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DIARIO di un neofita della politica/1

Questa rubrica vuol essere, in qualche modo, uno strumento didattico, che potrebbe
venire integrato da “percorsi” effettuati da altri, a costruire un ideale laboratorio di
autoformazione all’impegno politico utilizzabile da tutti i giovani che intendono
cimentarsi in campo così arduo, ma al tempo stesso estremamente stimolante.
Nella consapevolezza che nessun percorso può essere paradigmatico, essa presenta,
giusto per iniziare, un “diario” redatto a posteriori, alla luce di un’esperienza
pluriennale.

Il percorso di Gianni inizia nel 1994. Il nome del protagonista è fittizio; le situazioni
narrate sono effettivamente accadute. Beninteso, “ogni riferimento a persone o cose
è puramente casuale”.

Trentasei anni, insegnante, sposato con figli, dedito al volontariato, un giorno riceve
la proposta di impegnarsi civilmente in un mondo per lui quasi del tutto sconosciuto:
la politica.
In Italia, i “morti” di Tangentopoli, all’inizio degli anni ’90, si contavano a centinaia.
Nella cittadina in cui viveva e nei dintorni, era conosciuto e stimato per la passione
con cui svolgeva il suo lavoro, oltre che per l’attività di volontariato culturale svolta
tirando la carretta per alcuni anni.
Ma la piccola fama personale di cui godeva non avrebbe mai raggiunto le prime
pendici di quella sacra montagna, la notorietà (più o meno estesa, poco importa),
alla cui scalata si condannano, loro malgrado, i politici, se hanno la fortuna di durare
per più di un quinquennio alle bufere che, prima o poi, sono costretti ad affrontare.
Tempeste vere e proprie, le più terribili delle quali si scatenano, manco a dirlo,
all’interno del rispettivo gruppo, partito o coalizione di appartenenza, provocando
spesso la scomparsa subitanea e definitiva dalla pubblica scena dell’ apprendista
stregone.
Crono divora i suoi figli.
Ma qualcuno pare sfuggire miracolosamente alla sua cerca.
Sottoposti, come tutti, alla leggi naturali (sopravvivenza della specie, conservazione
individuale...), la legge indubitabilmente presente nell’ istinto dei politici veri
(dimostrato che lo possiedano) è quella che per ora chiameremo della sintropia
applicata al sociale.
Anche l’individuo politico tende a durare nella sua funzione.
Componente essenziale dell’istinto del vero politico è l’intuizione (o la
consapevolezza) che tale funzione, un certo giorno, dovrebbe finire. Preparare la
propria uscita di scena, il momento in cui mettere il punto fermo, oltre che un gesto
di dignità, è quindi anche un fatto di “giustizia”.
Capita invece che, compiuta la sua funzione, qualche politico dimostri di non
conoscere il detto di Anassimandro e pretenda di “durare”, di non lasciare la scena
quando il suo tempo è ormai trascorso.
Ha scritto Anassimandro:

Donde le cose hanno nascimento, ivi si dissolvono secondo necessità.


Pagano infatti la pena e scontano, reciprocamente, la colpa commessa,
secondo l'ordine del tempo.
(Simplicio, Phys.24,13)

“Colpa”, spiega Martin Heidegger, è termine che traduce il greco adikìa (ingiustizia):
“In realtà [...] la presunta ingiustizia delle cose [...] si risolve nella sconnessione del
soggiornare. [...] Il soggiornare come ostinata persistenza [...] è la insurrezione nella
pura e semplice durata” (Sentieri interrotti, Firenze, 1968, pp. 331-332).

Quella di Gianni è un’esperienza umana e politica senza pretese di originalità,


avviata serenamente a una conclusione che prima o poi verrà. Vissuta con
entusiasmo, nell’ intento di arricchire di significato la propria vita di uomo e di
cittadino, essa è cresciuta nella convinzione che molto si può dare agli altri e che
molto di più possiamo imparare da loro.
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Incipit Comoedia

Febbraio 1994

Un ottimo collega di Inglese, alla sua “prima e ultima esperienza in politica”, come
afferma convinto, da tre anni e nove mesi in Consiglio comunale sui banchi delle
minoranze, stamani mi ha proposto di entrare in una lista civica.
Essa dovrebbe mettere insieme persone di culture diverse, disposte ad imprimere
alla vicenda amministrativa locale quella svolta che si attende da troppi anni. O
almeno a provarci.
Mi propone di “dargli il cambio”. Il canto corale lo attira molto di più.
Il gruppo di cui fa parte lo ha incaricato di contattarmi. “Tutti ti stimano per il tuo
impegno nel volontariato” mi dice, tentando, un po’ controvoglia, di incoraggiarmi
ad accettare.
Mi presenta, naturalmente, il profilo del candidato a sindaco, persona che non ho
mai sentito nominare.
Viene da fuori, trenta chilometri distante. Non importa. Potrebbe valere più di altri.
Ci diamo tempo tre giorni. Ne devo parlare in famiglia, con la moglie e i figli. Sono
piccoli, ma vanno consultati comunque.
L’idea di candidarmi a Consigliere comunale non mi attira in modo particolare, ma
neanche mi dispiace.
Percepisco che nessuno mi potrà essere veramente vicino, a parte la mia compagna,
in una scelta che potrebbe comportare notevole sacrificio di tempo, di risorse e di
energie.
D’altra parte, intravedo nel possibile nuovo impegno un’occasione per mettermi in
gioco, per mettere alla prova le mie convinzioni e i miei valori e, perché no?,
saggiare il valore dell’uomo che sono diventato, con responsabilità famigliari e
professionali ben precise.
L’assunzione di responsabilità politiche e amministrative potrebbe contribuire
significativamente ad arricchire di elementi nuovi il lavoro su se stessi a cui, secondo
i maestri dell’antichità, ci si dovrebbe alacremente dedicare ogni giorno, se non si
vuol restare un’incompiuta.
Dopo attenta e tranquilla riflessione, sentito il pensiero di moglie e figli, ho preso la
mia decisione.
Una seconda sensazione interiore mi dice che essa non sarà revocata in poco tempo.
Potrebbe essere una kehre, come dicono i tedeschi, una vera e propria svolta nella
mia vita.
In salita, sicuramente.
Marzo 1994

Accettata la sfida, il primo pensiero che mi passa per la testa è quello di non gestirla
da solo.
Passate in rassegna le mie conoscenze, scopro che potrei contare almeno su due
persone, che forse potrebbero accettare di entrare con me nella nuova lista.
Insieme, costituiremmo un sesto della compagine.
Ci conosciamo da anni e mi pare proprio che ci accomunino cultura di provenienza e
ideali, nonché il vizio congenito di pensare con la propria testa, in ogni situazione o
evenienza.
Vincenzo è un musicista; come seconda attività, si dedica alla regia di servizi filmati
di carattere formativo.
Paolo è un giovane economista, ricercatore universitario.
Un bel terzetto, che potrebbe presto costituire il valore aggiunto della nostra
formazione elettorale.
Con sorpresa da parte mia accettano entrambi, senza esitazione.
Si comincia.
A meno di tre mesi dal voto, faccio per la prima volta conoscenza col candidato
sindaco.
E’ già lì, disponibile, che diamine! Non ci sono altri, intorno a cui tentare di coagulare
gli sforzi individuali per farne una linea di forza comune.
Uso la prima mezz’ora della prima riunione di lista per studiarne la personalità.
Devo ammettere che non gli mancano alcuni dei tratti tipici del candidato a sindaco.
Se dovessi cercare quelli del leader la ricerca, avverto, sarebbe un po’ più
approfondita. Ma a che pro?
Un sindaco non deve necessariamente avere il carisma della guida politica
riconosciuta.
Dopo le presentazioni, mi metto in luce con il mio primo intervento “politico”.
Sei sono le provenienze culturali espresse nella compagine e sei devono essere i
membri del Direttivo politico che aiuteranno il candidato nella marcia a tappe
forzate verso il successo.
Uno di quei sei sarà uno di noi tre.
Paolo e Vincenzo assentono. Non pretendo di essere io, quello. Qualcosa, anzi, mi
dice che Vincenzo sarebbe l’uomo giusto, se non altro perché è molto più conosciuto
di me.
La proposta viene accolta e ci diamo subito un minimo di organizzazione.
Veloce riunione appartata tra Paolo, Vincenzo ed io. Concertata la prassi della
continua consultazione reciproca, alla fine a rappresentare il nostro gruppetto sarà
l’economista, che è il più giovane. Lo indichiamo al “capo” della lista.
Passano tre settimane, segnate da incontri di lavoro e dalle prime attività di
propaganda, ma di riunioni del Direttivo manco l’ombra. O non è così?
Al dubbio segue la conferma. Vincenzo, un giorno, mi tira da parte.
"Pare che si trovino in quattro. Nemmeno l’esponente dei X.x.X è mai stato
invitato".
Abile, il candidato! Sapendo che il mio gruppetto e gli X..x.X. siamo su versanti
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opposti per quanto riguarda importanti questioni di principio - che nulla c’entrano ,
però, con i fatti e le questioni amministrative -, ha pensato bene di evitare eventuali
conflitti interni.
Bella fiducia!
Decidiamo di lasciar correre sul metodo e sulla forma, per non dare l’idea che si
voglia mettere in cattiva luce il candidato. Saremo più esigenti sulle questioni di
sostanza.
Ma, come si vedrà, molto presto, questa prima concessione si rivelerà essere stata il
nostro primo errore.
Sulla forma si può soprassedere; sulle questioni di contenuto e di metodo, in politica,
è necessario usare chiarezza e modi decisi.
Methodus est substantia aliquando.

Aprile 1994

A dieci giorni dalla data di presentazione delle liste, ecco la prima vera prova di
tenuta della linea di comportamento politico adottata di comune accordo da noi tre
novellini.
I rappresentanti degli X.x.X., sul versante opposto al nostro su questioni come
l’aborto, il divorzio, la fecondazione artificiale e l’eutanasia per intenderci,
pretendono che si faccia per loro un’eccezione alla regola stabilita insieme sin
dall’inizio: “I candidati saranno tutti volti nuovi”, si era deciso in prima riunione.
Un loro esponente, Consigliere comunale uscente, non ne vuol sapere di farsi da
parte. Va comunque inserito nella lista. Dichiarano che sarà molto utile al gruppo,
per l’esperienza maturata.
“Vabbè che siamo tutti neofiti della politica, e che farebbe comodo avere a fianco,
almeno nei primi due anni, uno che conosca almeno un po’ la macchina”, vien da
pensare.
Ma non potrà rendersi ugualmente utile, negli incontri di preconsiglio?
La condizione di partenza era chiara a tutti. Perché questo cambiamento di carte in
tavola?
Quando l’esponente di spicco degli X.x.X., in una concitata riunione a mezza mattina
per partecipare alla quale ho dovuto farmi sostituire a scuola da un collega, minaccia
di ritirare l’appoggio della sua formazione politica per passare armi e bagagli nello
schieramento avversario, scopro in me, per la prima volta, un talento sconosciuto. So
cosa si deve fare, senza bisogno di interporre pause di riflessione.
Paolo mi avvicina, solo un po’ perplesso, e spera di leggere nei miei occhi la
decisione.
Vincenzo sarebbe più disponibile a valutare la cosa, ma concordiamo sul fatto che i
quattrocento voti che andrebbero probabilmente perduti verrebbero compensati dal
giudizio degli elettori sulla coerenza dimostrata in questa prova da noi “neofiti” .
Lascio a Paolo il compito di far presente che se si defletterà dalla scelta di partenza il
nostro appoggio alla lista e, ciò che più conta, quello della nostra area culturale di
appartenenza non avrebbe più ragione di essere.
"Qui ci siamo giocati il risultato finale", sussurra Vincenzo.
"Ci siamo assunti un bella responsabilità...", commento io.
"Siete dei pivelli della politica!", urla piccato l’esponente degli X.x.X. e se va
sbattendo la porta.
Il candidato a sindaco, a questo punto, svela se stesso, compiendo il più madornale
degli errori per un capo di una compagine eterogenea che dovrebbe trasformarsi in
schiera compatta.
Senza prendere tempo, cosa che gli sarebbe stata utile per mediare, decide
all’istante.
Anche se a malincuore, farà a meno dell’appoggio degli X.x.X. .
Nella vita, la coerenza paga. La fretta mai. E in politica?

Maggio 1994

Passano i giorni. Si arriva al voto, dopo una campagna elettorale appassionante,


condotta da noi tre e qualche altro con compostezza, direi pure con stile.
Lo scrutinio viene seguito da staffette che fanno la spola tra il Municipio e la sede.
Un’esperienza al cardiopalma, per il candidato a sindaco. Io sono soddisfatto della
campagna elettorale. Veramente una bella esperienza: incontrare la gente e parlare
con i concittadini, cominciando dai problemi delle singole frazioni, delle singole vie,
per finire con quelli riguardanti il bene di tutti.
Mi si è allargata la visuale che avevo della società cittadina. Mi sento già, quale che
sia il risultato che uscirà dalle urne, più partecipe della vita che pulsa nel mio
territorio.
Per soli dieci voti, la nostra lista non va al ballottaggio.
Io becco la bellezza di 114 voti; terzo, tra i candidati Consiglieri della mia lista. Non
entro in Consiglio comunale, ma se uno dei primi nostri due dovesse ritirarsi…
Nei giorni seguenti alla prima votazione, fonti attendibili affermano che il nostro
candidato, senza averne il mandato, si sarebbe sentito col candidato giunto secondo,
per contrattare un posto o due in giunta, in caso di vittoria.
Malignità, penso tra me e me. Ne circolano così tante, in una campagna elettorale,
qui da noi, in Italia, che probabilmente siamo secondi, in assoluto, al mondo,
dopo .... immaginate voi, la nazione che vi pare.

Giugno / Novembre 1994

Alle prime due riunioni di valutazione dell’impresa, dopo il ballottaggio, hanno fatto
seguito sporadici incontri di lista, in cui i nostri due eletti hanno tenuto banco con
aggiornamenti sempre meno interessanti.
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“Cronache marziane”, abbiamo finito per chiamarle. A nessuno dei tre è venuta
manco la curiosità di assistere allo svolgimento delle assemblee del Consiglio
comunale.
Esperienza politica dunque conclusa?

Febbraio 1995

Due mesi di silenzio. Nessuno più si è fatto vivo.


Credo che la mia esperienza in politica si possa considerare definitivamente chiusa.
La campagna elettorale delle provinciali è partita da qualche giorno e nessuno mi ha
degnato di telefonata.
La Lega-Liga (non ancora secessionista) tira fortissimo, da queste parti: i vertici del
centrosinistra hanno pensato bene di stringere col nuovo movimento di Bossi
un’alleanza strategica, per battere senza esitazioni le destre.
Il Ppi e il leader della mia lista, a mia insaputa, hanno raggiunto un accordo.
Sul mio nome!
Il segretario del Ppi, autentico "tagliatore di teste", non trovando nella sua area
candidati validi, ha proposto ai suoi di candidare uno della mia lista.
I nomi usciti, mi dicono dopo alcuni giorni, erano due: quello di Vincenzo e il mio.
Vincenzo non è disponibile, in questo periodo, almeno così pare. La sua passione per
la politica è discontinua; si fa vedere poco in giro.
Un collega di Educazione Fisica, membro del direttivo locale del Ppi, ieri mi ha fatto
la proposta.
Sono tornato a consultare moglie e figli:
- Un’altra campagna elettorale, papà!? - hanno chiesto quasi in coro i miei tre, ormai
fanciulli.
Stamani ho accettato, ma ho chiesto la firma congiunta dei due leader su un
documento che dichiari che per quelle elezioni l'intesa sul mio nome era stata
raggiunta in maniera chiara e trasparente.

Marzo 1995

All'ultimo momento, senza preavviso, la mia vecchia lista ha lanciato Vincenzo come
candidato alle provinciali per il "Patto dei Democratici" di Segni & C.
Nello stesso collegio!
Che razza di decisione è mai questa? Certo, non politicamente corretta nei miei
confronti.
Evidentemente, qualche nemico interno me lo devo essere già fatto l’anno scorso,
ma ancora non viene allo scoperto.
Forse sono da questi considerato un candidato a perdere.
Vincenzo mi ha incontrato stamattina, al bar Centrale. Visibilmente imbarazzato,
confessa di aver firmato già l’accettazione della candidatura.
- Senza consultarci tra di noi? - ho risposto deluso. Paolo, l’economista, ha lasciato la
città da qualche mese. Il lavoro lo ha portato in un’altra regione.
Perdonare gli errori degli amici è a volte più difficile che perdonare i nemici. Ci
stringiamo la mano.
Analizzata la situazione e mettendo insieme i pezzetti d’informazione di cui ognuno
dispone, scopriamo la trappola: il personaggio DC emergente degli anni Ottanta, che
di strada nel frattempo ne ha fatta molta, ha tentato di eliminarci entrambi dalla
scena politica cittadina, cercando di metterci in concorrenza!
- Forse siamo ancora in tempo per rimediare -, concludo.
Vincenzo, lealmente, accetta per sé una campagna in sordina, per non ostacolarmi.

Fine maggio 1995

Dopo una campagna elettorale intensa, con il decisivo l'aiuto organizzativo


garantitomi dal segretario locale del Ppi, le elezioni hanno decretato un risultato
sorprendente: sono eletto in Consiglio provinciale con il 19,80% dei voti nel collegio
(il 21% nel mio comune).
Per mia fortuna, i vertici della mia lista delle comunali dell‘anno scorso non hanno
potuto controllare i voti del loro elettorato. Non è mai facile, tranne che in certe aree
del Paese, mi dicono.
La prova? Se nel '94 alle comunali il Ppi raggiunse il 14,9%, almeno un 5 se non un 6%
dei voti che hanno portato alla mia elezione li ho pescati nell'alveo della porzione di
elettorato che Paolo, Vincenzo ed io rappresentavamo l’anno scorso.
Vincenzo, l’ho constatato di persona, mi ha fatto da gregario. Mi ha pure telefonato,
per farmi le congratulazioni.
Mi ha fatto intendere che nel capoluogo mi aspetta un lavoro lungo. Da solitario.
Gli ho risposto che il mio motto è quello di Dag Hammarskjöld: “Alle mie condizioni,
quelle poste da me”.
Vivere sotto questo segno, ha scritto il grande scandinavo, significa comprare la
conoscenza di una linea della vita al prezzo della solitudine.
[E il documento a firma congiunta da me richiesto? Come si vedrà in seguito,
attenderlo per alcuni mesi fu forse la mia ultima ingenuità di cittadino eletto per la
prima volta. Se il mio vecchio leader l'avesse firmato, forse il futuro del
centrosinistra della mia cittadina sarebbe stato diverso]
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Tra dieci giorni si insedierà il nuovo Consiglio provinciale.


Mi servono progetti per realizzare i cinque punti del mio programma e un vestito
nuovo.

- continua -

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