Sei sulla pagina 1di 33

La Filosofia della scuola Cārvāka

 Possiamo nominare questa scuola come


materialismo. La verità si trova solo in
quello che vediamo davanti ai nostri occhi.
Non c’è bisogno di parlare di una realtà
aldilà della nostra, come parlano le scritture
(I Veda).
 C’era una scuola Greca che assomigliava
questa scuola…
 La scuola di Epicuro.
Dobbiamo tener conto…
 Che non abbiamo fonti originali di questa scuola.
 I concetti di questa scuola sono derivati dalla
critica che le altre scuole fecero di loro, che ne
deformarono spesso le teorie, i pensieri di
Cārvāka, attribuendo fra l'altro ai maestri del
materialismo una condotta licenziosa ed un
comportamento antisociale.
 La reazione di questa scuola contro il ritualismo
dei Veda ecc., era forte.
 I seguaci di Cārvāka hanno sfidato il
dogmatismo della filosofia Vedica di quel epoca
e in questo hanno avuto successo.
 Per l'opposizione della tradizione ortodossa
della filosofia indiana, tutte le loro opere sono
andate oggi perdute, così che per la
ricostruzione del pensiero cārvāka ci si deve
accontentare delle citazioni sparse in opere
buddiste, giainiste ed induiste
 «Carv» vuol dire «mangiare». Allora la dottrina
fondamentalmente dei Cārvāka era «Mangia,
Beve e sii felice». (Cāru – buono; vāk – parola)
 L’origine di questa scuola non è chiara. Alcuni
dicono che il fondatore era uno che si chiamava
Bṛhaspati. Dicono che lui aveva insegnato gli
dei che volevano imparare il materialismo solo
per insegnarlo ai demoni, per distruggerli. Così
che non potevano arrivare al potere spirituale
che stava con gli dei.
 Un altro racconto parla di un saggio che si
chiamava Cārvāka il discepolo di Bṛhaspati che ha
promulgato il materialismo.
 Le loro opinioni erano attraenti per la gente
comune e perciò i seguaci erano chiamati
lokāyatikas e la dottrina lokāyatamata.
 Questa scuola già esisteva prima del Buddhismo ed
era una sfida al ritualismo Vedico.
Le Sūtra dei Cārvāka
 Una sūtra è come una formula o una regola.
 Quello che è percepibile è vero. Allora la
percezione è l'unica fonte valida di conoscenza
 La terra, l’acqua, il fuoco e l’aria sono gli
elementi veri.
 Il corpo, i sensi e gli oggetti sono i risultati delle
varie combinazioni dei elementi.
 La coscienza nasce dalla materia come le qualità
inebriante del vino nasce dal lievito fermentato.
 L'anima non è altro che il corpo cosciente.
 Il piacere è l'unico fine della vita umana.
 Solo la morte è la liberazione.
 Le Sū tra sopramenzionati possono essere
messi in tre categorie: Epistemologia,
Metafisica ed Etica.
Un riassunto?
 «Non c’è ne paradiso, ne liberazione finale, ne
qualche anima in un altro mondo, ne gli azioni
delle quattro caste produce qualche effetto. … Se
una bestia sacrificata nel rito Jyotiṣṭoma andasse
in paradiso perché non sacrificare il proprio
padre… In quanto c’è la vita godetela… quando il
corpo diventa ceneri come mai potrà ritornare
qui? (Tutti questi sacrifici, cerimonie, riti, sono
mezzi di commercio per i preti). Gli autori dei
Veda erano buffoni e demoni».
Epistemologia dei Cārvāka
 Tutta la filosofia dei Cārvāka dipende sulla
epistemologia/logica.
 Percezione è l’unico mezzo di conoscenza valida
(pramāṇa).
 Ci sono due percezioni: esterna e interna. La
percezione interna dipende sull’esterna.
 Le Cārvāka non accettano inferenza e testimonianza
come fonti validi di conoscenza.
Argomenti contro Inferenza
 Arrivare ad una conclusione universale solo da un
esempio non è accettabile.
 Diciamo che dove c’è fumo c’è fuoco.
 Vediamo il fumo sulla montagna allora concludiamo
che deve essere fuoco (senza aver visto il fuoco).
Questo è invalido.
 Inferenza dipende sulla concomitanza universale
(vyāpti). Però con il vyāpti dobbiamo avere la
certezza di tutti i casi, passati, presenti e futuri che
siano veri (cioè che seguano la cosiddetta logica).
Questo invece è impossibile.
 Allora, verità non è una caratteristica
intrinseca di tutti i casi di inferenza anzi è un
accidente separabile.
 Perciò inferenza non può essere una pramāṇa
valida.
Argomenti contro la Testimonianza
 La testimonianza è una pramāṇa secondo
altre scuole.
 Le Cārvāka dicono che in quanto la
testimonianza contiene parole che sono
sentite dagli orecchi in tanto possono essere
una percezione valida. Però in quanto le
parole significano cose che non sono
percepibile e cercano di darci conoscenza di
quelle cose, in tanto non sono libere da errore
o dubbio.
Non credono nei Veda
 Le Cārvāka rifiutano la validità dei Veda dicendo
che sono piene di falsità, contradizione e tautologia.
 Un testo Vedico dichiara, «se uno desidera un figlio
deve eseguire il sacrificio ‘putresti’». Però si trova
che dopo il sacrificio il figlio non nasce. Allora il testo
risulta falso.
 Un altro testo dichiara, «se uno desidera andare in
paradiso deve eseguire l’oblazione ‘Agnihotra’».
Come possiamo credere nella validità di una
conoscenza che è impercepibile quando quello che
è percepibile non succede.
 Non accettano l’autorità dei Veda.
Qualche critica contro
l’epistemologia di Cārvāka?
Critica della epistemologia dei Cārvāka
 Le altre scuole hanno criticato l’epistemologia
dei Cārvāka.
 Il rifiuto di inferenza come una pramāṇa dal
punto di vista empirico significa il rifiuto
universale di pensiero e discussione.
 Tutti pensieri, discussioni, dottrine,
affermazioni, prove ecc., sono possibile a causa
di inferenza.
 In fatti il punto di vista dei Cārvāka che solo la
percezione è valida ed inferenza non è valida è
il risultato dell’inferenza.
 I Cārvāka possono capire gli altri e farli capire
loro solo per inferenza.
 Pensieri, idee ecc., che non sono oggetti
materiali e non possono essere percepiti dai
sensi allora devono per forza essere
inferiti/dedotti.
 Percezione che è presa come valida dai
Cārvāka è tante volte falsa.
 Percepiamo che la terra è piatto però è quasi
rotondo.
 Percepiamo che la terra è statico però sta
muovendo intorno al sole.
 Percepiamo che il sole è piccolo però in realtà è
più grande che la terra.
 La verità in tanti casi va contro le conclusioni
fatti dalla percezione.
 La percezione pura solo nei sensi non può
essere considerata come una conoscenza valida
a meno che la mente ha arrangiato i dati dei
sensi in ordine e le ha dato un significato.
 Tante affermazioni sono possibile a causa della
testimonianza. Per esempio i discepoli del
fondatore dei Cārvāka racconteranno agli altri
studenti come era morto ecc., però i studenti
secondo la posizione contro la testimonianza
non lo crederanno o non lo devono credere.
La Metafisica dei Cārvāka
 La metafisica dei Cārvāka segue la
conclusione epistemologica che la
percezione è la pramāṇa (il fonte della
conoscenza valida).
 Allora Dio, l’anima, paradiso, la vita
prima della nascita e dopo la morte,
ecc., non sono credibili o accettabili
 Allora vediamo un materialismo dove la
materia è la vera realtà.
Gli elementi naturali
• Quando discutevano la natura dei
materiali nel mondo le altre scuole
proponevano 5 elementi:
• etere (ākāśa), aria (vāyu), fuoco (agni),
acqua (ap) e terra (kṣiṭi).
• Con quale elemento i Cārvāka avranno
problemi?
• Etere.
L’Anima

 I Cārvāka accettano un principio cosciente o


spirituale solo che questo principio non esiste
indipendentemente come un’altra entità. È solo
una proprietà dell'aggregato fisica del corpo e
scompare quando il corpo disintegra.
 L’anima è niente più che un corpo cosciente.
 Se l’anima (il «io») fosse un’entità diversa dal
corpo le frasi come «io sono magro», «io sono
sordo», «sono cieco» ecc., non avrebbero senso.
 Come si può criticare questo pensiero?
Una domanda ai Cārvāka
• Se non possiamo vedere la coscienza nei
elementi materiali come è possibile parlare di
una coscienza in quelli materiali?
• «Nemo dat quod non habet» (nessuno da, quello
che non ha). Allora come mai la coscienza
emerge dalle combinazioni dei elementi.
• Potete indovinare la risposta dei Cārvāka?
La risposta
• La qualità che non è presente originariamente
nei elementi può emergere dopo le loro
combinazioni. Per esempio:
• Foglie di betel, calce e noce di betel, nessuna
delle quali è in origine rosso, venite ad acquisire
una sfumatura rossastra se sono masticati
insieme.
• L'uva che non sono originariamente inebriante
quando sono lasciati con l'aggiunta di altri
materiali diventa inebriante.
• In modo analogo è possibile pensare che gli
elementi materiali combinati in una proporzione
particolare, provocano un corpo vivente
cosciente.
• Quindi coscienza è un epifenomeno o
sottoprodotto della materia.
Se la coscienza è una proprietà del corpo,
dovrebbe essere sia essenziale ad essa o
accidentale. Nel primo caso, dovrebbe essere
inseparabile dal corpo e durare quanto dura il
corpo, però vediamo il contrario in un svenimento
o deliquio o nel sonno profondo senza sogni il
corpo è visto senza la coscienza. In quest'ultimo
caso, implica che dovrebbe essere un'altra
agenzia che produce la coscienza e quella agenzia
non può essere interamente attribuita al corpo.

La Critica
 La mera convivenza/co-esistenza non è
causalità: Se vediamo che la coscienza fa parte
accidentale o co-esiste con il corpo non vuol dire
che il corpo causa la coscienza. Per esempio la
vista non è possibile senza luce. Allora possiamo
dire che la luce causa la vista? No. Perché ci
vuole un occhio per avere la vista. Allora gli occhi
e la luce sono condizioni per la vista. Così anche
nel caso di coscienza che vuole un corpo per
manifestarsi.
Se la coscienza fosse la proprietà del corpo,
sarebbe, in quanto percepito da uno, in
tanto percepito nella stessa maniera anche
dagli altri. Per esempio, il colore della
nostra pelle, la forma del corpo ecc., sono
percepite nella stessa maniera da tutti.
Invece i pensieri, sentimenti, sogni e le
memorie di uno non sono percepiti dagli
altri nella stessa maniera.
Quando vediamo la diversità nei casi citati
sopra, possiamo concludere che la
coscienza è un principio indipendente dal
corpo però tramite il corpo si manifesta.
L’Etica dei Cārvāka

 Il piacere del senso è il summum bonum.


 Mokṣa o liberazione non è la fine…
 Il piacere deve essere goduto e il dolore evitato.
Per esempio uno per forza deve separare le
spine/ossa dal pesce per goderne.
 Non negano il dolore. Ma ritenevano che la
somma dei piaceri è maggiore di quella dei
dolori, e la stessa sofferenza capace di farci
meglio apprezzare la felicità
 Quello che rifiuta il piacere per la paura del
dolore in futuro è uno scemo.

il massimo del piacere sensuale con il
minimo di dolore è il bene più alto. La vita
senza sofferenza è falsa.
Non c’è una felicità o un bene soprannaturale
o fuori di questo mondo. Non c’è paradiso.
L’inferno e paradiso sono invenzioni dei preti
e sacerdoti.
 Tutte le proibizioni devono essere gettati
fuori (devono essere eliminati).
• I Cārvāka fanno un compromesso con il
male/sofferenza invece di superarla.
• Una voce contro il potere e lo sfruttamento
del popolo da parte dei sacerdoti e la classe
alta
• https://www.youtube.com/watch?
v=Azog1aDQu6g

La Critica

Potrebbero piacerti anche