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Cicerone

1.1 La vita e lattivit oratoria


Marco Tullio Cicerone nasce nel 106 a.C. ad Arpino, da agiata famiglia equestre; compie ottimi studi di retorica e filosofia a Roma e inizia a frequentare il Foro sotto la guida del grande oratore Lucio Licinio Crasso. In questi anni di apprendistato alla retorica egli conosce Tito Pomponio Attico, che sar fino allultimo suo fedele confidente. Nell89 Cicerone presta servizio militare nella guerra contro gli alleati italici in rivolta (la guerra sociale) e probabilmente nell81 debutta nel Foro come avvocato; nell80 accetta coraggiosamente di difendere Sesto Roscio, accusato di parricidio da potenti figure dellentourage del dittatore Lucio Silla, cui non manc in ogni caso di tributare elogi. Forse per paura di rappresaglie, dopo il successo dellorazione, Cicerone si allontana da Roma per viaggiare, tra il 79 e il 77, in Grecia e Asia Minore, verosimilmente perfezionandosi presso le prestigiose scuole di retorica di quelle regioni, che potrebbero aver influenzato lo stile della Pro Sexto Roscio Amerino, legata ad un asianesimo allora di moda ma poi successivamente abbandonato. Rientrato a Roma (intato Silla era morto nel 78), Cicerone inizia la carriera politica come questore in Sicilia. Lonest della sua amministrazione spinger poi i Siciliani a richiederlo come accusatore nella loro causa contro Verre, un corrotto propretore contro il quale Cicerone scrisse le celebri Verrine (fonte preziosa sui metodi dello sfruttamento romano delle province), di cui pronunci solo la prima, perch Verre, schiacciato dalle accuse, fugg in esilio volontario prima della sentenza. Queste orazioni mostrano uno stile gi maturo con il loro periodare chiaro ma architettonicamente complesso, ed evidenziano la bravura dellautore anche nella descrizione sarcastica e nel ritratto satirico degli avversari. Dopo la questura, Cicerone percorre rapidamente gli altri gradi del cursus honorum: entrato in senato, si avvicina ai populares, il partito contrario alloligarchia aristocratica, che cercava luomo forte da contrapporre al senato, lorgano di potere della nobilt. In questo contesto nasce lorazione Pro lege Manilia o De imperio Gnaei Pompei (del 66), che difende la proposta del tribuno Manilio di affidare a Pompeo poteri eccezionali per combattere Mitridate, il re ribelle del Ponto. La rivolta di quel-

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la regione dellAsia Minore minacciava soprattutto i cospicui interessi dei cavalieri, il ceto finanziario e imprenditoriale, che aveva in appalto la riscossione delle imposte nelle province e di cui avevano bisogno per il loro avvenire politico sia Pompeo sia Cicerone (che per, vedendo nella concordia ordinum laccordo del ceto senatorio con quello equestre la salvezza della repubblica dalla crisi, rimase contrario alle demagogiche proposte di redistribuzione delle terre e sgravio dai debiti avanzate dai populares). Grazie alla sua fama di moderato, Cicerone, un homo novus, venne sostenuto anche dagli aristocratici, che lo proposero al consolato per lanno 63 contro la candidatura di Lucio Sergio Catilina, appoggiato invece da popolari e italici. Tutta la crisi e i disagi sociali degli ultimi anni della repubblica si rivelarono allora nei tumulti e poi nel tentativo di eversione seguiti alla sconfitta di Catilina, la cui congiura venne stroncata dallo stesso Cicerone (anche con metodi illegali come la condanna a morte senza processo di molti congiurati fatto che gli procurer poi un breve periodo di esilio in seguito allapprovazione di una legge che puniva questa irregolarit). Dellepisodio rimane una viva testimonianza nelle quattro orazioni Catilinarie scritte da Cicerone per denunciare la cospirazione in atto. Nonostante il potere e la grande autorevolezza ormai raggiunti, Cicerone vedr presto il declino della propria fortuna politica a causa del cosiddetto primo triumvirato, il patto privato stretto nel 60 da Cesare, Pompeo e Crasso per spartirsi il potere a Roma (Cicerone ne aveva invece rifiutato le proposte). Successivamente, nella Pro Sestio, orazione in difesa di un tribuno accusato di violenza, Cicerone riformula la propria teoria sulla concordia dei ceti abbienti, dilatando il concetto della concordia ordinum in quello del consensus omnium bonorum, cio la concordia attiva di tutte le persone agiate e possidenti (i boni), amanti dellarmonia politica e sociale, disposte a collaborare per riportare lordine; si avvicina addirittura ai triumviri, sperando che un personaggio forte, o un collegio di uomini potenti, possa far cessare le aspre lotte che agitavano quotidianamente Roma. Non rinuncia comunque ad attaccare, nella Pro Caelio, il tribuno popolare Clodio, responsabile del suo esilio finito nel 57. in questi anni di angosce che Cicerone compone opere di filosofia politica: De re publica e De legibus. In seguito alluccisione di Clodio, nel 52, Cicerone difende dallaccusa di omicidio lamico Milone, capo delle bande aristocratiche che fu comunque costretto a fuggire in esilio. Lorazione scritta per questo processo, la Pro Milone, considerata uno dei suoi capolavori: Cicerone vi rovescia laccusa, lanciandosi in un appassionato elogio del tirannicidio, lomicidio che libera la patria dal tiranno. In realt, il testo che noi leggiamo una radicale rielaborazione della prima redazione, che risentiva probabilmente delle forti tensioni del momento: Cicerone ebbe al processo addirittura un crollo nervoso, mentre attorno al senato si scontravano le bande fedeli a Clodio e le truppe di Pompeo chiamate a imporre lordine. Scoppiata la guerra civile nel 49, Cicerone sostiene Pompeo, dopo la cui sconfitta viene comunque perdonato da Cesare e simpegna nella difesa di altri pompeiani che cercano clemenza. Nascono cos le orazioni cesariane: la Pro Marcello, la Pro rege Deiotaro, la Pro Ligario. Nella prima, Cicerone giunge anche a suggerire al ditta-

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rore riforme e comportamenti istituzionali tesi a favorire la concordia e a rispettare le prerogative del senato. Tra il 46 e il 45, estromesso dallattivit politica, Cicerone si dedica alla composizione di opere filosofiche, per poi tornare nella lotta allindomani dellassassinio di Cesare, da lui salutato con entusiasmo. Combatte con forza Antonio, il luogotenente di Cesare che cerca di raccoglierne leredit, e tenta di portare Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, dalla parte del senato. Contro Antonio pronuncia le Filippiche, una serie di violente orazioni (forse diciotto, ma ne restano quattordici) il cui titolo allude a quelle pronunciate da Demostene contro Filippo di Macedonia (il titolo , per, dubbio: Cicerone le chiama scerzosamente Filippiche nelle sue lettere e alcuni autori antichi le conoscevano come Antonianae). Tuttavia, laccordo poi siglato da Antonio con Ottaviano e Lepido (il secondo triumvirato) segna la fine di Cicerone, che, raggiunto a Formia dai sicari di Antonio dopo una fuga piuttosto irresoluta, muore nel 43 a.C.

1.2 Le opere retoriche: la codificazione dello stile e delleloquenza romana


Quasi tutte le opere retoriche di Cicerone sono state scritte a partire dal 55, un paio danni dopo il ritorno dallesilio. Come il De re publica e le successive opere filosofiche, esse nascono dal bisogno di una risposta politica e culturale alla crisi che Roma stava attraversando. Non un caso se una delle questioni principali che questi testi affrontano consiste nel problema, da tempo dibattuto, della necessit o meno per loratore di affiancare alle conoscenze tecniche della retorica anche quelle proprie di una vasta cultura nel campo del diritto, della filosofia e della storia. In giovent Cicerone aveva iniziato, senza completarlo, un trattatello di retorica, il De inventione 1, per il quale aveva largamente attinto alla quasi contemporanea Rhetorica ad Herennium (un manuale anonimo composto probabilmente negli anni Ottanta) e in cui sosteneva lopportunit di una sintesi tra eloquenza e sapientia (cio cultura filosofica necessaria alla coscienza morale delloratore). La prima senza la seconda tipica dei demagoghi e degli agitatori popolari e fonte di rovina per lo Stato. Molti anni dopo, Cicerone riprende queste riflessioni giovanili nel De oratore, composto nel 55 durante un periodo di ritiro dalla scena politica con Roma sconvolta dalle bande di Clodio e di Milone. Lopera ha la forma di un dialogo a cui prendono parte alcuni dei pi insigni oratori dellepoca. Nel libro I, a Lucio Licinio Crasso (portavoce di Cicerone), che sostiene la necessit di una vasta formazione 1

Nella terminologia retorica inventio indica il reperimento dei contenuti dellorazione, mentre la dispositio ne la collocazione; le altre tre parti sono: lelocutio, la scelta dei mezzi espressivi, la memoria, la memorizzazione, e lactio, il modo di porgere il discorso.

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culturale delloratore, si contrappone Marco Antonio (il nonno del triumviro) favorevole allideale di un oratore pi istintivo e autodidatta, formato nella pratica del Foro. Nel libro II Antonio espone i problemi relativi allinventio, alla dispositio e alla memoria. Nel libro III Crasso, ribadendo le sue posizioni teoriche, discute dellelocutio e della pronuntiatio, cio in genere dellactio (quasi recitazione) delloratore. Il dialogo ambientato nel 91, lanno stesso della morte di Crasso (pochi giorni dopo quelli in cui si immagina la discussione) e di poco precedente la guerra sociale e i lunghi conflitti civili fra Mario e Silla, nel corso dei quali soccomberanno Antonio e alcuni degli altri interlocutori. La crisi dello Stato grava tragicamente su tutti, stridendo volutamente con lambiente sereno e raffinato della conversazione, la villa tuscolana di Crasso, in cui Cicerone ha inteso ricreare latmosfera degli ultimi giorni di pace dellantica repubblica. Il modello ispiratore dellopera il dialogo platonico, la cui ripresa, per unopera retorica, costituiva un notevole scarto rispetto agli aridi manuali greci del tempo e a quelli usciti dalla scuola dei cosiddetti retori latini, che si limitavano a enunciare regole. Cicerone ha saputo creare unopera viva e interessante, che, basata sulla letteratura specialistica greca, si nutre tuttavia dellesperienza forense romana, da cui provengono quasi tutti gli esempi destinati a illustrare le teorie greche. Il talento, la tecnica della parola e del gesto e la conoscenza delle regole retoriche non possono ritenersi bastevoli per la formazione delloratore: si richiede, invece, una vasta formazione culturale. la tesi di Crasso, il quale lega strettamente la formazione culturale (soprattutto filosofica, con particolare attenzione alla filosofia morale) delloratore alla sua affidabilit etico-politica. Crasso insiste perch probitas e prudentia siano saldamente radicate nellanimo di chi dovr apprendere larte della parola: consegnarla a chi mancasse di queste virt equivarrebbe a mettere delle armi nelle mani di forsennati (3,55). La formazione delloratore viene in tal modo a coincidere con quella delluomo politico della classe dirigente: un uomo di cultura non specialistica (gli uomini del ceto dirigente non devono esercitare alcuna professione: per queste ci sono i liberi di condizione inferiore e gli schiavi), ma di vasta cultura generale, capace di padroneggiare larte della parola e di persuadere i propri ascoltatori, piegando il popolo al volere dei boni. Nel 46 Cicerone ritorna alle tematiche del De oratore in un trattato pi esile, lOrator, aggiungendovi una sezione sui caratteri della prosa ritmica e indicando i tre scopi cui deve tendere loratore ideale: probare (argomentare validamente le tesi), delectare (suscitare con le parole impressioni piacevoli), flectere (muovere le emozioni attraverso il pathos). Conseguentemente tre saranno anche i registri stilistici che loratore deve saper alternare: umile, medio, elevato o patetico (questultimo particolarmente opportuno nella peroratio finale). La rivendicazione della capacit di muovere gli affetti come compito sommo delloratore nasceva dalla polemica contro latticismo, i cui sostenitori, rifacendosi agli oratori attici e soprattutto a Lisia, adottavano uno stile semplice e scarno e rimproveravano a Cicerone forme di asianesimo quali ridondanze, frequente uso di figure, accentuazione dellelemento ritmico, abuso di facezie. Cicerone prese posi-

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zione nel Brutus, un dialogo composto nello stesso 46 e, come lOrator, dedicato a Marco Bruto, uno dei principali rappresentanti delle tendenze atticistiche. Nellopera Cicerone assume il ruolo di interlocutore insieme a Bruto e Attico e, in chiave autoapologetica, traccia una storia delleloquenza greca e romana che non a caso culmina nella rievocazione delle tappe della propria carriera oratoria, dal ripudio dellasianesimo giovanile al raggiungimento della piena maturit dopo la questura in Sicilia. Lottica ciceroniana rompe gli schemi tradizionali di generi e stili su cui si scontravano asiani e atticisti e, in coerenza con la propria pratica forense, afferma lopportunit di selezionare e alternare diversi registri a seconda delle esigenze delle diverse situazioni. Gli atticisti sono criticati per il carattere intellettualistico e poco efficace della loro eloquenza, che ignora larte di trascinare gli ascoltatori. La grande oratoria senza schemi ha il suo modello principe in Demostene, un attico ma di tendenze ben diverse da quelle di Lisia o di Iperide.

1.3 Un progetto di Stato


Il modello platonico ritorna con maggiore evidenza nel De re publica (ispirato evidentemente alla Repubblica del filosofo greco Platone), al quale Cicerone lavor lungamente fra il 54 e il 51 e in cui giunse a identificare la migliore forma di Stato nella costituzione romana del tempo degli Scipioni. Il dialogo si svolge nel passato, nel 129, presso la villa suburbana di Scipione Emiliano, che, con lamico e collaboratore Lelio, uno dei principali interlocutori. La ricostruzione della trama purtroppo solo ipotetica per la frammetariet delle condizioni in cui lopera ci arrivata, nonostante le citazioni di scrittori antichi (come Agostino) e soprattutto gli importanti ritrovamenti fatti, agli inizio dellOttocento, dal futuro cardinale Angelo Mai in un palinsesto vaticano. La parte meglio conservata quella finale, il cosiddetto Somnium Scipionis. Nel libro I Scipione, basandosi sulla dottrina delle tre forme di governo (monarchia, aristocrazia, democrazia) e della loro necessaria degenerazione rispettivamente in tirannide, oligarchia e oclocrazia (governo della feccia del popolo), riprende una tesi dello storico greco Polibio e mostra come la superiorit dello Stato romano consistesse nalla capacit di contemperare le tre forme positive: lelemento monarchico si rispecchia nel consolato, quello aristocratico nel senato, quello democratico nei comizi. Il libro II si occupava dello svolgimento della costituzione romana. Il libro III, dedicato alla iustitia, confutava per lo pi la critica mossa allimperialismo romano dal filosofo accademico Carneade, che accusava i romani di usare il concetto di guerra giusta, quella fatta in soccorso dei propri alleati (cio sudditi), come un pretesto per estendere progressivamente il proprio dominio e la propria sfera dinfluenza. Il libro IV trattava delleducazione dei cittadini e dei princpi che ne devono regolare i rapporti. Nei libri IV e V, la parte pi lacunosa dellopera, Cicerone introduceva la figura del rector et gubernator rei publicae, o princeps. Nel libro VI Scipione Emiliano rievoca infine un sogno in cui gli era apparso lavo, Scipione Africano, per mostrargli, dallalto del cielo, quanto fossero insignificanti la

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gloria e tutte le cose umane e rivelargli la beatitudine che attende nellaldil le anime dei grandi uomini di Stato. Nella formulazione fatta da Scipione della teoria del regime misto (risalente, attraverso Polibio, al peripatetico Dicearco e allo stesso Aristotele) il rapporto fra le tre forme di governo fondamentali non tuttavia paritetico: lelemento democratico, guardato con antipatia, considerato solo una sorta di valvola di sicurezza per lo sfogo delle passioni irrazionali del popolo. Lelogio del regime misto si risolve, pertanto, in unesaltazione della repubblica aristocratica dellet scipionica. per noi difficile, invece, capire quale fisionomia e quale funzione nellorganismo statale venissero attribuiti alla figura del princeps, sebbene alcuni punti possano ritenersi assodati: il singolare si riferisce al tipo delluomo politico eminente, non alla sua unicit. Cicerone, rifacendosi probabilmente al ruolo ricoperto nella repubblica romana da Scipione Emiliano, sembra cio pensare a una lite di personaggi eminenti che si ponga alla guida del senato e dei boni. Lopera non prefigurerebbe dunque esiti augustei, mantenendo il ruolo del princeps nei limiti della forma statale repubblicana e, senza immaginare una riforma costituzionale, auspicherebbe la coagulazione del consenso politico intorno a leader prestigiosi. Lautorit del princeps non sarebbe cos alternativa, ma di sostegno a quella del senato, allo scopo di salvare la res publica. Per non travalicare i limiti costituzionali, il princeps dovr armarsi contro tutte le passioni egoistiche e soprattutto contro il desiderio di potere e ricchezza: questo il senso del disprezzo delle cose umane che il Somnium Scipionis addita ai reggitori dello Stato. Cicerone disegna cos limmagine di un dominatore-asceta, rappresentante in terra della volont divina, rinsaldato nella dedizione al servizio dello Stato dalla sua despicientia verso le passioni umane. Ispirandosi ancora al modello di Platone, che alla Repubblica aveva fatto seguire le Leggi, Cicerone complet il dialogo sullo Stato col De legibus, iniziato nel 52 e probabilmente non pubblicato in vita. Se ne sono conservati i primi tre libri e frammenti del IV e del V. Lazione, qui ambientata nel presente, ha per interlocutori, oltre allo stesso Cicerone, il fratello Quinto e lamico Attico. Nel libro I Cicerone espone la tesi stoica dellorigine divina della legge, basata sulla ragione innata in tutti gli uomini e non sulla convenzione. Nel libro II lesposizione delle leggi che dovrebbero essere in vigore nel migliore degli Stati si basa sulla tradizione legislativa romana, orientata sul diritto pontificio e sacrale (e non, come in Platone, su una legislazione utopistica). Nel libro III Cicerone presenta il testo delle leggi riguardanti i magistrati e le loro competenze.

1.4 Una morale per la societ romana


Cicerone comincia solo nel 46 a scrivere opere filosofiche, con loperetta I paradossi degli stoici, quando, costretto a ritirarsi dalla vita politica, cercher consolazione nella filosofia. Come negli scritti di retorica, la forma privilegiata ancora quella dialogica, di memoria chiaramente platonico-aristotelica. Tema di opere ambiziose in

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pi libri come il De natura deorum (Sulla natura degli di), il De finibus bonorum et malorum (Del sommo bene e del sommo male), le Tusculanae disputationes (Discussioni, cos denominate perch si immaginano tenute nella residenza di Tusculum) sono le grandi domande che si poneva anche la filosofia ellenistica: lesistenza e il ruolo degli di nel mondo, il dolore, il timore della morte, la felicit, la virt. Ma il Cicerone filosofo non ambisce probabilmente a formulazioni originali e riassume piuttosto posizioni e schemi teoretici, controbatte argomenti, traduce testi e problemi filosofici difficili, ripensando tutto il corpus di metodi e dottrine cresciuto entro le scuole ellenistiche. Originale per linteresse a cercare sempre, anche nei pi raffinati problemi teoretici e gnoseologici, la conseguenza pratica, la ricaduta in termini di azione e partecipazione politica. Limpegno ciceroniano soprattutto moralistico e non dimentica i doveri del cittadino al servizio dello Stato: lo scopo quello di offrire un punto di riferimento alla classe dirigente romana, nella prospettiva di ristabilirne legemonia sulla societ. In questa direzione vanno chiaramente due operette come il Cato maior de senectute e il Laelius de amicitia. La prima ha come protagonista la figura idealizzata e addolcita di Catone il Censore, in cui si vedono armonizzati il gusto per lotium e la tenacia dellimpegno politico, due opposte esigenze che Cicerone ha per tutta la vita cercato invano di conciliare. La seconda (il cui dialogo simmagina avvenuto pochi giorni prima della morte di Scipione Emiliano nel 129 a.C.), sulla scorta del pensiero greco, ricerca i fondamenti etici della societ nel rapporto che lega fra loro le volont degli amici, tentando di superare la tradizionale logica clientelare e di fazione propria dello Stato aristocratico che intendeva con amicitia soprattutto la creazione di legami personali a scopo di sostegno politico. La novit dellimpostazione ciceroniana consiste nellallargamento della base sociale delle amicizie oltre la cerchia ristretta della nobilitas, attraverso il riconoscimento di valori quali virtus e probitas, attribuiti a vasti strati della popolazione, a fondamento dellamicizia. Cicerone vede negli Scipioni e nel loro entourage (di cui Lelio fa appunto parte) la realizzazione pi perfetta di questi ideali di amicizia e humanitas. A problemi di teoria della conoscenza sono dedicati gli Academica, di cui restano solo i due libri intitolati Lucullus e Varro. Cicerone, che vi compariva come interlocutore, tratta le diverse dottrine ellenistiche, discutendo sulla possibilit o meno di concepire nozioni vere e attendibili. Cicerone, aderendo al probabilismo degli Accademici (la scuola di Platone), ritiene la conoscenza, anche solo su basi di probabilit, sufficiente a orientare lazione. La scrittura dei dialoghi assai raffinata e Cicerone d spazio anche a una certa invenzione narrativa nella scelta delle scenografie e nellelaborazione dellincontro tra i vari personaggi. Fanno eccezione, da questo punto di vista, solo le Tusculanae disputationes, che hanno per interlocutori un maestro e un discepolo anonimi, e sono quasi un lungo monologo interiore sul male, la morte, il dolore, la noia o animi aegritudo. Nellaspirazione alla ricercatezza dellelaborazione stilistica, Cicerone emula Platone, finendo col sostituirlo fino al Rinascimento come modello del dialogo. Anche quando mette in scena se stesso come personaggio, Cicerone si astiene dal

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formulare unopinione precisa per lasciare spazio ad un confronto libero e aperto, in cui prevalgano le regole di una conversazione educata, priva di veri scontri. Lunica dottrina cui Cicerone riserva una notevole ostilit lepicureismo, aggredito con forza sia nel De natura deorum che nel De finibus: linvito epicureo al disimpegno civile e laffermazione del disinteresse degli di verso le vicende umane erano infatti elementi ritenuti eversivi per i princpi della tradizione politica e religiosa di Roma. Di argomento religioso anche il De divinatione, un dialogo sui segni che proverrebbero dagli di.

1.5 I doveri della classe dirigente: il De officiis


Il De officiis, la cui stesura venne iniziata probabilmente nellautunno del 44, un trattato, non un dialogo, dedicato al figlio Marco, allora studente di filosofia ad Atene. Lopera il prodotto di una elaborazione rapidissima, per lo pi contemporanea alla composizione di alcune delle Filippiche: mentre combatte contro la rovina della patria, Cicerone riflette sui fondamenti di una morale della vita quotidiana che permetta allaristocrazia romana di riacquistare il controllo sulla societ. La base filosofica offerta dallo stoicismo moderato di Panezio, che, fondato sul rifiuto delledonismo epicureo e rispettoso dellordine politico-sociale tradizionale, fornisce la minuziosa casistica necessaria a regolare i comportamenti quotidiani dei membri dei gruppi dirigenti. Rispetto alla Sto antica, la dottrina di Panezio attribuiva un valore positivo agli istinti, che dalla ragione non devono essere oppressi, bens disciplinati; le tradizionali virt cardinali stoiche (giustizia, sapienza, fortezza, temperanza) venivano reinterpretate come organico sviluppo degli istinti fondamentali. La sottomissione degli istinti alla ragione e dunque un saldo autocontrollo definiscono il gentiluomo ciceroniano, che nel De officiis, attraverso il senso del conveniente (decorum), ricerca lapprovazione degli altri con lordine, la coerenza, la giusta misura nelle parole e nelle azioni. La costante attenzione ai pensieri e alla suscettibilit degli altri sono del resto un portato necessario della fitta rete di obblighi sociali che a Roma competono ai membri delle classi superiori. Cicerone non rinuncia inoltre a una minuta precettistica relativa ai comportamenti da tenere nella vita quotidiana e nellabituale commercio con le persone, soffermandosi, ad esempio, sui gesti e le posture in cui il decorum si manifesta o si rinnega, dando consigli sulla toilette e sullabbigliamento, sui modi della conversazione dintrattenimento. Descrive persino come debba essere la casa dellaristocratico romano per dargli prestigio senza sfarzo. Questi precetti rappresentano solo una delle articolazioni interne di un trattato che si propone di costruire, fondandolo su solide basi filosofiche, un modello complessivo del vir bonus e non vanno dunque considerati come legati ad un galateo quale vero e proprio genere letterario autonomo; tuttavia Cicerone dava cos inizio a una tradizione destinata ad avere grande fortuna nella cultura occidentale.

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1.6 Lo stile e le opere poetiche


Come autore di opere filosofiche (ma anche come teorico di retorica), Cicerone, come Lucrezio, deve affrontare il difficile problema della resa in latino di molti termini greci. Il suo sforzo di evitare i grecismi, di selezionare attentamente le parole per ottenere la massima chiarezza, di costruirsi dunque un lessico astratto allorigine di molti neologismi poi entrati nelluso come ad esempio qualitas, quantitas, essentia. Sappiamo talvolta anche del travagliato processo di ricerca di una soluzione, come nel caso, discusso nelle lettere allamico Attico, della traduzione del fondamentale termine greco kathkon con il latino officium. Il contributo pi notevole di Cicerone allevoluzione della prosa latina letteraria rimane comunque la creazione di un tipo di periodo complesso e armonioso, fondato sul principio della corrispondenza tra le parti, la concinnitas. Il modello greco nelledificazione di questo stile, che vuol essere solenne e pacato, sono i grandi oratori attici, soprattutto Isocrate e Demostene. Cicerone elimina completamente tutte quelle incoerenze (anacoluti, costruzioni a senso) che la prosa arcaica latina aveva ereditato dal linguaggio colloquiale e privilegia lipotassi sulla paratassi; sceglie cio di rendere evidente larticolazione e la connessione logica dei pensieri attraverso legami di dipendenza sintattica fra le proposizioni: si tratta dei famosi periodi lunghi dei quali abbondano le pagine ciceroniane. Ma lo stile di Cicerone si caratterizza anche per una grande variet di toni e registri stilistici. Ciascuna delle tre gradazioni di stile (semplice, temperato, sublime) convenientemente impiegata a seconda delle corrispondenti esigenze del probare, delectare, movere, in modo che a ogni livello di stile corrisponda una collocazione delle parole adeguata, unopportuna sonorit fatta di armonia ed euritmia. Inoltre, la disposizione verbale sempre tale da realizzare il numerus, un sistema di regole ritmiche adattate alla prosa, che trova particolare evidenza nelle clausole, cio nelle parti finali dei periodi, per colpire lascoltatore con gli effetti suggeriti dalla successione dei piedi. A questa cura per lo stile della prosa Cicerone accompagnava un analogo interesse per la poesia. La sua produzione in versi, di cui sono rimasti solo pochi frammenti, fu per giudicata molto negativamente sia dai contemporanei che dai posteri, nonostante lorgoglio spesso mostrato dallautore. Tra le prime prove poetiche ciceroniane, che rivelano interessi di erudizione mitologica, di critica letteraria, di sperimentazione metrica, ricordiamo i poemetti Glaucus e Alcyones e il Limon (il cui titolo in greco prato allude probabilmente al carattere antologico e miscellaneo). La traduzione in esametri dei Fenomeni di Arato ebbe invece grande fortuna: lopera viene letta da tutti i poeti di questa et e la versione di Cicerone (che d forse le sue prove poetiche migliori proprio come traduttore, a giudicare anche dalle traduzioni di poesia greca citate nei suoi dialoghi) occupa un posto importante nella storia dello stile poetico latino. Ben presto i suoi gusti dovettero farsi pi tradizionalistici (vincolandosi soprattutto al modello arcaico di Ennio) fino allostilit verso i poeti moderni (neteroi o poetae novi), come chia-

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mava con qualche fastidio i rappresentanti della nuova poesia in via di affermazione. Scrive il poema Marius (sulla vita dellaltro grande homo novus di Arpino, vincitore di Giugurta) e il famigerato De consulatu suo, in tre libri, composto intorno al 60, in cui Cicerone si elogiava per aver salvato Roma dalla congiura di Catilina e che divenne la sua opera poetica pi sbeffeggiata sia per la stucchevole autocelebrazione sia per la cattiva fattura. Eppure, nonostante lo scarso favore incontrato dalle sue opere, Cicerone considerato importante nello sviluppo dello stile e delle tecniche versificatorie. Egli raffina la tecnica dellesametro, regolarizzando il sistema delle cesure (le pause ritmiche allinterno del verso) e inaugurando la consuetudine di dare alle parole del verso una disposizione pi ricca ed espressiva: Cicerone a insegnare la tecnica dellenjambement, quelleffetto di maggiore articolazione del discorso che si ottiene liberando oltre i confini del verso la singola frase, che si inarca su pi versi successivi. Gli stessi poeti augustei, per i quali lesametro sar ormai una struttura mobilissima e ricca, devono molto proprio alle infelici composizioni ciceroniane.

1.7 Lepistolario
Per la conoscenza di Cicerone di straordinaria importanza il suo epistolario, che comprende anche qualche lettera di risposta dei destinatari. Si compone, nella forma in cui ci stato tramandato, di 16 libri Ad familiares (parenti e amici: le lettere vanno dal 62 al 43 a.C.), 16 libri Ad Atticum (per tutta la vita, il migliore amico di Cicerone: lepistolario abbraccia il periodo dal 68 al 44), 3 libri Ad Quintum fratrem (dal 60 al 54) e 2 libri Ad Marcum Brutum (di autenticit controversa: le lettere sono tutte del 43), per un totale di circa novecento lettere, che furono pubblicate in una data incerta ma successiva alla morte di Cicerone (forse, almeno le Ad familiares, a cura del fedele liberto Tirone). La variet di questi testi comprende rapidi biglietti, vivaci resoconti degli avvenimenti politici, elaborate lettere simili a brevi trattati. Alla diversit dei contenuti, delle occasioni e dei destinatari corrisponde quella dei toni, che vanno dallo scherzoso al preoccupato, dallangosciato al sostenuto. Si tratta di lettere vere, scritte senza lobiettivo della pubblicazione, che mostrano perci un Cicerone non ufficiale, aperto alla rivelazione di confidenze e incertezze di ogni genere. Anche lo stile, molto diverso da quello delle opere destinate alla pubblicazione, riflette questo carattere di epistolario reale: il periodare spesso ellittico, gergale, denso di allusioni talora cifrate, abbondante di grecismi e colloquialismi; la sintassi denuncia molte paratassi e parentesi, il lessico costellato di parole pittoresche, come diminutivi e ibridi greco-latini. una lingua che rispecchia piuttosto fedelmente il sermo cotidianus delle classi elevate di Roma. Non va dimenticato, infine, leccezionale valore storico dellepistolario ciceroniano, che permette talora di seguire giorno per giorno levolversi degli avvenimenti politici e contribuisce a rendere lepoca in cui visse Cicerone una delle meglio note della storia antica.

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1.8 La fortuna di Cicerone


Gi i contemporanei si divisero fra estimatori e detrattori di Cicerone: fra i secondi vanno ricordati, oltre agli oratori di tendenza atticista, almeno Asinio Pollione e, soprattutto per i gusti stilistici, Sallustio. Il I secolo d.C. vide il nuovo modello senecano, fondato sul periodare nervoso, rapido e punteggiato di sententiae, rivaleggiare con quello ciceroniano; ma questultimo venne ben presto riportato a una posizione di predominio quasi esclusivo almeno nella tradizione scolastica dalla reazione classicistica che trov uno dei suoi centri di diffusione nella scuola di Quintiliano. Gli arcaizzanti del II secolo, come Gellio e Frontone, continueranno a tributare alla prosa di Cicerone un omaggio di maniera, ma i loro gusti si indirizzeranno verso lideale di uno stile pi asciutto e meno magniloquente. Per il Medioevo cristiano Cicerone uno dei massimi mediatori delle idee e dei valori della civilt antica, maestro di filosofia e di arte retorica. Dante, che pure non lo colloca fra i sommi prosatori, ne ricorda spesso soprattutto le opere filosofiche. Col primo Umanesimo (e la scoperta, ad opera di Petrarca, di parte dellepistolario ciceroniano), linteresse per la figura umana e la personalit storica di Cicerone si aggiunge allammirazione per lo scrittore. Ma in personaggi come Petrarca, Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, la riflessione sullesperienza ciceroniana alimenta anche la tensione sempre viva fra vita attiva e vita contemplativa, impegno politico e ritiro negli studi filosofici. LUmanesimo e il Rinascimento conoscono anche una lunga polemica di stile fra ciceroniani e anticiceroniani: i primi (fra i quali vi era Poggio Bracciolini) additavano in Cicerone lunico modello di prosa latina, lunico autore da imitare; gli anticiceroniani, che si rifacevano in modo pi o meno esplicito a Lorenzo Valla e annoveravano intellettuali di primordine come Poliziano o Erasmo (che nel Ciceronianus mise in ridicolo i raccoglitori di vocaboli e di espressioni ciceroniane), si pronunciavano piuttosto per una pluralit di modelli. Sebbene il ciceronianesimo fanatico sia finito abbastanza presto dopo aver trovato un autorevole campione in Pietro Bembo, la successiva cultura europea erediter tuttavia lidea del primato delleloquenza e della retorica, il culto e limitazione dei classici latini: anche di qui le difficolt della formazione di una vera prosa storica e scientifica. Nel campo del pensiero storico e politico moderno, Cicerone, come anche altri autori antichi, ha contribuito soprattutto ad alimentare il moderatismo politico: lodio per la tirannia unito al disgusto per il volgo, il culto della libert insieme al rifiuto delleguaglianza e al disprezzo per la democrazia; ma la lezione ciceroniana stata importante anche per la ricerca di un equilibrio fra impegno politico e libert interiore. Negli ultimi due secoli, la fortuna di Cicerone ha risentito degli effetti di numerosi fattori: la svalutazione della cultura latina nei confronti di quella greca, attuata dal Romanticismo soprattutto tedesco; linterpretazione storica di Theodor Mommsen, che ne fece il campione di uneloquenza ricca di parole ma povera di pensiero e vide in lui un politicante opportunista. Nuove tendenze hanno pi di recente riconosciuto a Cicerone il giusto primato quale forgiatore della prosa latina e mediatore nella trasmissione del pensiero greco, rivalutando anche la sua figura storico-politica sullo sfondo drammatico del periodo di crisi di cui fu partecipe.

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Nota bibliografica Edizioni complete delle opere di Cicerone sono nelle collane della Teubner, Loeb e Bud (Les Belles Lettres). I frammenti delle opere perdute si trovano nelledizione di C.F.W. MUELLER, vol. III, Leipzig, 1898. Per le orazioni perdute si veda anche F. SCHOELL, vol. III, Leipzig, 1918, G. PUCCIONI, Milano, 1963 e J.W. CRAWFORD, M. Tullius Cicero: the Lost and Unpublished Orations, Gttingen, 1984. Per le opere filosofiche si veda J. GARBARINO, Milano, 1984; M. RUCH, Paris, 1958; per le opere poetiche A. TRAGLIA, M. Tullio Cicerone, I frammenti poetici, Milano, 1963 e J. SOUBIRAN, Paris 1972. Numerosi i commenti a singole opere e orazioni; tra gli altri ricordiamo: Pro Roscio Amerino: G. LANDGRAF, Leipzig, 19142; Pro Caelio: R.G. AUSTIN, Oxford, 19603; In Pisonem: R.G.M. NISBET, Oxford, 1961; Brutus: A.E. DOUGLAS, Oxford, 1966; De imperio Gn. Pompei: E.J. JONKERS, Leiden, 1979; De re publica: K. Bchner, Heidelberg, 1983; J.E.G. ZETZEL (commento parziale), Cambridge, 1995; Filippiche: D.R. SHACKLETON BAILEY, Chapel Hill and London, 1986; De senectute: J.C. POWELL, Cambridge, 1988; De officiis: M. WINTERBOTTOM, Oxford, 1994; A.R. DYCK, Ann Arbor, 1996; Pro Sulla: D.H. BERRY, Cambridge, 1996; De natura deorum: P.G. WALSH, Oxford, 1997; Epistolario: R.Y. TYRRELL L.C. PURSER, Dublin, 1885-1933; D.R. SHACKLETON BAILEY, Cambridge, 1965-81. Con versione inglese ledizione delle Epistulae ad Familiares, a cura di D.R. SHACKLETON BAILEY (3 voll.), Cambridge (Mass.)-London, 2001 e quelle delle Epistulae ad Atticum, sempre a cura di D.R. SHACKLETON BAILEY, Cambridge (Mass.), 1999. Si segnalano inoltre i saggi introduttivi e le traduzioni con testo latino a fronte di: L. FERRERO, Opere politiche e filosofiche, a cura di L. FERRERO e N. ZORZETTI (revisore), Torino, 19742; N. MARINONE, Opere politiche e filosofiche, Torino, 19762; L. STORONI MAZZOLANI, Le Catilinarie, Milano, 19822; C. Saggio, Lamicizia, Milano, 1985; A. CAVARZERE, In difesa di Marco Celio, Venezia, 1987; G. BERNARDI PERINI, Lettere ai Familiari, a cura di G.B.P. A. CAVARZERE D. NARDO E. PIANEZZOLA, Milano, 1987; A. RESTA BARRILE, I doveri, Milano, 1987; C. GIUSSANI, Pro Sestio, Milano, 1988; S. TIMPANARO, Della divinazione, Milano, 1989; P. FEDELI, In difesa di Milone, Venezia, 19922; F. DEMOLLI, Il sommo bene e il sommo male, Milano, 1992; D. VOTTERO, Il processo di Verre, introd. di N. MARINONE, Milano, 1992; F. STOK, Il sogno di Scipione, Venezia, 1993; E. NARDUCCI, Delloratore, Milano, 1994; IDEM, Bruto, Milano, 1995; IDEM, Tuscolane, Milano, 1996; IDEM, La casa, Milano, 1998; F. GASTI, Orazioni cesariane (Pro Marcello, Pro Ligario, Pro rege Deiotaro), Milano, 1997; C. SPIGNO, Epistole ad Attico, Torino, 1998 (2 voll.); G. MASELLI, In difesa di Lucio Flacco, Venezia, 2000; C. SPIGNO, Epistole al fratello Quinto e altri epistolari minori, Torino, 2002. Studi: R. HIRZEL, Untersuchungen zu Ciceros philosophische Schriften, 3 voll., Leipzig, 1877-83; E. LEPORE, Il princeps ciceroniano e gli ideali politici della tarda

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