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FEBBRAIO 2010 METRORACCONTO # 2

IL TRANELLO NEL TASCHINO


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“Ciao tesoro, come va? lo sai che sono emozionatissimo? sei passata a ritirare
le partecipazioni?”
“Matte, lascia perdere non è il momento, ho un casino qui al lavoro, ti richiamo”.

Non è vero, ho mentito. Al lavoro non c’è nessun casino, ma che non sia il
momento giusto è vero.

Ho conosciuto Matteo quattro anni fa, durante il corso del master. Ci siamo
ritrovati coppia prima ancora che io potessi chiedermi cosa mi inducesse a
pensare che fosse l’uomo giusto per me. Semplicemente non c’era da
chiederselo, era dolce, premuroso, intelligente, carino e dal futuro promettente.
Eravamo una bella coppia e basta, di quelle che non rischiano sbavature
durante le presentazioni ai rispettivi genitori.
Abbiamo fatto le cose giuste nei tempi giusti, abbiamo aspettato di trovare i
giusti rispettivi mestieri e poi, giustamente, siamo andati a vivere insieme.
Sì, ogni tanto scazziamo, a volte mi infastidisce il suo essere troppo
accondiscendente: appena accenna finalmente a rimproverarmi qualcosa, gli
basta vedere tratteggiarsi sul mio viso una ruga di rabbia che subito si affretta a
rassicurarmi “tesoro non fa niente, non ti preoccupare”.
Che vuoi di più? il coro delle amiche.
Niente, oggi non voglio niente di più.

Una domenica di un anno fa Matte si è svegliato con un sorriso da ebete, di


quelli che ti stanno implorando di chiedere a lui “cos’hai?”. Così ho soffocato il
mio istinto di sfida e gli ho chiesto cosa avesse.
“Ho sognato che mi imponevi di sposarti”.
Intuivo perfettamente le insidie e i trabocchetti della discussione nella quale ci
stavamo per ficcare, ma ho lasciato che le cose andassero per la loro strada.
“Ho sognato che mi andavo a schiantare con la moto e mi risvegliavo
all'ospedale. Tu eri vicino a me. Bellissima, temevi che non mi sarei svegliato
più. Che bello quel tuo sorriso Lau! Vicino a te nel sogno c'era un tizio in
camice. Mi dice di non preoccuparmi, che ho battuto la testa e ci sono state

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delle complicazioni, per cui mi hanno dovuto togliere un rene. <Un rene? >
esclamo sorpreso. <Si, ma non si preoccupi! Con un rene solo può vivere
benissimo e sposare la sua fidanzata>. Sposare?? <Ce lo ha detto lei... > e
indica te che sorridi radiosa”.
“Matte ma è un incubo!! Sbatti la testa e ti tolgono un rene! Basta con i film di
mezzanotte, solo ciarpame che poi ti scombussola il senso della realtà”. Cerco
disperatamente di sviare il discorso.
“Lau, amore, vuoi sposarmi?”
Cacchio cacchio, ma tu guarda se una si deve ritrovare in una merdosissima
domenica di pioggia a decidere su due piedi della propria intera vita solo perché
uno ha fatto le ore piccole con un documentario sul traffico di organi.
Ho scoperto che quella di matrimonio è una domanda che ti mette in trappola,
che non puoi dire che ci vuoi pensare perché altrimenti scateni l’inferno del
“perché hai dubbi sul tuo amore per me?” e che se dici di no hai perso una
persona con la quale tutto sommato stai bene. Non si può sopravvivere in
nessun modo a una richiesta di matrimonio restando placidamente fidanzati: o
ci si sposa o ci si lascia. Non è una domanda, è un ricatto.
Ero in trappola, ho fatto una smorfia che assomigliasse a un sorriso e ho detto
sì.
Purtroppo la mattina dopo ebbi la sciagurata idea di raccontare il sogno di Matte
ai miei, e la sua proposta, e la mia risposta, e così diedi l’inizio alle danze
familiari di giubilo.
Quella notte io, invece, sognai che mi riunivo con un gruppo di ex compagne di
università, femministe sfegatate, che avevano organizzato un sit in in un
cinema della città dal titolo “Possiamo decidere anche noi” e che ci eravamo
andate tutte mascherate da uomini. Sul più bello, quando sta per prendere la
parola l’organizzatrice, crolla una porzione di soffitto sul pubblico, proprio sopra
di me. E muoio. Non ebbi bisogno di Freud per capire cosa frullasse nel mio
inconscio poco profondo.
Mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte, mi mancava l’aria, per le
macerie del sogno e per quella sensazione orrenda di essere all’ingresso di un
cunicolo strettissimo e claustrofobico, per la paura che, varcatane la soglia, non

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avrei mai più trovato lo spazio per girarmi e tornare indietro. Mi dissi “Laura è
tutto a posto, vedrai che andrà tutto bene, è la cosa giusta, è quello che in
fondo aspettavi e ora c'è solo il tempo da lasciar scorrere, non ci vorrà ancora
tanto non sarà più una attesa, ma solo sospensione, azzeramento del pensiero,
un piacere da assaporare un dormiveglia da accogliere, un sogno da
incontrare, una coincidenza da prendere, chiudi gli occhi e al risveglio sarà tutto
a posto e ci sarà solo il tempo da lasciar scorrere”.
Non potevo pretendere di avere l’eternità sotto controllo, dovevo provare a
buttarmi, e allora mi sono detta “lasciamo pure che le cose scorrano come
devono e sopratutto lasciamo che qualcosa vada storto”. “Le imperfezioni sono
bellissime”, mi diceva mio padre quando perdevo le mie competizioni
agonistiche.
Ovviamente il mio sogno non lo raccontai a nessuno e lasciai che le danze
coinvolgessero, apparentemente, anche me.

Sei mesi dopo, quando ormai i preparativi delle nozze procedevano spediti,
conobbi Gianluca, giovane consigliere d’amministrazione dell’azienda per la
quale lavoro. Bello, maschio, elegante, scontroso. E da quel momento la
concentrazione non fu più la stessa.
Lo guardavo e sentivo mia madre ronzarmi nelle orecchie “ci sono uomini dai
quali devi tenerti alla larga, figlia mia: se portano il fazzolettino nel taschino
scappa”. Lui il fazzolettino ce l’aveva, ma io non avevo nessuno da cui
scappare perché lui non mi inseguiva: i nostri incontri erano limitati a quelli delle
riunioni di lavoro, durante i quali io vestivo i panni professionali della
perfezionista, che passa mesi e mesi a pensare ad ogni singolo particolare, a
come deve essere, a fare Miss perfettinasotuttoiofacciosemprecosì ammazza-
libido, e lui che neanche mi guardava, sempre appiccicato al suo blackberry
perennemente lampeggiante. Mi faceva sentire una quindicenne, io che passo
per una donna in carriera senza scrupoli, mi ritrovavo prima delle riunioni con le
mani sudate e la testa nel pallone, tanto che puntualmente qualcosa andava
storto, eh sì perché quando uno si angoscia in questo modo qualcosa di storto
c'è sempre, perché quando senti la pancia che ti si annoda non puoi prevedere

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tutto, eh no proprio no, chiamala sfiga, karma, dì pure che Miss


perfettinasotuttoiofacciosemprecosì se l’è tirata, mettici quello che vuoi ma non
è possibile prevedere come andranno le cose, mai, a meno di non viaggiare nel
tempo, non si può prevedere ogni parola, ogni frase e ideare la risposta prima.
Lui restava impassibile anche di fronte ai miei scivoloni, al massimo alzava su
di me uno sguardo di compassione e sussurrava alla segretaria al suo fianco di
modificare i documenti che io avevo preparato.
Più lui faceva così, più lui soddisfaceva quel mio desiderio di frustrazione che
Matteo invece si ostinava a soffocare tra le rassicurazioni, e più io ne ero
ossessionata.
Sì, era un’ossessione, niente di più: non avevo neanche la decenza di
travestirla da infatuazione, di ficcarci un po’ di sentimento, niente, era solo la
mia fissazione di pretendere la sua attenzione, di sedurlo di corpo, di testa, di
qualsiasi cosa, ma di sedurlo. Non sapevo niente della sua vita privata, se non
che era scapolo, che giocava a golf, che il fine settimana scappava in porsche
verso la campagna toscana. Ma in fondo non mi importava più di tanto, io non
volevo lui e la sua vita e i suoi fine settimana, era solo lui che doveva volere
me. Punto. O almeno questo era quello che mi raccontavo.
Con Matteo era un inferno invisibile: lui era il solito angelo pieno di attenzioni,
tollerante anche nei confronti di questi nuovi nervosismi che lui attribuiva alla
legittima paura dell’altare. Lo odiavo, odiavo il suo essere buono, odiavo il fatto
che non mi facesse sudare le mani. Eppure restavo con lui, vigliacca e insonne.

Finalmente càpita la mia occasione: mi assegnano un ruolo da relatrice al


convegno annuale dell’azienda, una vera e propria presentazione da tenere
davanti a tutta quella gente, ma soprattutto davanti a lui. Non mi piace parlare
in pubblico, chissà perché stavolta il capo aveva scelto me. Certo, innanzi tutto
potrebbe servire per la mia carriera, penso, ma in realtà serve a me, è la mia
chance di stupirlo, di farmi notare, di avere la mia personale soddisfazione e
rivincita sulla sua indifferenza. Questa volta ho tutto il tempo di prepararmi,
manca un mese e mezzo, niente scivoloni da panico.

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A Matteo chiedo tutta la sua comprensione per un periodo di assenza dai


preparativi del matrimonio, metto avanti la mia carriera e mi vergogno come una
ladra quando mi sento addirittura pronunciare la frase “lo faccio per il nostro
futuro”. Lui, ovviamente, mi abbraccia felice, anzi felicissimo, e comprende.
Così dico definitivamente addio al sonno e a ogni pensiero che non fosse
attinente alla mia ossessione.
Mi succede infatti che non ci dormo quando aspetto qualcosa. Che ho la mente
a scompartimenti stagni, ed è per questo che da piccola riuscivo a studiare con
la televisione accesa e la banda musicale che si esercitava vicino casa mia. Ed
è per questo che quando aspetto qualcosa penso solo a quella, fossero anche
dei mesi, pensieri solo per quella, e sogni solo per quella, e manie di
perfezionismo che saltano tutte, insieme alle miei inutili liste di cose da fare. Poi
mi succede che il tempo mi scorre tra le mani vischioso, e più aspetto, meno
scorre, si dilata, e io inizio ad avere paura che un giorno quello che aspetto
arriverà davvero, e io non avrò più niente da aspettare. E passo il tempo a
cercare di governare il tempo. Che ora scorra di più. Che ora scorra di meno.
Che ora torni indietro.
Mi immergo nella preparazione del mio riscatto di femmina e di professionista,
la sera faccio le ore piccole in ufficio, scrivo studio leggo modifico perfeziono.
Tanto Matteo capisce.

Il giorno della vigilia della presentazione sono isterica, non trovo pace con una
relazione che mi pare fare schifo. Modifico e annullo le modifiche. Resto in
ufficio anche quando gli altri vanno via, ho bisogno di pace, di essere lasciata
da sola con la mia ossessione. Chissà se sopravviverò a questa notte.
Ed eccola la mia ossessione, che all’improvviso fa toctoc sulla porta aperta del
mio ufficio.
“Cercavo proprio lei, volevo farle in bocca al lupo per domani”.
Non credo di aver saputo emettere suono. Ma lui ha voglia di perdere tempo,
entra nella stanza, prende in giro il disordine della mia scrivania, gioca con le
matite, si accende una sigaretta, si offre addirittura di aiutarmi per le ultime
messe a punto.

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No no non può, la relazione non la può leggere, deve aspettare domani, quella
mi serve per sedurlo se me la gioco subito nella versione dimessa di una serata
di vigilia, mando all’aria mesi di preparazione e strategia.
Ma lui continua a scherzare, si siede sul disordine della scrivania.
Mi guarda le gambe.
Gli guardo il fazzoletto nel taschino.
Merda merdissima stai lontano, il tuo giorno è domani, non cambiarmi le carte
in tavola, ho messo in piedi un castello di aspettative enormi per conquistarti
DOMANI, non oggi, non puoi baciarmi adesso…
Trenta minuti chiusi a chiave nel mio ufficio e mesi di ansie e preparativi buttati
al vento. Io costruivo effetti speciali per catturarlo nella rete e lui si è preso
quello che voleva in mezz’ora. Tutte le attese sono state disilluse. Tante
aspettative, preparativi, cuore in gola, trepidante attesa e invece... solo illusioni
cresciute coltivate alimentate e disattese, un orticello arido e secco. Come
secca mi sembrava tutta la mia vita all’improvviso. Tutto l'inverno passato a
pensare a cosa avrei detto, cosa avrei fatto se solo lui… e poi...niente, tutto si è
consumato in trenta minuti di ginnastica scomposta, altro che seduzione. Mi è
rimasta solo la cenere di una sigaretta sulla scrivania...solo un sorriso dovuto e
poco sincero...solo frasi di circostanza, frasi fatte da parole vuote.
Si ricompone, mi bacia fintodolcemente e nell’andare via mi fa “Mi raccomando,
dormi stanotte che domani devi essere in forma”. Lui sa di sfottermi solo un
milionesimo di quanto io non mi senta sfottuta.

A casa Matteo dorme già. Si sveglia nel sentirmi rientrare, mi viene ad


abbracciare, a rassicurare che sarà un successone. Ormai chissenefrega,
penso.
“Mangio una cosa e continuo a lavorare ancora un po’, tu torna a dormire”.
“Non esagerare però, non ti distruggere, non è poi così importante. Buona notte
tesoro”.
Ha ragione, ora lo so che non è poi così importante.

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Mi ripasso il discorso tutta la notte: è vero, avevo avuto quello che volevo,
l’avevo sedotto con il corpo, ma la mia brama insaziabile voleva ancora stupirlo
con la testa, con la mia bravura, vederlo implorare le mie attenzioni.
Controllo minuziosamente il contenuto della borsa, che ci sia il pass, il check, il
voucher, il feed, il meet, il ticket e chissà che altro. Prendo un antidolorifico per
riposare meglio e invece sprofondo nel peggiore degli incubi: sogno che non mi
suona quellacazzodisveglia! che dimentico di mettere la sveglia, che dormo fino
alle nove, niente panico posso farcela lo stesso, sono in clamoroso ritardo, in
angosciantissimo stramegapazzeschissimo ritardassimo, mi infilo di fissa nella
corsia di sorpasso, sudo, fa un freddo becco, siamo a febbraio ma sudo come
un maiale, ecco vedrai, mi si macchia la camicia, dimenticherò tutto l'intervento,
farò una gaffe tremenda inciampando sui gradini mentre salgo sul palco, il
microfono farà un fischio orrendo e tutti rideranno, mi sbaglierò, intervenendo
prima, o dopo, avranno già cominciato, mi avranno depennata, mi mettono in
prigione, dai dai, ci siamo, dai che parcheggio, a destra, sinistra, così, corri corri
corri corri… Anf anf anf … soffoco, muoio!
BI BI BI BIP! … BI BI BI BIP ! ore 7.30 di mercoledì 24 Febbraio… la sveglia
invece suona, in perfetto orario, è il mio giorno. Finalmente è arrivato e quasi mi
accorgo che la voglia è passata e non riesco nemmeno più a ricordarmi perchè
avessi tanto desiderato che arrivasse questo giorno. Gianluca, già, Gianluca.

Tutto era perfetto, non una cosa fuori posto, gli amici e colleghi fuori al bar a
farmi i complimenti: in effetti ero impeccabile nel mio abito nero, la camicetta di
seta color perla con il collo alla coreana. Tutto perfetto, anche il trucco, il
profumo, i piccoli particolari e gli accessori.
Entro nella sala con fare sicuro, la mia filofax nella mano destra e gli occhiali da
vista, quelli con la montatura rossa, tra le dita. Ma non c'è ancora nessuno, la
stanza è vuota, le sedie di pelle nera non ospitano nessuno, un pizzico di
delusione si affaccia sul mio viso: speravo che lui arrivasse prima, così magari
riuscivo a parlargli, magari avrei potuto scambiare un cenno di complicità prima
di iniziare la relazione. Ma continuo a mantenere la mia postura, non devo
manifestare alcuna debolezza. Mi siedo, apro l'agenda e poso il telefonino sul

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tavolo. Sfoglio l'agenda, scrivo banalità per farmi trovare comunque impegnata.
Provo il microfono, perfetta acustica, poltrone nuove, schermo enorme, perfino
la tappezzeria rimessa a nuovo.
La sala si riempie. Il moderatore comincia con i saluti, le presentazioni e i
ringraziamenti. Gianluca non c’è, possibile? eppure è anche lui tra i relatori.
E’ il mio turno, sento il moderatore annunciare il mio nome. Sorrido, sudo, lui
non c’è.
Non ricordo neanche di aver fatto la discussione, chissà che ho detto, chissà se
ho detto tutto.
Lui è arrivato a metà mattinata, quando io ormai avevo già finito il mio
intervento da un’ora. Si è scusato (con il pubblico, non con me), giustificandosi
per un contrattempo di lavoro. Ha tenuto la sua relazione, poi si è alzato
dicendo di dover scappare. L’ho guardato da lontano, mi tremavano le gambe
anche se ero seduta, riuscivo più o meno a respirare. Io che tutto per lui avevo
fatto, ero andata anche dal parrucchiere all’alba, volevo essere carina per
lui....che cretina! Se n’è andato poco dopo senza salutare (me, il pubblico sì).
Possibile che capitino tutti a me gli stronzi? Poi ho pensato a Matteo e di
stronza ne ho vista una sola.

Questo succedeva due mesi di schifo fa. Da allora ho attraversato un periodo di


annichilimento camuffato da svuotamento post evento stressante. Non ho dato
colpe se non a me stessa e alla mia perenne insoddisfazione, alla mia
incapacità di accettare che tutto possa essere semplicemente giusto così
com’è. In questi due mesi Gianluca l’ho visto solo alle riunioni alle quali non ho
potuto fare a meno di partecipare. Non ricordo mi abbia mai salutata in modo
particolare. Ricordo solo che una volta, spostando lo sguardo dal suo cellulare
alle mie gambe, ha avuto il coraggio di farmi l’occhiolino. Per il resto tutto come
se non fosse mai successo nulla.

Stamattina è squillato il diretto del mio ufficio. La sua voce: “una domanda al
volo per una risposta al volo: vado a Bangkok per lavoro tra 2 giorni, vieni con
me?”

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Non ho dato tempo alle mie mani di cominciare a sudare, né alla mia testa di
pensare alla mia carriera.
Clic. Ho agganciato. E sono scoppiata a piangere.
Lo so che in fondo non era poi così importante, che il problema non era lui, che
lui a modo suo era stato coerente, che io avevo la mia vita altrove, ricca,
intensa, piena di emozioni e interessi. Eppure non mi bastava, mi stava stretta,
avevo fame di altro. Volevo uscirne, volevo qualcosa di nuovo che mi
svegliasse dal torpore.
Ma la vita non procede per eventi che ne cambiano il corso, siamo noi che
speriamo che sia un evento a portarci un cambiamento che noi non riusciamo a
fare. E io non ci riesco. Non so uscire con le mie gambe da questo binario. E
allora ci resto, e - chissà - forse alla lunga mi piacerà.
Evidentemente in fondo con Matteo siamo perfettamente compatibili, io con le
mie insoddisfazioni e lui con le sue rassicurazioni, magari usciremo dall'ingorgo
uniti.

“Pronto Matte, scusa ma prima ero in piena emergenza lavoro. Tranquillo ci


passo tra poco a ritirare le partecipazioni. Non vedo l’ora”.

Tra otto giorni mi sposo: finalmente ho un biglietto in mano per il viaggio di


nozze, una valigia pronta, un aereo da prendere, finalmente saluto tutti, saluto i
miei casini, le mie ossessioni e le mie insoddisfazioni, tutto è alle mie spalle...
gli occhi guardano solo avanti, solo quella destinazione, solo quell’uomo che ha
saputo sopportare le mie nevrosi, finalmente potremo perderci e ritrovarci.
Avrò perso la mia occasione?

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SI RINGRAZIANO (in ordine di apparizione)

Mk e le sue attese disilluse; Mezzastrega che deve parlare davanti a tutta


quella gente; Anny e il suo viaggio a Bangkok; Kadija e la sua cenere di
sigaretta; Gians e il suo cinema tutto nuovo che crolla; Efesto e la sua vita
altrove; Enne che deve imparare a non raccontare i sogni; Kitkat che riuscirà a
cambiare da solo; Menteliquida che non ci dorme e ha paura di non avere più
niente da aspettare; Zot e la sua deconcentrazione; Amatamari© e il suo
tempo da lasciar scorrere; Genny e la sua sveglia; Rossatinta e il suo
stramegapazzeschissimo ritardassimo; ChiaraMst e la sua camicetta di seta
color perla con il collo alla coreana; Aly e i suoi occhi che guardano solo
avanti; Topper che farebbe bene ad andare piano con la moto; Alberto e i suoi
stronzi che capitano a tutti; Clay Bass e le sue due fregature al prezzo di una;
Skeptikal e le sue compatibilità; Troubledsleeper che sa farsi rassicurare da
uno sguardo; Kadjia e la sua mancanza di coraggio; Fiorettolo, i suoi incubi, la
sua sveglia e la sua discussione dimenticata; l’Anonimo e la sua miss
perfettinasotuttoiofacciosemprecosì; Odettetlemonde e la sua voglia ormai
passata.

In offtopic si ringraziano anche il sit in di Mk che speriamo non la porti a


un’assunzione dietro le sbarre; la latitanza di Marcoz che chissà che sta
combinando; Lindalov che in fondo non si è persa granché; Dizaon pusher di
crostate e Slave36 che ha promesso che torna eh!

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