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Il Secretum: primo libro

All’interno dell’opera, il santo gli rivela gli errori e i vizi dello scrittore, il suo ostinato
attaccamento alle cose terrene e gli indica una via, quella dell’autentica vita religiosa,
che può condurlo alla liberazione della sua inquietudine. Il poeta tenta varie volte di
giustificarsi, formula vari propositi: il dialogo si chiude sempre con una soluzione
definitiva e senza nessuna trasformazione da parte dell’autore. Mentre Agostino con le
sue domande penetra l’animo di Francesco, quest’ultimo descrive la propria condizione
interiore ed individua il male che lo affligge.
Nel primo libro, si mette in evidenza la contraddizione che caratterizza l’attaccamento di
Francesco e di ogni uomo alle cose terrene, dove Agostino rimprovera il poeta, dovuto
alla sua debolezza d’animo che non gli permette di conoscere sé stesso. Qualcosa di
sottile e sotterraneo trattiene Francesco da un totale rifiuto delle vanità terrene e da un
pieno affidamento alla volontà di Dio, procurandogli un’anxietas senza tregua. Il poeta si
mostra penitente, confessando la propria volontà di redenzione; secondo il pensiero
agostiniano, il male non esiste ma viene generato da un’ insufficienza di bene, causata
dalle passioni terrene che imprigionano lo spirito. In questo primo libro, rammentiamo
un insegnamento relativo al mondo classico, grazie ad autori come Seneca e Cicerone: è
necessario lasciare che la vita percorra le vie spinose per giungere alla virtus. E’ possibile
la liberazione delle passioni, soltanto attraverso le virtù.
Secondo libro
Nel secondo libro vengono presi in esame i vizi di Francesco e che assediano la sua
anima, ovvero le passioni negative del Petrarca stesso: la superbia (per il ruolo
prestigioso intellettuale); l’avarizia (nell’attaccamento ai beni materiali); la lussuria
(per il fascino delle immagini corporee). I sette vizi capitali suggestionano gli
uomini per degli obiettivi disparati: un qualcosa che procura ansia ed
inquietudine, che pensa di poter placare col silenzio. Mentre Agostino con le sue
domande, penetra nell’animo di Petrarca, quest’ultimo riconosce il male -l’accidia
appunto- che lo affligge. Il brano è ricco di metafore e di immagini relative alla
sfera della guerra che rappresentano i dolori, le inquietudini, che l’esistenza non
risparmia ad alcuno. Il vizio dell’ accidia viene analizzato con fervore: la tendenza a
vedere dappertutto ostacoli e fastidi, a non riconoscersi nel proprio stato, si
configura come una vera e propria malattia intellettuale, che rende impossibile la
conciliazione tra l’io dello scrittore e l’io della realtà che lo circonda. L’io risulta
sofferente e malinconico, frustrato da una paralisi interiore che rende la vita poco
interessante e priva di valore. La tecnica inquisitoria riproduce i meccanismi
interiori mediante il quale l’uomo, scopre gli errori e le manchevolezze del suo
cuore ed apre la strada verso una piena conoscenza di sé.
Incontro tra Petrarca e Freud in
due epoche distaccate
Il processo di sdoppiamento dell’io si intreccia con gli studi psicoanalitici
di Freud. Si dice che ciascuno di noi abbia un altro di sé, un io rovesciato
alla propria natura; la cosa non produce effetti, finché rimane pura
astrazione ma, appena tocca il nostro essere unico, comincia a
perturbare. Il problema è quasi sempre quello del rapporto con l’altro
ma lo sforzo dell’individuo impegnato a vivere due esistenze insieme,
può anche condurre ad una equilibrata convivenza: si pensa così
facilmente al Visconte Dimezzato di Italo Calvino, Dt. Jekill e Mr. Hyde, Il
ritratto di Dorian Gray. Petrarca cerca costantemente di far coesistere i
due aspetti ma non riuscendoci, cade vittima di un tormentato dissidio
interiore, con un continuo oscillare tra la persistente volontà di
avvicinarsi a Dio e il desiderio di gloria e successo, rafforzato dal
continuo richiamo dei piaceri terreni, considerati miseri.
Terzo libro
Nel terzo libro si scende ancora a fondo nell’inquietudine dell’uomo e dello scrittore, con
l’analisi delle due ambigue catene a cui era strettamente legato, benché sappia che da
esse deriva il suo male: l’amore e la gloria. Francesco rivendica la purezza del suo amore
per Laura ma secondo Agostino, quell’amore ha trascinato il suo valore di uomo e di
poeta, sino allo splendido abisso, deviando il suo desiderio da Dio verso una creatura
evanescente e inafferrabile. Il contrasto tra anima e corpo si complica in un vero e
moderno conflitto interiore tra il desiderio interiore della bellezza del corpo femminile e il
senso di colpa. Lo splendore di Laura turba i sensi del poeta e nello stesso tempo, il
sentimento del peccato è motivo di tormento. Il corpo e l’anima hanno forza e diritti
uguali e convivono nella coscienza del poeta, nonostante siano contrastanti (Francesco e
Agostino) ed una sorta di conflittualità interna sembra ribadire l’incapacità di operare una
scelta decisiva. Da Sant’Agostino, l’amore viene considerato come un peccato, dovuto alla
sua caducità e al suo carattere effimero: dunque risulta giusto sovrapporre all’amore, la
gloria. Il dialogo si conclude lasciando aperte queste due contraddizioni: la vita del
Petrarca è fatta dalla coesistenza di tensioni opposte. Ciò che importa è mantenere
aperto questo confronto, nell’attesa che tutto si imponga la pace suprema. Alla fine del
dialogo, Petrarca non promette ad una conversione ma solo ad impegnarsi
nell’approfondire la coscienza di sé, nel raccogliere frammenti della sua anima.
Dante e Petrarca nella
considerazione dell’amore
Nella poesia stilnovistica, e soprattutto in Dante, l’amore viene sublimato in
una dimensione spirituale, quasi depurato dalla contaminazione del corpo a
vantaggio dell’esigenze dell’anima. Mentre in Petrarca, non è possibile
conciliare questi due termini, in quanto il corpo e l’anima hanno forza e
diritti uguali, nonostante il loro rapporto contraddittorio. Laura e Beatrice
vengono elaborate in maniera diversa dai due poeti: Petrarca elabora una
concezione terrena ed umana della donna, dove la bellezza non è più
celebrata come virtù o come mezzo di ascesa spirituale. Laura viene
considerata come una bellezza che, pur spiritualizzata, rimane sempre
terrena. Ma è possibile scorgere un’analogia tra Dante e Petrarca: entrambi
rappresentano un personaggio collettivo, lasciando il peccato per la gloria
divina. La principale ragione di interesse di modernità di quest’opera sta nel
suo carattere aperto e problematico, portando Petrarca ad essere
considerato il primo tra i moderni, in quanto risulta vicino alla sensibilità del
900’ ed ai suoi temi, come la frammentazione dell’io.

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