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Jules Renard - Pel Di Carota (1894)
Jules Renard - Pel Di Carota (1894)
Pel di Carota
(1894)
LA FAMIGLIA LEPIC
Ogni sera accadeva la stessa cosa. Felice ed Ernestina, i fratelli maggiori
di Pel di Carota, appena ultimata la cena, uno a destra e l'altro a sinistra del
tavolo di cucina, leggevano o fingevano di studiare, con le mani chiuse a
pugno contro gli orecchi, per non udire alcun rumore che potesse distrarli.
E ogni sera, regolarmente, la mamma diceva:
Vuoi vedere che Onorina s' dimenticata di chiudere il pollaio?
Nessuno le rispondeva. Onorina, la serva, era gi a letto e Felice Lepic, il
maggiore dei tre figlioli della signora Lepic, impegnato com'era nella
lettura e sordo ad ogni voce, non poteva rispondere all'appello della madre.
Ernestina non alzava neppure la testa dal libro: chiudere il pollaio non era
cosa adatta ad una ragazzina quando c'erano in casa due fratelli maschi.
Pel di Carota, mi hai udita?
E la signora Lepic pronunciava quel vezzeggiativo, con cui il pi piccolo
dei suoi figli era stato battezzato sin da quando era in fasce a causa di quel
ciuffo ribelle di capelli rossi, con una sorta di tenerezza, assai rara nella sua
voce, fino a che il piccolo Pel di Carota, intento a qualche gioco sotto la
tavola, non lasciava vedere quei suo musetto lentigginoso per ripetere, come
ogni sera:
Mamma ... ma io ho paura!
Paura di che? Vorrai scherzare! Fila, fila, giovanotto, le galline non
aspettano che te per dormire in pace ...
Pel di Carota un bambino a cui i complimenti e le buone parole fanno
sempre un curioso effetto. Un po' orgoglioso, per natura, ama sentirsi lodare
e la sua timidezza si arma di audacia quando occorre dar prova di coraggio
anche se, come spesso accade, quell'audacia una virt soltanto apparente
poich, nell'intimo. Pel di Carota resta un coniglietto tutto tremori e
trepidazioni per cose da nulla.
Dunque, Pel di Carota, ti decidi?
E scomparsa dalla voce della mamma quella piccola vena di dolcezza e il
suo atteggiamento fa intuire che uno scappellotto sta per giungere a destino.
Fatemi almeno lume dichiara il piccolo ometto che si attarda a
stringere la cinghia dei pantaloncini, con un gesto di sicurezza, come se
stesse agganciandosi al fianco una spada.
Felice non si muove, la mamma ha le mani sui fianchi in attesa di
mandare ad effetto una minaccia sottintesa nelle sue parole e soltanto
Ernestina, pi seccata che impietosita, si alza per prendere una candela e
accompagnare il fratellino fino in fondo al lungo corridoio buio che porta sul
retro della casa, al cortile oltre il quale il piccolo pollaio costruito sulla
fiancata del fienile. Ernestina precede il fratello ma, fatti pochi passi, una
folata gelida spegne la candela.
Il buio si fa pi profondo appena scompare la debole fiammella.
Prosegui da solo ordina Ernestina io torno di l.
Pel di Carota sente i capelli rizzarsi sulla sua testa. La camicia gli si
incolla addosso per un sudore improvviso, un tremore alle gambe lo
inchioda al pavimento e gli par d'essere cieco in tutto quel nero cos fondo.
Il corridoio un buco senza fine, come un pozzo. Egli, che lo percorre, di
giorno, centinaia di volte, non riconosce nessuna pietra, nessuna scabrosit.
Che fare? Non pu restar l l'intera notte: deve andare. Muove un piede,
poi un nuovo passo lo porta avanti e, come se dentro di lui fosse scattato un
congegno, si butta a casaccio verso il fondo del corridoio, come lo
inseguisse una torma di lupi affamati. Afferra a caso il gancio della porta e
quando la porta si spalanca, una ventata d'aria fredda lo avvolge come in un
sudario. Il cielo nero, ma qualche stella ammicca lass e la traversata del
cortile, col viso rivolto in alto, meno paurosa di quanto credeva.
Il chiocciare delle galline una voce amica. Quando compare sulla porta
del pollaio, Pel di Carota avverte una certa agitazione, lungo la stanga su cui
le galline stanno accoccolate calde di sonno e un fiato d'aria tiepida lo
investe come una carezza. In un battibaleno l'uscio sprangato e Pel di
Carota torna verso casa, come se avesse le ali ai piedi. Ansante, giunge alla
porta del corridoio, rimasta spalancata: quasi calmo l'accosta, la spranga e vi
si appoggia contro. Una debole luce viene dalla cucina e Pel di Carota in
quel breve tragitto si ritrova padrone di s, orgoglioso di s, vittorioso come
chi esce da una cruenta battaglia e con un mezzo sorriso di compiacimento
verso se stesso, quasi che uno stendardo sventolasse in suo onore e lo
precedesse per osannarlo, entra in cucina. S'aspetta rallegramenti, parole di
lode, ma lo accoglie un silenzio indifferente e immutabile, come ogni sera.
Felice legge, Ernestina non si volta nemmeno a guardarlo e la mamma
Lavorava, provvedeva alla famiglia nei limiti delle sue possibilit, senza
slanci e senza fantasia. Amava la caccia e per udirlo parlare, seppure molto
misuratamente, bastava chiedere qualche spiegazione sulle armi, sui passi
dei volatili, sulle zone pi favorevoli. Altri argomenti non occupavano la sua
mente.
Pel di Carota, che un giorno, chiss per quale impulso, aveva battuto violentemente il capo di una pernice ferita, estratta dal carniere paterno,
uccidendola, era salito di un gradino nella considerazione del signor Lepic
che, giudicando il figliolo un essere freddo, duro, senza cuore, si
compiaceva, ogni volta che rientrava dalla caccia, di obbligarlo a
quell'ingrato compito cui Pel di Carota, con lo stomaco in subbuglio, si
prestava unicamente perch vedeva, cosa assai rara, l'interesse di tutta la
famiglia polarizzato su di lui.
E quando qualche uccello agitava ancora la testa in modo penoso e rabbrividiva agonizzando, la madre o il padre, a seconda di chi assisteva a quel
pietoso spettacolo, si affrettava a dire:
Dunque, Pel di Carota, che aspetti a finire quelle povere bestie?
E Pel di Carota, che rabbrividiva pi della selvaggina morente, per un
residuo di quella dignit che lo investiva come una dote di non comune
merito, afferrava fra le manine sudate e gelide quei corpicini tiepidi,
convulsi, con le ali palpitanti e compiva quella triste bisogna con un groppo
in gola, sforzandosi di nascondere le lacrime che gli offuscavano la vista.
Felice ed Ernestina, quando accadevano queste cose, incrudelivano contro
il fratellino con parole sferzanti:
Sei peggio di un carnefice, tu! Un boia, sei, un boia!
Ma Pel di Carota, che li sapeva incapaci di fare altrettanto, vedeva nei
loro occhi una scintilla di invidia e questo per la sua piccola anima,
inconsapevole e compressa, era un premio che valeva la pena di guadagnare
a cos caro prezzo.
La stessa signora Lepic commentava questi fatti senza un briciolo di compassione per quel suo figliolo tanto piccolo e tanto crudele:
inaudito! Come faccia ad avere tanto sangue freddo e compiere
gesti cos stomachevoli con tanta indifferenza, non so spiegarmelo. In quei
momenti non mi par neppure che possa essere mio figlio. Di che pasta sar
mai fatto? Dove trova tanto coraggio e tanta raffinata crudelt?
Questi episodi, se pur non frequenti, mettevano attorno a Pel di Carota un
curioso alone di distacco da tutti gli altri ragazzi della sua et. Qualunque
cosa egli facesse o dicesse, perfettamente intonata alla sua giovinezza
inesperta, assumeva, perch detta o fatta da lui, un tono diverso dal normale
significato, come se tutto ci che passava per il suo cervello dovesse
cigolare per l'impegno che pone nel far tutto il rumore possibile. Resta un
attimo, soltanto, ritto al centro della gran porta spalancata e scruta
nell'oscurit riconoscendo la sagoma del carro abbandonato al centro del
cortile. Sa che non c' nessuno, lo sa di certo, ma ha paura ugualmente.
Quando chiude piano la porta e vi si sofferma contro, prima di far nuovamente scorrere il lungo catenaccio, sa di aver barato, perch il suo coraggio
una specie di truffa ai danni di chi lo crede capace di qualunque ardimento.
Egli sa di ingannare i suoi che lo credono intento a frugare in ogni angolo,
attorno alla casa, in cerca di chi sa quali insidie, mentre, incollato alla porta,
aspetta e si obbliga a far s che passi il tempo necessario perch il suo
comportamento sia coronato da successo.
Sente, dentro le scarpe sdrucite, l'alluce ancora dolente per i calci affibbiati al cane, senza che nessuno lo abbia veduto, e quando certo che
giunto il momento di rientrare, manovra sul catenaccio senza piet, per far
tutto il maggior rumore possibile.
Fischietta, tossisce, sternuta mentre si avvia alla cucina e, spalancando la
porta, annuncia:
Non c' nessuno!
Anche il padre, insieme agli altri, lo guarda attonito.
Il cane avr sognato dichiara riprendendo il suo posto accanto al
fuoco lo fa spesso. un cane stupido, non ci badate.
Il calore della fiamma gli asciuga il sudore freddo che gli cola attorno al
collo e scende gi, lungo la spina dorsale, come la lama di un pugnale.
Il trucco gli riesce sempre e la paura si pasce di questa certezza che gli
consente di ingannare le persone adulte, quelle persone che guardano a lui
come a un essere inutile e meschino ma che, di fronte a queste prove di
audacia, certamente modificano in meglio il loro giudizio.
Piramo ha ripreso a dormire, tranquillo. Gli altri tacciono e nemmeno una
parola uscita dalle loro labbra per compiacersi del coraggio di cui Pel di
Carota ha fatto sfoggio.
Ma egli sa che si stanno chiedendo di che materia sia fatto quel suo
corpicino gracile e mal costruito e di questi loro pensieri egli si fregia, come
di una medaglia.
MATERASSI AL SOLE
Ma nelle giornate di Pel di Carota non si inserivano soltanto le prove
esibizionistiche. Ogni medaglia ha il suo rovescio e, ai molti difetti, che
nella bilancia pesano assai pi delle scarse manifestazioni spettacolari, due
colpe, soprattutto, segnavano una riga nera a suo demerito.
intere.
La prima volta che bagn il letto, quel famoso letto in cui dormiva da
solo, fu scusato e qualche risata pose fine al suo rossore.
Ud la mamma, quando metteva il materasso al sole, dire con Onorina:
Avr sognato, quel pigrone, d'essere comodamente sistemato in altro
luogo e ... continuando a dormire e a sognare, ha combinato questo guaio.
Felice e Ernestina non hanno mai fatto una cosa simile, nemmeno quando
erano pi piccini. Pel di Carota un piccolo sudicione, senza amor proprio.
Speriamo che non capiti ancora.
Invece capit, purtroppo, e capit molto spesso.
Pel di Carota era convinto che in lui qualche cosa non funzionasse e
poich alle risate di commento della prima malaugurata bagnatura si
sostituirono parole grosse, minacce, offese degradanti, il povero ragazzo non
riusciva a capire perch, proprio a lui, nell'incoscienza di un sonno profondo,
mai conosciuto prima di allora, senza risvegli bruschi e pizzicotti
improvvisi, dovesse capitare quello strano fatto tanto incontrollabile.
Quello che, sopra ogni altra cosa, lo poneva in uno stato di inferiorit che
lo accasciava come una malattia e gli paralizzava gesti e parole, era il
disprezzo e la derisione che leggeva negli occhi del fratello, mentre
Ernestina, fingendo di non saper nulla, non risparmiava frecciate e allusioni,
ridacchiando nel vedere il suo materasso e le lenzuola al sole e scostandosi
da lui come se fosse un essere immondo.
Schiacciare il capo a una pernice ferita, fingere di non aver paura ad andare, ogni sera, a chiudere il pollaio, mettere in fuga ipotetici banditi, erano
glorie scontate.
Quel materasso al sole era la sua croce, il suo golgota, il suo supplizio.
Ogni sera, prima di andare a letto, Pel di Carota si ingegnava a prendere
tutte le precauzioni del caso.
A tavola non beveva neppure una goccia d'acqua e, specialmente d'estate,
la sete era un tormento indicibile.
Prima di coricarsi, girava intorno alla casa, quando andava a chiudere il
pollaio, e mentalmente pregava il suo angelo custode di liberarlo da
quell'incomodo liquido che stazionava dentro di lui e che non intendeva
uscire. Ma veniva l'ora di andare a letto e non accadeva che di rado quella
benedetta e tanto attesa liberazione.
A volte, il padre ed anche Felice, ridendo e spassandosela un mondo alle
sue spalle, davano il buon esempio e lo invitavano a fare altrettanto.
Pel di Carota ci si metteva di buona volont e gli pareva che la cosa fosse
immensamente facile e quando i due, sghignazzando, domandavano:
Tutto bene, Pel di Carota?
Dalla siepe a cui s'era accostato partiva una voce tutt'altro che fiera ad assicurare:
Tutto bene.
Ma era una solenne bugia.
Contenendo una stizza che lo faceva fremere fino ad odiarsi accendeva,
insieme agli altri, la sua candela e s'avviava sgomento alla sua stanza.
Si spogliava, s'inginocchiava sul nudo pavimento per pregare, e a piedi
nudi, convinto che il freddo fosse un buon alleato, aspettava la madre.
Essa entrava, come ogni sera, tenendo ben in vista un recipiente utile ad
evitare che il letto ricevesse la consueta pioggia e sempre con parole
piuttosto dure ripeteva gli stessi insegnamenti:
Impara a non essere pigro, appena lo stimolo ti avverte, non poltrire
nel letto, svegliati, scendi, provvedi a quel che occorre: io sono stufa,
arcistufa di queste tue prodezze notturne e se non ti correggi ti mander a
dormire nel fienile, capito? questa era la sua buonanotte.
Pel di Carota diceva di s, di s, con la testa, che le parole gli si gelavano
nella strozza, e la madre soffiava sulla candela, gli rimboccava le coperte e
se ne andava chiudendo la porta a chiave sapendo che aveva paura a dormir
solo.
E l'incubo notturno rimaneva a vegliare accanto a lui come un nemico implacabile, deciso a distruggerlo.
Mio Dio pregava Pel di Carota con gli occhi gi grevi di sonno
mio Dio, fa' che io mi svegli ...
Ma raramente ci accadeva.
Qualche volta scendeva a patti con se stesso ed era convinto che una
ignota malattia s'annidasse nel suo corpo e si ostinava a supporre che le
persone adulte dovessero sapere di che rimedio aveva bisogno. Il fatto di non
sottoporlo ad una visita medica e ad una cura adatta riteneva che fosse a
causa del loro palese disinteresse per lui e questo lo addolorava pi di
quanto non facessero le risatine amare e le parole offensive.
Una notte, il diavolo ci mise la coda e tutto and a rovescio. Si svegli,
come se una mano lo avesse scosso ed avvert, impellente, quel certo
bisogno.
Se ne rallegr come di una vittoria e salt gi dal letto senza indugio.
La stanza era buia. La candela la lasciavano sul comodino ma non gli lasciavano gli zolfanelli, per timore di un incendio, sapendolo tanto sbadato.
Si inginocchi a terra e tenendosi con una mano alla sponda del letto,
cominci a ispezionare il pavimento, sotto al letto, per afferrare quel certo
recipiente. Ma per quanto la sua mano si allungasse a destra e a sinistra e
percorresse l'intero spazio del pavimento occupato dal letto, non trov nulla.
Si arrest cercando di ricordare se, anche quella sera, sua madre aveva
compiuto il consueto gesto. Non ricordava.
Torn a ispezionare il pavimento, palmo a palmo, ma non trov nulla. Intanto, quel certo bisogno urgeva in modo quasi spasmodico. Che fare?
Rest in piedi nella stanza buia, col freddo che saliva dal pavimento lungo
le sue gambette esili, a riflettere: la mamma si era forse dimenticata di
portare quel che cercava?
La porta della sua stanza era chiusa e mai pi avrebbe destato tutta la casa
per quella ridicola necessit di cui la pi elementare educazione insegnava di
non parlare mai.
La finestra munita di inferriata impossibile utilizzarla perch non guarda
in corte, ma s'affaccia sul salotto buono e, proprio sotto, c' il divano e il
tappeto di cui la mamma tanto orgogliosa. E poi, anche se guardasse
altrove, quella finestrella troppo alta e nella stanza non c' neppure una
sedia ...
Torna a esplorare con ambedue le braccia sotto al letto, spera sempre di
trovare quel che affannosamente cerca e, pi il tempo passa, pi si rende
conto che l'irreparabile deve accadere.
Dove? Non sul pavimento: la mamma se ne accorgerebbe subito, al mattino, appena entrata e chi sa quale diluvio di parole inaugurerebbe quel nuovo
sistema di scarico.
A forza di rigirarsi nella stanza buia Pel di Carota ha perduto
l'orientamento, piange di rabbia, incalzato da quel bisogno che non ammette
ritardi. Vaga ancora per il poco spazio che la stanza gli offre e di colpo, le
mani appoggiate alla mensola di un caminetto in disuso, lascia che quel che
lo angustia fluisca interamente da lui come un male che si placa goccia a
goccia.
Una quasi felicit lo investe mentre ritorna verso il letto, un letto asciutto,
ancora tiepido del suo tepore e vi si accuccia beato lasciando che il sonno lo
accolga nel suo grembo, sicuro di poter dormire fino al mattino senza che
quel tarlo roda il suo cervello e gli impedisca di abbandonarsi alla
beatitudine di un sereno riposo.
Dorme ancora, di un sonno profondo, quando al mattino la signora Lepic
entra nella stanza, arricciando il naso con una smorfia di disgusto che non
preannuncia nulla di buono.
Su, poltrone, svegliati!
Strappa le lenzuola e le coperte con un gesto sicuro, come sempre, certa di
trovare la prova dell'infamia, di cui percepisce l'odore.
Il letto asciutto e Pel di Carota ha due vispi occhietti sorridenti come chi
pienamente sicuro e soddisfatto di s.
Ma quell'odore, allora?
La signora Lepic ha buon naso e presto scopre la fonte di quel fetore che
la sconvolge. Un grido risuona nella stanzetta e le sue braccia, come due
clave colpiscono Pel di Carota che ancora sorride.
La mamma picchia di rado ma, quando picchia, ha le braccia possenti e
pare che strizzi il bucato tanto ad ogni colpo ci si sente come maciullati.
Pel di Carota si difende tenendo le braccia alzate contro la testa e tenta di
giustificarsi:
Mamma! Mamma ... ho cercato sotto al letto, non c'era ...
Ma, chiss perch, la mamma continua a tempestarlo di pugni e a strillare:
Le patate, le patate ...
Di che patate si tratta? Pel di Carota riesce a guardare, oltre il letto, il luogo del suo misfatto. L sotto, nel cavo del caminetto, sono riposti due sacchi,
che egli non aveva mai notato abituato com' a vedere, riposte nella stanza a
lui destinata, le cose pi varie.
Gi, le patate; le patate son l in quei due sacchi bernoccoluti e una ampia
macchia scura denuncia il suo delitto.
Pel di Carota piange disperato: non tanto per le botte quanto per quelle patate che rappresentano la sua rovina presso tutta la famiglia, una rovina che,
per mesi e mesi, come una condanna peser sul suo capo senza possibilit di
appello.
La mamma uscita dalla stanza, ed egli ne ode la voce lungo il corridoio,
squillante e accusatrice, a cui fanno eco scoppi di risa e di bestemmie.
La sente rientrare nella stanza e resta raggomitolato nel letto con il capo
fra le braccia, pronto a subire altri manrovesci, quando avverte un certo
trapestio sotto al letto mentre la mamma grida a perdifiato:
Bugiardo! Bugiardo! Hai detto che non c'era, sotto al letto, e questo,
questo, cos'? Che cosa ho mai fatto al Cielo per meritare un figlio come te,
sudicione, bugiardo, infingardo e senza un briciolo di amor proprio!
Pel di Carota, ritto in mezzo alla stanza, tremante nella camicia da notte,
guarda sotto al letto, affascinato. Quel che ha tanto cercato l, con la sua
aria tronfia e mortificante. Ma c'era veramente stanotte?
Ecco di nuovo la mamma e dietro di lei ciabatta Onorina. Portano secchi,
scope, strofinacci e inondano il caminetto e la stanza intera come se fosse
scoppiato un incendio.
Pel di Carota s' vestito in tutta fretta sotto le occhiate compassionevoli di
Onorina che lo guarda come qualche cosa di repellente e di disgustoso,
mentre la mamma continua a salmodiare:
Sei un miserabile! Un figlio senza buon senso, snaturato! Vivi come le
bestie: dessero un vaso a una bestia, imparerebbe a servirsene ma tu, no! Tu
Ogni sasso che incontra sul viottolo, lo raccoglie e lo lancia lontano, con
una stizza e una violenza, come se dovesse, ogni volta, colpire la faccia di
chi lo accusa di un peccato che, in coscienza, sa di non aver commesso. Se
ne va, sotto il sole, con le mani in tasca, con quella sua andatura dinoccolata
domandandosi perch, proprio a lui, debbano capitare cose cos incontrollabili.
Pensa d'essere malato, d'un inguaribile male, ma non piange, si rassegna e
scalcia nella polvere e, ad ogni calcio, scuote dalle sue spalle il peso di tante
parole dure, di tanti sguardi di repulsione, di tanti sorrisetti ironici, fino a
sentirsene liberato al punto che, fatto dietro front, torna verso casa e sulla
soglia della cucina, alla madre ed a Onorina che lo guardano in tralice,
chiede, con la voce di sempre, come se nulla fosse accaduto:
Non si mangia, stamane?
Divora la sua zuppa di latte in silenzio poi, risciacquata la tazza, si avvia
di nuovo verso i campi, fischiettando.
La madre piange: decisamente quel figlio non ha un grammo di amor proprio in quel suo cervello bislacco.
Quando torna, a mezzogiorno suonato, si lava le mani, saluta il padre, gi
seduto a tavola, e sbircia i fratelli con quei suoi occhietti da topo in continuo
agguato. Nessuno fiata.
Quando giunge in tavola il melone, un melone fresco e fragrante che fa
voglia a vederlo, la madre distribuisce le fettine e quando tocca a Pel di
Carota, il piatto da portata vuoto.
Non c' pi melone per te dice la signora Lepic ma a te, come a
me, il melone non piace.
Pel di Carota pensa che non ha mai enunciato una simile accusa contro il
melone e pensa che si tratti di una forma di castigo, per quanto sappia che,
anche in altre occasioni, gli vengono imposti gusti e disgusti senza che il suo
parere abbia mai influenzato tali decisioni.
Quasi sempre, quando in tavola c' del formaggio, la signora Lepic dice:
Pel di Carota non ne prende, sono sicura.
E Pel di Carota, per non contrariare la mamma, dal momento che lei sicura che di formaggio lui non ne vuole, si guarda bene dal dichiarare che una
fettina, anche piccola, la gradirebbe. Il suo amore, la sua ubbidienza, fatta
di queste piccole trascurabili cose e sono cos piccole che nessuno le rileva,
nessuno le apprezza e Pel di Carota ne pago ugualmente, perch bisogna
pure in qualche modo dimostrare che si capaci di voler bene.
Che cosa pu rappresentare una rinuncia tanto trascurabile se fatta per
compiacere chi gi tiene puntati i suoi strali per scovare sempre pi gravi
mancanze nelle pieghe di un carattere cos difficile da capire? Questo pensa
Pel di Carota in attesa che gli altri si alzino da tavola, per aiutare a
sparecchiare, come suo preciso compito ogni giorno.
Porta queste bucce di melone ai conigli lo esorta la madre e a Pel
di Carota non pare vero di ubbidire, solerte e premuroso. S'avvia tenendo il
piatto con ambo le mani, bene in bilico perch le bucce non si rovescino e
quando entra sotto il tettuccio della gabbia dei conigli, gli animaletti gli si
affollano intorno, con i musetti umidi e le orecchie ritte:
Ehi, un momento, piccoli ingordi, un momento, facciamo le parti, non
vorrete tutto voi, spero!
Nella gabbia dei conigli, Pel di Carota, piccino com', ci si trova a suo
agio. Il puzzo non lo disturba, siede su un mucchio di cardi rosicchiati e
distribuisce ai conigli i semi del melone e le bucce che non conservano
neppure uno strato di polpa gialla perch, in quel residuo del frutto, Pel di
Carota affonda volentieri i suoi dentini, riservandosi altres di bere il dolce
succo che resta sul tondo del piatto, mentre i conigli fanno ressa attorno a lui
disputandosi le bucce che, dopo averle accuratamente ripassate, egli
distribuisce loro.
Nella gabbia dei conigli Pel di Carota si attarda, anche quando il piatto dei
rifiuti completamente vuoto. Ama restar l accovacciato ad accarezzare
quelle morbide bestiole che gli dimostrano una certa confidenza, malgrado la
loro estrema timidezza, e lascia che gli si accostino fiduciose come se
trovasse in quella loro familiarit motivo di affettuosa protezione.
la tranquilla ora della siesta. Tutto tace all'intorno. Dai buchi delle tegole sconnesse filtra qualche raggio di sole e Pel di Carota deve fare uno sforzo
per uscire da quel buio andito fresco, per timore di addormentarsi fra i
conigli.
LA CARABINA
Raramente, con il fratello Felice, Pel di Carota lavora nell'orto. Possiedono entrambi una zappa: quella di Felice stata fatta su misura ed adatta
alla sua statura. La zappa di Pel di Carota l'ha fabbricata lui stesso ed di
legno, non di ferro come quella del fratello, che penetra nella terra arida
senza sforzo. Ma Pel di Carota fiero della sua zappa e lavora di buzzo
buono gareggiando con Felice, restando al suo fianco, in linea retta, per
dimostrare che il suo solco non resta indietro da quello che sta tracciando il
fratello.
Ad un tratto, chiss come e chiss perch, un colpo di zappa di Felice
prende Pel di Carota in piena fronte.
Il sangue sgorga copioso e, alle sue grida, tutti accorrono per portare soc-
Pel di Carota tiene nelle mani che gli tremano dal dispetto e dalla delusione quel povero uccellino ancora tiepido e con voce che il pianto trattenuto
rende afona propone:
Se andassimo subito a cercare un altro passero ... potrei provare oggi
stesso.
No, oggi no. tardi. Dobbiamo tornare a casa. Tieni tu il passero, te
lo regalo e la mamma te lo cuciner. Ficcalo in tasca e lascia che sporga il
becco. Cos si vedr che abbiamo colpito nel segno.
I due ragazzi s'avviano. Pel di Carota ha di nuovo la carabina sulla spalla
ma, quel peso, non gli da pi alcun piacere.
Sulla soglia il padre, che li ha visti venire, li aspetta. Vedendo Pel di
Carota, ancora con la carabina a tracolla, esclama:
Ma come? Ancora tu, porti la carabina? L'hai portata sempre tu?
Sempre.
Che c' nel vostro carniere?
Pel di Carota fruga nella sua tasca e mostra il passerotto che sembra ancor
pi piccolo di quando lo ha raccolto da terra. Le piumette si sono appiccicate
al suo corpicino ormai freddo e Pel di Carota lo lascia cadere, con disgusto.
Poi, senza aggiunger parola se ne va verso i campi. Ormai sa che cosa rappresenta la carabina per lui. Un peso sulla spalla e niente altro. Forse, col
tempo, molto, molto tempo, quando Felice si sar stancato di quel giocattolo
nuovo, lo lascer adoperare anche a lui, ma la carabina non sar pi cos
lucida, esatta e funzionante. Felice non ha cura di ci che gli appartiene e
tutto ci che tocca subisce il danno della sua indifferenza.
Succede sempre cos, per tutte le cose, libri, giocattoli, tutto ci che Felice
possiede, prima o poi, passa di propriet del fratello minore, ma in quali
condzioni? I libri sono scuciti, perdono le pagine, sono pieni di macchie, di
strappi e i giocattoli risultano sempre mancanti delle principali
caratteristiche che, in origine, formavano lo scopo e l'interesse per cui il
giocattolo era stato ideato. Ma che importa?
Anche i vestiti smessi da Felice passeranno a Pel di Carota e, anche se la
mamma provvede ad adattarli, son sempre frusti e rappezzati, scoloriti e
sdruciti e non si adattano mai alle sue spalle, alle sue braccia e penzolano sul
suo corpicino magro, con quell'aria mortificata e vuota che assumono i panni
appesi ad asciugare.
A far dimenticare a Pel di Carota questi tristi pensieri ci pensa una talpa:
una talpa nera come uno spazzacamino che attraversa di corsa il sentiero.
Pel di Carota con mossa abile riesce a catturarla e a legarle una zampa.
Per qualche tempo ci giuoca, poi gli viene la cattiva idea di lanciarla in aria e
poi riacchiapparla, ma la bestiola si dimena tanto in fretta che muta la
direzione della sua caduta e resta al suolo, inerte, appiattita, come morta.
Ha una gamba spezzata. Pel di Carota inorridisce al vedere una piccola
macchia di sangue sulla pietra bianca su cui la talpa si abbattuta.
La raccatta, con le lacrime agli occhi, rosso e tremante come se avesse
compiuto un delitto. Ora sa che deve avere il coraggio di ucciderla, per non
farla soffrire. Mentalmente chiede scusa alla bestiola che sussulta contro il
palmo della sua mano poi, coprendosi gli occhi con un braccio, la getta a
terra, violentemente, sicuro di averla uccisa e di dar tregua al suo soffrire.
Quando apre gli occhi la talpa ancora li, tutta fremente, e il ragazzo rabbrividisce mentre raccoglie un sasso per schiacciarle la testa, come ha visto
fare dai contadini che distruggono quelle divoratrici insaziabili.
Ma ad ogni colpo di pietra il suo cuoricino sussulta e quando finalmente
vede quel nero corpicciuolo immobile, sente un sudore freddo colargli lungo
la schiena ed una nausea feroce sconvolgergli lo stomaco.
Come brutta, la vita!
IL CAMPO D'ERBA MEDICA
Ma, in verit, non poi sempre brutta.
Ci sono giornate radiose, giornate in cui tutto fila per il verso giusto, in
cui nessuna talpa attraversa la strada e nemmeno una lumaca cade sotto le
suole delle scarpe.
In quei giorni tutto va per il meglio e qualsiasi cosa si faccia riesce alla
perfezione.
In una di quelle giornate felici, Pel di Carota e il fratello tornavano dai
vesperi.
Si affrettavano di buon passo verso casa poich era l'ora della merenda e
gi sentivano in bocca il gusto di una fetta di pane ben spalmata di burro e
marmellata.
Veramente, Pel di Carota, in generale, fa merenda con una fetta di pane
solo, perch vuol dimostrare che un uomo che non ha bisogno di burro e
marmellata come una donnicciola ma, quel giorno, sa che ci sar anche per
lui una tetta di pane larga pi del suo palmo, abbondantemente guarnita.
La storia di voler mangiare pane solo, quando gli altri se lo condiscono
senza lesinare, fa parte di quel curioso atteggiamento con cui Pel di Carota
desidera che gli altri si accorgano di quanto egli sia pi bravo e pi
economo, nonch privo di golosit. Ma gli altri, di fronte a queste sue
stranezze, lo giudicano un bambino che vuol essere bizzarro ad ogni costo e
non fanno caso a queste sue ostentazioni, che classificano come un difetto, e
non certo come una virt.
Il pane, con burro e marmellata, morbido sotto i denti, mentre il pane solo asciutto e s'ingroppa in bocca, e non vuole andar gi se non lo si
annaffia con bicchieri d'acqua e Pel di Carota, a volte, pur di finirla con quel
pezzo di pane che si scelto con troppa crosta, si ingozza di bocconi cos
grossi che lo costringono a masticare con tali smorfie e contorcimenti delle
mascelle che, specialmente la madre, guardandolo sbalordita, non pu fare a
meno di gridargli:
Non sai neppure mangiare come un cristiano, alla tua et! E un peccato
mortale mangiare il pane come fai tu! Offendi la grazia del buon Dio, con
quel modo di azzannare il pane come un lupo famelico!
S, la mamma ha ragione. Oggi manger con garbo la sua bella fetta di pane, burro e marmellata, come fanno Felice ed Ernestina, e al solo pensare
alla merenda si sente lo stomaco vuoto come un pozzo senza fondo.
Ma la porta di casa chiusa. Felice, irritato, inutilmente scuote la
maniglia e tira calci. La casa silenziosa.
Dove sono andati?
Non lo so.
Ma quando torneranno?
Non lo so.
Non sai mai niente, tu. Origli a tutte le porte e non sai mai niente. Pel
di Carota sbadiglia. Tutte le pietre del cortile, sotto al sole, gli sembrano
enormi fette di pane luccicanti di burro fuso.
Felice ad un tratto dichiara:
Io non voglio morir di fame. Voglio mangiare e subito, magari solo
erba, come una capra.
Erba? Ottima idea! Io ci sto esclama Pel di Carota che non avverte,
nella proposta del fratello, lo scherzo che intende fargli.
Erba, sicuro, erba. Si mangia l'insalata, no? Campano gli asini e le
mucche, senza pane e senza carne? Perch non possiamo mangiare erba
anche noi?
Bene dichiara Pel di Carota andiamo, l'erba medica tenera
come l'insalata ed buona anche senza olio e aceto.
Vuoi scommettere propone Felice che io di erba medica ne
mangio e che tu non sei capace di mangiarne?
Perch tu s e io no?
Scherzi a parte insiste Felice scommetti?
Ma perch non domandiamo ai vicini una fetta di pane, prima che
torni la mamma?
Ah! Ti tiri indietro, non vuoi scommettere, non vuoi mangiare come
me l'erba medica?
Andiamo.
Pel di Carota s'avvia verso il prato di erba medica che sfoggia sotto ai loro
occhi un verde tenero e appetitoso. Entrano nel verde pi folto, divertendosi
a trascinare i piedi ed a schiacciare gli steli molli, tracciando sentieri al loro
passaggio.
Si fermano in mezzo al campo e si lascian cadere bocconi in quella profumata frescura.
Come si sta bene! dichiara Felice lasciandosi solleticare la faccia
dalle foglioline e disponendosi a nuotare in quell'erba come in uno stagno.
Pel di Carota imita il fratello e, con movimenti regolari delle braccia e
delle gambe, sincronizzati come nel nuoto, procede in quel verde groviglio
d'erba fresca, lieto di vedere, dietro di lui, un solco di steli piegati al suolo
che, dopo il suo passaggio, non si rialzano pi.
Si diverte a pensare alla faccia che far il massaro, il giorno dopo, scoprendo quell'interminabile incrocio di sentieri entro la compattezza del prato,
chiedendosi che bestia di razza sconosciuta sia passata attraverso l'erba
medica per lasciar solchi cos profondi.
Guarda dice Pel di Carota al fratello guarda come filo!
Mi nasconde completamente, tanto alta quest'erba! grida Felice,
una volta tanto con voce cordiale, divertito da quella ginnastica nuova e
dalle sensazioni di frescura e di abbandono che si sono impadronite di lui.
Appoggiati sui gomiti seguono con gli occhi le gallerie leggere scavate
dalle talpe che serpeggiano a fior di terra con diramazioni che si dipartono
dalla galleria principale, come fanno le venature di una foglia e, di tanto in
tanto, quasi a contatto del terreno, entro quel verde folto, occhieggiano
fiorellini mai visti, di un tenero colore rosso viola e campanule bianche e
azzurre, tanto piccole e tremule che pare quasi impossibile possano rimaner
ritte sullo stelo tanto sottile.
In tutto quell'uniforme e compatto mareggiare di erba medica, i ragazzi
scoprono qua e l piccole zone, completamente pelate, percorse da una barba
di filamenti rossi allacciati fra loro.
la cuscuta roditrice, la pianta parassita della buona erba medica, una peste vegetale che divora le radici e le soffoca sul nascere. In quegli spazi
rotondeggianti le talpe hanno scavato curiosi gruppetti di tane, come piccole
tazze rovesciate, unite le une alle altre s da sembrare minuscoli villaggi
indiani.
Ogni scoperta genera nei due ragazzi motivi di commento e di osservazione che li rende loquaci; le domande e le risposte si intrecciano senza
quell'acredine che normalmente spunta fuori quando i due fratelli si parlano.
Ad un tratto, Felice, che avverte quella cordialit verbale, cos rara, quasi
Ti senti male?
No, no.
Come al solito, hai voluto strafare. Ne hai mangiata troppa ed ora
stenti a digerirla. Io, vedi, che ho mangiato come una persona normale, non
ne risento affatto. Sto benone. Ti prometto che non dir a nessuno che hai
fatto una scorpacciata di erba medica. Non voglio che ti giudichino pi
goloso di quel che sei.
Vanno verso casa e Pel di Carota sente un tale rimescolio dentro di s che
fatica persino a camminare.
Piano piano la nausea si affievolisce e dallo stomaco salgono ondate di
un'acqua amara che, senza farsi vedere dal fratello che cammina avanti a lui,
getta fuori ad ogni rigurgito.
In tavola gi pronto per la cena.
L'odore del cibo fumante d a Pel di Carota un turbamento che disgusto
per tutto ci su cui si posano i suoi occhi.
Ma si siede a tavola imperterrito e quando la madre gli si avvicina per
mettergli nel piatto la sua cena, fa un gesto con la mano per rifiutare.
Siamo alle solite! Questo non ti va, quest'altro non ti piace, nessuno
pi schizzinoso di te. Guarda Felice ed Ernestina, essi sono sempre contenti
di tutto. Tu, che cosa vuoi? Lingue di pappagallo? Figlio mio, se non ti piace
la cena, questo quel che passa il convento. Andrai a letto a pancia vuota.
Anche il padre ha brontolato qualcosa al suo indirizzo e Pel di Carota si
guarda attorno: tutti mangiano di buon appetito, anche Felice, che non
risente affatto della scorpacciata di erba medica. Solo a lui quel pasto
stravagante ha fatto male. Decisamente non robusto come il fratello.
Inutile voler competere con Felice, ogni volta accade la stessa cosa. Chi
perde nel confronto sempre lui.
***
Da un po' di tempo le cose in famiglia vanno abbastanza bene. Le notti
trascorrono tranquille, all'asciutto, quel maledetto bisogno non insorge pi a
tormentare Pel di Carota che, dopo la indigestione dell'erba medica, ormai
dimenticata, ha ripreso quota e gioca e sfaccenda per casa, sempre pronto
a,ubbidire a qualsiasi richiesta della mamma.
Anzi, Pel di Carota si stupisce che, da un po' di tempo, nessuno si interessi
di lui, n in bene n in male, e chiss perch gli viene in mente che bisogna,
di tanto in tanto, fare qualche cosa di clamoroso per attirare l'attenzione
degli altri sulla sua insgniifcante personcina.
Un giorno, a tavola, senza motivo, dichiara:
Ma tutti son convinti che beva di nascosto e lo lasciano fare quel che
vuole senza minimamente preoccuparsi.
Poi viene il momento delle scommesse:
Star una settimana senza che si scopra a bere afferma Ernestina
vuoi scommettere?
Io credo che non resister pi di tre giorni: vedrai, fino a domenica...
Dove vuoi che vada a levarsi la sete? Al fiume?
Pel di Carota che ha sentito i loro discorsi giura di non aver mai bevuto di
nascosto e afferma con importanza, furbescamente:
Io non berr mai pi. Guardate i conigli, i porcellini d'India, bevono
forse? Eppure vivono bene, perch non dovrei vivere altrettanto bene io?
Giusto, tu e un porcellino d'India fate un paio ...
Ma Pel di Carota si intestardito a far vedere cosa vale: intenzionato a
tener duro, oltre il massimo limite della resistenza.
La signora Lepic continua ad ignorare il suo bicchiere, quando apparecchia, e Pel di Carota si guarda bene dal reclamarlo.
Accetta, con animo indifferente, le frecciate ironiche e le rare parole di
ammirazione per quella sua inutile bravata di cui comincia a sentire un certo
fastidio: la pelle secca, la gola arsa, lo stomaco dolente.
Ma lui si aspettava un'altra reazione alla sua trovata. Lui voleva vedere la
madre e il padre preoccupati, ansiosi, voleva che lo portassero dal dottore,
che si dessero da fare per toglierlo da quella sua cocciuta decisione.
Di tanto in tanto li sente dire:
matto o beve di nascosto.
Egli si limita a mostrar loro la lingua perch si accertino che umida e rosea e, alla fine, quel minimo di interesse dimostrato per questa sua nuova
esibizione cade nel nulla.
Intanto Pel di Carota, nel suo intimo, ha constatato che non c' nulla di
impossibile a questo mondo. Si era preparato ad una dolorosa privazione,
con quella sua straordinaria trovata, e si accorge che ne avverte solo qualche
lieve incomodo.
Cos il suo spettacolare progetto si riduce a un miserevole fallimento. Che
lui beva o non beva non interessa nessuno. L'acqua l, nel secchio,
freschissima, e pu averne fin che ne vuole. Nessuno lo priva di due dita di
buon vino a fine pranzo. Se non lo vuole, padronissimo, se ha sete berr e
metter la parola fine alla gradassata che non gli ha portato n gloria n il
tanto sospirato interesse da parte di chi gli vive attorno.
In casa Lepic non usano perdersi in congetture su quel che i figli pensano
o non pensano. Mamma Lepic e pap Lepic han ben altro da fare! I figli non
mancano di nulla: che vuole dunque quel mezzo soldo di cacio di Pel di
bandella frangiata d'oro. Una trombetta vera, non una di quelle di latta che si
usano a carnevale.
Pel di Carota non ha mai posseduto nulla di cos bello e sta per allungare
le manine quando la mamma riprende il suo discorso:
Ora l'hai guardata abbastanza e ricordati che non la vedrai pi. Ed ora
fila, va' in cucina e soffia sul fuoco, perch si ravvivi, con lo stesso fiato che
avresti sprecato per la trombetta.
Che fare? Piangere di stizza non conterebbe nulla, n conterebbe insistere
per far s che la mamma retroceda dalla sua decisione. Meglio mostrarsi
uomini capaci di sopportare le avversit della vita; con questi pensieri
profondi Pel di Carota lascia gli altri attorno al baule ad attendere il dono a
loro destinato e se ne va in cucina, sospirando e scrollando le spalle
cosicch, come sempre, tutti lo giudicheranno indifferente e scontroso, senza
che nulla lo scuota da quella sua inguaribile apatia.
La trombetta riposer in alto, nell'armadio della biancheria, dove la mamma si affrettata a riporla, avvolta nelle sue nappine rosse e nella bandierina
con la frangia d'oro e non far mai udire, una sola volta, la sua voce.
Rester confinata sull'alta pila delle lenzuola che odorano di bucato chiss
per quanto tempo, inaccessibile, muta come la tromba del giudizio
universale.
***
Dentro di s Pel di Carota se ne rammaricava e se ne doleva pi di quanto
lasciasse intendere ma, per una sorta di orgoglio mal coltivato, per un pudore
dei propri sentimenti, inutile ed errato, quando sarebbe stato tanto facile
essere se stesso, senza inibizioni, senza controlli, senza disciplina, quel
guscio tutto spine che formava il suo carattere lo chiudeva in una corazza di
cinica indifferenza e gli negava quella comprensione e quello slancio di
simpatia cui segretamente aspirava.
Se qualcuno l'avesse preso in disparte, ogni volta che si verificavano queste incresciose circostanze, e gli avesse spiegato dove era il male e dove
stava il bene avrebbe dovuto sorgere in lui, come da una polla d'acqua viva,
una certezza d'intuito limpido e sano, senza storture e senza pregiudizi e
avrebbe imparato quale giusta strada occorre percorrere perch la vita sia
meno avara con le sue creature.
Avrebbe potuto ascoltare la voce della saggezza e della logica e avrebbe
cominciato a veder le cose dal punto di vista della realt e a non soffrire pi,
d'una sofferenza sempre pi acuta, per quel groviglio in cui si dibatteva.
Ma nessuno si prendeva la briga di aprirgli gli occhi e lui pensava di non
essere amato: e sbagliava di grosso.
Perch lo amavano, forse a modo loro, un po' ruvidamente, ma lo amavano ed egli non voleva vederlo, non voleva scoprire quella piccola fonte di
gioia, che con il suo modo di fare, anzich essere una sorgente di letizia,
diveniva una pozzanghera torbida come la riduceva il fango e la polvere che
egli lasciava accumulare su tutte le cose migliori, per quel gusto malato di
sentirsi incompreso, burlato, estraneo alla vita degli altri.
* **
La domenica, per esempio, era sempre una giornata particolare. La signora Lepic pretendeva che i suoi figli andassero alla messa in perfetto ordine.
Ernestina era incaricata di farli belli e presiedeva, fin dal mattino, alla loro
toeletta rischiando di far tardi a prepararsi essa stessa.
Sceglieva le cravatte, ispezionava le unghie e le limava quando erano
spezzate e rosicchiate, distribuiva i libri di preghiere, i fazzoletti candidi, i
guanti ma, soprattutto, amava impomatarli a dovere con una brillantina
quella vista. Come Dio volle l'ora della siesta rinfranc gli spiriti e il signor
Lepic, destatosi di buon umore, alle quattro del pomeriggio, dal suo ventilato
giaciglio posto sotto ai noccioli, si sent propenso ad accompagnare i figli al
fiume per un buon bagno.
Pel di Carota corse a prendere le mutandine: le sue nere mutandine di lana
ruvida e scolorita e quelle a righe rosse e azzurre di Felice e, tenendole sulla
spalla, fu il primo ad avviarsi, fischiettando, lungo il viottolo che conduceva
all'ansa del fiume in cui erano soliti fare il bagno.
allegro, Pel di Carota, decisamente allegro, tanto allegro che salta e corre ed invita il fratello a conversare:
Credi che sar calda, l'acqua?
Non lo so.
Faremo una bella nuotata, no?
Non ne ho voglia.
Ma la settimana scorsa mi avevi promesso ...
Taci e smettila di cianciare: mi dai ai nervi. E Pel di Carota,
mortificato, tace.
Ha scavalcato per primo il muretto che lo separa dalla riva del fiume, con
un salto agile e ben misurato, ed ora, sulla riva scoscesa, guarda gi, verso
l'acqua che scorre dolcemente di un bel colore verde-azzurro che invita ad
immergersi nella sua frescura. Ma di colpo, l'allegria di Pel di Carota sfuma
insieme ai riflessi dell'acqua perch ora, dopo aver fatto tanto il gradasso,
giunto il momento di tuffarsi e di restare a galla, per il tempo regolamentare
che scandir l'orologio di pap Lepic, sempre molto scrupoloso in quei che
riguarda ogni esercizio fisico a scopo igienico.
Felice si gi spogliato: ecco, si tuffa e gi s' impadronito del fiume in
cui diguazza, in lungo e in largo, con bracciate precise, in un turbinio di
schiuma argentea attorno a cui si formano leggere onde concentriche.
Pel di Carota comincia a spogliarsi, in disparte, al riparo di un cespuglio,
per nascondere non tanto la sua magrezza quanto quel tremore che lo ha
preso alle gambe al pensiero di immergersi in quell'acqua che ora gli incute
spavento, come un nemico sconosciuto che tenda un agguato.
Si toglie i panni ad uno ad uno, indugia a piegarli diligentemente, li depone sull'erba, uno sull'altro, come in un cassetto del canterano, allaccia le
stringhe delle scarpe, infila le mutandine con ancora indosso la camicia
appiccicata alla pelle per un sudorino che gli fa sentire d'essere come una
caramella avvolta in una carta attaccaticcia e aspetta, aspetta: che cosa
aspetta?
Pel di Carota chiama il signor Lepic tanto ti ci vuole a
spogliarti?
Ha percorso a piedi nudi il piccolo tratto che lo separa dal fiume e, seduto
per terra, immerge l'alluce e s'attarda a provare la temperatura dell'acqua. Poi
si friziona lo stomaco e sente la pelle nuda raggrinzirsi sotto le sue dita, forse
la sua digestione non ancora ultimata e ha sentito dire che, bagnarsi in
quelle condizioni, significa andar verso la morte.
Malgrado giudichi la sua vita grama, Pel di Carota non ha voglia di
morire in un cos splendido giorno caldo e luminoso e facendo appello a
tutto il suo coraggio si lascia scivolare, aggrappandosi alle radici che
sporgono dal terreno e che lo graffiano lungo i polpacci.
Quando meno se ne accorge, l'acqua gli arriva al ventre ed in procinto di
scappare perch quell'acqua, attorno al suo corpicino tiepido, fredda e gli
pare uno spago bagnato che lo avvolga come una trottola e s'aspetta, da un
momento all'altro, di frullare, trascinato dalla corrente, proprio come una
trottola impazzita.
La zolla su cui si appoggiano i suoi piedi cede, improvvisamente. Pel di
Carota precipita sul fondo, annaspa, si raddrizza, beve, tossisce, sputa, torna
a tossire semisoffocato, accecato, stordito.
in quell'attimo che suo padre lo scorge ed esclama:
Bravo, Pel di Carota, tuffati a pi riprese, non c' nulla di pi salutare!
Ma a Pel di Carota ronzano le orecchie e la testa par che gli scoppi. Cerca
qua e l dove potere, con un minimo di rischio, fingere di nuotare ma
quasi non ricorda pi la sincronia dei movimenti che lo terranno a galla e,
come un ranocchio, muove le braccia con le ginocchia puntate sulla sabbia
del fondo e il fondo della schiena galleggia a fior d'acqua come un cocomero
messo al fresco.
Felice intanto, al largo, si esibisce in virate veramente perfette e, per
fortuna, gli sguardi di pap Lepic, assai compiaciuti, sono fissi sul figlio
maggiore e Pel di Carota non soggetto ad ironiche constatazioni sulla sua
goffaggine.
Ma quando gli capita di guardare nella pozza in cui Pel di Carota continua
a girare su se stesso come una foglia morta, pap Lepic non pu fare a meno
di consigliare:
Alza la testa, figlio mio, e muoviti adagio, con le palme aperte e non
con i pugni chiusi. E muovi le gambe in armonia con il tuo respiro, ti
affaticherai meno ...
Pel di Carota vorrebbe ribattere che nuotare senza muovere le gambe pi
difficile che in qualunque altro modo, ma il padre si gi allontanato e
osserva Felice venire verso riva a lunghe bracciate armoniose.
Attento, Pel di Carota, esclama Felice con dieci bracciate ti
deformati, del suo ciuffo rosso calato sulla fronte come una benda sudicia,
del suo corpicino legnoso, della sua pelle pallida e accapponata, della sua
comica bruttezza.
ONORINA
A Pel di Carota piaceva, nei pomeriggi di sole, restarsene a oziare all'ombra, nel retro della cucina, seduto sul gradino ad ascoltare il chiacchierio di
sua madre e di Onorina sempre in faccende.
Quel giorno, Onorina era particolarmente verbosa e la signora Lepic ne
approfittava per farle dire ci che, forse, la vecchia serva non aveva voglia di
confessare.
Quanti anni avete, Onorina!
Ne avr sessantasette a Ognissanti, signora.
Siete vecchia, ormai.
Ma gli anni non mi pesano, ancora. Fin che si pu lavorare gli anni
non contano. Io non sono mai stata malata e credo che un cavallo abbia
meno resistenza di me, alla fatica.
Penso che morirete d'un colpo, Onorina. Una sera, tornando dal fiume,
con la gerla dei panni del bucato, la sentirete improvvisamente pi pesante
del solito, vi accorgerete che la carriola sar pi dura da spingere e vi
inginocchierete fra le stanghe, con il naso sulla biancheria bagnata e
resterete l... dimentica di tutto ...
Che buffa immagine, signora Lepic! Mi fa ridere, non mi mette paura,
le gambe e le braccia sono ancora buone e se Dio vorr chiamarmi, mi
chiami pur cos, come avete detto voi, sar un bel modo di andarsene da
questo mondo...
State diventando curva.
Perch a star curva la schiena non duole, specialmente quando son
china davanti al lavatoio ...
Anche la vista vi molto diminuita. un po' che me ne sono accorta.
Ma no, signora mia! Ci vedo ancora bene come quando andai sposa!
Come mai, se ci vedete ancora tanto bene, queste stoviglie sono cos
appannate?
l'armadio che umido.
L'armadio ha forse le dita? Guardate, qui ci sono le impronte chiarissime
delle vostre larghe dita ...
Ma io non vedo niente, signora.
Ecco: non vedete perch la vista non pi buona come dovrebbe. E
quello che vi sto dicendo, Onorina. Cercate di capirmi. Non dico che siate
che accanto al nostro focolare ci sar sempre un piatto di minestra per voi.
Oh! grazie, signora Lepic, grazie...
Questa lunga conversazione, Pel di Carota se l'era goduta parola per parola, come se fosse stato seduto in un palco a teatro.
Egli aveva molta simpatia per la vecchia Onorina, la sola che, nei suoi riguardi, avesse qualche parola buona e qualche carezza fatta di nascosto, e al
pensiero che potesse andarsene, si sentiva triste, anche perch la vecchiaia e
i mendicanti erano due cose che riuscivano sempre a intenerirlo.
Ma, nella sua testina, un altro pensiero si faceva strada.
Era giusto che la sua mamma, che sfacchinava giorno e notte senza mai
un po' di riposo, continuasse, per piet della povera vecchia Onorina, a veder
raddoppiato il suo lavoro?
Se Onorina non era pi in grado di essere veramente di aiuto, perch non
si rassegnava a vedere per casa una servetta giovane e svelta?
A Pel di Carota, chi sa perch, l'idea di una servetta giovane e allegra, in
quella casa sempre tanto silenziosa e severa, metteva un pizzico di
buonumore.
Poich non vero che il destino cammina da solo, ma bisogna aiutarlo e
indirizzarlo nel verso giusto, Pel di Carota cominci ad arzigogolare come e
quando avrebbe potuto, a quel destino che doveva portare in casa l'allegria di
una servetta canterina e spensierata, dare una spinta in direzione favorevole
ai suoi desideri.
Oltre ai suoi desideri se ne sarebbe avvantaggiata Onorina, con un valido
aiuto e, soprattutto, ne avrebbe goduto la mamma che poteva, finalmente,
dedicarsi alla lettura, al ricamo, alle funzioni religiose, a tutte le cose
insomma che quel gran da fare in casa non le permetteva mai.
L'ultima frase di quel lungo colloquio gli girava nella testa come fa un
motivo musicale che non si riesce a far tacere n a dimenticare.
Onorina aveva detto: il giorno che m'accorger di non essere capace
nemmeno di aggiungere acqua al paiolo sul fuoco senza rovesciarne una
goccia.... Questo ritornello era il motivo predominante che Pel di Carota
sentiva ronzare in testa ogni volta che vedeva Onorina, piegata in due sotto il
peso del secchio colmo fino all'orlo, rovesciarlo con una mano nel paiolo,
appeso alla catena del focolare, senza che neppure una goccia d'acqua
sfrigolasse sulle braci.
Pel di Carota, al momento buono, sapr uscir dall'ombra e con giudizio
prender in mano il timone degli eventi.
Sa che deve agire con cautela, senza incoraggiamenti, senza speranza di
ricompensa. La ricompensa maggiore l'avr nel suo cuoricino quando vedr
aggiuster gli strappi dei tuoi pantaloni? Chi laver i tuoi fazzoletti sporchi
di grasso di ruote perch nessuno se ne accorga e ti castighi?
Come difficile non lasciarsi vincere dalla commozione, come penoso
aver commesso un misfatto e non poterlo in alcun modo cancellare dalla memoria!
Pel di Carota sta per piangere ma non vuole, non vuole perch convinto
di aver agito a fin di bene. Onorina vecchia, non ci vede, si affatica pi del
bisogno, il suo respiro si fa sempre pi affannoso, anche adesso, a sentirsela
cos vicina, avverte quel curioso fischiare in sordina, che esce dalla sua
bocca come esce l'aria dal mantice del maniscalco.
E se Pel di Carota, all'improvviso, chiamasse la mamma e le dicesse:
Mamma, sono stato io!
Che cosa accadrebbe? Forse Onorina riacquisterebbe la vista e le forze
perdute? E la mamma, si rassegnerebbe a tenere quella vecchia serva ormai
incapace di esserle di aiuto? No, la mamma ha bisogno di chi la sollevi dal
peso della casa e Onorina deve capire che giunto il momento di far fagotto.
E queste riflessioni agiscono su Pel di Carota come una assoluzione e,
quasi quasi, mendica un sorriso di approvazione dalla stessa Onorina che
comincia a calmarsi e a guardare al suo domani con un po' di fiducia
nell'aiuto del buon Dio.
Gli scrupoli di Pel di Carota si sono dispersi, come si disperso il fumo
che ha invaso la cucina.
Nessun rimorso, nessun pentimento s'affacciano pi alla sua mente, anzi,
si sente mondo e puro, come uno strumento di giustizia. Ha dato un colpo di
timone al destino: ecco tutto.
Il destino: bisogna pur che qualcuno lo indirizzi sulla giusta strada, altrimenti che cosa non combinerebbe il destino, quell'imponderabile destino che
mette sempre il naso nelle faccende altrui e spesso si diverte a cambiare il
corso degli eventi?
AGATA
A prendere il posto di Onorina fu chiamata una sua giovane nipote: Agata.
Pel di Carota, osservando con curiosit la nuova venuta, capiva che
l'attenzione di tutta la famiglia si riversava su quella piccola zoticona, il che,
per lo meno per qualche giorno, distoglieva da lui la consueta dose di
rimproveri e di castighi che, senza risparmio, piovevano quotidianamente
sulle sue spalle.
Agata non sa far nulla e pare anche poco propensa ad imparare, malgrado
la pazienza con cui la signora Lepic le tiene gli occhi addosso e la guida con
ma, per non perdere la sua fama di brava signora caritatevole, tentava di
accoglierlo con una cortesia che lasciava troppo spesso trapelare la sua
irritazione nel trovarselo fra i piedi.
Pel di Carota queste sensazioni le avvertiva come se avesse antenne per
captarle, come certi insetti che sentono arrivare il pericolo prima ancora di
averlo vicino.
Tissier bussava all'uscio discretamente, con la punta del suo bastone, e bastavano quei leggeri toc, toc, toc, distanziati a rendere nervosa la signora
Lepic che non si tratteneva da dire:
Buon Dio! Eccolo di nuovo, ma che cosa vuole?
Vuole i suoi dieci soldi precisava pap Lepic sollevando il capo dal
giornale il suo giorno. Fallo entrare.
Era sempre Pel di Carota che, servizievole, si precipitava alla porta, ma il
cieco era titubante a varcare la soglia e il vecchio e il ragazzo restavano uno
di fronte all'altro senza parlare fino a quando la signora Lepic, irosa per il
freddo che entrava nella cucina ben riparata, non scostava Pel di Carota e,
afferrato per un braccio il cieco con mala grazia, lo traeva oltre la porta per
poterla chiudere con un tonfo sgradevole.
Buongiorno a tutti! diceva allora il cieco venendo avanti preceduto
dal bastone che si spostava a balzi sul pavimento. Buongiorno a tutti!
Invariabilmente, nessuno gli rispondeva. Non era per scortesia, ma perch
in casa Lepic le cerimonie non erano in uso, specialmente quando, come in
questo caso, non fruttavano nulla.
Sempre con i suoi passettini incerti il cieco attraversava la cucina in direzione del camino, il cui calore lo investiva, fino a quando non incontrava la
sedia, sempre la stessa sedia, a destra degli alari.
Pel di Carota alcune volte aveva avuto un cattivo pensiero: togliere quella
sedia per vedere che cosa avrebbe fatto il cieco. Ma non poteva mai mandare
a buon fine quel suo progetto perch era troppo evidente che rappresentava
una intenzione malvagia e poich in famiglia erano troppo convinti che lui
fosse malvagio e senza cuore, non poteva, no, non poteva dare una prova
cos palese di questa sua riprovevole tendenza.
E non era malvagit che lo consigliava ma soltanto curiosit, la curiosit
di vedere come si sarebbe comportato il cieco, che attraversava la cucina
come se ci vedesse quando, non trovando la solita sedia, al solito posto,
avrebbe dovuto cercarne un'altra per potersi sedere e bere in pace quel
bicchiere di vino che, ogni volta, centellinava con un piacere che modificava
i tratti del suo volto.
Pel di Carota guardava il cieco appoggiare il bastone accanto a s, tendere
la destra per ricevere la moneta che vi lasciava cadere il signor Lepic, subito
assorbito nuovamente dal suo giornale, senza neppur rispondere alle parole
di ringraziamento del poveretto che, prima di intascare la moneta, la
accarezzava sempre a lungo, con i polpastrelli sopra l'effige, per accertarsi
che fosse veramente una moneta da dieci soldi.
Ora la mano del vecchio tesa per ricevere il bicchiere del vino.
Ogni cosa si svolge automaticamente, nel pi assoluto silenzio e Pel di
Carota, accoccolato in un angolo, ad un tratto scorge fluire, dagli zoccoli del
cieco, un rivoletto d'acqua fangosa. E la neve che si scioglie e imbratta il
pavimento che mamma Lepic tanto fiera di saper mantenere lustro come il
pavimento di un salotto.
Attorno ai piedi del cieco si formata una pozza: Pel di Carota, con un fuscello, fa diramare da quella pozza mille piccoli rivoletti che corrono per la
cucina ubbidienti alla direzione che Pel di Carota impone, mediante sapienti
ritocchi, alla riserva rappresentata dalla pozza centrale, che s'allarga sempre
pi.
Mamma Lepic, seduta dall'altra parte e intenta al suo lavoro di cucito, non
avverte quella profanazione del suo nitido pavimento; tuttavia, gi seccata
di sopportare la presenza del vecchio a fianco del camino, fermo come una
cariatide e senza l'evidente intenzione di andarsene, tanto sta caldo e
confortato dal vino che va deglutendo con un rumore fastidioso, a piccoli
sorsi, sempre pi piccoli, per far durare pi a lungo il contenuto del
bicchiere.
Tissier, ora che avete avuto i vostri soldi, vi siete riscaldato e riposato,
non credete sia meglio andarvene per il vostro giro? Ormai cala la sera...
Signora mia, per me sera anche il mattino: il buio non mi sgomenta
mai. E questo vino mi corre per le ossa come un balsamo ...
Il signor Lepic volta il giornale e Tissier, a quel fruscio, si anima tutto:
Che notizie, signor Lepic, che notizie?
Le solite, vecchio mio: politica, sporca politica.
Tissier un fanatico raccoglitore di quel che sente dire nei suoi lunghi giri
quotidiani. Sa tutto di tutti e le opinioni degli altri le fa sue e se le cucina
secondo la sua povera testa svanita e confonde quel che c' di buono con i
soprusi, ma ama parlarne e far sfoggio di sapienza.
Mi ascolti, signor Lepic, le racconto l'ultima sudiceria...
Lepic non lo ascolta neppure ma Tissier parla e parla, si sgela e si stira,
come se anche il suo sangue si liquefacesse come la neve dei suoi zoccoli.
Pare che trasudi dalle membra, dai vestiti una specie di liquido oleoso che
gli schiarisce il viso e non gli fa pi quella pelle arsa che d alle sue mani
l'aspetto di vecchi pezzi di legno.
La pozza, attorno ai suoi piedi, si ingrandita e Pel di Carota ha continua-
non si consumi per quella sua faccia che non vuol mai sembrar pulita, forse a
causa delle tante lentiggini che, d'inverno, sono di colore meno intenso che
non d'estate, ma, tuttavia, non scompaiono mai.
Finge di lavarsi la faccia: quell'acqua gelida, in verit, dovrebbe mettere
addosso un calore pi sano di quello che emana il camino, cos dicono, ma a
Pel di Carota l'esperimento non riesce mai.
Vispo e fresco, entra in casa e si mette dietro il fratello maggiore:
Ernestina apre la fila, come si conviene alla cerimonia degli auguri, ed la
prima a pronunciare il suo discorsino:
Buongiorno pap, buongiorno mamma, vi auguro un felice anno,
buona salute e il paradiso alla fine dei vostri giorni!
Il signor Lepic e la signora Lepic, in abito di gala, son ritti al centro della
cucina, non come chi sta aspettando, ma come chi si trova l per puro caso, e
accolgono gli auguri e gli abbracci con deferenza, come sovrani che si
degnano di accettare gli omaggi del loro popolo.
Anche Felice ha preparato il suo discorso, ma lo pronuncia in fretta, senza
enfasi, come un uomo che non si lascia intenerire da queste formalit:
Vi auguro buon anno di tutto cuore, prosperit e benessere per tutti, salute e raccolti soddisfacenti.
E tende la mano, lui, non una femminuccia che distribuisce abbracci e
baci e questo suo atteggiamento, dignitoso e virile, lascia assai compiaciuti i
genitori.
Ora tocca a Pel di Carota. Lui sa che la commozione non gli
consentirebbe di spiccicare una parola e preferisce scriverle le sue parole di
augurio. Ha gi la lettera pronta, nascosta nel berretto, che s' tolto appena
entrato in cucina e che sta rigirando fra le mani, senza trovar il coraggio di
estrarre la busta.
una busta grande, con l'indirizzo tracciato in bella calligrafia, senza
sgorbi e senza macchie: ai miei genitori spicca su tutto quel candore.
In un angolo un uccello raro, dalle piume dai colori sgargianti, con un
brillo d'oro e d'argento, pare spiccare un volo verso i destinatari della
lettera.
Forse a Pel di Carota la mano trema un po' nel porgere la sua missiva alla
signora Lepic che la prende e l'apre con cura.
Dentro c' un foglio di carta con un alto orlo di pizzo e fiori variamente
colorati, in pieno sboccio, anch'essi spruzzati d'oro e d'argento.
La penna, a causa di quel pizzo in rilievo, s' impuntata, qua e l, ma in
complesso la lettera scritta davvero in modo diligente.
E a me, Pel di Carota, niente? chiede il padre.
per tutti e due; balbetta il ragazzo c' scritto sulla busta: ai miei
genitori...
Questo significa che vuoi pi bene alla mamma che a me. Prova un po'
a guardare se nelle tasche c' posto per questa bella moneta da mezzo franco;
ma anche se c' posto, rester vacante, imparerai cos a riconoscere chi il
padrone di casa...
Ma pap, aspetta ... la mamma quando avr letto la lettera te la passer
perch anche tu...
La mamma ha finito di leggere e commenta:
C' stile, ma scrivi cos male che la met delle parole non si legge.
Ecco, pap, dice premuroso Pel di Carota leggi tu, ora...
E ritto, in mezzo alla cucina, piccolo e minuto, guarda verso il signor
Lepic che ha inforcato gli occhiali. Aspetta una parola, una sola e segue
attentamente la faccia del padre per leggervi che cosa prova, ma il signor
Lepic, riponendo gli occhiali nel taschino e mettendo la lettera sul tavolo,
dice:
Ah, ah! e si allontana.
Ora la lettera l sul tavolo, non serve pi: di tutti e di nessuno. Felice
ed Ernestina la prendono, la leggono, cercano errori d'ortografia ma non
trovano nulla e si limitano a dire:
Potevi adoperare un pennino nuovo: non si vedono i chiaroscuri e la
tua calligrafia veramente infantile e senza personalit.
Pel di Carota riprende la sua lettera, se la rigira fra le mani e par quasi
chiedere:
C' nessuno che la vuole conservare?
Poi, filosofo come sempre, la rimette nella busta e l'adagia sul fondo del
suo berretto pensando che forse, ad Agata, quell'uccello dalle penne cos
splendide e quella carta tutta ornata di pizzo far grande impressione. Agata
non sa leggere e quel che c' scritto non conta nulla.
Dopo la colazione, una colazione assai pi ricca di quella che viene
consumata ogni mattina, con cioccolata bollente, focacce, burro e
marmellata, il momento della distribuzione dei doni.
Per Ernestina c' una bambola, una bambola grande come una bambina,
tutta vestita di seta, con gale al fondo della veste e sul cappello, posato su
tanti riccioli biondi che sembrano capelli veri. Ha un visino roseo e felice e
due grandi occhi azzurri che si muovono e guardano di qua e di l quando
Ernestina muove la bambola. Le manca davvero soltanto la parola.
Ernestina l'accoglie fra le braccia con gridi di felicit. Sembra che si tratti
della prima bambola che riceve da quando nata e per essa dimentica tutte
quelle altre bambole, altrettanto belle, che giacciono neglette, allineate sul
cassettone, in camera sua.
Fra pochi giorni, pensa Pel di Carota, anche quella meraviglia se ne star
lass, con le altre, a lasciarsi divorare dalla polvere. Per Felice c' una
scatola di soldatini di piombo, pronti a combattere a piedi o a cavallo. Non
mancano salmerie, cannoni, aggeggi per costruire fortezze e baluardi.
Felice guarda con uno strano viso tutta quella paccottiglia che troppo
lontana dai suoi desideri e dalle sue speranze. Forse si aspettava un orologio,
un portafoglio, qualche cosa, insomma, di pi adatto alla sua et: chi gioca
pi con i soldatini, ormai? Ma quella scatola, che farebbe tanto felice Pel di
Carota, avr la sua tomba, come la bambola di Ernestina, in un cassetto
profondo e nessuno la vedr mai pi.
Pel di Carota aspetta: sa che qualcosa ci sar anche per lui e trepida e sospira per l'ansia.
mamma Lepic che lo toglie dalle pene dichiarando:
Per te, Pel di Carota, c' una bella sorpresa.
Davvero, mamma: me l'aspettavo!
Allora se te l'aspettavi non pi una sorpresa, inutile farti vedere di
che si tratta.
Ma, mamma, dicevo cos, per dire: Dio mi castighi se lo so! Alza la
mano, per giurare che non sa nulla di nulla.
Allora la signora Lepic apre la credenza e vi fruga a lungo.
Pel di Carota sembra che abbia un attacco di asma, tanto il suo fiato gli
esce rumorosamente dalla boccuccia aperta.
Finalmente, lenta e misteriosa, la signora Lepic, da un gran cartoccio, toglie una pipa di zucchero, una grossa pipa rossa e lucida che riposa in una
scatola di cartone giallo.
Pel di Carota raggiante. Una pipa, una pipa di zucchero! Far morire di
invidia i suoi fratelli! La toglie con delicatezza dalla scatola e si avvicina il
cannello alla bocca. dolce ma non la sfiora neppure con la lingua, per
paura che si liquefaccia e perda la sua forma perfetta. La tiene tra due dita,
impettito, piega la testa a sinistra, fa la bocca tonda, finge di aspirare con
forza e poi, guardando il soffitto, emette una inesistente nuvola di fumo ed
esclama:
una buona pipa, tira bene.
E se ne va con aria di importanza mentre i genitori e i fratelli lo guardano,
con un misto di compassione e di ironia, girare attorno alla tavola con la sua
pipa rossa accostata alle labbra che, di tanto in tanto, emettono sbuffi di
fumo.
Dolce serenit delle vacanze di fine d'anno! Come basta poco per essere
felici! A volte le piccole cose sono le pi gradite.
Ernestina e Felice con i loro doni si sono appartati nelle loro stanze, dopo
padrone, a coda bassa, si alza in punta di piedi per attenuare l'erogazione del
gas e lasciare una fiammella tremolante entro il tubo di vetro, sempre sporco
di fuliggine, il momento in cui, come una esplosione, da ogni letto volano
coperte e cuscini e il chiacchiero, le corse fra letto e letto diventano
frenetiche.
Raramente l'ispezione si ripete.
Pare quasi che il Direttore e il personale del collegio sappiano quel che
accade nelle camerate, tanto impossibile che quel bruso, quei tonfi, quelle
corse a piedi nudi non destino nessun allarme. Forse fa parte del programma
pedagogico lasciare che i ragazzi si scatenino, per circa un'ora ogni sera, pur
sotto il timore d'essere scoperti e castigati. Se non esistesse tale timore, il
bruso diverrebbe assordante, senza ritegno e si sarebbe costretti a reprimere
e a castigare.
Ma fino a che si tratta di concedere quell'ora di vacanza straordinaria,
contenuta e prudente, si pu chiudere un occhio.
Direttore, professori e assistenti hanno certo il ricordo di quel che accadeva nelle camerate dei loro collegi e, in forza di quel piacevole ricordo,
mostrano una certa tolleranza e fingono di non sentire e di non sapere.
La camerata di Pel di Carota mista di piccoli e grandi. I piccoli fan lega
tra loro, ma i grandi, spesso, vogliono farla da padroni e i piccoli si
ribellano.
Soprattutto Marseau, uno dei grandi, fa il prepotente: vuole le cose a modo suo e distribuisce scappellotti piuttosto pesanti.
E il capo camerata, Marseau, e dovrebbe dare il buon esempio, invece il
pi indisciplinato di tutti.
Fuma, racconta storielle audaci, gioca a carte, s'azzuffa per un nonnulla ed
ha, di tanto in tanto, improvvise simpatie per l'uno o per l'altro; sdegnando
gli amici precedentemente beneficati dalla sua autorit, pretende che il
preferito sia trattato con tutti i riguardi ed sempre pronto a baruffare ed a
menar pugni senza ragione.
Per un periodo prese Pel di Carota sotto la sua protezione, poi, chiss perch, lo abbandon come un paio di vecchie ciabatte per dedicarsi ad un altro
ragazzo e farne il suo protetto.
Pel di Carota non ha digerito questa ingiustificata ripulsa. Bisognoso d'affetto, s'era legato a Marseau con profonda amicizia e si sentiva protetto
come nessuno lo aveva mai protetto prima di allora. Sapersi ora scaduto
dalla considerazione di Marseau una faccenda che lo accora.
Marseau un ragazzo robusto, audace, di parola facile, sa mettere a tacere
chiunque gli dia fastidio, bravo a scuola, bravo in palestra, legge libri
difficili e li sa raccontare molto bene, la matematica il suo forte e un
Pel di Carota, a vedersi fissato cos, si disorienta. Vorrebbe ancora parlare, ma la sua gola secca e le mani, a stento, riescono a recuperare il
berretto, che tiene ancora stretto fra le gambe. Si curva, come in un inchino,
poi, piano piano, camminando a ritroso, con mille precauzioni per non urtare
nei mobili, raggiunge la porta ed esce chiudendola adagio, con una lentezza
esasperante.
Nel corridoio silenzioso e vuoto tenta una capriola, batte malamente la testa e, stordito, si commuove su se stesso e dichiara:
Nessuno, nessuno mi vuol bene!
* **
Otto giorni da trascorrere nello stanzino sono una punizione veramente
grave per un paio di mani non perfettamente pulite. Pel di Carota si aggira in
quel breve spazio come una povera bestiolina in gabbia, il freddo lo morde,
la stizza lo scuote come una febbre maligna, le ore non passano mai e
quando ode, nel cortile, le grida dei compagni durante la breve ora di
ricreazione, s'arrampica fino a raggiungere i vetri della finestrella, su cui
l'inferriata segna una croce. La sua testa rossa e arruffata, il suo faccino
pallido punteggiato di lentiggini e sudicio di lacrime vorrebbe sorridere ai
compagni, ma quel sorriso sembra una smorfia. Nessuno guarda lass,
nessuno gli fa un cenno amichevole, nessuno gli grida una parola di
conforto, nessuno si cura di lui.
Vita di collegio! Punizioni ingiuste, lezioni senza fine, dispetti,
pettegolezzi, pugni dati e ricevuti negli angoli bui, meschinit e prepotenze,
istinti crudeli che affiorano, timore di mostrarsi cortese per non essere
giudicato sciocco o, quel che peggio, falso e traditore.
Le regole, sempre le regole; regole per dormire, per mangiare, per studiare, per pregare, regole ad ogni passo, vecchie regole di cui trasudano le
pareti, i banchi, il pavimento e, forse, anche il cielo, lass.
*
capo chino assorto nei suoi consueti pensieri poco allegri, si sent dire:
Guarda! C' tuo padre, Pel di Carota.
Era vero. Piaceva, al signor Lepic, fare una sorpresa ai suoi ragazzi, di
tanto in tanto.
Era l, suo padre, piantato sul marciapiede, dall'altra parte della strada, le
mani dietro la schiena, la sigaretta in bocca, a scrutare, uno per uno, ogni
viso della lunga fila.
Felice e Pel di Carota, quasi correndo, escono dai ranghi e gli si precipitano incontro per salutarlo e fargli' festa. Pel di Carota, che sempre si
emoziona a questi incontri inaspettati, tenta di darsi un tono disinvolto ed
esclama:
Parola, pap! A tutti pensavo fuor che a te.
Tu pensi a me solo quando mi vedi.
Pel di Carota vorrebbe ribattere con qualche frase affettuosa, ma non trova
nulla, talmente rammaricato di aver detto quelle parole cos poco opportune cui il padre non ha risparmiato una osservazione che lo mortifica.
Felice lo abbraccia e Pel di Carota si dispone a fare altrettanto, ma a causa
della sua statura, pur alzandosi sulle punte dei piedi, riesce soltanto a
sfiorargli la barba con le labbra. Il padre, quasi meccanicamente, solleva la
testa, come se volesse sottrarsi a quel bacio, poi, istintivamente, s'abbassa e
Pel di Carota, che mirava alla gota del padre, sbaglia la direzione e si ritrova
sotto le labbra il naso paterno, si scansa e bacia il vuoto: non insiste, turbato
com', si fa piccolo e guarda in terra cercando di spiegarsi il perch di quella
fredda accoglienza e finisce per pensare: pap non mi vuol bene come ne
vuole a Felice.
Non vero. Il padre ama entrambi nello stesso modo, ma quel figlio sempre cos sventato, incapace di accoglierlo con l'entusiasmo che si aspettava,
lo innervosisce e fa s che se lo senta come estraneo, senza un briciolo di
tenerezza spontanea. E, nell'uno e nell'altro, si formano pensieri che
congelano ogni slancio, ma nessuno dei due fa uno sforzo per avvicinarsi
all'altro.
Succede sempre cos.
L'uno si propone di saltargli al collo e di soffocarlo di carezze, l'altro desidera stringersi al petto quel figlioletto tanto refrattario ad ogni dimostrazione
d'affetto ma, quando si trovano vicini, si rinnova quella improvvisa
freddezza che agisce in pieno contrasto con il reciproco sentimento.
Ora, come sempre, si passa agli interrogatori scolastici.
Prima tocca a Felice che, ad ogni domanda, ha una risposta pronta e
soddisfacente, mentre Pel di Carota gi trema al pensiero di quando toccher
a lui.
dimentico, ecco. E non pensavo, pap che fosse la penna a farti paura...
E, confortato, Pel di Carota ride come se avesse scoperto un tesoro: finalmente sa perch suo padre ha spostato il capo quando voleva baciarlo...
Ah! ridi, ridi pure, piccolo demonio! Ridi al pensiero di aver rischiato
di accecarmi col tuo pennino, eh?
Pel di Carota non ride pi e mentre suo padre si allontana e Felice lo
saluta con la mano, egli non ha neppur la forza di sollevare il braccio.
Poi, di corsa, insegue Felice che l'ha lasciato solo sull'orlo del marciapiede
e raggiunge la fila dei ragazzi, che si snoda gi verso le mura del collegio,
con gli occhi appannati di lacrime.
LE VACANZE
I signorini e la signorina Lepic tornano per le vacanze.
Mamma e pap Lepic, con gli abili migliori, sono in attesa della diligenza
che riporta, nella loro casa tanto silenziosa, i figlioli lontani.
Pel di Carota li ha gi visti e si chiede se il caso di saltar dalla vettura e
correre loro incontro, ma poich Felice ed Ernestina mostrano pi dignit,
egli esita e, quando il veicolo si ferma, Pel di Carota l'ultimo a scendere.
Felice ed Ernestina lo hanno sorpassato e stanno dividendosi abbracci e
carezze mentre a lui tocca attendere che il vetturino abbia scaricato le loro
sacche da viaggio.
Quando Pel di Carota giunge presso i genitori e dice:
Oh, mamma, oh, paparino!
Come? rimbecca la signora Lepic. Alla tua et dici ancora
paparino? Babbo, devi dire al signor Lepic, non paparino. Ma che cosa
impari, buon Dio, se non sai neppure stringergli la mano?
Dignitosamente lo bacia in fronte, spingendolo verso il padre che gli
tende una mano.
Chiss perch, a lui toccano sempre queste spiacevoli cose. Ha il dono, lo
riconosce, di creare situazioni assurde in cui, chi ci rimette, sempre lui.
Filosoficamente inghiotte l'amaro che ha in gola e s'avvia verso casa, trascinando la sacca pi pesante, quella di Ernestina. Ma contento di essere in
vacanza, contentone!
Quante, quante cose far in quei lunghissimi benedetti giorni! La scuola
comincer soltanto il 2 ottobre e la partenza allora sar ben triste,
Pel di Carota rammenta come fu triste, piena di confusione, di addii, di lacrime, la precedente partenza.
Gli par di udire ancora i sonagli della diligenza e rivede la signora Lepic
buttarsi sui figliuoli, stringerli in una bracciata sola, mentre lui, Pel di
grigiastra, come fanno le lucertole che escono dalla pelle con i colori pi
vividi e i movimenti pi rapidi. bello tornare a casa. Specialmente i primi
giorni, tutto fila nel modo migliore.
II cibo di casa squisito, le lenzuola fresche, l'aria inebriante come un
liquore, gli abili leggeri non danno alcun impaccio e la vita bella,
immensamente bella!
Pel di Carola gusta tutte queste cose a piccole dosi, come un dolce che si
teme di veder finire nel piatto.
Pap Lepic e mamma Lepic sono di buon umore. Anche se le pagelle di
tutti e tre non sono di piena soddisfazione, quel che conta sono le
annotazioni di pugno del Direttore.
Il signor Lepic rilegge spesso quelle annotazioni e ripete quel che riguarda
Felice: Sventato, ma intelligente: riuscir e finge di borbottare ma, in
fondo, quel riuscir lo riempie di soddisfazione.
Nella pagella di Pel di Carota detto: si distingue, quando vuole, ma non
sempre, vuole e l'idea che quello scricciolo di figliolo si distingua anche
se si distingue solo quando vuole una cosa che diverte la famglia.
E guardano colui che si distingue e s'accorgono che cresciuto ma s'
imbruttito. Forse dipende dai capelli. Quella massa di capelli, stopposa e
rossastra, lunga ed incolta. Bisogna sfoltirla, educarla e il signor Lepic vi
affonda la mano, con un gesto affettuoso che ha, per Pel di Carota, un
significato di estrema importanza.
Ma nel maneggiare quell'intrico il signor Lepic si accorge che in quella
selva c' una fauna che crepita sotto le sue unghie e ritrae la mano con
ribrezzo.
Pidocchi!
La signora Lepic costernata.
Dovevo immaginarmelo! esclama inorridita. Ernestina, presto,
corri a prendere una catinella. Qui, figlia mia, c' un ingrato lavoro per te.
Ernestina arriva munita di una catinella, un pettine fitto, una boccetta di
aceto e la caccia ha inizio.
Pettina me, prima grida Felice con voce isterica me li avr
attaccati, vedrai!
Si gratta furiosamente e chiede a gran voce l'acqua per annegare quella
ipotetica famiglia che alberga sul suo capo, ma Ernestina lo ammonisce:
Sta fermo, ora vedremo.
Gli ha messo un asciugamano intorno al collo e lo tiene a testa bassa, sul
pelo dell'acqua e abile e paziente fruga qua e l quasi dispiaciuta di non
trovare nulla.
Scosta i capelli, maneggia il pettine a fondo, mentre Felice muove le gam-
***
Anche lo stallina non consente l'isolamento: meglio andare a pescare. Si
pi distanti dalla casa ed pi facile essere lasciati in pace, soprattutto se
si indispensabili come Pel di Carota a cui, a differenza di Felice o di
Ernestina, ci sono sempre mille incombenze da affidare.
Pel di Carota ha sentito dire che per pescare i gamberi non c' niente di
meglio che la carne del gatto.
Non le trippe di pollo, non gli scarti di macelleria, ai gamberi piace la carne di gatto e abboccano con una sollecitudine mai vista con nessun'altra
esca.
Pel di Carota conosce un gatto, un gatto di nessuno, vecchio, malato, spelacchiato.
Ne va in cerca e lo invita nel suo stallino.
Ha rubato in cucina una tazza di latte e la offre al gatto con la cortesia di
un ospite premuroso.
Potrebbe anche accadere che un topolino schizzasse fuori da qualche parte, per integrare quel pasto, ma, per il momento, offre al gatto una tazza di
latte in cui ha mescolato anche qualche cucchiaino di zucchero.
Ha posato la tazza in un canto e, accarezzato il gatto, lo spinge verso la
tazza, lo blandisce con paroline tenere, lo vezzeggia e osserva, felice, i rari
colpetti di lingua che, un po' diffidente, il gatto d alla bianca superficie del
latte.
Rinfrancato da quel buon sapore di latte, il gatto non perde tempo. Pel di
Carota si intenerisce e dice:
Poveraccio, goditelo fino in fondo! E il gatto gli d retta: e come!
Vuota la tazza fino in fondo, ne lecca gli orli, l'asciuga a colpi di lingua,
poi si lecca il muso.
Tu ne vorresti un'altra tazza eh? Ma non ho potuto avere che questa.
Con tentati... tanto pi che...
Ma come pu mandare ad effetto il suo piano? Come pu puntare la carabina verso quella testa che lo guarda con tanta fiducia?
Pel di Carota non un novellino. La sua carabina ha gi ammazzato
uccelli selvatici e sa come si fa. Ma a quegli uccelli non ha offerto una tazza
di latte n stato a guardarli sorbirlo beatamente, come quella povera
bestiolina di nessuno e con la fame arretrata.
I gamberi possono fare a meno della sua carne.
Meglio dormire, sognare un po'.
E sogna di passeggiare lungo un ruscello nel quale traspaiono, come attra-
Paiol, il pastore, ogni mattina conta due o tre agnelli in pi, poich
quello il periodo delle nascite.
Paiol trova goffi e sperduti gli agnellini appena nati; accanto alla madre,
tremanti sulle gambe che non li reggono ancora, sembrano scolpiti nel legno.
Pel di Carota li guarda e, specialmente i pi piccini, non osa neppure
accarezzarli.
Loro, sono pi arditi: gli leccano le scarpe, gli posano le zampe anteriori
addosso e hanno un fuscello d'erba fra le labbra, come se volessero
offrirglielo. Quelli pi adulti, che hanno una settimana di vita, corrono a zigzag, instancabili, mentre quelli che contano un solo giorno hanno gli
occhietti semichiusi e se tentano di alzarsi ricadono sulle gambe davanti e
restano l, come se fossero in ginocchio.
Pel di Carota, che un osservatore per istinto, vede tutto questo e non sa
dare un nome ai sentimenti che tutto ci suscita in lui.
Un agnellino, nato allora allora, si trascina verso la madre, ma essa lo respinge a colpi di testa.
Che pessima madre nota Pel di Carota.
Succede fra le bestie, come fra gli uomini spiega Paiol.
Forse quella pecora non gli vuol bene, vorrebbe darlo a balia...
Accade anche questo. A pi d'uno bisogna dare il poppatoio, un
poppatoio quasi come quello che si usa per i bambini. Si compera in
farmacia. Ma questa operazione dura soltanto pochi giorni, perch la madre
s'intenerisce e finisce per volere il suo piccolo allattato da s e non dal
poppatoio.
Paiol sa tante cose sulla vita, sui capricci, sulle abitudini delle pecore e
spiega a Pel di Carota:
Per domarle, si prendono per le spalle e si isolano in una gabbia con
legata attorno al collo una cravatta di paglia per riconoscere la pecora nel
caso che fuggisse.
E poi? chiede Pel di Carota.
Piano piano diventa ragionevole e l'agnellino, che l'ha seguita, le sta
vicino tutto fremente, poi si alza sulle deboli gambe, si lamenta, cerca di
poppare e, finalmente, la pecora ribelle ritrova sentimenti materni e dopo
tutto Fila in perfetto ordine.
Ma non si potrebbe aggiunge Pel di Carota dare un agnellino a
un'altra madre, se sua madre non lo vuole allattare?
Lo rifiuterebbe afferma Paiol che sa tutto sulle pecore, ma non
vuole, evidentemente, scendere nei dettagli.
Intanto, dai quattro angoli della stalla, i belati delle madri si incrociano
con quelli pi deboli degli agnellini.
Per le orecchie di Pel di Carota sono belati senza sfumature, ma per le pecore e gli agnelli hanno risonanze inconfondibili ed ogni agnellino si
precipita verso la madre, senza errore.
Qui torna a confermare Paiol nessuna madre ruba un agnello a
un'altra madre.
E l'istinto della famiglia spiega Pel di Carota sembra incredibile
in questi batuffoli di lana. Eppure ... Come si spiega? Forse con l'odorato e la
finezza del loro naso ...
Paragona profondamente gli uomini alle pecore e vorrebbe conoscere che
sentimenti provano le madri per i figli e i figli per le madri.
Ma queste sono cose che non pu chiedere a Paiol.
Ormai tutti gli agnellini poppano avidamente. Le madri mangiano pacifiche, indifferenti.
Fuori dall'ovile, Pel di Carota attratto dall'abbeveratoio in cui vede sul
fondo frammenti di catene, cerchi di ruote, un badile consunto e
accartocciato.
E proprio pulito il vostro truogolo, Paiol dice con aria ironica
con tutta questa ferraglia arricchite il sangue delle vostre pecore!
Dici proprio giusto, Pel di Carota risponde Paiol. Tu, forse non
prendi le pillole ricostituenti?
Offre a Pel di Carota di assaggiare quell'acqua ferruginosa e salutare e,
per meglio confermare il suo principio, getta nell'abbeveratoio altri pezzi di
ferro che trova in giro.
Pel di Carola rifiuta, cortesemente.
Paiol vorrebbe fargli un regalo, ma non ha nulla da dargli. Ad un tratto gli
chiede, come ispirato:
Vuoi una zecca, Pel di Carota?
Una zecca? Volentieri! e Pel di Carota ringrazia in anticipo senza
sapere che cos' una zecca.
Paiol fruga nella folta lana di una pecora madre e prende, con le dita, un
insetto giallo, tondo, polposo, grasso e ben pasciuto.
Intanto Paiol spiega che ne basterebbero solo due, di quelle zecche, per divorare come una prugna la testa di un bambino.
Mette l'insetto nel cavo della mano di Pel di Carota, che lo guarda con un
certo disgusto e non sa se deve ridere o esserne nauseato.
Un cattivo pensiero lo investe. Che cosa accadrebbe se mettesse quell'animaletto nel collo o nei capelli di Felice o di Ernest ina?
Intanto, nel palmo della sua mano l'insetto sta lavorando e gi attacca la
pelle. Pel di Carota sente pizzichi lievi alle dita, come se vi cadessero dei
ghiaccioli, pizzichi che salgono verso il polso, poi, su. su, fin verso il
Dormi, paperino?
No, padrino.
Hai voglia di alzarti?
Perch no? Fuori gi chiaro.
Alziamoci, allora. Andremo a lombrichi.
Buona idea: mi piace cercar lombrichi.
In un battibaleno sono vestiti e pronti per uscire.
Fuori c' una luce soffusa, tra il giorno e la notte. Il padrino accende la
lanterna, ma nel giardino la lanterna pare spenta, tanto la luce che diffonde
smorta in quell'incerto biancore che spegne il buio a poco a poco.
Pel di Carota porta la lanterna, ii padrino una scatola di latta per met piena di terra umida.
la scatola in cui si conservano le riserve di lombrichi per la pesca. Li copre di muschio umido, e non mai sprovvisto di quelle esche tanto ghiotte
per i pesci.
Specialmente dopo una giornata di pioggia, la raccolta dei lombrichi
sempre molto abbondante.
Bada a non calpestarli dice il padrino a Pel di Carota cammina
adagio e guardati attorno. Se non temessi di raffreddarmi, camminerei con i
soli calzerotti perch i lombrichi hanno l'udito fine e, al minimo rumore, si
rintanano nei buchi pi profondi.
Come si fa, allora, per catturarli?
Bisogna che siano lontani dalla loro casa. Allora facile agguantarli,
con un colpo sicuro, e stringerli poco perch non sguscino via.
E se si spezzano?
Allora non valgono nulla. Muoiono e fan marcire gli altri che sono
nella scatola e i pesci disdegnano l'esca che non fresca e sana.
Ma io ho visto dei pescatori pescare con pezzetti di lombrichi e non
con lombrichi interi.
Sbagliavano. Non si pescano grossi pesci altro che con vermi vivi, che
si divincolano nell'acqua.
Forse il pesce crede che il lombrico scappi e lo insegue...
Bravo, paperino! proprio cosi. Il pesce, quando li vede vivi, li
rincorre e li divora, senza alcun sospetto.
Ma a me scappano i lombrichi: non riesco ad atterrarli.
Ha le mani impiastricciate della loro bava e un senso di nausea in fondo
allo stomaco.
Non fare quella faccia schifata. Il verme non sporco. la cosa pi
pulita di questo mondo. Non mangia che terra. Se lo schiacci non ributta che
terra. Io sento che ne mangerei...
***
L'ospitalit del padrino potrebbe durare anche l'intero periodo delle vacanze, ma sempre solo una breve parentesi che si chiude entro pochi
giorni.
A casa Lepic si crucciano, quando Pel di Carota resta troppo a lungo presso quel vecchio solitario ed eccentrico. Tollerano la simpatia che dimostra al
ragazzo, forse in funzione di una ipotetica eredit, visto che al mondo non ha
pi nessuno e la sua vigna una delle pi belle della zona, ma temono, per
contro, che quel bizzarro vecchio influenzi il ragazzo con le sue stravaganze,
tanto pi che Pel di Carota, in quanto a stravaganze, ne ha gi una dose che
non ha bisogno di rinforzi.
Ma a Pel di Carota, malgrado quel che si pensa del padrino a casa sua, il
soggiorno presso di lui va molto a genio.
Trova che molto confidenziale sentirsi chiamare paperino o anatroccolo
e si sente a suo agio, sia quando il padrino gli rivolge la parola come ad un
adulto, sia quando si sente oggetto di piccoli scherzi benevoli, di innocui
sotterfugi o di ingenue marachelle, che il padrino architetta sempre con
l'intenzione di far s che lui non si lasci prendere dalla noia e non si accorga
di aver per compagno un vecchio carico di anni e di acciacchi.
Paperino, mi ringiovanisci! dichiara il padrino quando scorrazzano
instancabili sulle rive del fiume in cerca di acque pescose.
Infatti, accanto al ragazzo, il suo passo si fa pi svelto, la sua risata pi
sonora e quel silenzio che egli osserva per l'intero anno, quando Pel di
Carota con lui si scioglie in una parlantina vivace, con immagini
pittoresche ed episodi divertenti.
Il padrino sa tutto, di tutti. Le sue storie non finiscono mai: c' la nota triste, la nota allegra; il comico e il macabro a volte vanno a braccetto e, alla
fine, c' sempre la morale, che come un sigillo impacchetta tutta la storia e la
riduce alle proporzioni della realt.
Pel di Carota accanto al padrino si sente importante, si sente qualcuno. Se
parla ascoltato, se chiede ha risposta, se tace si sente chiedere perch non
ha nulla da dire, se mangia con buon appetito il vecchio si rallegra, se ha
poca fame qualcuno si preoccupa, e le giornate volano in un clima di
reciproca allegria.
A volte, a Pel di Carota pare che il padrino con le domande pi semplici si
adoperi per frugare nella sua corazza quasi a cercare una crepa, una crepa
che nessuno vede, ma che il padrino sente che c' e nella quale vorrebbe
poter trovare il mezzo di scalfire, senza procurare dolore, ma per far s che
esca quella goccia di veleno che egli ha capito che vi si annida sotto.
Non aver paura, conosco la mamma; se la far con me. tu non c'entri
ed io non tremo, vedi!
Fra le lacrime, Matilde ha risposto:
Si, ma la tua mamma lo dir alla mia mamma e la mia mamma mi picchi era!
Ti corregger. Non bisogna dire mi ha picchiato, ma mi ha corretto:
come per t compiti delle vacanze. Ti corregge spesso la tua mamma?
Qualche volta. Dipende da quel che ho fatto...
lo invece sono corretto molto spesso perch molto spesso, almeno secondo il parere dei grandi, sbaglio.
Ma io non ho sbagliato...
Appunto, e non piangere, sciocchina!
La signora Lepic li, accanto a loro. Ha rallentato la sua andatura, man
mano che si avvicina, mentre Ernestina, per paura che le tocchi un colpo di
rimbalzo, si tenuta pi distante, come sull'orlo di un cerchio entro cui
vedr concludersi l'azione punitiva.
Pel di Carota s' piantato davanti a Matilde che adesso singhiozza fra i resti delle sue vitalbe selvatiche. La bacchetta s'alza pronta a fischiare e Pel di
Carota sta a braccia incrociate, come un martire votato al supplizio.
pallido, ha ritirato la nuca fra le spalle, s' rimpicciolito, e la bacchetta
giunge sui polpacci nudi che scottano ma non si sposta e fra una bacchettata
e l'altra, sospira:
Non ci si pu nemmeno divertire!
* **
Il giorno dopo Pel di Carota incontra Matilde piuttosto imbronciata, la
quale lo investe:
La tua mamma ha fatto la spia alla mia e mi sono buscata un bel
ceffone. E tu?
Oh, io non mi ricordo pi di nulla: guarda, non ci sono nemmeno i
segni sulle mie gambe. Ma tu non meritavi d'essere corretta, che cosa avevi
poi fatto?
E tu, allora?
Tutta colpa di Felice e di Ernestina. Loro si divertono e noi ci
rimettiamo. Sai che dicevo sul serio quando ti dicevo che quando sei grande
ti sposo?
Beh, anch'io mi sposerei con te.
Io ti potrei anche di sprezzare, perch tu sei povera e io sono ricco, ma
non aver paura, ti stimo.
del tuo s, anche se non giuri. La parola per aprire la cassaforte lustucr.
Ora lasciati baciare.
Matilde si tira indietro e poi ride a lungo, soddisfatta.
Lustucr, lustucr, ma che parola ? canterella Matilde girando in
tondo.
Tuttavia ritiene di aver appreso un segreto, data l'aria di mistero con cui
Pel di Carota ha pronunciato quella curiosa parola, e prova gusto a ripeterla:
Lustucr, lustucr. Ma davvero, non ti sei pigliato gioco di me, come
al solito?
Poi, quando vede Pel di Carota avvicinarsi deciso senza rispondere,
scappa e ride, ripetendo lustucr con voce stridula tino a che non
scomparsa.
Ad un tratto, dal finestrino della scuderia, un servitore mette fuori la testa,
sghignazza e mostra i denti e al veder Pel di Carota sconcertato dalla sua
inattesa apparizione lo avverte:
T'ho visto e ho sentito tutto. La volevi baciare, eh! Ma lo dir alla tua
mamma: cominci presto a insidiare le ragazzine, tu!
Ma, Pietro, non hai capito che era un gioco? Lustucr un nome
falso, l'ho inventato io; non so nemmeno come fatta la cassaforte di mio
padre...
Stai tranquillo, del tuo lustucr non me ne importa niente. Non
quello che dir a tua madre, ma il resto...
Che resto?
S, il resto, il resto! T'ho visto, prova un po' a dire che non t'ho visto
che volevi baciare la piccola Matilde? Stasera, quando lo sapranno a casa
tua, ti tireranno gli orecchi fino a farteli diventare pi grandi di quel che non
sono gi.
Sei maligno: t'ho detto che giocavamo. Non giocavi, tu, quando avevi
la mia et?
L'uomo ride con un riso di gola, che pare un nitrito, e Pel di Carota non sa
che cosa replicare: sente che in quel riso c' qualche cosa che lui non afferra
ma che cattivo e torbido e si fa tanto rosso che il colore dei suoi capelli
sembra spegnersi. Si allontana, con le mani in tasca, tirando su dal naso per
non piangere mentre si chiede:
Ma perch, poi, i grandi vedono del male dappertutto? Lentamente si
avvia verso casa e si mette a giocare da solo, nel mezzo del cortile.
Sa che sua madre, quando lo pu vedere dalla finestra, soddisfatta e in
attesa che quel malvagio vada a riportare chi sa quali cose, resta l perch,
tenendolo d'occhio e vedendolo tranquillo, la madre non creda alle parole di
nessuno.
ripetuto non sorte lo stesso esito con tanta frequenza, il che costringe Pel di
Carota a considerare che la fortuna e il caso si stancano facilmente di
assistere qualcuno e. piano piano, dirada i segnali propiziatori e si convince
che anche le superstizioni sono storie e non hanno alcun significato positivo.
Hai visto che colpo? domanda orgoglioso il signor Lepic
soppesando una lepre ancora calda. Che c' da ridere?
merito mio, se l'hai ammazzata!
Davvero? E perch mai?
Perch mi sono toccato l'orlo del berretto.
Ah, capisco! Il tuo berretto fatato: basta che tu lo tocchi che le lepri,
come ad un richiamo, escono dalla tana: cos?
Non voglio pretendere di non sbagliarmi mai, ma spesso...
Fammi il santo piacere di non contar bubbole. Se ti sta a cuore la tua
reputazione di ragazzo di spirito, non sballarle mai cosi grosse specialmente
ad orecchi estranei. A meno che tu non intenda burlarti di me...
Giuro di no, pap. Credimi. Hai ragione, sono uno sciocco e scusa se
dico sciocchezze.
La caccia continua.
Pel di Carota, pi stanco, ora che si sente anche stupido per quel che ha
detto a suo padre, cerca di seguirne i passi con rinnovato zelo, anche se le
gambe gli fanno male.
Tenta di camminare al pari del padre, ponendo i piedi dove li pone lui, ma
la lunghezza dei passi paterni proporzionata alle sue gambette lo stanca di
pi.
Di tanto in tanto si riposa: coglie una mora, una pera selvatica, qualche
prugnola che allega i denti e sbianca le labbra ma ha il potere di calmare la
sete che, lungo il cammino, si fatta prepotente.
La sete gli fa ricordare che, nella tasca del carniere, c' una borraccia di
acquavite. Ne beve un sorso, poi un altro sorso e, sorso dopo sorso, quasi la
vuota da solo.
Il signor Lepic, inebriato dalla caccia, non pensa certo alla borraccia dell'acquavite e Pel di Carota, preso da rimorso per quelle bevute, forse anche
un pochino ebbro, glielo ricorda:
Vuoi un sorso di acquavite, pap? Il vento gli porta il brontolio
negativo.
Pel di Carota tracanna il sorso che suo padre ha rifiutato e poco dopo la
borraccia vuota e la testa gli gira. Fatica a tener dietro alle orme paterne,
tanto pi che si accorge di far doppia strada perch cammina a zig-zag e non
riesce a tenere la direzione giusta.
Ma l'aria fresca e quel camminare senza sosta lo aiutano a smaltire i fumi
imbottito come quelle bamboline di cenci che i poveri fanno alle loro piccine
e gli occhi, asciutti, gli si riempiono di lacrime.
La signora Lepic si china su lui e lui fa il solito gesto di ripararsi la testa
con il gomito ma lei, generosa, lo abbraccia davanti a tutti.
Pel di Carota non si raccapezza e piange come una fontana. Inutilmente
gli dicono di smetterla, che tutto finito, che lui perdonato; i singhiozzi di
Pel di Carota raddoppiano.
Che stupido ragazzo! esclama la signora Lepic ai vicini. Se
qualcuno lo sente penser che lo sgozzano!
Intanto esibisce l'amo e tutti lo esaminano con curiosit. Uno dice che
del numero otto e dell'acciaio pi duro che si trovi in commercio.
Mamma Lepic ha riacquistato la sua parlantina e si compiace di essere al
centro della curiosit altrui.
Li per li, lo avrei strozzato. Se non gli volessi tanto bene a questo
figlio sempre distratto e disordinato, chi sa che cosa gli avrei fatto. Mi
sentivo tirare in cielo, da quell'amo!
Ernestina propone di andarlo a sotterrare in giardino, in un buco profondo,
ma Felice interviene:
Ma no! Dallo a me. Lo terr io per pescare! Un amo intinto nel sangue
della mamma mi porter fortuna. Vedrete che pesca! I pesci accorreranno
grossi come una delle mie gambe!
E, intanto, scuote Pel di Carota, il quale, sempre oltremodo stupito di aver
evitato il castigo, esagera il suo pentimento, spreme dalla gola gemiti rauchi
mentre la sua faccia bruttina, faccia da schiaffi, come sempre gli dicono, si
lava di lacrime: ma anche le lacrime non fanno scomparire le efelidi.
UNA MONETA D'ARGENTO
Hai perduto niente, Pel di Carota?
No, mamma.
Come fai a dire di no se non ti frughi nemmeno in tasca?
Pel di carota rovescia le tasche perfettamente vuote e le scuote dalle
briciole e dai minuzzoli che si celano sul fondo lasciandole pendere, ai due
lati dei calzoni, come due orecchie d'asino.
Ah, s, mamma, dammelo!
Che cosa debbo darti, se non hai perduto niente?
Quello che hai trovato.
Ma tu sai quello che ho trovato?
No.
Allora perch dici dammelo?
eh? Bel senso del risparmio che hai tu! Non pensi al dispiacere che ne avr il
tuo padrino, che ti vizia e ti coccola, quando sapr che tu perdi quel che ti
regala e non ne fai nessun conto?
Facciamo conto che io l'abbia spesa, come mi pareva e piaceva.
Dovevo tenerla d'occhio tutta la vita?
Anche lo spiritoso, fai! Pagliaccio! Non la dovevi n perdere n
sprecare, senza chiedere permesso. Non l'hai pi, peggio per te. Ne ho
abbastanza delle tue bugie e ne terr conto. Adesso fila, prima che perda la
pazienza...
S, mamma...
E non fare l'originale, con me. Non dire s mamma mentre in cuor
tuo chi sa che cosa pensi. E ti proibisco di andartene canticchiando e
fischiettando, come fai sempre, dopo aver scrollato le spalle, quando si cerca
di inculcare in quella tua zucca balzana buoni principi. Non attaccano con
me i tuoi modi spavaldi da carrettiere spensierato...
Pel di Carota se ne va a passeggiare in giardino.
Quella faccenda del ritrovamento di qualche cosa che sua e che la mamma non ha voluto svelargli, lo indispettisce e lo amareggia.
Tira calci ai sassi del vialetto, ma si vede osservato dalla madre, oltre i vetri e, allora si china, finge di cercare fra l'acetosella o nella sabbia fine.
Quando vede che la mamma scomparsa, smette di cercare e continua a
camminare con il naso in aria.
Evidentemente ha perso una moneta. Ma quando? E che moneta era? E
perch l'ha perduta?
Possibile che non rammenti un fatto cos importante: una moneta, una bella moneta d'argento, lui che non ne ha quasi mai, come pu averla perduta?
E proprio sua madre l'ha ritrovata. Ma dove, ma quando?
A volte c' gente distratta che non cerca nulla e invece trova magari
monete d'oro. Lui tanto distratto che non ricorda di aver posseduto una
moneta d'argento e non ricorda nemmeno di averla perduta. Se lui
camminasse per terra fino a consumarsi i ginocchi non troverebbe nemmeno
uno spillo.
Stanco di girellare e di cercare non sa neppure lui che cosa, Pel di Carota
torna a casa.
Tenter di portare nuovamente sua madre sul discorso della cosa misteriosa perduta e ritrovata e chiss che non sia tanto fortunato da comprendere di
che cosa si tratta.
Ma la signora Lepic non in casa.
Pel di Carota la chiama:
Mamma! Mamma!
Pel di Carota esamina le due monete e la madre fa altrettanto, sempre seria e imbronciata.
Che strano! afferma Pel di Carota che non si sente pi tanto sicuro
di aver escogitato il trucco adatto ed insiste:
lo l'ho trovata in quel pezzo di prato, ai piedi del pero. Ci sar passato
sopra venti volte, senza vederla. Luccicava, credevo che fosse un pezzo di
carta, una violetta bianca. Quasi non mi fermavo a guardare meglio. Quando
l'ho vista bene, quasi non osavo prenderla. Mi sar caduta di tasca un giorno
che mi rotolavo sull'erba, facendo il matto. Vieni mamma, vieni nel prato a
vedere dove si nascondeva quella sorniona di moneta! C' ancora il segno
nella terra fresca. Pu ben dire di avermi fatto ammattire!
Questa io l'ho trovata nella tasca dell'altra tua giacca. Nonostante i
miei consigli dimentichi sempre di vuotare le tasche quando ti cambi giacca.
Ho voluto darti una lezione d'ordine, di economia, di buon senso per
insegnarti il valore del danaro, che non si lascia mai in giro per le tasche.
T'ho lasciato cercare perch tu impari a tue spese. Ma bisogna credere che
chi cerca trova. Infatti tu hai trovato una moneta ed ora ne possiedi due. Sci
ricco. T' andata bene: ma ti avverto, il danaro non fa felice nessuno.
Allora posso andare a giocare, mamma?
Certo e divertili. Prendi le tue due monete ora e conservale in un posto
adatto.
Oh! Mamma, una mi basta. Anzi ti prego, mettila via finch non ne
avr bisogno.
Niente affatto. Tieniti !e tue due monete e riponile. Sono tue, no?
Una te l'ha data il padrino, l'altra l'hai trovata sotto il pero e, a meno che il
proprietario non si faccia avanti, anche quella tua. Chi l'avr mai perduta?
Mi sto lambiccando il cervello. Chiss di chi . Tu, che cosa ne dici?
Ma, mamma, non saprei.
Prova a pensarci.
Ci penser domani.
Che sia del giardiniere?
Vuoi che glielo vada a domandare?
Un momento: riflettiamo. Non si pu sospettare tuo padre di essere
cosi sbadato da perdere una moneta senza accorgersene e senza dirlo. Tua
sorella i suoi soldi li custodisce nel salvadanaio, Tuo fratello non fa a tempo
a perderlo il danaro, che gli si scioglie fra le mani. Dopo tutto, potrei averlo
perduto io...
Mi stupirei, mamma, tu sei cosi ordinata nelle tue cose...
A volte, i grandi sono distratti, come i bambini, specialmente quando
hanno tanti pensieri e tanti problemi da risolvere come me. In ogni modo
affar mio. Basta. Non ci pensare pi. Vai pure a giocare in giardino.
Grazie, mamma.
Non ti allontanare troppo, per: voglio dare un'occhiata al danaro
della spesa che nel cassetto del mio tavolino da lavoro.
Pel di Carota, che stava per uscire, si volta, segue per qualche passo la
mamma che s'allontana, poi, di colpo, la sorpassa e le si pianta davanti, in silenzio, porgendole una guancia. La mano destra gi alzata e sta per
prendere la solita rincorsa.
Ti conoscevo bugiardo, ma fino a questo punto no.
Mamma!
Hai anche il coraggio di supplicare! Ora dici le bugie a due alla volta.
E come le dici bene! Con che garbo e che fantasia...
Mamma!
Si comincia col rubare un uovo e si finisce per rubare un bue. Poi si
assassina la propria madre.
E a sottolineare queste affermazioni, vola il primo schiaffo.
IDEE PERSONALI
Il signor Lepic, Ernestina e Felice, insieme a Pel di Carota, si attardano, di
sera, accanto al caminetto.
Vegliano e guardano bruciare un bel ceppo e le quattro sedie dondolano
sulle gambe di dietro, quasi con lo stesso ritmo.
Chiacchierano di tutto un po' e poich la signora Lepic impegnata in
un'altra stanza, Pel di Carota trova il coraggio di esprimere le sue idee
personali, con un fervore che ammutolisce tutti, tanto pi che l'argomento
piuttosto bollente e, esposto come lo espone lui, diventa rischioso,
Per conto mio dice con un certo sussiego i gradi di parentela
non significano proprio nulla, sono senza senso, senza sostegno.
Ah, s? fa il padre incuriosito. Va' avanti, mi piace sentirli
esporre
le tue teorie.
Per esempio, pap, tu sai che io ti voglio bene e sai quanto te ne
voglio. Ma sai perch ti voglio bene? Perch sei il mio migliore amico,
perch ti ammiro, ti so onesto, lavoratore, coraggioso, buono e generoso. Ma
non perch sei mio padre. Io considero la tua amicizia, la tua protezione, il
tuo affetto, come un favore che tu mi concedi, ma non come una cosa che mi
dovuta e che tu sei
obbligalo a darmi.
Bene, bene e poi?
pi lunga degli altri e non ti imbottire quella tua povera testa di idee tanto
balorde e malsane. La famiglia una istituzione sacra e tu le manchi di
rispetto e bestemmi con codeste tue arzigogolazioni...
Ma, pap, bisogna pur dire qualche cosa, per far passare il tempo... del
resto, sei stato tu a rammaricarti perch noi non esponiamo mai le nostre
idee personali...
Meglio star zitti che dire simili stupidaggini. Va', va' a letto, che
tardi. Buona notte, figlioli.
E il signor Lepic s'avvia con la sua candela accesa. Felice lo segue e
lancia un saluto a Pel di Carota:
Buona notte, commilitone!
Quando la volta di sua sorella, Ernestina si fa grave nel dirgli:
Buona notte, sciocchino. Sono tua sorella, non una amica, ricordatelo,
ma una sorella pu essere anche una amica, se ha un fratellino ragionevole e
saggio.
Pel di Carota resta solo davanti al fuoco che lentamente si spegne.
Ieri, non pi tardi di ieri, il signor Lepic !o aveva consigliato di riflettere,
anzi gli aveva detto:
Si dice ... si fa ... ma che mai si'? Quel si vuol dire tutti e nessuno e
tulli lo stesso che nessuno. Tu ripeti troppo a pappagallo quello che senti
dire o quello che leggi, senza approfondire il vero senso delle cose. Sforzati
di pensare con la tua testa, metti fuori le tue idee personali, una volta tanto,
non ti far bello con le penne del pavone, citando a proposito o a sproposito
quello che ti sta attorno, tanto per cominciare...
Ecco: la prima idea che ha osato esprimere, ha avuto davvero un bel successo! Lo hanno guardato come se il suo cervello fosse bacato.
Pazienza!
Pel di Carota copre il fuoco con la cenere. Allinea lungo il muro le sedie,
d uno sguardo alla pendola, come se la salutasse, e si ritira nella sua stanza,
quella stanza che tutti chiamano della cantina perch vi d la porta che
conduce in cantina.
una stanza in cui i ricordi di Pel di Carota a volte si affollano e a volte si
perdono, come nebbia.
D'estate e una stanza fresca e gradevole, tanto che vi si conserva la
selvaggina anche per una settimana.
L'ultima lepre gocciola ancora sangue lungo il muro e il sangue si raggruma su un piatto. Ci sono corbe piene di grano, e a Pel di Carota piace
affondarvi le mani e rimestarvi con le braccia nude fino al gomito.
Vi mettono, di solito, gli abiti della famiglia intera, appesi agli attaccapanni, prima di essere riposti, a seconda delle stagioni. Gli fanno sempre una cu-
riosa impressione. Paiono dei suicidi che si siano impiccati li, dopo aver
nascosto la testa e messo le scarpe, bene in fila, sull'asse che sovrasta i pioli.
Qualche volta, non sa perch, quella stanza, isolata dal resto della casa, gli
incute paura.
Stasera no.
Non d una occhiata sotto al letto, come fa certe sere, non lo spaventano
le ombre che il chiarore della luna disegna contro le pareti bianche, n il
pozzo del giardino, che si vede sotto la finestrella, che pare scavato apposta
perche qualcuno ci faccia dentro un tuffo.
Avrebbe paura se pensasse di avere paura ma non ci pensa.
In camicia dimentica di camminare sui calcagni per sentire meno il freddo
del pavimento di piastrelle rosse.
A letto, guarda le bozze dell'intonaco che l'umidit ha gonfiato e gli pare
di scorgere strane facce che lo fissano con una smorfia ironica: forse
nemmeno quelle facce condividono le sue idee personali sulla famiglia, ma
almeno gli insegnano, mediante quei sorrisetti compassionevoli, che le idee
personali bisogna tenersele per s.
Per Pel di Carota, guardarsi attorno, studiare, analizzare, cercare di capire
anche le pi piccole cose, diventato un gioco che lo diverte pi di ogni
altro gioco.
Gli altri, quelli di casa, quando lo vedono cosi assorto, senza far niente,
scuotono la testa come di fronte a un insolubile problema, a uno di quei
problemi che scoraggiano anche il pi paziente dei solutori.
Stupido non , almeno stando ai risultati scolastici, malato nemmeno,
poich mangia, dorme, corre e salta come una lepre. Ma che cos'ha, dunque,
per essere cos diverso da tutti gli altri ragazzi della sua et?
Inutile interrogarlo. D risposte cosi evasive e cos sconcertanti che disarmano.
Meglio lasciarlo tare quel che vuole. l'et del trapasso, dicono le
persone anziane, pigrizia, dice la madre, esibizionismo, affermano Felice
ed Ernestina, e solo pap Lepic non si pronuncia, ma forse perch lui il
solo che, restando a lungo fuori di casa, non in grado di essere un
osservatore profondo di quel suo figliolo che giudica balordo ma che, in
fondo in fondo, trova nel suo cuore un posticino di preferenza.
***
Da un pezzo Pel di Carota, seduto sul muretto del giardino, tiene d'occhio
la foglia pi alta del pioppo grande.
Fantastica aspettando di vederla muovere.
Dal punto in cui si trova, a guardarla, pare gi staccata dall'albero, si direbbe che viva libera, senza gambo, avulsa dal ramo da cui si nutrita.
Ogni giorno, al primo sole, si fa d'oro e raccoglie l'ultimo raggio, lo assorbe, per vestirsi di quella luce e risplendere, Gi a mezzogiorno pareva morta.
Immobile, senza un tremolio, senza una vibrazione.
Si stacca? Non si stacca?
Pel di Carota la tiene sotto controllo, quasi spazientito da quella immobilit innaturale. Sa che dovr staccarsi, volteggiare e cadere e si stupisce che,
pi grande delle altre, non abbia gi volato verso la terra su cui marcir,
Sotto la foglia irrigidita un'altra foglia, pi piccola, s' mossa, come presa
da un brivido. Altre foglie sembra che abbiano raccolto quel piccolo segnale
e, anch'esse, fremono e pare che diano alle altre foglie, pi in basso, un
avvertimento, cos che, dall'una all'altra, come una rapida trasmissione, si
verifica quel leggero tremolio silenzioso.
Pel di Carota alza gli occhi verso il cielo.
Laggi, lontano, ai confini con l'orizzonte, compare un orlo bruno, come di una calotta
che avanzi con un impercettibile moto ondoso.
Un velo d'aria avvolge il pioppo e altri strati d'aria, quasi inavvertibili, contagiano le
foglie del faggio, della quercia, degli ippocastani e di tutti gli alberi del giardino, gi
presaghi di quel che apportatrice la calotta bruna che si spinge avanti, come un
coperchio, con il suo orlo cupo in netto contrasto contro il chiarore del cielo.
Solo la foglia, che Pel di Carota di tanto in tanto fissa, non partecipa a
quell'improvviso tremore che ha contagiato i rami sottili e zittito gli uccelli.
Il merlo, che gettava qualche nota a casaccio, tace e si nascosto. La tortorella che
pochi attimi prima versava dalla sua gola variopinta, a scatti, il suo monotono tubare,
quieta e gira la testa a destra e a sinistra in cerca di chi sa che cosa. Anche la gazza,
intollerabile e fastidiosa, tiene la coda abbassata e sta appollaiata su un ramo come in
allarme.
La livida calotta continua la sua lenta invasione senza arrestarsi e, a poco a poco, il
ciclo lascia che essa ricopra di nero il suo azzurro e chiuda ogni passaggio perch l'aria
non penetri e soffochi la natura inquieta.
Pare che s'abbassi sulla campagna circostante, quasi cedendo sotto il proprio peso e,
sulla punta del campanile lontano, si ferma come per paura che la guglia aguzza procuri
uno strappo nel suo compatto tessuto.
Pel di Carota, come un filo d'erba, pi piccolo di un filo d'erba, pi piccolo del pi
piccolo insetto, sente gravare quella pressione come un panico sconosciuto che gli toglie
il respiro, mentre ode, lontano, i primi clamori confusi che trovano eco nel battito
disordinato del suo cuore. Gli piace osservare la natura, sondarne i misteri, tentare di
capire forze e improvvisi mutamenti, coordinati da segreti comandi di un potere
soprannaturale, e sentirsi partecipe di tutto il bene e di tutto il male di cui cielo e terra
sono incontrastati padroni non mai soggetti al volere degli uomini.
La luce s' fatta livida e in quel grigiore le masse degli alberi si sono fattescure e
corrucciate e in fondo a quel confuso arruffio di toni violacei, quasi fiabeschi, Pel di
Carota immagina nidi pieni d'occhiaie bianche e vuote, di becchi adunchi pronti a
ghermire.
Gi le corone degli alberi si tuffano in quel nero e si scuotono come teste
improvvisamente destate da un lungo sonno. Le foglie turbinano, a branchi, tornano
all'albero da cui sono state divelle come se volessero chiedere proiezione, impaurite,
quasi volessero riagganciarsi ai rami che restano nudi.
Le foglie leggere della betulla scortecciata paiono lamentarsi, quelle della acacia
sospirano, quelle dell'ippocastano fischiano e quelle dei rampicanti gorgogliano
rincorrendosi sul muro,
Lontano, sotto i meli, scossi dal vento, i frutti cadono con tonfi sonori sul terreno
riarso che vibra come un tamburo.
Il ribes sanguina di gocce rosse e il ribes nero lascia colare gocce che
sembrano di inchiostro.
Nell'orto i cavoli agitano le loro grandi foglie concave come enormi orecchie tese a captare i rumori e le cipolle, appese ad asciugare, cozzano
insieme e si spaccano.
Che cos'hanno mai? Che cosa significa questa improvvisa follia a cui partecipa anche l'erba che s'affloscia ora a destra, ora a sinistra, ondeggiando?
Non tuona. Non grandina. N un lampo squarcia il cielo n una goccia
d'acqua disseta la terra assetata.
Quel nero tempestoso, quella notte silenziosa giunta in pieno giorno,
genera panico, terrore.
Pel di Carota ne spaventato e conquistato insieme.
Guarda affascinato quel caos senza nome che ha sconfitto il sole e la
calotta che s'abbassa inesorabile, come a serrare la terra in una morsa
infernale.
La tempesta entra in lui, gli benda gli occhi, gli comprime il cervello, lo
scuote come un filo di paglia, gli urla negli orecchi, gli afferra il cuore e lo
accartoccia, lo appallottola come una cartaccia che svolazza lungo la strada
fra un turbinio di polvere.
Una fascia dolorosa lo stringe e improvvisamente si dissolve. Un soffio
d'aria lo accarezza, lo blandisce, gli restituisce il respiro, e Pel di Carota se
ne disseta come da una sorgente.
La nera calotta s'allontana: un orlo di luce dorata appare in tutto quel buio
e non fa pi schermo al sole che lascia piovere luce e tepore sulla natura che
si ridesta come da un sogno pauroso.
Pel di Carota gioisce, si stira, si sente vivo, felice.
Ed intorno a lui il merlo riprende a cantare, la tortorella si rigira come una
trottola e tuba, e i fiori rialzano le loro corolle e paiono di un colore pi
splendente.
Le foglie cadute giacciono le une sulle altre, in mucchietti sparsi, paghe di
un desiderato riposo.
LA RIBELLIONE
Pel di Carota?
Si, mamma.
Sii bravo: va fino al mulino a prendermi una libbra di burro.
No, mamma.
Cosa? Hai detto di no? Poche storie. Fila e svelto. Ti aspetteremo per
andare a tavola.
No, mamma, non vado al mulino.
Avanti, non scherzare, non ho tempo...
Ho detto che non ci vado.
Ma allora, non sogno? Che cosa capita? Ti rifiuti di ubbidirmi?
S, mamma.
Basta. E la prima volta che ti rifiuti di farmi un piacere. Cosa accade?
Niente, mamma. Non ci vado.
Ti permetti di disubbidire a tua madre?
A mia madre, si.
Sarebbe bella. Vuoi spicciarti, si o no?
Ho detto di no.
Ma insomma, vuoi star zitto e filare?
Sto zitto: ma non ci vado.
Ripeti!
Non ci vado.
La signora Lepic in piedi sulla scala, con le braccia al cielo: trasecolata.
Pel di Carota tace, immobile.
la prima volta che osa dire di no a sua madre. La cosa inaudita. Fosse
stato intento a giocare e non volesse abbandonare il gioco, quel suo diniego
avrebbe una giustificazione, se non ammessa, plausibile. Ma l fermo,
seduto a terra, che gira i pollici, con gli occhi semichiusi, morto di noia.
Che rivoluzione sta verificandosi?
La madre strilla come se chiamasse aiuto e Pel di Carota alza gli occhi, la
squadra dall'alto in basso e non si muove.
Ernestina, Felice grida la madre. Venite, venite! Venite a
vedere! Chiamate il pap, chiamate Agata, chiamate la gente che passa! In
casa Lepic c' un fenomeno degno di essere ammirato! Ma venite, dunque,
correte!
Pel di Carota ora ritto in mezzo al cortile, isolato, sorpreso di sentirsi
saldo davanti al pericolo, pi sorpreso ancora di constatare che la signora
Lepic non lo ha picchiato fin dal primo no che ha mormorato con voce
ferma.
Ma, evidentemente, la cosa cosi grave per mamma Lepic che lei ci si
smarrisce.
Rinuncia ai soliti gesti intimidatori, allo sguardo acuto e bruciante che
agisce come una punta incandescente sulla pelle del figlio.
Fa uno sforzo per contenersi, ma le labbra le tremano sotto la pressione
dell'ira repressa e le parole sibilano come frustate:
Ho pregato gentilmente mio figlio di farmi un favore, di fare una
passeggiatina, in attesa dell'ora di cena, di arrivare soltanto fino al mulino e
volete sapere che cosa mi ha risposto? Mi ha detto di no, un no tondo e
schietto, una cosa da non credere. Domandateglielo, potreste credere che mi
sto inventando questo enorme, inconcepibile rifiuto ad ubbidirmi.
Nessuno chiede conferma. L'atteggiamento di Pel di Carota dispensa tutti
dal fargli ripetere quel no che ha il sapore di una vera e propria ribellione.
Ernestina, conscia del peggio che accadr da un minuto all'altro, gli si accosta, teneramente, e gli bisbiglia qualche parola all'orecchio. Pel di Carota
non si scuote, ed essa insiste:
Stai attento. Finir male. Ubbidisci a tua sorella che ti vuol bene: fallo
per amor mio.
A Felice par d'essere a teatro.
Questi spettacoli sono il suo spasso preferito. Non cederebbe il suo posto
di osservazione a nessuno n farebbe un solo passo per modificare le cose.
Non si rende conto che, se Pel di Carota si emancipa e non pi lo schiavetto servizievole di sua madre, molte delle incombenze che fino ad ora, con
zelo e ubbidienza, ha portato a termine, toccheranno anche a lui, perch la
mamma non il tipo da rinunciare a quei mille piccoli favori a cui
abituata.
Ma, a questo. Felice ora non pensa.
Ieri ancora disprezzava il fratello minore per quella sua accondiscendenza
servile ed ora si sentirebbe di incoraggiarlo.
Gli ha dato del pulcino nella stoppa troppe volte per non sentirne un pizzico di rimorso. In questo momento lo considera da pari a pari, lo stima ma.
soprattutto, si diverte un mondo e pregusta le conseguenze di quella
insubordinazione.
Siccome la fine del mondo afferma sempre con quel tono aspro
la signora Lepic io non me ne impiccio: me ne lavo le mani. Qualcun
altro prenda la parola e si incarichi di domare questa bestiola che,
improvvisamente, mostra la sua ferocia. Vi lascio di fronte, padre e figlio,
sbrigatevela voi!
Si allontana quasi barcollando tanto la collera la scuote.
Pap dice allora Pel di Carota, in piena crisi, con la voce strozzata,
una voce che, improvvisamente, ha cambiato registro e gli esce dalla gola
con una inflessione nuova e cos virile che egli stesso ne sconcertato.
Pap, se tu mi comandi di andare a prendere una libbra di burro al mulino, ci
vado, immediatamente, ma ci vado perch me lo chiedi tu, pap, come un
amico chiede un favore a un amico. Ma mi rifiuto di andarci per la mamma
perch mi chiede le cose come le chiede alla serva.
Il signor Lepic non si sente lusingato da quella preferenza, anzi si
dimostra seccato. I conflitti di questo genere, in famiglia, intorbidano
l'atmosfera che lui ama resti sempre limpida e senza nubi. La patria potest,
esercitata in questo campo, gli sembra un sopruso, specialmente quando
richiesta per una libbra di burro e di fronte a una platea che ascolta e giudica
da punti di vista diametralmente opposti.
Pap Lepic fa qualche passo nell'erba, scrolla le spalle, volta la schiena e
torna in casa, senza aver aperto bocca.
Per il momento la questione s' fermata l.
***
La sera la cena si svolta assai silenziosa.
La signora Lepic non ha partecipato: s' ritirata in camera sua dichiarandosi indisposta e s' messa a letto.
Ognuno ha mangiato col capo chino sul piatto e quando Agata comincia a
sparecchiare, visto che il signor Lepic, come ogni sera, annoda il tovagliolo,
Felice e Ernestina sono rimasti seduti guardandosi con imbarazzo.
Chi viene a passeggio con me, fin sulla strada vecchia?
L'invito del signor Lepic evidentemente rivolto a Pel di Carota che si fa
rosso rosso e, appoggiata la seggiola accanto al muro, come sempre, segue
docilmente il padre, mentre Felice e Ernestina aprono i loro libri e si
dispongono a leggere.
Per un po' padre e figlio camminano in silenzio.
L'inevitabile inizio della conversazione non pu non generare, date le circostanze, che un senso di freddezza e di ritegno.
Pel di Carota va facendosi le domande che ritiene gli sottoporr il padre e
si va preparando le risposte.
E pronto a mantenere fermo il suo punto. fortemente scosso, per non
rimpiange nulla. Quell'episodio ha avuto una ripercussione tale su lui e gli
ha procurato una cos forte emozione, che nulla pu scombussolarlo pi di
quanto non lo sia gi.
Il timbro della voce del signor Lepic, che si prepara a parlare, lo rassicura:
La fronte tutta una ruga, all'angolo degli occhi pieghe profonde si diramano a raggiera come le zampe d'oca, le palpebre sono abbassate come se
dormisse camminando.
Per un po' Pel di Carota gli cammina al fianco, silenzioso.
Infatti, cosa sa lui di suo padre?
Cosa sa di quanto sia felice o infelice? Se lo mai chiesto? Sa che lavora,
che provvede alla famiglia, che burbero ma in fondo ama tutti e protegge
tutti e pensa al benessere di tutti.
Ma fino a che punto amato? Dai figli? Dalla moglie?
Pel di Carota sospira e, quasi inavvertitamente, prima sfiora la mano del
padre poi la stringe e sente che, a quella stretta, risponde una stretta
amichevole, cordiale.
Un calore nuovo gli corre per le vene e allora, col pugno chiuso, quasi a
minacciare l'intero villaggio che giace laggi dove brillano pochi lumi
esclama:
Che sporca vita! Che burla la vita, vero, pap?
Rincasano, tenendosi a braccetto, come due vecchi amici che rientrino un
po' brilli dal l'aver sostato all'osteria.
Il vino dell'amicizia, quando genuino, d alla testa.
LE VACANZE SONO FINITE
A sfogliare l'album di fotografie di casa Le pic di solito ci si meraviglia.
Ernestina e il fratello Felice sono ritratti in tutte le pose, ritti, seduti, con
l'abito della festa, insieme o da soli, allegri o seri, sempre sullo sfondo di
ricchi scenari, tutti colonne, nuvole in fuga, tendaggi e grandi vasi di piante
esotiche.
Se qualcuno chiede:
E Pel di Carota?
Avevo delle fotogralie di quando era bambino, risponde la signora
Lepic ma era talmente bello che me le hanno portate via e non ne ho
salvata nessuna.
Forse il fatto dipende dalle poche fotografie che sono state fatte o da una
dimenticanza nell'inserirle nell'album. Se qualcuno chiede:
Ma perch continuate a chiamarlo Pel di Carota? forse a causa dei
suoi capelli gialli?
Ha l'anima ancora pi gialla dice la signora Lepic con un mezzo
sorriso per dare alla frase un tono spiritoso.
E sempre, quando parla del figlio pi piccolo, si sofferma volentieri a sottolinearne i difetti:
Con quel naso a patata, non so proprio a chi somigli. Ha poi quel
curioso modo di succhiare la saliva fra i denti, che sono piuttosto radi, e non
s'accorge che fastidio procura a chi lo ascolta. Non c' verso che impari a
camminare come si deve. Si diverte a trascinare i piedi nella polvere come se
avesse le scarpe strette. Non parliamo poi della pulizia personale: ha sempre
gli orecchi e il collo d'un colore azzurrino, di natura assai dubbia. Che
pazienza ci vuole con questi figlioli! Speriamo che, crescendo, muti carattere
e si faccia un bravo ometto: cosi com' non posso certo dirmi fiera di lui.
E continua per un pezzo le sue lagnanze:
Se non si sta attenti, si ingozza di qualunque cosa gli si ponga davanti.
Non ha il senso del gusto, non affatto schizzinoso, tutto gli va bene, purch
riempia la pancia. E di una timidezza sconcertante. Quando lo si presenta a
qualcuno, volta via la faccia, tende la mano a fatica, si fa piccolo, piega le
gambe e, appena pu, si eclissa. privo di slanci affettuosi. Se io gli
chiedessi: Dammi un bacio! sapete che cosa risponderebbe: Oh, mamma,
non ne vale la pena!
Cambier, signora, cambier! Non si crucci. Non n il primo n l'ultimo ragazzo scontroso e difficile. Generalmente sono questi caratteri chiusi e
diffidenti che, quando maturano, danno soddisfazioni maggiori.
La signora Lepic sospira delusa. Sperava di essere compassionata per avere un figlio cos e cos, invece la sua interlocutrice, in bella maniera, le ha
detto che ha torto.
***
Pel di Carota?
Si?
Ti sembra una risposta, si? Si dice, che vuoi mamma? Impara l'educazione almeno, se non vuoi imparare la cortesia.
Sii! Mamm ...
E non rispondere a bocca piena come un qualunque bifolco!
No, mamma: scusa.
Pel di Carota ha inghiottito il boccone senza masticarlo e quasi soffoca.
Lo sai che non hai ancora imparato a metterti le mani in tasca come si
deve? A parte il fatto che le tue tasche sono sempre il ricettacolo d ogni
possibile porcheria, te ne servi con tale garbo che ne sformi l'imboccatura.
Sai cosa faccio? Te le cucio, cos eviter di inquietarmi ogni volta che le
guardo.
E cos, ogni giorno, anche dopo la famosa sfuriata e l'avvenuta riconciliazione con abbracci furtivi e qualche lacrimuccia, vera o finta da ambo le
Con la camicia, stesa davanti a lui come una bandiera, Pel di Carota si avvicina alla madre:
Mamma ...
Che c'? Che fai con quella camicia? Vuoi insudiciarla?
Manca un bottone, vedi . E nella sua voce c' una piccola sfumatura
di rimprovero. Infatti, una buona moglie non mette nel cassetto del marito
una camicia priva di un bottone.
Ah, s? Manca un bottone? E ho forse bisogno dei tuoi ordini,
scimmiotto? Tu complotti con tuo padre contro di me. Basta un nulla perch
vi sentiate solidali nel mortificarmi.
Ma, mamma...
Taci. Scommetto che l'avete fatto saltar via insieme, quel bottone, per
darmi la patente di incapace.
Ma, mamma, non vero...
So, so, che cosa bolle nel tuo cervello...
Mamma Lepic prende il cestello da lavoro e si dispone ad attaccare il bottone, ma non ha ancora sfogato il suo malumore:
Se un giorno non ci fosse pi tuo padre, che bene o male mi protegge
e prende le mie difese, tu chiss come mi ridurresti, con quella tua aria da
superuomo. Bada, Pel di Carota, che i figli come te, che non risparmiano la
madre, finiscono per piantarle un coltello nel cuore o buttarla sul lastrico...
Ma, mamma!
Va', va', ecco, il bottone attaccato, ma ricordati che io so quel che
dico e che soltanto con l'umilt che si dimostra a una madre rispetto e
considerazione.
Questo sarebbe uno di quei momenti in cui Pel di Carota sentirebbe il
bisogno di fischiettare, allontanandosi, ma ci rinuncia perch sente la voce
del padre che tuona, spazientita, per quella benedetta camicia che nessuno si
decide a portargli.
***
ormai tempo di preparare i bagagli: si ritorna in collegio.
Gli addii, le raccomandazioni non hanno fine, ma sono sempre le stesse
parole, le stesse inutili parole che amareggiano, anzich allietare, le ultime
ore che si trascorrono in famiglia.
Pel di Carota si guarda attorno come per imprimersi nella mente le cose
che, nella solitudine del collegio, verranno a confortarlo ogni volta che se le
richiamer alla memoria.
L'albero che fa ombra alla poltrona su cui suo padre schiaccia un sonnelli-
Caro pap,
sento che vai a Parigi e partecipo alla gioia che proverai visitando la
capitale che anch'io vorrei vedere e dove ti seguir col pensiero. Capisco
che i miei impegni scolastici non mi consentono questo viaggio, ma
approfitto dell'occasione per pregarti di comperarmi un paio di libri. 1 miei
li so a memoria: sceglili come vengono, in fondo si equivalgono tutti.
Tuttavia mi piacerebbe particolarmente la Henriade di Francesco Maria
Arouet di Voltaire e la Nouvelle Heloise di Giangiacomo Rousseau. Se me li
porti (i libri non costano niente a Parigi) ti garantisco che non cascheranno
nelle mani del prefetto.
Il tuo affezionato figliolo.
Caro Pel di Carota,
gli scrittori di cui parli erano uomini come me e te. Puoi fare, anche tu
quello che hanno fatto loro: scrivi dei libri, poi li leggerai.
Il tuo pap.
Caro Pel di Carota,
sono assai stupito della tua lettera di stamane. Invano la rileggo. Non il
tuo solito stile. Parli di strane cose che non mi sembrano n di tua n di mia
competenza. Di solito mi scrivi delle tue piccole faccende, dei voli che
ottieni, dei difetti e delle qualit che scopri nei tuoi insegnanti, dei nomi dei
tuoi nuovi compagni, dello staio della tua biancheria, di come dormi, di
come mangi.
E sono le cose appunto che mi interessano.
Oggi non ti capisco pi. A proposito di che, ti prego, ti dilunghi sulla
uscita della primavera, mentre siamo ancora in inverno?
Che cosa vuoi, dire, ti occorre forse una sciarpa di lana?
La lettera senza data, senza vocativo, non si capisce se la mandi a me o
al cane.
Persino la calligrafia mi sembra mutata: la disposizione delle righe e
l'abbondanza delle maiuscole mi sconcertano.
Insomma, mi sembra che ti voglia burlare di qualcuno: di te, suppongo.
Mi preme di fartene una colpa, non una osservazione.
Il tuo pap.
Caro pap.
una parola in fretta, per spiegarti: la mia ultima lettera era una
composizione in versi. La prima composizione in versi del tuo
affezionato figliolo.
Il tempo passa in fretta.
Un altro anno scolastico terminato e Pel di Carola ritorna a casa.
Sa che a casa ci sono molte novit.
Felice frequenta la scuola superiore e non fa. pi parte del collegio, per
cui Pel di Carota rientra solo. Una volta tanto scender dalla diligenza e
trover i genitori ad aspettare lui solo!
Ernestina fidanzata.
A Pel di Carota la cosa pare alquanto buffa e se pensa che si sposer presto, non sa immaginarsi la sorella installata in un'altra casa, che non sia la
sua. con un marito e, forse, dei figlioli e, quando si sofferma a pensare a
queste cose, non sa se riderne o esserne inteneriti.
Sua madre invecchiata. Ha molti capelli bianchi e il passo non pi tanto svelto. Ma la voce, la sua voce imperiosa, non mutata.
La sera, Ernestina ha il permesso di passeggiare con il fidanzato e Pel di
Carota destinato alla sorveglianza dei due piccioncini.
Non un incarico piacevole, ma lo assolve senza protestare.
Va' avanti, gli dicono corri e scorrazza!
Pel di Carota va avanti, corre, scorrazza, si sforza di saltare, si sente come
un cane a cui hanno tolto il guinzaglio, ma se fa tanto di rallentare, appena
un poco, sente, suo malgrado, paroline tenere e rumore di baci.
Tossisce.
Si fa silenzio ma lui esasperato.
Quando si accorge di essere davanti alla croce che sta all'inizio del villaggio, punto in cui, solitamente, i due fidanzati riprendono la via verso casa,
Pel di Carota butta a terra il berretto, lo calpesta, e borbotta senza fine.
Poi riprende a ciondolare, i fidanzati davanti e lui a debita distanza, di retroguardia.
Ormai sa che si fermeranno accanto al muretto che circonda la casa a bisbigliarsi gli ultimi saluti di congedo.
A Pel di Carota tutte quelle smancerie che essi si prodigano fanno un curioso effetto, vorrebbe prenderli a sassate, chiss perch, e si sorprende ad
esclamare:
Nessuno vorr mai bene a me!
Nello stesso momento, la signora Lepic, che non sorda, sorge da dietro
il muro, con un sorriso sulle labbra.
Pel di Carota, smarrito, si affretta a soggiungere:
Eccetto la mamma!