
competenza. Di solito mi scrivi delle tue piccole faccende, dei voli che
ottieni, dei difetti e delle qualit che scopri nei tuoi insegnanti, dei nomi dei
tuoi nuovi compagni, dello staio della tua biancheria, di come dormi, di
come mangi.
E sono le cose appunto che mi interessano.
Oggi non ti capisco pi. A proposito di che, ti prego, ti dilunghi sulla
uscita della primavera, mentre siamo ancora in inverno?
Che cosa vuoi, dire, ti occorre forse una sciarpa di lana?
La lettera senza data, senza vocativo, non si capisce se la mandi a me o
al cane.
Persino la calligrafia mi sembra mutata: la disposizione delle righe e
l'abbondanza delle maiuscole mi sconcertano.
Insomma, mi sembra che ti voglia burlare di qualcuno: di te, suppongo.
Mi preme di fartene una colpa, non una osservazione.

Il tuo pap.
Caro pap.
una parola in fretta, per spiegarti: la mia ultima lettera era una
composizione in versi. La prima composizione in versi del tuo
affezionato figliolo.
Il tempo passa in fretta.
Un altro anno scolastico terminato e Pel di Carola ritorna a casa.
Sa che a casa ci sono molte novit.
Felice frequenta la scuola superiore e non fa. pi parte del collegio, per
cui Pel di Carota rientra solo. Una volta tanto scender dalla diligenza e
trover i genitori ad aspettare lui solo!
Ernestina fidanzata.
A Pel di Carota la cosa pare alquanto buffa e se pensa che si sposer presto, non sa immaginarsi la sorella installata in un'altra casa, che non sia la
sua. con un marito e, forse, dei figlioli e, quando si sofferma a pensare a
queste cose, non sa se riderne o esserne inteneriti.
Sua madre invecchiata. Ha molti capelli bianchi e il passo non pi tanto svelto. Ma la voce, la sua voce imperiosa, non mutata.
La sera, Ernestina ha il permesso di passeggiare con il fidanzato e Pel di
Carota destinato alla sorveglianza dei due piccioncini.
Non un incarico piacevole, ma lo assolve senza protestare.
Va' avanti, gli dicono corri e scorrazza!
Pel di Carota va avanti, corre, scorrazza, si sforza di saltare, si sente come
un cane a cui hanno tolto il guinzaglio, ma se fa tanto di rallentare, appena
un poco, sente, suo malgrado, paroline tenere e rumore di baci.
Tossisce.
Si fa silenzio ma lui esasperato.
Quando si accorge di essere davanti alla croce che sta all'inizio del villaggio, punto in cui, solitamente, i due fidanzati riprendono la via verso casa,
Pel di Carota butta a terra il berretto, lo calpesta, e borbotta senza fine.
Poi riprende a ciondolare, i fidanzati davanti e lui a debita distanza, di retroguardia.
Ormai sa che si fermeranno accanto al muretto che circonda la casa a bisbigliarsi gli ultimi saluti di congedo.
A Pel di Carota tutte quelle smancerie che essi si prodigano fanno un curioso effetto, vorrebbe prenderli a sassate, chiss perch, e si sorprende ad

esclamare:
Nessuno vorr mai bene a me!
Nello stesso momento, la signora Lepic, che non sorda, sorge da dietro
il muro, con un sorriso sulle labbra.
Pel di Carota, smarrito, si affretta a soggiungere:
Eccetto la mamma!

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