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DELLA TOLLERANZA

di Camillo Berneri

La coscienza relativistica della verit e del bene, se porta a guardare le cose da un angolo visuale pi largo e
conduce, quindi alla tolleranza, porta ad un pericolo: lo scetticismo. Minaccia di indebolire la molla dell'azione,
specie di quella implicante il sacrificio. Bianco o nero: bisognerebbe vedere cos, per lottare senza incertezze;
per dare alla nostra volont una direzione rettilinea. Ma questa posizione non possibile nella nostra epoca, in
cui lo spirito critico s' affilato e in cui la vita complessa; per l'incrociarsi delle varie correnti ideologiche e
trasmutare di valori morali, per il poliedrico aspetto dei problemi di vita politica, economica, sociale.
La tolleranza, del resto, non implica scettica valutazione della vita; dubbio sui fini e sui metodi. E non giustifica il
ritrarsi egoistico dell'opera comune. N implica tolstoiana rinuncia alla violenza.
Tolleranza vale: coscienza del processo relativistico della verit, che non un quid assoluto anteposto all'errore,
ma il passaggio da una ad un'altra verit; un divenire. La verit un momento dell'errore, e viceversa. La verit,
quindi, non A o B, ma la negazione di uno dei due termini, per il principio di contraddizione. Processo di
negazione - affermazione che costituisce il progresso intellettuale. Ma tutto questo vale nella metafisica. Nella
vita vi sono delle verit assolute come sono quelle che rampollano dal sentimento. Sono quelle ragioni che la
ragione non conosce, delle quali ci parla il Pascal. Nella vita la verit ci che si crede vero. E' ci che serve di
punto di appoggio alla ragione, di stimolo e di conforto al sentimento; di leva all'azione. Verit per me, ad
esempio, il dovere della ribellione contro l'ingiustizia sociale e l'oppressione politica. Di questa verit sono certo,
perch ne sento l'impeto e la bellezza.
La tolleranza ha, dunque, due piani di possibilit: quello intellettuale e quello morale. Quanto al primo
tollerante colui che conoscendo il valore dello scambio di idee, della loro fusione o contrasto, non respinge
aprioristicamente le ideologie altrui, ma si accosta ad esse e tenta penetrarle; per trarne ci che vi di buono.
Questa tolleranza abbastanza frequente fra le persone colte e chi prova l'assillo del pensiero riesce ad
acquistarne l'ambito. La naturale conseguenza di questa tolleranza sar il rispetto per qualsiasi espressione di
qualsiasi credo religioso, filosofico, estetico.
Quanto al secondo tollerante colui che, pur avendo fede in un gruppo di principi e sentendo profondamente la
passione di parte, comprende che altri, per il loro carattere, per l'ambiente in cui vivono, per l'educazione
ricevuta, ecc., non partecipa alla sua fede e alla sua passione. La distinzione tra il male e il malvagio, tra la
tirannide e gli oppressori scolastica, e chi concepisce la vita come lotta per il bene e per la libert deve
combattere coloro che intralciano la sua opera di redenzione. Ma il suo spirito, pur negando come formalistica la
distinzione sopracennata nei riguardi del problema morale dell'azione, giunge a combattere senza l'odio bruto
che non sa la piet e non aspira ad un mondo in cui la violenza non sia pi necessaria.
Tolleranza, dunque, non scetticismo intellettuale n apatia morale.
Parr ad alcuno che, dati i tempi che corrono e data la nostra condizione di vinti, sia inutile e fors'anche fuori di
luogo il trattare della tolleranza. Mi pare, invece, proprio questo il momento opportuno. L'intolleranza degli altri ci
mostra la sua faccia briaca. Guardiamola, prima che la bufera trascini anche noi.
I fascisti che bruciano i giornali di opposizione sono, per lo pi quegli stessi sovversivi che non leggevano che i
giornali del proprio partito e ci giuravano sopra.
I fascisti che fanno a pezzi le bandiere rosse sono, per lo pi, quelli che non volevano che i preti suonassero le
campane, che disturbavano le processioni, che offendevano gli ufficiali, ecc. L dove l'ineducazione sovversiva
era maggiore il fascismo s' sviluppato prima e pi largamente. Perch l'intolleranza della violenza spicciola il
portato della miseria e grettezza intellettuale e di una scarsa e deviata sensibilit morale.
Che cosa hanno fatto i dirigenti dei partiti di sinistra per combattere l'intolleranza bruta? Ben poco. Erano quasi
tutti tribuni.
E il tribuno il servo della folla.
L'intolleranza cieca e brutale ha disperso in mille sensi l'energia aggressiva delle avanguardie. Invece di
concentrarsi sui punti vitali delle difese borghesi e statali s' divisa e suddivisa in piccole azioni sporadiche.
Piccoli fuochi di paglia, bastanti a svegliare il cane di guardia ed insufficienti a dar fuoco alla casa. Bisogna che i
rivoluzionari coscienti non si lascino intenerire dalle violenze inutili, dalle malvagit. La rivoluzione una guerra,
e chi l'accetta non pu perdersi dietro all'episodio singolo. Ma in un periodo pre-rivoluzionario necessario che
la tolleranza dei coscienti costringa per quanto pu la violenza acefala nei limiti di un'azione diretta contro nemici
reali e in un periodo post-rivoluzionario necessario che i tolleranti intervengano contro le inutili e vili
rappresaglie, che servirebbero di rpetesto alla dittatura.

Anche riguardo alla tolleranza il giusto morale e l'utile politico concordano.


E a svolgere quest'azione di tolleranza, con la propaganda e con la forza, dobbiamo essere noi. I comunisti
hanno una mentalit domenicano-giacobina, i socialisti riformisti sono dei De Amicis che si perdono in un
impotente sentimentalismo. Noi possiamo abbinare la violenza e la piet, in quell'amore per la libert che ci
caratterizza politicamente ed individualmente.
La tolleranza un concetto squisitamente nostro, quando non si intenda con questo termine il menefreghismo.
L'anarchia la filosofia della tolleranza.
La piet verso chi delinque il substrato della nostra negazione del diritto penale.
Il nostro internazionalismo basato sul principio della possibilit di pacifica convivenza di vari gruppi etnici
aventi una lingua, una storia, usi, costumi diversi. Cos la nostra concezione di assoluta libert di stampa, di
parola, d'insegnamento basata sulla convinzione che non siano dannose varie e contrastanti correnti di
pensiero, quando queste si correggano reciprocamente nel libero gioco della loro concorrenza. Anche nel campo
economico, la nostra tolleranza si afferma, riguardo all'artigianato di fronte alla grande industria, alla piccola
propriet rurale di fronte all'agricoltura collettiva. Noi siamo i liberisti del socialismo appunto per questa fiducia
nella possibilit di fusione degli estremi, di soluzione armonica degli opposti. E per il senso dinamico della vita,
che alla rigida uniformit ci fa preferire l'infinita variet e negli uomini e nelle cose.
La nostra intolleranza (violenza) concepita e sentita come condizione necessaria della pi ampia tolleranza.
Respinta la societ dal campo delle competizioni egoistiche, e tragiche per la loro necessit, in quello pi ampio
dei contrasti ideologici, spirituali, noi crediamo sar realizzata quella citt che oggi pare utopistica: la citt del
buon accordo.
Non si uccide per un pezzo di pane tra satolli. Non si uccider per dissidi ideali in una societ che assicura il
benessere materiale, che non minaccia la vita dei suoi membri, che permette loro di raggiungere quel livello
spirituale, a cui siamo giunti fino da ora quasi tutti, all'altezza del quale la violenza ripugna e il rispetto
possibile.
Le lotte religiose furono sanguinose in secoli di miseria e di tenebre. Oggi non lo sono pi. E l dove lo sono,
come nell'Irlanda e nell'India, al fanatismo s'innesta determinante ambientale del primo, la ragione economica;
sotto forme politico-sociali.
L'anarchia non sar la societ dell'armonia assoluta, ma la societ della tolleranza.
Ma l'anarchia, come ammoniva giustamente il Fabbri, non diviene per una specie di fatalit storica. Diverr se la
vorremo, fin d'ora, con chiarezza di pensiero e costanza di volont. Se la costruiremo in noi e negli altri, giorno
per giorno: con la propaganda e con l'azione nella quale dovrebbe avere il primo posto l'esempio di coerenza.
E a proposito di coerenza credo che sia un nostro pericolo quello dell'intolleranza della tolleranza. Non un
bisticcio di parole. In quest'errore caduto il Rousseau quando nel Contratto sociale scrive: Bisogna senza
piet bandire dalla Repubblica tutti i settarii che dicono: non v' salvezza fuori dalla nostra chiesa; perch siffatta
intolleranza in materia di dogma porta con s necessariamente l'intolleranza in materia civile, l'ineguaglianza,
l'ingiustizia e le discordie. Lo Stato non dovr accettare fra i suoi membri, che quelli che aderiranno a questo
Credo morale e sociale; esso punir con le pi gravi pene, anche con la morte, chiunque, dopo averlo accettato,
lo rinnegher con la parola o con la condotta.
Nessuno di noi arriverebbe a questo punto. Ma su questa strada alcuni ci sono, specie per quanto riguarda la
religione.
Ci sono delle persone religiose che nutrono simpatia per il nostro programma politico-sociale, ma che arrivano
ad esso partendo da presupposti di carattere etico-religioso. Ebbene io dubito che esse potrebbero, senza
trovarsi a disagio, far parte della nostra famiglia politica. Esse sarebbero intolleranti, riguardo alla religione. Vale
a dire non si conformerebbe all'ateismo della maggioranza e cercherebbero di convertire il maggior numero di
compagni. Io credo che in questo non ci sarebbe gran che di male. Perch convertirebbero pochi e quei pochi
rimarrebbero, se lo sono, dei buoni compagni.
A questo punto qualcuno protester. E' per quelli che non sono d'accordo con me che ho scritto questo articolo.
1924.

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