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“Ciao tesoro, come va? lo sai che sono emozionatissimo? sei passata a ritirare
le partecipazioni?”
“Matte, lascia perdere non è il momento, ho un casino qui al lavoro, ti richiamo”.
Non è vero, ho mentito. Al lavoro non c’è nessun casino, ma che non sia il
momento giusto è vero.
Ho conosciuto Matteo quattro anni fa, durante il corso del master. Ci siamo
ritrovati coppia prima ancora che io potessi chiedermi cosa mi inducesse a
pensare che fosse l’uomo giusto per me. Semplicemente non c’era da
chiederselo, era dolce, premuroso, intelligente, carino e dal futuro promettente.
Eravamo una bella coppia e basta, di quelle che non rischiano sbavature
durante le presentazioni ai rispettivi genitori.
Abbiamo fatto le cose giuste nei tempi giusti, abbiamo aspettato di trovare i
giusti rispettivi mestieri e poi, giustamente, siamo andati a vivere insieme.
Sì, ogni tanto scazziamo, a volte mi infastidisce il suo essere troppo
accondiscendente: appena accenna finalmente a rimproverarmi qualcosa, gli
basta vedere tratteggiarsi sul mio viso una ruga di rabbia che subito si affretta a
rassicurarmi “tesoro non fa niente, non ti preoccupare”.
Che vuoi di più? il coro delle amiche.
Niente, oggi non voglio niente di più.
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delle complicazioni, per cui mi hanno dovuto togliere un rene. <Un rene? >
esclamo sorpreso. <Si, ma non si preoccupi! Con un rene solo può vivere
benissimo e sposare la sua fidanzata>. Sposare?? <Ce lo ha detto lei... > e
indica te che sorridi radiosa”.
“Matte ma è un incubo!! Sbatti la testa e ti tolgono un rene! Basta con i film di
mezzanotte, solo ciarpame che poi ti scombussola il senso della realtà”. Cerco
disperatamente di sviare il discorso.
“Lau, amore, vuoi sposarmi?”
Cacchio cacchio, ma tu guarda se una si deve ritrovare in una merdosissima
domenica di pioggia a decidere su due piedi della propria intera vita solo perché
uno ha fatto le ore piccole con un documentario sul traffico di organi.
Ho scoperto che quella di matrimonio è una domanda che ti mette in trappola,
che non puoi dire che ci vuoi pensare perché altrimenti scateni l’inferno del
“perché hai dubbi sul tuo amore per me?” e che se dici di no hai perso una
persona con la quale tutto sommato stai bene. Non si può sopravvivere in
nessun modo a una richiesta di matrimonio restando placidamente fidanzati: o
ci si sposa o ci si lascia. Non è una domanda, è un ricatto.
Ero in trappola, ho fatto una smorfia che assomigliasse a un sorriso e ho detto
sì.
Purtroppo la mattina dopo ebbi la sciagurata idea di raccontare il sogno di Matte
ai miei, e la sua proposta, e la mia risposta, e così diedi l’inizio alle danze
familiari di giubilo.
Quella notte io, invece, sognai che mi riunivo con un gruppo di ex compagne di
università, femministe sfegatate, che avevano organizzato un sit in in un
cinema della città dal titolo “Possiamo decidere anche noi” e che ci eravamo
andate tutte mascherate da uomini. Sul più bello, quando sta per prendere la
parola l’organizzatrice, crolla una porzione di soffitto sul pubblico, proprio sopra
di me. E muoio. Non ebbi bisogno di Freud per capire cosa frullasse nel mio
inconscio poco profondo.
Mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte, mi mancava l’aria, per le
macerie del sogno e per quella sensazione orrenda di essere all’ingresso di un
cunicolo strettissimo e claustrofobico, per la paura che, varcatane la soglia, non
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avrei mai più trovato lo spazio per girarmi e tornare indietro. Mi dissi “Laura è
tutto a posto, vedrai che andrà tutto bene, è la cosa giusta, è quello che in
fondo aspettavi e ora c'è solo il tempo da lasciar scorrere, non ci vorrà ancora
tanto non sarà più una attesa, ma solo sospensione, azzeramento del pensiero,
un piacere da assaporare un dormiveglia da accogliere, un sogno da
incontrare, una coincidenza da prendere, chiudi gli occhi e al risveglio sarà tutto
a posto e ci sarà solo il tempo da lasciar scorrere”.
Non potevo pretendere di avere l’eternità sotto controllo, dovevo provare a
buttarmi, e allora mi sono detta “lasciamo pure che le cose scorrano come
devono e sopratutto lasciamo che qualcosa vada storto”. “Le imperfezioni sono
bellissime”, mi diceva mio padre quando perdevo le mie competizioni
agonistiche.
Ovviamente il mio sogno non lo raccontai a nessuno e lasciai che le danze
coinvolgessero, apparentemente, anche me.
Sei mesi dopo, quando ormai i preparativi delle nozze procedevano spediti,
conobbi Gianluca, giovane consigliere d’amministrazione dell’azienda per la
quale lavoro. Bello, maschio, elegante, scontroso. E da quel momento la
concentrazione non fu più la stessa.
Lo guardavo e sentivo mia madre ronzarmi nelle orecchie “ci sono uomini dai
quali devi tenerti alla larga, figlia mia: se portano il fazzolettino nel taschino
scappa”. Lui il fazzolettino ce l’aveva, ma io non avevo nessuno da cui
scappare perché lui non mi inseguiva: i nostri incontri erano limitati a quelli delle
riunioni di lavoro, durante i quali io vestivo i panni professionali della
perfezionista, che passa mesi e mesi a pensare ad ogni singolo particolare, a
come deve essere, a fare Miss perfettinasotuttoiofacciosemprecosì ammazza-
libido, e lui che neanche mi guardava, sempre appiccicato al suo blackberry
perennemente lampeggiante. Mi faceva sentire una quindicenne, io che passo
per una donna in carriera senza scrupoli, mi ritrovavo prima delle riunioni con le
mani sudate e la testa nel pallone, tanto che puntualmente qualcosa andava
storto, eh sì perché quando uno si angoscia in questo modo qualcosa di storto
c'è sempre, perché quando senti la pancia che ti si annoda non puoi prevedere
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Il giorno della vigilia della presentazione sono isterica, non trovo pace con una
relazione che mi pare fare schifo. Modifico e annullo le modifiche. Resto in
ufficio anche quando gli altri vanno via, ho bisogno di pace, di essere lasciata
da sola con la mia ossessione. Chissà se sopravviverò a questa notte.
Ed eccola la mia ossessione, che all’improvviso fa toctoc sulla porta aperta del
mio ufficio.
“Cercavo proprio lei, volevo farle in bocca al lupo per domani”.
Non credo di aver saputo emettere suono. Ma lui ha voglia di perdere tempo,
entra nella stanza, prende in giro il disordine della mia scrivania, gioca con le
matite, si accende una sigaretta, si offre addirittura di aiutarmi per le ultime
messe a punto.
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No no non può, la relazione non la può leggere, deve aspettare domani, quella
mi serve per sedurlo se me la gioco subito nella versione dimessa di una serata
di vigilia, mando all’aria mesi di preparazione e strategia.
Ma lui continua a scherzare, si siede sul disordine della scrivania.
Mi guarda le gambe.
Gli guardo il fazzoletto nel taschino.
Merda merdissima stai lontano, il tuo giorno è domani, non cambiarmi le carte
in tavola, ho messo in piedi un castello di aspettative enormi per conquistarti
DOMANI, non oggi, non puoi baciarmi adesso…
Trenta minuti chiusi a chiave nel mio ufficio e mesi di ansie e preparativi buttati
al vento. Io costruivo effetti speciali per catturarlo nella rete e lui si è preso
quello che voleva in mezz’ora. Tutte le attese sono state disilluse. Tante
aspettative, preparativi, cuore in gola, trepidante attesa e invece... solo illusioni
cresciute coltivate alimentate e disattese, un orticello arido e secco. Come
secca mi sembrava tutta la mia vita all’improvviso. Tutto l'inverno passato a
pensare a cosa avrei detto, cosa avrei fatto se solo lui… e poi...niente, tutto si è
consumato in trenta minuti di ginnastica scomposta, altro che seduzione. Mi è
rimasta solo la cenere di una sigaretta sulla scrivania...solo un sorriso dovuto e
poco sincero...solo frasi di circostanza, frasi fatte da parole vuote.
Si ricompone, mi bacia fintodolcemente e nell’andare via mi fa “Mi raccomando,
dormi stanotte che domani devi essere in forma”. Lui sa di sfottermi solo un
milionesimo di quanto io non mi senta sfottuta.
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Mi ripasso il discorso tutta la notte: è vero, avevo avuto quello che volevo,
l’avevo sedotto con il corpo, ma la mia brama insaziabile voleva ancora stupirlo
con la testa, con la mia bravura, vederlo implorare le mie attenzioni.
Controllo minuziosamente il contenuto della borsa, che ci sia il pass, il check, il
voucher, il feed, il meet, il ticket e chissà che altro. Prendo un antidolorifico per
riposare meglio e invece sprofondo nel peggiore degli incubi: sogno che non mi
suona quellacazzodisveglia! che dimentico di mettere la sveglia, che dormo fino
alle nove, niente panico posso farcela lo stesso, sono in clamoroso ritardo, in
angosciantissimo stramegapazzeschissimo ritardassimo, mi infilo di fissa nella
corsia di sorpasso, sudo, fa un freddo becco, siamo a febbraio ma sudo come
un maiale, ecco vedrai, mi si macchia la camicia, dimenticherò tutto l'intervento,
farò una gaffe tremenda inciampando sui gradini mentre salgo sul palco, il
microfono farà un fischio orrendo e tutti rideranno, mi sbaglierò, intervenendo
prima, o dopo, avranno già cominciato, mi avranno depennata, mi mettono in
prigione, dai dai, ci siamo, dai che parcheggio, a destra, sinistra, così, corri corri
corri corri… Anf anf anf … soffoco, muoio!
BI BI BI BIP! … BI BI BI BIP ! ore 7.30 di mercoledì 24 Febbraio… la sveglia
invece suona, in perfetto orario, è il mio giorno. Finalmente è arrivato e quasi mi
accorgo che la voglia è passata e non riesco nemmeno più a ricordarmi perchè
avessi tanto desiderato che arrivasse questo giorno. Gianluca, già, Gianluca.
Tutto era perfetto, non una cosa fuori posto, gli amici e colleghi fuori al bar a
farmi i complimenti: in effetti ero impeccabile nel mio abito nero, la camicetta di
seta color perla con il collo alla coreana. Tutto perfetto, anche il trucco, il
profumo, i piccoli particolari e gli accessori.
Entro nella sala con fare sicuro, la mia filofax nella mano destra e gli occhiali da
vista, quelli con la montatura rossa, tra le dita. Ma non c'è ancora nessuno, la
stanza è vuota, le sedie di pelle nera non ospitano nessuno, un pizzico di
delusione si affaccia sul mio viso: speravo che lui arrivasse prima, così magari
riuscivo a parlargli, magari avrei potuto scambiare un cenno di complicità prima
di iniziare la relazione. Ma continuo a mantenere la mia postura, non devo
manifestare alcuna debolezza. Mi siedo, apro l'agenda e poso il telefonino sul
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tavolo. Sfoglio l'agenda, scrivo banalità per farmi trovare comunque impegnata.
Provo il microfono, perfetta acustica, poltrone nuove, schermo enorme, perfino
la tappezzeria rimessa a nuovo.
La sala si riempie. Il moderatore comincia con i saluti, le presentazioni e i
ringraziamenti. Gianluca non c’è, possibile? eppure è anche lui tra i relatori.
E’ il mio turno, sento il moderatore annunciare il mio nome. Sorrido, sudo, lui
non c’è.
Non ricordo neanche di aver fatto la discussione, chissà che ho detto, chissà se
ho detto tutto.
Lui è arrivato a metà mattinata, quando io ormai avevo già finito il mio
intervento da un’ora. Si è scusato (con il pubblico, non con me), giustificandosi
per un contrattempo di lavoro. Ha tenuto la sua relazione, poi si è alzato
dicendo di dover scappare. L’ho guardato da lontano, mi tremavano le gambe
anche se ero seduta, riuscivo più o meno a respirare. Io che tutto per lui avevo
fatto, ero andata anche dal parrucchiere all’alba, volevo essere carina per
lui....che cretina! Se n’è andato poco dopo senza salutare (me, il pubblico sì).
Possibile che capitino tutti a me gli stronzi? Poi ho pensato a Matteo e di
stronza ne ho vista una sola.
Stamattina è squillato il diretto del mio ufficio. La sua voce: “una domanda al
volo per una risposta al volo: vado a Bangkok per lavoro tra 2 giorni, vieni con
me?”
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Non ho dato tempo alle mie mani di cominciare a sudare, né alla mia testa di
pensare alla mia carriera.
Clic. Ho agganciato. E sono scoppiata a piangere.
Lo so che in fondo non era poi così importante, che il problema non era lui, che
lui a modo suo era stato coerente, che io avevo la mia vita altrove, ricca,
intensa, piena di emozioni e interessi. Eppure non mi bastava, mi stava stretta,
avevo fame di altro. Volevo uscirne, volevo qualcosa di nuovo che mi
svegliasse dal torpore.
Ma la vita non procede per eventi che ne cambiano il corso, siamo noi che
speriamo che sia un evento a portarci un cambiamento che noi non riusciamo a
fare. E io non ci riesco. Non so uscire con le mie gambe da questo binario. E
allora ci resto, e - chissà - forse alla lunga mi piacerà.
Evidentemente in fondo con Matteo siamo perfettamente compatibili, io con le
mie insoddisfazioni e lui con le sue rassicurazioni, magari usciremo dall'ingorgo
uniti.
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