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di Andrea Cirolla

«Come un cane!»

È un ragazzo tenero, anzi tenerissimo, ogni notte quando torna a


casa dà un bacio al suo cane (e ogni volta, quando pensa che lo ritiene
suo, torna a porre sotto processo l'aggettivo, dunque ciò che sottende:
il pensiero si fa lungo, persino politico, e quasi mai sta dentro i
margini della contestualità), guai se no, se no non va a letto, e poi il
cane comincia a ululare, così, al dunque, "mica sei un lupo" gli dice
nell'ipotesi il ragazzo, e lo assiste affaccendandosi, interrompendo
volentieri il sonno, "sei un cane, e un cane...", e riaccende la
consapevolezza nel cane, che risoluto e con un'espressione ferma del
muso fa come se la consapevolezza non fosse solo una proiezione del
ragazzo, come se pensasse, e pensasse: "il mio compito è guaire" (che
il cane pensi per davvero? forse, ma di un pensiero tutto esteriore,
stirato sugli angoli della bocca e affacciantesi alle imposte degli occhi,
nella sclera che mostra), così guaisce, e guaisce di gusto, offrendo al
luccichio il naso umido sotto la candela, fino a quando trova più
piacere a mordicchiarsi la zampa posteriore, a lisciarsi con la lingua il
pelo lungo sopra le unghie nere; ma se anche non guaisce è come se
piangesse, scende dalla sedia e non ci vuole più salire. Come se poi il
ragazzo potesse dare un bacio a questo cane, che allora sì si
calmerebbe facendo il cerchio alla sedia, chiudendo gli occhi.
Ma non è così, e il ragazzo non lo bacia se il bacio è solo uno
schiocco dato più a se stesso che all'altro. Il cane ne soffre, soffre
anche il suo padrone che torna a casa ogni notte come entrando in un
sogno. In silenzio, senza ululare, senza guaire, senza scendere dalla
sedia. È un dolore articolatosi negli occhi, nel suo umido naso
scintillante, e anche nel sogno dell'altro, che non torna mai davvero,
forse nemmeno sogna più, ma davvero piange alla finestra il canto
disperato del cielo.

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