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Il Rosso e il Nero

Settimanale di Strategia

TERMIDORO 4 giugno 2009

Balli e feste dopo la fine del Terrore

Nel bel mezzo di quel lungo


Termidoro che furono per l’Italia gli anni
Ottanta (con la Milano da bere che
riecheggiava il vitalismo edonista e
festaiolo della Jeunesse Dorée parigina
nel 1794-95) Marina Ripa di Meana
pubblicò I miei primi Quarant’Anni
(1984), resoconto autobiografico di una
vita spericolata perfettamente in sintonia
con lo spirito dei tempi.
Ogni investitore, guardandosi dentro
altrettanto impietosamente, dovrebbe 28 luglio 1794. Esecuzione di
oggi riordinare i suoi pensieri e verificare Robespierre. Il Grande Terrore è finito.
come sta vivendo il Termidoro dei
mercati seguito alla lunga notte del Terrore dell’autunno-inverno del 2008-09. Il
mio primo Quarantacinque per Cento, potrebbero intitolarsi gli appunti, come
ho vissuto il balzo del MSCI World Index da 688 a 1000 in meno di tre mesi.
Ho dovuto assistere la zia malata, mi si è allagata la cantina, ho avuto una
riunione dietro l’altra, il tempo è volato, avevo comunque qualche azione
avanzata dal bull market precedente, nelle ultime settimane ho compricchiato
qualcosa, ho resistito a quelli che dicevano di vendere al primo recupero, i dati
macro sono comunque sempre usciti con segno negativo, Roubini ha detto che
è solo l’ennesimo rally degli sciocchi, nel 1932 il bear market rally fu addirittura
dell’ottanta per cento e poi ci fu un nuovo minimo, insomma che cosa volete da
me, è già tanto che non abbia chiuso il fondo o fatto bancarotta e in ogni caso
voglio vedere chi ha visto davvero crescere il proprio patrimonio complessivo
(e non quello sparuto ETF di cui mena gran vanto con gli amici) del 45 per
cento dal 9 marzo a oggi.
L’elenco delle possibili giustificazioni è infinito e qui non si vogliono
risvegliare i sensi di colpa o di inadeguatezza. Si vuole solo ricordare che
(come ha titolato brillantemente JP Morgan la sua View del 29 maggio), il
mondo ha perso il rally.
Macinando parecchi numeri e buttandosi in qualche stima, la View sostiene
che il portafoglio dell’Investitore Medio Globale è oggi per il 32.5 per cento in
cash e per il 49.1 in reddito fisso. Le azioni rappresentano solo il 18.4 per
cento, contro la media degli ultimi vent’anni del 27.3 per cento. E si parla
dell’oggi, non di tre mesi fa.
Di per sé un mondo sottoinvestito non è una garanzia di rialzo. Se al
sottopeso si accompagna però una veloce stabilizzazione del ciclo e qualche
primissimo segnale di aumento della produzione industriale fuori dall’Asia
(dove il recupero è già molto forte) si può essere indulgenti verso un rialzo
azionario che non riesce a fermarsi e che, qua e là, produce qualche eccesso
temporaneo.
Più avanti, quando l’effetto inebriante dei segni positivi sarà svanito e il
recupero della produzione, pur impressionante, sarà visto nel suo valore
assoluto e non come variazione dai minimi, ci sarà tempo e modo per una
maggiore sobrietà. Nel frattempo, però, l’effetto combinato dei dati in
miglioramento e della corsa a ribilanciare i portafogli manterrà un bias positivo
con ritracciamenti limitati in durata e profondità.
Il consolidamento delle ultime ore,
ad esempio, sembra destinato a
produrre danni modesti all’azionario e
permette alla parte lunga dei bond
governativi di riprendersi
dall’ipervenduto dell’ultimo periodo. La
psicosi del crescente indebitamento
pubblico americano, della sua
monetizzazione e del conseguente
crollo del dollaro si è prodotta del resto
su un terreno astratto, concettuale e a
tratti leggermente allucinatorio.

William Henry Fisk. Aspettando Notizie Si parla in modo concitato


sull’Arresto di Robespierre. d’inflazione con almeno un anno di
anticipo rispetto ai primi eventuali deboli
segnali di ripresa dei prezzi che si manifesteranno all’inizio del 2011. Si parla di
esplosione insostenibile dello stock di debito pubblico americano quando le
proiezioni della Fed lo indicano al 70 per cento del Pil nel 2011, il livello della
Germania già oggi. Si sussurra e grida sulla monetizzazione senza freni del
debito pubblico e Bernanke fa sommessamente notare che la Fed ha meno
titoli del Tesoro oggi di quanti ne abbia mai avuti negli ultimi anni. Ci si allarma
sull’incessante creazione di moneta quando la base monetaria americana è
sugli stessi livelli di sei mesi fa.
Può darsi che, nel vendere bond governativi e dollari, il mercato abbia
qualche intuizione giusta di lungo termine, ma le razionalizzazioni che circolano
vanno largamente fuori bersaglio. Sul dollaro, ad esempio, la rassegna
settimanale sui cambi di Morgan Stanley fa una disamina accuratissima delle
debolezze americane, con tanto di modellizzazione di tutti i fattori possibili
immaginabili e con un interessante giro di opinioni tra i suoi esperti di ogni
asset class e di ogni continente sulle conseguenze di un eventuale crollo del
dollaro. Poi, dopo molte pagine di analisi, dedica pochissime righe allo stato del
resto del mondo. Come se il cambio, ad esempio quello tra dollaro ed euro,
dovesse esprimere una valutazione degli Stati Uniti e non una valutazione
congiunta di Stati Uniti ed Europa. Il cambio è un rapporto, dopo tutto.
Un’altra paura fuori bersaglio, con tanto di valutazione strabica, è quella
che qualche anno di forti disavanzi pubblici americani sia la possibile causa del
dissesto americano prossimo venturo. Quello che ha sempre preoccupato
Greenspan e ora preoccupa Bernanke non è questo o quel disavanzo
straordinario, reversibile rapidamente come si vide nei primi anni Novanta,
bensì quello di cui i mercati non parlano mai, il dissanguamento strutturale e
inarrestabile da spesa sanitaria e pensionistica.
Così come appare strabico il concentrarsi ossessivo sul debito pubblico
senza considerare che la sua crescita non riesce nemmeno a bilanciare la
decrescita di quello privato, tanto che il saldo complessivo, espresso dal saldo
delle partite correnti, mostra un’America che ha sempre meno bisogno di
essere finanziata dal resto del mondo.
In realtà, nel breve, il dollaro scende perché si riprende tutti quanti a fare il
carry trade. Che cosa c’è di più bello che indebitarsi in dollari (vendendoli) a
tasso zero per comprare il real
brasiliano o addirittura, come fanno le
banche russe non appena la banca
centrale gira l’occhio, per comprare
rubli? O indebitarsi in dollari per
comprare le borse emergenti? Tutto
come ai bei tempi, insomma, ma è un
segno di salute del mondo, non di
chissà quale debolezza dell’America.
Questa America alla fine dei suoi
giorni, del resto, sta ricapitalizzando le
sue banche a una velocità che
vorremmo davvero vedere anche in
Il treno che non si ferma mai. Europa. La Fed non dà tregua. Dà un
Animazione. Da Youtube
obiettivo di ricapitalizzazione a una
banca, questa lo raggiunge subito
sperando di essere lasciata in pace per qualche tempo e la Fed gliene dà
immediatamente uno nuovo. La Fed ingozza le sue oche, non vuole che
restituiscano i soldi pubblici che hanno avuto nei mesi scorsi, vuole che
abbiano sempre più capitale affinché, per farlo rendere, si decidano a fare
credito. L’emissione continua di nuove azioni da parte delle banche ne deprime
temporaneamente il corso, ma a livello di sistema accelera la fuoruscita dalla
crisi.
Venendo alle strategie d’investimento, ribadiamo che chi ha una visione a
12-24 mesi deve continuare a comprare rischio una quota ogni mese. Bisogna
pensare al ciclo economico positivo che sta avviandosi come a qualcosa che
avrà un andamento in accelerazione regolare. Non sarà così, naturalmente, ma
provare a fare i virtuosi con un fine tuning dei sottocicli non è detto che
convenga.
C’è su Youtube, per gli appassionati di tecnologia, l’animazione di un
progetto cui sta lavorando un ingegnere taiwanese. E’ il treno che non si ferma
mai. Il treno va a una velocità costante, mettiamo, di 100 chilometri l’ora.
Quando si avvicina a una stazione, i passeggeri che devono scendere si
portano su una navetta in fondo al convoglio, la navetta si stacca e si arresta.
Parallelamente, in stazione, un’altra navetta raccoglie i passeggeri in partenza
e parte veloce per agganciarsi al treno in corsa. Questo è il ciclo per chi non fa
fine tuning.
Chi vuole farlo potrà invece tentare di cavalcare il modesto consolidamento
in corso, sfruttando il dato sull’occupazione di venerdì e il meritato
ritracciamento del greggio, che si porta dietro i titoli surriscaldati di energia e
materie prime. La pausa durerà quel tanto che occorrerà a ridare tono ai
Treasuries. Poi, altri dati macro incoraggianti che si susseguiranno nelle
prossime settimane indurranno altri sottopesati a ribilanciarsi. Il
consolidamento vero sarà un poco più avanti.
Come diceva il grande Bob Farrell, i mercati lavorano instancabilmente per
produrre il massimo di infelicità in chi li frequenta. Salgono quando tutti ne sono
usciti e scendono quando tutti hanno finito di entrare. Perché ci sia un
consolidamento serio bisogna prima che entri ancora qualcuno.

Alessandro Fugnoli ++39 02 77426.1

Abaxbank SpA. Corso Monforte 34, Milano.


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