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Buffet a deux - pt iii Peyrani Sono seduto al tavolo di un locale nel centro di Torino, quando mi squilla il cellulare.

Simone Sandretti, il presidente, che mi passa Fabrizio Gargarone, detto Gargamella, direttore di Hiroshima Mon Amour. un pezzo grosso, e mi metto sullattenti. Possiamo fermare Blixa Bargeld per la serata del 2 Novembre; chiede 4500 Euro. Ce la sentiamo? Non faccio attendere la mia conferma, mentre il cervello si mette a far conti. Garga ricomincia a parlare, accennando a dettagli tecnici, ma cade la linea. Per un attimo il mio pensiero vaga. Blixa Bargeld. Penso al mio articolo sulla Sveglia, la storia delle nostre vite, il Buffet a Deux. E penso ad Atzori. Aveva scritto un bel pezzo riguardo quei giorni in cui Blixa gli parlava nel cervello, durante una crisi dastinenza da antipsicotici - una settimana per me splendida, tra il finire di Ottobre e gli inizi di Novembre 2004, a Berlino. Sarebbe stato perfetto, rimugino, come pubblicit alla serata. Peccato sia andato perso. Sar capace di riscriverne uno al pari? Atzori @ Quel concerto mi faceva schifo. Sembrava di essere al doposcuola. Blixa Bargeld che faceva da direttore e tutti facevano il coro. In mezzo vedevi anche persone di una certa et che per, a quanto pare, erano rimaste troppo attaccate all'infanzia. Io ero coinvolto in questa buffonata, ma non stavo certo tra le fila dei partecipanti. Vagavo per il Palast der Republik di Berlino pieno di rabbia per la situazione ridicola in cui mi trovavo. Ero, inoltre, un po' deluso da Blixa Bargeld. Grazie a lui, un anno prima, avevo imparato a far rientrare nella sfera dell'Estetica tutto ci che riguardasse la capacit di distinguere non il bello, ma piuttosto la capacit di Senso. Da lui avevo imparato che qualsiasi cosa fossi in grado di sentire tramite il mio tessuto percettivo, fosse degno di attenzione, e che per arrivare a ogni conoscenza mi sarei dovuto muovere attraverso di esso con disciplinata accettazione di ogni dinamica costante, creativa, in un vedere senza protesi dove tra fuori e dentro non avrei trovato pi alcuna distinzione. Quella sera invece mi sembrava un imbecille, un convinto, uno che stava facendo una porcheria e che si stava pure impegnando per farla, quasi fosse un dovere (ed effettivamente lo era). In quei giorni avevo deciso di farla finita con la terapia farmacologica. Questo mi generava scompensi che era difficile ignorare. Seguivo il flusso ondivago di ogni sensazione, pativo ogni carenza estetica (intendendo come tale ogni identit ravvisabile). Era una situazione cos adolescenziale. Io dovevo uscire dall'adolescenza e invece mi ci trovavo incastrato in maniera beffarda e sprecata. Blixa mi sgridava telepaticamente: voleva che mi inserissi nel coro. Io non ubbidivo. Quella disciplina che lui mi proponeva, non m'interessava. Non volevo far parte di quel gruppo. Io non ero un fan degli Einsturzende Neubauten. Non me ne fregava niente. Ero senza farmaci, quindi vomitavo, deliravo. Quel concerto non valeva nulla, e ancor meno valeva rispetto a quello che io ero capace di sentire e vedere. Io ero il tempo e lo spazio. Ero io a determinare il confine del reale, perch il reale scaturiva da me, da un s che respirava attraverso i miei polmoni e che ad ogni movimento di diaframma generava nuovo spazio, nuova realt, nuove allucinazioni. Ma non ero certo in grado di vivere questo stato in maniera cosciente, cos lo pativo. Creavo varie frammentate realt, che erano ciascuna il tessuto di parti disunite. Era come se si aprissero tante finestre sulle cose e queste girassero intorno alla mia testa-lavatrice. Sentivo, percepivo la mia testa come una lavatrice. Non volevo allinearmi al loro ritmo, cos cercavo di crearne di nuovi. Tentavo di trasformare in musica i rumori che provenivano fuori da quel contesto sonoro.
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Non sopportavo quella musica. Sembravano tutti burattini di Blixa Bargeld: un coglione tedesco con il panzone che faceva il dark dandy vivendo dell'eredit della sua ormai consumata aurea mistica. L'astinenza da farmaci rendeva il dolore un elemento ancora pi esteso. Era cos perch avendo assunto per un mese quelle pastiglie mi ero disabituato alla necessit dell'intelligenza. Affidavo a qualcosa d'altro il compito di porre tregua a tutte le confusioni. Il risultato era un sonno inutile e una debolezza che mi rendevano fragile agli attacchi dei demoni che io stesso creavo dalla superficie della mia epidermide emotiva. Intanto erano tutti l che cantavano in coro. C'era anche Peyrani, anche lui coinvolto in quella schifezza. Credo che quel che pi mi terrorizzava, in quel che mi stava succedendo, fosse il "fatto" che accadesse realmente . Ad esempio, Peyrani mi appariva come un ragazzino. Aveva vent'anni, in fondo. Blixa era un signore che faceva l'alternativo e che l'underground anni ottanta aveva reso un professionista. Ma poi c'erano i loro s: vivi, agivano. Comunicavo con essi telepaticamente, li vivevo. Ma loro avevano di s una coscienza parziale. Questo non poteva che terrorizzarmi, perch tutto quel che mi accadeva aveva qualcosa di abominevole in quanto alieno, vicino alla biologia, separato dal civile. Questa realt non potevo che viverla passivamente. Forse fu proprio quella passivit a salvarmi. Un'intima gioia Zen che mi accompagnava. Facevo un lavoro segreto, sottile, insomma assurdo. Peyrani @ A Berlino avevo con me la videocamera con la quale ero solito riprendere le nostre grottesche imprese, ma le immagini del concerto che rividi in seguito non le avevo filmate io. Altri fan, con macchine digitali simili alla mia, diretti dall'alto, fornirono tutto il girato necessario al dvd che usc l'anno seguente. La grana fredda delle immagini mostra una continuit perfetta le nostre riprese dell'epoca, e le scene in cui appaio rafforzano l'impressione. Atzori, invece, non compare nel dvd. Mi chiedo se due mesi dopo le cose sarebbero andate nello stesso modo. Forse no; forse invece le situazioni si ripeteranno sempre uguali. Fatto sta che per me era in agguato un grosso cambiamento, che si era preparato nell'ultimo anno e mezzo. A Berlino Luca ed io viaggiavamo su piani completamente diversi. Lui era disincantato mentre io entusiasta; lui abulico, io fanatico. Ho sempre fatto coincidere la fine del 2004 con la fine della mia vecchia vita. Ma adesso che passato tutto questo tempo mi chiedo se sia mai finito niente. Sono tornato sui miei passi e sono forse pi simile oggi al me stesso di quel viaggio a Berlino, sull'onda di una megalomania maltrattenuta, di quanto lo fossi due mesi dopo: terrorizzato. Ricordo ancora quando venne a prendermi Atzori, l'unico d'altra parte che potesse capire la situazione, e mi trov nella mia stanza, che blateravo di demoni, terrorizzato, per l'appunto. Mi guard dispiaciuto, quasi come se si sentisse in colpa. Era un'espressione che non gli avevo mai visto, infatti mi colp ulteriormente e la ricordai. Pensai, la faccenda veramente grave. In quella notte di terrore trovai, per quanto discutibile, la mia stella fissa. Quando nel 2010 incontrai Simone Sandretti in preda al delirio, mi sentivo perfettamente a mio agio, come se non fosse passato un giorno. Fu naturale credo, che il Torino Mad Pride nascesse dall'incontro tra Sandretti da una parte ed Atzori ed io dall'altra. Anche se le allucinazioni passarono, cio, anche se distrussi il transfert che permetteva le allucinazioni, la mia vita seguente, questa vita che ormai mi sta addosso un po' logora e che si sgretola con le parole che fluiscono sullo schermo sancendo la distanza ulteriore, fu ed tutta frutto di quell'impulso iniziale. Cosa avvenne in quei due mesi, per avere un effetto cos dirompente? Conobbi qualcuno. Luca mi diede un nominativo, il nickname di una certa persona, una ragazza, vera, in carne e ossa come noi, che lo torturava. Ma come poteva torturarlo, se si erano visti solo due volte e in pubblico, come poteva se era solo una ragazzina che viveva in un'altra citt? Ovviamente non era veramente lei a torturarlo... d'altra parte Luca non era il solo a sostenere che la ragazza fosse telepatica. Un ragazzo di Firenze diceva lo stesso. Dalle loro testimonianze sembrava che lei avesse un influsso fortissimo, come quello di un guru o di una bodhisattva, ma anche che l'influsso esercitato fosse pestifero. Tutti finiti
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ad antipsicotici. Ed eccoci tornati all'inizio della storia: "Afasia era il nome, sul campo telematico..." Ma se Luca sapeva tutto ci e, cosa pi rimarchevole, se era innamorato di lei fino all'ossessione, perch mai mi disse di andare a cercarla, e come trovarla? ATZORI

Iniziavo a sentire di fare parte di una rete di persone sparse per l'Italia. Gi, perch non era vero che la mia amica Afasia generava la follia nelle persone. La verit che esistevano (ed esistono tutt'ora) persone sparse per la nazione, che sono accomunate da un'affinit estetica e perci etica. Persone sole, distanti, che anche se raggruppate non risolverebbero nulla, perch appartenenti a un'oligarchia ridicola, vicine ma senza coscienza. Persone che stanno costantemente lavorando insieme ma pur non essendone consapevoli, quindi ingiuste con se stesse. Questa follia iniziava ad accomunarci e io riconoscevo nelle persone quei tratti che potevano distinguerle. La follia era diventata una mania di selezione. Cercavo solo quelle persone che potessi riconoscere come fossero antenati, parenti, o compagni di sogno. Linda era una di queste persone. E anche Piero. Ogni tanto il bisogno di incontrare persone simili diventava ossessivo. Ecco perch avevo deciso CONSCIAMENTE di contagiare una mia amica (Beatrice), quella con cui suonavo, che condivideva con me l'immagine di un aereo che saliva e le voci sotto che dicevano Enoch sale in cielo!. S, lo ammetto, io la volevo contagiare. Cos come volevo contagiare altre persone. Perch no, lo dico, io volevo contagiare anche Peyrani. Che cos' il contagio della follia? Il senso esterno non che un senso interno esteso, condiviso. Io volevo solo che il mio senso interno si estendesse per far s che potesse modificare la realt intorno. Ho iniziato dai miei amici pi stretti. Era giusto cos. Il contagio nella follia questo. E dimostra che non esista follia, ma solo punto di vista soggettivo, dinamico, che si muove come un'onda temporale e che lentamente cambia anche il mondo di ciascuno. Noi che facevamo (e facciamo) parte di quella rete, avevamo (e abbiamo) questo compito. Niente di troppo macabro o ottocentesco. E' natura. Peyrani Niente di troppo ottocentesco, certo. Per allepoca, quellAtzori che non era un ragazzino, eliminava ogni riferimento a tecnologie contemporanee come telefonini o chat dai suoi scritti, sostenendo che solo la scienza ottocentesca fosse abbastanza elegante per entrare in un libro. Sullo stesso livello, quello dei piccoli inganni, ci sta anche quella forzatura secondo la quale mi avrebbe fatto conoscere Linda per infettarmi, ma che Linda non avrebbe infettato nessuno perch il vero untore - sarebbe stato lui. Sono particolari, che per confondono le acque mentre a me interessa parlare della mia esperienza il pi nitidamente possibile per cercare di capire, oltre che per essere creduto; le due cose non possono disgiungersi in un caso delicato come questo. Secondo me non fu casuale che Linda Valle ossessionasse, fino a infettare, vero, dei maschi, e che viceversa Beatrice o chi per lei, la terza generazione diciamo, fosse nuovamente costituita da femmine infettate da quei maschi. Linda stessa era stata infettata da un maschio, la generazione zero di questa pandemia Andai su internet, trovai la chat. Trovai unidentit virtuale a nome Afasia, le lasciai un messaggio. Le scrissi che ero amico di Beatn|k (il nickname di Atzori), che mi aveva raccontato di un uomo
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misterioso che le era entrato nella testa, un uomo con un occhio di vetro, e le buttavo due esche per farla raccontare, citando con vaghezza parole di Jung, che avevo letto per la prima volta quellautunno, e di Eliot, sullarchetipo del Vecchio Saggio, che definivo mercante e marinaio; come se quelluomo dallocchio vitreo dovesse essere un suo sogno, o sua allucinazione; comunque il simbolo di una forza inconscia e non un uomo in carne ossa. Ne ero infatti convinto: Atzori me laveva descritto come una visione; probabilmente perch pensava che fosse davvero tale. Tre anni dopo, il migliore amico di Linda, Nicol Serafin, mi conferm che non era cos. Luomo dallocchio vitreo era un barbone, che anche lui aveva incontrato pi di una volta, un uomo che vendeva tessuti colorati sulla piazza del paesino... Ma procediamo con ordine: dopo che le scrissi quel messaggio, passarono solo un paio dore, poi mi arriv questa mail:

io non so quanto ho capito o quanto io voglia capire di ci che mi scrivi. quale significato portino le immagini del mercante e del marinaio mi interessa relativamente. ero in una piazza vuota la prima volta che vidi l'uomo dall'occhio vitreo, lui corse verso di me e mi grid " liberato!" indicando il campanile. venne a liberarmi dalle premure del macigno affinch potessi interpretare le simbologie del vetro e del ferro. Lo rividi spesso nei dintorni della piazza la mattina presto. poi scomparve e io rimasi ad aspettarlo sino alla notte americana quando mi diede l'addio. camminavo in una via angusta e d'improvviso dal cielo cal sulle case un sipario di pece. tutto si vel nuovamente. non ho portato a termine il mio compito. il profeta bambino dagli occhi plumbei mi ha avvisato. solo cinquanta. ora l'uomo dall'occhio vitreo tornato. sedeva per terra nella piazza vuota. il suo occhio mi ha trafitto. non sono stata di parola. Io sicuramente ero un ragazzino, avevo ventanni ed ero pi credulone che mai. Ma era una ragazzina anche quella che mi scriveva? Aveva diciassette anni? O era qualcuno di pi vecchio, magari un uomo di trenta, che mi prendeva in giro? Il tono con cui tagliava corto il mio balbettio ignorante era severo, poi per proseguiva scrivendomi apertamente, indifferente a chi fosse davvero il suo interlocutore, ermetica come se dovesse riferire soltanto a s; infine epica, spettacolarizzante e distaccata come un bambino genio che simprovvisa romanziere, un po per scherzo. In seguito riuscimmo a chattare. Quado la vedevo in linea mi emozionavo tantissimo, poi le parlavo anche se con qualche esitazione. Da un lato i suoi discorsi mi illuminavano, dandomi da pensare per giorni, dallaltro mi riempivano di vergogna, non tanto per la mia ignoranza, che veniva sempre e comunque al pettine, quanto per la mia poca purezza. Scrivendo con lei mi rendevo conto di quanto le mie parole fossero volte a coprire qualche debolezza, a imitare qualche sentito dire, insomma strategiche, insincere; con tutte le forze cercavo di migliorare per scrivere come lei. Il suo stile era ossessionante, quando una nuova stringa si aggiungeva in chat mi pareva di dovermi battere la mano in fronte ed esclamare Come fa ad essere cos precisa? Cos disinteressata? E mi scriveva di cose bellissime, di Yves Bonnefoy, di Dino Campana, di Mallarm, di Deleuze, di Carmelo Bene,
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di Rimbaud, di Le Corbusier, di Andrej Belyj, e mi mandava musiche stupende, da Paolo Conte ai Tuxedomoon, da Piero Ciampi a Terry Riley, tutto in poche conversazioni, linee guida critiche di unestetica matura che mi avrebbero influenzato sempre. Inoltre faceva cose strane; per esempio, il solletico. Si arrivava a volte in chat a momenti molto intensi. Come in un film in cui taccia improvvisamente laccompagnamento musicale, ecco che la chat rallentava, si fermava del tutto. Intanto il cuore a mille, una tensione spropositata. In quei momenti mi pareva di sentire la stanza da cui scriveva. Sapevo che si trattava un seminterrato blu cobalto, integralmente blu cobalto: mobili pareti soffitto soprammobili coperte e lenzuola a parte il pavimento, di legno, tutto era blu cobalto, anche se il colore preferito da lei era in realt il blu di Prussia, e suo fratello il blu oltremare La sentivo spostarsi in quella stanza che si sovrapponeva alla mia, alla mia percezione di casa mia, come un sogno ad occhi aperti. Sentivo tintinnare. Unatmosfera di estremo oriente traspirava da quella stanza: India, Tibet; Giappone. Poi mi faceva il solletico. Mi rendevo conto di averla l, di fronte a me per modo di dire, in quellaltra stanza, e lei allungando le mani poteva attraversare il mio petto! Se si potesse definire il corpo di quella stanza che percepivo a spizzichi e bocconi come un corpo astrale, allora i nostri corpi astrali non erano impenetrabili come quelli fisici. Piuttosto, erano volumi di emozione trattenuti da membrane di senso. Sapeva entrarmi nel petto colle dita e solleticarmi, con tenerezza infantile ed erotica, il cuore stesso. Mi buttava gi dalla sedia (non resisto al solletico) senza neanche battere una parola sul computer. E ammetteva di farlo, senza scendere in dettagli: unarte antica tubava. Fu in quei frangenti che iniziai a sentire la sua voce. Era una voce-pensiero senza polmoni, di una sincerit devastante. Sembrava anzi che la sincerit assoluta del desiderio di comunicare un determinato messaggio fosse la conditio sine qua non affinch almeno uno di quei lampi potesse avverarsi. Ecco perch penso che lamore sia uno dei due ingredienti fondamentali nella creazione del legame che permette a unentit disincarnata di comunicare con noi attraverso un certo feticcio, feticcio che permette il transfert con lentit suddetta; amore e conoscenza, Beatrice per Dante. Tutto quello che stava accadendo a Lorenzo io lo davo per scontato. Mi sorprendeva il suo stupore. Sapevo, razionalmente, che era uno stupore legittimo, ma tutto ci per me era cos quotidiano che nemmeno me ne accorgevo. Gi, tu lettore penserai che sto sottintendendo che anche io vivessi le sue stesse esperienze. Eppure io ero certo del fatto che Linda non centrasse nulla. Almeno, ero certo del fatto che non fosse Linda a parlarmi. Ero consapevole che quel che accadeva era il frutto di una insolita concatenazione relazionale. Linda era molto simile sia a me che a Lorenzo. A me per alcune cose a Lorenzo per altre. Cerano in ballo un misto di affinit e conflittualit che generavano uno strano cocktail. Le affinit erano sottili, i conflitti anche. Vivevo tutto apaticamente. Era unapatia dolce. Sapevo che non ero in contatto con Linda, ma piuttosto avevo capito che lestetica perch potesse definirsi pura e matura dovesse attingere ai propri sensi i quali non si limitano alla percezione fisica di un dato momento separato dagli altri, ma a unesperienza dellimmanente, dove tutto accessibile perch sempre presente, inseparato. Ero consapevole di questo gioco e lo vivevo in maniera tacita come sempre si fa con il sacro. Certo, quello che avveniva era qualcosa di sacro. Il sacro che va oltre le differenze sociali che rappresentavano i veri problemi fra noi. Un sacco di risentimenti che vivevo nei confronti delle loro esistenze che percepivo come borghesi. Un senso di antipatia che costantemente tesseva le pareti della mia stessa apatia. In fondo parlare del rapporto che avevo con Linda corrisponde a porre attenzione ai rapporti superficiali che vivevo allepoca. Rapporti virtuali, niente di reale. Era un transfert continuo, vissuto narcisisticamente. Mio dio, ma cosa sono diventato oggi, uno psicanalista da quattro soldi?

Pensavo che non mi sarei mai pi potuto innamorare se non di una donna perfettamente pazza. Camminavo per le strade e mi sentivo euforico, Afasia era un segreto, un segreto che mi rendeva invincibile. Esternavo con sempre pi facilit il mio mondo interiore, come se tutti dovessero esserne messi a parte, e diventavo teatrale. Mia madre mi disse spaventata Non vedi che sei dissociato? e io no, non lo vedevo. Cera anche Atzori quella volta a casa, credo. Uscivo la notte e magari spaccavo tutto, macchine e bidoni e vetri e allora di solito qualcuno me le dava. Feci arrabbiare un mio amico, una delle persone pi buone e meno violente che conosca, e lo portai a darmele di santa ragione. Rotolammo gi dalla curva di via Stradella (lui molto pi forte di me) e venimmo fermati dalla polizia. Mi ero fatto un bello strappo lombare e cos ci misi pi di unora a tornare a casa, poi girai col bastone. La debolezza del fisico aiut la voce a farsi sentire, il dolore mi rendeva emozionato, e, come cercavo di spiegare prima, lemozione benzina per lallucinazione. O per la magia. Parlavo di amore, ma vale qualsiasi emozione forte, le pi facili sono quelle sgradevoli. Lamore permette a unallucinazione di rimanere coerente, approfondirsi e sfaccettarsi nel tempo nel modo pi profondo. Lamore crea vere persone nella testa, belle persone; vita. La paura pi facile e altrettanto duratura e coerente, laltra strada privilegiata dalle entit. In quel periodo ricordo che Lorenzo si era appassionato a Jung, i simboli, cose che non mi interessavano e che avrei consultato solo pi avanti. Mi facevo piuttosto bello con la letteratura, un pizzico di filosofia, ma tutto sommato era solo un farsi bello. Con questo non intendo che non capissi, che lo facessi per darmi una posa, significava piuttosto che ero eccessivamente preso bene dalla mia follia. La confondevo con il genio. Questo per poca stima in me stesso. Perch non essendo folli che si geni. Mi credevo gi arrivato. Invece la follia una punizione. Corrisponde a un eccessivo avvicinamento alla verit, la quale diventa indiscernibile. Un po come quando guardi casa tua da googlemap, pi ti avvicini pi diventa indiscernibile. Pensare alla follia da folli impossibile. Perch quando si folli si pensa solo alla verit. Eppure la verit corrisponde a unillusione. Quella stessa illusione che io avevo di essere un genio. Eppure per essere geni bisogna essere il meno illusi possibile. Essere un genio non significa essere folle perch essere genio non divertente. divertente credersi un genio, ma esserlo non lo . Anche mentre sto scrivendo questo mi sto credendo un genio. Sono in un momento in cui sono un po folle. Ho fumato una canna in pi e le canne hanno un effetto schizofrenogeno. La schizofrenia una cosa imbecille. Non la biasimo, ma unimbecillit. Credo che personalmente avere fumato una canna non sia stato saggio in questo momento. Ma in fondo, non cos grave. In fondo mi sento solo un genio. Luned 20 dicembre 2004 frequentai la lezione di filosofia teoretica alluniversit, tornai a casa e chattai con Afasia. I miei uscirono di casa. Durante la chat sentii spesso la voce che si sovrapponeva al flusso scritto; io le rispondevo e la maggior parte della conversazione avvenne nella mia testa. Quando Linda si stacc, un paio di ore dopo, era il crepuscolo; ma la conversazione non si concluse con la fine della chat. Camminavo per le stanze su e gi completamente assente, intanto parlavo nella testa e ogni tanto, per distrazione, mi uscivano degli scampoli a voce alta. La voce non era pi un flash, e neanche appariva per scenette, a intermittenza. Cera una buona ricezione. Le risposte alle mie domande erano immediate, sorprendenti e ben formate. La voce, cristallina, non corrispondeva al tono di voce reale di Linda, che basso, ma a quello dei suoi pensieri. Il timbro era disumano, il riverbero quello di una stanza diversa da quella in cui mi trovavo io, di dimensioni abbastanza piccole ma ben presente. Il contenuto delle risposte, come dicevo - sorprendente. Come potevo essere io a formularle, se la voce ne sapeva pi di me, si esprimeva meglio di me, aveva decisamente pi spirito ed addirittura pi umanit di me? Non perch fosse umana ma perch era umanitaria e, contemporaneamente, cinica e dura, come un vecchio poeta. Col tempo trovai le mie risposte, ma quella sera ero travolto dallesperienza. Non pensavo che Linda comunicasse con me
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telepaticamente in diretta, perch non avevo la presunzione che lei stesse passando tutto quel tempo senza fare altro, per credevo di stare realizzando una sua virtualit. Conoscendola, parlandole, riflettendo su quello che mi scriveva, avevo creato un simulacro di Afasia nella mia mente. Quel simulacro era in grado di comunicare con me come avrebbe fatto lei se fosse stata presente. Una intelligenza artificiale portatile. Non volevo la presenza dei miei ovviamente, cos uscii prima che rientrassero e scesi in cantina. Erano le nove della sera e solo a mezzanotte avevo appuntamento con alcuni amici, mi pare di ricordare dalle parti di Piazza Statuto: avevo tempo di lavorare. Ho scritto pi sopra che la voce ne sapeva pi di me, che i contenuti mi sembravano appartenere a una coscienza estranea. In effetti la conversazione era quasi unintervista. Eravamo come due persone che si conoscono a un appuntamento galante, anche se entrambi sembravamo sapere tutto dellintimo dellaltro e nulla del mondo a cui apparteneva. Le domande che mi poneva erano volte a investigare la condizione umana cos come quelle che facevo io a capire le meccaniche celesti. Il tutto aveva anche una connotazione erotica ovviamente, perch oltre alla voce io percepivo la sua presenza. Poi fumai; solo un poco di hashish che normalmente non mi avrebbe scalfito, ma che in quelle condizioni fu potentissimo. Perch lo fai? mi chiese lei quasi infastidita. Io stavo formulando il pensiero Perch mi piace ma lo trovai banale e scortese, allora lo cambiai in un Perch sono masochista, che non era del tutto sincero, forse perch speravo che lei mi spiegasse qualcosa al riguardo, cio riguardo al sadomasochismo in generale; invece tacque. Sapevo che Linda si tagliava, che aveva coperto le proprie braccia e le proprie gambe con cicatrici, regolari come le rette parallele nellora di educazione tecnica. Lo faceva per combattere il panico ma anche nel delirio di trasformare i suoi arti in ferrovie, forse cos mi usc di bocca laffermazione sul masochismo. Lhashish comunque miglior ulteriormente il livello della percezione, cos non ebbe troppo a lamentarsi. La presenza si era focalizzata e, oltre a sapere sempre dove si trovasse allinterno della stanza, iniziavo a vederla. Con la visione periferica era pi facile, mentre fissando direttamente il punto tendeva a sparire. A volte per con un movimento improvviso ce lavevo davanti, e per una frazione di secondo la vedevo da vicino. Non avevo mai visto una fotografia di Linda Valle allepoca, non avevo mai voluto. Quando poi la incontrai dal vivo la riconobbi subito, anche se quella sera il suo volto era sicuramente pi vago, cos come mi pareva di vederla attraverso una mascherina color indaco. Le strane movenze e le sovraimpressioni che a volte si creavano mi fecero pensare, in seguito, alle rappresentazioni della dea Kali. E qua forse tocchiamo il nocciolo della questione la voce sono io / la voce pi di me. Poniamo che io avessi creato nella mia mente il simulacro di Afasia, cos questa poteva rimodellare le informazioni contenute nel mio inconscio secondo la propria personalit o intelligenza e rispondermi in tempo reale, come se fosse stata l. Ma chi era Afasia per me? Chi era Linda Valle? Unestetica, una morale, unimmagine, alcune informazioni leggendarie, il marchio di una personalit trasmesso, in chat o via mail, sempre per iscritto. Per me Afasia poteva essere un demone o una dea; era s una ragazza con una certa personalit, ma a sua volta quella ragazza poteva essere un fantasma di mille anni come una posseduta, unadolescente attira-poltergeist in seguito posseduta da Wotan nelle fattezze dellEbreo Errante; poteva sapere qualunque cosa, solo sarebbe dovuta rimanere fedele alla personalit di Linda. E Linda, matta da legare, per iscritto mi aveva ispirato la fiducia, il transfert sciamanico per il quale lei, per me, avrebbe veramente potuto essere onnisciente. Per me lei era un Sembiante. Avevo Afasia dentro di me, Afasia aveva accesso a me, ma Afasia non era unentelechia chiusa, bens una finestra, perch la identificavo con lignoto stesso. Mi ero trasformato in una bottiglia di Klein, in una macchina autopoietica che pompava energia come una centrale nucleare, grazie a un paradosso dimensionale che, come un quadro di Escher, permetteva motori impossibili. Stavo sperimentando il Grande Vetro di Duchamp, solo con meno saggia ironia e il cazzo duro. Vederla aveva reso la nostra intervista una danza, una danza sempre pi aggrovigliata ed erotica. Sapevo che avremmo dovuto fare lamore, e sapevo che lei avrebbe danzato sopra di me come nel tantra, ma era estenuante. Leccitazione era enorme, ma gli stimoli semipalpabili dellallucinazione portavano il
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rapporto pi al parossismo che alla soddisfazione e, anche se non credo assolutamente sia impossibile amoreggiare fino a venire con unallucinazione, senza masturbarsi, in quel momento non ne ebbi la pazienza; tra laltro non ne avevo neanche pi il tempo, perch si erano fatte le undici. Decisi comunque di non masturbarmi, perch avevo paura di perdere il contatto. Questa forse fu una pericolosa sciocchezza. Le chiesi di interrompere, momentaneamente, il rendez-vous, per riprenderlo dopo il mio appuntamento. Dipende solo da te mi disse e lentamente si dissolse, anche pi che essersene andata mi pareva che si fosse equamente distribuita nella stanza, come un gas. Misi in ordine la cantina e feci per uscire, per iniziai a sentirmi male. Una fitta mi cresceva in petto e poco dopo, contraendosi i muscoli per lo stress causato da questo primo dolore, lo strappo lombare inizi a farmi sudare. Giravo su me stesso e mi sentivo svenire, e non capivo perch. Spensi la luce della cantina, chiusi il lucchetto e l, sulluscio, sentii che le forze mi venivano meno e che non riuscivo pi a reggermi in piedi. A quel punto capii: io non stavo pi respirando. Da quando avevo interrotto la conversazione, e mi ero messo a rassettare, non avevo pi respirato una volta. E non ci riuscivo. Fui preso dal panico. Se inizialmente avevo creduto di avere un infarto, allora mi resi conto che ci doveva essere un collegamento col fatto che avevo passato le ultime cinque ore a parlare con unallucinazione. Ero per terra e per respirare anche solo mezza boccata daria dovevo quasi prendermi di sorpresa, facendo una specie di fisarmonica isterica con la cassa toracica. Provai a gridare, a parlare. Non emettevo il minimo suono. Con un brivido una parola mi venne in mente, scritta in testa: afasia, non riuscire a emettere il minimo suono. La richiamai col pensiero e lei fu subito da me, al mio capezzale, mentre vedevo il mondo sparire. Sei tu! laccusai. Perch lo fai?. Dopo un attimo di esitazione, ma con un sorriso, si giustific: Perch sono sadica. Allora mi vidi cadere come se mi avessero tagliato i fili, mi guardavo tremare per terra, dallalto, come se i miei occhi fossero rimasti sospesi a mezzaria. Tutto divenne nero, ed io avevo freddissimo. I muscoli si erano cos contratti che ero appallottolato, in una posizione fetale da vecchio, parkinsoniana. Stavo morendo. La luce nei corridoi della cantina a tempo. In un certo momento devo essermi risvegliato al buio, aver acceso la luce ed essere strisciato per mezza rampa di scale, ma non lo ricordo. Mi sono svegliato nuovamente sulle scale per lappunto, nuovamente al buio, ma non sapevo dove fossi, cos strisciai di nuovo gi e poi, riaccesa ancora la luce, faticosamente di nuovo su di una rampa e mezza. Poi non ricordo nulla e fu di nuovo buio, e di nuovo non sapevo dove fossi. Non riconoscevo il luogo dove avevo passato migliaia di ore nella mia vita. Pensai che non sarei sopravvissuto e immaginai leffetto che avrebbe avuto la mia morte sui miei genitori, tre mesi dopo la morte di mio fratello. Questo mi fu di sprone, stuzzic il mio orgoglio. Ripresi il controllo del respiro e dopo qualche minuto ero fuori. Era passata mezzanotte, mi resi conto. Ci avevo messo quasi unora a uscire dalla mia cantina. Sudato freddo, distrutto come se avessi appena finito di correre una maratona con 40 di febbre per poi prendermi il 220, rientrai in casa e mi sdraiai sul letto e chiamai Atzori.

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