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Ludovico Ariosto

Un uomo tranquillo Si pu vivere sognando e illudersi di vivere in un sogno per davvero. Si pu tentare di tradurre in frammenti di esistenza concreta un ideale di vita armonioso: un ideale di vita ordinato da una ragione che vigila sempre, anche quando la mente segue la fantasia. Questi frammenti di esistenza tuttavia non sono la vita, che scappa da tutte le parti e non si lascia inglobare in alcuno schema. E allora un conto scrivere un manuale di buone maniere, un trattato, preciso nei dettagli, sulle norme della vita di corte, oppure un prontuario di regole per comporre un perfetto poema. E un conto invece scrivere poi quel poema, incarnare in parole ben disposte la propria ragione e la propria fantasia. Un conto - ancora pi banalmente - vivere sempre e soltanto di buone maniere e di regole. Cos capita per il primo grande poeta del nostro Rinascimento, per quellAriosto che entra sorridente, sereno, nella nostra storia letteraria: un uomo tranquillo, beato, soddisfatto - per programma -, contento di esistere e volenteroso di campar bene. Ariosto diventa l'interprete appunto di un grande ideale di vita. Incarna il simbolo della stessa condizione dell'uomo I del suo tempo: un uomo padrone di s, del proprio destino, un uomo al centro di un mondo di perfetta armonia, un mondo geometrico ma insieme fantastico, e quindi variabile I ed estroso nella geometria. C' un noto ritratto (dipinto da un bravo pittore) che traccia il profilo di Ariosto e lo fa nobile, grande signore. Lo sguardo, in questo dipinto, forse un po' astratto: lo sguardo di un uomo che vuole dimostrare di essere felice, soddisfatto, che ostenta pertanto contentezza, ma con qualcosa di troppo. A questo ritratto dipinto da un artista entusiasta, si oppone - per correggerlo - un autoritratto famoso di Ariosto affidato ad alcuni versi delle Satire. Gli occhi di questo autoritratto sono molto pi belli: non sono pi fissi, incantati, signorili nel distacco, sono invece pi mobili, curiosi, talvolta corrucciati, due occhi lo stesso fuggenti, ma molto pi veri. Ariosto era nato a Reggio Emilia (nel 1474), ma visse quasi sempre a Ferrara: diventato ben presto letterato di fama, fu infatti accolto alla corte del duca Alfonso degli Este. Pi tardi far solo il poeta: ma prima dovette dare anche lui i propri servigi. Perci, per lunghissimi anni (dal 1503 al 1517) fu impiegato in missioni diplomatiche per conto del cardinale Ippolito, fratello di Alfonso; e quindi (dal 1522 al 1525) fu, senza grande vocazione n voglia, governatore della Garfagnana. Soltanto negli ultimi otto anni di vita (morir nel 1533) gode di un meritato riposo: e allora rivede, per correggerlo, per limarlo, per farlo ancora pi bello, l'Orlando furioso, il poema in ottave a cui si era impegnato a partire dal 1505. Ariosto sogna una vita tranquilla e domestica, raccolta soltanto nello studio, nell'unico impegno che conta per lui di scrivere versi armoniosi; ma orfano di padre troppo presto e ha una madre e fratelli, ai quali costretto a badare. Non ama viaggiare e invece il suo cardinale-signore lo vorrebbe portare con s nella triste Ungheria. Amerebbe starsene quieto, con la propria famiglia, a Ferrara, e invece obbligato a prendersi cura dei mille problemi minuti della Garfagnana. Ariosto un uomo molto onesto. Se viaggia o governa controvoglia, si adatta e si impegna ugualmente. Se la cava, del resto, molto bene: non scansa fatiche e disagi, ma quando ci pensa e riflette con s solo, borbotta vistosamente. E questo borbotto intcriore raccolto nelle Satire. Ariosto rimane bonario nel tono, ma anche polemico, talvolta stizzoso: se elogia l'esistenza tranquilla (domestica) anche perch vede corrotta (e non poco) la vita di corte; se rimpiange il libero scrivere bei

versi anche perch sa sentire compromessa dal volere del signore a cui appartiene la propria autonomia di scrittore. Ludovico allora tutt'altro che un uomo soddisfatto: patisce le beghe del mondo, le piccole miserie quotidiane, le chiacchiere inutili. Patisce la stessa servit cortigiana. Ma non si dispera. Accetta la realt delle cose, con qualche brontolo, per ci che riguarda la vita di ogni giorno, e poi, per il resto, si distrae: evade, sognando, e vede in un sogno palazzi incantati, boschi bellissimi, idillici prati, creature stupende, che sono lontanissime dal mondo e tuttavia non riescono a dimenticarlo quasi mai. Quest'uomo un po' contrariato, talvolta francamente scocciato, quando riesce alla fine a starsene solo e, protetto dal silenzio dello studio, intinge la penna nell'inchiostro, si sente davvero un dio sulla terra: un dio che crea e trasforma qualsiasi cosa, che pu reinventare a piacimento oppure accettare la realt. E allora i suoi occhi diventano due occhi nobilissimi e distratti di un grande signore. Sono occhi sfavillanti di una luce superiore: sono gli occhi sorridenti che hanno visto l'universo dellOrlando furioso. Angelica e Orlando LOrlando furioso un sogno fantastico nel quale pu accadere di tutto: un sogno senza spazio e senza tempo, o meglio che occupa ogni spazio e ogni tempo, che accoglie con leggerezza qualsiasi avventura possibile nel mondo, che rende insieme verosimile e assurda ogni cosa. Ariosto seduto allo scrittoio, assorto, lontano dal mondo, ripensa alle storie degli antichi cavalieri medioevali e va con la fantasia in terra di Francia, a Parigi, per assistere allo scontro decisivo tra soldati saraceni e cristiani. La battaglia pu essere anche cruenta, ma contano molto pi per il poeta curioso le strane vicende dell'amore. Carlo Magno ha fatto prigioniera la bellissima Angelica, che amata da Rinaldo e Orlando: la promette in sposa a quello dei due paladini che avr combattuto con maggiore valore. Ma Angelica fugge e con lei corre per il mondo la libera fantasia dello scrittore. Angelica inseguita da tutti, da eroi i cristiani e saraceni. Non pu per essere presa: possiede infatti un anello incantato che in grado di renderla invisibile, se occorre. Angelica scappa verso una mta lontana: questa mta il Catai, la Cina, sua patria. Per strada, in un bosco, incontra Medoro, un fante saraceno ferito: lo cura, si innamora di lui, lo sposa e continua la propria fuga. Rinaldo e Orlando sono dunque beffati. Rinaldo si libera della sua ossessione amorosa bevendo alla fontana dell'oblio. Orlando invece si infuria, da in ismanie e impazzisce per amore. C' un luogo, tuttavia, nel quale si trova ogni cosa smarrita dall'uomo sulla terra: la luna. Astolfo, cugino di Orlando, cavalca l'ippogrifo, il cavallo che vola, raggiunge la luna, recupera il senno smarrito da Orlando. Questi alla fine rinsavisce, torna cos a combattere e sconfigge i nemici saraceni infedeli. Le vicende di Angelica e Orlando costituiscono una parte sola delle tante avventure del Furioso: nel poema si accavallano infatti storie diverse e si muovono tantissimi personaggi. Le storie si interrompono di continuo: hanno inizio e non fine. Lavventura resta aperta, devia spesso dal tracciato previsto, dona sempre al lettore la sorpresa di un percorso impensato. E ci accade perch nel Furioso regna soltanto l'estro fantastico di Ariosto, che rimane sempre padrone assoluto nella propria creazione. Il poema offre allora, nella struttura, l'esatto contrario delle rigide architetture medioevali: non si trova insomma costretto, ingabbiato, da una rigida disciplina, non

da ordine al mutevole disporsi del mondo. All'opposto resta sempre libero nell'accogliere qualsiasi avventura, esibisce un'estrema apertura nei suoi spazi, nei suoi tempi, nelle proprie situazioni narrative: offre dunque un movimento continuo. Le vicende narrate tuttavia non sono certamente dominate dal caso. Le vicende sono invece tutte quante previste, coordinate dalla mente del poeta, dominate dallo sguardo dallalto e alla fine ben disposte in una piacevole armonia: l'armonia superiore, per l'appunto, che presiede al mutare del mondo, al continuo movimento delle cose, da cui l'uomo nuovo del Rinascimento non si lascia travolgere e nel quale, al contrario, sa sempre farsi dominatore. L'armonia ariostesca L'uomo nuovo quindi ancora il paladino: il cavaliere fedele, certamente, al Signore e alla Chiesa, ma anche, anzi soprattutto, il libero eroe che cerca fama e gloria, che intende realizzare se stesso. L'Orlando di Ariosto tuttavia "furioso": geloso per l'amore che lega l'amata Angelica a Medoro, diventa una belva, un gigante dalla forza selvaggia e brutale che sradica alberi e devasta tutto quanto, che uccide uomini e bestie, dimenticando la propria dignit. quindi un uomo superbo e grande, ma anche vulnerabile: dunque pi autentico. D'altra parte la folla dei personaggi che gremisce lo spazio dell'Orlando furioso, l'insieme delle tante strane situazioni narrative, finiscono per costituire una sorta di fantastica inchiesta sull'uomo: un uomo indagato nelle qualit dell'anima e del corpo, nell'eccellenza d'intelletto, ma anche nella debolezza e nella ricchezza sentimentale. Nel Furioso ci pu essere l'epos guerresco: lo spettacolo cio della forza e insieme dell'astuzia. Cos pu trovare spazio il gusto del gesto nobile, dell'antica cortesia. Ma insieme, nel poema, c' il nuovo ideale dell'amicizia; come c' una varia casistica d'amore: l'amore ora tenero e sublime, ora comico e sensuale; l'amore pu essere tragico, oppure diventare patetico. come se Ariosto avesse voluto davvero disegnare un grandissimo atlante della natura umana: un atlante nel quale entrano, insieme alle immagini concrete, quelle del sogno, in cui convivono in equilibrio l'ideale e il reale: il primo corretto dal secondo e viceversa. Il lettore del Furioso pu leggere gli innumerevoli episodi del poema e vederli come paesaggi tra loro diversi: sono paesaggi che segnano via via il percorso di un viaggio molto lungo. Le tappe del viaggio incantano volta per volta, di per s. Ma ancora pi splendido il viaggio nell'insieme. Il singolo episodio funziona infatti all'interno di una macchina narrativa perfetta che mescola tutto e mentre lo mescola lo rende uniforme. Cos dello stile: Ariosto sa mediare toni alti e bassi. Le sue ottave si snodano dolci, su un ritmo di equilibrio che smorza in una scrittura chiara le punte espressive del linguaggio. questa l'armonia ariostesca: un tono di olimpica serenit che d luce splendente allOrlando furioso. Questo gusto dell'armonia sfuma ogni coloritura troppo forte, riduce tutto a un tono di media umanit. Valga solo l'esempio di Angelica. Se l'Angelica di Boiardo era una donna capricciosa, crudele e sensuale, l'Angelica di Ariosto invece una figura femminile tenera e spaventata, che difende continuamente dalle insidie del mondo la propria purezza minacciata. La sua fuga determina scompigli: ma una fuga che ha una mta. Questa mta il ritorno alla pace domestica di una casa, dove Angelica sogna un futuro coniugale tranquillo con Medoro, che luomo del suo cuore.

Se ci sono gli amori tempestosi dei paladini, se Angelica deve subirne le brame, se ci sono dunque violenze e rapimenti, duelli e assalti, c' anche questo idillio: l'idillio di una "sposa" e di un "marito" nella "casa" lontana del Catai. L'idillio sognato da concretezza all'immagine ideale di Angelica, rende visibile, appunto nel contrasto con la forza tremenda di Orlando, la verit di una donna terrena, che, in un mondo di tempesta, sa vivere pura e imprendibile. Anche in ci Ariosto figlio prediletto della civilt cinquecentesca, di quel Rinascimento idealizzante che sa dare disciplina alla realt, che sa mediarne ogni estremo, nella ricerca sempre di una misura superiore di equilibrio e compostezza. A ci porta tanto pi l'ironia ariostesca, che il sorriso dell'autore nei confronti della sua amata creatura. Il sorriso di un dio, si direbbe, che, creato un bel mondo, lo contempla sereno: lo guarda dall'alto, compiaciuto di s, soddisfatto nel proprio distacco contemplante, divertito da ogni cosa, grande o piccola che essa sia.

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