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La Stampa 16 novembre 1999

Gli intellettuali e la politica


Sar forse un altro preoccupante segno dell'americanizzazione della nostra cultura; il fatto che, sempre pi spesso, come accade generalmente negli USA, si stigmatizzano come tipici degli intellettuali i comportamenti, anche contraddittori tra di loro, che si vogliono disapprovare. Adesso, dopo anni di dibattiti - per lo pi estivi, ammettiamolo - sulla servilit degli intellettuali verso tutti i poteri, sulla loro permanente disponibilit a cambiare bandiera per cinico opportunismo, scopriamo, auspice Pierluigi Battista, che invece il difetto degli intellettuali proprio l'opposto, quello di restare pervicacemente attaccati ai loro pregiudizi ideologici (o potremmo dire, anche, ai loro "valori"?), mentre I politici sarebbero capaci non solo di cogliere pi duttilmente l'aria del tempo, ma soprattutto di aprirci a quelle revisioni storiche di cui oggi sempre pi spesso si parla e che dovrebbero condurci a una conoscenza pi obiettiva della verit dei fatti. Questa ipotesi innovatrice proposta ora a seguito della "revisione" che sembra sia stata avviata da D'Alema (non solo lui, e non per primo) a proposito della storia italiana degli ultimi decenni e specificamente del ruolo che in essa hanno avuto I gruppi dirigenti di partiti come il PSI e la DC. La contraddittoriet del giudizio dispregiativo sugli intellettuali (non giureremmo che lo stesso Battista non abbia altre volte tuonato contro la loro cinica disponibilit ai compromessi) si qualifica da s, anche se non lascia presagire nulla di buono sul futuro di un paese che non ha certo bisogno di altre spinte per abbandonarsi senza ritegno all'imbecillimento telepubblicitario. Bisogna pero' notare che, con questa ultima svolta, Battista libera finalmente il povero Antonio Di Pietro dallo stigma di rozzo contadino ignorante dei congiuntivi. E' lui, infatti (insieme pero' a un personaggio come Oscar Luigi Scalfaro), uno degli "intellettuali" pi ostinati nell'avvertirci che nessun frettoloso revisionismo storico ci esimer dal cercare di arrivare alla verit processuale sui tanti fatti di corruzione che hanno avuto un cosi corposo e, questo si, realistico peso sulla vita italiana, sui nostri bilanci pubblici e privati. Questa ricerca della verit davvero rallentata dai pregiudizi degli intellettuali, o non piuttosto dalla forsennata campagna contro la magistratura orchestrata dai giornali e dalle TV di Berlusconi (che Battista considera ingiustamente demonizzato) e dai grotteschi espedienti con cui personaggi come Previti cercano di impedire la conclusione dei processi a loro carico? D'Alema ha certo le sue buone ragioni politiche per cercare di instaurare un clima pi disteso, anche a costo di apparire troppo indulgente verso i politici corrotti o troppo attento alle chiacchiere di personaggi come Cossiga. Ma pretendere di trarre da questo "opportunismo", inevitabile e giustificato solo da motivi di governabilit, una lezione di obiettitivit per storici e "intellettuali"(insomma, per il culturame), questo s sarebbe un "tradimento dei chieirici" di cui (altro che delle giovanili ambiguit di Bobbio) ci sarebbe da ver-go-gnar-si.

GIANNI VATTIMO

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