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Il fuoco nellanima

Gianpiero Possieri

Il fuoco nellanima

Un urlo nella notte

Collana

Gianpiero Possieri

Il fuoco nellanima

IL FUOCO NELLANIMA
di Gianpiero Possieri

Sogno Edizioni
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Gianpiero Possieri

Propriet letteraria riservata 2011 Sogno Edizioni, Genova (GE) Sede legale: Via Borgoratti, 41/9 Genova Prima edizione Maggio 2011 Collana Un urlo nella notte ISBN: 978-88-96746-12-7 Immagine di copertina: Maurizio Censini Grafica copertina: Stefano Olivo Stampato da Atena S.r.l.

Il fuoco nellanima

Dedica

A mia moglie Bruna

Gianpiero Possieri

Il fuoco nellanima

Prologo

1988 l sole spariva pian piano dietro l'orizzonte, colorando il cielo di mille sfumature. La brezza soffiava leggera, muovendo l'erba come le onde di un immenso mare. Due ragazzi, stesi sul prato, ammiravano quello spettacolo della natura. Mad? S, Pas? Ma tu ci credi nel destino? Io credo che a volte succedano cose delle quali non abbiamo il controllo. Situazioni imprevedibili attraversano la nostra esistenza e, quando capitano, siamo portati a compiere delle scelte. Siamo noi, quindi, con le nostre decisioni, pi o meno inconsce, a essere artefici del nostro destino. E credo anche che la scelta pi insignificante sia in grado di influenzare tutta la nostra vita, nel bene e nel male. Pu essere una linea di confine fra la fortuna e la sfortuna, fra la vita e la morte. Quindi no rispose il ragazzo accendendosi una sigaretta. Quindi no ribatt l'altro, osservando distrattamente la fiamma dell'accendino.

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1 Come una macchia di sangue


Un altro giorno. Ancora un altro giorno. 2008 a luce del mattino, fredda e tagliente, filtrava a fatica attraverso la vetrina sporca e polverosa del piccolo negozio. Fra gli scaffali disordinati risuonavano i passi di un uomo. Passi stanchi, passi strascicati, passi di chi si muove come se tirasse dietro di s una vita fatta di pietre, pietre pesanti chiuse in un sacco. Le spalle basse, la schiena curva e la testa ciondolante, piena di fumo, piena di alcool, piena di medicine, piena di qualsiasi cosa servisse a impedire ai pensieri di farsi strada. Pensieri che non volevano saperne di abbandonarlo, ma che restavano aggrappati in quell'inferno, schiacciati alle pareti del cranio, premuti, torturati, confusi, ma tenaci. La mano tremante si fece strada attraverso le corde di plastica di una vecchia tenda, avanzando nel buio fino a trovare l'interruttore del retrobottega. La lampadina pendeva dal soffitto, aggrappata a un esile filo elettrico, ricoperta dalla polvere del tempo e avvolta da mille ragnatele che le impedivano di diffondere al meglio la sua luce. L'odore pungente e penetrante della trementina aleggiava saturo nell'angusto locale, ma l'uomo non sembrava affatto infastidito. Mosse passi incerti fino a raggiungere un tavolo ingombro, dove prese una spatola e una tavolozza in legno di faggio incrostata di

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colori essiccati, mischiati in modo da renderne la tonalit torbida e indefinibile. Con perizia e con gesti lenti e decisi, si mise a grattare a fondo, facendo cadere i residui in un secchio di vernice ormai vuoto, e adibito all'ingrato compito di raccogliere spazzatura. Allung la mano per prendere una valigetta, dalla quale pesc una serie di tubetti in metallo, schiacciati, deformati, sporchi; accartocciati fra di loro come automobili accatastate nel deposito di un demolitore. Ne scelse una dozzina, apparentemente a caso, e si mise a spremerli, uno per uno, andando a riempire di colori a olio la tavolozza appena ripulita. Dall'altra parte, in piedi dentro un barattolo e immersi nell'acquaragia, un numero imprecisato di pennelli di varie fogge e dimensioni. La maggior parte dei quali, secchi e inutilizzabili, mentre i pochi superstiti, erano impietosamente sformati. Ne scelse uno, lo ripul con cura e lo asciug con uno straccetto. Poi si diresse al centro della stanza e si sedette su uno sgabello malfermo. Davanti a s, un pesante cavalletto da studio, sul quale campeggiava una grande tela che, bianca e immacolata, contrastava violentemente con tutto il resto del suo mondo, fatto di colori, di macchie e di sporco. Immerse il pennello in uno dei colori, impastandolo e distribuendolo coi residui del solvente, ancora intrappolati fra le setole in martora. Lo rese in poco tempo fluido e uniforme, pronto per essere utilizzato, quindi sollev lo strumento, fermando la punta vermiglia a pochi centimetri dal candore del supporto. La mente, ancora annebbiata dai vapori dell'alcool e degli antidepressivi, gli impediva di concentrarsi. La mano prese a tremare, una goccia di colore cadde sul pavimento, come una macchia di sangue fresco. Il corpo dell'uomo fu scosso da un leggero brivido quando il suono fastidioso di una campanella ruppe il momento.

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C' nessuno? La voce era quella di un uomo. Una voce conosciuta. I ricordi del passato provarono a tornare per identificarla, ma il bottegaio li cacci rapidamente indietro. Cazzate!... la battezz, e rispose con fastidio malcelato: Arrivo! Il sole era pi alto nel cielo, e la luce lo sorprese allo scostare della tenda. Si port la mano a parare gli occhi feriti, resi troppo sensibili dalla permanenza prolungata nel fosco retrobottega. La figura indistinta dell'uomo si fece avanti di qualche passo. Buongiorno professore esord il potenziale cliente. Il negoziante, riabituata rapidamente la vista, guard alle spalle dell'uomo, in direzione della porta d'ingresso, come se l'individuo che aveva davanti, non si fosse rivolto a lui, ma a un altro interlocutore, presente in negozio e sfuggito alla sua attenzione. Prego? gli disse poi, con un tono fra il dubbioso e l'infastidito. Ho detto: buongiorno professore. Chi cazzo sei? Che ne sai del mio passato? Nessuno mi chiama pi cos da almeno 10 anni, e lei mi sembra un po' troppo vecchio per essere un mio ex allievo, e troppo giovane per essere il padre di uno dei miei ragazzi. Accidenti, quanto tempo passato... disse come a voler cambiare discorso, possibile che non mi riconosci? Il carattere del colloquio, fattosi improvvisamente confidenziale, e quell'affermazione, tanto inaspettata quanto aliena, crearono un certo scompiglio nello stagno immoto della mente del commerciante. Prese dalla tasca della camicia un paio di occhialetti da vista di quelli da quattro soldi che si acquistano sulle bancarelle, tenuto insieme a fatica da una serie di bendature di nastro adesivo. Li indoss, come se qualche grado in pi, bastasse a far luce in quella vicenda che gli appariva al momento quantomeno bizzarra. Si mise a esaminare l'uomo con sufficienza, come un gallerista

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esperto esaminerebbe un falso mal riuscito. Con espressione torva e vagamente inquisitoria, senza dare il tempo ai suoi ricordi di riaffiorare, decise, senza possibilit di appello, che non lo conosceva. Non gli erano familiari quei capelli neri, radi, che cominciavano a incanutirsi alle tempie, rivelando un'et sulla soglia dei quaranta. Non riconosceva quella faccia tonda dall'espressione sorpresa e gli occhi vagamente umidi. Non riusciva a ricordare quel corpo, non proprio obeso, ma dalla pancia decisamente prominente. La classica pancia da birra avrebbe detto sua moglie. I jeans scoloriti, la camicia stropicciata e annerita sui bordi del colletto che, unita a una barba incolta, davano all'uomo quell'aspetto trasandato tipico di chi stato sposato, e ora dorme sul divano di qualche monolocale fumoso e disordinato di periferia. Le dita gialle di nicotina, come comari indiscrete, a rivelarne il vizio. Le unghie mangiucchiate, fin quasi a farle sanguinare. Nel complesso, un tipo abbastanza anonimo agli occhi della sua mente. Mi dispiace disse infine il bottegaio, togliendosi gli occhialetti e riponendoli nel taschino, non mi ricordo di lei. Non mi stupisce la cosa replic l'uomo con rassegnazione, dopo tutto questo tempo, nemmeno tu sei lo stesso. Gli anni su di te sono passati pi in fretta. Cos sbattuto, con le rughe profonde e senza capelli, ho stentato pure io a riconoscerti, professor Maddalone. O dovrei chiamarti Mad, come a scuola. Come dovrei chiamarti? Dimmi, Carlo, come ti fai chiamare in questo buco alla fine del mondo? Il ricordo, che prima aveva cercato di farsi largo ed era stato impietosamente ricacciato indietro, adesso gli era piombato addosso con forza e aveva divelto i paletti che faticosamente, uno per volta, l'uomo aveva usato per puntellare i resti della sua vita. Esternamente per rimase impassibile, dando ottima parvenza di

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non aver minimamente accusato il colpo. Cos mi hai trovato... disse atono. Che vuoi da me? Hai deciso di darti alla pittura? Non stato facile rintracciarti, professore, ma in un certo senso una cosa che fa parte del mio lavoro. Avevo gi da qualche anno il tuo indirizzo, ma non ti ho mai voluto cercare. Sapevo che avresti voluto cancellare il passato, e io ne facevo parte. Me ne sono fatto una ragione, e sono andato avanti anche senza di te. Male, ma sono andato avanti. Che cosa vuoi da me? Il tono di voce cominciava a tradire emozione mista a rabbia. Rabbia che iniziava a crescere dentro di lui man mano che i ricordi riaffioravano da quel vaso di Pandora che per anni aveva tenuto chiuso e nascosto nei recessi pi oscuri della sua anima. Che cazzo vuoi da me, Pas? Brutto figlio di puttana, con che diritto vieni a rompermi i coglioni? Con che diritto vieni qui a frantumare il tappo del mio vaso, dopo che avevo impiegato anni, alcool e dolore, per chiuderlo? Sono qui per chiederti perdono. E per dirti che ho bisogno di te. Avrebbe voluto usare parole diverse, avrebbe voluto girarci intorno, fare quel lungo discorso, che mille volte si era riletto nella sua mente, ma, alla fine, davanti a quegli occhi disperati e infuocati, aveva capito che era inutile prendere in giro lui e se stesso: Mad non era uno stupido. Scordatelo! Per entrambe le cose. Ora vattene. Il tono, deciso e carico di rabbia, non ammetteva repliche. E repliche non ce ne furono, infatti, l'uomo gir le spalle e si diresse all'uscita del piccolo emporio del pittore. Apr la porta, facendo suonare nuovamente il campanello. Prima di andarsene, per, si ferm un attimo sulla soglia. L'hai mai dipinto quel quadro? Scommetto di no.

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Usc, senza aspettare una risposta. Vaffanculo Manuel. Per ora e per quando tornerai. Perch tornerai. So che tornerai. La porta si riapr di uno spiraglio. Torner disse. Lo sai che torner. Carlo si gir senza neppure vederlo andare via. Si diresse nuovamente al retrobottega, si sedette sullo sgabello e riprese in mano tavolozza e pennello. Il colore era ancora fresco, anche se lievemente appassito. Intinse la punta nel solvente. Una goccia vermiglia cadde a terra a far compagnia alla prima, formando come una macchia di sangue. Un'altra macchia di sangue.

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